Archivio mensile:Maggio 2015

S(MONTI)AMO IL MODELLO TEDESCO!

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All’indomani del dissolvimento dell’Impero Sovietico, che aprì velocemente la strada alla riunificazione tedesca (anche se nella pratica fu semplicemente l’annessione della Repubblica Democratica DDR nella Repubblica Federale!), il più che fondato timore dei governanti europei e mondiali era quello di non ridare forza a una nazione, nel cuore del vecchio Continente, le cui esuberanze avevano creato sempre elementi di contrasto per gli equilibri geo-politici di mezzo mondo.

Il ruolo di arbitro e garante lo assunse la Francia di Mitterrand, forte ancora della veste di “potenza vincitrice”: il suo nulla osta alla riunificazione sarebbe stato possibile solamente condizionandolo a un rapido processo di integrazione che passasse dalla condivisione di una moneta per “disinnescare” definitivamente i pericoli di una ritrovata Germania unita e ritornata potente questa volta grazie alla forza dell’economia. Insomma il tentativo di mettere sotto tutela un paese che aveva proprio nella formidabile forza della sua economia ritrovato il riscatto morale dalle umiliazioni di due Guerre Mondiali perse e che nel marco vedeva il simbolo di questa vittoria.

La partita si giocò pertanto fra Parigi e una Berlino, tornata capitale, con due soli uomini a decidere: Mitterrand e Kohl. Tutti gli altri o defilati per conservare le proprie identità (inglesi) o completamente immerse nel ruolo di comparse supine (ad iniziare dall’Italia), pronti ad accettare qualsiasi compromesso e a qualsiasi prezzo pur di far parte del nuovo equilibrio che stava nascendo in Europa.

Per molti paesi (con il nostro sempre in testa) non si trattò pertanto di verificare preventivamente se le regole poste alla base del nuovo modello di Europa corrispondessero effettivamente al beneficio delle proprie esigenze, ma di partecipare da subito a questa partita ad ogni costo promettendo il rispetto dei parametri macroeconomici posti a supporto della costruzione monetaria comune.

Addirittura in molti furono disponibili letteralmente a fare carte false pur di poter staccare il biglietto ed assicurarsi un posto in Europa che aveva modificato il suo status da Comunità Economica Europea (CEE) in quello di Unione Europea (UE), al fine di giustificare, almeno formalmente, la creazione di un mercato comune per far circolare una stessa moneta.

Ma sappiamo ormai che le antiche aspirazioni germaniche di predominio sul continente Europeo, tanto care sin dai tempi della Mitteleuropa riprese poi dalle isterie di onnipotenza di Walter Funk con il suo folle piano di predominio economico della Germania enunciato il 25 luglio del 1940 nella veste di Ministro dell’Economia del III Reich nonché di Presidente dalla Reichsbank, si stanno realizzando in modo impressionante proprio ora con il consenso più o meno inconsapevole di tutti i paesi coinvolti grazie alle regole poste per la sostenibilità dell’euro. http://scenarieconomici.it/di-battista-ha-torto-sul-ruolo-germania-purtroppo-ha-ragione-di-antonio-m-rinaldi/

Ciò che doveva consentire di mettere sotto tutela la Germania si è rivelato essere invece il miglior mezzo possibile per mettere sotto tutela l’intera Europa da parte della Germania stessa che è riuscita a realizzare quello che nessun esercito è riuscito fino ad ora mai a compiere: essere egemone nell’intera Europa senza che venisse sparato neanche un colpo di cerbottana! Questo è stato possibile soprattutto per l’incapacità delle classi politiche europee (sempre Italia in testa!) di contrastare lo strapotere tedesco non riuscendo mai a contrapporre valide alternative a quelle che con caparbietà venivano costantemente portate avanti dalla Germania che nel frattempo si era impadronita dei meccanismi tecnici di governance europea.

E’ necessario pertanto smantellare al più presto questo modello economico su cui si fonda l’euro che fa riferimento esclusivamente alle dottrine e dogmi propri all’ortodossia tedesca che prevedono la stabilità dei prezzi, cioè il contenimento ossessivo dell’inflazione, e il rigore dei conti fino al perseguimento del pareggio di bilancio, come unico presupposto per la crescita. Modello in contrasto con la letteratura economica classica e con quella adottata da tutti gli altri paesi mondiali, che in forme e modalità diverse, conservano comunque la loro Sovranità monetaria e politica. Non è più possibile ignorare che i soli tentativi di rispetto di questo modello stanno provocando danni incommensurabili nelle economie e nelle strutture sociali di moltissimi paesi europei e la Germania stessa deve rendersi conto che non può più continuare insensibile su questo percorso. Se fino ad ora se ne è avvantaggiata enormemente a discapito degli altri non è detto che il futuro non gli riservi spiacevoli sorprese… insomma ai nostri amici tedeschi facciamo capire che se continuano su questa linea andrà prima o poi a finire (come sempre!) che a pagare il conto più forte saranno proprio loro!

Ma il vento che spira ora in Europa non va più in questa direzione: quei paesi membri che ancora hanno la possibilità di esprimere le volontà popolari con sistemi elettorali nel rispetto della democrazia, vogliono un radicale cambiamento che può passare solo dallo smantellamento di questa costruzione Europea. Costruzione che prevede sempre più regole a supporto di una moneta che non pone il cittadino al centro di ogni iniziativa, ma bensì di utilizzarlo come semplice suddito espropriandolo dei suoi più elementari diritti ad esclusivo vantaggio di interessi di parte.

I pericoli a cui stiamo andando incontro potrebbero essere irreversibili e un vero e duraturo processo di pace e integrazione europea potrà essere realizzato solo smantellando l’attuale modello proposto/imposto dalla Germania che ha dimostrato non solo la sua insostenibilità, ma soprattutto la sua iniquità nei confronti di tutta la comunità.

Antonio M. Rinaldi, scenari economici

VERSO L’UNIONE DEI PAESI MEDITERRANEI?

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Le divisioni sul problema dell’immigrazione e la crisi delle economie e politica che stiamo vivendo ci stanno indicando una frattura del consenso all’interno dell’Europa. Tanto più rilevante in quanto equamente divisa geograficamente – nel nord come nel sud – ed equamente divisa per ripartizioni politiche: è figlia di nazionalismi conservatori ma anche di movimenti di sinistra che hanno nel mirino le politiche di austerità. E se in Uk perde il Labour, in Spagna non è sufficiente per I conservatori del PP aver agganciato la ripresa per essere al riparo da ogni sconfitta.

In questo passaggio possiamo dunque già identificare una diversa fotografia politica dell’Europa: queste fratture tendono infatti a raggrupparsi per politiche e per geografia. C’è una frattura Est/Ovest che passa intorno alla Russia e alla sua eredità (una nuova frontiera di fatto che si segnala a est della Germania), mentre nel cuore tradizionale dei paesi fondanti la Eu torna la divisione fra Nord e Sud sulle linee destra (a nord) e sinistra (al Sud).

Se aggiungiamo che la Germania rappresenta a un tempo l’unico punto di forza e anche la causa, per certi versi, di queste tensioni, possiamo dire che l’equilibrio su cui si regge l’Ue è, già da ora, precario.

E l’Italia? La destabilizzazione politica della Spagna conferisce nuova importanza alla crisi greca e apre un gioco molto più grande nei rapporti dei paesi del Mediterraneo con il governo dell’Europa. L’Italia ligia ai trattati e riformista nel solco di Lisbona ha provato a essere di “stimolo” per una nuova dimensione delle decisioni europee, ma non è stata presa in considerazione e siamo stati lasciati soli. Soli di fronte all’emergenza profughi e di fronte alla necessità di un intervento in Libia. Tradotto in due parole: Abbiamo calpestato la nostra Costituzione, ceduto all’Europa gran parte della nostra sovranità per non poter contare su un governo dell’Unione. C’è abbastanza per ipotizzare un linea di frattura fra i paesi mediterranei e il resto d’Europa che ci conduca a nuove e imprevedibili scelte. Si va verso l’unione dei paesi mediterranei? Quando lo scrissi agli esami di ammissione all’Accademia, mi diedero del sognatore. Oggi, dal 2008, per iniziativa di Sarkozy, abbiamo l’Unione Per il Mediterraneo, ma vi sono molte questioni fondamentali sulle quali potrebbe ripartire un dialogo che parta dalla difesa del bene comune Mediterraneo per abbracciare, infine, anche il problema delle migrazioni. Attendo le vostre considerazioni su un progetto comunitario che possa offrire, meglio dell’Unione europea filo-germanica la speranza di un futuro di pace condiviso e co-gestito.

L’OCCIDENTE È COMPLICE DEI TERRORISTI ISLAMICI NELLA DESTABILIZZAZIONE DEL MEDIO ORIENTE

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Bisogna essere una mente fine, come è il caso del nostro ministro degli Esteri Gentiloni, per dire che “il governo italiano è preoccupato” e che, probabilmente, nell’incontro programmato per il 2 giugno a Parigi della Coalizione internazionale anti-Isis “sarà fondamentale una verifica della strategia che portiamo avanti”. Possibile che se muoiono circa 900 clandestini per il ribaltamento di un barcone, in 24 ore si mobilita il mondo intero in un clima da stato d’emergenza, mentre se i terroristi islamici dello “Stato islamico” dell’Isis travolgono contemporaneamente gli eserciti iracheno e siriano, nonostante le incursioni aeree alleate, portandosi a 100 km. da Bagdad e a 200 km. da Damasco, si annuncia che tra ben dieci giorni ci sarà una riunione dei ministri degli Esteri della Coalizione? La verità è che il cosiddetto “mondo libero” che assiste inerte all’espansione dello “Stato islamico”, non è ingenuo ma connivente. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea, la Turchia e Israele più che subire una situazione che non riuscirebbero a controllare, sono partecipi di una strategia che, convergendo inizialmente sull’obiettivo di rovesciare i regimi di Saddam Hussein e di Bashar al Assad, è culminata nella dissoluzione dei due Stati nazionali multi etnico-confessionali, creando i presupposti per la diffusione di un terremoto geo-politico che destrutturerà il Medio Oriente. Il peccato originale è stata la scelta degli Stati Uniti sia di finanziare e armare i mujahedin afghani e la nascente Al Qaeda di Bin Laden nel decennio 1979-1989, sia di insediare al potere l’ayatollah Khomeini in Iran nel febbraio del 1979. Per ottenere l’esodo delle forze sovietiche da Kabul, si è dato vita alla fucina e al crogiolo del terrorismo islamico sunnita, che ha avuto il suo battesimo di sangue con l’assassinio del presidente egiziano Sadat il 6 ottobre 1981. Per costringere all’esilio lo Scià Reza Pahlevi, si è innescata la miccia della rivoluzione islamica sciita che ha insanguinato l’Iran e scatenato il terrorismo nel mondo. Successivamente, nel 2005, prendendo atto del sostanzialmente fallimento delle guerre scatenate in Afghanistan e in Iraq per vendicare gli attentati dell’11 settembre 2001, Bush e Blair sottoscrissero un accordo con i Fratelli Musulmani offrendo loro una legittimazione politica in cambio dell’aiuto a sconfiggere Al Qaeda. Il risultato è che l’Occidente ha finito per consolidare sia i Fratelli Musulmani sia Al Qaeda. Infine, nel gennaio 2011, soffiando sul fuoco della cosiddetta “Primavera araba”, il nostro “mondo libero” ha scatenato la guerra civile in Siria, sostenendo gli islamici compresi i precursori dell’Isis, ha portato al potere i Fratelli Musulmani in Egitto, ha radicato la presenza dei Fratelli Musulmani di Ennahda in Tunisia, ha scatenato la guerra in Libia consegnandola nelle mani di bande terroristiche islamiche. In questo contesto l’affermazione dell’Isis, di Al Qaeda, Al Nusra, Ansar al Sharia e Fajr Libia, non è un frutto avvelenato indesiderato, bensì parte integrante di una folle strategia fondata sul sovvertimento degli stati nazionali laici sorti sulle ceneri dell’ultimo Califfato islamico turco-ottomano. L’obiettivo, una pia illusione, è di impantanare i terroristi islamici in guerre intestine di logoramento che li obbligherebbero a lasciare in pace il “mondo libero”, alimentando il mercato delle armi, abbattendo il costo del greggio, spianando il terreno per il business della ricostruzione, favorendo le mire espansionistiche turche sulla Siria e sull’Iraq. Quando è che capiremo che la guerra del terrorismo islamico è anche dentro casa nostra e che aiutarli si tradurrà nel nostro suicidio?

IL TESORO DEL PAPA – 2° LIMES FESTIVAL‬

Papa Francesco dichiara guerra al capitalismo internazionale, al neo-liberismo, ai poteri sconosciuti: “Guai se pensassimo che il Vangelo non è attuabile”. I principi della Libertà e della Democrazia sono nati dal Vangelo e da quella grande rivoluzione cristiana dell’amore per il prossimo, che ha superato i modelli greci e i romani. L’economia moderna è nata anch’essa da una struttura democratica, ma oggi è in crisi. Perché? Aristotele diceva che anche la democrazia ha la sua corruzione. La corruzione della democrazia è la demagogia, oppure, la plutocrazia, che è peggio ancora, che è il dominio del denaro, che non mira al bene comune. Il vero problema dell’umanità, oggi, è che è dominata dalle multinazionali, da mercanti del denaro e da strutture internazionali, che vengono chiamate “impero anonimo”, che sta prendendo il governo del mondo e distrugge le società, l’ambiente e creano la schiavitù.

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Piero Schiavazzi, Marcelo Sanchez Sorondo, Marco Ansaldo e Francesco Anfossi conducono un viaggio nell’universo economico e finanziario della Chiesa.

LA CURVA DI LAFFER: Monti, Letta e Renzi hanno combinato solo danni! (di Giuseppe Palma)

Premessa:

Si narra che nel 1980 l’economista americano Arthur Laffer (classe 1940), incontrando per caso in un ristorante l’allora candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti Ronald Reagan, gli avesse consigliato – attraverso una dimostrazione grafica scarabocchiata su un foglietto – di adottare una politica di riduzione delle imposte dirette. Con questa “curva a campana” l’economista sosteneva che quando la tassazione superava una certa soglia provocava NON un aumento bensì una diminuzione del gettito per le casse dello Stato. Laffer sosteneva che esiste un livello del prelievo fiscale oltre il quale l’attività economica non è più conveniente e il gettito è destinato a diminuire fino ad azzerarsi, nell’ipotesi in cui il prelievo raggiunga il 100% del reddito.

Un giornalista presente all’incontro chiamò quel grafico con il nome, appunto, di CURVA DI LAFFER.

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Nel merito:

Dato un sistema di assi cartesiani, se indichiamo sull’asse delle ascisse la pressione fiscale (PF) e su quello delle ordinate il gettito (G), spostandoci verso destra si nota come, all’aumentare della pressione fiscale (PF1), il gettito cresce (G1) fino ad un livello massimo (GMAX con pressione fiscale PF*), ma successivamente, all’aumentare della pressione fiscale (PF3), il gettito inizia a decrescere (da GMAX torna a G1) fino al suo azzeramento (PFMAX = Gettito zero).

L’obiettivo del grafico è quindi quello di dimostrare che esiste un livello di tassazione che genera il massimo del gettito (ossia PF* = GMAX) oltre il quale l’attività economica non è più conveniente, pertanto qualora lo Stato aumenti la pressione fiscale oltre detto limite (cioè quando la pressione fiscale passa da PF* a PF3) si ha la conseguenza di un minore gettito (da GMAX a G1), ossia minori entrate fiscali per le casse dell’erario, fino al suo azzeramento (PFMAX = Gettito zero).

In parole semplici, quando le tasse sono troppo alte e superano una determinata soglia entro la quale è conveniente svolgere l’attività economica, i soggetti economici troveranno conveniente cessare o ridurre l’attività economica (con conseguenze negative non solo sul gettito ma anche sul PIL e sull’occupazione) oppure dar vita a comportamenti quali l’elusione e l’evasione fiscale, con la diretta conseguenza – in ogni caso – che le entrate fiscali per le casse dello Stato diminuiranno considerevolmente.

Ciò detto, appare quindi evidente che l’alta pressione fiscale e l’eccessivo rigore cui l’Italia è “abituata” a sopportare sin dal novembre 2011, hanno iniziato a produrre – e continueranno purtroppo a generare – una convenienza per i soggetti economici a cessare o a ridurre l’attività economica in Italia (trovando conveniente produrre in Paesi che hanno una pressione fiscale più bassa) ovvero ad evadere o eludere il fisco, provocando in ogni caso la conseguenza di una diminuzione del gettito… Chi vuol intendere, intenda! (tutto quanto sinora argomentato l’ho già scritto quasi un anno fa nel mio libro intitolato: “La dittatura dell’Europa e dell’Euro. Viaggio breve nel tessuto dell’Eurocrazia” – Editrice GDS, seconda edizione agosto 2014. Il grafico della curva è ripreso dal sito http://www.ilradar.com).

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Conclusioni ed osservazioni:

Ciò premesso, vorrei ulteriormente precisare che l’aumento della tassazione, accompagnata da una moneta unica sbagliata e da pesanti politiche di austerity (come ad esempio l’introduzione di sistemi giacobini di accertamento fiscale, l’imposizione di un folle rigore di finanza pubblica con pedissequa costituzionalizzazione del vincolo del pareggio di bilancio e l’introduzione di un limite molto basso all’utilizzo del denaro contante) – tutte introdotte dal Governo Monti e proseguite dai Governi Letta e Renzi (con il benestare di un Parlamento complice, sordo e schiavo) – hanno prodotto non solo una contrazione della domanda interna (ma questo, su confessione dello stesso Monti, era stato pianificato: https://www.youtube.com/watch?v=LyAcSGuC5zc), ma soprattutto un impoverimento del ceto medio.

E’ sufficiente leggere i dati sul PIL e sulla disoccupazione per rendersi conto che gli ultimi tre Governi italiani hanno combinato solo danni.

Come ho già evidenziato nel mio libro “Il Male Assoluto […]”, occorre sottolineare che nel novembre 2011 – quando l’Intellighenzia nostrana plaudiva al golpe italo-europeo ai danni del Governo Berlusconi IV, a parte l’imbroglio rappresentato dal terrore dello spread, i dati sull’economia italiana erano, sì, preoccupanti, ma non drammatici: la disoccupazione era all’8,8% (quella giovanile poco sotto il 30%), il PIL registrava un + 0,4% e il rapporto debito pubblico/PIL era al 120,8% (fonte Istat). Ma ormai l’apparato eurocratico, ben appoggiato dall’ “interno”, aveva deciso che Berlusconi doveva cadere! Un grande quotidiano economico nazionale titolò: “Fate Presto!”. Il prof. Mario Monti, nominato non si sa per quali “altissimi meriti” senatore a vita, divenne Presidente del Consiglio dei Ministri di un Governo sostenuto da una maggioranza parlamentare bi-partisan che più di una volta – sotto il ricatto/imbroglio dello spread – votò misure che non avrebbero mai dovuto trovare asilo in una Repubblica democratica che, per Costituzione, è fondata sul lavoro. Da allora il nostro Paese ha avuto ben tre Presidenti del Consiglio (Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi) macchiati dal “peccato originale”, cioè senza alcuna legittimazione democratica scaturente da elezioni politiche.

Vediamo qualche dato economico post novembre 2011 (fonte Istat): PIL anno 2012 -2,4%; PIL anno 2013 -1,9%; PIL anno 2014 -0,4%, con i dati sulla disoccupazione che sono un continuo “bollettino di guerra”: a marzo 2015 il tasso di disoccupazione è nuovamente cresciuto toccando quota 13%, mentre quello giovanile è al 43,1%.

Dormi popolo, dormi… corri pure a fare la fila per l’ultimo modello di telefonino!

Giuseppe Palma

FRA “SANITÀ E OSPEDALE” E 5 STELLE SENZA PUDORE.

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Dolo, 20 maggio 2015.- Ieri sera, a Dolo nella cornice veneziana dello Squero Monumentale, il Coordinamento pro ospedale Dolo di Emilio Zen, ha intervistato alcuni dei 950 candidati al Consiglio della Regione Veneto sul tema “Sanità  e ospedale” o, piuttosto, su i progetti e le iniziative che essi attueranno nel caso venissero eletti in consiglio regionale. Il tentativo di coinvolgerli e impegnarli sul futuro dell’ospedale di Dolo ha raccolto dichiarazioni che definisco affettuosamente elettorali. Principalmente,

  • No ai poli: Dolo medico e Mirano chirurgico;
  • mantenere e garantire a Dolo il polo medico chirurgico, strategico per la Riviera del Brenta, senza cederlo, oggi a Mirano e, domani, farlo fagocitare dal vicinissimo “mostro in project” di Mestre. Infine,
  • un impegno a rivedere le schede ospedaliere dopo il 31 maggio.

Interessanti, benché tutti ispirati dalla competizione elettorale, gli interventi dei candidati Denis Gennari, Lega Nord per Zaia, l’amico Andrea Zampieri, Area Popolare, pro Tosi e puntuale, Vanna Baldan, Veneto Civico pro Moretti, Fortunato Guarnieri, ex sindaco di Chioggia, della lista IL VENETO NUOVO che raccoglie i verdi, la sinistra veneta e Sel e, poi, Francesco Piccolo, consigliere uscente ex Forza Italia, ora pro Tosi, per il quale le schede ospedaliere sono bloccate fino al 31 dicembre e Franco Scantamburlo PD, ri-pro Moretti, che, correttamente, sottolinea che non è, però, bloccato l’atto aziendale della dismissione, che procede irreversibilmente. Assente di fatto il Movimento 5 Stelle, con una tardiva apparizione in gelateria di Marco Genovese, candidato veneziano e con un lungo foglietto/dichiarazione da prima comunione, letto malamente dalla candidata a sindaco per Dolo e al quale foglietto si ispira il nostro “senza pudore”.

Pregevoli alcuni interventi dal pubblico, come:

  • le schede ospedaliere sono state redatte prima delle schede territoriali, tuttora mancanti e, tuttavia si procede a tagli e trasferimenti senza aver realizzato i presupposti sostitutivi;
  • la mancanza di Turn Over e il conseguente deficit di almeno 3000 medici;
  • un’ospedale senza più chirurgia e radiodiagnostica è un’ospedale finito;
  • la perdita di qualità dell’assistenza per i cittadini della Riviera, cui resta un pronto soccorso privo di adeguato supporto diagnostico;
  • la difficoltà pratica di dover vagare nel territorio fra 3-4 e forse 5 presidi, come già accade.

Il nostro intervento di Veneto Unico è stato incentrato:

  • sull’esigenza di risparmiare risorse, a fronte dei tagli crescenti del governo, sia accorpando e riducendo a 5, massimo 6, le ASL sia dismettendo le strutture in affitto di Mirano a favore di Dolo;
  • sull’incompletezza della cd Riforma Zaia, alla quale mancavano e mancano sia le risorse per completarla sia gli ospedali di comunità compensatori dei tagli dei posti letto per acuti sia le Unità Territoriali di Assistenza Primaria, nonché i medici per equipaggiarle, stante la mancanza di Turn Over;
  • Su i condizionamenti che avevano impedito la formulazione del Piano Socio Sanitario per 18 anni, condizionamenti che devono ritenersi tuttora presenti e che riguardano il monopolio degli accreditamenti. Nessuno, infatti, ha fatto notare che lo smantellamento di Dolo (e, in futuro, di Mirano) lascia al cittadino dell’Ovest Riviera la scelta fra le strutture pubbliche e quelle private della ASL 16 di Padova, in particolare per la radiodiagnostica, quelle private accreditate di Ponte di Brenta, già fino a oggi favorite dai tempi d’attesa del pubblico(a proposito di condizionamenti);
  • Sulla necessità di porre mano al più presto al nuovo Piano Socio Sanitario, in vista della sua scadenza nel 2017 e, cioè: Più proposte, meno comitati.

Risultato elettorale, in chiusura della serata: teniamo tutti gli ospedali e le loro sale operatorie, sia pure con specializzazioni differenti. Tradotto, significa: aboliamo la riforma, annulliamo i tagli con una bachetta magica. Si potrebbe dire: riviva la Politica del campanile, ma sembra più appropriato il detto napoletano: “ ‘a politica in mano a ‘e creature!”. Un’occasione perduta.

POVERA GRECIA. ESEMPIO DI COME L’€URO NON PUO’ FUNZIONARE (di Giuseppe PALMA)

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Ricordate quando scrissi che se l’Italia uscisse dall’Euro non vi sarebbero preoccupanti ripercussioni sul nostro debito pubblico? Bene, ve lo confermo, infatti attraverso un’applicazione nell’interesse nazionale del principio della LEX MONETAE (combinato disposto degli artt. 1277, 1278 e 1281 del codice civile), e grazie all’aspetto fondamentale che il nostro debito pubblico – benché espresso in Euro – è ancora sotto giurisdizione italiana (circa il 97% dello stesso), il passaggio dall’Euro alla Nuova Lira non creerebbe quella situazione di drammaticità finanziaria cui fanno leva i ciechi sostenitori dell’Euro. Un ripassino non fa male, quindi rileggete questo mio articolo: http://scenarieconomici.it/la-lex-monetae-come-uscire-dalleuro-senza-farsi-alcun-male-di-giuseppe-palma/

La situazione della Grecia, invece, è totalmente diversa da quella italiana. Il debito pubblico greco è infatti per tre/quarti sottratto alla giurisdizione nazionale, quindi un suo eventuale ritorno alla sovranità monetaria produrrebbe sicuramente quegli effetti drammatici che gli euristi – a torto – sostengono possano verificarsi nel caso di un €uroexit dell’Italia.

Il debito pubblico greco, pur ammontante ad appena circa 330 miliardi di Euro (una bazzecola rispetto a quello italiano), è per il 72% sotto giurisdizione “straniera”. Nello specifico: il 60% è in mano all’Unione Europea attraverso il fondo di stabilità europeo (EFSF e MES), mentre il 12% è in mano al Fondo Monetario Internazionale (FMI). Poi c’è un 8% in mano alla BCE (Banca Centrale Europea) e il 15% è rappresentato da Titoli di debito già in circolazione (cioè trattabili sul mercato secondario, dove si forma il famigerato spread). 

Questa situazione, cioè il fatto che il debito pubblico di uno Stato sia regolato da giurisdizione diversa da quella nazionale, rende ovviamente drammatica la decisione di un eventuale ritorno alla sovranità monetaria.

A questo punto non posso sottrarmi dall’evidenziare che la responsabilità è tutta dell’Unione Europea. Con la creazione della moneta unica è stata istituita anche una Banca Centrale Europea (BCE), la quale – per espressa previsione del suo Statuto (e non è un caso, credetemi) – non può finanziare i debiti pubblici degli Stati dell’Eurozona. Appare evidente, quindi, che chi ha costruito l’intera struttura dell’Euro aveva ben in mente i gravissimi danni sociali, economici e finanziari cui conduceva questa moneta unica.

I meccanismi del fondo di stabilità europeo (EFSF e MES), a differenza di ciò che avveniva in passato quando ciascuno Stato poteva creare moneta dal nulla e rendersi garante del proprio debito pubblico senza dover massacrare i cittadini, producono una situazione di vero e proprio STROZZINAGGIO legalizzato. Questi strumenti (come ad esempio il MES), che dovevano servire ad aiutare finanziariamente gli Stati in difficoltà, hanno assunto le vesti (e questo era il vero obiettivo dell’apparato eurocratico) di veri e propri cappi al collo dei Paesi che ne avrebbero fatto ricorso, come appunto la Grecia!

Un esempio evidente è costituito proprio dal MES, Meccanismo Europeo di Stabilità (o altrimenti detto Fondo salva-Stati): istituito nel marzo 2011 dalle modifiche al Trattato di Lisbona, nasce come fondo finanziario europeo per la stabilità finanziaria della zona euro. La sua entrata in vigore, prevista inizialmente per la metà del 2013, fu anticipata dal Consiglio Europeo del 9 dicembre 2011 al luglio 2012. Il fondo è stato creato sia per emettere prestiti sia per acquistare titoli sul mercato finanziario primario (ma anche su quello secondario) in favore dei Paesi che si trovino in maggiori difficoltà, con il fine di assicurare loro assistenza finanziaria. Il tutto a condizioni severissime e forcaiole tali da esautorare quasi del tutto la sovranità degli Stati che ne facciano richiesta, infatti i prestiti o gli acquisti dei Titoli non avvengono gratuitamente ma vanno integralmente restituiti (con gli interessi!). Il MES ha chiesto agli Stati membri di versare un anticipo complessivo di 80 miliardi di euro, partecipandovi ciascuno in base alla propria quota parte. La nostra è del 17,91%, già interamente versata.

Se non avete compreso il crimine, ve lo rispiego con parole più semplici:

Prima dell’introduzione della moneta unica ciascuno Stato poteva garantire senza alcun problema il proprio debito pubblico attraverso il Tesoro o la Banca Centrale, creando moneta dal nulla e senza alcun massacro sociale! Oggi, con l’Euro, non è più così. Dovendo ciascuno Stato dell’Eurozona andarsi a cercare la moneta (chiedendola in prestito ai mercati dei capitali privati – ai quali va restituita con gli interessi – oppure tassando i cittadini e/o tagliando le voci di spesa pubblica più sensibili), nel momento in cui i mercati dei capitali privati (es. banche private) “chiudono i rubinetti” per presunta mancanza di affidabilità finanziaria (scusate la semplificazione), ecco che lo Stato in difficoltà può fare ricorso ai meccanismi di stabilità creati dall’apparato eurocratico, il quale non regala soldi a nessuno ma ne pretende la puntuale restituzione con gli interessi. Peggio degli strozzini!

La Grecia, essendo stata costretta a fare ricorso ai meccanismi sopra menzionati, ha determinato la sua condanna a morte come Nazione sovrana. Una parte del suo debito pubblico, infatti, è in mano all’Unione Europea (ut supra), quindi un’eventuale uscita dall’Euro da parte della più antica democrazia del mondo rappresenterebbe per la stessa una situazione drammatica dal punto di vista finanziario.

L’UE è tenuta sotto scacco da parte di ciascuno degli Stati membri fino a quando questi mantengono piena giurisdizione sul proprio debito pubblico, mentre, in caso contrario, la situazione è destinata a mutare drammaticamente!

La situazione greca, pertanto, è veramente compromessa. A meno che Tsipras non decida di rifiutarsi di pagare! L’UE, la BCE e il FMI non hanno strumenti efficaci per recuperare effettivamente quanto “prestato”. Cosa possono fare l’Europa o il FMI se la Grecia esce dall’Euro e smette di pagare i debiti? Mica possono invaderla? Mica possono mandare i carri armati? Visto che il Fondo salva-Stati è costituito dalla quota parte di ciascuno Stato membro, è ovvio che a perderci sarebbe anche l’Italia, la quale – come abbiamo visto – vi ha partecipato al pari di tutti gli altri ed ha complessivamente nei confronti della Grecia un “credito” di circa 40 miliardi di Euro (scusate l’ennesima terminologia semplificata).

Ciò detto, dobbiamo tuttavia cercare di ragionare in chiave non egoistica e decidere se stare dalla parte dei diritti e della democrazia oppure dei mercati e dell’economia.

Tutto ciò premesso, fossi in Tsipras me ne fregherei altamente dell’UE, del FMI e dell’obbligo di restituzione dei prestiti. Il popolo greco sta morendo, quindi occorre un uomo di Stato che persegua esclusivamente gli interessi dei suoi concittadini. Fossi al posto del premier greco tornerei immediatamente alla piena sovranità monetaria e porrei in essere un concreto progetto di piena occupazione, realizzando in tal modo gli interessi esclusivi del mio popolo e della democrazia!

E’ dunque giunta l’ora che la DEMOCRAZIA si riprenda il primato assoluto sull’economia e sul mercato.

Se così fosse, non saranno più gli altri a “spezzare le reni alla Grecia” ma sarà semmai questa a porre fine al crimine UE-Euro, liberando se stessa ed il Vecchio Continente dalla dittatura eurocratica!

E chissà se questa rivoluzione, scherzo beffardo del destino, possa partire proprio dalla più antica democrazia del mondo!

Giuseppe PALMA

CEI: BAGNASCO CONTRO DIVORZIO BREVE E TEORIA GENDER

Angelo Bagnasco

La Conferenza Episcopale Italiana torna a criticare matrimoni e adozioni gay, utero in affitto e divorzio breve. E’ quanto ha affermato il cardinale Angelo Bagnasco nel suo articolato intervento all’assemblea generale della CEI. Il giorno dopo il monito rivolto dal Papa ai vescovi italiani sulla corruzione, a focalizzare l’attenzione del porporato è il disegno di legge sulle unioni civili e le convivenze che, per Bagnasco, è una vera e propria “minaccia alla famiglia”. Nel suo intervento Bagnasco si è opposto con fermezza all’introduzione dell’insegnamento della parità di genere nelle scuole, secondo cui la femminilità e la mascolinità non sono determinati dal sesso ma dalla cultura. “Una simile previsione – ha commentato – sembra rappresentare l’ennesimo esempio di quella che Papa Francesco ha definito colonizzazione ideologica”. Il presidente dei vescovi italiani ha poi puntato il dito contro il divorzio breve: “Sopprimere un tempo più disteso per la riflessione, specialmente in presenza di figli, è proprio un bene? Si favorisce la felicità delle persone o si incentiva la fretta?”. “Quando si tratta dei bambini che vengono al mondo – ha aggiunto – nessun sacrificio degli adulti sarà giudicato troppo costoso e troppo grande pur di evitare che un bambino pensi di essere uno sbaglio”. Dal porporato è poi arrivato un secco “no” ai matrimoni omosessuali, alla pratica dell’utero in affitto e alle adozioni per i gay. “Il desiderio della maternità o della paternità non può mai trasformarsi in diritto per nessuno”, ha ammonito. “Occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con papà e una mamma, capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva – ha aggiunto – che così possono continuare a maturare nella relazione nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità di un padre e di una madre, e così preparando la maturità affettiva. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio”.

L’ADESIONE DELL’ITALIA ALL’ONU È LEGITTIMA?

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A prima vista la domanda può sembrare strana. Eppure la risposta è esattamente opposta a quella che si potrebbe credere. L’adesione dell’Italia alle Nazioni Unite non è infatti conforme al dettato costituzionale. Meglio, ciò che non è conforme è l’adesione alle Nazioni Unite così come attualmente concepite.

Non vi deve trarre in inganno il fatto che non abbiate mai sentito porre il problema, infatti è ormai noto il grado di decadimento culturale dei nostri tempi. La gente ha perso ogni senso critico e non è più abituata a ragionare con la propria testa, ci si limita a prendere per buono ciò che ci raccontano personalità che la propaganda accredita come autorevoli. Ormai chi segue questo blog ha imparato a capire che l’appellativo “autorevole” spetta solo a coloro che sposano il pensiero voluto da chi detiene il potere, potere che oggi è nelle mani di gruppi finanziari sovranazionali. Ma torniamo al tema del post.

L’art. 11 Cost. è la norma del nostro ordinamento che specifica i paletti alle limitazioni di sovranità. Mentre le cessioni sono sempre un fatto illecito, anche sotto il profilo penale (con buona pace dell’UE), le mere limitazioni di sovranità sono consentite a certe condizioni. L’art. 11 Cost., pensato dai padri costituenti proprio in funzione della futura adesione alle Nazioni Unite (che avvenne nel 1955), presenta due “limiti” alle “limitazioni”: quello della reciprocità e quello del fine della pace. L’Italia può infatti limitare la propria sovranità esclusivamente in condizioni di reciprocità con le altre Nazioni e solo al fine di aderire ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra i popoli.
Come noto le Nazioni Unite sono specificatamente finalizzate alla pace ed alla giustizia tra i popoli. Lo statuto infatti è chiarissimo ponendo al primo punto il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Le Nazioni Unite per definizione costituiscono un ordinamento che limita la sovranità a fini di pace. Fin qui tutto bene.
Tuttavia vi è un problema enorme. La condizione di reciprocità nelle limitazioni della sovranità prevista non viene minimamente rispettata. L’ONU infatti conferisce poteri speciali ad alcuni Stati con ciò vanificando completamente il suo stesso scopo.
L’ONU ha un consiglio di sicurezza così composto: 15 stati, di cui 5 sono i membri permanenti (Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina) e 10 vengono eletti a rotazione ogni 2 anni dall’assemblea generale. Il fatto di avere alcuni membri permanenti già pone i cinque paesi indicati (le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale più la Cina) in un rapporto di superiorità rispetto alle altre nazioni. Tale superiorità diviene schiacciante se si considera che le 5 nazioni godono anche del diritto di veto, ovvero della possibilità di impedire l’adozione di un provvedimento anche contro il parere degli altri 14 membri del consiglio.
La posizione dell’Italia, che non è membro permanente del consiglio, è dunque di palese inferiorità rispetto ai paesi che godono del diritto di veto. La limitazione di sovranità che l’ONU comporta non avviene pertanto in condizioni di reciprocità.
Il diritto internazionale andrebbe al più presto rifondato e basato sui valori di uguaglianza sostanziale che sono assolutamente indispensabili per un futuro di pace su questo pianeta. Al contrario fino ad oggi il diritto internazionale si è basato esclusivamente sui rapporti di forza.
Nazioni Unite forti e democratiche potrebbero riuscire anche a cancellare il predominio della finanza sulle stesse democrazie, predominio che oggi si verifica incontrastato anche grazie al diritto di veto. La maggior parte dei paesi del mondo viene cannibalizzato dalla speculazione. Molti di tali paesi hanno ben compreso la realtà ma nulla possono in seno alle Nazioni Unite dove qualsiasi risoluzione viene stoppata con il veto. Così oggi un organismo diretto al mantenimento della pace è completamente inabile a contrastare le armi della finanza che ormai rappresentano la nuova forma di guerra e di occupazione armata degli Stati, nonché di sottomissione dei popoli.
Se di queste cose non si parla, se non si crea una consapevolezza diffusa, un mondo migliore non esisterà mai. Senza Nazioni Unite democratiche la terza guerra mondiale non è questione di “se” ma solo di quando, non dimenticatelo.

Giuseppe Palma