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6190.- Dove vuole portarci Netanyahu?

Israele morde ovunque. Sta scrivendo la sua fine o la nostra? Teheran, umiliata, non può non reagire.

Un raid israeliano distrugge una parte dell’ambasciata iraniana a Damasco. Muore un alto comandante dei Pasdaran

1 Apr 2024 18:58 – di Redazione Il Secolo d’Italia

Un missile israeliano ha colpito anche Damasco. Solo la follia può scatenare una guerra regionale.. e ha un nome.

Un raid dell’esercito israeliano ha distrutto un palazzo dell’ambasciata iraniana a Damasco, la capitale della Siria, e nell’attacco è stato ucciso un alto comandante dei Guardiani della Rivoluzione iraniani, Mohammad Reza Zahedi, esponente di spicco delle Forze Quds in Siria e Libano, ossia il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane (i cosiddetti Pasdaran). Con lui sono rimasti uccisi cinque membri della Guardia rivoluzionaria iraniana.

Sarebbero sei i morti nel presunto raid israeliano. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, invece, parla di otto vittime provocate dal bombardamento.  L’ambasciatore della Repubblica islamica dell’Iran a Damasco, Hossein Akbari, non e’ stato ferito nell’attacco.

Israele non sara’ in grado di “influenzare” le relazioni tra Siria e Iran. Lo ha affermato il ministro degli Affari esteri della Siria, Faisal Miqdad, in seguito all’attacco attribuito alle Forze di difesa di Israele (Idf). Lo ha reso noto l’agenzia di stampa siriana “Sana”. Il capo della diplomazia ha condannato l’attacco, che ha definito “terrorista”, e ha espresso il suo cordoglio per “le vittime innocenti”, senza specificare il bilancio totale del raid.

L’ambasciatore iraniano a Damasco, Hossein Akbari, ha affermato che “la risposta di Teheran sarà dura”. Il diplomatico ha poi aggiunto che “dopo aver rimosso le macerie del palazzo distrutto dal raid sarà reso noto il numero esatto delle vittime”.

6167.- Il dramma dei siriani

Dopo la guerra, i missili israeliani, il sisma, le scandalose, disumane sanzioni occidentali, i ribelli, che Stati Uniti (CIA) e Arabia Saudita finanziano e addestrano dal 2013, anche il Programma alimentare mondiale dell’Onu semina fame fra i siriani, popolo dignitoso. «Le sanzioni sono disumane» dichiara padre Francesco Patton, custode di Terra Santa, «e trovo scandaloso che in un momento così tragico, non si sia capaci di rimuovere o sospendere le sanzioni. In Siria la gente sta morendo». 

L’Onu taglia gli aiuti alla Siria. Il vescovo di Homs: «Così moriamo»

Dopo gli ultimi tagli drastici da parte del Programma alimentare mondiale (Pam) dell’Onu, più di cinque milioni di siriani rischiano la fame. Una decisione «terribile e ingiusta» per mons. Jacques Mourad. E, al contempo, permangono le sanzioni alla Siria.

 Da La Nuova Bussola Quotidiana, di Luca Volontè, 5 gennaio 2024Un'immagine della guerra in Siria, 2023 (AP by LaPresse)

La forte denuncia di questi giorni di monsignor Jacques Mourad, arcivescovo siro-cattolico di Homs, è quasi passata inosservata, tra le festività e le gravissime notizie di continui attentati, vendette, massacri che infiammano il mondo, in particolare il Medio Oriente. Tuttavia, l’abbandono della Siria da parte del Programma alimentare mondiale (Pam) delle Nazioni Unite, l’abbandono del popolo di un Paese massacrato dalla guerra interna, occupato da varie potenze straniere (Stati Uniti e Turchia in primis), nel quale imperversano l’Isis e altre bande di tagliagole, sostenute anche da alcuni Paesi europei, desta preoccupazione.

Il Programma alimentare mondiale ha annunciato, all’inizio dello scorso dicembre, di voler interrompere dall’1 gennaio 2024 il suo principale programma di assistenza alimentare in Siria a causa della carenza di fondi, mantenendo solo alcuni programmi di aiuto minori. È stata la settima volta che il Pam ha annunciato una riduzione degli aiuti alla Siria; l’ultimo annuncio risaliva al 13 giugno 2023, quando il Pam ha tagliato l’assistenza alimentare a circa 2,5 milioni di persone, quasi la metà dei 5,5 milioni di abitanti assistiti fino ad allora.

«Il popolo siriano è condannato a morire senza poter dire nulla», ha detto l’arcivescovo Mourad in un’intervista a Vatican News pubblicata lo scorso 3 gennaio, a proposito della drammatica situazione che il Paese sta attraversando a causa della guerra che imperversa da 13 anni. In particolare, ha ricordato mons. Mourad, con la cancellazione del piano di aiuti alimentari delle Nazioni Unite in Siria, più di cinque milioni di persone che dipendevano da questi aiuti saranno spinte sull’orlo della morte, una decisione «terribile e ingiusta», che condanna un popolo, come quello siriano, che non ha modo di far sentire la propria voce. Oltre che dalla guerra, la Siria è stata gravemente colpita anche dal terremoto del febbraio 2023, soprattutto nelle zone di confine con la Turchia.

Pur riconoscendo che la Chiesa e le organizzazioni non governative che operano in Siria hanno fatto moltissimo per rispondere ai bisogni urgenti della popolazione durante gli anni di guerra, secondo il presule siriano, con la cessazione dell’assistenza umanitaria da parte delle Nazioni Unite, di cui beneficiavano buona parte dei siriani, rimangono poche speranze per evitare che la gente inizi a morire di fame. Chiesa e organizzazioni umanitarie internazionali infatti non sono in grado di provvedere a tutte le persone bisognose di aiuto, una realtà aggravata dal fatto che è molto difficile inviare denaro al Paese dall’estero, a causa delle sanzioni imposte al Paese dall’Onu, dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti.

All’indomani dei forti terremoti che avevano colpito a febbraio 2023 la Turchia meridionale e la Siria settentrionale, gli appelli a revocare le sanzioni alla Siria erano diventati virali sui social media; alcuni Paesi, tra cui Venezuela, Cina, Russia e Cuba e alcuni esperti delle Nazioni Unite avevano chiesto la revoca o l’alleggerimento delle sanzioni unilaterali sulla Siria. Sul fronte opposto, i funzionari degli Stati Uniti e dell’Unione Europea e i sostenitori delle sanzioni avevano affermato che le sanzioni includevano eccezioni umanitarie e non avevano alcun effetto sulle operazioni umanitarie in Siria, sottolineando che gli stessi Paesi occidentali che impongono sanzioni alla Siria sono anche i maggiori finanziatori delle operazioni delle agenzie dell’Onu in Siria.

Ebbene, ora che il programma alimentare delle Nazioni Unite ha ridotto drasticamente gli aiuti alla Siria per un’asserita mancanza di fondi, per l’UE e gli USA torna di attualità l’abolizione di tutte le sanzioni nei confronti della Siria e cade ogni ipocrita giustificazione per mantenere l’occupazione straniera di parte del territorio, ricco di pozzi petroliferi, come da tempo affermato dal Cato Institute.

Tanto più ingiustificabile è l’atteggiamento di mantenere sanzioni e tagliare sostegni alimentari per affamare il popolo siriano e impedirne la ripresa sociale, economica e civile. «Come possiamo fare, come può vivere il popolo siriano? Ci sono già molte famiglie siriane che mangiano una volta al giorno, solo una volta al giorno. Abbiamo dimenticato cos’è il riscaldamento, perché non possiamo comprare olio o legna da ardere, abbiamo dimenticato cos’è l’acqua calda, abbiamo dimenticato cos’è una società», ha denunciato con forza l’arcivescovo di Homs, che ha chiesto: «Perché vogliono far morire questo popolo? Non è possibile che il mondo intero abbandoni il popolo siriano, cosa abbiamo fatto di male per essere condannati a morire?».

A raccogliere il grido di dolore e preoccupazione di mons. Mourad è stata la Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre. Regina Lynch, presidente esecutivo della fondazione, ha dichiarato che nel 2024 la Siria sarà uno dei principali Paesi serviti dall’organizzazione: «In Siria non possiamo parlare di persecuzione in sé, ma stiamo entrando nel tredicesimo anno di guerra, c’è ancora molto conflitto e il terremoto ha reso tutto ancora più difficile. C’è sempre il rischio che la Siria esca dal radar; quindi, è importante per noi continuare a concentrarci sulla Siria e ricordare alla gente cosa sta accadendo lì».

Ora, al G7 o nel prossimo Parlamento europeo, è auspicabile che il governo italiano prenda l’iniziativa, affinché si compiano passi decisi per liberare la Siria da sanzioni omicide dell’intero popolo.

Il 90% dei siriani vive sotto la soglia di povertà e l’Onu taglia gli aiuti

L’ economia della Siria si basa sul settore estrattivo, incentrato sul petrolio (Qarah Shuk, Suwaidiyya, Rumilan, Tayyem), che costituisce oltre il 60% delle esportazioni. un oleodotto collega i campi petroliferi del NE con Homs e con il porto di Baniyas, mentre nella parte meridionale del paese passa l’oleodotto al-Qatif-Sayda. Gli Stati Uniti estraggono il petrolio siriano nelle regioni del Nord controllate dai ribelli ostili al regime.

Nel 2023 i Paesi donatori non si sono impegnati a sufficienza per fronteggiare l’emergenza umanitaria in Siria, dove, dopo oltre 12 anni di guerra e il terremoto che causò decine di migliaia di vittime, manca l’elettricità e l’acqua potabile è distribuita soltanto per poche ore alla settimana, ma per 11 milioni di siriani è un sogno.

Terremoto in Siria

Circa un anno fa, l’Italia è diventata il primo Paese dell’Unione Europea a inviare aiuti ai terremotati in Siria: una squadra composta da 50 operatori, tra pompieri e sanitari, quattro ambulanze e 13 pallet di attrezzature mediche, diretti nelle città di Lattakia, Aleppo, Hama e Tartous attraverso la distribuzione organizzata dalla Mezzaluna rossa siriana (Sarc). Una goccia in un mare. In giugno si calcolava che 12 milioni di siriano fossero alla fame.

Facciamola questa guerra, se proprio dobbiamo e facciamola finita con questa disumanità.

5996.- I palestinesi non hanno armi in grado di distruggere l’ospedale di Gaza, dice Margelletti (consigliere del ministro Crosetto)

Lo scambio di accuse fra Israele, Hamas e il Movimento Jihad islamico palestinese viene posto a confronto con le armi idonee a far collassare un ospedale e chi di questi le possiede. Le prove accusatorie verso Hamas portate da Biden e da Israele non soddisfano questo confronto. Concludiamo l’argomento della strage dell’ospedale di Gaza con una opinione di rilievo che fonda su elementi concreti. Jihad islamico, Hamas, Israele, chi di questi possiede missili capaci di far collassare un ospedale?

Secondo Andrea Margelletti, presidente del CeSI e consigliere del ministro Crosetto, Hamas e Jihad Islamico non possiedono armi “in grado di causare una distruzione come quella riportata all’ospedale di Gaza”. Tuttavia, secondo Project Owl, analisti e collaboratori del New York Times, la versione di Hamas non è credibile.

Ospedale Gaza

Da Startmag, di Marco Dell’Aguzzo, 19 Ottobre 2023 16:29

I miliziani di Hamas e di Jihad Islamico “non sono in possesso di armamenti in grado di causare una distruzione come quella riportata all’ospedale di Gaza”. Lo ha detto alla Stampa Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali e consigliere del ministro della Difesa, Guido Crosetto.

LO SCAMBIO DI ACCUSE SULL’ESPLOSIONE ALL’OSPEDALE DI GAZA

Hamas sostiene che l’ospedale sia stato bombardato da Israele, il quale accusa però il Jihad Islamico, un altro gruppo estremista della Striscia di Gaza. Gli Stati Uniti, sulla base delle informazioni in loro possesso, ritengono che la responsabilità dell’esplosione all’ospedale di al Ahli non sia israeliana. Mancano, tuttavia, elementi certi che permettano di ricostruire con certezza quanto accaduto.

COSA HA DETTO MARGELLETTI

Secondo Margelletti, “da quello che risulta da fonti aperte, Hamas o […] Jihad islamica palestinese non sarebbero in possesso di armamenti in grado di fare danni come quelli procurati all’ospedale”.

“Per far collassare un palazzo”, prosegue il noto analista militare già in passato consigliere di altri ministri della Difesa, “questo deve cadere su stesso ovvero deve implodere. Per far si che il palazzo imploda occorre tirare un vettore talmente potente che entri dentro il palazzo senza esplodere all’impatto, raggiunga le fondamenta e le faccia saltare così da far crollare la struttura su sé stessa. È quello che viene chiamato bunker buster, uno scenario che si può verificare con armamenti in possesso di una serie di nazioni che hanno nella loro pianificazione tattica quella di colpire i bunker ovvero strutture sotterranee, situate anche a dieci piani sottoterra, laddove sovente vengono nascosti gli arsenali. Da fonti aperte non risulterebbero armi di questo genere in possesso di Hamas o Jihad, ma non risulterebbero da fonti aperte non vuol dire per forza che non le abbiano. Tutte le armi utilizzate dai palestinesi risultano armi a contatto, esplodono all’impatto con l’obiettivo, armi che fanno danni, possono tirare giù un piano di un ospedale ma non va giù l’ospedale e fa 500 morti. Perché se ci sono stati 500 morti, ma anche 300 o 200 morti, il palazzo è imploso”.

LA VERSIONE DI PROJECT OWL

Secondo Project Owl, un gruppo di intelligence open source (OSINT) che collabora anche con il New York Times, non è possibile escludere la responsabilità del Jihad islamico perché il danno riportato nel complesso dell’ospedale di Gaza – un cratere largo circa un metro, come spiegava anche la giornalista Cecilia Sala – è compatibile con i razzi in possesso del gruppo ma non con le bombe utilizzate da Israele.

A essere stato colpito, poi, non è stato l’ospedale ma il parcheggio dell’ospedale. L’impatto del razzo non ha fatto esplodere l’edifico ma le finestre, colpendo i palestinesi rifugiatisi nella struttura. Basandosi sulle analisi di Project Owl, Sala scrive che “è credibile che ci siano stati decine di morti, è molto improbabile che i morti siano stati centinaia” come sostiene Hamas.

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Da un articolo di Claudio Bertolotti per Strategic Analysts and Research Team, questo estratto su chi è il Movimento Jihad islamico.

“Il movimento Jihad islamico, organizzazione radicale riconosciuta come terrorista da Unione Europea, Stati Uniti, Canada e Israele, è la seconda più grande fazione militante palestinese a Gaza dopo Hamas (oggi al governo della striscia). Da quando nel 1981 è stata fondato il Jihad islamico, il movimento terroristico ha lanciato migliaia di razzi e ha portato a compimento innumerevoli azioni finalizzate a danneggiare e uccidere civili israeliani. Creato su iniziativa di soggetti islamisti, il gruppo affonda le sue radici nei campi profughi palestinesi e si ritiene che comprenda oggi alcune migliaia di combattenti. Considerata da Israele una proxy force iraniana, avrebbe il suo comando strategico nella capitale siriana, Damasco; sempre secondo Israele, il gruppo riceverebbe milioni di dollari in finanziamenti iraniani ogni anno con i quali finanzierebbe le azioni terroristiche ai danni di Israele. Solo quest’anno il Jihad islamico ha lanciato centinaia di razzi contro strutture in territorio israeliano, ha altresì tentato di infiltrarsi in Israele scavando tunnel sotterranei da utilizzare per attacchi e ha sparando contro i militari dell’IDF in servizio sulla linea di confine.

Sia Hamas che il Jihad islamico invocano “la distruzione di Israele”, concentrano le proprie azioni terroristiche contro i civili. Tra i due, il Jihad islamico è considerato più aggressivo, soprattutto perché può concentrarsi su attività militari, a differenza di Hamas che deve governare 2 milioni di persone nell’enclave palestinese. Mentre Hamas e il Jihad islamico mantengono un rapporto che può essere definito di “cauta alleanza”, quest’ultimo manifesta il proprio disappunto e frustrazione a causa delle tregue non ufficiali tra Hamas e Israele.”

5958.- Israele provoca, Hamas risponde. E la danza di morte continua.

Difficile per chi ricorda l’olocausto e, poi Exodus, parteggiare per i palestinesi e più difficile è trovare nei media occidentali traccia delle bestialità che questi subiscono da un nemico mai sazio, mentre distrugge e si espande recitando e cantando preghiere. Parlare di convivenza pacifica, come andava predicando la Mogherini, significa non aver capito l’odio che da entrambe le parti fa santo ogni lavacro di sangue. È un odio reciproco e ne sono vittime entrambi. Per chi, come noi, aspira ad un mercato comune del lavoro nel Mediterraneo allargato, l’auspicio è che si ponga fine a queste mattanze, costi quel che costi. Non c’è vergogna nel pensiero che accetterebbe la fine di uno qualsiasi dei due popoli, qualunque siano le sue ragioni, purché sia finita; ma sarebbe, poi, finita o Israele, dopo il Golan, dopo Gaza, vorrebbe dominare di più? E gli arabi? Davanti agli occhi scorrono le orride immagini da Homs del Giuramento dei cadetti siriani e dei loro familiari straziati dai droni. Finora nessuna rivendicazione. Ma i drone sarebbero partiti dalle aree controllate da jihadisti e dai cosiddetti ribelli. Dov’è il perché?

Hamas lancia un attacco senza precedenti: razzi, uomini e mezzi in Israele. Hamas ha attaccato realizzando in pieno la sorpresa, superando le difese israeliane anche dall’aria.

Hamas attacca Israele. Come tutto è cominciato

Da Pagine esteri, di Eliana Riva | 7 Ott 2023

Hamas attacca Israele. Come tutto è cominciato

Pagine Esteri, 7 ottobre 2023 – Un improvviso attacco con razzi e incursioni è scattato alle prime ore di sabato da Gaza verso decine di località in Israele. Sono stati lanciati da Hamas e altre organizzazioni in pochi minuti centinaia di razzi verso il sud di Israele fino alla periferia di Tel Aviv, razzi diventati, secondo le autorità israeliane, 2.500 in poche ore.

I sistemi di difesa israeliani sono stati colti di sorpresa e diversi razzi hanno colpito vari centri abitati, uccidendo una donna di 70 anni e facendo numerosi feriti. Nello stesso momento, secondo notizie diffuse dai media, almeno 4 unità scelte delle Brigate Ezzedin al Qassam, a bordo di pick-up si sono infiltrate in territorio israeliano ingaggiando combattimenti con l’esercito israeliano, con morti e feriti. 

Decine di uomini di Ezzedin El Qassam, l’ala militare di Hamas, sono penetrati in territorio israeliano per molti chilometri, infiltrandosi negli insediamenti israeliani e assaltando la stazione di polizia della città di Sderot. Si sono impossessati di diverse jeep dell’esercito israeliano, portandole dentro Gaza.

I video mostrano palestinesi armati a bordo di jeep militari israeliane portate all’interno di 

Gaza.

Sono 57 al momento, tra civili e militari, gli israeliani catturati dai miliziani di Hamas e portati all’interno Gaza. Non è chiaro se siano tutti vivi.

Il leader di Hamas, Mohammad Deif, ha dichiarato che l’operazione “Tempesta di Al Aqsa” è stata lanciata per rispondere all’occupazione del sito religioso di Al Aqsa e alle azioni dei coloni israeliani che sono penetrati nei villaggi palestinesi, saccheggiando, distruggendo e uccidendo alcuni abitanti. “Questo è il giorno della più grande battaglia per porre fine all’ultima occupazione sulla terra“, ha dichiarato Mohammad Deif, chiamando i gruppi armati palestinesi del Libano alla guerra contro Israele.

Israele ha dichiarato di aver lanciato l’operazione “Spada di Ferro” in risposta all’attacco di Hamas e sono cominciati i bombardamenti della Striscia di Gaza. Nei video pubblicati in rete si vedono decine di corpi tra quelli dei militari israeliani e dei combattenti palestinesi.

Dall’inizio dell’anno, prima di oggi, nella Cisgiordania occupata sono stati uccisi circa 200 palestinesi, tra i quali civili e bambini. la maggior parte durante raiddell’esercito o dai coloni israeliani. Gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania dall’inizio dell’anno hanno causato la morte di 27 coloni e civili e di tre soldati.

Il governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu ha intensificato l’abbattimento delle case dei palestinesi, l’espansione delle colonie illegali, gli arresti e le detenzioni amministrative senza accuse. Ma ha anche consentito e anzi incoraggiato le azioni del movimento dei coloni. Questo si è tradotto, soprattutto sotto la spinta e la protezione del Ministro della sicurezza, l’estremista e suprematista Ben Gvir, in impunità politica e legislativa che ha incentivato azioni violente e provocatorie nei confronti della popolazione araba residente in Israele e di quella palestinese dei Territori. Molti di questi coloni ritengono che Israele debba comprendere l’intera Palestina storica (il territorio di Israele più la Cisgiordania e Gaza palestinesi) e che gli arabi non debbano veder riconosciuti gli stessi diritti dei cittadini israeliani. Cosa che di fatto già accade, per quanto riguarda i permessi di lavoro, gli spostamenti, i processi, la detenzione e tantissimi altri aspetti che condizionano la vita quotidiana.

“Il mio diritto, quello di mia moglie e dei miei figli, di muoverci sulle strade in Giudea e Samaria (la Cisgiordania, ndr), è più importante del diritto di movimento degli arabi (i palestinesi sotto occupazione israeliana, ndr)”. Si è espresso con queste parole il ministro israeliano della Sicurezza ed esponente di punta dell’estrema destra Itamar Ben Gvir, alla fine dello scorso agosto, durante una intervista alla tvCanale 12 sull’aumento della tensione e delle uccisioni in Cisgiordania.

E questa tensione crescente si è trasformata in raid militari senza precedenti negli ultimi anni, come quello dell’esercito israeliano nel campo profughi e nella città palestinese di Jenin, lo scorso luglio, in attacchi palestinesi ai coloni e ai civili israeliani. Ma anche in incursioni e scorribande dei coloni che sono entrati nei villaggi palestinesi, hanno distrutto, incendiato e in alcuni casi uccido residenti. In quei momenti l’esercito israeliano non è intervenuto e, se lo ha fatto, è stato spesso per arrestare e fermare i palestinesi che si opponevano alla distruzione dei propri negozi, delle automobili, dei raccolti, degli alberi di olivo.

Come nel villaggio di Huwara dove, dopo i pogrom di maggio, i coloni sono rientrati, lo scorso giovedì 5 e, guidati da un deputato e protetti dalle forze di sicurezza israeliane, hanno montato una tenda e cominciato a celebrare la festività ebraica dei Tabernacoli, recitando e cantando preghiere nel cuore della notte.

… recitando e cantando preghiere nel cuore della notte…”

L’Occidente è con il Primo Ministro Benjamin Netanyahu

Dal sito “Noi Poliziotti per sempre”

In risposta alle migliaia di missili lanciati da Hamas dall’enclave palestinese, Israele continua gli attacchi aerei sulla striscia di Gaza, dove ha colpito le residenze della leadership di Hamas.

I combattimenti sono in corso anche a terra, in 22 località nel sud del Paese secondo quanto dichiarato dall’esercito israeliano. E con il passare del tempo cresce anche il numero delle vittime da entrambe le parti.

Secondo gli ultimi dati, i morti israeliani sono almeno 250, più di 1.100 i feriti. mentre decine di persone sono state portate a gaza e tenute in Ostaggio. Il bilancio descrive il più grave attacco degli ultimi decenni nella storia di Israele.

Un costo umano non meno grave per la popolazione palestinese. A causa dei raid israeliani sono morte almeno 232 persone e quasi 1.700 sono rimaste ferite, ha dichiarato il ministero della Salute di Gaza.

Un attacco israeliano ha distrutto un grattacielo nel centro di Gaza City. La Palestine Tower, di 14 piani, era la sede di uffici collegati ad Hamas e alla Jihad islamica. Ma ospitava anche decine di famiglie che hanno avuto dieci minuti di preavviso per evacuare. La distruzione non ha causato vittime.

Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che il Paese è “in guerra” e ha mobilitato migliaia di riservisti. Dai banchi dell’opposizione Yair Lapid si è detto disposto a creare un governo di unità nazionale per affrontare l’emergenza.

Tel Aviv ha anche annunciato il il taglio della fornitura elettrica a Gaza, che dipende da israele e dalle importazioni di carburante per il suo approvvigionamento energetico.

Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha detto al segretario di Stato statunitense Antony Blinken che “l’ingiustizia” nei confronti dei palestinesi sta facendo esplodere il conflitto con Israele, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa palestinese Wafa.

In una telefonata, Abbas ha anche detto che l’escalation in corso è dovuta alle “pratiche dei colonialisti e delle forze di occupazione israeliane, e all’aggressione contro i luoghi sacri dell’Islam e della cristianità.

Il presidente statunitense Joe Biden ha condannato gli attacchi di Hamas e ribadito la vicinanza del suo Paese a Israele: “In questo momento di tragedia, voglio dire ad [Hamas], al mondo e ai terroristi di tutto il mondo: Gli Stati Uniti sono al fianco di Israele. Israele ha il diritto di difendere se stesso e il suo popolo, punto e basta. Non c’è mai una giustificazione per gli attacchi terroristici e il sostegno della mia amministrazione alla sicurezza di Israele è solido e incrollabile”.

Hamas e Israele, continuano gli scontri e i raid su Gaza: Centinaia di morti e migliaia di feriti

Ostaggi rinchiusi nei tunnel di Hamas a Gaza

Nel corso dell’attacco al territorio israeliano, il Movimento per il jihad islamico in Palestina (Pij) e le brigate Al-Qassam di Hamas hanno rapito numerosi civili e soldati israeliani. Gli ostaggi dovrebbero essere circa un centinaio e l’ala militare dell’organizzazione terroristica di Gaza ha affermato di averli nascoste in case sicure e tunnel segreti.

Della fittissima rete sotterranea scavata sotto la Striscia si è iniziato a parlare per la prima volta negli anni Ottanta. Al tempo essa collegava il territorio con l’Egitto e non aveva scopi militari. Era utilizzata principalmente per trasportare illegalmente beni di vario genere nella Gaza occupata dalle forze israeliana. I tunnel sono stati notevolmente ampliati a partire dal 2007, quando Hamas ha preso il controllo dell’exclave e ha iniziato ad usarli per le loro operazioni. L’episodio più eclatante risale al 2006, quando i palestinesi riuscirono a rapire il soldato Gilad Shalit utilizzando proprio questa rete sotterranea.

Nuovi villaggi di coloni da una parte, tunnel dall’altra.

I tunnel sono stati uno dei bersagli principali dell’operazione “Margine di protezione”, lanciata dall’Idf nel 2014. Le forze israeliane invasero la Striscia di Gaza, con l’obiettivo di distruggere le gallerie che portavano nel loro territorio. Dopo quasi due mesi di conflitto, Tel Aviv annunciò di averne distrutte 34, sottolineando però che Hamas ne aveva costruiti più di 1.300 dal 2007, spendendo 1.25 miliardi di dollari. Già nel 2006, il vicecapo del gruppo terroristico Ismail Haniyeh disse che avevano costruito una rete due volte più estesa di quella usata dai vietcong contro gli Stati Uniti.

Ad oggi, i tunnel sono utilizzati da Hamas per ammassare equipaggiamento, spostare armi e uomini, come arterie di trasporto e centri di comando. Alcuni conducono direttamente alle comunità israeliane costruite vicino al confine, garantendo ai terroristi la possibilità di infiltrarsi e condurre azioni-lampo come rapimenti e attacchi ai villaggi. Le gallerie vengono spesso costruite sotto aree densamente popolate, per rendere più difficile alle forze di Tel Aviv localizzarli e distruggerli. Gli ingressi sono nascosti sotto scuole, moschee, ospedali e altre strutture civili.

Secondo l’Idf, Hamas requisisce i materiali che Israele invia ogni mese a Gaza per la costruzione di strutture civili e le impiega per il potenziamento della rete sotterranea. Le forze israeliane riportano che, dal gennaio del 2014, “4.680 camion che trasportavano 181 mila tonnellate di ghiaia, ferro, cemento, legno e altre forniture sono passati attraverso il valico di Kerem Shalom verso Gaza. Hamas avrebbe potuto costruire case, ospedali, scuole e biblioteche. Avrebbe potuto costruire infrastrutture per migliorare la qualità della vita dei residenti di Gaza. Invece, ha scelto di espandere la sua città terroristica sotterranea”.

Ostaggi nascosti nei tunnel: i segreti della rete sotterranea di Hamas a Gaza

3802.-I militanti delle SDF, sostenuti dagli Stati Uniti, rubano 140.000 barili al giorno di petrolio siriano ad Hasakah: rapporto

News Desk by News Desk 2021-02-22 in Syria

TEHRAN (FNA)-

I militanti delle forze democratiche siriane (SDF), sostenute da Washington, rubano ogni giorno 140.000 barili di greggio dai giacimenti petroliferi nella provincia nord-orientale di Hasakah, in Siria, secondo un rapporto.

Ghassan Halim Khalil, governatore di Hasakah, ha annunciato la triste notizia in un’intervista al quotidiano libanese al-Akhbar sabato, aggiungendo che i militanti delle SDF stanno saccheggiando il petrolio siriano in vari modi, il tutto con la partecipazione e il sostegno delle forze americane schierate nel regione.
Ha sottolineato che le informazioni precise raccolte e ricevute mostrano che i militanti sostenuti dagli Stati Uniti utilizzano camion cisterna dell’area di Taramish nel Tigri e al-Malikiyah per contrabbandare il petrolio siriano nel vicino Iraq.

Khalil ha inoltre osservato che molte autocisterne passano ogni giorno attraverso l’attraversamento illegale di al-Mahmoudiyah in Iraq, aggiungendo che i militanti delle SDF inviano regolarmente anche montagne di petrolio rubato nelle loro aree controllate in Siria.
Il governatore siriano ha anche rivelato che le forze Usa avevano ordinato ai militanti delle SDF di non consentire alle aree controllate da Damasco di ricevere petrolio.

Khalil ha detto che mentre il popolo siriano soffre il freddo e la fame, questi militanti sostenuti dagli Stati Uniti saccheggiano le risorse petrolifere nazionali della Siria.
Il saccheggio del petrolio siriano da parte degli Stati Uniti è stato confermato per la prima volta durante uno scambio di audizioni al Senato tra il senatore repubblicano della Carolina del Sud Lindsey Graham e l’allora segretario di Stato americano Mike Pompeo lo scorso luglio.

Durante la sua testimonianza al Comitato per le relazioni estere del Senato, Pompeo ha confermato per la prima volta che una compagnia petrolifera americana inizierebbe a lavorare nella Siria nord-orientale, controllata dalle SDF, che è un’alleanza di militanti curdi che operano contro Damasco e che attualmente controlla le aree della Siria settentrionale e orientale.

Il governo siriano all’epoca ha denunciato con la massima fermezza l’accordo siglato per saccheggiare le risorse naturali del Paese, inclusi petrolio e gas siriani, con il patrocinio e il sostegno dell’amministrazione dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Dalla fine di ottobre 2019, gli Stati Uniti hanno ridistribuito i soldati nei giacimenti petroliferi controllati dalle SDF nella Siria orientale in un’inversione del precedente ordine di Trump di ritirare tutte le truppe dal paese dilaniato dalla guerra.
Il Pentagono afferma che la mossa mira a “proteggere” i campi e le strutture da possibili attacchi dei terroristi Takfiri Daesh (noto anche come ISIL o ISIS).
Allo stesso tempo, Trump ha notoriamente affermato che gli Stati Uniti cercano interessi economici nel controllo dei giacimenti petroliferi.
Una coalizione militare guidata dagli Stati Uniti ha martellato quelle che affermava essere le posizioni di Daesh all’interno della Siria dal settembre 2014 senza alcuna autorizzazione da parte del governo di Damasco o un mandato delle Nazioni Unite. In molte occasioni, gli attacchi hanno provocato vittime civili e non hanno rispettato obiettivo della lotta al terrorismo.

3557.- Siria, il decimo Natale senza pace

di Maurizio Blondet

Nella dimenticata Siria da dieci anni di terrorismo, di guerra e ora di fame a causa delle sanzioni imposte dagli Usa. L’articolo si riferisce alla Valle dei Cristiani, dove prima della guerra vivevano 1200 famiglie cristiane, mentre ora ne sono rimaste solo 300: la cancellazione della presenza cristiana in Siria è uno degli obiettivi degli amici degli Usa nel Vicino Oriente. Nella foto: la chiesa di Idlib, con i simboli cristiani esterni distrutti dai terroristi. Idlib, noi prigionieri nella roccaforte dell’Isis Si parla poco oggi della Siria, siamo lontano dai riflettori. Direi che siamo messi ai margini. Per chi come noi vive nella provincia di ldlib, la situazione è ormai la stessa da tempo: tutte le strade sono completamente chiuse, non si passa né verso la parte controllata dalle forze siriane né verso la Turchia. Siamo come naufraghi su un’isola. Da una parte è un male, dall’altra è un bene. È un male, perché non abbiamo letteralmente più nulla. La vita è carissima e la gente è alla fame: per vivere una famiglia avrebbe bisogno almeno di 600 dollari al mese, ma un capofamiglia arriva a guadagnarne appena 30. Così è aumentata la criminalità: moltissimi rubano per necessità e per fame. L’unica possibilità di sussistenza è legata al lavoro agricolo, ma le campagne sono insicure perché vengono bombardate o si rischiano incursioni da parte delle milizie islamiche che controllano la regione. Tutto si compra e si vende al mercato nero.La tregua decisa da turchi e russi lo scorso 5 marzo, per favorire il ritorno degli sfollati, tiene anche se ogni giorno ci sono violazioni, sia da parte dei combattenti jihadisti che non vogliono la pace e che boicottano la riapertura della vicina autostrada M4, sia da parte delle forze governative e russe.Oggi nella provincia di Idlib resta a malapena un milione persone, molto meno della metà dei suoi abitanti, perché 2 milioni sono fuggiti in Turchia. Chi è rimasto vive giorno per giorno, senza pensare al futuro, perché il futuro è un’ipotesi.Resta forte la presenza dei ribelli jihadisti anti-Assad, che, cacciati dalle altre zone del Paese riconquistate dall’esercito regolare, si sono rifugiati qui. Chi di loro lascia il territorio lo fa per andare a combattere da mercenario, ad esempio in Libia o nello Yemen, o per ingrossare le fila dei combattenti islamici nelle regioni russe del Caucaso. Altri ancora entrano in una sorta di milizia che lo Stato islamico sta formando con le risorse fornite da Qatar e Turchia. Il territorio continua a essere pattugliato dai combattenti che arrivano quando meno te lo aspetti. Non hanno basi riconoscibili, per paura di essere bombardati dall’aviazione russa. Hanno scavato rifugi sotterranei o si servono di grotte per celare la loro presenza e i loro arsenali.Nessuno in realtà sa dove siano! L’aspetto sanitario, paradossalmente, è quello meno preoccupante rispetto al resto della Siria. La chiusura totale della provincia di ldlib, il blocco delle strade, ha impedito finora il propagarsi del Covid-19, se non in qualche sporadico caso subito isolato.Non abbiamo smesso di celebrare, le chiese sono aperte… Non abbiamo chiusa neanche una porta.l cristiani della valle dell’Oronte, nelle nostre residue comunità cristiane, vivono quasi solamente degli aiuti esterni. Cerchiamo di provvedere ai più poveri soprattutto con aiuti alimentari che acquistiamo attraverso le donazioni che arrivano dalla Custodia e dai benefattori. La vera sfida oggi è tenere unite le famiglie, custodire chi è rimasto e garantire la trasmissione della fede in un contesto fortemente islamizzato.Nei villaggi della valle dell’Oronte sono rimaste circa 300 famiglie cristiane, con una trentina di ragazzi in età scolare. La dimensione della tragedia sta tutta in questi numeri: prima della guerra la comunità cristiana delle nostre tre parrocchie contava oltre 1.200 nuclei familiari.Dalla rivista Terrasanta, Settembre-Ottobre 2020.

3284.- I droni di Erdogan promuovono nel mondo l’industria militare turca

La versione TB2 dell’UAV Bayraktar, creata dalla compagnia “Baykar Makina”, costituisce l’armamento delle forze di terra della Turchia. È una modifica del blocco B “Bayraktar” (il primo volo di questa versione ha avuto luogo nell’aprile 2014 ) e appartiene alla classe degli UAV tattici di media altitudine con una lunga autonomia. La lunghezza del velivolo è di 6,5 m, l’apertura alare di 1 2 m, il raggio di azione è di 150 km, il peso massimo al decollo è di 650 kg, il peso massimo del carico utile è di 50 kg. L’UAV è dotato di un motore a combustione interna Rotax 912 con una capacità di 100 litri. La velocità massima di volo di 222 km / h, in crociera – 130 km / h, tangenza pratica di 6 m. I successi dell’UAV Bayraktar sui sistemi contraerei PANTSIR S-1 della KBP di Tula sono stati colti su unità in manutenzione o in movimento, durante il quale non sono operativi il radar e le armi di bordo.

Scrivevano, a marzo 2020 Near East News Agency, Agenzia Nova, il Manifesto e altri: La maggior parte dei recenti attacchi aerei contro obiettivi siriani – e anche libici – sono stati condotti con droni costruiti dalle imprese turche Kale Group e Baykar Technologies. Erdogan punta a portare a 10 miliardi entro il 2023 le esportazioni di armi turche

Erdogan su un drone turco (foto Ahvalnews)

Nena News – Gli analisti divergono su chi sia uscito vincitore dalla recente escalation a Idlib tra le forze militari turche e l’esercito siriano, sfociata nella tregua precaria annunciata da Recep Tayyib Erdogan e il leader russo Vladimir Putin, alleato di Damasco. Comunque sia andata, il presidente turco Erdogan non può lamentarsi. Ha ottenuto qualcosa che potrebbe rivelarsi molto redditizio per il suo paese. L’offensiva militare in Siria è stata una efficace campagna di marketing per le industrie belliche turche, in particolare per la produzione di droni.

A febbraio la Turchia ha abbattuto tre caccia bombardieri e distrutto 82 obiettivi siriani, tra cui nove carri armati, due mortai Howitzer, sei lanciarazzi, due veicoli militari. Ha ucciso almeno 350 soldati di Damasco e combattenti delle milizie alleate (sono 50 i turchi morti). Centinaia i feriti. La maggior parte dei micidiali attacchi aerei contro obiettivi siriani sono stati condotti con droni costruiti dalle imprese turche Kale Group e Baykar Technologies. Un successo per la politica di Erdogan di costruzione di un’infrastruttura militare e tecnologica indipendente che non si affidi a fornitori esterni. Il Kale Group racchiude 17 società, alcune delle quali forniscono componenti per gli aerei da combattimento americani. La Baykar Technologies, di cui è un importante dirigente il genero di Erdogan, Selcuk Bayraktar, è la società leader nella progettazione e produzione di droni tra i più avanzati al mondo. E il governo turco stanzierà altri 100 milioni di dollari per lo sviluppo dei droni con fondi prontamente resi disponibili dell’altro genero di Erdogan, il ministro delle finanze Berat Albayrak.

Un UAV turco Bayraktar TB2 abbattuto in Libia.  La sconfitta dell’UAV Bayraktar TB2 è stata segnalata dal servizio stampa dell’esercito nazionale libico. 

L’impiego massiccio dei droni da parte dei turchi ha sorpreso i comandi militari di molti paesi, soprattutto quelli della Nato. Ankara, dicono, ha «rivoluzionato la guerra». Avendo scelto di non impiegare i caccia F-16 per scongiurare un probabile intervento dell’aviazione russa a difesa delle forze siriane, i comandi turchi hanno fatto decollare decine di droni che hanno colpito con straordinaria precisione le truppe, le rampe di missili, l’artiglieria e i mezzi corazzati siriani. I droni inoltre hanno guidato il fuoco dell’artiglieria. Il 27 febbraio, per la prima volta nella storia militare, velivoli comandanti a distanza e armati con bombe di precisione hanno offerto appoggio ravvicinato alle operazioni delle truppe di terra – compito svolto di regola da aerei pilotati da uomini – spianando la strada ai jihadisti siriani alleati di Erdogan intorno a Saraqeb, prima che la città fosse liberata dalle forze governative quattro giorni dopo. Attacchi con droni che i sistemi di difesa missilistici dei siriani, che includono il russo Pantsir-S1, non sono riusciti a fermare.

Le immagini dei carri armati siriani distrutti dai droni assieme ai loro equipaggi – mostrate in decine di filmati messi in rete dalle forze armate turche – contribuiranno a realizzare i piani del ministero della difesa turco che punta portare le esportazioni dell’industria bellica da due a 10 miliardi nel 2023.

Ankara di recente ha sviluppato il missile MAM-L specifico per droni, ridisegnandolo dal missile anticarro L-UMTAS e inizierà la produzione di armi senza pilota in Ucraina, ha dichiarato di recente l’ex capo del dipartimento militare ucraino, Andrei Zagorodniuk. “La Turchia è pronta a lavorare con noi. I droni sono un’arma molto promettente, sono estremamente efficaci “, ha detto Zagorodniuk. Secondo Defence Express, l’Ucraina ha già ricevuto sei droni turchi Bayraktar TB2 da ricognizione. Nena News

3072.- Siria, cresce il malcontento tra le milizie assoldate dalla Turchia

Donald Trump ha definito impulsive le operazioni della Turchia.

Siria, Cresce Il Malcontento Tra Le Milizie Alleate Della Turchia
Ankara sempre più in difficoltà: da Idlib a Tal Abyad aumenta il nervosismo nel FSA, che teme di essere schiacciato da HTS. La M4 è ancora bloccata e la guerra ai curdi non sta dando frutti.

Cresce il malcontento tra le milizie alleate della Turchia nel nord della Siria. Aumentano le proteste e gli scontri interni al FSA da Idlib a Tal Abyad

Nel nord della Siria cresce il malcontento delle milizie alleate della Turchia. Nei giorni scorsi c’è stata una protesta di alcuni gruppi del Free Syrian Army (FSA) per chiedere un aumento dei salari e una rotazione tra Idlib e Tal Abyad. Inoltre, c’è rabbia per il fatto che Ankara stia permettendo ad Hayat Tahrir al-Sham (HTS) di crescere nella regione, senza fare nulla per ristabilire gli equilibri. Ciò ha già si causato scontri interni tra jihadisti locali con diversi morti. La motivazione ufficiale sono screzi per il controllo di alcune aree. In realtà, gli analisti interpretano gli eventi come un segnale di nervosismo crescente, dovuto alla paura di perdere peso e di finire schiacciati dalla formazione rivale. Peraltro, l’arrivo del coronavirus nel paese mediorientale ha complicato la partita. Le operazioni contro Damasco e i curdi si sono quasi interrotte e c’è grande timore di essere contagiati.

Ankara è sempre più in difficoltà. La M4 è ancora off-limits ai pattugliamenti joint con la Russia e la guerra ai curdi non sta portando frutti

La Turchia, di conseguenza, è sempre più in difficoltà. L’accordo firmato con la Russia lega le mani ad Ankara sul possibile sostegno alle milizie alleate. Inoltre, gli sforzi di diplomazia parallela sui pattugliamenti joint sulla M4 si sono rivelati controproducenti. HTS li ha usati per acquisire consenso, accusando i gruppi rivali di schierarsi contro la popolazione di Idlib, contraria al passaggio dei convogli stranieri sull’autostrada. Non a caso tutte le attività condotte finora sono state obbligate a fermarsi a Nayrab. Anche i ripetuti attacchi contro le SDF curde e il SAA non hanno portato risultati. Non c’è stato, infatti, alcun guadagno strategico o in termini di terreno. L’unica alternativa, quindi, sarebbe intervenire militarmente in maniera massiccia nel nord della Siria. Ciò, però, metterebbe a rischio la tregua e il controllo dell’area d’influenza. Senza contare che con ogni probabilità determinerebbe la nascita di nuovi nemici, per di più vicino al confine.

17 Aprile 2020, Francesco Bussoletti, Difesa e Sicurezza

Pesanti scontri tra esercito siriano e militanti nella campagna orientale di Idlib

17-04-2020

Una serie di pesanti scontri è scoppiata questa sera nella campagna orientale del Governatorato di Idlib dopo che l’Esercito arabo siriano (SAA) e ribelli jihadisti hanno effettuato entrambi ricognizioni offensive vicino alla città di Saraqib.

Secondo quanto riferito, gli scontri sono scoppiati questa sera dopo che i ribelli jihadisti hanno iniziato a radunare i loro combattenti attorno all’asse Al-Nayrab; questo ha spinto l’esercito arabo siriano a contrattaccarli con l’artiglieria.

La fonte dell’esercito ha detto che i ribelli jihadisti continuano a portare rinforzi nelle aree a sud dell’autostrada M-4 (autostrada Aleppo-Latakia). Questo, in violazione dell’accordo di Mosca del 5 marzo.

Secondo l’accordo che è stato sottoscritto, tutti i militanti devono ritirarsi sei chilometri a Nord dell’autostrada M-4; tuttavia, com’è nell’usanza levantina, nessuno di questi gruppi ha lasciato le proprie posizioni e la maggior parte di essi ha respinto l’accordo russo-turco.

In questo contesto, i mercenari siriani comandati dallo Stato Maggiore turco hanno subito perdite devastanti nella Libia nordoccidentale:

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I ribelli appoggiati dagli Stati Uniti consegnano le armi all’esercito siriano.

2907.- La cattura di un carro T-90A siriano

Avere un T-90 è di scarso aiuto per l’igilovtsa

Il 27 Ottobre 2017, lo “Stato Islamico * riuscì, per la prima volta, a prendere possesso del carro armato russo T-90, catturandolo alle forze governative della Siria. Questo veicolo possiede il modello di corazzatura più avanzato disponibile per ISIL. I terroristi possono approfittare di questo sistema d’arma russo e, se sì, in che modo?

Avere un T-90 è di scarso aiuto per l'igilovtsa
Il T-90A è ancora una delle prime versioni e la maggior parte dei sistemi installati non è più segreta.

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In Siria, i terroristi dello “Stato islamico *” hanno catturato, mercoledì scorso, un carro armato T-90A, che è stato fornito dalla Russia a un reparto dell’esercito siriano. Il carro armato cadde nelle mani dei terroristi durante le battaglie a est della città di Meyadin.

La differenza più importante fra il T-90 e il T-72 è nella torre e nella difesa di questa torre. Il T-72 ha una torre rotonda fusa, mentre il T-90 ha una torre saldata, è angolare, perché il complesso di protezione conferisce tale angolarità

Questa non è la prima volta che i veicoli corazzati russi, forniti alle forze governative della SAR, cadono nelle mani dell’ISIS *. In particolare, la scorsa settimana l’agenzia siriana SANA ha pubblicato un video di armi e attrezzature militari (IWT), che sono state catturate dagli Igiloviti dall’esercito siriano, ma poi è stato respinto. E nel video tra altre armi e equipaggiamento militare puoi notare i carri armati T-55 e T-62.

Attualmente, l’ISIS è armato con vecchi carri armati sovietici T-30 X-NUMX, diversi T-55, nell’area 62 – 5 più moderna T-10. C’erano anche voci su due o tre carri armati americani M72A1 Abrams catturati dai militanti.

I militanti non comprendono quale carro armato hanno catturato

Ma il T-90A cadde già una prima volta nelle mani dello “Stato islamico”. Questa “A” è una modifica del principale carro armato di battaglia russo T-90, realizzato con l’anno 2004. Fu in questa versione che iniziò ad essere equipaggiato con un motore B-92C2 1 potenza mille litri. pp., che pesa solo 47 tonnellate e consente di raggiungere velocità di 70 km / h.

Inoltre, sul T-90A è stata installata una torretta saldata anziché una gettata, una protezione rinforzata per la parte frontale superiore, un nuovo sistema di impianti antincendio fu installato, apparati per la visione termica aggiornata. Il caricatore automatico è stato migliorato ed è stata installata una nuova arma, l’2А46М-5.

È curioso che i militanti non siano nemmeno riusciti a realizzare la pienezza della loro “felicità” confondendo il carro catturato per un T-72. Il T-90 è stato creato come un aggiornamento profondo del T-72. A volte vengono confusi, ma ci sono ancora differenze “, ha detto l’esperto militare Alexei Leonkov al giornale VZGLYAD.
“La prima differenza sta nel complesso degli armamenti. Per il T-90 è stata sviluppato un 125 mm leggermente diverso rispetto al T-72. Il secondo è che la protezione dinamica T-72 è stata impostata su “Contact” e T-90 – su “Contact-5”. E quando le modifiche del T-90AM sono andate a bordo, hanno iniziato a mettere Relic. La differenza sta anche nel sistema di controllo del fuoco, ha spiegato la fonte. – Ma la differenza più importante è nella torre e nella difesa di questa torre. Il T-72 ha una torre rotonda fusa, mentre il T-90 ha una torre saldata, è angolare, perché il complesso di protezione conferisce tale angolarità ”.

I combattenti IG hanno perso il loro bastione

Islamisti non qualificati

Catturare il T-90 è riuscito all’ISIS, ma possono impiegarlo?

I mercenari turchi usano attivamente i carri armati, ha detto al quotidiano VZGLYAD Andrei Frolov, un esperto del Center for Analysis of Strategies and Technologies. “Stiamo parlando di diverse versioni dei carri: T-72, T-55, T-62. L'”Abrams” è stato anche catturato da loro, ma non lo hanno impiegato, è troppo complicato e costoso per funzionare “, ha detto. “I carristi tra i terroristi dell’ISIL possono essere reclutati dall’esercito del governo siriano, nonché da quelli che provengono con esperienze simili da altri paesi”, ha sottolineato l’esperto.

Tuttavia, qualsiasi carrista può essere in grado di controllare un T-90? “Per impiegare un carro, devi essere in grado di operare con vari strumenti, navigazione, sistema di controllo del fuoco. Ad esempio, nella parte anteriore il carro ha uno speciale sensore che gli consente di sparare in movimento. Il sensore deve essere configurato correttamente in modo che un carro a 5 – 10 chilometri possa condurre un fuoco mirato ”, ha affermato Leonkov. Secondo lui, è improbabile che igilovtsy sia in grado di farlo: “Non saranno in grado di utilizzare tutte le capacità del carro. È progettato per professionisti qualificati “.

Il T-90A è già superato e il T-90MS è già un carro nuovo. La termografia vede il raggio minimo di rilevamento notturno di un altro carro attraverso una termocamera a 3300 metri. La velocità di rotazione della torre è di 45 gradi al secondo e il cannone è un nuovo 125 mm.
Un carrista qualunque non può essere in grado di controllare un T-90.

Se ISIS conquista per la prima volta un T-90, allora altri gruppi sono già riusciti a catturare tali carri armati. Nel 2016, il gruppo Harakat Nuriddin az-Zinki ha catturato un T-90A sotto Aleppo e poi lo ha venduto per mezzo milione di dollari a Dzhebhat an-Nusre. La cattura di un altro T-90 da parte di “en-Nusra” è stata effettuata in modo indipendente nello stesso anno. Successivamente, l’esercito siriano respinse un carro armato e distrusse il secondo.

“Gli islamisti non hanno potuto controllare il T-90 catturato in quell’anno alle truppe siriane. Semplicemente, il loro carro si mosse e sparò, e non in movimento, ma si fermò e sparò. I vantaggi offerti dal carro non sono stati utilizzati “, ha sottolineato Leonkov.

Cosa farà Igilovtsy con un carro armato?

“Non vi è alcun rischio che il carro armato arrivi ai mercenari militanti”, ha detto Frolov in merito alla possibile fuoriuscita della tecnologia russa. Gli stessi islamisti non hanno le risorse per copiare un carro armato. Inoltre, il T-90A è ancora una delle prime versioni e la maggior parte dei sistemi installati non è più segreta.

Per quanto riguarda le opzioni per l’utilizzo della macchina, sono diverse. “Chi sa in quali condizioni T-90 ha ottenuto loro? Possono usarlo come un carro armato e possono rimuovere la torretta, riempirla di esplosivi e usarla come brulotto esplosivo. Hanno già usato il T-72 in questo modo. In ogni caso, colpire un altro carro armato non darà loro alcun vantaggio “, ha aggiunto la fonte.

Leonkov è sicuro che anche la vendita di questo carro armato difficilmente avrà successo. “Per venderlo da qualche parte, è necessario organizzare la logistica. Supponiamo che abbiano deciso di venderlo gli americani, perché questa è un’intera operazione che deve essere eseguita, che sarà più costosa del carro stesso “, ha detto.

Non ci sono sistemi antifurto sui carri armati, ha osservato Leonkov. Tuttavia, ha ancora una certa protezione contro la cattura. “I tratteggi sui carri armati sono bloccati con una chiave speciale, non possono essere sbloccati. Il problema è che le petroliere siriane per qualche motivo credono che il portello del serbatoio dovrebbe essere sempre aperto ”, ha detto l’esperto, suggerendo che per i siriani questo è un indice di particolare freddezza.

Tuttavia, è improbabile che il carro armato rimanga in mano all’ISIS per lungo tempo. “O verrà trovato e sarà restituito, o sarà distrutto”, ha sottolineato Leonkov.

2790.- LA VIA DELLA SETA GIUNGERA’ IN SIRIA

La Cina si “aggiudica” la ricostruzione post guerra della Siria e amplia i suoi interessi in Medio Oriente. Assad, trattative con Cina per la ricostruzione dopo la guerra.

Siria, la Cina si "aggiudica" la ricostruzione post guerra

La Siria ha intenzione di entrare a far parte del progetto Nuova via della Seta e Damasco ha già proposto sei diversi progetti a Pechino.

Il presidente siriano Bashar al-Assad ha dichiarato in un’intervista concessa all’emittente cinese Phoenix TV e riportata dall’agenzia di stampa ufficiale di Damasco, Sana, che il suo Paese è in trattative con la Cina per entrare a far parte del progetto Nuova via della Seta.

“Quest’anno abbiamo cominciato un dialogo molto serio con Pechino per entrare a far parte della Nuova via della Seta. […] Le discussioni riguardanti le infrastrutture gravemente danneggiate nel corso della guerra scoppiata nel 2011, sono cominciate di recente e potrebbero rappresentare la chiave perché la Siria entri a far parte di Nuova via della Seta in un prossimo futuro”, ha spiegato Assad in un’intervista all’agenzia di stampa SANA.

Stando al leader siriano, Damasco avrebbe già proposto sei diversi progetti alla Cina, tutti legati alla costruzione di infrastrutture.

“Stiamo aspettando il governo cinese affinché determini il progetto o i progetti che sono in linea con il loro pensiero”, ha aggiunto il presidente siriano.

Nuova via della Seta

Il presidente cinese Xi Jinping ha annunciato nel 2013 il progetto Nuova via della Seta. Tale iniziativa, prevede il miglioramento delle vie commerciali attualmente esistenti e la creazione di nuove al fine di connettere, economicamente e non, oltre 60 Paesi tra Asia centrale, Europa e Africa.

L’iniziativa ruota attorno alla promozione e al miglioramento delle relazioni commerciali tra la Cina e le altre nazioni coinvolte.

La Cina fornirebbe, in particolare, assistenza nella ricostruzione, soprattutto nel settore umanitario dei bisogni vitali: l’acqua e l’elettricità e la Cina sta fornendo sostegno in queste aree attraverso sovvenzioni umanitarie che concediamo alle aree più bisognose”, ha dichiarato Assad.

“In passato non avevamo avviato trattative con i Paesi amici, in primo luogo la Cina, perché la situazione della sicurezza non lo permetteva su larga scala. Ora, con la liberazione della maggior parte delle aree, abbiamo iniziato le discussioni con diverse aziende cinesi con esperienza nella ricostruzione. Speriamo che queste inizino a guardare e studiare il mercato siriano che sta migliorando rapidamente e costantemente in termini di sicurezza”, ha aggiunto il capo di Stato. Sicurezza e sanzioni restano i punti più spinosi da affrontare. “Abbiamo trovato alcune soluzioni per risolvere entrambi”, ha spiegato Assad.