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3345.- Questa democrazia muore per abuso di sé stessa e per assenza di fede in sé stessa.

la democrazia muore perché dà la facoltà di esprimere le proprie idee a qualunque ignorante giunto in parlamento, vuoi per obbedienza al partito, vuoi per intrallazzi o per fortuna, perché agli ignoranti è più facile obbedire, vendersi al potere della finanza, meglio se mondiale, piuttosto che attrezzarsi a competere con cognizione di causa, per conto degli stolti che, magari, li hanno innalzati a membri del potere legislativo. Valori, principi, diritti, tutto è in vendita. Sono coevo della Costituzione del Lavoro: il risultato di un’epoca e non mi si parli di fascismo e di antifascismo, bagole del potere, perché la Costituzione della Repubblica Sociale Italiana, che fu approvata da Mussolini, all’art. 9, diceva di quella Repubblica che era fondata sul Lavoro. È un fatto e significa: Siamo e saremo sempre un popolo di lavoratori! Fateci lavorare! Ma tutto è in vendita, anche la storia e il turpe mercato tutto travolge e nulla si salva. Non si salvano i frutti del sudore, non si salva la famiglia, la casa e nemmeno la persona: il cittadino svanisce. Non si salva la politica e, con lei, nessun partito. Dubito di tutto e, ormai, di tutti; della maggioranza, oserei dire: perciò fatta tale e non metterei la mano sul fuoco per le opposizioni, messe a sistema. Non si salvano le istituzioni, cenacoli occulti del potere, talmente grottesco che violano apertamente la Costituzione e divorano lo Stato, protette da chi? dallo Stato! e qui sta il grottesco. Non si salvano i media prede e posseduti dal mercato finanziario e nemmeno si salvano i giudici, primi nella lista dei venduti al potere per il potere.  Sapevamo, dalle esperienze personali o, comunque, note, di dover diffidare della magistratura. La sua corruzione ha per presidente il suo presidente; ma è anche il nostro, perché così si volle incoronarne e al massimo grado, il quasi potere che le deriva dall’autonomia e dalla indipendenza dalla politica e dai poteri Legislativo e Esecutivo. Quei poteri sulla cui divisione si incardinava lo Stato e che abbiamo per certo, ormai, che la divisione non esiste e da tempo. Ha per presidente il presidente perché l’eversione venuta alla luce nel Consiglio Superiore della Magistratura, se anche non gli fosse stata nota, comporta, comunque, la sua responsabilità. Non basta. Doveva scioglierlo e non lo ha sciolto. Sono lontani i giorni del Presidente Giovanni Leone, dimissionario e, poi, innocente. Questa eversione, altrimenti non si sarebbe caratterizzata se non avendo messo in luce un piano eversivo, portato avanti illecitamente e con determinazione negli anni con la partecipazione attiva delle istituzioni; facendo naufragare la divisione fra i poteri in un trogolo: un intreccio diabolico tra politica, magistratura, media e malaffare; scardinando con ciò lo Stato, apparentemente in vita; ma che il distacco profondo della sua gente dalla politica ci mostra per morto, come emerge dal disinteresse crescente per una campagna elettorale, confusa, nemmeno onesta da entrambi le parti del contendere. Ed è qui il contendere e si chiama potere. Un potere che è appartenuto ai partiti, veri successori del partito unico e della monarchia e che oggi trova la sua ragione fuori dei confini d’Italia e della Costituzione. Fu scritto nella Costituzione dei partiti, perché scritta dai e per i partiti, che ci ha dato per difensore dei suoi valori il presidente della Repubblica e che non ci ha voluto dare i mezzi per difenderci da lui perché è sciocco pensare di poter mettere un presidente in stato d’accusa, raggiungendo in seduta congiunta la maggioranza assoluta dei componenti del Parlamento e ottenendo, poi, la sentenza inappellabile della Corte Costituzionale. Il risultato si vede in una Costituzione costruita intorno alla dignità della persona umana, violata da uno Stato mostro, privo di onestà, di morale, di trasparenza, in una parola, di democrazia, che rinnega la propria sovranità in favore di una anomalia istituzionale che chiamano Europa.

Assistiamo, dunque oggi, in nome della “par condicio” e dell’obbligo del contraddittorio ad una propaganda elettorale, alle trasmissioni dei media, che mirano a fare audience, confondendo la gente, creando dubbi al posto di certezze, anziché divulgare e inculcare i principi fondanti della nostra società. 

Abbiamo nominato più e più volte la Costituzione, volendoci appellare a Lei, ma sono consapevole che saremmo soli a difenderla sui monti. A pochi giorni da un referendum su una legge costituzionale e da dichiarare incostituzionale, vedo la mia gente confusa e divisa fra il voto della tifoseria e la scelta assenteista. Sarà malgrado tutto una vittoria della democrazia, troppo a lungo privata del diritto di voto, oppure sarà la sua fine, costruita con cinismo e pazienza attraverso il più grande partito dell’ignoranza e al suo governo insieme al partito con il più grande numero di indagati?

Sarà, comunque, la nostra sconfitta per l’abuso di sé stessa fatto dalla politica e per l’assenza di coesione e di fede in sé stessa della gente italiana.

1439.- AUTONOMIA, VOGLIAMO IL VENETO COME TRENTO E BOLZANO: LIBERO DI GESTIRE LE PROPRIE RISORSE

 

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Cita “Avvenire” che re Felipe nel suo discorso non ha mai accennato alle violenze della polizia nelle ore concitate del referendum.

Ed ora, il pensiero di Elena Donazzan.

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“In Catalunya non avremmo mai voluto vedere i volti di anziani insanguinati, né la Polizia costretta a intervenire con la forza sulla propria gente. Credo che la responsabilità maggiore vada ricondotta a chi ha portato avanti una azione separatista, illudendosi che sarebbe stata priva di reazione. I centri sociali col pugno chiuso si sono presentati come al solito a fomentare, a provocare, ma la responsabilità sta in capo al Presidente della Catalunya che poteva ben immaginare cosa sarebbe accaduto violando la legge. Una secessione non è mai pacifica. Fa male al cuore, ma la democrazia ha delle regole e i servitori dello Stato devono farle rispettare loro malgrado, in Spagna, come in qualsiasi altro Paese, altrimenti sarebbe caos e anarchia.

Ripeto: la secessione è sempre un momento traumatico ed è impensabile che possa avvenire attraverso un referendum. E bisogna essere realisti, senza gettare fumo negli occhi alle persone: in democrazia la secessione è un processo inattuabile.

Noi siamo convinti che l’autonomia e il federalismo a geometria variabile siano la miglior soluzione, perché crediamo fermamente nell’Unità nazionale e nel rispetto delle regole. Il 22 ottobre voteremo ‘Sì’ al referendum per l’autonomia perché vogliamo che il Veneto possa diventare come le Province di Trento e Bolzano: libero di gestire al meglio le proprie risorse per una maggiore crescita e un maggior sviluppo del territorio.”

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1436.- OCCHI PUNTATI SUI REFERENDUM

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“Visto che conta solo il referendum e non se le fila nessuno, ecco com’erano le due bellissime ragazze francesi trucidate a Marsiglia da un immigrato musulmano dai trascorsi italiani. Si chiamavano Laura Paumier (a destra) e Mauranne Harel (a sinistra). Giovanna Bertamino

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L’argomento dell’informazione sensazionalistica non sono le due giovinette, sgozzata una e accoltellata l’altra, a Marsiglia, né sono le vittime dell’altra bestia islamica, in Canada.   Ci stanno abituando a vivere nel terrore e noi lo sfuggiamo senza combatterlo. Lo nascondiamo come fanno loro, calando il silenzio. So bene quale popolo, fin dall’antichità, ha fatto del terrore, seminato nei popoli da conquistare, la sua arma migliore. Aggiungo che la sua arma nuova è, non solo, additare il proprio nemico come il responsabile delle sue efferatezze, ma fare sì che sia quello stesso, soprattutto l’Islam, a compierle, convinto di combatterlo. Per dirla come l’amico Magdi Allam, “Siamo in guerra”. Contro di loro siamo armati soltanto della nostra civiltà, tal quali i cristiani davanti alle belve nel Teatro Marcello di Roma imperiale e mai similitudine fu più vera. Oggi voglio rispettare quel silenzio e parlo di referendum. Leggetemi e commentate.

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Il presidente catalano Carles Puigdemont

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Tutti gli occhi sono puntati sulla Catalogna, sul referendum voluto da una parte politica corrotta al potere, e parlo di Convergència Democrática de Cataluña, che ha cavalcato la causa degli indipendentisti radicali, alimentando una frattura antica, ormai insanabile, al solo scopo di recuperare il consenso perduto. Il suo presidente Carles Puigdemont, profittando dell’onda centralista, ostile ai catalani e non volendo rinunciare per i suoi scopi al referendum, ha rifiutato l’offerta di “dialogo nella legge” dei partiti maggiori: il Partito popolare (Pp) e il il Partito socialista operaio spagnolo (Psoe)

Da Madrid, il primo ministro conservatore Mariano Rajoy si è mostrato incapace di mediare una soluzione politica, di riavvicinare, cioè, i catalani allo Stato e ai grandi partiti spagnoli. Sottovalutando, invece, l’opinione dei catalani, si è trincerato sulla illegalità del referendum dichiarata nel 2010 dal il Tribunale Costituzionale (Tc ), perché contrario alla Costituzione, e ha alimentato la corrente indipendentista, prima, minoritaria. Sì, perché la Catalogna già gode di molta autonomia. Ad aggravare la situazione, fino a porre in secondo piano i risultati del voto, ci si è messa la violenza brutale della Guardia Civil, esagerata e in tenuta antisommossa contro gente disobbediente, ma pacifica. Qualcuno ha pensato anche alla polizia europea antisommossa Eurogendfor, di cui abbiamo visto lo scorso anno pattuglie di spagnoli in Italia, ma non ne abbiamo visto i distintivi. Ecco, comunque, altri motivi di preoccupazione perché il nostro Libro Bianco della Difesa prevede, addirittura, l’impiego delle Forze Armate nell’ordine pubblico. Dispiace che due o tre avventurieri della politica abbiano fomentato questo conflitto fra il primo ministro, inadeguato e il popolo catalano esacerbato. Non resta, a mio sommesso avviso, che augurarsi nuove elezioni, per la Spagna e per l’Europa.

Ma, premesso che un referendum per l’autonomia è una cosa e per l’indipendenza, invece, è tutt’altra cosa, andiamo a parlare dell’Italia e del referendum sull’autonomia di Lombardia e Veneto. Qui la situazione è completamente diversa ed il referendum è coerente con la riforma costituzionale del 2001. Si tratta, per essere precisi, di chiedere di poter realizzare  un regionalismo differenziato.

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Dice il terzo comma dell’articolo 116 che alle Regioni a statuto ordinario è riconosciuta la possibilità di accedere a condizioni differenziate di autonomia. Quindi il quesito referendario è stato dichiarato legittimo dalla Corte Costituzionale. Altri quesiti di natura fiscale, erano e sono stati, invece, dichiarati illegittimi, ma è evidente che ad un aumento delle competenze dovrà corrispondere un adeguato aumento dei fondi. Si spera, così, di ridurre la differenza tra quanto le Regioni versano in tasse a Roma e quanto ricevono in servizi: il cosiddetto residuo fiscale. Restano escluse, oltre alla materia tributaria, le materie dell’immigrazione e della sicurezza, che, invece, sono vivamente sentite dalla popolazione lombardo-veneta, non solo leghista. Aggiungiamo che, solo in Veneto, per effetto del suo stesso statuto, è previsto il quorum (50 per cento più uno degli aventi diritto) e che, solo in Lombardia, si sperimenterà il voto elettronico.

Si prevede una forte affermazione dei Sì, ma la parola deve passare, poi, al Governo, intraprendendo le iniziative istituzionali necessarie per  ottenere la gestione di quante più materie possibili fra le ventisei competenze che la Costituzione indica come trasferibili o “concorrenti”. Esemplificando: giudici di pace, sicurezza sul lavoro, tutela dell’ambiente e beni culturali.

Diciamo che Lombardia e Veneto non potranno diventare Regioni a Statuto Speciale e, tuttavia, l’autonomia consentirebbe al Veneto di proporre alle Regioni confinanti Friuli-Venezia Giulia e Trentino- Alto Adige e da un piano di parità, quella macroregione Veneta che darebbe, indubbiamente, un forte impulso all’economia di tutta l’Europa.

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Cosa dire sul referendum in generale?

Di regola, nei referendum, prevale il voto emozionale e la ragione ha sempre la peggio. Nella maggior parte dei referendum, i cittadini consapevoli vedono prevalere la gente poco informata che, spesso, si lascia abbindolare facilmente da progetti grossolani. E’ la rinuncia alla ragione, ad ascoltare gli esperti, i dotti padroni della materia, che porta per risultato alla svalorizzazione della democrazia diretta o plebiscitaria; democrazia diretta diversa da quella del Movimento 5 Stelle, che oppone il voto on-line, senza quorum e senza garanzie al voto regolare che, invece, legittima il fare, come il disfare. Da sempre, il referendum è uno strumento di democrazia diretta che cavalca la pubblica opinione su una specifica questione per ottenere o per recuperare consensi ad una parte politica e, qui, diventa fondamentale il ruolo dell’informazione in cui prevalgono una stampa sensazionalistica e il servizio pubblico radiotelevisivo controllato dal governo. Qui, si combatte la battaglia della nuova democrazia fra media, totalmente o quasi asserviti al regime – volevo dire “al governo, ma…” – e la rete, che da noi non è stata ancora sottomessa, perché realizza, anche, uno strumento di controllo formidabile per il potere. Ho detto “della nuova democrazia”, ma, meglio, direi “l’ultima battaglia della democrazia” o, ancora, “l’ultima Resistenza”, perché e da quando? Accadde quando la prima multinazionale superò in liquidità uno Stato sovrano dell’Occidente. Da allora, la Finanza mondiale ha sovvertito gli ordinamenti; ha superato gli Stati sociali, non più sovrani e detta “lei” le leggi alla politica, dominando il diritto. In democrazia “era” il diritto a indirizzare con le leggi l’economia; infatti, gli italiani hanno visto venir meno il modello economico della loro Costituzione, troppo violabile e violata, da quando i sacrosanti Principi in essa intessuti come una trama, sono stati resi inattuabili dai trattati europei, attraverso leggi ordinarie approvate da un Parlamento ignorante e con voto bulgaro; o come, nel caso di Andreatta e Ciampi, quando il matrimonio fra il Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia, necessario ed essenziale per le politiche degli investimenti, fu cancellato con una semplice lettera. Si parlò di divorzio e fu, invece, un suicidio.

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Viene da chiedersi dov’è il colpevole di tutto questo? È, sopratutto, l’Unione europea, che unione non è e non sarà mai, ‘ché rappresenta una istituzione anomala creata e diretta dalle banche e che, perciò, pone al suo centro e al centro dei trattati la competitività degli europei nei mercati mondiali: quindi, in due parole, meno diritti ai lavoratori, salari più bassi, meno welfare, meno aspettativa di vita (cresceva troppo) e recessione demolitiva di diritti e di ricchezze. In pratica, “lavoro a carità, dove, come quando non so”, più disoccupati e per loro, per gli anziani e per i disabili, elemosine di Stato o – chiamatele come vi pare – di cittadinanza. Esattamente il contrario di quanto contenuto nell’art. 38 della Costituzione, che, della Solidarietà e del Lavoro, “faceva” e farebbe un ascensore, uno strumento di crescita sociale e, anche, politica del cittadino, perché la Democrazia è un lusso che gli ignoranti non possono permettersi. Altro che l’ “Uno vale Uno” dei grillini! Le Costituzioni post-moderne, invece, ponevano al centro la dignità della persona umana; come la nostra, che doveva essere fondata sul Lavoro, cioè, sulla ricerca della piena occupazione, perché il lavoro ci porta la dignità e, perciò è condizione di libertà; ma che ha fissato la sua trama di Principi, modernissima e rivoluzionaria, senza però garantirne l’attuabilità e senza sanzionarne in modo efficace, effettivamente percorribile la violazione. Ecco uno dei tre motivi per i quali abbiamo sempre contestato quanti parlano di Attuare la Costituzione, per riformare il sistema ed, invece, non riformeranno nulla, ma la utilizzano per traghettare, proprio essi, nel sistema. Infatti, un conto è richiamare la trama dei principi della Costituzione, un altro è attuarli, sic et simpliciter, senza aver preso atto di vulnus che in essa stessa si contengono e che hanno portato e porteranno sempre alla sua disapplicazione. Per chi non ci ha seguito, sono e sarò contrario alla nascita di un nuovo partito e all’attuazione della Costituzione fino a quando in essa non si conterranno i principi cui tutte le formazioni intermedie, partiti e sindacati in primis, devono attenersi per consentire quella partecipazione alla politica secondo trasparenza, onestà, alternanza, che non si è realizzata scrivendo semplicemente all’art. 49 “con metodo democratico”. Rebus sic stantibus, la Costituzione, scritta dai partiti e per i partiti, è la responsabile del difetto di partecipazione degli italiani alla politica, come dimostra l’assenteismo e il referendum, in generale, vi assume particolare importanza quale strumento, appunto, di democrazia diretta.