Archivio mensile:marzo 2016

539.-Scenari economici – contro – dittatura europea e capitale finanziario internazionale.

16 mar 2016
Bellissima puntata dedicata a Scenari economici!
Grazie al presentatore Vito Monaco, che ha ospitato nella sua trasmissione del 7/3/2016…Av. Marco Mori – Av. Giuseppe Plama – Prof. Antonio Maria Rinaldi – Esperto di economia e mercati, Maurizio Gustinicchi.

538.- DA PALMIRA, LE ULTIME PAROLE DI ALEXANDER PROKHORENKO.”VI PREGO FATEMI MORIRE CON DIGNITÀ”

Due eroi ci rappresentano i morti di Palmira, il direttore del museo Khaled Assad e il tenente degli spetsnaz Alexander Prokhorenko.

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“Sono ovunque, non voglio che mi prendano, faranno di me ogni cosa. Vi prego fatemi morire con dignità” Stanno commuovendo il mondo, con attestati di stima provenienti da tutte le forze armate del pianeta, le ultime parole di Alexander Prokhorenko, 25 anni, lo specnaz (dal cirillico) che ha diretto su di sé gli aerei russi per evitare di farsi catturare dalle forze nemiche dello Stato islamico che lo avevano ormai circondato. Il soldato delle forze speciali, in una missione segreta nell’antica città siriana di Palmyra, è stato definito un eroe in Russia. La moglie Ekaterina, incinta del loro primo figlio, ha rivelato di non sapere che suo marito combattesse in Siria e che fosse uno specnaz. Il 25enne si congedò dalla moglie due mesi fa, dicendo che sarebbe andato in addestramento nel Caucaso russo. Prokhorenko era in realtà un elemento del Vympel, unità delle forze speciali agli ordini diretti dei servizi segreti russi, specializzata nello spionaggio e nella raccolta di informazioni in territorio nemico. Arruolatosi subito dopo aver conclusi gli studi, è accettato nell’Accademia Militare di difesa aerea delle Forze Armate della Federazione Russa. Prokhorenko proviene da una famiglia di militari: anche i suoi due fratelli appartengono ai reparti speciali russi. La missione del giovane “lupo” era quella di identificare le postazioni nemiche del califfato in vista dell’offensiva dell’esercito siriano.

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Per cause non divulgate dal Cremlino, l’uomo è identificato dagli estremisti: inizia un feroce scontro a fuoco. Lo specnaz è circondato da numerosi terroristi che giungono dalla roccaforte e che continuano a stringere il cerchio verso la sua posizione. I russi non dispongono di squadre di estrazione rapida in zona. Considerando la superiorità numerica delle forze ostili, la prossimità di queste ultime così come la consapevolezza dei sistemi terra-aria presenti a difesa di Palmira, una missione di salvataggio si sarebbe potuta trasformare in un bagno di sangue per i russi. Ne è ben consapevole lo specnaz che esaurite le munizioni, comunica ai caccia amici in volo di non avere scelta.

Ecco la trascrizione degli ultimi istanti di vita di Alexander Prokhorenko diramate dal Ministero della Difesa russo.

Prokhorenko: “Non posso lasciare la mia posizione. Mi hanno circondato e si avvicinano. Vi prego sbrigatevi”.

Comandante: “Procedi verso la linea di estrazione, ripeto linea verde, linea verde. Vai nella zona sicura”.

Prokhorenko: “Negativo, non posso. Sono ovunque, è la fine. E’ la fine. E’ la fine…richiedo attacco aereo sulla mia posizione. Dite alla mia famiglia che li amo e che sono morto combattendo per la mia patria. Eseguite l’attacco, vi prego”.

Comandante: “Negativo, ripiega sulla linea verde, questo è un ordine”.

Prokhorenko: “Non posso. Comandante, sono circondato. Sono ovunque, non voglio che mi prendano, faranno di me ogni cosa. Vi prego fatemi morire con dignità e che possa portarmi dietro tutti questi bastardi. Vi prego è la mia ultima volontà, io sono già morto. Vi prego, non posso resistere a lungo”.

Comandante: ”… Alexander …conferma la tua richiesta”.

Ufficiale: “Mi hanno ormai raggiunto, non ho più munizioni. Grazie comandante, dite alla mia famiglia che li amo, che ho lottato fino alla fine. Vi prego, prendetevi cura della mia famiglia, vendicate la mia morte, vendicatemi. Addio comandante, dite alla mia famiglia che li ho sempre amati.”

Comandante: “….”

Le forze speciali russe non sono autorizzate a farsi catturare vive dal nemico. Il presidente Vladimir Putin presenzierà personalmente sia ai funerali di Stato, consegnando all’eroe la più alta onorificenza del Paese che alla solenne cerimonia privata riservata esclusivamente agli specnaz in un luogo segreto.

536.-La Costituzione mette al bando la finanza speculativa.

Aver ceduto la sovranità monetaria ed economica all’Unione europea ( si scrive Unione, si legge Banca Centrale Europea,BCE) ci ha privato della possibilità, rectius, del dovere costituzionale di investire moneta nostra sul “lavoro”, lasciando la nostra economia nelle mani degli alleati, nemici di sempre, Francia e Germania, in primis, con migliaia di imprese chiuse, fallite, delocalizzate e, le più ricche, vendute, anzi, svendute come la BREDA Treni, creata per volere di Camillo Benson nel 1863; con migliaia di suicidi, non raccontati, con milioni di disoccupati; con un Paese invaso da milioni di incivili, pericolosi e affamati del nostro sudore, che noi manteniamo, mentre un governo farlocchio medita di targare e tassare le biciclette, di rubare il diritto alla pensione alle vedove che hanno sgobbato una vita a fianco del loro marito. E voi ? non dico. Taccio per rispetto, ma meritiamo rispetto?

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Vi leggo questo post di Marco Mori:

L’art. 4 Cost. recita testualmente:

“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Il diritto al lavoro, come noto, è un principio fondamentale della Repubblica. Ciò implica che il nostro Stato debba fare tutto ciò che in suo potere per perseguire la piena occupazione. Tale diritto arriva prima di ogni libertà di iniziativa economica.

Oggi è altrettanto noto che lo Stato, avendo ceduto la sovranità monetaria ed economica, non può più far nulla per garantire la piena occupazione, ma dipende esclusivamente dal vincolo esterno UE. Ciò è già gravemente incostituzionale.

In questo articolo però mi interessa soffermarmi sul secondo comma della norma e dunque su quel dovere di svolgere un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. La Costituzione parla appunto di dovere, ergo di un vero obbligo positivo di concorrere con il proprio lavoro al progresso materiale o spirituale del nostro Paese.

Ora lo speculare in borsa, il casinò globale della finanza, i derivati ed ogni attività affine, sono per definizione comportamenti che concorrono al progresso o sono mere speculazioni di stampo parassitario che avvantaggiano pochi a scapito di molti? Non ci sono dubbi, addirittura i media e gli esperti usano sempre, per queste attività, in questo caso con ragion veduta, il termine speculazione.

Pertanto si deve concludere che la speculazione è espressamente bandita dal nostro ordinamento, che si basa invece sugli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale. Nessuno può vivere di speculazione!

La piana applicazione della Carta, non solo imporrebbe la sovranità al popolo al di sopra di ogni potere economico, ma spingerebbe dunque a considerare illecita (o al massimo un’obbligazione naturale del pari del gioco d’azzardo) ogni attività finanziaria non connessa al progresso materiale o spirituale della società, dunque in definitiva è illecita ogni attività finanziaria sconnessa con l’economia reale.

In punta di diritto i contratti di tale specie andrebbero considerati nulli per violazione diretta dell’art. 4 Cost., norma ovviamente imperativa. Ma anche su questo filone nel nostro Paese non si è sviluppata alcuna linea giurisprudenziale, anzi nell’opinione pubblica è passato il concetto opposto: tutto ciò che crea profitto è lecito e la libertà inizia e termina proprio in questo semplice concetto.

Così si dimentica che la libertà di ogni individuo incontra il limite della libertà altrui ed ovviamente, più in generale, il limite del rispetto dei diritti inviolabili di ogni essere umano. Diritti inviolabili dunque, anche e soprattutto, da ogni forma di potere economico, qualsiasi sia la sua dimensione ed importanza. L’iniziativa privata per la Costituzione è infatti specificata come libera solo laddove non contrasti con l’interesse pubblico. Mi riferisco ovviamente agli artt. 41 e ss. che sono la ovvia esplicitazione anche dei principi contenuti nel citato art. 4.

Ecco cosa intendo quando dico che nella Costituzione del 1948 ci sono le soluzioni per il Paese. Purtroppo manca una classe politica dotata di palle sufficientemente grandi per mettere in atto questo politiche!

Non già politiche rivoluzionarie, ma di semplice ripristino della legalità formale e sostanziale.

Avv. Marco Mori – Blog scenarieconomici

535.-L’UNIONE EUROPEA È UNA PORCATA AI DANNI DEGLI ITALIANI. ALTRO CHE ISLAM! I NEMICI SONO GLI STESSI DI SEMPRE.

Per come stanno realmente le cose l’Italia dovrebbe bombardare le milizie (filo-francesi) in Libya e non l’ISIS: l’epilogo dell’attacco agli interessi petroliferi italiani. Sarà la fine dell’Italia?

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La Libya fu attaccata per volere francese da Sarkozy, addirittura in autonomia rispetto ai comandi americani avendo anticipato di qualche ora i bombardamenti per impossessarsi dei giacimenti libici durante golpe contro Gheddafi. Lo scopo fu duplice, da una parte sterilizzare le difese politiche italiane ossia del paese che, anche grazie al Rais che aveva salvato l’unica banca sistemica italiana finita nel caos subprime (Unicredit), stava emergendo come paese finanziariamente vincente almeno a livello bancario nel post crisi subprime (le banche italiche erano e sono più arretrate e dunque almeno nei prodotti finanziari diffidano di rischi che non conoscono). Dall’altra l’obiettivo restava (e resta) impossessarsi dei giacimenti praticamente tutti targati ENI per fare posto alla sua major petrolifera Total e, parallelamente, ampliando la zona di influenza franco-europea in Africa in un’area – quella del franco CFA, ossia dell’euro, oggi – dove di fatto viene utilizzata la moneta unica come moneta ufficiale [ecco il perchè del supporto implicito tedesco alle interemperanze galliche]!. Il crepuscolo del Cavaliere voluto dall’Europa franco-tedesca con il supporto di Obama è tutto qui, risatine dei due governanti europei incluse.-

A seguire ci fu l’indebolimento finanziario del Belpaese in forza dell’asse franco tedesco che ci impose – via Mario Monti, la cui storia è ancora tutta da scrivere – inutile ed anzi dannosa austerità, la Francia ad esempio fu graziata nell’austerity dall’EU dopo il dubbio attentato del Bataclan, infatti si disse che a seguito di tale tragico evento tutto fatto in casa (francese) si sarebbe dovuti andare in guerra in Siria (senza sparare un colpo però) e dunque nessun rientro nei parametri austeri era da imporre – la Grecia resta per ora l’unico vero simbolo della protervia europea -.

Arriviamo ai giorni nostri col tentativo, per il tramite di un governo italiano che vedremo se sarà ricordato come traditore o come traghettatore, di cedere importanti pezzi di mare a Parigi in forza del trattato di Caen. Si sa, i collaborazionisti sono ovunque quando si è in guerra (ed oggi lo siamo di fatto anche senza averla dichiarata), per cui non ci sarebbe da stupirsi. Va ricordato che il trattato di Caen fu firmato nel periodo in cui veniva approvata la legge di stabilità italiana dell’anno scorso da Bruxelles – legge che fu vicina ad essere bocciata dall’EU, ndr -, dunque legge molto osteggiata dai “partners” europei ai tempi, guarda caso…

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Oggi la Libya è divisa in tre parti:

una a controllo inglese (Tobruk, a est, tanto per capirsi dove nella seconda guerra mondiale le truppe dell’asse combattevano contro gli inglesi, la celeberrima battaglia di Tobruk);
l’altra a controllo francese (ai confini con il Niger, incluse le attinenze dell’immenso giacimento Elephant, dove sono interessati anche i tedeschi di BASF), con l’ampliamento della Operation Barkhane anche alla vicina Libya e
una a controllo locale lasciata agli italiani nella zona di Tripoli, dove passano gli oleodotti ma dove di petrolio ce n’è poco.

In breve, i francesi stanno tramando per impossessarsi dei giacimenti oggi di ENI in tutto il paese, quello che succederà domani con i nuovi governi locali che avranno diviso il paese in tre sarà che i giacimenti del cane a sei zampe verranno espropriati e dati a Total (e a Shell, nell’est del paese – all’Italia vogliono lasciare il nulla! -).

Capito l’arcano? E dunque oggi ci viene chiesto di intervenire in Libya a capo della prima e vera colazione militare che metterà gli scarponi per terra in nord Africa e guarda caso per convincerci vengono opportunamente uccisi due italiani (da chi?,ndr) che lavoravano là da anni, la tipica testa di cavallo messa nel letto, bel messaggio… Ben inteso, lo scopo è quello di farci assurgere a livello mediatico a responsabili dell’intervento libico, leggasi saremmo noi a subire soprattutto gli oneri ed i pochi onori dell’intervento militare ufficiale, il primo dichiarato dall’occidente, incluso subire le ire funeste dei locali che vedrebbero nell’Italia il responsabile del caos che seguirà/seguirebbe [quando invece l’Italia non è stata responsabile di alcunchè…]. Ossia l’ipotetico intervento italiano in Libya sarebbe un errore, gli italiani dovrebbero fare come stanno facendo i francesi da un pezzo, interventi invisibili.

O meglio, se proprio si deve intervenire bisognerebbe bombardare le postazioni delle milizie filo-francesi, probabilmente coinvolti nelle disgrazie italiche anche in Egitto assieme a qualche allegro compagno di merende anch’esso alleato NATO (…). O nell’auto bomba all’ambasciata italiana del Cairo, lasciando per altro perdere il caso Regeni, una provocazione bella e buona (vedremo se a torturalo non saranno stati alla fine inservienti di servizi di potenze NATO). Per altro NON mi stupirei che bombardando la Libya si decimassero svariati battaglioni della Legione Straniera che non dovrebbero stare dove sono (…).

Insomma, come Italia ci vogliono tirare dentro il caos libico per danneggiarci, spingerci in una situazione in cui la colpa – che oggi chiaramente l’Italia NON ha per il caos libico, colpa soprattutto francese – sia condivisa anche e soprattutto con Roma. Lo scopo, non dimentichiamolo, è giustificare l’esproprio dei giacimenti ENI.

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Ormai Renzi è cascato nel tranello (speriamo non sia collaborazionista, la storia ce lo dirà, probabilmente già dal prossimo anno – onestamente spero di no, ndr -) e dunque sembrerebbe che saremo costretti ad intervenire (ma va ricordato che Renzi è un mago della marcia indietro!). Or dunque per quanto riguarda lo scrivente se si tratterà di intervento bisognerà fare in modo che il fuoco amico colpisca tutti coloro che non ono interessati a difendere i nostri interessi locali, incluse bombardando le milizie filo-francesi che spesso, spessissimo sono contigue all’ISIS. Essendo vere potenze coloniali europee, Francesi ed inglesi sanno benissimo che qualsiasi intervento militare in una zona conquistata NON può avere successo nel lungo termine in presenza dell’ostilità dichiarata della popolazione, soprattutto in presenza di qualcuno che all’occorrenza potrebbe armare i lealisti (ad es. l’Italia?) contro coloro che tutto il popolo, il locali, riconoscono come l’artefice del disastro del paese, appunto i francesi.

Quanto accade in Libya rischia di essere la parodia dell’Italia: la nostra impotenza nei confronti di vicini così invadenti non sta forse ad indicare che stiamo terminando il nostro tempo come paese libero, democratico e, soprattutto, unito ed indipendente? Non ci vorrà molto per capirlo.

da Scenari Economici, Jetlag per Mitt Dolcino

Intanto, Obama definisce l’intervento USA in Libya “un errore” definendo Sarkozy come un “opportunista”. Le ragioni dell’Italia quanto meno sono state riconosciute, ma a Roma dicono: “quando il diavolo s’alliscia, …”.

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534.-IL MANIFESTO DI VENTOTENE: SOLO UN ASSURDO INNO AD UNA DITTATURA MONDIALE

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Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni al confino sull’isola di Ventotene scrissero, nell’agosto 1941 un manifesto dal titolo “Per un’Europa libera e unità”.

Spesso sentite sbandierare il grande valore di questo lavoro e come esso rappresenti ciò che volevano i nostri Padri fondatori per l’Europa. Ma avete mai letto il manifesto?

In questo pezzo ve lo propongo in integrale, intervallato da miei commenti e considerazioni, che troverete in corsivo per distinguerle dal testo originario. A fine lettura scoprirete che il manifesto è in realtà solo l’inno ad una dittatura globale. L’apologia di un governo mondiale, che imponga, senza alcuna democrazia, ai popoli la retta via. Insomma, per evitare nuovi totalitarismi in guerra, la soluzione sarebbe crearne uno solo. Pare che l’odierna UE abbia capito tutto questo alla lettera.

Buona lettura!

“Per un’Europa libera e unita”
I – LA CRISI DELLA CIVILTÀ MODERNA

La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale che non lo rispettino:

1. Si è affermato l’eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati indipendenti. Ogni popolo, individuato nelle sue caratteristiche etniche geografiche linguistiche e storiche, doveva trovare nell’organismo statale, creato per proprio conto secondo la sua particolare concezione della vita politica, lo strumento per soddisfare nel modo migliore ai suoi bisogni, indipendentemente da ogni intervento estraneo.
L’ideologia dell’indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso; ha fatto superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro l’oppressione degli stranieri dominatori; ha eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazione degli uomini e delle merci; ha fatto estendere, dentro il territorio di ciascun nuovo stato, alle popolazioni più arretrate, le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili.

(N.d.a. – L’inizio pare piuttosto buono dunque, un elogio alla libertà e alla democrazia ed alla crescita di quei valori fondamentali che tutti noi oggi, almeno a parole, riconosciamo e diciamo di voler difendere. Ma ecco arrivare subito la prima incredibile affermazione degli uomini di Ventotene. Tenetevi forte, perché questo non ve lo raccontano mai…)

Essa portava però in sé i germi del nazionalismo imperialista che la nostra generazione ha visto ingigantire fino alla formazione degli Stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali.

(N.d.a. – Che? Il progresso democratico ha in se i germi del nazionalismo imperialista? In realtà i Padri Costituenti della nostra Repubblica, circa sei anni dopo, come si evince dai verbali dell’Assemblea Costituente, avevano ben chiara la genesi dei nazionalismi, genesi che non era stata minimamente colta da Rossi e Spinelli. Essi derivarono dalle politiche economiche neoliberiste, da quella follia dell’economia senza controlli democratici, che provocando violente crisi, creò il terreno fertile per il nazionalismo. Il capitale si accumulava in piccoli gruppi di interesse, che senza il controllo democratico, finivano per schiacciare tutti gli altri. La reazione fu ovviamente l’avvento dei nazionalismi, che dunque non erano un germe insito nello Stato in generale, ma, all’opposto, un germe insito nella mancanza di uno Stato che perseguisse democraticamente l’interesse pubblico)

La nazione non è più ora considerata come lo storico prodotto della convivenza degli uomini, che, pervenuti, grazie ad un lungo processo, ad una maggiore uniformità di costumi e di aspirazioni, trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana. È invece divenuta un’entità divina, un organismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possono risentirne.

(N.d.a. – Altra assurdità storica. L’entità divina nazionale, spesso associata con la figura di un Re, era in netto declino agli albori della seconda guerra mondiale, le grandi rivoluzioni risalivano ai due secoli precedenti. Il problema è che ancora la democrazia non era perfettamente consolidata e le politiche neoliberiste avevano seminato miseria in Europa. In più la situazione era molto grave in Germania dove pesavano gli accordi di pace di Versailles, così duri per il popolo tedesco da diventare i migliori alleati di Hitler e compagni)

La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio sugli altri e considera suo “spazio vitale” territori sempre più vasti che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza senza dipendere da alcuno. Questa volontà di dominio non potrebbe acquietarsi che nell’egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti.

(N.d.a. -La sovranità degli Stati nazionali è assoluta in linea di principio, entro i limiti delle regole date nel patto sociale, ma ovviamente tale sovranità non si estende fuori dal territorio nazionale. Le guerre avvengano quando si vuole imporre la sovranità di uno Stato su un territorio esterno ad esso. Non c’è legame alcuno con la normale e necessaria sovranità sul proprio territorio)

In conseguenza lo stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi, tenuti a servirlo con tutte le facoltà per rendere massima l’efficenza bellica.

(N.d.a. – Ancora una volta approssimativo. Vero per il nazismo, ovvero per un totalitarismo, ma completamente falso per uno Stato democratico. Lo Stato democratico non ha sudditi poiché la sovranità appartiene al popolo. Lo Stato democratico riconosce i diritti inalienabili dell’uomo)

Anche nei periodi di pace, considerati come soste per la preparazione alle inevitabili guerre successive, la volontà dei ceti militari predomina ormai, in molti paesi, su quella dei ceti civili, rendendo sempre più difficile il funzionamento di ordinamenti politici liberi; la scuola, la scienza, la produzione, l’organismo amministrativo sono principalmente diretti ad aumentare il potenziale bellico; le madri vengono considerate come fattrici di soldati, ed in conseguenza premiate con gli stessi criteri con i quali alle mostre si premiano le bestie prolifiche; i bambini vengono educati fin dalla più tenera età al mestiere delle armi e dell’odio per gli stranieri; le libertà individuali si riducono a nulla dal momento che tutti sono militarizzati e continuamente chiamati a prestar servizio militare; le guerre a ripetizione costringono ad abbandonare la famiglia, l’impiego, gli averi ed a sacrificare la vita stessa per obiettivi di cui nessuno capisce veramente il valore, ed in poche giornate distruggono i risultati di decenni di sforzi compiuti per aumentare il benessere collettivo.

(N.d.a. – Ancora una volta si parla solo di alcuni Stati, le dittature non sono l’unica forma possibile di patto sociale)

Gli stati totalitari sono quelli che hanno realizzato nel modo più coerente l’unificazione di tutte le forze, attuando il massimo di accentramento e di autarchia, e si sono perciò dimostrati gli organismi più adatti all’odierno ambiente internazionale. Basta che una nazione faccia un passo più avanti verso un più accentuato totalitarismo, perché sia seguita dalle altre nazioni, trascinate nello stesso solco dalla volontà di sopravvivere.

(N.d.a. – Assurdo! Libertà, sovranità ed indipendenza diventano per gli uomini di Ventotene il cuore dei nazionalismi, la base da cui tutto parte. I tre dimostrano così di non comprendere minimamente, benché la stessero vivendo, la radice del nazionalismo, che non era il prodotto automatico e sicuro di uno Stato, tantomeno di uno Stato che ha fatto di libertà e democrazia il suo fulcro. Il nazionalismo ha terreno fertile nella miseria, nell’ignoranza e nella povertà)

2. Si è affermato l’uguale diritto per i cittadini alla formazione della volontà dello stato. Questa doveva così risultare la sintesi delle mutevoli esigenze economiche e ideologiche di tutte le categorie sociali liberamente espresse. Tale organizzazione politica ha permesso di correggere, o almeno di attenuare, molte delle più stridenti ingiustizie ereditarie dai regimi passati. Ma la libertà di stampa e di associazione e la progressiva estensione del suffragio rendevano sempre più difficile la difesa dei vecchi privilegi mantenendo il sistema rappresentativo. I nullatenenti a poco a poco imparavano a servirsi di questi istrumenti per dare l’assalto ai diritti acquisiti dalle classi abbienti; le imposte speciali sui redditi non guadagnati e sulle successioni, le aliquote progressive sulle maggiori fortune, le esenzioni dei redditi minimi, e dei beni di prima necessità, la gratuità della scuola pubblica, l’aumento delle spese di assistenza e di previdenza sociale, le riforme agrarie, il controllo delle fabbriche minacciavano i ceti privilegiati nelle loro più fortificate cittadelle.
Anche i ceti privilegiati che avevano consentito all’uguaglianza dei diritti politici non potevano ammettere che le classi diseredate se ne valessero per cercare di realizzare quell’uguaglianza di fatto che avrebbe dato a tali diritti un contenuto concreto di effettiva libertà. Quando, dopo la fine della prima guerra mondiale, la minaccia divenne troppo forte, fu naturale che tali ceti applaudissero calorosamente ed appoggiassero le instaurazioni delle dittature che toglievano le armi legali di mano ai loro avversari.
D’altra parte la formazione di giganteschi complessi industriali e bancari e di sindacati riunenti sotto un’unica direzione interi eserciti di lavoratori, sindacati e complessi che premevano sul governo per ottenere la politica più rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di dissolvere lo stato stesso in tante baronie economiche in acerba lotta tra loro.
Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l’intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamente lo stato totalitario, abolendo la libertà popolare, potesse in qualche modo risolvere i conflitti di interessi che le istituzioni politiche esistenti non riuscivano più a contenere.
Di fatto poi i regimi totalitari hanno consolidato in complesso la posizione delle varie categorie sociali nei punti volta a volta raggiunti, ed hanno precluso, col controllo poliziesco di tutta la vita dei cittadini e con la violenta eliminazione dei dissenzienti, ogni possibilità legale di correzione dello stato di cose vigente. Si è così assicurata l’esistenza del ceto assolutamente parassitario dei proprietari terrieri assenteisti, e dei redditieri che contribuiscono alla produzione sociale solo col tagliare le cedole dei loro titoli, dei ceti monopolistici e delle società a catena che sfruttano i consumatori e fanno volatilizzare i denari dei piccoli risparmiatori, dei plutocrati, che, nascosti dietro le quinte, tirano i fili degli uomini politici, per dirigere tutta la macchina dello stato a proprio esclusivo vantaggio, sotto l’apparenza del perseguimento dei superiori interessi nazionali. Sono conservate le colossali fortune di pochi e la miseria delle grandi masse, escluse dalle possibilità di godere i frutti delle moderna cultura. È salvato, nelle sue linee sostanziali, un regime economico in cui le risorse materiali e le forze di lavoro, che dovrebbero essere rivolte a soddisfare i bisogni fondamentali per lo sviluppo delle energie vitali umane, vengono invece indirizzate alla soddisfazione dei desideri più futili di coloro che sono in grado di pagare i prezzi più alti; un regime economico in cui, col diritto di successione, la potenza del denaro si perpetua nello stesso ceto, trasformandosi in un privilegio senza alcuna corrispondenza al valore sociale dei servizi effettivamente prestati, e il campo delle alternative ai proletari resta così ridotto che per vivere sono costretti a lasciarsi sfruttare da chi offra loro una qualsiasi possibilità d’impiego.
Per tenere immobilizzate e sottomesse le classi operaie, i sindacati sono stati trasformati, da liberi organismi di lotta, diretti da individui che godevano la fiducia degli associati, in organi di sorveglianza poliziesca, sotto la direzione di impiegati scelti dal gruppo governante e ad esso solo responsabili. Se qualche correzione viene fatta a un tale regime economico, è sempre solo dettata dalle esigenze del militarismo, che hanno confluito con le reazionarie aspirazioni dei ceti privilegiati nel far sorgere e consolidare gli stati totalitari.

(N.d.a. – Questo passaggio è davvero delirante, incomprensibile, altamente incoerente ed illogico. Si dice che le nuove ideologie democratiche attenuano le ingiustizie delle società passate, per poi arrivare a sostenere che proprio l’attenuamento di esse determina inevitabilmente l’avvento dei nazionalismi. Perché i ceti prima privilegiati, a quel punto minacciati, finiscono con il reagire ed appoggiare il nazionalismo. Ma perché mai dovrebbe accadere? Se la giustizia nella società aumenta per quale ragione dovrebbe nascere il nazionalismo? Di che si facevano i tre a Ventotene? Hitler ed il nazionalsocialismo si erano affermati in Germani perché il Paese iniziava a rimuovere le ingiustizie abbracciando una democrazia sostanziale o perché esso era in ginocchio con diseguaglianze drammatiche e tensioni sociali inenarrabili causate dalle misere condizioni economiche in cui versavano? La risposta è ovviamente la seconda. Peraltro tale miseria fu determinata dalle politiche neoliberiste e dagli accordi di Versailles che avevano messo in ginocchio il Paese, nulla che avesse un nesso con lo Stato in senso proprio)

3. Contro il dogmatismo autoritario si è affermato il valore permanente dello spirito critico. Tutto quello che veniva asserito doveva dare ragione di sì o scomparire. Alla metodicità di questo spregiudicato atteggiamento sono dovute le maggiori conquiste della nostra società in ogni campo.
Ma questa libertà spirituale non ha resistito alla crisi che ha fatto sorgere gli stati totalitari. Nuovi dogmi da accettare per fede o da accettare ipocritamente si stanno accampando in tutte le scienze. Quantunque nessuno sappia che cosa sia una razza e le più elementari nozioni storiche ne facciano risultare l’assurdità, si esige dai fisiologi di credere di mostrare e convincere che si appartiene ad una razza eletta, solo perché l’imperialismo ha bisogno di questo mito per esaltare nelle masse l’odio e l’orgoglio. I più evidenti concetti della scienza economica debbono essere considerati anatema per presentare la politica autarchica, gli scambi bilanciati e gli altri ferravecchi del mercantilismo, come straordinarie scoperte dei nostri tempi. A causa della interdipendenza economica di tutte le parti del mondo, spazio vitale per ogni popolo che voglia conservare il livello di vita corrispondente alla civiltà moderna, è tutto il globo; ma si è creata la pseudo scienza della geopolitica che vuol dimostrare la consistenza della teoria degli spazi vitali, per dare veste teorica alla volontà di sopraffazione dell’imperialismo. La storia viene falsificata nei suoi dati essenziali, nell’interesse della classe governante. Le biblioteche e le librerie vengono purificate di tutte le opere non considerate ortodosse. Le tenebre dell’oscurantismo di nuovo minacciano di soffocare lo spirito umano.
La stessa etica sociale della libertà e dell’uguaglianza è scalzata. Gli uomini non sono più considerati cittadini liberi, che si valgono dello stato per meglio raggiungere i loro fini collettivi. Sono servitori dello stato che stabilisce quali debbono essere i loro fini, e come volontà dello stato viene senz’altro assunta la volontà di coloro che detengono il potere. Gli uomini non sono più soggetti di diritto, ma gerarchicamente disposti, sono tenuti ad ubbidire senza discutere alle gerarchie superiori che culminano in un capo debitamente divinizzato. Il regime delle caste rinasce prepotente dalle sue stesse ceneri.
Questa reazionaria civiltà totalitaria, dopo aver trionfato in una serie di paesi, ha infine trovato nella Germania nazista la potenza che si è ritenuta capace di trarne le ultime conseguenze. Dopo una meticolosa preparazione, approfittando con audacia e senza scrupoli delle rivalità, degli egoismi, della stupidità altrui, trascinando al suo seguito altri stati vassalli europei — primo fra i quali l’Italia — alleandosi col Giappone che persegue fini identici in Asia essa si è lanciata nell’opera di sopraffazione.

(N.d.a. – Il Giappone oggi è uno Stato democratico e con la sua piena sovranità ed indipendenza vive comuque in pace, democrazia e prosperità. A riprova della totale insensatezza degli uomini di Ventotene, che mischiavano cause ed effetti dei problemi, dimostrando davvero scarsa lungimiranza)

La sua vittoria significherebbe il definitivo consolidamento del totalitarismo nel mondo. Tutte le sue caratteristiche sarebbero esasperate al massimo, e le forze progressive sarebbero condannate per lungo tempo ad una semplice opposizione negativa.
La tradizionale arroganza e intransigenza dei ceti militari tedeschi può già darci un’idea di quel che sarebbe il carattere del loro dominio dopo una guerra vittoriosa. I tedeschi vittoriosi potrebbero anche permettersi una lustra di generosità verso gli altri popoli europei, rispettare formalmente i loro territori e le loro istituzioni politiche, per governare così soddisfacendo lo stupido sentimento patriottico che guarda ai colori dei pali di confine ed alla nazionalità degli uomini politici che si presentano alla ribalta, invece che al rapporto delle forze ed al contenuto effettivo degli organismi dello stato. Comunque camuffata, la realtà sarebbe sempre la stessa: una rinnovata divisione dell’umanità in Spartiati ed Iloti.
Anche una soluzione di compromesso tra le parti ora in lotta significherebbe un ulteriore passo innanzi del totalitarismo, poiché tutti i paesi che fossero sfuggiti alla stretta della Germania sarebbero costretti ad accettare le sue stesse forme di organizzazione politica, per prepararsi adeguatamente alla ripresa della guerra.

(N.d.a. – Qui poi immaginano un futuro che non si avverò, la Germania perse la seconda guerra mondiale e nessun Paese si organizzò politicamente per prepararsi alla terza, ma al contrario si posero le basi per un solido pacifismo. Noi addirittura abbiamo saputo dotarci di una Costituzione che ripudia la guerra (art. 11 Cost.). Gli uomini di Ventotene erano totalmente fuoristrada)

Ma la Germania hitleriana, se ha potuto abbattere ad uno ad uno gli stati minori, con la sua azione ha costretto forze sempre più potenti a scendere in lizza. La coraggiosa combattività della Gran Bretagna, anche nel momento più critico in cui era rimasta sola a tener testa al nemico, ha fatto sì che i Tedeschi siano andati a cozzare contro la strenua resistenza dell’esercito sovietico, ed ha dato tempo all’America di avviare la mobilitazione delle sue sterminate forze produttive. E questa lotta contro l’imperialismo tedesco si è strettamente connessa con quella che il popolo cinese va conducendo contro l’imperialismo giapponese.
Immense masse di uomini e di ricchezze sono già schierate contro le potenze totalitarie. Le forze di queste potenze hanno raggiunto il loro culmine e non possono oramai che consumarsi progressivamente. Quelle avverse hanno invece già superato il momento della massima depressione e sono in ascesa. La guerra delle Nazioni Unite risveglia ogni giorno di più la volontà di liberazione anche nei paesi che avevano soggiaciuto alla violenza ed erano come smarriti per il colpo ricevuto, e persino risveglia tale volontà nei popoli delle potenze dell’Asse, i quali si accorgono di essere trascinati in una situazione disperata solo per soddisfare la brama di dominio dei loro padroni.
Il lento processo, grazie al quale enormi masse di uomini si lasciavano modellare passivamente dal nuovo regime, vi si adeguavano e contribuivano così a consolidarlo, è arrestato; si è invece iniziato il processo contrario. In questa immensa ondata, che lentamente si solleva, si ritrovano tutte le forze progressiste; e, le parti più illuminate delle classi lavoratrici che si erano lasciate distogliere, dal terrore e dalle lusinghe, nella loro aspirazione ad una superiore forma di vita; gli elementi più consapevoli dei ceti intellettuali, offesi dalla degradazione cui è sottoposta l’intelligenza; imprenditori, che sentendosi capaci di nuove iniziative, vorrebbero liberarsi dalle bardature burocratiche, e dalle autarchie nazionali, che impacciano ogni loro movimento; tutti coloro, infine, che, per un senso innato di dignità, non sanno piegar la spina dorsale nella umiliazione della servitù.
A tutte queste forze è oggi affidata la salvezza della nostra civiltà.

(N.d.a. – E qui torniamo a parole, forse scritte male e molto confuse, ma che nella sostanza descrivono l’orrore dei totalitarismi e dell’avvento della terza guerra mondiale. Ma passiamo al secondo capitolo e a come i tre di Ventotene immaginavano il dopoguerra)

II – I COMPITI DEL DOPO GUERRA – L’UNITÀ EUROPEA

La sconfitta della Germania non porterebbe automaticamente al riordinamento dell’Europa secondo il nostro ideale di civiltà

(N.d.a. – vediamo dove vogliono andare a parare allora. Qui viene il bello)

Nel breve intenso periodo di crisi generale, in cui gli stati nazionali giaceranno fracassati al suolo, in cui le masse popolari attenderanno ansiose la parola nuova e saranno materia fusa, ardente, suscettibile di essere colata in forme nuove, capace di accogliere la guida di uomini seriamente internazionalisti, i ceti che più erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l’ondata dei sentimenti e delle passioni internazionalistiche, e si daranno ostinatamente a ricostruire i vecchi organismi statali.

(N.d.a. – Ma un organismo Statale resta tale a prescindere dalla sua dimensione. Dunque anche uno Stato più grande ha dinamiche analoghe ad uno più piccolo, nulla lo protegge maggiormente dall’avvento di un totalitarismo. L’U.R.S.S. ad esempio era uno di questi ordinamenti, eppure quale democrazia abbiamo visto in essa? Non è la quantità di popoli o di territorio a disposizione che fa una democrazia, ma la qualità del patto sociale che la fonda, nonché la successiva capacità di mantenerlo in vita applicandolo, anche studiando gli opportuni strumenti di garanzia istituzionale)

Ed è probabile che i dirigenti inglesi, magari d’accordo con quelli americani, tentino di spingere le cose in questo senso, per riprendere la politica dell’equilibrio delle potenze nell’apparente immediato interesse del loro impero.
Le forze conservatrici, cioè i dirigenti delle istituzioni fondamentali degli stati nazionali: i quadri superiori delle forze armate, culminanti là, dove ancora esistono, nelle monarchie; quei gruppi del capitalismo monopolista che hanno legato le sorti dei loro profitti a quelle degli stati; i grandi proprietari fondiari e le alte gerarchie ecclesiastiche, che solo da una stabile società conservatrice possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie; ed al loro seguito tutto l’innumerevole stuolo di coloro che da essi dipendono o che son anche solo abbagliati dalla loro tradizionale potenza; tutte queste forze reazionarie, già fin da oggi, sentono che l’edificio scricchiola e cercano di salvarsi. Il crollo le priverebbe di colpo di tutte le garanzie che hanno avuto fin’ora e le esporrebbe all’assalto delle forze progressiste.
Ma essi hanno uomini e quadri abili ed adusati al comando, che si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati. Si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere generale delle classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuati dentro i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviati convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovrà fare i conti.

(N.d.a. – Ecco qui, abbattuti i totalitarismi si ritiene che le vecchie classi privilegiate possano tornare al modello di Stato precedente per difendere i propri privilegi, mentre secondo gli uomini di Ventotene si deve andare verso un internazionalismo che superi i vecchi Stati nazionali. Ancora come se tutti gli interessi particolari di colpo sparissero, con una sorta di magico automatismo, in funzione delle dimensioni dell’organizzazione che si va a creare. Un super Stato mondiale, non si sa bene perché, dovrebbe essere automaticamente immune dal rischio di prevalenza di alcune classi sulle altre (e l’esempio dell’U.R.S.S. lo già evidenziato sopra). Ovviamente i tre di Ventotene affermano il concetto, ma non lo motivano con uno straccio di argomento. Il governo mondiale buono per natura è dunque un dogma per loro, un atto di fede. Al contrario i nostri Padri Costituenti, quando respinsero espressamente l’idea di un’Europa federale, ricordarono anche che bisogna fare attenzione agli organismi internazionali. Una bella cosa in linea di principio, ma ovviamente rammentavano che non era affatto certo che un organismo internazionale tendesse al bene, potevano esistere anche organismi internazionali maligni. Ecco perché le nostre limitazioni di sovranità sul piano esterno al territorio nazionale sono state espressamente consentite solo per organismi che assicurino pace e giustizia in condizioni di reciprocità tra le nazioni, che restano irrinunciabili in quanto non sono, almeno in Europa, linee su una cartina geografica, ma rappresentano i luoghi in cui vivono popoli totalmente diversi tra loro)

Il punto sul quale essi cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale. Potranno così far presa sul sentimento popolare più diffuso, più offeso dai recenti movimenti, più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico. In tal modo possono anche sperare di più facilmente confondere le idee degli avversari, dato che per le masse popolari l’unica esperienza politica finora acquisita è quella svolgentesi entro l’ambito nazionale, ed è perciò abbastanza facile convogliare, sia esse che i loro capi più miopi, sul terreno della ricostruzione degli stati abbattuti dalla bufera.
Se raggiungessero questo scopo avrebbero vinto. Fossero pure questi stati in apparenza largamente democratici o socialisti, il ritorno del potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo questione di tempo.

(N.d.a. – Perché mai? Quei poteri esisterebbero anche con un governo unico mondiale. L’egoismo fa parte della natura umana. Non è parte degli ordinamenti giuridici, che della natura umana sono la mera espressione, il modo con cui si organizzano i rapporti di forza. L’egoismo si limita solo con una democrazia reale che sappia davvero mettere al primo posto l’interesse pubblico, attraverso il controllo ed il coordinamento democratico della società)

Risorgerebbero le gelosie nazionali e ciascuno stato di nuovo riporrebbe la soddisfazione delle proprie esigenze solo nella forza delle armi.

(N.d.a. – Le gelosie tra nazioni sorgono quando manca un principio fondamentale a livello internazionale: ovvero la solidarietà politica economica e sociale. Oggi noi abbiamo un UE che si basa sul suo opposto: la competitività. Un’Unione che mette la stabilità dei prezzi prima della pace e della giustizia ex artt. 127 TFUE e 3 TUE. Ecco l’ulteriore prova che, se si sbagliano le norme fondanti di un patto sociale, il totalitarismo prescinde dalla dimensione del territorio in cui si instaura. In Europa dopo la seconda guerra mondiale avevamo Stati democratici e amici. Caduto il muro tutto volgeva al meglio, ma ecco che l’avvento dell’UE ha mutato tutto. Il totalitarismo è tornato cancellando le democrazie nazionali. Totalitarismo ancora una volta determinato dal potere economico diventato più forte dei popoli)

Loro compito precipuo tornerebbe ad essere, a più o meno breve scadenza, quello di convertire i loro popoli in eserciti. I generali tornerebbero a comandare, i monopolisti ad approfittare delle autarchie, i corpi burocratici a gonfiarsi, i preti a tener docili le masse. Tutte le conquiste del primo momento si raggrinzerebbero in un nulla di fronte alla necessità di prepararsi nuovamente alla guerra.
Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani. Il crollo della maggior parte degli stati del continente sotto il rullo compressore tedesco ha già accomunato la sorte dei popoli europei, che o tutti insieme soggiaceranno al dominio hitleriano, o tutti insieme entreranno, con la caduta di questo in una crisi rivoluzionaria in cui non si troveranno irrigiditi e distinti in solide strutture statali.
Gli spiriti sono giù ora molto meglio disposti che in passato ad una riorganizzazione federale dell’Europa. La dura esperienza ha aperto gli occhi anche a chi non voleva vedere ed ha fatto maturare molte circostanze favorevoli al nostro ideale.
Tutti gli uomini ragionevoli riconoscono ormai che non si può mantenere un equilibrio di stati europei indipendenti con la convivenza della Germania militarista a parità di condizioni con gli altri paesi, né si può spezzettare la Germania e tenerle il piede sul collo una volta che sia vinta.

(N.d.a – Abbiamo fatto sia l’uno che l’altro. Abbiamo prima spezzettato la Germania e poi, una volta riunita, le abbiamo dato le chiavi per controllarci nuovamente, stavolta proprio grazie alle norme di un ordinamento sovranazionale. Non è neppure servito sparare un colpo! A riprova della totale erroneità dei ragionamenti apodittici degli uomini di Ventotene, che semplicemente negano il ruolo della natura umana che trascende gli ordinamenti giuridici)

Alla prova, è apparso evidente che nessun paese d’Europa può restarsene da parte mentre gli altri si battono, a nulla valendo le dichiarazioni di neutralità e di patti di non aggressione.

(N.d.a. – Senza il nuovo super Stato ci saranno ancora guerre dunque. Ma il super Stato altro non è che un centro di potere che impone il suo volere coattivamente su un territorio più ampio. Allora tanto valeva arrendersi subito alla Germania. Perché darsi disturbo? Il super Stato era già servito, tutti tedeschi ma in pace. E poi ecco lo sproloquio contro la società delle nazioni, uno sproloquio desolante che vi invito a leggere con attenzione)

È ormai dimostrata la inutilità, anzi la dannosità di organismi, tipo della Società delle Nazioni, che pretendano di garantire un diritto internazionale senza una forza militare capace di imporre le sue decisioni e rispettando la sovranità assoluta degli stati partecipanti. Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei.
Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell’interno, questione balcanica, questione irlandese ecc., che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione, come l’hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali, quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti fra le diverse provincie.

(N.d.a. – La società delle nazioni non funziona per questi pazzi perché non può imporre coattivamente il proprio potere sui singoli Stati. Si invoca l’ingerenza di un organismo superiore nelle politiche nazionali. Si invoca nei fatti, al di là degli inutili giri di parole, una dittatura globale che imponga con la forza il suo modello a tutti gli altri. Terrificante l’apologia del manifesto)

D’altra parte la fine del senso di sicurezza nella inattaccabilità della Gran Bretagna, che consigliava agli inglesi la “splendid isolation”, la dissoluzione dell’esercito e della stessa repubblica francese, al primo serio urto delle forze tedesche — risultato che è da sperare abbia di molto smorzata la presunzione sciovinista della superiorità gallica — e specialmente la coscienza della gravità del pericolo corso di generale asservimento, sono tutte circostanze che favoriranno la costituzione di un regime federale che ponga fine all’attuale anarchia. Ed il fatto che l’Inghilterra abbia accettato il principio dell’indipendenza indiana, e la Francia abbia potenzialmente perduto col riconoscimento della sconfitta tutto il suo impero, rendono più agevole trovare anche una base di accordo per una sistemazione europea dei problemi coloniali.
A tutto ciò va infine aggiunta la scomparsa di alcune delle principali dinastie e la fragilità delle basi di quelle che sostengono le dinastie superstiti. Va tenuto conto, infatti, che le dinastie, considerando i diversi paesi come tradizionale appannaggio proprio, rappresentavano, con i poderosi interessi di cui erano l’appoggio, un serio ostacolo alla organizzazione razionale degli Stati Uniti d’Europa, la quale non può poggiare che sulle costituzioni repubblicane di tutti i paesi federati.

(N.d.a. – Ecco dinuovo contraddizioni su contraddizioni. Si parla di un potere centrale che sottomette gli altri e poi si dice che gli Stati Uniti d’Europa non possono che poggiare sulle costituzioni democratiche dei singoli Paesi. Ovviamente la realtà è opposta, se si fanno gli Stati Uniti d’Europa si devono distruggere le singole costituzioni e si deve concepire un sistema di enforcement che costringa gli Stati ad abdicare, a cedere sovranità e sparire per sempre. Insomma serve una guerra imperialista! Proprio quello che i tre di Ventotene dicevano di voler evitare a tutti i costi)

E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l’unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo.

(N.d.a. – E vai con il delirio, annessa l’Europa si deve pensare all’annessione dell’intero mondo sotto un unico Governo. Ma chi comanderà questo mondo? Come ho già detto perché mai dovrebbe essere immune dalla normale dinamica dei rapporti di forza? Ancora una volta i tre di Ventotene di fatto invocano una dittatura planetaria per avere la pace mondiale, peraltro ottenibile solo dopo il versamento di fiumi di sangue per obbligare tutti a cedere sovranità. Come se poi fosse possibile, anche dopo aver versato sangue, tenere a forza sotto un unico governo popoli diversi sotto ogni aspetto, che manterrebbero tale diversità anche qualora non fossero più dotati di un ordinamento che li possa qualificare come Stato. Gli Stati sono nati proprio perché vi era un popolo ed un territorio. Quando qualcuno vi ha esercitato sovranità, con qualsiasi forma, è nato lo Stato. Le democrazie moderne hanno la caratteristica di attribuire la sorvranità al popolo. Quanto di più lontano possa esserci rispetto ad un totalitarismo, che se anche divenisse globale, resterebbe comunque tale)

La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale.

(N.d.a. – Insomma il popolo è stupido e va indirizzato, in tempi recenti cose simili si sono sentite dire solo dai burocrati europei e da Mario Monti, uno dei peggiori. La gente va indirizzata, strano davvero il concetto di democrazia degli uomini di Ventotene. Io, che mi ritengo un vero democratico, invece rivendico che la gente abbia il sacrosanto diritto di sbagliare, ma la democrazia è irrinunciabile. Progredirà nell’efficacia al progredire dell’evoluzione umana)

Con la propaganda e con l’azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami tra i movimenti simili che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre fin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un largo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli.

(N.d.a. – Esercito federale europeo che sottometta i singoli Stati nazionali, qualora non si volessero allineare, ecco le democratiche parole del manifesto di Ventotene, tanto osannato da obnubilati che certamente non lo hanno mai neppure letto. Dopo gli attentati di Bruxelles e le conseguenti analoghe invocazioni da parte di vari esponenti politici vengono davvero i brividi. L’esercito europeo usato per sottomettere chi non accetterà una dittatura che si auto definisce illuminata)

Se ci sarà nei principali paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani, perché la situazione e gli animi saranno favorevoli alla loro opera e di fronte avranno partiti e tendenze già tutti squalificati dalla disastrosa esperienza dell’ultimo ventennio. Poiché sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi, del movimento per l’Europa libera e unita!

(N.d.a. – Data la situazione di emergenza era per loro il momento di imporre un nuovo superstato che con la sua forza pacificasse l’Europa. Vi ricorda qualcosa? Perché sono sconcertanti le analogie con quanto davvero accade oggi. L’emergenza economica e quella in materia di sicurezza quale ragione per cedere sovranità ad un organismo sovranazionale illuminato. Che bella l’Europa libera ed unita di Ventotene…)

III – I COMPITI DEL DOPO GUERRA LA RIFORMA DELLA SOCIETÀ

Un’Europa libera e unita

(N.d.a. – Libera ed unità ma creata con l’imposizione e la forza di un esercito europeo…)

è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto.

(N.d.a. – La fine dell’era totalitaria si ha secondo Spinelli e soci imponendo un nuovo totalitarismo più grande sotto il profilo territoriale. Incredibile. Si passa poi al nuovo modello economico, un modello in gran parte condivisibile e molto simile alla costituzione del 1948, ma comunque un modello che si vuole imporre ai popoli. E questo passaggio resta comunque inaccettabile)

La fine di questa era sarà riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne impedivano l’attuazione saranno crollanti o crollate, e questa loro crisi dovrà essere sfruttata con coraggio e decisione. La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita.
La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita, e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione generale dell’economia è stata la prima forma utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione dal giogo capitalista, ma, una volta realizzata a pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell’economia, come è avvenuto in Russia.
Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma — come avviene per forze naturali — essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime. Le gigantesche forze di progresso, che scaturiscono dall’interesse individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica “routinière” per trovarsi poi di fronte all’insolubile problema di resuscitare lo spirito d’iniziativa con le differenziazioni dei salari, e con gli altri provvedimenti del genere dello stachenovismo dell’U.R.S.S., col solo risultato di uno sgobbamento più diligente. Quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore possibilità di sviluppo ed impiego, e contemporaneamente vanno perfezionati e consolidati gli argini che le convogliano verso gli obiettivi di maggiore utilità per tutta la collettività.
La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio.
Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo e del burocraticismo nazionali. In essa possono trovare la loro liberazione tanto i lavoratori dei paesi capitalistici oppressi dal dominio dei ceti padronali, quanto i lavoratori dei paesi comunisti oppressi dalla tirannide burocratica. La soluzione razionale deve prendere il posto di quella irrazionale anche nella coscienza dei lavoratori. Volendo indicare in modo più particolareggiato il contenuto di questa direttiva, ed avvertendo che la convenienza e le modalità di ogni punto programmatico dovranno essere sempre giudicate in rapporto al presupposto oramai indispensabile dell’unità europea, mettiamo in rilievo i seguenti punti:
a. non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori (ad esempio le industrie elettriche); le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo, ma che per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore ecc. (l’esempio più notevole di questo tipo di industrie sono in Italia ora le industrie siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istituti bancari, industrie degli armamenti). È questo il campo in cui si dovrà procedere senz’altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti;
b. le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà e il diritto di successione hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire, durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassitari e per dare ai lavoratori gli strumenti di produzione di cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e far loro raggiungere una maggiore indipendenza di vita. Pensiamo cioè ad una riforma agraria che, passando la terra a chi coltiva, aumenti enormemente il numero dei proprietari, e ad una riforma industriale che estenda la proprietà dei lavoratori, nei settori non statizzati, con le gestioni cooperative, l’azionariato operaio ecc.;
c. i giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare la possibilità effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare, in ogni branca di studi per l’avviamento ai diversi mestieri e alla diverse attività liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi pressappoco eguali, per tutte le categorie professionali, qualunque possano essere le divergenze tra le rimunerazioni nell’interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacità individuali;
d. la potenzialità quasi senza limiti della produzione in massa dei generi di prima necessità con la tecnica moderna permette ormai di assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto, l’alloggio e il vestiario col minimo di conforto necessario per conservare la dignità umana. La solidarietà sociale verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica dovrà perciò manifestarsi non con le forme caritative, sempre avvilenti, e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori;
e. la liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo solo realizzando le condizioni accennate nei punti precedenti: non lasciandole ricadere nella politica economica dei sindacati monopolistici, che trasportano semplicemente nel campo operaio i metodi sopraffattori caratteristici specialmente del grande capitale. I lavoratori debbono tornare a essere liberi di scegliere i fiduciari per trattare collettivamente le condizioni a cui intendono prestare la loro opera, e lo stato dovrà dare i mezzi giuridici per garantire l’osservanza dei patti conclusivi; ma tutte le tendenze monopolistiche potranno essere efficacemente combattute, una volta che saranno realizzate quelle trasformazioni sociali.
Questi sono i cambiamenti necessari per creare, intorno al nuovo ordine, un larghissimo strato di cittadini interessati al suo mantenimento e per dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale. Su queste basi le libertà politiche potranno veramente avere un contenuto concreto e non solo formale per tutti, in quanto la massa dei cittadini avrà una indipendenza ed una conoscenza sufficiente per esercitare un efficace e continuo controllo sulla classe governante.
Sugli istituti costituzionali sarebbe superfluo soffermarci, poiché, non potendosi prevedere le condizioni in cui dovranno sorgere ed operare, non faremmo che ripetere quello che tutti già sanno sulla necessità di organi rappresentativi per la formazione delle leggi, dell’indipendenza della magistratura — che prenderà il posto dell’attuale — per l’applicazione imparziale delle leggi emanate, della libertà di stampa e di associazione, per illuminare l’opinione pubblica e dare a tutti i cittadini la possibilità di partecipare effettivamente alla vita dello stato. Su due sole questioni è necessario precisare meglio le idee, per la loro particolare importanza in questo momento nel nostro paese, sui rapporti dello stato con la chiesa e sul carattere della rappresentanza politica:
a. la Chiesa cattolica continua inflessibilmente a considerarsi unica società perfetta, a cui lo stato dovrebbe sottomettersi, fornendole le armi temporali per imporre il rispetto della sua ortodossia. Si presenta come naturale alleata di tutti i regimi reazionari, dei quali cerca di approfittare per ottenere esenzioni e privilegi, per ricostruire il suo patrimonio, per stendere di nuovo i suoi tentacoli sulla scuola e sull’ordinamento della famiglia. Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha concluso l’alleanza col fascismo andrà senz’altro abolito, per affermare il carattere puramente laico dello stato, e per fissare in modo inequivocabile la supremazia dello stato sulla vita civile. Tutte le credenze religiose dovranno essere ugualmente rispettate, ma lo stato non dovrà più avere un bilancio dei culti, e dovrà riprendere la sua opera educatrice per lo sviluppo dello spirito critico;
b. la baracca di cartapesta che il fascismo ha costruito con l’ordinamento corporativo cadrà in frantumi, insieme alle altre parti dello stato totalitario. C’è chi ritiene che da questi rottami si potrà domani trarre il materiale per il nuovo ordine costituzionale. Noi non lo crediamo. Nello stato totalitario le Camere corporative sono la beffa, che corona il controllo poliziesco sui lavoratori. Se anche però le Camere corporative fossero la sincera espressione delle diverse categorie dei produttori, gli organi di rappresentanza delle diverse categorie professionali non potrebbero mai essere qualificati per trattare questioni di politica generale, e nelle questioni più propriamente economiche diverrebbero organi di sopraffazione delle categorie sindacalmente più potenti.
Ai sindacati spetteranno ampie funzioni di collaborazione con gli organi statali, incaricati di risolvere i problemi che più direttamente li riguardano, ma è senz’altro da escludere che ad essi vada affidata alcuna funzione legislativa, poiché risulterebbe un’anarchia feudale nella vita economica, concludentesi in un rinnovato dispotismo politico. Molti che si sono lasciati prendere ingenuamente dal mito del corporativismo potranno e dovranno essere attratti all’opera di rinnovamento, ma occorrerà che si rendano conto di quanto assurda sia la soluzione da loro confusamente sognata. Il corporativismo non può avere vita concreta che nella forma assunta dagli stati totalitari, per irreggimentare i lavoratori sotto funzionari che ne controllano ogni mossa nell’interesse della classe governante.

(N.d.a. – E qui, sul modello economico e sociale, ferma l’assurdità di imporlo a monte, ci si può, come detto trovare in sintonia in quanto simile a quello approvato nella parte economica della nostra Costituzione (artt. 41-47). La cosa che fa ridere è che, chi si riempie la bocca ricordando oggi con grande enfasi questo manifesto grossolano ed equivoco, non è di solito un fanatico delle nazionalizzazioni, un cultore del welfare o tantomeno un sostenitore del controllo dello Stato nell’economia. Evidentemente gli euristi hanno fatto finta di non aver mai letto questo passo del manifesto. Ma hanno trovato evidentemente troppo bella l’idea di una dittatura mondiale, per sottilizzare sul modello economico)

IV – LA SITUAZIONE RIVOLUZIONARIA: VECCHIE E NUOVE CORRENTI

(N.d.a. – E siamo all’ultimo capitolo, una desolante affermazione dell’inadeguatezza della democrazia ed un invocazione al totalitarismo illuminato)

La caduta dei regimi totalitari significherà per interi popoli l’avvento della “libertà” sarà scomparso ogni freno ed automaticamente regneranno amplissime libertà di parola e di associazione.
Sarà il trionfo delle tendenze democratiche. Esse hanno innumerevoli sfumature che vanno da un liberalismo molto conservatore, fino al socialismo e all’anarchia. Credono nella “generazione spontanea” degli avvenimenti e delle istituzioni, nella bontà assoluta degli impulsi che vengono dal basso. Non vogliono forzare la mano alla “storia” al “popolo” al “proletariato” o come altro chiamano il loro dio. Auspicano la fine delle dittature immaginandola come la restituzione al popolo degli imprescrittibili diritti di autodeterminazione. Il coronamento dei loro sogni è un’assemblea costituente

(N.d.a. – Notare che a Ventotene si detestava l’idea di Assemblea Costituente e qualsiasi forma di “democrazia dal basso” è un pugno allo stomaco per qualsiasi vero democratico. Erano solo dei pazzi al confino, non meno pericolosi di Hitler ed affini)

eletta col più esteso suffragio e col più scrupoloso rispetto degli elettori, la quale decida che costituzione il popolo debba darsi. Se il popolo è immaturo se ne darà una cattiva, ma correggerla si potrà solo mediante una costante opera di convinzione.
I democratici non rifuggono per principio dalla violenza, ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità, cioè propriamente quando non è più altro che un pressoché superfluo puntino da mettere sulla i. Sono perciò dirigenti adatti solo nelle epoche di ordinaria amministrazione,

(N.d.a. – La democrazia non è violenta e pertanto è adatta solo alle epoche di ordinaria amministrazione! Lo hanno scritto davvero! Questa frase dovrebbe far ricordare solo con il giusto disprezzo Spinelli ed i due compagni di merende di Ventotene)

in cui un popolo è nel suo complesso convinto della bontà delle istituzioni fondamentali, che debbono essere ritoccate solo in aspetti relativamente secondari. Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente.

(N.d.a. – gli Stati Uniti d’Europa devono nascere con un totalitarismo dunque, essendo una rivoluzione va imposta con la forza)

La pietosa impotenza dei democratici nelle rivoluzioni russa, tedesca, spagnola, sono tre dei più recenti esempi.
In tali situazioni, caduto il vecchio apparato statale, con le sue leggi e la sua amministrazione, pullulano immediatamente, con sembianza di vecchia legalità o sprezzandola, una quantità di assemblee e rappresentanze popolari in cui convergono e si agitano tutte le forze sociali progressiste. Il popolo ha sì alcuni bisogni fondamentali da soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare.

(N.d.a. – Il manifesto dovrebbe dunque chiamarsi: “per un’Europa unità nel disprezzo dei popoli”)

Mille campane suonano alle sue orecchie, con i suoi milioni di teste non riesce a raccapezzarsi, e si disgrega in una quantità di tendenze in lotta tra loro.
Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarrirti non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni; pensano che loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano come predicatori esortanti, laddove occorrono capi che guidino sapendo dove arrivare;

(N.d.a. – e pensare che si era partiti da una critica al totalitarismo)

perdono le occasioni favorevoli al consolidamento del nuovo regime, cercando di far funzionare subito organi che presuppongono una lunga preparazione e sono adatti ai periodi di relativa tranquillità; danno ai loro avversari armi di cui quelli poi si valgono per rovesciarli; rappresentano insomma, nelle loro mille tendenze, non già la volontà di rinnovamento, ma le confuse volontà regnanti in tutte le menti, che, paralizzandosi a vicenda, preparano il terreno propizio allo sviluppo della reazione. La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria.
Man mano che i democratici logorassero nelle loro logomachie la loro prima popolarità di assertori della libertà, mancando ogni seria rivoluzione politica e sociale, si andrebbero immancabilmente ricostituendo le istituzioni politiche pretotalitarie, e la lotta tornerebbe a svilupparsi secondo i vecchi schemi della contrapposizione delle classi.
Il principio secondo il quale la lotta di classe è il termine cui van ridotti tutti i problemi politici ha costituito la direttiva fondamentale, specialmente degli operai delle fabbriche, ed ha giovato a dare consistenza alla loro politica, finché non erano in questione le istituzioni fondamentali della società. Ma si converte in uno strumento di isolamento del proletariato, quando si imponga la necessità di trasformare l’intera organizzazione della società. Gli operai educati classisticamente non sanno allora vedere che le loro particolari rivendicazioni di classe, o di categoria, senza curarsi di come connetterle con gli interessi degli altri ceti, oppure aspirano alla unilaterale dittatura delle loro classe, per realizzare l’utopistica collettivizzazione di tutti gli strumenti materiali di produzione, indicata da una propaganda secolare come il rimedio sovrano di tutti i loro mali. Questa politica non riesce a far presa su nessun altro strato fuorché sugli operai, i quali così privano le altre forze progressive del loro sostegno, e le lasciano cadere in balia della reazione, che abilmente le organizza per spezzare le reni allo stesso movimento proletario.
Delle varie tendenze proletarie, seguaci della politica classista e dell’ideale collettivista, i comunisti hanno riconosciuto la difficoltà di ottenere un seguito di forze sufficienti per vincere, e per ciò si sono — a differenza degli altri partiti popolari — trasformati in un movimento rigidamente disciplinato, che sfrutta quel che residua del mito russo per organizzare gli operai, ma non prende leggi da essi, e li utilizza nelle più disparate manovre.
Questo atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi rivoluzionarie, più efficienti dei democratici; ma tenendo essi distinte quanto più possono le classi operaie dalle altre forze rivoluzionarie — col predicare che la loro “vera” rivoluzione è ancora da venire — costituiscono nei momenti decisivi un elemento settario che indebolisce il tutto. Inoltre la loro assidua dipendenza allo stato russo, che li ha ripetutamente adoperati senza scrupoli per il perseguimento della sua politica nazionale, impedisce loro di perseguire una politica con un minimo di continuità. Hanno sempre bisogno di nascondersi dietro un Karoly, un Blum, un Negrin, per andare poi fatalmente in rovina dietro i fantocci democratici adoperati, poiché il potere si consegue e si mantiene non semplicemente con la furberia, ma con la capacità di rispondere in modo organico e vitale alle necessità della società moderna. La loro scarsa consistenza si palesa invece senza possibilità di equivoci quando, venendo a mancare il camuffamento, fanno regolarmente mostra di un puro verbalismo estremista.
Se la lotta restasse domani ristretta nel tradizionale campo nazionale, sarebbe molto difficile sfuggire alle vecchie aporie. Gli stati nazionali hanno infatti già così profondamente pianificato le proprie rispettive economie che la questione centrale diverrebbe ben presto quella di sapere quale gruppo di interessi economici, cioè quale classe, dovrebbe detenere le leve di comando del piano. Il fronte delle forze progressiste sarebbe facilmente frantumato nella rissa tra classi e categorie economiche. Con le maggiori probabilità i reazionari sarebbero coloro che ne trarrebbero profitto. Ma anche i comunisti, nonostante le loro deficienze, potrebbero avere il loro quarto d’ora, convogliare le masse stanche, deluse, assumere il potere ed adoperarlo per realizzare, come in Russia, il dispotismo burocratico su tutta la vita economica, politica e spirituale del paese.
Una situazione dove i comunisti contassero come forza politica dominante significherebbe non uno sviluppo non in senso rivoluzionario, ma già il fallimento del rinnovamento europeo.
Larghissime masse restano ancora influenzate o influenzabili dalle vecchie tendenze democratiche e comuniste, perché non scorgono nessuna prospettiva di metodi e di obiettivi nuovi. Tali tendenze sono però formazioni politiche del passato; da tutti gli sviluppi storici recenti nulla hanno appreso, nulla dimenticato; incanalano le forze progressiste lungo strade che non possono serbare che delusioni e sconfitte; di fronte alle esigenze più profonde del domani costituiscono un ostacolo e debbono o radicalmente modificarsi o sparire.
Un vero movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro che hanno saputo criticare le vecchie impostazioni politiche; dovrà sapere collaborare con le forze democratiche, con quelle comuniste, ed in genere con quanti cooperano alla disgregazione del totalitarismo, ma senza lasciarsi irretire dalla loro prassi politica.
Il partito rivoluzionario non può essere dilettantescamente improvvisato nel momento decisivo, ma deve sin da ora cominciare a formarsi almeno nel suo atteggiamento politico centrale, nei suoi quadri generali e nelle prime direttive d’azione. Esso non deve rappresentare una coalizione eterogenea di tendenze, riunite solo transitoriamente e negativamente, cioè per il loro passato antifascista e nella semplice del disgregamento del totalitarismo, pronte a disperdersi ciascuna per la sua strada una volta raggiunta quella caduta. Il partito rivoluzionario deve sapere invece che solo allora comincerà veramente la sua opera e deve perciò essere costituito di uomini che si trovino d’accordo sui principali problemi del futuro. Deve penetrare con la sua propaganda metodica ovunque ci siano degli oppressi dell’attuale regime, e, prendendo come punto di partenza quello volta volta sentito come il più doloroso dalle singole persone e classi, mostrare come esso si connetta con altri problemi e quale possa esserne la vera soluzione. Ma dalla schiera sempre crescente dei suoi simpatizzanti deve attingere e reclutare nell’organizzazione del partito solo coloro che abbiano fatto della rivoluzione europea lo scopo principale della loro vita, che disciplinatamente realizzino giorno per giorno il lavoro necessario, provvedano oculatamente alla sicurezza, continua ed efficacia di esso, anche nella situazione di più dura illegalità, e costituiscano così la solida rete che dia consistenza alla più labile sfera dei simpatizzanti.
Pur non trascurando nessuna occasione e nessun campo per seminare la sua parola, esso deve rivolgere la sua operosità in primissimo luogo a quegli ambienti che sono i più importanti come centri di diffusione di idee e come centri di reclutamento di uomini combattivi; anzitutto verso i due gruppi sociali più sensibili nella situazione odierna, e decisivi in quella di domani, vale a dire la classe operaia e i ceti intellettuali. La prima è quella che meno si è sottomessa alla ferula totalitaria, che sarà la più pronta a riorganizzare le proprie file. Gli intellettuali, particolarmente i più giovani, sono quelli che si sentono spiritualmente soffocare e disgustare dal regnante dispotismo. Man mano altri ceti saranno inevitabilmente attratti nel movimento generale.
Qualsiasi movimento che fallisca nel compito di alleanza di queste forze è condannato alla sterilità, poiché, se è movimento di soli intellettuali, sarà privo di quella forza di massa necessaria per travolgere le resistenze reazionarie, sarà diffidente e diffidato rispetto alla classe operaia; ed anche se animato da sentimenti democratici, sarà proclive a scivolare, di fronte alle difficoltà, sul terreno della reazione di tutte le altre classi contro gli operai, cioè verso una restaurazione.
Se poggerà solo sulla classe operaia sarà privo di quella chiarezza di pensiero che non può venire che dagli intellettuali, e che è necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà prigioniero del vecchio classismo, vedrà nemici dappertutto, e sdrucciolerà sulla dottrinaria soluzione comunista.
Durante la crisi rivoluzionaria spetta a questo partito organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le forze rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate.
Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto, non da una preventiva consacrazione da parte della ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia.
Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debba necessariamente sbocciare in un nuovo dispotismo. Vi sbocca se è venuto modellando un tipo di società servile. Ma se il partito rivoluzionario andrà creando con polso fermo fin dai primissimi passi le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini possano veramente partecipare alla vita dello stato, la sua evoluzione sarà, anche se attraverso eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e perciò nel senso di una crescente possibilità di funzionamento di istituzioni politiche libere.

(N.d.a. – Si prova a giustificare ciò che non ha giustificazione. Un movimento come quello descritto, come può naturalmente sfociare nella libertà agognata?)

Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo.
La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà.

Fine.

Vi è piaciuto? Insomma il manifesto di Ventotenne in fin dei conti, rubando una celebre battuta di un famoso film, è una cagata pazzesca! E ora mi aspetto 48 minuti di applausi ininterrotti. Spinelli, Rossi e Colorni stavano bene dove stavano, al confino.

La prossima volta che ci richiamano Ventotene in senso positivo ora potrete replicare che trattasi di abissale ignoranza o grave malafede con semplici e veloci citazioni.

Avv. Marco Mori

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533.-SUL VERDETTO DEL TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALE DELL’AJA SULL’EX PRESIDENTE RADOVAN KARADZIC

IL GOVERNO DI BELGRADO IN SEDUTA STRAORDINARIA PER LE VALUTAZIONI SUL VERDETTO CHE HA CONDANNATO L’EX PRESIDENTE RADOVAN KARADZIC PER GENOCIDIO E CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ: “GIUSTIZIA SELETTIVA, MAI PERSEGUITI I COLPEVOLI DEI CRIMINI COMMESSI CONTRO IL NOSTRO POPOLO DALLE ALTRE PARTI IN GUERRA”

Radovan Karadzic, ex leader politico dei serbi di Bosnia, è stato condannato a 40 anni dopo essere stato riconosciuto colpevole di 10 capi d’accusa per crimini contro l’umanità, crimini di guerra e il genocidio di Srebrenica. E’ il verdetto del Tribunale penale internazionale dell’Aja (Tpi) che lo ha assolto da uno dei due capi d’accusa per genocidio. Il principale avvocato difensore ha annunciato ricorso contro la sentenza.

Karadzic, oltre al genocidio di Srebrenica, è stato riconosciuto personalmente colpevole, assieme a Momcilo Krajisnik, Biljana Plavsic, Nikola Koljevic e Ratko Mladic, della “impresa criminale congiunta” dell’assedio di Sarajevo, e inoltre di persecuzioni, stermini, deportazioni, uccisioni, trasferimenti forzati, attacchi contro civili, come crimini contro l’umanità e violazione delle leggi e costumi di guerra, ed è responsabile per la presa dei caschi blu come ostaggi.
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Come a Norimberga, gli imputati sono quelli di una sola parte. Dai miei ricordi:

“I kosovari chiedevano l’autonomia e basta, poi, d’improvviso…i delinquenti furono liberati, armati e nacque l’UCK. A Tirana, alcune notti, di sabato, mi chiamarono a vedere i camion che caricavano armi. Dove vanno? Al Nord! Riconobbi alcuni esperti di agricoltura USA che dirigevano il carico. I media hanno travisato molte cose dei serbi. Mostravano le rappresaglie dell’esercito serbo, spietate, ma non quello che era accaduto il giorno prima, come quella volta di 16 studenti trucidati dall’UCK nel bar di una scuola. Mostravano le colonne di profughi, ma erano i diseredati albanesi che risalivano verso il Kosovo per scannare, appropriarsi dei beni, delle case, delle macchine, di tutto ciò che apparteneva alle vittime e, poi, scannarsi fra loro. C’erano cadaveri dappertutto, galleggiavano nelle cisterne, nelle fattorie, nelle celle frigorifere, nell’ascensore, nella piscina di un albergo di Pec. L’ultimo piano era solo sangue, morte e escrementi. Un muro di un casale portava emblemi della guerriglia disegnati accanto a cervella di bimbi sfasciatigli contro. A una curva apparvero, sembravano, due cavalli morti, gonfi, ma erano umani: marito e moglie. Lui legato con il filo spinato e mitragliato dopo aver visto la moglie stuprata, amputata dei piedi perché si muovesse un pò. Molte famiglie di serbi erano state uccise, bruciate nelle loro auto, con le masserizie sul tetto, mentre fuggivano. Nuvole di corvi muovevano l’aria. L’odore di morte giunse per giorni fino ai 2.000 piedi di quota. Branchi di animali senza meta nelle campagne. Regnava il silenzio. Per le strade vuote della città, il vento trasportava immondizia. Un ristorante era in fiamme. Solo qualche cane; di quando in quando, solo pochi loschi figuri sgusciavano furtivi, vestiti di nero. Poi, finalmente, apparvero i primi carri Leopard italiani. Avanzavano lenti, a coppie. Il primo puntava il cannone in avanti, il secondo, all’indietro. Quanto Ti amo, bandiera mia! Nasceva l’euro. Quella guerra europea fu un ammortizzatore per il dollaro, ma la storia e le sentenze le scrivono i vincitori“

532.-ALBERTO BAGNAI: IL PIANO C, O “SPLENDORI E MISERIE DELLA SINISTRA EUROPEA”

 

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Nel post francese su Goofynomics il prof. Bagnai condivide con i suoi lettori alcuni eventi del suo viaggio tra Rouen e Parigi: in primo luogo la chiara considerazione espressa al convegno di giuristi tenutosi a Rouen sull’idea di stato federale europeo, e poi l’interessante discussione con un collega sulla lunga serie di errori della “sinistra”, serie che va a culminare col prossimo sinistro errore, il Piano B. Ecco la traduzione per i diversamente europei.

di Alberto Bagnai, 7 novembre 2015

Al convegno: “Nessuno crede in un’Europa federale!”

Mi trovo a Rouen, città dove sono successe tante cose europee (come in qualsiasi città dell’ Europa, d’altronde), a partire da un certo processo, per arrivare a un certo convegno, che è l’occasione della mia visita.

Due avvenimenti relativamente lontani, ma che hanno in comune una forte presenza di giuristi, e un dibattito molto interessante.

Mi avevano chiamato per descrivere il processo di regionalizzazione in Italia, cosa che ho fatto come ho potuto, con l’aiuto di colleghi membri dell’associazione a/simmetrie, che attualmente presiedo (qui qualcosa di quanto stiamo facendo). Lo scopo del convegno era sostanzialmente quello di confrontare le diverse esperienze di decentramento e di regionalizzazione, vale a dire, in un certo senso, di “federazione” degli enti locali (siano essi Stati, come negli Stati Uniti, regioni, come in Italia, o cantoni, come in Svizzera). Si affrontavano questioni come la posizione degli Stati federati (o delle regioni) in rapporto allo stato federale (o allo stato centrale), la posizione degli Stati federati (o delle regioni) in rapporto alle comunità sub-statali (stati, provincie, unioni di comuni, città metropolitane, capitali, comuni …), ecc. Le asimmetrie economiche svolgono in questo un ruolo importante, sia a livello informativo, che sul piano dei rapporti di forza, o delle regole di funzionamento, e in effetti quasi tutti i relatori nelle loro presentazioni facevano riferimento al concetto di asimmetria.

Dopo due giorni di lavori, una cosa mi sembra ovvia, e, facendo mostra di una certa ingenuità (estote ergo prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae), non rinuncio a farla notare ai miei colleghi:

“Cari colleghi, abbiamo parlato di tutela delle minoranze etniche, quindi spero che vogliate accogliere con indulgenza questa domanda posta dal solo economista qui presente. Abbiamo visto i problemi della regionalizzazione, e possiamo dire che sono in gran parte comuni a tutte le esperienze che abbiamo analizzato: dalla difficoltà di risolvere democraticamente i conflitti tra i diversi livelli di governo, alla difficoltà di adattarsi al fatto (storico ed economico) che le frontiere cambiano, etc. Abbiamo visto, allo stesso tempo, che a questi problemi sempre uguali nel tempo e nello spazio le diverse comunità hanno sempre fornito soluzioni diverse, soprattutto qui e ora, in Europa. Detto questo, mi pongo una domanda. In quanto economista io assisto alla crisi della zona euro, che rappresenta il più grande successo della professione economica – perché questa professione aveva previsto quello che sarebbe successo. Mi si dice appunto che le difficoltà economiche in realtà erano state previste, ma che sarebbero state risolte andando verso uno Stato federale europeo. Gli Stati Uniti d’Europa ci salveranno. La domanda è dunque: quale modello di federazione interstatale sceglieranno degli stati che hanno adottato dei modelli di federazione sub-statali così differenziati? “

Dovete sapere che questo convegno è stato organizzato da giuristi non solo molto competenti, ma anche molto europeisti (come cerco di esserlo io stesso, e come dimostra la mia ostinazione a volermi esprimere in una lingua che non è la mia lingua madre). Mi aspettavo che questa domanda avrebbe causato qualche disagio, come senz’altro sarebbe accaduto se fosse stata posta in Italia, dove il mantra dei SUE (Stati Uniti d’Europa) in questo momento è sulle prime pagine (e le seconde, le terze, le quarte …) di tutti i giornali. Il loro messaggio è che siamo in crisi perché non abbiamo ceduto abbastanza sovranità all’Europa (senza nemmeno chiedersi non soltanto se questa sarebbe davvero una buona cosa, ma, soprattutto, che cosa sia precisamente questa Europa – da qui la mia domanda). Per i nostri giornalisti, “Europa”, vale a dire i SUE, cioè lo stato federale europeo, è la Terra promessa, è il Paradiso in terra, dove il pastore tedesco (meglio noto come cane lupo – il che la dice lunga!) si coricherà accanto alla pecorella greca (o a quel che ne resta), e insieme sogneranno l’Europa (che al momento è un sogno solo per alcuni, e un incubo per tanti altri). Dubitare di questo, in Italia, sarebbe una bestemmia, e quindi mi aspettavo che la mia domanda, che sorgeva da un interesse reale, potesse essere interpretata come una provocazione.

Niente di tutto questo.

La risposta è immediata, serena, inequivocabile (e anche un po’ paternalistica. Ma d’altronde ero in minoranza…) :

“Ma andiamo, caro collega! Nessuno oggi crede che un modello federale possa essere applicato a livello europeo, non sarebbe sostenibile!”

I miei lettori sorrideranno a immaginare che qualcuno abbia potuto pensare di spiegarlo proprio a me!

Ma io, che sono gentile, ho ringraziato, con un sorriso ben noto ai miei lettori, e anche simulando un certo stupore (non volevo privare i miei colleghi del piacere di avermi comunicato, come se si trattasse di qualcosa di nuovo, un concetto che vado ripetendo da cinque anni tutti i giorni a tutte le ore), e me ne sono poi andato al bistrot con un amico economista che i lettori di questo blog conoscono molto bene.

Il lettore italiano sarà così gentile da tenere a mente che in un convegno di giuristi europei ed europeisti si considera come un dato di fatto acclarato che l’idea di uno stato federale europeo è una cagata pazzesca.

Al bistrot: i cinque errori passati della sinistra

Il mio amico segue da lontano il mio impegno, e lo condivide, in quanto intellettuale di sinistra. Così ci scambiamo le nostre opinioni sulla situazione. “Qui le cose sono cambiate”, mi dice “e la Grecia è stata un punto di svolta, ma non durerà a lungo, e, in più, la cosa ha preso una piega che non mi piace. Si parla di un piano B, non so se tu ne sai qualcosa … “

Mi sovviene una frase di Ennio Flaiano, un grande (e grandemente misconosciuto) intellettuale italiano non di sinistra (Google vi aiuterà): “Io Borges lo leggevo nel ’50, adesso piace anche ai portieri”, e gli rispondo:

“Sì, certo che ne so qualcosa, come puoi immaginare. Io parlavo di piano B un anno fa, prima che la sua utilità diventasse evidente ai sinistrati. Sicuramente saprai che domenica prossima (il 15 novembre) a Parigi ci sarà un grande raduno dei leader della sinistra proprio per presentare questo piano B”.

E il mio collega risponde: “No, veramente non ne sapevo niente! “

«Vedi come comincia bene! Io lo so perché uno di quei leader, Stefano Fassina, che ha appena lasciato il PD, doveva partecipare a un convegno che io organizzo in Italia, e che tratta esattamente il punto che i nostri amici giuristi non ci hanno spiegato, per mancanza di tempo, vale a dire: se uno stato federale non è possibile, come faremo a unire l’Europa, quella stessa Europa che l’euro ha così tanto diviso? Ma Stefano mi ha dato buca per incontrarsi con Mélenchon, Lafontaine, e Varoufakis. Con quest’ultimo si rischia l’armata Brancaleone, ma speriamo bene… “

E il mio collega: “Ma, vedi, quello che non mi soddisfa dell’approccio “Piano B” è che in fondo tutta questa storia non fa che avvalorare il piano A come vero obiettivo. È una strategia molto debole politicamente perché il discorso, nella sua essenza, è che bisogna minacciare la Germania con un piano B perché ci conceda delle condizioni che ci permettano di sopravvivere nello status quo. Quindi il vero obiettivo politico di questo approccio è il piano A.”

E io: «Ascolta, io ho scritto due libri per spiegarlo agli italiani, e d’altronde Stefano è uscito dal PD dopo averlo letto. Ha detto di aver capito, grazie al tuo umile servitore, che nell’euro nessuna sinistra è possibile.

Ma resta sempre un po’ indietro.

Nell’aprile 2014, intervenendo al mio convegno sul piano B, non era del tutto convinto della necessità di quest’ultimo. Eppure, prima delle elezioni europee parlare di piano B poteva avere un senso: il senso era mostrare agli elettori che al di fuori dell’euro non ci sarebbe necessariamente stata la catastrofe, che si sarebbe potuta gestire tecnicamente l’uscita, se ci fosse stata una maggioranza politica disposta a farlo. Ma Stefano non era d’accordo, parlava di iperinflazione, allora (e ho dimostrato su ottime riviste scientifiche come questa sia una sciocchezza; senza andare così lontano, basti ricordare che da allora la valuta italiana, che malauguratamente si trova a essere l’euro, ha svalutato di quasi il 30% nei confronti del dollaro, senza che si sia verificato altro che deflazione, che è, come tu e Stefano sapete bene, il contrario dell’inflazione)!

La Grecia ha fatto la differenza, ma a mio parere non era necessario attendere il massacro di un intero popolo per cambiare idea, perché questo massacro era prevedibile, tanto che io l’avevo previsto, dopo aver spiegato le ragioni del mio scetticismo.

Hai ragione, la logica della minaccia è una logica idiota, tanto più che si minaccia qualcuno perché ci permetta di rimanere in un sistema in cui non abbiamo alcuna possibilità di sopravvivenza! Questa non è politica. Dubito d’altronde che qualcuno che non ha il coraggio di dirmi che mi ha dato buca, abbia il coraggio di minacciare la Merkel in una maniera credibile. È vero che ho un brutto carattere (questo post ne è la prova), ma mi considero meno temibile della Merkel. In realtà, questo è solo l’ultimo (per ora) di una lunga serie di errori politici che la sinistra italiana “di sinistra” ha commesso. Te ne faccio una piccola lista, perché questi errori non sono privi di interesse e rilevanza generale. La sintesi è molto veloce. I miei amici della sinistra “di sinistra” hanno sbagliato cinque volte: aspettando Hollande, aspettando Schulz, aspettando Renzi, aspettando Tsipras, e aspettando il disastro greco. E ogni volta li avevo avvertiti che si trattava di un errore, come ti mostrerò.

Aspettando Hollande…

In primo luogo, i nostri amici “di sinistra” si sono illusi nel 2012 che l’elezione del compagno Hollande avrebbe cambiato la situazione in Europa, costringendo la Merkel ad abbandonare l’austerità. Era una stupidaggine, e subito dopo le elezioni ne avevo spiegato il perché (ma sarei stato compreso solo molto più tardi).

Aspettando la socialdemocrazia tedesca …

In secondo luogo, si sono illusi nel 2013 che le elezioni tedesche avrebbero cambiato la situazione, e cioè, che la vittoria del compagno Schulz avrebbe condotto i tedeschi sulla via della socialdemocrazia, e quindi della solidarietà tra proletari europei. Ma anche questa era una stupidaggine, per una ragione che avevo spiegato prima, nel mio libro del 2012 (pag. 250), e che ora è evidente a tutti. Era un’idiozia pensare che una svolta a “sinistra” della politica tedesca, anche se si fosse verificata (cosa in realtà difficile), avrebbe potuto cambiare qualcosa, perché la classe politica tedesca tutta intera, durante la crisi, aveva mentito ai suoi elettori, scaricando la responsabilità della crisi soltanto sui popoli del Sud, con un razzismo che non lasciava molte speranze e che era in contrasto con quanto i dati (e il vice-presidente della BCE) ci dicevano (in particolare, che la crisi era una crisi di debito privato dovuta al comportamento molto “imprudente” delle banche del Nord). Una volta mentito, i politici dovevano essere coerenti, perché se un partito, di qualsiasi colore, si fosse risolto a dire che un atteggiamento più cooperativo sarebbe stato auspicabile, i membri del partito contrario avrebbero potuto distruggerlo dicendo “Vedete questi traditori che ci chiedono di essere gentili con questi maiali, questi PIGS, questa gente pigra che con i suoi vizi ha messo in pericolo il nostro stile di vita virtuoso!” E questo è esattamente quanto è successo, come era ineluttabile, quando il compagno Schulz ha rimproverato il compagno Tsipras, con un rancore al quale avremmo preferito non assistere, e proprio nel momento in cui il “cattivo” Schäuble stava proponendo alla Grecia un’uscita assistita (che non ha potuto essere realizzata a causa dell’opposizione degli Stati Uniti).

Aspettando Renzi …

In terzo luogo, si sono illusi che l’Italia avrebbe potuto cambiare la situazione durante il semestre di presidenza dell’Unione europea. In ogni caso è ciò che mi disse Fassina quando ci vedemmo in uno studio televisivo il 14 novembre 2013. Ma tutti in Italia, e Stefano meglio di tanti altri, sanno che la campagna elettorale di Renzi è stata sostenuta da Algebris, la stessa Algebris di cui abbiamo appreso con grande sorpresa (non mia: di altri !) che, insieme a poche altre grandi banche, influenza le decisioni della BCE. È difficile, non trovi?, che due burattini tirati dallo stesso filo vadano in direzioni opposte! In effetti Renzi fece un discorso di apertura del semestre molto coraggioso, spingendosi sino ad accusare la Germania di aver violato le regole per prima (che è un dato di fatto). Ma subito dopo le banche, per interposta persona della Merkel, gli hanno detto “a cuccia!” (anzi: “Sitz! Platz!”) e Renzi si è messo a cuccia, com’era prevedibile (è ben addestrato).

La fine dell’austerità era rinviata.

Aspettando Tsipras …

In quarto luogo, si sono illusi che la Grecia avrebbe potuto cambiare la situazione, perché l’audace Simon Bolivar dei Balcani, Tsipras, avrebbe fatto spostare a sinistra l’asse della politica europea! Un’idiozia maggiore delle precedenti, e c’è voluto tutto il mio interminato amore dell’umanità per ascoltarli mentre ripetevano le loro sciocchezze, durante gli innumerevoli seminari e incontri più o meno pubblici, senza sbattere loro in faccia quanto fossero illusi. L’ingenuità era duplice, in questo caso. Ai nostri amici sinistrati sfuggivano due dettagli. Il primo è che un paese non irrilevante, dotato di force de frappe (la vostra simpatica forza di dissuasione nucleare), e di un’importanza politica ed economica ben superiore, come, appunto, la Francia, non era riuscito a piegare la Germania. Come si poteva sperare che la Grecia, un paese piccolo, debitore, indebolito dalla crisi più degli altri, potesse riuscirci? Il secondo dettaglio è che Tsipras si diceva contrario all’austerità, ma favorevole all’euro. Con questo, si rendeva complice delle politiche omicide della BCE, cosa che tutti hanno potuto vedere più tardi, e io avevo visto prima (sì, lo so, non è elegante: ma lo ribadisco a beneficio di chi crede che l’economia non sia una scienza…).

La ragione è molto semplice, ma vale sempre la pena ripeterla: quando si verifica una situazione di squilibrio negli scambi tra due paesi, e quindi un paese diventa debitore di un altro, ci sono solo due soluzioni. La prima è la svalutazione del debitore/rivalutazione del creditore, che viene chiamata “svalutazione esterna”, vale a dire, aggiustamento del valore della moneta nei rapporti con l’estero (cioè del suo valore sui mercati dei cambi). Questa svalutazione ha due effetti: (i) i beni del debitore diventano più vantaggiosi per il resto del mondo e quindi le sue esportazioni decollano, cosa che consente al debitore di trovare risorse per pagare i suoi debiti; (ii) inoltre, una parte di questi debiti può essere rimborsata in valuta “debole” (la svalutazione equivale così ad un “haircut”). L’altra soluzione è la svalutazione interna, vale a dire l’austerità: attraverso tagli di spesa pubblica e aumenti delle tasse si distrugge il reddito dei cittadini, i quali in questo modo consumeranno di meno, e quindi importeranno di meno (il che riduce la necessità di reperire risorse finanziarie per pagare le importazioni); allo stesso tempo, l’austerità fa aumentare drammaticamente la disoccupazione, il che esercita una pressione sui salari (al ribasso, ovviamente!), il che, in linea di principio, dovrebbe rendere i prodotti nazionali molto più vantaggiosi per i consumatori esteri, il che, in linea di principio, dovrebbe far decollare le esportazioni, il che, in linea di principio, dovrebbe consentire ai paesi debitori di trovare le risorse per pagare i propri debiti. In linea di principio, perché in realtà, dato che tutti i paesi adottano contemporaneamente le stesse politiche, tutti i consumatori di tutti i paesi hanno meno soldi in tasca, e quindi nessuno può spendere per sostenere la ripresa dell’economia.

Difendendo l’euro Tsipras ha escluso il primo meccanismo (la svalutazione “esterna”). Quindi, non essendoci alternative, era a favore del secondo, la svalutazione interna, vale a dire l’austerità, anche se diceva il contrario. E in effetti, anche se i media (finanziati dalle grandi banche) ne hanno fatto un eroe triste, una specie di Don Chisciotte, non è stato possibile nascondere che durante tutto il corso della crisi era stato teleguidato dagli Stati Uniti. Questi ultimi volevano la Grecia nella NATO, e quindi nell’euro. Era infatti chiaro che l’intransigenza tedesca avrebbe costretto Tsipras a rivolgersi alla Russia per le sue esigenze finanziarie immediate, laddove fosse uscito dall’euro. Bisognava essere molto ma molto superficiali per aspettarsi qualcosa da questo piccolo borghese telecomandato, che avrà, a guiderdone della sua obbedienza, un posto in una delle prossime Commissioni Europee (sono pronto a scommetterci, ma tu non accetterai!).

Aspettando la catastrofe greca …

Ma non è tutto! C’è stato ancora un errore, il quinto, e sempre sulla Grecia. Dopo aver creduto che la Grecia avrebbe potuto cambiare la situazione, i nostri amici ormai definitivamente sinistrati si sono illusi che la sua tragica fine avrebbe potuto raggiungere lo stesso obiettivo. Più esattamente, quando già sapevano che l’euro non poteva funzionare, e lo dicevano, e comprendevano che per i nostri fratelli greci non c’era speranza, hanno atteso cinicamente l’inevitabile catastrofe, sperando che potesse smuovere le coscienze. Ma ancora una volta era facile prevedere che non sarebbe successo niente. Anzi, al contrario! Gli altri popoli europei avrebbero dovuto chiedersi “perché la Merkel si impiccia delle decisioni di un governo sovrano che non è il suo?”, ma la loro reazione ha oscillato tra due estremi: da una parte l’abominevole razzismo degli imbecilli che pensavano “questi greci se lo sono meritato!” (tra l’altro, il mio articolo in cui spiegavo che le cose stavano diversamente è stato premiato come miglior articolo del 2015 alla “Festa della Rete” italiana); dall’altra parte, gli idioti rassegnati, che si ripetono: “L’euro è una buona cosa, se anche i greci che ne vengono massacrati non vogliono rinunciarci! “

Eppure l’avevo detto, nel mio libro del 2012 (a p. 262), che se non ci fossimo opposti all’euro, non ci sarebbero stati limiti a quello che ci avrebbero potuto imporre.”

Quello che non avevo previsto, perché non posso prevedere tutto, era che non ci sarebbero stati limiti a ciò che avremo accettato. Questa mancanza di limiti rende il sistema instabile: il capitale finanziario tirerà la corda della deflazione fino a quando non si romperà, e la rottura sarà, come sempre, una guerra mondiale (la nostra unica speranza è la presenza delle armi nucleari, che potrebbero forse scoraggiare un rimedio così estremo, ma l’escalation delle provocazioni tra Stati Uniti e Russia dimostra che è da qui che dovremo passare…).

Al bistrot: il prossimo sinistro errore della “sinistra”

“Anche il Piano B è un errore …”

E il mio collega: “Sì. Ci vorrebbe un piano C, come “Ce ne andiamo!”. Non si entra nella logica della minaccia, e semplicemente si comincia a ragionare su come sciogliere l’Unione, presentando agli elettori l’uscita, e non la permanenza grazie alla minaccia, come obiettivo politico primario”.

E io: “Sono pienamente d’accordo, tanto che l’ho detto pubblicamente! A un giornalista che in uno studio televisivo mi domandava “Che cosa farebbe se fosse ministro delle finanze?” tanto per cominciare ho dato una rapidissima lezione di diritto costituzionale (è il primo ministro, non il ministro delle Finanze, che definisce la politica del governo), e poi ho detto che in Consiglio dei Ministri avrei proposto (e proporrò, all’occorrenza) una cosa molto semplice: di comunicare ai nostri partner che per quanto riguarda l’Italia l’esperienza dell’euro è finita, e che si conterebbe sul loro buon senso per adottare una soluzione cooperativa. Nello stesso momento, si applicherebbero le misure tecniche descritte da Sapir, Bootle, e molti altri (si trova tutto nei miei libri e in quelli di Jacques, ovviamente). Ci sono stati più di cinquanta scioglimenti di unioni monetarie nel dopoguerra e quelli che ne sono usciti generalmente si sono trovati meglio. Il da farsi è noto.

Sono quindi convinto come te che se prima delle elezioni europee un piano B avrebbe potuto avere un senso, ora è il piano C che dobbiamo proporre come obiettivo politico (e vedo che in Italia i partiti comunisti cominciano a esserne consapevoli, se non altro per il fatto che non possono più fare a meno di ascoltarmi: potrai apprezzare il fatto che la mia prima domanda a questi compagni è stata : “Che cosa posso dirvi che non sappiate già ?”).

Al contrario, il Piano B proposto dalla pseudo-sinistra europea presenta molti problemi e prepara un’altra catastrofe politica delle forze progressiste. Non è difficile e, una volta di più, potrebbe tornare molto utile elencarne i difetti, che sono essenzialmente quattro: il Piano B indebolisce se stesso per il fatto stesso di proporre come obiettivo prioritario il piano A (come hai molto giustamente detto); il Piano B è proposto dalla sinistra in fortissimo ritardo, e questo costringe i proponenti, per scusarsi, a delirare su una “uscita da sinistra” che inficia lo stesso Piano B; la pretesa artificiosa di una “uscita da sinistra”, a sua volta, impone di mandare messaggi molto fuorvianti; infine, i sostenitori del Piano B non hanno un vero e proprio piano, non hanno le competenze, perché non hanno voluto averle.

Vediamo in dettaglio.

Il Piano B individua nel Piano A il vero obiettivo politico

In primo luogo, come dicevi tu, nel momento stesso in cui si parla di Piano B si consacra come obiettivo primario il Piano A, cioè la permanenza nell’unione monetaria: l’alfabeto ha una sua logica! Rientra così dalla porta (essendo uscito dalla finestra) il discorso assolutamente fuorviante (e che Fassina sembrava aver anche lui abbandonato) secondo il quale “un’altra Europa” sarebbe possibile, con il suo nefasto corollario: quello secondo il quale “questa Europa” non possiamo cambiarla che dall’interno, minacciando, da una posizione di debolezza, i paesi più forti (sono i danni della perniciosa ideologia del questismo). Ma (mi ripeto) questa logica, l’idea che possa esistere un ‘Europa con l’euro e senza l’austerità, è sbagliata. Questo è esattamente l’errore (se è stato un errore), che ha portato Tsipras al fallimento (se si trattava di un fallimento, e non di un successo, sotto forma di una poltrona a Bruxelles). È chiaro che quando si parla di piano B quel che viene proposto come auspicabile all’elettore è il Piano A (“un’altra Europa”). Per definizione, il Piano B è una scappatoia, è l’uscita di emergenza, di cui si è finalmente compresa la necessità, ma che in tutta evidenza si ritiene preferibile non usare, perché è così bello rimanere seduti nel teatro europeo, a godersi lo spettacolo della deflazione …

Mi ripeto: è una cosa completamente idiota.

Non solo il debole non dovrebbe cercar di minacciare il forte (la Grecia insegna), ma più in generale, nell’euro, che è in re ipsa un accordo di deflazione salariale (in quanto l’assenza di svalutazione esterna implica come necessità logica la svalutazione interna), non può esserci un posto per la sinistra. Il Piano A, cioè l’euro e l’Unione europea, è il nemico da combattere, come ha affermato molto chiaramente Giorgio Cremaschi in uno dei video che ti ho mostrato, non un obiettivo da perseguire! Non si può portare avanti una battaglia politica efficace se non abbiamo il coraggio di mostrare chiaramente chi è il nemico. E sarebbe riduttivo, poi, confinarsi all’aspetto economico. L’euro è un pericolo per la democrazia: gli esempi della Grecia e del Portogallo dovrebbero essere sufficienti, ma non lo sono. Come possiamo difendere, da “sinistra”, un sistema in cui ogni governo democratico è sotto il ricatto di un burocrate non eletto come Draghi, che può portare al collasso un paese in un batter d’occhio, decidendo (in violazione del suo il mandato) di chiuderne le banche? L’euro è questo, e questo si avrebbe nel Piano A. I fautori del Piano B non menzionano mai il fatto che nel piano A, che sta loro tanto a cuore, la Banca centrale sarebbe sempre indipendente dal governo, e questo per la semplice e buona ragione che un governo europeo non esiste, e che la Commissione non ha una legittimità democratica paragonabile a quella degli esecutivi nazionali. Possiamo illuderci che un giorno lontano avremo delle istituzioni democratiche a livello europeo. Ma ora non le abbiamo.

È dunque per ottenere il privilegio di essere alla mercé della BCE che bisogna minacciare la Germania con un Piano B?

È ridicolo.

Il nemico della democrazia è l’indipendenza della Banca centrale. Ma a “sinistra” nessuno se ne preoccupa, anche se questo tema, che è stato il tema centrale del mio libro del 2012, è ora riconosciuto da economisti assolutamente ortodossi come Summers : “si è andati di gran lunga troppo oltre per quello che riguarda la neutralità monetaria, l’indipendenza della banca centrale e i pericoli della discrezionalità.” Un’osservazione solo in apparenza anodina.

L’”uscita da sinistra” inficia il Piano B come opzione politica (ed è quindi suicida)

In secondo luogo, la scoperta da parte della “sinistra” della natura radicalmente antidemocratica dell’euro, della quale ho appena spiegato le basi e che ho denunciato in Italia, buon ultimo, sin dal 2011, è tardiva, e il suo tentativo di scusarsene è suicida.

Tutti i politici di “sinistra” che parleranno di Piano B nelle prossime settimane (e prima del prossimo “Sitz! Platz!”) hanno attivamente sostenuto nel recente passato il regime antidemocratico che ci opprime: è così per Fassina, con il quale ho più volte discusso, ma anche e soprattutto per Mélenchon. Queste persone sono in ritardo, non hanno visto, o non hanno voluto vedere. Per questo, che è un fatto oggettivo, portano su di sé la responsabilità politica e morale di così tanta sofferenza e così tanti morti che forse si sarebbero potuti evitare se si fosse stati capaci a suo tempo di prendere una posizione chiara e netta. Non è mai troppo tardi, si potrebbe dire, ed è vero. Ma il ritardo è evidente. Nel caso italiano c’è di peggio: non solo il ritardo, ma il tradimento è palese, e questo perché è ben noto che i Sommi Sacerdoti del partito comunista avevano già chiaro negli anni ’70 quello che un accordo sui tassi di cambio fissi avrebbe comportato per i lavoratori italiani (Fassina l’ha appreso, dice, grazie al mio libro, ma io ne ero venuto a conoscenza tramite Vladimiro Giacché, del quale ti consiglio questo libro imprescindibile).

Solo per darti tre esempi: (i) durante un direttivo del Partito Comunista, che ebbe luogo il 12 dicembre 1978, Luciano Barca, un importante leader del partito, disse a proposito del sistema monetario europeo – il precursore dell’euro : « Europa o non Europa questa resta la mascheratura di una politica di deflazione e recessione antioperaia »; (ii) quello stesso giorno, nel suo discorso alla Camera dei Deputati, un altro leader comunista di fama, Luigi Spaventa, diceva che il Sistema monetario europeo rischiava di « configurarsi come un’area di bassa pressione e di deflazione, nella quale la stabilità del cambio viene perseguita a spese dello sviluppo dell’occupazione e del reddito », e questo a causa del fatto che « non sembra mutato l’obiettivo di fondo della politica economica tedesca: evitare il danno che potrebbe derivare alle esportazioni tedesche da ripetute rivalutazioni del solo marco, ma non accettare di promuovere uno sviluppo più rapido della domanda interna» (iii) il giorno successivo, nella sua dichiarazione di voto contro l’ingresso dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo, Giorgio Napolitano, che di recente è stato per due volte presidente della Repubblica, che ha promosso l’instaurazione dei governi tecnici che hanno perseguito la stabilità dell’euro “a spese dello sviluppo dell’occupazione e del reddito” (cito il suo amico), diceva che l’idea che l’Italia «potrebbe evitare sviluppi catastrofici solo con l’intervento di un vincolo esterno nella forma di un rigoroso meccanismo di cambio» fa “un grave torto a tutte le forze democratiche italiane”.

Era tutto chiaro, e sapevano tutto: che il vincolo monetario metteva in pericolo la democrazia; che questo vincolo non serviva a impedire all’Italia di svalutare, ma alla Germania di rivalutare (vale a dire, di avere una moneta coerente con la forza della sua economia); che questo vincolo era uno strumento di lotta di classe, perché avrebbe portato a una deflazione salariale (la svalutazione interna, di cui abbiamo parlato), vale a dire, avrebbe danneggiato gli interessi dei lavoratori, dei dipendenti, della classe sociale che il partito comunista, e i suoi eredi, in quanto partiti di sinistra, avrebbero dovuto rappresentare e difendere.

Sapevano.

Quindi hanno tradito.

Non sono solo arrivati tardi: sono dei traditori, e questo non può più essere nascosto (in ogni caso, in Italia non è più possibile nasconderlo).

La risposta corretta e “di sinistra”, a questo ritardo con contorno di tradimento, sarebbe l’autocritica, sarebbe chiedere scusa, ammettere quanto meno di aver cambiato idea, e spiegare perché. Il tradimento si può perdonare: il mondo era molto diverso all’epoca, e si potrebbe dire che un sistema economico messo in atto quando l’inflazione era una minaccia, non ha più senso ora che siamo tutti minacciati dalla deflazione (vedi Summers sopra). Ma il ritardo è molto più grave, perché ha aperto grandi spazi politici a destra, come avevo previsto nel mese di agosto 2011 su “Il Manifesto” (che è una sorta di “Libération”). “le politiche di destra, nel lungo periodo, avvantaggiano solo la destra,” scrivevo. Disoccupazione e deflazione salariale, nel mio mondo, non sono politiche di sinistra. La loro conseguenza (prevedibile e prevista) è stata dare impulso alle forze di destra: il Front National in Francia, la Lega Nord a casa nostra. Ne è scaturito un altro ritardo, perché per molto tempo, dicendo quello che ora i politici di pseudo-sinistra stanno cominciando a dire, vale a dire che l’euro è pericoloso per la democrazia, ci si esponeva all’emarginazione, in Italia come (soprattutto) in Francia. In tal modo, la sinistra si faceva dettare la propria agenda politica dalla destra: non era saggio dire che l’acqua bagna, se lo dicevano la Le Pen o Salvini. Un atteggiamento subalterno e conformista che ha causato molti problemi e continua a provocarli. Perché, una volta arrivati a riconoscere la necessità di una opzione di uscita, per scusarsi di non aver ascoltato chi come me, o Jacques in Francia, ne parlano da molti anni, i politici e alcuni economisti di sinistra non hanno trovato niente di meglio che dire che la “loro” uscita sarebbe migliore di quella degli altri, perché sarebbe una “uscita a sinistra”. Questa storia è iniziata in Italia due anni fa (con risvolti francamente comici), e inizia ora in Francia, perché è arrivato per Mélenchon il bisogno di rifarsi una verginità.

Ma questa storia è una completa idiozia.

Come hanno detto molto bene Marino Badiale e Fabrizio Tringali in Italia, nel momento stesso in cui si ammette che l’uscita apre delle alternative (a sinistra o a destra), si dichiara che stando nell’euro non ci sono alternative: questo è quello che Fassina ora sembra comprendere (nessuna sinistra dentro l’euro, dice). Ma se ciò è vero, allora la logica del Piano A/Piano B si rivela sbagliata, perché si afferma che il piano A è intrinsecamente di destra, dato che nel mondo del piano A non c’è spazio per la democrazia! Per questo, dal momento stesso in cui si comincia a farneticare di un’uscita a sinistra, il Piano B viene sconfessato, come strategia politica: nel momento in cui affermiamo che spazi di democrazia sarebbero possibili solo al di fuori dell’euro, è ovviamente al piano C che bisogna pensare!

Questo, naturalmente, se si ha a cuore la democrazia.

L’”uscita a sinistra” porta la sinistra a dare dei messaggi politici fuorvianti

È chiaro ed evidente che l’uscita dall’euro, come qualsiasi situazione in cui sono in gioco i rapporti di forza tra le classi sociali, può essere gestita in diversi modi. Ma questo è banale. Nel mio libro del 2012 spiego, come Jacques Sapir aveva fatto prima di me, e citando fra i tanti altri il suo lavoro, che questa uscita dovrebbe essere accompagnata da misure di protezione del reddito da lavoro dipendente, ecc. In effetti, bisognerebbe che la sinistra reimparasse a distinguere differenza fra contraddizione principale e contraddizioni secondarie. Dopo aver accettato una subalternità di fatto nei confronti della destra sulla contraddizione principale (subalternità che si sarebbe potuta evitare prendendo una posizione chiara tre o quattro anni fa), gli attuali tentativi di “differenziazione” della “sinistra” sulle contraddizioni secondarie fanno più male che bene.

Ad esempio, il collega italiano più impegnato sul fronte dell’uscita a sinistra ha sostenuto, per mettere in guardia contro i pericoli di un’uscita gestita male, la tesi secondo cui la fine dell’euro causerebbe (tramite inflazione) una perdita di potere d’acquisto dei dipendenti.

Questo è esattamente lo stesso argomento di qualsiasi banchiere centrale. La domanda che ci si dovrebbe porre è quindi: “Questo terrorismo sull’inflazione è giustificato? E perché a sinistra si portano avanti, al nobile scopo di proteggere i lavoratori, gli argomenti che sono propri di quella notoria congrega di filantropi che è la City, il mondo dell’alta finanza?”

La risposta è che il terrorismo è ingiustificato, e per questo porto tre argomenti: (i) la recente svalutazione dell’euro non ha portato alcuna inflazione in Italia (né in Europa). Una perdita di potere d’acquisto dei lavoratori c’è stata, ma l’ha portata la deflazione, per ragioni che Keynes spiegava nel Trattato sulla Riforma Monetaria e che ho sintetizzato qui (in breve: se i prezzi scendono, è necessario che anche i salari diminuiscano, perché altrimenti l’imprenditore vede ridursi i suoi margini di profitto, e licenzierà i lavoratori. Quindi il lavoratore in deflazione perde potere d’acquisto perché o gli viene tagliato il salario, o resta a spasso: questo è ciò che sta accadendo dappertutto) ; (ii) nella storia dei paesi occidentali non abbiamo mai assistito a una riduzione dei salari reali paragonabile all’entità della svalutazione nominale (lo faccio vedere qui); (iii) il lavoro scientifico con cui il collega pensa di dimostrare che una svalutazione influisce negativamente sulla distribuzione del reddito, e quindi l’uscita dall’euro sarebbe pericolosa, ha diverse carenze metodologiche, tra le altre: (a) prende in considerazione il tasso di cambio bilaterale con il dollaro, anche nei casi in cui, come in diverse crisi dei paesi europei nello SME, il tasso di cambio più rilevante per gli squilibri era quello del marco (ovvero, in altri termini, il paese in crisi commerciava più con la Germania che con gli Stati Uniti); (b) non si pone minimamente la questione di ciò che accade nei paesi che hanno rivalutato. Sul primo punto, se invece del tasso di cambio bilaterale consideriamo quello effettivo (cioè una media dei tassi di cambio coi principali partner commerciali), la distribuzione del reddito, come per magia, non dipende più dal tasso di cambio (il che è perfettamente coerente con la letteratura sulle determinanti della quota dei salari sul reddito, dove il tasso di cambio non è quasi mai preso in considerazione). Sul secondo punto, bisogna pensare che se una svalutazione danneggia i lavoratori, allora una rivalutazione dovrebbe favorirli. Ma non è affatto così. Se includiamo nel campione del nostro amico di sinistra i paesi che hanno rivalutato in corrispondenza delle svalutazioni degli altri paesi considerati, ancora una volta i risultati diventano statisticamente evanescenti, e non è difficile comprenderne la ragione. L’ho mostrato qui in relazione alla crisi dello SME: vediamo bene come durante questa crisi la quota salari fosse diminuita ovunque. Non vi è alcun collegamento meccanico tra svalutazione e quota salari (o salari reali, vale a dire il potere d’acquisto distribuito ai lavoratori). I lavoratori hanno perso sia dove la valuta si indeboliva, sia dove si rafforzava, come in Germania. Un mistero? No. Logica elementare, materiale da libro del secondo anno. Può sembrare paradossale, lo sembrerebbe se non lo osservassimo coi nostri occhi, ma quello che distrugge la quota salari non è la debolezza, bensì la forza, la sopravvalutazione del cambio. È scritto nel manuale di Acocella: la politica del cambio forte è uno strumento di disciplina dei salari (motivo per il quale la Banca d’Italia, inizialmente riluttante, ha accettato di farsi esautorare, essendo, come ogni banca centrale, coraggiosamente schierata a difesa degli interessi dei grandi capitalisti). Disciplina che significa ricatto: “abbiamo perso competitività, caro lavoratore, quindi o ti fai tagliare il salario, o chiudiamo e resti a spasso”. Quando la Germania ha rivalutato (siamo abituati a dire che l’Italia ha svalutato, ma le due cose coincidono), è toccato ai lavoratori tedeschi sentirsi cantare questa canzoncina, che i nostri sentivano da cinque anni (i cinque anni dello Sme “credibile”, dell’impegno preso ad agganciare il cambio della lira a quello “forte” della Germania).

Questa è storia, sono dati.

Perché allora, da sinistra, si fa esattamente lo stesso terrorismo che fanno le banche centrali che provengono (si presume) dalla direzione opposta? Ma ve l’ho appena detto: nel disperato e (ig)nobile intento di darsi una vernice di sinistra, per dire che “noi abbiamo l’uscita buona, quella a sinistra, non fidatevi di quella degli altri, è pericolosa” (anche se, come la mia o quella di Jacques, prevede l’indicizzazione dei salari: ma naturalmente basta mentire per nascondere questi dettagli!). Questo atteggiamento presenta un rischio politico evidente, che in Italia è stato decisivo (in senso negativo): facendo del terrorismo sull’inflazione, i colleghi che in Italia sostengono l’uscita a sinistra hanno impedito una serena riflessione da parte dei sindacati. In questo modo hanno assunto su di sé una (altra) responsabilità politica enorme, perché hanno confermato i sindacati nell’idea molto malsana (e suicida) che il miglior amico del lavoratore sia una Banca centrale indipendente che controlla l’inflazione!

Dovrebbe pertanto essere chiaro come il desiderio di rifarsi una verginità “di sinistra” porti molti di quelli che sono stati in silenzio fino ad ora, in gran parte per ragioni di opportunismo, ad emettere messaggi politici altamente fuorvianti. È una cosa che andrebbe evitata, perché non si può pensare ad una soluzione democratica della crisi che non passi per il coinvolgimento dei sindacati, e non si può pensare di coinvolgere i sindacati se si danno loro false indicazioni sulla dinamica dell’inflazione.

Il Piano B abbinato con un’uscita a sinistra obbliga la sinistra a rivolgersi a degli incompetenti

È un fatto che, mentre alcuni economisti hanno cominciato a prendere sul serio l’opzione di un’uscita dall’euro cinque anni fa (o anche prima), studiando la non esigua letteratura scientifica sul tema, facendo e confrontando simulazioni di scenari, altri non hanno ancora cominciato a farlo, e quindi in questo campo sono (ancora) tragicamente incompetenti. Qui ho dato un esempio di questa incompetenza, e abbiamo visto a che cosa ha portato. Ora, non è colpa degli economisti che hanno studiato questo argomento se finora la sinistra non si è degnata di ascoltarli. Il caso della Francia è esemplare. Jacques è un economista di formazione marxista. Tutti i suoi lavori rispecchiano questo orientamento ideologico e metodologico. Ma ha avuto l’ardire di mettere la sinistra di fronte al proprio ritardo, e quindi ora è persona non grata. Continuare a non ascoltare ora gli economisti che tanto hanno fatto per aprire un dibattito a sinistra, e non ascoltarli per rivolgersi a degli inesperti, con il pretesto che i competenti sono stati ascoltati dalla destra (e quindi non sono utilizzabili per l’uscita a sinistra) sarebbe un altro tragico errore. I comunisti italiani, come ti ho dimostrato, non sono caduti in questo tranello (o non troppo), ma ciò potrebbe dipendere dal fatto che la storia della uscita “a sinistra” in Italia è ormai un po’ datata, e comincia ad annoiare tutti. Non a caso, durante l’ultimo show di un “uscista da sinistra” in un convegno di comunisti, un giovane (dettaglio non irrilevante, l’età!) si è girato, mi ha guardato con aria un po’ nauseata, e mi ha detto: “Insomma, questo qui sta dicendo che o si sta con l’euro o si sta con Salvini!”

Quanto sarebbe più facile e costruttivo dire: “Scusate il ritardo, mi era entrata una bruschetta in un occhio, il gomito mi faceva contatto con l’alluce, ma ora lavoriamo insieme!”

E invece no.

L’uscita a sinistra con il piano B scredita la sinistra

C’è un altro effetto da considerare. Quando si parla di piano B, come si è detto, si avvalora il piano A, cioè si legittima indirettamente l’idea che l’ipotesi migliore sarebbe restare in Europa (ovviamente, un’”altra” Europa, quella più pacifica ottenuta con le minacce). Ma quando si parla di uscita a sinistra, si afferma che solo la sinistra sarebbe in grado di gestire correttamente il crollo di quel sistema che essa stessa avrebbe difeso fino alla sua fine. Si pone la questione (ed è Alfredo D’Attorre che se l’è posta) di come farebbe la sinistra a dire: “Bene, compagni, finora vi abbiamo detto che l’euro era buono, ma ora che è crollato – il che dimostra che avevamo torto – siamo ancora noi che, per diritto divino, vi guideremo verso la soluzione!”. Questo ragionamento non regge. Se si avvalora il piano A, vale a dire l’Europa (direttamente o indirettamente), quando questo piano fallirà (cioè il progetto “europeo” fallirà) sarà difficile che gli elettori possano riporre fiducia in coloro che l’hanno difeso contro ogni evidenza. Ci sono effetti di memoria che in politica è difficile evitare.

Che cosa bisognerebbe fare?

Invece di farneticare di Piano B e uscita “a sinistra” (di cui, nel frattempo, la destra sembra essersi appropriata) bisognerebbe agire come dicevo ai compagni romani:

(i) parlare chiaro, e dire che l’euro e l’Unione europea sono un progetto imperialista, antistorico, antidemocratico (la Grecia dovrebbe bastare come esempio) e in contrasto con gli interessi dei lavoratori (e perciò con una società più equa e sostenibile per tutti), e quindi sono il nemico politico, un nemico politico che non può essere riformato, ma solo combattuto;

(ii) chiedere scusa per gli errori di valutazione commessi e per il tempo perduto;

(iii) chiedere ai “padri nobili” che si sono esposti di più nella difesa di questo abominevole progetto di fare un passo indietro.

La sfida per la sinistra è di riuscire a parlare non solo a se stessa, ma di espandere la propria base elettorale. Non potrà mai raggiungere questo obiettivo se non si libera di personaggi impresentabili che hanno rivendicato come un successo il sostegno dato a un progetto di cui ben si sapeva (e loro stessi ne erano ben consapevoli) che l’obiettivo era la deflazione dei salari e la distruzione dello stato sociale.

Lo faranno?

No! Perché mai dovrebbero ascoltare questa umile Cassandra, se non l’hanno fatto per cinque volte di fila?

E quali saranno le conseguenze di questo ennesimo errore politico? Ma esattamente quelle che abbiamo visto finora. In assenza di un messaggio chiaro, il popolo di sinistra continuerà a sognare un’Europa che non esiste, perché non può esistere (si veda, all’inizio di questo lungo discorso, il parere dei colleghi giuristi).

Ciò ritarderà la formazione di una coscienza di classe. Nel frattempo, la destra guadagnerà ancora più terreno, ed è chiaro che lo utilizzerà a vantaggio proprio e dei suoi mandanti. Farneticando di un’uscita a sinistra, di cui non sa nulla, perché nulla ha fatto in questi anni per prepararla, la sinistra renderà concreto il pericolo di una uscita gestita dalla destra. A poco a poco la memoria della Grecia si indebolirà, ma sorgeranno altri problemi (un esempio: il Portogallo). Seguirà presto un’altra crisi: il problema della Grecia non è risolto affatto, e soprattutto ci sono gli Stati Uniti (quelli veri, non la loro imitazione europea), che non hanno per nulla risolto i loro problemi (con buona pace degli stolti che vedono nel loro modello statuale una panacea)! La natura dei nostri problemi (vale a dire, l’impianto criminale e antidemocratico della moneta unica) sta diventando sempre più difficile da nascondere. Ne consegue che coloro che hanno cercato di portare avanti, fino alla fine, l’idea che un’altra Europa è possibile, saranno consegnati alla pattumiera della storia.

Si delineano così scenari molto critici, dai quali non è dato escludere anche una svolta violenta e autoritaria.

Tanto ci sarà costato il tradimento e il silenzio di questa “sinistra” che è rimasta in silenzio quando sapeva tutto, e che oggi parla troppo, quando piuttosto dovrebbe ascoltare !

Ma anch’io ho parlato troppo. Il mio cuore era troppo pesante, bisognava che mi sfogassi, e purtroppo è toccato a voi. Ed ora che vi ho messo a parte di questa lunga discussione con il mio amico, esco. Sono a Parigi, il clima è mite, sono da solo: è già un inizio di soluzione! Mi sembra corretto avvertirvi che uscendo andrò a destra: mi aspettano all’Ile St. Louis, se uscissi a sinistra dovrei fare circa 40 mila chilometri a piedi (e a nuoto) per arrivarci. Tanto per insistere su un punto: uscire “a sinistra” può rivelarsi un terribile spreco di tempo…

531.-STESSE MODALITA’, BOCCHE CUCITE PER SEMPRE E DOCUMENTI IN BELLA VISTA. GATTA CI COVA?

Ancora un’azione di forze speciali e di intelligence con i terroristi crivellati di colpi, morti per tacere e i documenti d’identità che appaiono dal nulla. Stavolta sono quelli del povero ricercatore friulano Giulio Regeni, finito in un circuito più grande di lui, torturato fino a rompergli l’osso del collo e morire. Dal Cairo: Il caso è chiuso.

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Ricapitolando, il connazionale di Fiumicello, in provincia di Udine, sarebbe stato fermato dalle forze di sicurezza egiziane lunedì 25 gennaio, giorno della sua scomparsa, nella zona super blindata della capitale per il quinto anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir. Dal suo telefonino aveva mandato un sms ad un amico per raggiungere da quell’area una festa di compleanno, prima che il cellulare venisse spento per sempre. Chi lo avrebbe preso in custodia, come avviene per prassi, si sarebbe messo a controllare numeri di telefono e messaggi di Regeni. In Egitto era in contatto con ambienti di «sinistra», degli attivisti dei diritti umani e dei lavoratori, che non vanno a genio né al governo, né agli islamici. E conosceva giornalisti scomodi già arrestati al Cairo dai servizi egiziani. Il saper parlare arabo, per un europeo che vive in Egitto grazie ad un dottorato di ricerca, agli occhi di chi potrebbe averlo interrogato avrebbe destato sospetti nella psicosi dell’antiterrorismo e degli stranieri fomentatori. E’ noto che le forze di sicurezza egiziane non vanno per il sottile negli interrogatori. Secondo una tesi, avrebbero fatto ritrovare il corpo cercando di accreditare la pista dell’incidente, della criminalità comune o dei «motivi personali». Sono state diverse le piste che sono state fatte circolare. Qualcosa, comunque, è andato storto. Il cadavere del giovane è stato ritrovato mercoledì notte ai margini dell’autostrada tra il Cairo e Alessandria. Secondo quanto dichiarò il procuratore capo, Ahmad Nagi, il corpo “presenta segni di tortura, bruciature di sigaretta, percosse, escoriazioni, un orecchio tagliato ed è nudo nella metà inferiore”. In precedenza, il generale Khaled Shalabi, capo degli investigatori della polizia a Giza, aveva dato una versione completamente diversa sostenendo che la morte sarebbe stata provocata “da un incidente d’auto”. Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, chiese e ottenne  dal governo egiziano di consentire alle autorità italiane di collaborare alle indagini. Lo stesso presidente del Consiglio, Matteo Renzi, parlò al telefono con il capo dello stato egiziano, Abdel Fattah al-Sisi.

famiglia-regeniLa sera prima della scomparsa di Regeni, le autorità egiziane avevano arrestato uno studente americano accusato di “incitare le proteste” in occasione dell’anniversario di piazza Tahrir. Un amico dell’italiano ucciso ha raccontato al quotidiano filo governativo Al Ahram, che il dottorando voleva intervistare “attivisti dei sindacati” per la sua ricerca sull’economia egiziana. Regeni criticava duramente “le politiche neo liberiste” e come copertina del profilo Facebook, cancellato del tutto nei contenuti, aveva una foto in bianco e nero di Enrico Berlinguer. Il giornalista Giuseppe Acconcia ha rivelato che il ricercatore italiano scriveva sul Manifesto con uno pseudonimo. Non firmava gli articoli con il vero nome “perché aveva paura per la sua incolumità”. Acconcia era stato arrestato dal Mukabarat, i servizi egiziani, durante la rivolta di piazza Tahir nel 2011. E aveva intervistato l’ex presidente Mohammed Morsi dei Fratelli musulmani deposto dal generale Al Sisi e condannato a morte. Se Regeni aveva nella rubrica del cellulare il contatto di Acconcia, questo sarebbe bastato a far scattare un interrogatorio.

Una notazione è d’obbligo: In Egitto, se non fossero intervenuti i militari, oggi a comandare ci sarebbero i Fratelli mussulmani, ovvero quegli integralisti islamici, che imponendo la sharia come forma di governo, lo avrebbero fatto precipitare nel medio evo. Gli arabi non concepiscono minimamente il concetto di democrazia, quindi è pericoloso e inutile andare a fomentare rivolte pro o contro l’una o l’altra parte. Il giovane friulano si era avvicinato alle battaglie per i diritti sociali e civili in Egitto facendo riferimento alle posizioni dell’ex ministro del Lavoro, Ahmed el Borai cacciato da Al Sisi. Nessuna colpa, per noi, ma neppure candida innocenza e non possiamo accreditare la figura dello studente-ricercatore innocente finito inconsapevolmente in una trappola mortale. Agli occhi di zelanti e primitivi agenti dell’antiterrorismo, magari di livello inferiore, le sue attività – quelle che conosciamo – e i suoi contatti potrebbero essere diventati indizi di chissà cosa. Il caso, comunque, ha mosso le più alte autorità. Successivamente, lo stesso presidente al Sisi è intervenuto pubblicamente “per condannare la brutalità” delle forze dell’ordine.

Vedremo, ora, se gli investigatori italiani, in missione al Cairo, chiuderanno le indagini accontentandosi della versione egiziana. A me sembra tanto un “vasetto”. Leggere per giudicare.

“La forze di sicurezza egiziane hanno ucciso al Cairo cinque criminali considerati «sequestratori di stranieri» e che, secondo alcuni media egiziani, erano sospettati di un legame con la tortura e la morte di Giulio Regeni. Il ministero dell’Interno non ha confermato né smentito il nesso, che viene tuttavia escluso da altri media autorevoli. Il ministero dell’Interno egiziano ha diffuso una nota per annunciare che le forze di sicurezza hanno ucciso alla periferia est del Cairo i componenti di una banda di criminali che, camuffati da poliziotti, “sequestravano” stranieri per derubarli. «Al momento dell’arresto», tentato nella zona della New Cairo-5th Settlement, c’è stato «uno scontro a fuoco e tutti i componenti della banda sono rimasti uccisi». Secondo fonti dei quotidiano El Watan, i cinque egiziani uccisi sarebbero legati all’omicidio o almeno, a quanto scrive il sito di El Tahrir, “sospettati di essere dietro” l’uccisione del ricercatore italiano.

Invece i siti di due giornali che stanno seguendo con assiduità il caso Regeni, Al Masry Al Youm e Al Shourouk, smentiscono il legame, come fa anche Al-Ahram: l’autorevole quotidiano filogovernativo, però, si è cautelato rivelando che si indaga per accertare se vi sia un “rapporto” tra la banda e la tortura a morte del giovane ricercatore friulano. Si è appreso inoltre che gli investigatori italiani in missione al Cairo sono stati informati dalla Polizia egiziana sull’uccisione dei cinque malviventi. Secondo le fonti di El Tahrir venivano attribuite loro più di 40 rapine e allo scontro a fuoco hanno partecipato «forze speciali, formazioni da combattimento ed elementi della sicurezza nazionale». Sono state mostrate foto di un minibus bianco con il parabrezza e il muso crivellato da oltre 30 colpi e i corpi insanguinati di due uomini all’interno.

regeni-documenti-k1WD--258x258@IlSole24Ore-Web I documenti di Regeni trovati dalla polizia egiziana

La polizia egiziana ha successivamente ritrovato i documenti di Giulio Regeni nella casa della sorella di uno dei componenti della banda criminale che sarebbero stati coinvolti nel sequestro del giovane e che sono stati uccisi nello scontro a fuoco con le forze di sicurezza. Lo scrive il giornale al-Ahram, mentre il ministero degli Interni ha postato sulla sua pagina facebook le foto del passaporto del ricercatore trovato morto il 3 febbraio scorso e del tesserino dell’Università di Cambridge e dell’Università americana al Cairo. Secondo il ministero degli Interni, i documenti si trovavano in «una borsa rossa con sopra la bandiera italiana», insieme ad altri effetti personali appartenenti a Giulio Regeni, come la sua carta di credito e due cellulari. L’appartamento nel quale sono stati rinvenuti, situato nel governatorato di Qalyoubiya, a nord del Cairo, è di proprietà della sorella di uno dei membri della banda che, secondo le autorità, era dedita al sequestro di stranieri, il 52enne Tarek Saad. La moglie, interrogata, ha sostenuto che la borsa rossa appartiene al marito.

 

 

530.-L’ITALIA, UN PAESE CREATO PER OBBEDIRE ALLO STRANIERO!

 

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L’inefficienza e la corruzione del sistema-Italia derivano dalla collocazione subalterna e asservita dell’Italia nella gerarchia delle potenze (decisa a Yalta.ndr), quindi non è possibile curarle dall’interno dell’Italia, con mezzi politici o giudiziari o di altro genere. Promesse di questo genere sono pertanto mendaci o sciocche. Il dibattito politico e culturale resta sterile e impotente proprio perché non tematizza questa condizione giuridica internazionale di sudditanza dell’Italia, compresi i trattati e i protocolli riservati che sanciscono questa sua condizione, nonché il rapporto tra tale sua condizione da un lato e la sua decadenza dall’altro.

L’Italia, dall’alto medioevo in poi, non è mai stata indipendente (tolta Venezia e qualche altra città), ma è stata assoggettata a potenze e interessi esterni; questa sua posizione è stata consolidata dai secoli, è divenuta uno dei principi cardine del diritto internazionale; i suoi governanti sono sostanzialmente al servizio di questi interessi e potenze: ottengono e mantengono la poltrona in quanto obbediscono ad un padrone esterno, e in cambio possono fare i loro comodi all’interno a spese dei cittadini. Ahi serva Italia! I rari tentativi di ribellione e di difesa di interessi nazionali sono stati repressi con ogni mezzo, compreso l’omicidio (vedi il caso di Enrico Mattei) e il downrating (vedi il caso Berlusconi). Questa condizione millenaria di Renzi e Merkel-asservimento allo straniero, in particolare il fatto che i governanti italiani rispondono a interessi stranieri piuttosto che a interessi nazionali (tolti quelli forti, cioè la Chiesa e le mafie), impedisce il nascere di una coscienza nazionale, di una visione politica di lungo termine e di una classe politica con adeguata competenza: avendo la funzione di trasferire risorse dagli italiani a potentati stranieri, la classe dirigente italiana necessariamente è composta di ladri professionali con mentalità di ladri e compari tra loro. Infatti è connotata, complessivamente, da incapacità, nepotismo, corruzione, abuso, servilismo. Il suo orizzonte operativo è di breve o brevissimo termine. Non si cura di programmare. Vive e ruba alla giornata. Ogni governo fantoccio è un governo di ladri. La popolazione percepisce queste caratteristiche del potere, e si adegua, ricorrendo all’arrangiarsi, al clientelismo, all’evasione fiscale, etc. Da qui derivano il basso senso civico e la sfiducia verso le leggi e la loro abituale trasgressione, da parte delle istituzioni prima ancora che dei cittadini. Il pesce puzza dalla testa. La decadenza di un siffatto sistema-paese è geneticamente predeterminata. Gli esempi di scelte eseguite da governi e presidenti italiani su ordine straniero e contro gli interessi nazionali sono abbondanti e macroscopici.
Ne citerò alcuni che mi paiono particolarmente significativi:

– L’adesione a tre successivi sistemi di blocco dei tassi di cambio, di cui l’ultimo si chiama “Euro”, tutti molto dannosi per l’Italia e molto vantaggiosi per i paesi del Nord Europa; i primi due sono già saltati dopo aver cagionato disastri. Tutti ci hanno inflitto deindustrializzazione e indebitamento, apportando per contro sviluppo e attivo commerciale ai paesi forti. Tutti hanno aumentato il divario rispetto a questi paesi, sotto la promessa di ridurlo.

– L’accettazione di scelte europee in materie monetarie, bancarie e fiscali che consentono ai paesi forti di violare le regole a cui invece deve sottostare l’Italia – vedi il sistema bancario tedesco, cui è concesso di usare leve multiple di quelle italiane e di ricevere aiuti di Stato – congiuntamente al fatto che all’economia italiana viene negato l’uso di strumenti finanziari che invece sono disponibili ai paesi forti dell’UE, i quali quindi possono fare shopping e concorrenza sleale nei confronti dell’Italia, lo si sente!

– La partecipazione alla guerra contro la Libia, imposta via Quirinale a Berlusconi poco dopo la conclusione di un trattato di pace vantaggioso per l’Italia, e voluta nell’interesse di Regno Unito e Francia, a danno dall’Italia, che, per effetto della guerra, ha perso quote di risorse petrolifere a favore di quei due Paesi, e inoltre si ritrova l’Isis a soli 80 km e un flusso disastroso di migranti.

– L’imposizione, sempre via Quirinale, come premier di Monti, che ha irrimediabilmente spezzato le gambe all’economia nazionale soprattutto dove era competitiva con quella tedesca, e ha trasferito decine di miliardi spremuti dagli italiani mediante tasse folli per assicurare a banchieri tedeschi e francesi i profitti delle loro speculazioni criminali in Spagna e Grecia.

– La demenziale adozione del principio di pareggio di bilancio in periodo di recessione, che automaticamente determina la rarefazione monetaria (perché per realizzare un avanzo primario il governo estrae dal Paese più soldi di quanti ne reimmetta, svuotandolo di liquidità), quindi insolvenze, licenziamenti, morie aziendali e avvitamento recessivo.

– La irragionevole adozione del “bail in”, cioè del principio che, se una banca va male (di solito perché i suoi gestori hanno mangiato), anziché farla salvare dalla banca centrale a costo zero e punire i colpevoli, le perdite si scaricheranno su azionisti, obbligazionisti e risparmiatori – principio che mina alla base la fiducia nelle banche stesse e le rende tutte più deboli, perché adesso chi vuole investire nel capitale azionario di una banca o nelle sue obbligazioni sa che rischia di più, e richiederà tassi più alti.

Queste cose non sono novità dell’Europa Unita, ma la prosecuzione del trattamento già riservato all’Italia a Versailles nel 1919. Alla conferenza di Versailles, che definiva i nuovi assetti alla fine della Prima Guerra Mondiale spartendo tra i vincitori territori e colonie dei vinti, il premier francese Georges Clemenceau, soffrendo di prostatite e vedendo il premier italiano, Vittorio Emanuele Orlando, piangere spesso e a dirotto, disse: “Ah, magari potessi urinare così copiosamente come Orlando piange!” Perché Orlando piangeva tanto? Perché il governo italiano, nel 1915, aveva deciso di partecipare alla guerra, che sarebbe costata un alto prezzo di morti, feriti e spese, allo scopo, sancito dal Trattato di Londra del medesimo anno, di far salire di grado l’Italia, di farla equiparare alle nazioni di prima classe; ma, al contrario, l’Italia (di fatto la vincitrice della guerra a Vittorio Veneto, perché scoprì il fianco sud tedesco.ndr) fu trattata male da USA, Gran Bretagna e Francia in termini di dazi per le sue esportazioni, e fu esclusa dalla spartizione delle colonie tedesche e dei territori tolti all’Impero Ottomano, cioè fu esclusa da importanti fonti di materie prime nonché sbocchi per la sua sovrappopolazione, e rimase una paese di seconda classe. Anzi, divenne un paese di terza classe, perché gli USA, usciti dalla Grande Guerra come grandi creditori dell’Europa, in quel dopoguerra assunsero l’egemonia mondiale, spingendo nella seconda classe le vecchie potenze europee, e in terza classe il Belapaese. La Seconda Guerra Mondiale, col successivo piano Marshall e con l’europeismo (sostenuto e sospinto dagli USA, ndr), ha radicalizzato questa scomoda posizione di sub-subalternità di questo paese, che deve piegarsi agli interessi di due livelli di paesi padroni, e restare militarmente occupato dagli USA anche dopo la fine della minaccia “comunista” (sono 133 le basi USA in Italia; non si sa quanti battaglioni di paracadutisti e 70 testate nucleari,ndr) . All’interno dell’Italia, ancora più sottomessi e sfruttati sono Veneti e Lombardi, che devono cedere buona parte del loro reddito per sostenere il meridione e Roma. Emigrare è quindi la scelta razionale più adatta per chi può farlo.
Ps: l’Italia attuale non è una colonia: non ne ha le caratteristiche giuridiche e funzionali perché nessuna potenza straniera si assume la responsabilità di governarla direttamente né manda coloni. Essa è, bensì, oggetto di imperialismo, che impone governi fantocci e politiche di suo vantaggio, mantenendola inefficiente come sistema-paese. Per funzionare, un paese strutturalmente inefficiente come l’Italia (Meridione inguaribilmente arretrato, mentalità parassitaria, burocrazia e partitocrazia marce, livello scientifico e culturale basso, popolazione vecchia) avrebbe bisogno di quello che aveva prima dell’Euro e prima del 1981, ossia di molta liquidità e di molti investimenti pubblici a basso costo: è come un motore vecchio che brucia molto olio: bisogna rabboccarlo continuamente, altrimenti grippa (molta liquidità e molti investimenti pubblici sono esattamente il contrario di ciò che l’Unione europea ci impone con la moneta a prestito e con il pareggio in bilancio,ndr).

di Marco Della Luna.