“Visto che conta solo il referendum e non se le fila nessuno, ecco com’erano le due bellissime ragazze francesi trucidate a Marsiglia da un immigrato musulmano dai trascorsi italiani. Si chiamavano Laura Paumier (a destra) e Mauranne Harel (a sinistra). Giovanna Bertamino
L’argomento dell’informazione sensazionalistica non sono le due giovinette, sgozzata una e accoltellata l’altra, a Marsiglia, né sono le vittime dell’altra bestia islamica, in Canada. Ci stanno abituando a vivere nel terrore e noi lo sfuggiamo senza combatterlo. Lo nascondiamo come fanno loro, calando il silenzio. So bene quale popolo, fin dall’antichità, ha fatto del terrore, seminato nei popoli da conquistare, la sua arma migliore. Aggiungo che la sua arma nuova è, non solo, additare il proprio nemico come il responsabile delle sue efferatezze, ma fare sì che sia quello stesso, soprattutto l’Islam, a compierle, convinto di combatterlo. Per dirla come l’amico Magdi Allam, “Siamo in guerra”. Contro di loro siamo armati soltanto della nostra civiltà, tal quali i cristiani davanti alle belve nel Teatro Marcello di Roma imperiale e mai similitudine fu più vera. Oggi voglio rispettare quel silenzio e parlo di referendum. Leggetemi e commentate.
Il presidente catalano Carles Puigdemont
Tutti gli occhi sono puntati sulla Catalogna, sul referendum voluto da una parte politica corrotta al potere, e parlo di Convergència Democrática de Cataluña, che ha cavalcato la causa degli indipendentisti radicali, alimentando una frattura antica, ormai insanabile, al solo scopo di recuperare il consenso perduto. Il suo presidente Carles Puigdemont, profittando dell’onda centralista, ostile ai catalani e non volendo rinunciare per i suoi scopi al referendum, ha rifiutato l’offerta di “dialogo nella legge” dei partiti maggiori: il Partito popolare (Pp) e il il Partito socialista operaio spagnolo (Psoe)
Da Madrid, il primo ministro conservatore Mariano Rajoy si è mostrato incapace di mediare una soluzione politica, di riavvicinare, cioè, i catalani allo Stato e ai grandi partiti spagnoli. Sottovalutando, invece, l’opinione dei catalani, si è trincerato sulla illegalità del referendum dichiarata nel 2010 dal il Tribunale Costituzionale (Tc ), perché contrario alla Costituzione, e ha alimentato la corrente indipendentista, prima, minoritaria. Sì, perché la Catalogna già gode di molta autonomia. Ad aggravare la situazione, fino a porre in secondo piano i risultati del voto, ci si è messa la violenza brutale della Guardia Civil, esagerata e in tenuta antisommossa contro gente disobbediente, ma pacifica. Qualcuno ha pensato anche alla polizia europea antisommossa Eurogendfor, di cui abbiamo visto lo scorso anno pattuglie di spagnoli in Italia, ma non ne abbiamo visto i distintivi. Ecco, comunque, altri motivi di preoccupazione perché il nostro Libro Bianco della Difesa prevede, addirittura, l’impiego delle Forze Armate nell’ordine pubblico. Dispiace che due o tre avventurieri della politica abbiano fomentato questo conflitto fra il primo ministro, inadeguato e il popolo catalano esacerbato. Non resta, a mio sommesso avviso, che augurarsi nuove elezioni, per la Spagna e per l’Europa.
Ma, premesso che un referendum per l’autonomia è una cosa e per l’indipendenza, invece, è tutt’altra cosa, andiamo a parlare dell’Italia e del referendum sull’autonomia di Lombardia e Veneto. Qui la situazione è completamente diversa ed il referendum è coerente con la riforma costituzionale del 2001. Si tratta, per essere precisi, di chiedere di poter realizzare un regionalismo differenziato.
Dice il terzo comma dell’articolo 116 che alle Regioni a statuto ordinario è riconosciuta la possibilità di accedere a condizioni differenziate di autonomia. Quindi il quesito referendario è stato dichiarato legittimo dalla Corte Costituzionale. Altri quesiti di natura fiscale, erano e sono stati, invece, dichiarati illegittimi, ma è evidente che ad un aumento delle competenze dovrà corrispondere un adeguato aumento dei fondi. Si spera, così, di ridurre la differenza tra quanto le Regioni versano in tasse a Roma e quanto ricevono in servizi: il cosiddetto residuo fiscale. Restano escluse, oltre alla materia tributaria, le materie dell’immigrazione e della sicurezza, che, invece, sono vivamente sentite dalla popolazione lombardo-veneta, non solo leghista. Aggiungiamo che, solo in Veneto, per effetto del suo stesso statuto, è previsto il quorum (50 per cento più uno degli aventi diritto) e che, solo in Lombardia, si sperimenterà il voto elettronico.
Si prevede una forte affermazione dei Sì, ma la parola deve passare, poi, al Governo, intraprendendo le iniziative istituzionali necessarie per ottenere la gestione di quante più materie possibili fra le ventisei competenze che la Costituzione indica come trasferibili o “concorrenti”. Esemplificando: giudici di pace, sicurezza sul lavoro, tutela dell’ambiente e beni culturali.
Diciamo che Lombardia e Veneto non potranno diventare Regioni a Statuto Speciale e, tuttavia, l’autonomia consentirebbe al Veneto di proporre alle Regioni confinanti Friuli-Venezia Giulia e Trentino- Alto Adige e da un piano di parità, quella macroregione Veneta che darebbe, indubbiamente, un forte impulso all’economia di tutta l’Europa.
Cosa dire sul referendum in generale?
Di regola, nei referendum, prevale il voto emozionale e la ragione ha sempre la peggio. Nella maggior parte dei referendum, i cittadini consapevoli vedono prevalere la gente poco informata che, spesso, si lascia abbindolare facilmente da progetti grossolani. E’ la rinuncia alla ragione, ad ascoltare gli esperti, i dotti padroni della materia, che porta per risultato alla svalorizzazione della democrazia diretta o plebiscitaria; democrazia diretta diversa da quella del Movimento 5 Stelle, che oppone il voto on-line, senza quorum e senza garanzie al voto regolare che, invece, legittima il fare, come il disfare. Da sempre, il referendum è uno strumento di democrazia diretta che cavalca la pubblica opinione su una specifica questione per ottenere o per recuperare consensi ad una parte politica e, qui, diventa fondamentale il ruolo dell’informazione in cui prevalgono una stampa sensazionalistica e il servizio pubblico radiotelevisivo controllato dal governo. Qui, si combatte la battaglia della nuova democrazia fra media, totalmente o quasi asserviti al regime – volevo dire “al governo, ma…” – e la rete, che da noi non è stata ancora sottomessa, perché realizza, anche, uno strumento di controllo formidabile per il potere. Ho detto “della nuova democrazia”, ma, meglio, direi “l’ultima battaglia della democrazia” o, ancora, “l’ultima Resistenza”, perché e da quando? Accadde quando la prima multinazionale superò in liquidità uno Stato sovrano dell’Occidente. Da allora, la Finanza mondiale ha sovvertito gli ordinamenti; ha superato gli Stati sociali, non più sovrani e detta “lei” le leggi alla politica, dominando il diritto. In democrazia “era” il diritto a indirizzare con le leggi l’economia; infatti, gli italiani hanno visto venir meno il modello economico della loro Costituzione, troppo violabile e violata, da quando i sacrosanti Principi in essa intessuti come una trama, sono stati resi inattuabili dai trattati europei, attraverso leggi ordinarie approvate da un Parlamento ignorante e con voto bulgaro; o come, nel caso di Andreatta e Ciampi, quando il matrimonio fra il Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia, necessario ed essenziale per le politiche degli investimenti, fu cancellato con una semplice lettera. Si parlò di divorzio e fu, invece, un suicidio.
Viene da chiedersi dov’è il colpevole di tutto questo? È, sopratutto, l’Unione europea, che unione non è e non sarà mai, ‘ché rappresenta una istituzione anomala creata e diretta dalle banche e che, perciò, pone al suo centro e al centro dei trattati la competitività degli europei nei mercati mondiali: quindi, in due parole, meno diritti ai lavoratori, salari più bassi, meno welfare, meno aspettativa di vita (cresceva troppo) e recessione demolitiva di diritti e di ricchezze. In pratica, “lavoro a carità, dove, come quando non so”, più disoccupati e per loro, per gli anziani e per i disabili, elemosine di Stato o – chiamatele come vi pare – di cittadinanza. Esattamente il contrario di quanto contenuto nell’art. 38 della Costituzione, che, della Solidarietà e del Lavoro, “faceva” e farebbe un ascensore, uno strumento di crescita sociale e, anche, politica del cittadino, perché la Democrazia è un lusso che gli ignoranti non possono permettersi. Altro che l’ “Uno vale Uno” dei grillini! Le Costituzioni post-moderne, invece, ponevano al centro la dignità della persona umana; come la nostra, che doveva essere fondata sul Lavoro, cioè, sulla ricerca della piena occupazione, perché il lavoro ci porta la dignità e, perciò è condizione di libertà; ma che ha fissato la sua trama di Principi, modernissima e rivoluzionaria, senza però garantirne l’attuabilità e senza sanzionarne in modo efficace, effettivamente percorribile la violazione. Ecco uno dei tre motivi per i quali abbiamo sempre contestato quanti parlano di Attuare la Costituzione, per riformare il sistema ed, invece, non riformeranno nulla, ma la utilizzano per traghettare, proprio essi, nel sistema. Infatti, un conto è richiamare la trama dei principi della Costituzione, un altro è attuarli, sic et simpliciter, senza aver preso atto di vulnus che in essa stessa si contengono e che hanno portato e porteranno sempre alla sua disapplicazione. Per chi non ci ha seguito, sono e sarò contrario alla nascita di un nuovo partito e all’attuazione della Costituzione fino a quando in essa non si conterranno i principi cui tutte le formazioni intermedie, partiti e sindacati in primis, devono attenersi per consentire quella partecipazione alla politica secondo trasparenza, onestà, alternanza, che non si è realizzata scrivendo semplicemente all’art. 49 “con metodo democratico”. Rebus sic stantibus, la Costituzione, scritta dai partiti e per i partiti, è la responsabile del difetto di partecipazione degli italiani alla politica, come dimostra l’assenteismo e il referendum, in generale, vi assume particolare importanza quale strumento, appunto, di democrazia diretta.