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6215.- Il Niger è la chiave di volta del Sahel

Vi rimando al n° 6127, che titolava: “Il Niger “caccia” la UE, disfatta europea nel Sahel.”

É preoccupante assistere all’incapacità dell’Unione di reggere il confronto con la Federazione Russa in Africa e lo è perché non c’è futuro per l’Europa senza l’Africa e non c’è per l’Africa senza l’Europa. Vedemmo bene il Vertice Italia-Africa, a Roma, tenuto da Giorgia Meloni e la nutrita partecipazione dei numeri uno africani. Il Vertice ha ribadito la centralità e la rilevanza che l’Italia attribuisce al rapporto con le Nazioni africane, ma non è da meno quella che gli attribuisce la Federazione Russa. Osserviamo che, con l’attuale Ue e con il conflitto creatosi, non casualmente, con Mosca, la strada per il Nuovo Piano Mattei sarà in salita. Per nostra scelta o no, da 108 anni, stiamo sempre con l’alleato o contro il nemico sbagliato; ma, da soli, dove andiamo?

L’aver rotto i rapporti degli Stati europei con la Federazione Russa avrà soddisfatto gli interessi americani, ma non i nostri. Prima, abbiamo visto sventolare le bandiere russe nel Niger, ora vediamo i soldati russi acquartierati accanto agli americani, appena sfrattati e in attesa di decisioni. Gli italiani, per ora, restano in Niger a ristrutturare la moschea. Mali, Burkina Faso e Niger hanno dato vita alla ”Alleanza degli Stati del Sahel”, la NATO africana e il paragone è azzeccato.

Fino a che le basi USA e italiana in Niger resteranno, sarà importante chiarire i nostri obiettivi nel Sahel. La politica del Governo italiano della solidarietà attiva nel Magreb, nel Sahel e in Libia dovrà confrontarsi con le ambizioni di Mosca e con quelle di Ankara. Certamente, sapremo come, se saremo sostenuti. 

Due articoli tratti da Europatoday

Perché l’Europa teme l’espansione dell’influenza russa nel Sahel

Bruxelles cerca una nuova strategia dopo il golpe in Niger. Il gruppo Wagner dovrebbe restare operativo nell’area nonostante la morte di Prigozhin

Sostenitori dei soldati ammutinati tengono una bandiera russa mentre manifestano a Niamey, in Niger. Foto Sam Mednick / Associated Press/LaPresse

Un’Europa colta nuovamente di sorpresa, nonostante la presenza diplomatica e di intelligence nell’area del Sahel. È quanto sarebbe emerso dai documenti preparativi diffusi in vista del prossimo vertice dei ministri della Difesa degli Stati membri dell’Unione europea. Dopo l’aggressione dell’Ucraina, anche il colpo di Stato in Niger avvenuto a fine luglio ha trovato impreparati i Paesi europei. Il vasto Stato africano veniva considerato un partner fondamentale dell’Ue, soprattutto in materia di gestione dei migranti ed esternalizzazione delle frontiere. L’arresto del presidente Mohamed Bazoum e l’ascesa al potere della giunta militare non mette in crisi solamente i rapporti con il Paese nel cuore del Sahel, ma starebbe spingendo a ripensare più in generale il ruolo della diplomazia europea. Di fronte all’espansione dell’influenza di Russia e Cina nella regione, Bruxelles non intende però arretrare ulteriormente. Al contempo però l’idea dell’uso della forza, che la Francia gradirebbe, non risulta essere l’opzione più gettonata in un contesto già fortemente critico nei confronti della presenza europea e dove le bandiere russe vengono sventolate in strada dalla popolazione.

Dalla visita di Borrel al golpe

Un colpo di stato che “ha sorpreso inizialmente molti osservatori”. Questa la dichiarazione contenuta in una nota interna preparata dal servizio diplomatico dell’Ue e svelata dal portale Euractiv. A sorprendere, in particolare, la circostanza che “il Niger si trovava su una traiettoria politica, economica e sociale relativamente lineare, nonostante la significativa pressione sulla sicurezza su tutti i suoi confini”, si legge nella nota interna distribuita ai Paesi membri in vista delle riunioni informali dei ministri della Difesa che si terranno in Spagna. Non a caso proprio ad inizio luglio il capo della diplomazia europea Josep Borrell si era recato in Niger, definendo il Paese come un partner essenziale dell’Ue nella regione del Sahel, quella vasta area semiarida che tocca in vari punti il deserto del Sahara.

Ambasciatore espulso

Solo poche settimane dopo quello stesso Paese è diventato il teatro di un colpo di Stato, aggiungendosi alla lista dei Paesi guidati da giunte militari, insieme al Burkina Faso e al Mali. Furiosa la Francia, il cui ambasciatore è stato “invitato” dai militare al potere a lasciare il Paese. “La decisione dei golpisti di espellere l’ambasciatore francese è una nuova provocazione che non può in alcun modo aiutare a trovare una soluzione diplomatica alla crisi attuale”, ha dichiarato in conferenza stampa Nabila Massrali, la portavoce dell’Ue per gli affari esteri. L’alta funzionaria ha aggiunto che il blocco “non riconosce” le autorità che hanno preso il potere in Niger. Sostegno unanime da parte dei diplomatici europei all’omologo transalpino, ma al tempo stesso scarsa coesione sui prossimi passi da adottare. Secondo gli esperti, nonostante le pressioni di Parigi, il coinvolgimento dell’Ue rimarrà probabilmente limitato al sostegno politico alla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), a sua volta diviso sul come affrontare la questione. L’intervento militare figura solo come una minaccia, ma senza il sostegno dell’Unione africana all’uso della forza difficile si muoveranno i cingolati. C’è chi, come il Togo, ha già avviato colloqui col nuovo potere in Niger. Borrell, prevede la nota diffusa tra i ministri, dovrebbe chiedere agli Stati membri e a Bruxelles di “adattare il suo approccio al Niger” e, a seconda di come si evolve la situazione, valutare “quale posizione l’Ue sarebbe disposta a prendere in considerazione in termini di aiuti allo sviluppo, sicurezza migratoria e gestione delle frontiere”.

L’ombra di Wagner

Restare nella regione del Sahel resta prioritario per proseguire nel piano di esternalizzare le frontiere e affidare ai Paesi africani, come Libia e Tunisia, la gestione dei migranti. Una presenza, quella europea, che deve fare fronte però a relazioni sempre meno solide, ad una fiducia deteriorata da parte delle popolazioni e a governi militari inaffidabili. Nonostante risulti ormai accertata la morte di Evgenij Prigožin, gli Stati Uniti sostengono che le attività del gruppo mercenario russo Wagner non si fermeranno. Rapporti della Associated Press e di France 24 sostengono che uno dei leader del colpo di stato, il generale Salifou Mody, abbia visitato il Mali poco dopo il golpe e avrebbe preso contatto con esponenti della Wagner per chiedere il loro supporto. Sebbene manchino le prove di una presenza dei militari del gruppo in Niger, nulla esclude che possano affacciarsi su questo fronte per garantire un supporto militare e strategico, come stanno continuando a fare in Mali e in Repubblica Centrafricana. Secondo il ministro degli Esteri Sergej Lavrov i contratti della Wagner in Africa dipendono interamente dagli Stati africani, anche se il gruppo di mercenari risulta “interamente finanziato” dalla Russia come ammesso dallo stesso Putin. I cori ostili alla Francia e la presenza di bandiere russe sventolate durante le manifestazione dai sostenitori dei golpisti di Niamey è l’indice però che la propaganda di Mosca non si limita esclusivamente ad un supporto militare ma intende attrarre gli africani della regione in un nuovo ordine anti-europeista.

La base militare che ospita i soldati di Usa e Russia

Le forze di Mosca sono sbarcate in Niger e hanno occupato un edificio al fianco di quello dove si trovano le truppe statunitensi. Le quali potrebbero presto lasciare il Paese

La base 101 a Niamey 

Uno è il Paese che ha invaso l’Ucraina. L’altro è quello che più sta sostenendo l’esercito di Kiev. Ma il fronte orientale europeo non è l’unico palcoscenico internazionale in cui Russia e Stati Uniti si stanno affrontando a distanza. C’è, per esempio, il Niger, Stato africano chiave per la stabilità di un’intera regione, il Sahel. Ed è proprio qui, vicino l’aeroporto della capitale Niamey, che le truppe americane e quelle russe si sono ritrovate a condividere la stessa base aerea. Un caso che fotografa la situazione del Paese, in rotta di collisione con l’Occidente e sempre più propenso a rafforzare i legali con Mosca.

In Niger, nel luglio dello scorso anno, un colpo di stato guidato dai vertici della guardia presidenziale ha rovesciato il presidente eletto Mohamed Bazoum, alleato di Washington e dei Paesi europei. La nuova giunta militare ha subito preso di mira i contingenti occidentali, a partire da quello francese (il Niger è un’ex colonia di Parigi) e ha messo in discussione l’accordo di cooperazione militare in vigore con gli Stati Uniti, ritenendo che fosse stato “imposto unilateralmente” da Washington e che la presenza americana fosse ormai “illegale”. A metà aprile gli Stati Uniti hanno accettato di ritirare gli oltre mille soldati dal Paese, ma le modalità del ritiro sono ancora oggetti di trattativa.

Per il momento, un contingente dell’aeronautica statunitense è rimasto a presidio dell’area e delle attrezzature militari, come la base di droni vicino ad Agadez, costruita per circa 100 milioni di dollari. I militari Usa occupano una base vicino l’aeroporto di Niamey, la base aerea 101. Ed è qui che nei giorni scorsi sono arrivate le forze russe. A rivelarlo è stato il segretario alla Difesa Lloyd Austin, secondo cui le truppe di Mosca non pongono un “problema significativo (…) in termini di protezione delle nostre forze”. I russi, ha spiegato Austin, “si trovano in un edificio separato e non hanno accesso alle forze statunitensi o alle nostre attrezzature”. Interrogato in una conferenza stampa a Mosca, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov non ha né confermato né smentito la presenza russa nella base, indicando semplicemente che Mosca sta sviluppando le sue relazioni con i Paesi africani in tutti i settori, compreso quello militare.

Il Niger, infatti, è solo l’ultimo di una serie di Paesi del Sahel, come Mali e Burkina Faso, che si stanno allontanando dall’Occidente per avvicinarsi alla Russia e alla Cina. Negli ultimi giorni le truppe Usa hanno lasciato anche il Ciad. Tolta la Mauritania, il resto del Sahel è sempre più lontano da Stati Uniti e Ue. Una regione strategica sotto vari profili, cinghia di trasmissione tra l’Africa subsahariana e il Nord mediterraneo, anche delle rotte dei migranti. Per questo, l’Italia ha da tempo mosso le sue pedine diplomatiche nell’area, Niger compreso. Per il momento, Roma mantiene il suo contingente a Niamey. E spera di potere continuare a farlo.

6214.- 10 anni di NATO in Ucraina. Il declino della politica e della potenza USA nel mondo e l’inutilità dell’Ue in politica estera per noi.

Non è lui il capo!

L’Orso russo è meglio averlo per amico e le strategie per dominarlo avrebbero dovuto evitare il confronto militare. Stando alla situazione presente, chi detta gli indirizzi al polo angloamericano dovrà contentarsi di controllare i Paesi europei, ma avrebbe dovuto e farebbe sempre bene a evitare che la Federazione Russa sia schierata a fianco della Cina. Vieppiù oggi che gli Stati Uniti sembrano concentrarsi sul confronto con la Cina, anche se il viaggio di Blinken a Pechino, le minacce verso la collaborazione con la Federazione Russa e il loro fiasco confessano le preoccupazioni del Pentagono di fronte a un asse Mosca – Pechino. Non è tutto qui il futuro della geopolitica che apprezziamo.

Stiamo assistendo all’ingresso della Wagner nella, ancora per poco, base americana 201 di Niamey, nel Niger, con i russi, addirittura, nel palazzo a fianco del comando USA e ci vediamo, noi bravi italiani, con il nostro sacrosanto, ambizioso Piano Mattei, unico Paese occidentale a tenere un presidio gradito agli africani nel Sahel. L’Italia è consapevole di non essere una grande potenza e si deve domandare quanto una Unione europea sgradita agli africani, senza un’anima e senza una sovranità, potrà sostenere la politica di cooperazione e di solidarietà attiva di questo governo, confrontandosi e in competizione con i russi.

L’aver rotto i rapporti degli Stati europei con la Federazione Russa sarà sembrata una necessità per la Casa Bianca e avrà soddisfatto gli interessi di chi controlla il popolo americano, ma non i nostri e siamo del parere che Washington sta spendendo male le possibilità dell’Occidente. 

Dal punto di vista della politica, la realizzazione da parte della Casa Bianca, in segreto, di questa disgraziata guerra in Ucraina, con quasi un milione di morti, creata, dalla Victoria Jane Nuland insieme alla NATO, scatenata, infine, da Putin, fino al sabotaggio dei gasdotti North Stream, promesso e attuato da … e, infine la cessione degli USA a Kiev di 100 missili Atacms, americani, con una gittata di 300 km, una dichiarazione di guerra! – come tale, da sottoporre all’approvazione del Parlamento europeo -, ha confermato che ogni alleanza fra una grande potenza e un Paese di secondaria importanza, come sono, appunto, i nostri europei, si traduce in un dominio da parte della potenza. Ragione non ultima sia della necessità di giungere a uno Stato sovrano europeo, con una sua politica estera e un suo esercito sia del pericolo rappresentato dalla proposta di Giulio Tremonti, membro rappresentativo dell’Aspen, di allargare ulteriormente, a tutti i Paesi balcanici (quindi, anche la Turchia) l’Unione.

Dal punto di vista della finanza e dell’economia, aver privato i Paesi europei della risorsa energetica russa, a buon mercato e avergli venduto quella americana a un prezzo quattro volte maggiore, ha certamente risollevato le finanze USA, ma ha indebolito l’Unione e l’Occidente nel suo complesso. É noto che le sanzioni elevate alla Federazione Russa hanno nuociuto e nuocciono ai Paesi europei più che a Mosca, mentre lo sforzo bellico della Nato a favore dell’Ucraina si tradurrà o si sta già traducendo in un fallimento. Ben potrebbe essere vera la contrarietà della grande regina Elisabetta II alla guerra, e ci fermiamo qui.

Dal punto di vista strategico, siamo impegnati militarmente, di fatto, in:

Un conflitto europeo e in Mar Nero, un’altro in Medio Oriente, tra Mediterraneo Orientale e Mar Rosso e, dal Sahel al Corno d’Africa, Osservando l’evolversi del confronto fra Occidente, da una parte e Russia e Cina, dall’altra, preoccupa una strategia che prevede l’interconnessione fra l’Indo-Pacifico e il Mediterraneo Allargato. ma non sembra fare i conti con la vulnerabilità del Canale di Suez. In questo azzardato contesto, l’Us Navy ha appena ritirato dal Mediterraneo il Gruppo d’Attacco della super portaerei nucleare USS Gerald R. Ford (CVN-78), che imbarca il potente Carrier Air Wing 8 con 100 aeroplani combat ready, lasciando il testimone alle portaerei europee nel ruolo di bersagli: La bellissima mezza portaerei italiana ITS Cavour (CVH550) che, a marzo disponeva di appena 3 piloti qualificati Limited Combat Ready per l’F-35B STOVL, e, forse, oggi ne schiera 5, e alla anziana portaerei nucleare francese Charles de Gaulle (R91: due manciate di caccia di 4a generazione Rafale-M, circa 30) i cui sistemi di combattimento, in particolare contro missili antinave e droni, dovranno attendere il 2027 per essere adeguati alle odierne minacce.

La conclusione di questo rapido excursus è che ci avviciniamo alle elezioni europee, ma speriamo – chissà perché – in Donald Trump.

Mario Donnini

Il Regno Unito afferma che è pericoloso inviare truppe Nato in Ucraina

Sembra che lo sforzo di Londra di solleticare le aspirazioni espansionistiche dei polacchi e spingerli in guerra si sia esaurito davanti all’avanzata dei russi in Donbass. Vedremo cosa accadrà il 19 maggio, 60º anniversario del Giorno della Vittoria sul nazismo.

difesacivicaitalia

MAGGIO 4, 2024  

Gli stivali da combattimento occidentali sul terreno porterebbero a un’ulteriore escalation, ha affermato il ministro degli Esteri Davis Cameron.

Inviare soldati della NATO a combattere l’esercito russo in Ucraina sarebbe troppo pericoloso, ha detto venerdì il ministro degli Esteri britannico David Cameron. Ha espresso i suoi commenti mentre i leader europei hanno riacceso il dibattito sull’opportunità che l’alleanza guidata dagli Stati Uniti debba prendere in considerazione un coinvolgimento più diretto nel conflitto. 

Venerdì, parlando a Sky News, Cameron ha affermato che il Regno Unito deve continuare a fornire armi a Kiev e concentrarsi sulla ricostituzione delle proprie scorte. “come priorità nazionale”.

“Ma non vorrei avere soldati della NATO nel paese perché penso che potrebbe essere una pericolosa escalation”, ha aggiunto il primo ministro. “Abbiamo addestrato – credo – quasi 60.000 soldati ucraini”.

La dichiarazione del ministro degli Esteri è arrivata dopo che il presidente francese Emmanauel Macron ha rifiutato ancora una volta di escludere un potenziale dispiegamento di soldati della NATO in Ucraina. “Non dobbiamo escludere nulla perché il nostro obiettivo è che la Russia non possa mai vincere in Ucraina”, ha detto all’Economist in un’intervista pubblicata questa settimana. Macron ha sostenuto che potrebbe sorgere la questione delle forze NATO sul terreno “Se i russi riuscissero a sfondare la prima linea” e se Kiev chiedesse aiuto. 

Altri funzionari europei di alto rango hanno ventilato l’idea dello spiegamento di truppe, e alcuni suggeriscono che la NATO potrebbe inviare squadre di sminamento e altro personale non combattente. “La presenza delle forze NATO in Ucraina non è impensabile”, Lo ha detto ai giornalisti il ​​ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski a marzo.

Tuttavia, alcuni paesi della NATO, tra cui Ungheria e Slovacchia, si sono espressi fermamente contro un’ulteriore escalation. “Se un membro della NATO impegna truppe di terra, sarà uno scontro diretto NATO-Russia e sarà quindi la terza guerra mondiale”, ha detto giovedì il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto all’emittente francese LCI.

Mosca ha più volte avvertito che sarebbe costretta ad attaccare le truppe occidentali se prendessero parte al conflitto. Lo ha scritto venerdì su Telegram la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova “non resterà nulla” delle forze NATO se inviate in prima linea in Ucraina.

Kiev ha lanciato l’allarme sui ritardi negli aiuti militari occidentali negli ultimi mesi, accusando la carenza di munizioni per le perdite sul campo di battaglia. In un’intervista pubblicata giovedì su The Economist, Vadim Skibitsky, vice capo dell’agenzia di intelligence militare ucraina GUR, ha affermato che le difese dell’Ucraina potrebbero crollare anche con i pacchetti di aiuti aggiuntivi recentemente approvati da Stati Uniti e Regno Unito.

6203.- Tutti via dal Niger, l’Italia resta a rifare la moschea

Il Piano Mattei ha seminato.

L’unica rappresentanza occidentale rimasta dopo il golpe è quella italiana. Difficile condividere l’orgoglio dei nostri militari per il rifacimento del luogo di culto islamico della capitale, già teatro di attacchi anticristiani.

La Nuova Bussola Quotidiana, 16_04_2024UFFICIO IMAGOECONOMICA

L’11 aprile il generale Francesco Paolo Figliuolo, durante la sua audizione alle Commissioni affari esteri e difesa di Camera e Senato, ha annunciato che la missione bilaterale italiana di supporto in Niger, Misin, continuerà perchè è di primaria importanza consolidare la presenza italiana nel Paese. A tal fine nei prossimi mesi il personale potrebbe essere raddoppiato e superare le 500 unità (attualmente sono circa 250). Inoltre è prevista la dotazione di altri cinque elicotteri e aerei che si aggiungeranno a quelli già in uso e ai mezzi di terra di cui la missione dispone.

La Misin è iniziata nel 2018 per aiutare a rafforzare il controllo dei territorio, oltre che in Niger, in Mali, Mauritania, Chad e Burkina Faso e per svolgere attività di formazione, addestramento, consulenza e assistenza delle istituzioni governative nigerine. Da allora gli istruttori italiani hanno svolto 381 corsi di formazione ai quali hanno partecipato 9.235 militari nigerini e sono state organizzate diverse attività destinate alla popolazione: donazione di materiale informatico, di attrezzature sanitarie e farmaci, formazione di personale paramedico, donazione di materiale didattico e tecnico per le scuole, contributi alla bonifica di aree a rischio malaria, donazione di attrezzature sportive destinate ai giovani.

Ma il 26 luglio 2023 i militari hanno destituito il presidente Mohamed Bozoum e hanno preso il potere. Nei mesi successivi hanno progressivamente reciso i rapporti con i Paesi europei, con gli Stati Uniti, presenti nel Paese con due basi militari, e con l’Ecowas, la Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale. Hanno detto di voler d’ora in poi evitare ogni forma di dipendenza dall’Occidente, di voler fare da soli, in collaborazione con gli altri due stati vicini governati dai militari, Mali e Burkina Faso, anch’essi usciti dall’Ecowas che peraltro li aveva già sospesi in seguito ai golpe. Con la Francia – ex madrepatria – hanno interrotto anche i rapporti diplomatici. Entro la fine del 2023 tutti i Paesi europei hanno ritirato le loro truppe e gli Stati Uniti hanno ricevuto ordine di fare altrettanto.

Il Niger è un Paese di importanza strategica. È attraversato da una delle rotte più usate dalle reti criminali che organizzano i viaggi degli emigranti illegali ed è sede di uno dei maggiori hub, la città di Agadez, in cui gli emigranti si concentrano in attesa di provare a entrare in Libia e Algeria, attraversare il deserto del Sahara e raggiungere le coste meridionali del Mediterraneo. Accordi raggiunti con l’Unione Europea avevano ridotto i flussi illegali. Invece a fine 2023 la giunta militare ha abrogato la legge che perseguiva i trafficanti e subito le loro attività sono riprese. In Niger inoltre, nel 2022, la Francia e gli alleati europei avevano trasferito, su invito del presidente Bozoum, la base delle loro operazioni contro i gruppi jihadisti attivi nel Sahel, soprattutto in Mali, Burkina Faso e Niger, che per oltre 10 anni era stata nel vicino Mali, Paese divenuto sempre più inaffidabile da quando nel 2021 i militari hanno compiuto il secondo colpo di Stato.

Adesso quella italiana è l’unica rappresentanza occidentale rimasta, i pochi soldati Usa della base 201 potrebbero lasciare il Niger a giorni. Di qui deriverebbe l’importanza di rafforzare la Misin, d’accordo con gli alleati occidentali, per non lasciare «spazi di manovra all’allargamento della presenza di altri attori nella regione», ha spiegato il generale Figliuolo. «L’Italia è l’interlocutore privilegiato del Paese», ha assicurato. Mai quanto la Russia, però, come dimostrano gli ottimi rapporti stabiliti dalla giunta militare con Mosca, tradottisi nella promessa di aiuti militari, promessa che si è concretizzata il 12 aprile con l’arrivo di un primo gruppo di paramilitari del Russian Expeditionary Corps, incaricati di assistere e addestrare i soldati nigerini. Con loro è arrivato un cargo pieno di attrezzature militari speciali. La televisione di Stato nigerina ne ha ripreso le operazioni di scarico.

Si vedrà presto, già nei prossimi mesi, se l’Italia avrà fatto bene a rimanere in Niger diventando uno dei pochi Stati che legittimano di fatto la giunta militare. La stessa Unione Africana ha sospeso il Niger, come fa con tutti i Paesi in cui le istituzioni democratiche vengono meno. «Le autorità nigerine hanno dichiarato il prossimo avvio del processo di democratizzazione con un piano di transizione per il ritorno all’ordine costituzionale», ha spiegato il generale Figliuolo che è stato in Niger a marzo. Bisogna crederlo se si vuole restare nelle grazie dei militari, ma è quel che dicono tutti. In Sudan è dal golpe del 2019, in Mali da quello del 2020, in Burkina Faso e in Guinea Conakry dal 2022 che si aspetta l’avvio della transizione democratica promessa. In Mali, non solo, l’11 aprile la giunta militare ha sospeso tutte le attività politiche fino a nuovo ordine. Per ripristinare le istituzioni democratiche in Niger non c’è bisogno di un processo di transizione. Basterebbe che i militari liberassero il presidente Bozoum e gli consentissero di riassumere la sua carica. 

Rende ancora più delicata e insidiosa la solitaria missione italiana il problema di come porsi rispetto alla difficile situazione della minoranza cristiana. Il Niger è a maggioranza musulmana e oltre tutto è infestato da gruppi jihadisti. La classifica 2024 dell’onlus Open Doors dei 50 stati in cui i cristiani sono più duramente perseguitati lo colloca al 27 posto, dopo il Bangladesh e prima della Repubblica Centrafricana. Uno dei momenti peggiori per la piccola comunità cristiana fu quando nel 2015 la popolazione si scatenò contro di loro per reazione alla pubblicazione delle vignette satiriche su Maometto che costarono la vita ai redattori della rivista Charlie Hebdo. Attorno alla Grande Moschea della capitale Niamey si radunarono per giorni folle inferocite per poi attaccare e saccheggiare bar, alberghi, negozi e case di cristiani. Sette chiese furono saccheggiate e date alle fiamme.   

Davvero non è facile condividere la soddisfazione e l’orgoglio con cui le autorità militari italiane l’11 aprile hanno annunciato il completamento dei lavori di ristrutturazione della Grande Moschea, realizzati grazie al sostegno promesso dal generale Massimo Marceddu allo sceicco Djibril Djermakoye Karanta, imam della Grande Moschea e presidente dell’Associazione islamica del Niger. «Dal 1° al 29 marzo sono stati eseguiti i lavori di rifacimento di alcune parti della moschea, e sono stati donati sistemi di climatizzazione nelle stanze principali del luogo di culto musulmano – ha dichiarato il generale Marceddu – ogni soldato della Misin mette il cuore in quello che fa per questo bel Paese». 

6167.- Cosa significa la fine della cooperazione Usa-Niger scelta dai golpisti di Niamey

Via anche gli USA dal Niger e la Russia sta avanzando nel Sahel e avanzerà ancora. Anni di indiscussa supremazia e la mancanza di una gamba europea della Nato hanno indebolito gli Stati Uniti. La decisione di Washington di non accogliere la Federazione Russa nella Nato sta avendo un costo per l’Europa. Finirà che il Piano Mattei, con la sua cooperazione e la solidarietà attiva sarà l’ultima spiaggia per i Paesi del Sahel e per gli europei.

Da Formiche.net, di Emanuele Rossi, 18 marzo 2024

Decollo dalla Air Base 201, cinque chilometri fuori della città di Agadez.

La decisione di Niamey arriva appena dopo un incontro della giunta golpista con una delegazione statunitense. Gli Usa (e l’Ue) perdono uno dei centri delle attività counter-terrorism in Africa centro-settentrionale, col rischio che la sicurezza del Niger venga presa in mano dalla Russia (come già succede altrove nel Sahel)

“Il governo del Niger, tenendo conto delle aspirazioni e degli interessi del suo popolo, decide con piena responsabilità di rinunciare con effetto immediato all’accordo relativo allo status del personale militare degli Stati Uniti e dei dipendenti civili del dipartimento della Difesa americano nel territorio della Repubblica del Niger”, ha detto il colonnello che fa da portavoce della giunta militare del Niger, in una dichiarazione alla televisione nazionale che annuncia un cambiamento profondo e indice dei tempi.

La giunta golpista che a fine luglio scorso ha preso il controllo di Niamey ha deciso di concludere un accordo con gli Stati Uniti – in piedi sin dal 2012 – il quale ha permesso al personale militare e civile del Dipartimento della Difesa di operare da una base militare (si chiama Air Base 201) posizionata cinque chilometri fuori la città di Agadez, nell’area centro-occidentale del Paese. Operazioni che si muovono tra il territorio del Sahel, infestato dai terroristi di varie sigle internazionali (affiliati allo Stato islamico o ad Al Qaeda e collusi con traffici di ogni tipo, compreso quelli di esseri umani provenienti dall’area o da aree più meridionali dell’Africa che poi prendono la rotta mediterranea) fino alla Somalia, dove l’attività del gruppo combattente jihadista Al Shaabab non rallenta, o in Nigeria e più a nord verso il Nordafrica.

Nel wording della dichiarazione, scelto di certo non casualmente, quello che conta è il passaggio in cui si indica che la decisione dei golpisti guidati da Abdourahamane Tchiani è conseguenza delle “aspirazioni e degli interessi del suo popolo”. Lo stesso che già nei giorni convulsi dell’estate scorsa, in cui era stato estromesso dal potere il presidente Mohamed Bazoum, aveva accettato senza eccessive manifestazioni di scontento il regime change interno. Bazoum e il suo Paese erano considerati negli Stati Uniti e in Unione Europea come dei riferimenti di democraticità in Africa, e le collaborazioni con le forze armate nigerine erano al centro delle attività del counter-terrorism occidentale nel continente. 

Tra l’altro, anche l’Italia è presente con un contingente attivo nel Paese, secondo una missione autorizzata – Misin, Missione Italia di Supporto in Niger – per formazione e assistenza medico-sanitaria. In precedenza c’era una presenza fissa anche francese, come altrove nel Sahel, dove Parigi si era fatta promotrice di interventi di carattere securitario per combattere la dilatazione terroristica. Interventi che non hanno funzionato al punto che la Francia ha dovuto abbandonare quasi tutte le postazioni nella regione. Resta in Niger una base logistica tedesca.

Quanto succede a Niamey ricalca uno schema già visto altrove nel Sahel, dove nel corso degli anni sono venuti giù una serie di governi a opera di golpe militari che hanno un comune denominatore: ufficiali che si ergono a baluardi della sicurezza delle collettività, mentre i governi regolari non riescono a combattere l’insorgenza terroristica. La generale percezione di insicurezza è condivisa dalle cittadinanze, che accusano non solo gli esecutivi locali, ma anche le loro cooperazioni con l’Occidente – spesso semplificate nella presenza sul campo dilimitate unità europee (per esempio, la missione italiana è composta da un contingente medio annuale di 500 militari, 100 mezzi terrestri e 6 aerei) e americane.

Sotto la narrazione alterata che racconta questa presenza militare occidentale come forma di colonialismo, i governi in carica sono stati descritti come corrotti e collusi, per questo avrebbero ceduto aliquote di sovranità, e inefficaci nel garantire sicurezza e prosperità ai propri cittadini. La rincorsa dei golpisti è stata agevolata da questo substrato – basato in parte su una realtà: il terrorismo dilaga, la sicurezza erosa – e spinta da forme di disinformazione agevolate anche da campagne russe. Mosca ha guadagnato dalla situazione infatti, sostituendosi in molti casi – attraverso l’ex Wagner, ora Africa Corps – ai contingenti occidentali. È successo in Mali e sta succedendo in Burkina Faso (e altrove nel continente). Sostituzione che non solo ha portato i russi a gestire la sicurezza della giunte, ma ha creato forme di penetrazione economico-industriale a vantaggio del sistemi di oligarchi connessi ai contractor e al Cremlino (che nega questi link). Qualcosa del genere potrebbe succedere in Niger?

A gennaio, in un’intervista a Jeune Afrique a margine del suo tour in Africa, il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, aveva annunciato che Washington sarebbe stata pronta a rimuovere le sanzioni con cui aveva punito Niamey (e limitato le attività di cooperazione anche militare) se il Paese fosse tornato “entro due anni” lungo il solco democratico. Il capo della diplomazia dell’amministrazione Biden si augurava che l’Ecowas avesse aiutato le giunte golpiste in quel percorso. Cinque giorni dopo la pubblicazione dell’intervista, le giunte golpiste di Mali, Burkina Faso e Niger hanno annunciato di essersi raggruppate in una nuova entità di cooperazione, per altro sfilandosi dal meccanismo della Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale, nota con l’acronimo inglese Ecowas.

Una scelta simbolica, che sembra aprire a forme di collaborazione alternative, considerando che in due di quei due Paesi la Russia è presente. Quest’estate, Ecowas aveva minacciato con fermezza l’intervento armato contro la giunta in Niger, salvo poi rinviare tutto per l’inconsistenza dell’offerta militare e lo scontento suscitato tra i cittadini dei Paesi membri per un’azione di guerra – mentre Mali e Burkina avevano annunciato l’intenzione di difendere i colleghi golpisti di Niamey.

Due settimane fa, dopo aver tracciato movimenti di armi russe attraverso la logistica libica, su Formiche.net avevamo segnalato un rafforzamento della “nuova Wagner” – gli Expeditionary Corps sotto il controllo dell’intelligence militare Gru, noti nel continente come “Africa Corps” – verso il sud saheliano. Ora emerge la volontà nigerina, per altro resa pubblica pochi giorni dopo che Tchiani aveva tenuto colloqui di alto livello con funzionari diplomatici e militari statunitensi (nel tentativo di salvare il salvabile). Secondo la dichiarazione di chiusura dell’intesa tra i due Paesi, l’accordo era stato imposto al Niger ed era stato in violazione delle “regole costituzionali e democratiche” della sovranità della nazione dell’Africa occidentale. 

Nelle stesse dichiarazioni, viene sottolineato che la delegazione americana – guidata dall’assistente del segretario di Stato per gli Affari africani, Molly Phee, e dal capo di AfriCom, il generale Michael Langley – è stata ricevuta “per cortesia”, anche se aveva “violato i protocolli diplomatici non annunciando tempi della visita e composizione della missione”. Da mesi, il Pentagono sta valutando come il cambiamento di potere in Niger avrebbe avuto un impatto sugli effettivi statunitensi di stanza nel Paese. Lo stesso stanno facendo altre nazioni occidentali. In una lettera inviata al Congresso nel dicembre 2023, il presidente Joe Biden ha osservato che circa 648 militari statunitensi sarebbero rimasti schierati in Niger. La permanenza nel Paese viene in generale considerata importante, sia per ragioni operative sia perché potrebbe essere rimpiazzata da forze ostili – come quelle russe o anche iraniane.

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6200.- L’addio all’Ecowas di tre giunte filorusse in Africa interessa anche l’Italia. Ecco perché

Mentre le mani si tendono a sugellare i patti per il futuro fra Italia e Africa le politiche di Washington e di Londra sembra che alimentino le divisioni e, infatti, come non notare le assenze a Roma del Mali, del Niger, del Burkina Faso, del Sudan e della Mauritania e, addirittura, della semibritannica Nigeria, che, solo ieri, faceva proseliti contro la rivolta filo russa nel Niger e non avrà certo cambiato idea. Sappiamo quanto credito abbia concesso Giorgia Meloni a Rishi Sunak e alla sua associazione e dovremo capire quanto la Gran Bretagna sarà a fianco dell’Italia in questo progetto mondiale. Dovremo capire se gli Stati Uniti useranno l’Italia e l’Europa verso l’Africa e contro Russia e Cina per rinsaldare la loro leadership occidentale, ma c’è ancora un Occidente e, in Occidente, c’é ancora un leader mondiale per tutti ? E, poi, di quali Stati Uniti stiamo parlando? É mai possibile avere per leader uno Stato a rischio di secessione? E, infine, saremmo insieme a un leader o sotto un padrone. Il South Stream 2 risponderebbe per noi. Ma se dovessimo dare una collocazione alla Federazione Russa, fra Europa e Asia diremmo: Europa! L’Italia e l’Europa troveranno sempre la Russia sul loro cammino: un fratello tradito o un competitor?

Da Formiche.net, di Emanuele Rossi | 30/01/2024 – 

L’addio all’Ecowas di tre giunte filorusse in Africa interessa anche l’Italia. Ecco perché

Mali, Niger e Burkina Faso annunciano l’uscita dall’Ecowas accusando l’organizzazione di essere al servizio dell’Occidente. È anche contro le narrazioni di queste giunte golpiste e populiste aiutate dalla Russia che si muovono progetti di cooperazione come quello Italia-Africa. L‘auto esclusione potrebbe peggiorare le condizioni economiche di quei Paesi: “Ciò comprometterebbe uno dei principali pilastri del Piano Mattei, ovvero la riduzione della migrazione”, spiega Willeme (Clingendael Institute)

L’annuncio di ieri da parte dei tre Paesi dell’appena costituita Alliance des Etats du Sahel — Mali, Niger, Burkina Faso, tre giunte golpiste in parte legittimate dalla popolazione anche come effetto delle attività ibride russe — “non è sorprendente, data la tensione in corso con il blocco regionale Ecowas/Cedeao”, spiega una fonte diplomatica europea che segue la regione del Sahel. “Tuttavia solleva diverse incertezze per l’intera regione e non solo, e forse non è un caso che arrivi contemporaneamente allo svolgimento della Conferenza Italia-Africa” — che con la presentazione del cosiddetto “Piano Mattei” intende lanciare una nuova visione strategica per la cooperazione con l’Africa.

Non si sa ancora come e quando quel “ritiro immediato”, ma ancora non formalizzato stando all’Ecowas (acronimo inglese di Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), si tradurrà concretamente in uscita formale — che richiederebbe comunque un anno per entrare in vigore. Fatto sta che Bamako, Ouagadougou e Niamey spingono una narrazione perfettamente in linea con quella diffusa sin da subito dalle rispettive giunte golpiste, che negli ultimi tre anni hanno conquistato il potere nei vari Paesi sull’onda di una stagione particolarmente travagliata, sfruttata anche per attività di influenza strategica da attori nemici dell’Occidente.

Come la Russia, che cerca dossier e ambiti in cui capitalizzare successi nella competizione globale. Mosca ha da sempre sfruttato la situazione, soffiando le insoddisfazioni popolari a proprio vantaggio, penetrando — prima con la Wagner adesso con il neonato Africa Corps — le forze di sicurezza dei golpisti attraverso forme di assistenza che si sono trasformate in campagne ibride. Le unità russe fanno addestramento per militari e polizia locale, ma nel frattempo diffondono narrazione anti-occidentale e si incuneano nel tessuto economico (e sociale).

L’annuncio dei tre Paesi segue una staffetta diplomatica con rappresentanti di Russia, Cina e poi Stati Uniti che hanno viaggiato in Africa e mentre le massime autorità europee erano ospiti a Roma per parlare di nuove relazioni col continente in un “vertice” tra capi di Stato e di governo (espressione che ha valore non solo simbolico-diplomatico per la conferenza). Sullo sfondo si delineano — come già successo con i vari golpe regionali — i contorni della competizione tra potenze. Mentre la ricerca di un’autarchia politica, sicuritaria ed eventualmente economica caratterizza sia l’ambito golpista maliano che nigerino e burkinabé (i golpe ci sono stati nel 2020 in Mali, nel 2022 in Burkina Faso e nel 2023 in Niger).

Anche su questo si basa parte del successo narrativo dei golpisti, che incolpano l’Occidente, gli sfruttamenti coloniali passati e l’inefficacia nel fornire assistenza nel presente, della pessima situazione economica e del divampare dell’insorgenza jihadista sui propri territori. Una retorica emersa anche, in modo più moderato e controllato, in alcuni interventi degli invitati alla conferenza organizzata ieri al Senato — per esempio nelle parole del presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki.

Emergono interrogativi sempre più complessi per l’Ecowas, che, nonostante ultimatum, minacce di interventi militari e sanzioni, non ha ottenuto risultati concreti nelle negoziazioni con le giunte militari. Le quali invece accusano l’organizzazione di agire sotto l’influenza di potenze straniere (occidentali, chiaramente, e il contestassimo uso delle sanzioni ne sarebbe un marker). Sfruttando quel terreno narrativo fertile, pensano però in primo luogo ai propri interessi di mantenimento del potere.

Ecowas, dall’altra parte, si impegna a trovare una “soluzione negoziata all’impasse politica”, sottolinea le complessità burocratiche dell’uscita (che sono sintomo anche della complesse connessioni che l’organizzazione ha creato sin dalla fondazione nel 1975), ma si trova davanti a una sfida senza precedenti — e che potrebbe crearne uno pericoloso.

Diversi cittadini sono scesi in strada in quei tre Paesi per festeggiare l’Ecowas, visto anche altrove come un club esclusivo che preserva gli interessi delle leadership a discapito delle collettività. L’Alleanza degli Stati del Sahel, che le giunte hanno creato a novembre, sta cercando spazi nel contesto regionale per legittimare i governi militari che la compongono e per iniziare deve essere indipendente dall’Ecowas: è una scelta populista che potrebbe portare frutti.

Tuttavia ritirarsi dal blocco in questo modo “è senza precedenti”, spiega un osservatore regionale e visto come “un importante cambiamento”, perché “tutto il lavoro che è stato messo nella costruzione di un meccanismo di sicurezza collettiva si basa sui protocolli che postulano che la democrazia, il buon governo e lo stato di diritto saranno la base per quella sicurezza e per la pace”.

È un problema in più per l’Europa — che nel Sahel ha i suoi confini virtuali — e per l’Italia, che dell’Europa è avamposto esposto a quella regione? “L’Ue è uno dei principali partner e finanziatori dell’Ecowas e l’uscita di Mali, Burkina Faso e Niger ridurrà probabilmente lo spazio di manovra dell’Europa in questi tre Paesi”, risponde Laurens Willeme, esperto di Sahel del Clingendael Institute.

“Tutti e tre i Paesi hanno già abbandonato alcuni accordi bilaterali con l’Ue e con i singoli Stati membri, ma sono rimasti legati agli accordi stipulati dall’Ecowas. Con l’uscita dei tre, questi accordi non saranno più applicabili. Questo potrebbe lasciare spazio ad altri attori internazionali, come Russia, Cina e Turchia, che hanno già aumentato la loro presenza negli ultimi anni”.

Per stare su un tema complesso caro al governo italiano, c’è la possibilità di un aumento della migrazione verso l’Europa? “Certamente, soprattutto se la situazione economica dei tre Paesi si deteriora ulteriormente, cosa non improbabile, considerando che l’Ecowas facilita la libera circolazione di merci e persone. La mancanza di accesso ai porti marittimi diventerà inoltre una sfida economica considerevole per i tre Stati senza sbocco sul mare. Ciò comprometterebbe uno dei principali pilastri del Piano Mattei, ovvero la riduzione della migrazione”.

6139.- Il Niger sceglie Mosca e Pechino e rafforza l’alleanza con Mali e Burkina Faso

Da Bruxelles soltanto delusioni

Chi lo dice al presidente Meloni, tornata molto soddisfatta del lavoro che è stato fatto dal Consiglio europeo, che il Nuovo Piano Mattei è sta andando a ramengo? Quanto potrà e quanto reggerà l’Italia nel Sahel dopo la rottura di Niger, Mali e Burkina Faso con Parigi e Bruxelles? Giorgia Meloni e l’amico Rishi Sunak sono entrambi soci della potente associazione Fabian Society, cosa ne pensano della cancellazione degli accordi di difesa e sicurezza siglati dalla giunta militare del Niger con l’Unione Europea, diretti a “combattere il terrorismo, la criminalità organizzata e l’immigrazione irregolare” e, poi, come affronteranno il rafforzamento della presenza militare della Federazione Russa in questi paesi? E la Cina? Non è più questione di una staffetta fra la Francia e l’Italia. Nemmeno di assecondare la politica di Washington per averne un appoggio per la nostra – illuminata politica – in Africa. L’Italia è la porta dell’Africa per l’Europa, ma troppo spesso viene a trovarsi in difficoltà per i giochi, inconcludenti, condotti a Bruxelles. Non ci risulta che questi temi siano stati presenti nell’agenda del Consiglio europeo.

Mario Donnini

Da Pagine esteri, di Marco Santopadre, 14 dicembre 2023

Il Niger sceglie Mosca e Pechino e rafforza l’alleanza con Mali e Burkina Faso

Pagine Esteri, 14 dicembre 2023 – Niger, Mali e Burkina Faso, i paesi del Sahel dove negli ultimi tre anni si sono imposte altrettante giunte militari grazie a colpi di stato, sembrano avviati sulla via di una collaborazione sempre più stretta.
Nei mesi scorsi, infatti, i governi militari di Niamey, Bamako e Ouagadougou hanno già firmato un accordo di cooperazione militare dopo aver espulso le truppe francesi da anni presenti sul loro territorio, indebolendo fortemente l’influenza di Parigi nell’area.

L’Alleanza degli Stati del Sahel si rafforza
Il 16 settembre i leader di Mali, Niger e Burkina Faso avevano ufficializzato la nascita dell’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes), un’iniziativa di natura diplomatica e militare diretta a «garantire l’indipendenza dei tre paesi nei confronti degli organismi regionali e internazionali».
Se all’inizio l’Aes è nata come un patto di difesa comune, diretta a unire le rispettive risorse militari per combattere i gruppi ribelli e jihadisti attivi nel Sahel – per contrastare i quali i governi precedenti avevano chiesto in passato l’intervento delle truppe francesi e dell’Onu – sembra che ora le tre giunte golpiste puntino ad allargare la cooperazione anche ad altri campi.

Recentemente i rappresentanti dei tre paesi si sono nuovamente incontrati a Bamako e al termine della riunione hanno annunciato la firma di protocolli aggiuntivi, l’istituzione di organismi istituzionali e giuridici dell’Alleanza e la «definizione delle misure politiche e del coordinamento diplomatico». I tre governi hanno affermato di voler rafforzare gli scambi commerciali, realizzare insieme progetti energetici e industriali, creare una banca di investimenti e persino una compagnia aerea comune.

Il colonnello Yevkurov firma accordi in Niger

Il Niger diventa una potenza petrolifera
Nei giorni scorsi, poi, il generale golpista Omar Abdourahamane Tchiani, salito al potere lo scorso 26 luglio, ha annunciato l’intenzione di avviare con gli altri due paesi una collaborazione di tipo anche politico e monetario. Tchiani ne ha parlato nel corso di un’intervista rilasciata all’emittente nigerina “Rts”, affermando che «oltre al campo della sicurezza, la nostra alleanza deve evolversi nel campo politico e in quello monetario».

Nell’intervista Tchiani ha informato che Niamey intende esportare già a gennaio i primi barili di greggio sfruttando il nuovo oleodotto che collegherà il giacimento nigerino di Agadem al porto di Seme, in Benin. La realizzazione dell’oleodotto, lungo 2000 km e con una capacità di 90 mila barili al giorno, è ormai in fase conclusiva ed è stata avviata a novembre grazie ai finanziamenti di PetroChina. L’infrastruttura permetterà al Niger di diventare una piccola potenza petrolifera aggirando almeno in parte le sanzioni imposte al paese dopo la deposizione del governo filoccidentale. Secondo il capo del settore della raffinazione del petrolio, la produzione petrolifera potrebbe generare un «quarto del Prodotto interno lordo del Paese». La Cnpc, un’impresa di proprietà del governo cinese, è inoltre impegnata nello sfruttamento del bacino del Rift di Agadem e nella costruzione del gasdotto Niger-Benin sostenuto con un investimento da 6 miliardi di dollari.

Che l’avvio della cooperazione monetaria vada in porto o meno, i tre paesi sembrano intenzionati a rompere del tutto i legami con la Cedeao – la Comunità Economica dei Paesi dell’Africa occidentale – che dopo i colpi di stato ha sospeso Bamako, Ouagadougou e Niamey dall’alleanza alla quale fino ad un certo punto Parigi chiedeva di intervenire militarmente per ripristinare i governi estromessi prima di decidere il ritiro delle proprie missioni militari dal Niger chiesta a gran voce dai golpisti.

L’annuncio del generale Tchiani è giunto dopo che domenica scorsa i leader dell’organismo regionale hanno deciso di confermare le sanzioni alla giunta golpista del Niger, che si è rifiutata di rilasciare il presidente deposto Mohamed Bazoum in cambio della loro revoca.

La rottura con Parigi e Bruxelles
Sempre la scorsa settimana i governi di Mali e Niger avevano denunciato, tramite un comunicato stampa congiunto, le convenzioni firmate con la Francia dai governi precedenti miranti al superamento della doppia imposizione fiscale e che disciplinano le norme per la tassazione dei redditi e per le successioni. La decisione di abolire le convenzioni in questione entro tre mesi – afferma la nota – risponde al «persistente atteggiamento ostile della Francia» e al «carattere squilibrato» degli accordi in questione che causano «un notevole deficit per il Mali e il Niger». Se effettivamente attuata, la misura avrà serie ripercussioni sia per i privati che per le imprese domiciliate in Francia e che svolgono attività in Mali e in Niger e viceversa.
Nelle settimane scorse, inoltre, la giunta militare del Niger ha già annunciato la cancellazione degli accordi di difesa e sicurezza siglati con l’Unione Europea, diretti a «combattere il terrorismo, la criminalità organizzata e l’immigrazione irregolare».

Già a fine novembre i golpisti avevano abrogato una legge, precedentemente concordata con la Francia e l’Unione Europea, che puniva il «traffico illecito di migranti» e bloccava il loro transito verso la Libia, spiegando che la decisione risponde alla necessità di una «decolonizzazione dall’occidente».

In un comunicato, lo scorso 4 dicembre il ministro degli Esteri di Niamey ha annunciato di voler revocare anche l’accordo stipulato con l’Ue relativo alla missione civile europea denominata Eucap Sahel Niger, attiva dal 2012 e che attualmente conta su 130 gendarmi e agenti di polizia europei, impegnati finora nell’addestramento dei militari nigerini.

Inoltre la giunta nigerina ha comunicato di aver ritirato il consenso al dispiegamento della “Missione di partenariato militare dell’Ue in Niger” (Eumpm), attualmente a guida italiana. Entro la fine di dicembre, inoltre, si concluderà il ritiro dei circa 1500 militari francesi schierati finora nel paese; secondo quanto riferito da fonti militari francesi citate dall’emittente “Rfi”, rimane da evacuare soltanto la base aérea di Niamey, dove restano circa 400 uomini. In Niger per ora rimangono 1100 militari statunitensi e 250 soldati italiani.

Manifestanti filorussi in Niger

Sempre più vicini a Mosca
Nello stesso giorno dell’annuncio sulla fine della cooperazione con l’UE, a Niamey era giunto in visita il viceministro della Difesa della Federazione Russa, il colonnello Junus-bek Yevkurov, che dopo aver fatto tappa prima in Mali, in Burkina Faso e poi in Libia è stato ricevuto dal generale Tchiani e dal Ministro della Difesa del Niger Salifou Modi con i quali ha siglato un accordo che prevede il rafforzamento della cooperazione militare fra i due paesi.

A Bamako la delegazione russa è stata ricevuta dal capo del “governo di transizione maliano”, il colonnello Assimi Goita. Al termine dei colloqui il ministro dell’Economia e delle Finanze del paese africano, Alousseni Sanou, ha riferito che con i russi si è parlato della costruzione di una rete ferroviaria, di uno stabilimento per la lavorazione dell’oro estratto nelle miniere maliane e di un accordo per la realizzazione di una centrale nucleare. La realizzazione di una centrale nucleare in Burkina Faso è stata invece al centro dei colloqui tra i rappresentanti di Mosca e la giunta di Ouagadougou.

Basta alle missioni Onu
Come se non bastasse, il 2 dicembre il Niger e il Burkina Faso hanno annunciato il proprio ritiro dal gruppo “G5 Sahel”, creato nel 2014 grazie ai finanziamenti dell’Unione Europea per coordinare la lotta contro il terrorismo jihadista. L’anno scorso era stato il Mali ad abbandonare il progetto che coinvolge ora soltanto la Mauritania e il Ciad che però hanno già informato di voler sciogliere il coordinamento ormai privo di senso.

La giunta militare di Bamako, al potere dal 2021, ha invece deciso recentemente di mettere fine a dieci anni di presenza in Mali della Missione militare dell’Onudenominata Minusma, avviata nel 2012 per contrastare l’insurrezione jihadista. L’11 dicembre i vertici della missione internazionale, nel corso di una mesta cerimonia, hanno ammainato la bandiera delle Nazioni Unite dal quartier generale delle truppe dell’Onu. Il ritiro del contingente internazionale dalle 12 basi sparse per il Mali, che ospitavano 12 mila caschi blu e 4300 dipendenti civili, dovrebbe concludersi entro il 31 dicembre proprio mentre le milizie jihadiste intensificano gli attacchi contro l’esercito e conquistano nuovi territori.

I jihadisti avanzano nonostante la Wagner
A fine agosto i miliziano dei “Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani” (Jnim) hanno occupato Timbuctù, infliggendo un duro colpo alle forze fedeli alla giunta militare maliana che, nel tentativo di contrastare l’offensiva jihadista, ha stretto un accordo con le milizie mercenarie russe della Wagner. La decisione ha però scatenato le proteste dei movimenti tuareg che in molte aree costituiscono l’unico baluardo efficace contro i combattenti fondamentalisti. In alcuni territori le milizie tuareg indipendentiste, riunite nel “Coordinamento dei movimenti dell’Azawad”, hanno ingaggiato violenti scontri con l’esercito regolare e i paramilitari della Wagner, che recentemente avrebbe iniziato ad operare utilizzando la denominazione di “Africa Corps”. Secondo molti analisti la compagnia mercenaria, dopo la morte dei suoi vertici in un “incidente aereo” nell’agosto scorso, sarebbe meno autonoma dal governo di Mosca rispetto alla Wagner e dovrebbe limitare le proprie attività proprio al continente africano in stretta sintonia con le esigenze politiche ed economiche del Cremlino. Pagine Esteri

6074.- I dilemmi europei nel Sahel

Dilemmi anche italiani perché la solidarietà attiva che ispira il Nuovo Piano Mattei deve caratterizzare iniziative di entrambi gli imprenditori europei e africani e trovare nell’Unione europea un garante; come dire che l’Italia, da sola, può ben poco. Era scontato che gli interessi che gravitano nel Sahel avrebbero reso il cammino irto di ostacoli. Africa ed Europa sono legate a un destino comune e le missioni francesi e quelle ONU non sembrano gradite alle giunte militari che hanno preso il potere. Ci auguriamo che la diplomazia e la politica italiane sappiano trarre profitto da queste difficoltà e che intensifichino i loro sforzi con progetti concreti.

Degage France terroriste vampire

Degage l’Armèe francaise du sol malien

Da Affari Internazionali, di Bernardo Venturi, 13 Novembre 2023

Modibo Keita International è l’aeroporto di Bamako, capitale del Mali. É adiacente all’Air Base 101, usata dalla Mali Air Force, con alcuni Mig-21F.

Gli aeroporti di Bamako e di Niamey sono affollati di soldati nelle ultime settimane. La Missione di Stabilizzazione Integrata Multidimensionale delle Nazioni Unite in Mali (Minusma) sta lasciando il paese, con migliaia di effettivi e centinaia di mezzi in movimento, non senza rischi e una logistica complessa. Si sono infatti verificati già sei incidenti da quando le forze di pace hanno lasciato la loro base nel nord di Kidali il 31 ottobre per compiere il viaggio stimato di 350 km verso Gao, per un totale di 39 feriti.

Un ultimo tributo di sangue della missione: con 310 morti in 10 anni è la seconda più letale della storia, seconda sola a Unifil in Libano (332 caduti). Il ritiro della missione era stato chiesto dalla giunta militare guidata dal colonnello Assimi Goïta, al potere dall’agosto 2020 dopo aver deposto con un golpe il presidente Ibrahim Boubacar Keïta.

La giunta miliare in Mali, dopo aver messo alla porta diversi diplomatici e contingenti militari europei, in primis francesi, ha quindi rinunciato anche a Minusma, benché non sembra in grado di sostituirle adeguatamente. La missione dell’Onu sta lasciando 12 basi nel centro e nel nord del paese, oltre a quella principale di Bamako. La poca collaborazione della giunta militare e il peggioramento delle condizioni di sicurezza hanno accelerato il ritiro e non stanno però permettendo un regolare passaggio di consegne alla autorità maliane.

In questo spazio vacante, i gruppi dell’Accordo Permanente Strategico nel nord del Mali – in predominanza Tuareg– ha dichiarato di avere occupato una base nella regione di Kidali subito dopo l’evacuazione del 31 ottobre scorso. Nel rapporto con i gruppi dell’Azawad rimane infatti un altro nodo critico. Il rapporto con la giunta militare si è progressivamente incrinatoarrivando a scontri armati diretti e mettendo ulteriormente in crisi l’accordo di pace di Algeri del 2015 che aveva messo fine alla guerra con il nord separatista.

La gestione dello spazio e delle basi nel nord del Mali ha però radici più profonde. Dopo l’intervento a fianco del governo di Bamako dalla fine del 2012 con l’Operazione Serval, la Francia non ha mai di fatto passato il testimone alle Fama, l’esercito maliano, tenendo per sé spazi cruciali. Questo approccio, così come altri post-coloniali in ambito politico, sociale e culturale, hanno favorito un sentimento antifrancese e antioccidentale sui quali negli ultimi anni la propaganda russa ha avuto gioco facile a giocare un ruolo incendiario.

Cercasi partner affidabile

Dopo anni passati a rimarcare la priorità del Sahel e a cercare partner credibili, l’Ue e gli stati europei non sanno letteralmente cosa fare. Fino al colpo di stato in Mali del 2020, Bruxelles aveva individuato nel Bamako il partner centrale per la regione. Ma i due colpi di stato nel paese, e soprattutto l’arrivo dei mercenari del Gruppo Wagner, hanno creato un notevole imbarazzo diplomatico, in particolare per la missione di training militare EUTM: restare con il rischio di incrociare i russi o lasciare il paese? Dopo vari tentennamenti e con il Burkina Faso segnato dai due coup d’état nel 2022 e da una crisi istituzionale e di sicurezza fuori controllo, l’Ue ha volto lo sguardo verso il Niger, indicando il presidente nigerino Mohammed Bazoum come il nuovo partner affidabile. Ancora una volta, un colpo di stato sta stravolgendo i piani e Bazoum si trova in stato di fermo dal 26 luglio scorso. Mentre i canali umanitari e di cooperazione allo sviluppo rimangono attivi con il Sahel, la postura politica e diplomatica sembra inseguire più vie d’uscita che strategie.

Riflessione strategica

Intanto Joseph Borrell nelle settimane scorse ha ammesso che i 600 milioni di euro investiti nell’ultimo decennio nelle missioni civili e militari nel Sahel non hanno portato i risultati sperati. Mentre l’Alto Rappresentante non nasconde che anche la missione militare in Niger ha le ore contate, prima di volgere lo sguardo al prossimo “partner fidato” (Mauritania?), servirà una riflessione più approfondita sul rapporto tra Europa e Sahel, a partire anche dagli errori commenti, come quello di dare priorità a un approccio securitario che ha messo in secondo piano quello integrato. Intanto, però, nonostante non venga detto ufficialmente, difficile togliersi l’idea che il Sahel stia diventando una regione sempre meno prioritaria.

Foto di copertina EPA/STR

Cosa intendiamo? In Mali, un valido esempio di quella che chiamiamo soplidarietà attiva sono le operazioni di magazzinaggio su larga scala della logistica Bolloré che possono fornire un servizio di movimentazione e magazzinaggio per conto di fornitori leader a livello mondiale di informazioni. Ma la Francia non è stata soltanto un vampiro. Bolloré è un impresa francese, una holding fondata nel 1822 con sede a Puteaux nella periferia ovest di Parigi, in Francia. Nata come industria cartaria, ha espanso le sue operazioni a molti altri settori, come il trasporto e la logistica, le distribuzione energetica, i film plastici, la costruzione di automobili e i mass media. Gli imprenditori sono la nostra Wagner.

Rémi Ayikoué Amavi è l’amministratore delegato di Bolloré Transport & Logistics Mali dall’agosto 2021.

Di nazionalità beninese, Rémi Ayikoué Amavi è entrato in Bolloré Transport & Logistics nel 2006 presso la filiale della società nella Guinea Equatoriale, dove era responsabile dello sviluppo commerciale delle attività logistiche. Diventa poi Amministratore Delegato nel 2017.

Rémi Ayikoué Amavi è laureato in Management e Strategia aziendale presso l’ENACO-Lille. Utilizzerà la sua esperienza per sviluppare attività logistiche in Mali. In particolare, si avvarrà della rete di Bolloré Transport & Logistics in 109 paesi e dell’esperienza dei suoi dipendenti per migliorare i servizi al Paese.

Circa la Bolloré Transport & Logistics Mali

Bolloré Transport & Logistics Mali è l’operatore leader nei trasporti, logistica e movimentazione. L’azienda, presente anche in Italia, impiega ora più di 200 persone in Mali, in particolare attraverso le sue agenzie a Bamako, Kayes, Sikasso e Kati, e gestisce anche i porti asciutti di Soterko, Faladié e Kali. Bolloré Transport & Logistics Mali attua una politica sociale a beneficio della popolazione maliana, che si riflette ogni anno nel sostegno di numerose azioni di solidarietà nei settori dell’istruzione e della sanità.

www.bollore-transport-logistics.com

6041 .- Ecco il Piano Mattei che intende rivoluzionare la politica estera italiana

Da La Voce del Patriota, di Cecilia Carapellese, 3 Novembre 2023

Sin dal suo insediamento Giorgia Meloni ha posto come priorità la realizzazione del cosiddetto Piano Mattei, presente tra l’altro anche all’interno del programma di Fratelli d’Italia presentato in occasione delle elezioni del 25 settembre 2022.
La ratio alla base di questo progetto è non solo quella di porre un freno all’annosa questione della migrazione illegale, ma anche e soprattutto quella di creare una partnership strategica che possa produrre effetti benefici sia per l’Italia che per l’Africa, rivalorizzando in particolare questo continente troppo spesso poco o mal sfruttato.

Stando a quanto si legge, i dettagli del Piano arriveranno oggi- 3 novembre- in Consiglio dei Ministri.

Una cabina di regia, presieduta dal presidente del Consiglio e che coinvolgerà anche il Ministro degli esteri, e una struttura di missione, guidata da dirigenti ed esperti, dovrebbero essere il fulcro del progetto ideato e voluto dal premier e dalla maggioranza.
Avrà una durata di quattro anni e potrà essere aggiornato ogni anno, e sarà rendicontato con una relazione al Parlamento.
La premessa sarebbe quella della “necessità e urgenza di potenziare le iniziative di collaborazione tra Italia e Stati del continente africano al fine di promuovere lo sviluppo economico e sociale e di prevenire le cause profonde delle migrazioni irregolari.”

Il Piano Mattei, come accennato anche in diverse altre occasioni dal Capo di Governo, intende focalizzarsi su diversi settori, dalla cooperazione allo sviluppo alla promozione delle esportazioni e degli investimenti, dal sostegno all’imprenditoria (in particolare quella giovanile e femminile), alla ricerca e innovazione, dall’agricoltura e sicurezza alimentare alla promozione dell’occupazione, dell’ istruzione e della formazione professionale, dalla valorizzazione delle risorse naturali alla tutela dell’ambiente e adattamento ai cambiamenti climatici, dall’ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture alla valorizzazione e sviluppo del partenariato energetico (anche nelle fonti rinnovabili). E, ovviamente, un occhio di riguardo in tema di prevenzione e contrasto dell’immigrazione irregolare.

L’operazione non è facile e i rischi sono molto alti, tenendo anche conto delle numerose crisi politiche e sociali che sono radicate in tutto il territorio africano, e che, drammaticamente, si aggiungono ai due conflitti su larga scala nel blocco russo-ucraino e in quello mediorientale. Per non parlare poi delle influenze sempre più marcate di Cina e Russia, che, a causa anche del disinteresse dell’Europa, hanno preso il potere in Africa.

La sfida in questa fase è dunque molto intensa, perché non solo l’Italia- e più in là si spera anche l’Ue- dovrà riconquistare i partner africani offrendo loro una soluzione a lungo termine, convincendoli di voler costruire un solido rapporto basato sui principi dell’uguaglianza e del rispetto, ma lo dovrà fare con una serie di variabili internazionali che appaiono sempre più difficili da gestire e da disinnescare.
Con il progetto che approda in Cdm il Governo mette in campo tutti gli strumenti che ritiene opportuni e che potrebbero portare al successo dell’iniziativa.
Ed è questo il segnale più potente e tangibile che l’esecutivo di centrodestra può lanciare, a riprova della priorità che viene data al Piano.
È esattamente in questo modo che si intende realizzare, per davvero, una rivoluzione. Una rivoluzione in termini del nostro peso in politica estera e di credibilità internazionale, tenendo sempre in considerazione la necessità di tutela e promozione della sicurezza e della grandezza italiana nel mondo.

5908.- Sahel: firmato un accordo di mutua difesa tra Mali, Burkina Faso e Niger.

Il Sahel, come l’Africa Centrale hanno bisogno di solidarietà attiva, non del paternalismo neocon, altrimenti, andranno da soli incontro al futuro. Questo loro primo passo è un monito alle intenzioni bellicose della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) e ai suoi sostenitori. É anche la fine della Cooperazione regionale G5 Sahel, sostenuta dalla Francia, per contrastare i gruppi armati legati ad al Qaeda e allo Stato islamico (Isis).

© Agenzia Nova, 17 Settembre 2023 – Riproduzione riservata

La neocostituita Alleanza degli Stati del Sahel (Aes) reagirà compatta a qualsiasi attacco alla sovranità e all’integrità territoriale di una o più parti contraenti, da chiunque provenga.

Mali, Burkina Faso e Niger hanno firmato un patto di mutua difesa contro minacce di rivolte armate interne o aggressioni esterne. L’accordo, denominato Carta del Liptako-Gourma (la regione in cui si incontrano i confini dei tre Paesi, devastata dal jihadismo negli ultimi anni), è stato firmato ieri a Bamako e istituisce l’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes).

I firmatari si sono impegnati ad assistersi a vicenda, anche militarmente, in caso di attacchi: “Qualsiasi attacco alla sovranità e all’integrità territoriale di una o più parti contraenti sarà considerato un’aggressione contro le altre parti”, si legge nel documento, articolato in 17 punti. Le parti si sono impegnate anche a collaborare per prevenire o sedare le ribellioni armate, a combattere il terrorismo in tutte le sue forme e a contrastare la criminalità organizzata nello spazio comune dell’Alleanza.

L’obiettivo è “istituire un’architettura di difesa collettiva e di assistenza reciproca a beneficio delle nostre popolazioni”, ha dichiarato sul social network X il colonnello Assimi Goita, presidente di transizione del Mali. “La creazione dell’Alleanza degli Stati del Sahel segna una tappa decisiva nella cooperazione tra Burkina Faso, Mali e Niger. Per la sovranità e lo sviluppo dei nostri popoli, guideremo la lotta contro il terrorismo nel nostro spazio comune, fino alla vittoria”, ha affermato sullo stesso social network l’omologo burkinabé, capitano Ibrahim Traoré.

Tutti e tre gli Stati erano membri, insieme al Ciad e alla Mauritania, del quadro di cooperazione regionale G5 Sahel, sostenuto dalla Francia, per contrastare i gruppi armati legati ad al Qaeda e allo Stato islamico (Isis). Tutti e tre i Paesi hanno subito colpi di stato dal 2020; l’ultimo golpe è stato compiuto a luglio in Niger, dove è stato deposto il presidente Mohamed Bazoum. La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) ha condannato l’accaduto e minacciato un intervento militare. La Francia ha ritirato le sue truppe dal Mali e dal Burkina Faso, mentre c’è ancora una situazione di stallo in Niger. Dal Mali si sta ritirando anche la missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite Minusma.

5900.- Niger: l’esercito Usa riprende le operazioni di sorveglianza dopo i colloqui con la giunta militare.

Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno reso il territorio un avamposto regionale primario per le loro pattuglie, posizionando nel Paese droni armati e coordinando da qui operazioni contro i gruppi jihadisti che hanno conquistato territorio nella regione

Da Washington, Agenzia Nova, 14 Settembre 2023 – Riproduzione riservata

L’esercito degli Stati Uniti ha ripreso le operazioni in Niger, più di un mese dopo che il colpo di Stato del 26 luglio aveva costretto a terra droni ed altri aerei in sua dotazione. La ripresa delle operazioni, ha detto ai giornalisti il comandante delle forze aeree degli Stati Uniti in Europa, generale James Hecker, è stata autorizzata dalla giunta militare salita al potere ed è stata possibile dopo negoziati con i militari. Sono riprese in particolare alcune missioni di intelligence e sorveglianza operate con droni.

Dal colpo di stato di luglio che ha deposto il presidente Mohamed Bazoum, i circa 1.100 soldati statunitensi dispiegati in Niger sono stati confinati nelle loro basi militari. “Per un po’ non abbiamo svolto alcuna missione nelle basi, hanno praticamente chiuso gli aeroporti”, ha detto Hecker parlando a margien della convention annuale dell’Air and Space Forces Association. Il generale ha spiegato che i colloqui hanno permesso di far portare avanti “se non il 100 per cento” delle missioni precedentemente svolte dagli Usa in Niger, almeno “una grande quantità”. La scorsa settimana il Pentagono ha dichiarato che alcune forze statunitensi sono state spostate dalla base aerea 101 vicino alla capitale Niamey, ad un’altra base, l’aeroporto 201, ad Agadez.

Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno reso il Niger un avamposto regionale primario per le loro pattuglie, posizionando nel Paese droni armati e coordinando da qui operazioni contro i gruppi jihadisti che hanno conquistato territorio nella regione. Secondo dati della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao), nei primi sei mesi di quest’anno l’Africa occidentale ha registrato più di 1.800 attacchi armati, nei quali sono state uccise quasi 4.600 persone. La Francia, solida alleata del presidente deposto Bazoum, dispone di circa 1.500 soldati in Niger, la maggior parte dei quali sono stati qui trasferiti dal Mali ed in parte dal Burkina Faso dopo il ritiro richiesto dalle giunte militari salite al potere anche nei due Paesi vicini. Dal golpe, Parigi ha ribadito il suo sostegno a Bazoum e disconosciuto l’autorità dei militari guidati dal generale Omar Tchiani. Voci confermate dal ministero degli Esteri francese parlano di una prossima riduzione degli effettivi francesi in Niger, in particolare per quanto riguarda le risorse in droni e di intelligence aerea, con il probabile ritiro di parte degli effettivi militari.