Archivio mensile:aprile 2018

1775.- Leggi: Più reati procedibili a querela dal 9 maggio: approvato il Decreto legislativo nr. 36/2018

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Il DECRETO LEGISLATIVO 10 aprile 2018, n. 36. Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilita’ per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a) e b), e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103. (18G00061). (GU n.95 del 24-4-2018). Vigente al: 9-5-2018, in vigore dal prossimo 9 maggio, modifica la disciplina del regime di procedibilità per taluni reati contro la persona e contro il patrimonio che si caratterizzano essenzialmente “per il valore privato dell’offesa o per il suo modesto valore offensivo”.

L’obiettivo della riforma che amplia l’istituto della procedibilità a querela di parte, spiega il Consiglio dei Ministri, è quello di “migliorare l’efficienza del sistema penale, favorendo meccanismi di conciliazione per i reati di minore gravità, anche attraverso la collegata operatività dell’istituto della estinzione del reato per condotte riparatorie, che riguarda i reati procedibili a querela ma con querela rimettibile, e di conseguenza una maggiore efficacia dell’azione di punizione dei reati più gravi”.
In particolare, la procedibilità a querela viene introdotta per i reati contro la persona puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena detentiva non superiore a quattro anni, con l’eccezione del delitto di violenza privata, nonché per i reati contro il patrimonio previsti dal Codice penale.

In tal modo, “le nuove norme fanno emergere e valorizzano anche l’interesse privato alla punizione del colpevole in un ambito connotato dall’offesa a beni strettamente individuali, collegandolo alla necessità di condizionare la repressione penale di un fatto, astrattamente offensivo, alla valutazione in concreto della sua gravità da parte della persona offesa”.
Nuovi reati procedibili a querela: l’elenco
Il decreto elenca pedissequamente le ipotesi di reato nei confronti delle quali è soppressa la procedibilità d’ufficio e, pertanto, si potrà procedere unicamente a querela di parte.

Tra questi il reato di minaccia (art. 612 c.p.) in cui rimarrà la procedibilità d’ufficio solo ove la minaccia sia grave ossia fatta in uno dei modi indicati nell’art. 339 c.p. che enumera una serie di aggravanti ovverosia (ad esempio minaccia commessa con armi, da persona travisata o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte).

A querela della persona offesa sarà punibile anche il reato di “Violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale” nell’ipotesi prevista dal comma 2 dell’art. 615 c.p, ovvero se l’abuso consiste nell’introdursi nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, senza l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge.
Procedibilità a querela anche per le ipotesi di reato previste:
– dall’art. 617-ter c.p. (Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche), primo comma;
– dall’art. 617-sexies c.p. (Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche), primo comma;
– dall’art. 619 c.p. (Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza commesse da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni);
– dall’art. 620 c.p. (Rivelazione del contenuto di corrispondenza, commessa da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni).

Ritoccati anche i reati di truffa (art. 640 c.p.) e di frode informatica (art. 640-ter c.p.) che saranno procedibili d’ufficio solo ove sia cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 61, primo comma, numero 7, c.p.) e, nel caso della frode informatica, anche per aver approfittato di circostanze di persona, anche in riferimento all’età (art. 61, primo comma, numero 5, c.p.). Non sarà più procedibile d’ufficio neppure l’Appropriazione indebita (art. 646 c.p.).

In sostanza, viene fatta salva in ogni caso, la procedibilità d’ufficio qualora la persona offesa sia incapace per età o per infermità, o ricorrano circostanze aggravanti a effetto speciale ovvero le circostanze aggravanti indicate all’articolo 339 del Codice penale o, in caso di reati contro il patrimonio, il danno arrecato alla persona offesa sia di rilevante gravità.

Inoltre, in relazione a reati che già prevedono la procedibilità a querela nella ipotesi base, si riduce il novero delle circostanze aggravanti che comportano la procedibilità d’ufficio.

Il provvedimento precisa, infine, che per i reati perseguibili a querela in base alle disposizioni del decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorrerà da tale data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato.

Invece, ove sia pendente il procedimento, il P.M., nel corso delle indagini preliminari, o il giudice, dopo l’esercizio dell’azione penale, anche, se necessario, previa ricerca anagrafica, informerà la persona offesa dal reato dalla facoltà di esercitare il diritto di querela e il termine decorrerà dal giorno in cui la persona offesa è stata informata.

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24-4-2018 GAZZETTA UFFICIALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA Serie generale – n. 95 LEGGI ED ALTRI ATTI NORMATIVI
DECRETO LEGISLATIVO 10 aprile 2018, n. 36.

Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a) e b), e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87, quinto comma, della Costituzione;
Visto l’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Vista la legge 23 giugno 2017, n. 103, recante modi- fiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario, contenente la delega al Governo per la modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati, e, in particolare l’articolo 1, commi 16, lettere a) e b), e 17;
Visto il regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, recante approvazione del testo definitivo del codice penale;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 2 novembre 2017;
Acquisiti i pareri delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione dell’8 febbraio 2018;
Considerato che le competenti commissioni della Ca- mera dei deputati e del Senato della Repubblica non han- no espresso il parere nei termini prescritti, ad eccezione della 2a commissione del Senato della Repubblica;
Viste le deliberazioni del Consiglio dei ministri, adot- tate nelle riunioni del 21 marzo 2018 e del 6 aprile 2018;
Sulla proposta del Ministro della giustizia;
EMANA
il seguente decreto legislativo:
Art. 1.
Minaccia
1. All’articolo 612 del codice penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al secondo comma, le parole: «e si procede d’uf- ficio» sono soppresse;
b) dopo il secondo comma è aggiunto il seguente: «Si procede d’ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339.».
Art. 2.
Violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale
1. All’articolo 615 del codice penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, dopo il secondo comma è aggiunto il seguente: «Nel caso previsto dal se- condo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa.».
Art. 3.
Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche
1. All’articolo 617-ter del codice penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, dopo il secon- do comma è aggiunto il seguente: «Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa.».
Art. 4.
Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche
1. All’articolo 617-sexies del codice penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, dopo il secon- do comma è aggiunto il seguente: «Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa.».
Art. 5.
Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza commesse da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni
1. All’articolo 619 del codice penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, dopo il secon- do comma è aggiunto il seguente: «Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa.».
Art. 6.
Rivelazione del contenuto di corrispondenza, commessa da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni
1. All’articolo 620 del codice penale, approvato con re- gio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, dopo il primo com- ma è aggiunto il seguente: «Il delitto è punibile a querela della persona offesa.».
Art. 7.
Effetti sulla procedibilità delle circostanze aggravanti ad effetto speciale
1. Dopo il Capo III del Titolo XII del Libro II del codi- ce penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, è inserito il seguente:
«Capo III-bis
DISPOSIZIONI COMUNI SULLA PROCEDIBILITÀ
Art. 623-ter (Casi di procedibilità d’ufficio). — Per i fatti perseguibili a querela preveduti dagli articoli 612, se la minaccia è grave, 615, secondo comma, 617-ter, primo comma, 617-sexies, primo comma, 619, primo comma, e 620 si procede d’ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale.».
Art. 8.
Truffa
1. All’articolo 640 del codice penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, al terzo comma le parole: «un’altra circostanza aggravante» sono sosti- tuite dalle seguenti: «la circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, primo comma, numero 7».
Art. 9.
Frode informatica
1. All’articolo 640-ter, del codice penale, approva- to con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, al quarto comma le parole: «un’altra circostanza aggravante» sono sostituite dalle seguenti: «taluna delle circostanze previste dall’articolo 61, primo comma, numero 5, limitatamente all’aver approfittato di circostanze di persona, anche in riferimento all’età, e numero 7».
Art. 10.
Appropriazione indebita
1. All’articolo 646 del codice penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, il terzo comma è abrogato.
Art. 11.
Effetti sulla procedibilità delle circostanze aggravanti ad effetto speciale
1. Dopo il Capo III del Titolo XIII del Libro II del co- dice penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, è inserito il seguente:
Art. 649-bis (Casi di procedibilità d’ufficio). — Per i fatti perseguibili a querela preveduti dagli articoli 640, terzo comma, 640-ter, quarto comma, e per i fatti di cui
all’articolo 646, secondo comma, o aggravati dalle circo- stanze di cui all’articolo 61, primo comma, numero 11, si procede d’ufficio qualora ricorrano circostanze aggravan- ti ad effetto speciale.».
Art. 12.
Disposizioni transitorie in materia di perseguibilità a querela
1. Per i reati perseguibili a querela in base alle dispo- sizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presen- tazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato.
2. Se è pendente il procedimento, il pubblico mini- stero, nel corso delle indagini preliminari, o il giudice, dopo l’esercizio dell’azione penale, anche, se necessario, previa ricerca anagrafica, informa la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela e il termine decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata.
Art. 13.
Clausola di invarianza finanziaria
1. Dall’attuazione delle disposizioni di cui al presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a ca- rico della finanza pubblica.
2. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dal presente decreto con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addì 10 aprile 2018 MATTARELLA
Visto, il Guardasigilli: ORLANDO

1774.- IL TRAMONTO DEGLI EROI E I GIORNI DEGLI ASSASSINI

Cosa festeggiamo il 25 aprile, lo sa Iddio! e non si parli di liberazione!

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Adriano Visconti con l’uniforme dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana. Quando si celebra il 25 aprile, si deve anche ricordare che tale data segnò l’inzio di un periodo di vendette criminali. Oggi, 29 aprile, ricorre l’anniversario dell’uccisione di Adriani Visconti e Valerio Stefanini colpiti alle spalle dai partigiani cui si erano consegnati. Furono in tanti a scomparire in modo simile; … poi venne l’amnistia Togliatti del 22 giugno 1946 .

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Il sottotenente Valerio Stefanini che fu ucciso insieme a Visconti

La vita

Adriano Visconti di Lampugnano nacque a Tripoli, figlio di Galeazzo Visconti di Lampugnano e Cecilia Dall’Aglio, emigrati in Libia in seguito alla colonizzazione italiana del 1911. Si arruolò nella Regia Aeronautica come allievo del Corso REX dell’Accademia Aeronautica il 21 ottobre 1936 e conseguì il brevetto di pilota militare presso la scuola d’aviazione di Caserta. Proseguì il suo addestramento sul Breda Ba.25 e sull’IMAM Ro.41 e, nel 1939, fu assegnato alla 159ª Squadriglia del 50º Stormo d’Assalto (reparto specializzato nell’attacco al suolo).

Nel giugno del 1940, allo scoppio della guerra, Visconti fu trasferito con il suo reparto in Africa settentrionale, presso l’Aeroporto di Tobruch, dove combatté volando sui Breda Ba.65 e sui Caproni Ca.310. Nel periodo giugno-dicembre 1940 fu decorato con due Medaglie di Argento al Valor Militare ed una Medaglia di Bronzo.

Nel gennaio 1941 Visconti fu trasferito alla 76ª Squadriglia Caccia del 54º Stormo Caccia Terrestre dove venne addestrato al volo sul caccia Macchi M.C.200, svolgendo poi servizio operativo sull’isola di Malta e nei cieli africani con il Macchi M.C.202. Il 29 aprile 1943, nel corso dell’ultimo grande scontro aereo prima della caduta della Tunisia, l’allora tenente Visconti guidò dodici Macchi M.C.202 del 7º Gruppo Autonomo Caccia Terrestre all’attacco di sessanta tra Supermarine Spitfire e Curtiss P-40. Visconti abbatté un P-40, mentre altri quattro furono accreditati ad altri piloti del 54º Stormo.

Visconti fu proposto per la concessione di una Medaglia d’Argento al valor militare che venne concessa il 10 giugno 1948, tre anni dopo l’assassinio dell’asso italiano.[1]

In seguito, promosso al grado di capitano, divenne comandante della 310ª Squadriglia Caccia Aerofotografica, specializzata nell’aero-ricognizione ed equipaggiata con Macchi M.C.205 in una speciale versione modificata a Guidonia.

Ten.Sajeva,Ten.Cartosio,S.M.Lajolo,S.M.Marconesin,S.M.Magnaghi,Magg.Visconti,Ten.WeissDopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 Visconti aderì alla Repubblica Sociale Italiana e partecipò attivamente alla costituzione dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana al comando della 1ª Squadriglia e, dopo essere stato promosso al grado di maggiore nel maggio 1944, del 1º Gruppo caccia “Asso di bastoni”.[2]

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Adriano Visconti pilota, difese le città del nord Italia dalle bombe, fu assassinato con una raffica di mitra alle spalle

Fino alla fine della guerra Visconti combatté difendendo l’Italia settentrionale dagli attacchi dei bombardieri anglo-americani utilizzando diversi tipi di aerei: Macchi M.C.202, M.C.205 e Messerschmitt Bf 109G-10.

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Il primo combattimento su quest’ultimo tipo di velivolo ebbe luogo il 14 marzo. Visconti, comandante del 1º Gruppo, con altri 16 Messerschmitt, intercettò, sul lago di Garda, una formazione di B-25 Mitchell del 321th Bomber Group, che rientrava dopo il bombardamento del ponte ferroviario di Vipiteno. I P-47 Thunderbolt di scorta (del 350th Fighter Group) attaccarono a loro volta i Messerschmitt italiani. Nel corso del combattimento, Visconti attaccò frontalmente il Thunderbolt del 1/Lt. Charles C. Eddy, rivendicandone l’abbattimento, ma lo stesso comandante del 1º Gruppo fu colpito e ferito al volto dalle schegge del proprio parabrezza e costretto a lanciarsi. Il 15 marzo l’ANR attribuì a Visconti la vittoria e la segreteria inoltrò la pratica per richiedere il “Premio del Duce”, le 5.000 lire che spettavano all’abbattitore di un monomotore. In realtà il P-47 dell’americano Eddy rientrò alla base di Pisa con il velivolo danneggiato ed era di nuovo operativo il 2 aprile successivo in un’altra missione.[3]

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La resa del 1º gruppo

Il 23 aprile la base dove si trovavano gli aviatori, a Cascina Costa, a sud di Gallarate, fu circondata dai partigiani che intimarono la resa. La richiesta, tra l’altro, venne inoltrata a Mantelli proprio da Visconti. Il comandante Mantelli dapprima rifiutò, ma in seguito, il 28, poiché il Cln aveva promesso salva la vita a tutti gli aviatori, accettò. La prima preoccupazione di Visconti al precipitare degli eventi, onde evitare qualsiasi spargimento di sangue, fu di raccogliere tutti i componenti il Reparto a Gallarate nella sede del Comando del 1° Gruppo Caccia. La mattina del 27 aprile 1945 un plotone del Gruppo, regolarmente inquadrato e armato, raggiunse Malpensa completando la distruzione degli aerei per evitare che cadessero in mano agli Alleati, quindi rientrò alla base. Successivamente, Visconti ricevette i colonnelli Giannotti e Sacchi, inviati a Gallarate dal generale Sala, rappresentante della Regia Aeronautica, in vista dello scioglimento del 1° Gruppo Caccia, con tutte le guarentigie per i suoi componenti. Al colonnello Sacchi il maggiore Visconti affidò una proposta di accordo da consegnare al generale Saia. E qui si apre un mistero ancora oggi insoluto: il mancato ritorno di Sacchi con la risposta di Sala.

Giunse invece a Gallarate il capitano Serego, inviato del generale Cadorna sollecitato con insistenza dal clero ad intervenire. Considerata la situazione, Visconti sottoscrisse un accordo di base, secondo il quale il 1° Gruppo Caccia si sarebbe sciolto alle seguenti condizioni: l’onore delle armi e il passaggio di tutto il rimanente materiale ad un ufficiale superiore della Regia Aeronautica; un salvacondotto per tutti i sottufficiali e truppa; il diritto per gli ufficiali di conservare la pistola e il loro trasferimento a Milano con l’impegno di essere consegnati alle Autorità militari italiane o Alleate quali prigionieri di guerra. Così, il giorno dopo, il 29 aprile, proprio il maggiore Visconti firmò la resa del suo reparto, il 1º Gruppo caccia “Asso di bastoni”. Il documento venne sottoscritto in tre copie, e controfirmato dall’ingegnere Vismara del Comitato di Liberazione Nazionale (CNL), dal tenente colonnello pilota Giannotti della Regia Aeronautica, dal capitano Serego per il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) e da quattro capi partigiani “garibaldini” tra cui Aldo Aniasi, il “comandante “Iso”, successivamente deputato e ministro del Psi e sindaco di Milano per lo stesso partito, che a quel tempo comandava la brigata partigiana Redi. Stranamente, dell’originale del documento non sembra esservi traccia, ma è voce corrente che una copia sia custodita nell’archivio del PCI di Varese.

Fino a quel momento tutto si era svolto nella più perfetta calma, anche per il buonsenso dimostrato dall’ingegnere Vismara, esponente del locale CLN.

L’accordo garantiva libertà e incolumità per avieri e sottufficiali del Gruppo, l’incolumità personale di tutti gli ufficiali, nonché l’impegno di consegnarli alle autorità militari italiane o alleate, come prigionieri di guerra. Come accaduto in altre simili circostanze nella primavera di sangue, a prendere in mano la situazione, e il destino dei prigionieri, furono i capi partigiani, esautorando di fatto i militari e il CLN. Il mattino del 28 aprile, dopo la cerimonia di scioglimento del 1° Gruppo Caccia, venne delegato a Vismara ed ai tre capi partigiani l’incarico di scortare a Milano gii ufficiali prigionieri. Va riconosciuto all’ingegnere Vismara di avere garantito la loro incolumità almeno fino all’arrivo a Milano, alla Caserma del Savoia Cavalleria, in quei giorni occupata dalla Divisione partigiana Redi. Qui, contrariamente agli accordi sottoscritti, i tre capi partigiani disarmarono gli ufficiali una volta condotti al secondo piano dell’edificio. A quel punto i 60 ufficiali repubblicani e le due ausiliarie vennero condotti nella caserma del Savoia cavalleria, già sede dell’Intendenza della Guardia Nazionale Repubblicana, allora occupata dalle brigate garibaldine “Redi” e “Rocco”. I prigionieri erano stati sistemati in un primo stanzone quando, dopo l’avvenuto disarmo, nel primo pomeriggio, circa le 14, il maggiore Visconti venne chiamato per un ulteriore interrogatorio (così si disse) al piano terreno, mentre gli ufficiali venivano condotti in un altro stanzone dove erano state approntate brande. Lo volle seguire, ad ogni costo, l’Aiutante Stefanini. Giunti nel cortile, seguiti alle spalle dai tre capi partigiani, una prima raffica raggiungeva alla schiena Visconti che cadeva a terra, in ginocchio. Stefanini, al suo fianco, si gettava istintivamente alle spalle del suo comandante, ottenendo solo di farlo ferire gravemente ed era in quell’attimo che partiva la seconda raffica che lo raggiungeva alla schiena, fulminato.
Il maggiore fu poi finito con due colpi di pistola alla testa. A sparare fu il guardiaspalle di Aniasi, un partigiano russo. Da più parti è stato affermato che i colpi di grazia a Visconti, alla nuca, siano stati sparati da Iso, ma il ruolo del futuro sindaco di Milano non fu mai chiarito, perché il duplice assassinio fu considerato “legittimo atto di guerra”, in quanto accaduto prima dell’8 maggio 1945, fine ufficiale delle ostilità in Europa.
Ai restanti prigionieri venne successivamente comunicata la notizia dell’avvenuta esecuzione. Visconti e Stefanini furono dapprima sepolti frettolosamente nella stessa caserma, ma si deve al generoso impegno del capitano pilota Robetto, con l’aiuto di Ugo Diappi, ex appartenente al 1° Gruppo Caccia, del cappellano militare Don Luigi Botto e di Irma Rachelli se le due salme, sepolte frettolosamente nel cortile della Caserma del Savoia Cavalleria, vennero recuperate già l’8 maggio 1945 e sepolte al Monumentale di Milano,
a Musocco, dove ancora riposano, uno vicino all’altro nel campo 10 detto anche Campo dell’Onore insieme a centinaia di aderenti alla Repubblica Sociale Italiana caduti di quei giorni, molti rimasti anonimi. Da ricordare che come ebbe a dire il generale Di Lollo, prigioniero assieme a Visconti anche gli altri ufficiali dopo essere stati derubati vennero radunati in vista di un “trasferimento” il conseguente massacro non potè avere luogo per l’intervento della MP americana. Tutti ebbero salva la vita grazie alla prontezza di spirito del principe Colonna-allora sottufficiale- il quale,quando vide che il proprio fratello,ufficiale , veniva condotto nella caserma del savoia Cavalleria dalla quale proveniva l’eco di raffiche di mitra, capì al volo la situazione e si diresse in fretta alla caserma dei carabinieri in via Meravigli. La salma di Visconti presentava segni di torture post mortem. Quando il generale Di Lollo, divenuto nel frattempo comandante delle frecce tricolori,tenne una conferenza a Milano su F,Baracca, ebbe occasione di incontrare il sindaco Aldo Aniasi. Di Lollo rifiutò di stringergli la mano dicendo: non stringo la mano ad un assassino.L’Aniasi replicò:generale lei mi deve una spiegazione. Di Lollo: gliela do’ subito caserma del Savoia Cavalleria, 29 aprile 1945. Aniasi: ancora quella storia? indi girò i tacchi e se ne andò dopo essere stato gratificato IN PUBBLICO CON L’EPITETO DI ASSASSINO.

Riconoscimenti

Nel National Air and Space Museum di Washington (USA) è stata sistemata, su segnalazione dell’Ufficio Storico dell’USAF, una foto di Visconti come “asso” dell’Aeronautica italiana.

Presso il “Museo Storico Aeronautico Scientifico e Tecnologico Forze Armate” a Fiume Veneto è presente un monumento dedicato ad Adriano Visconti di Lampugnano e agli uomini che servirono sotto il suo comando nell’ANR.

All’interno del Museo Storico Aeronautico del FVG è conservata la divisa originale del Maggiore Adriano Visconti.

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Una fotografia di Visconti, definito asso della caccia italiana, è inoltre sistemata nel museo di Ellis Island (NY) Usa.

Compare come personaggio, assieme ad altri celebri aviatori Italiani quali Francesco Baracca e Arturo Ferrarin, nel film d’animazione giapponese Porco Rosso, del 1992, opera di Hayao Miyazaki.
Dai pulcini di Quarantotti alle comete di Visconti (2012) Gino Pizzati sergente Maggiore, che combatté con Visconti, narra molti fatti accaduti nel periodo in cui l’Aeronautica Nazionale Repubblicana fu attiva, in particolare quando il gruppo di Visconti andò in Germania per il corso di pilotaggio sui BF 109 e sui Me 163 Komet.
Primo Gruppo Caccia Asso di Bastoni (2017) Olimpio Agostinis specialista nella Regia Aeronautica l’8 settembre 1943 si arruolò nell’Aeronautica Nazionale Repubblicana. A Campoformido era nella seconda Squadriglia del primo Gruppo Caccia Asso di Bastoni. Là incontrò Adriano Visconti. Agostinis andò anche in Germania con il Gruppo ed è stato testimone delle trattative con i partigiani a Gallarate. Nel documentario sono presenti molti filmati in 8 mm realizzati dal Tenente Cesare Erminio della prima squadriglia del gruppo. I filmati di Erminio sono una preziosa cronistoria in video delle vicende del Gruppo Caccia comandato da Visconti.

Abbattimenti

Gli sono accreditate ufficialmente 10 vittorie aeree nella Regia Aeronautica (1940-1943),[9] numero riportato da Visconti stesso nel suo libretto di volo. Il 1º Gruppo caccia gliene riconobbe invece 14.[10] Secondo alcuni sarebbero invece 26 vittorie aeree:[11] 19 ottenute combattendo nella Regia Aeronautica e 7 nell’Aeronautica Nazionale Repubblicana della Repubblica Sociale Italiana (1943-1945).

Onorificenze

Medaglia di bronzo al Valor Militare – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia di bronzo al Valor Militare
«Ufficiale pilota di grande calma e sangue freddo, provato in numerose e rischiose ricognizioni e in audaci attacchi contro autoblinde nemiche, durante una missione bellica veniva attaccato da tre caccia nemici che danneggiavano gravemente il velivolo.
Con abile manovra atterrava su un campo di fortuna organizzando subito, con spirito combattivo, la strenua difesa dell’equipaggio.[12]»
— Cielo di Sidi Omar – Amseat – Sidi azeis, 11-14 giugno 1940

Medaglia d’argento al Valor Militare – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d’argento al Valor Militare
«Pilota d’assalto, durante un’azione di spezzonamento e mitragliamento contro mezzi corazzati nemici, attaccato da numerosi velivoli, persisteva nell’azione sino al completo successo. Nonostante il rabbioso fuoco di un caccia che lo seguiva da presso, si addentrava in territorio avversario recando l’offesa contro altre autoblindo avvistate e riuscendo, con le ultime munizioni, a distruggerne una in fiamme. In successive operazioni contro mezzi meccanizzati nemici riconfermava le ottime doti di combattente audace ed aggressivo, infliggendo al nemico gravi perdite e rientrando spesso alla base con il velivolo gravemente colpito.[13]»
— Cielo della Marmarica, giugno – settembre 1940
Medaglia d’argento al Valor Militare – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d’argento al Valor Militare
«Capo pattuglia di formazioni d’assalto lanciate, durante aspra battaglia, a mitragliare e spezzonare forti masse meccanizzate nemiche, partecipava con impetuoso eroico slancio a ripetute azioni a volo radente, contribuendo a distruggere ed a immobilizzare numerose autoblindo e carri armati avversari, più volte rientrando alla base con l’apparecchio colpito dalla violenta reazione contraerea. Alto esempio di coraggio, dedizione assoluta al dovere e superbo sprezzo del pericolo.[14]»
— Cielo di Sidi Barrani, Bug Bug, Fayres, 9 – 12 dicembre 1940
Medaglia di bronzo al Valor Militare – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia di bronzo al Valor Militare
«Partecipava, quale pilota da caccia, alla luminosa vittoria dell’Ala d’Italia nei giorni 14 e 15 giugno nel Mediterraneo. Durante lo svolgimento di una battaglia navale si prodigava dall’alba al tramonto in voli d’allarme, di scorta e di ricognizione abbattendo un velivolo da combattimento avversario e recando preziose notizie sui movimenti delle unità navali nemiche.[15]»
— Cielo del Mediterraneo, 14 e 15 giugno 1942
Medaglia d’argento al Valor Militare – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d’argento al Valor Militare
«Valoroso pilota da caccia, già distintosi in numerose azioni di guerra, durante un volo di scorta ad un apparecchio da ricognizione fotografica operante su unità navali nemiche, attaccava da solo quattro caccia avversari e, dopo vivacissimo combattimento, ne abbatteva due in fiamme e costringeva gli altri alla fuga, permettendo al ricognitore di svolgere regolarmente la sua missione[16]»
— Cielo del Mediterraneo centrale, 13 agosto 1942
Medaglia d’argento al Valor Militare – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d’argento al Valor Militare
«Valoroso comandante di squadriglia, già distintosi in precedenti periodi operativi, partecipava nel breve volgere di tempo durante l’attuale ciclo, a quattro violenti combattimenti nello svolgersi dei quali confermava le sue doti di abile e valoroso combattente e durante i quali abbatteva sicuramente un velivolo, uno probabile e ne danneggiava altri sei.
Il 29 aprile, mentre coi propri gregari faceva parte di una nostra esigua formazione attaccante oltre sessanta velivoli nemici da caccia, di protezione a bombardieri che tentavano un’azione contro naviglio nazionale, con indomito spirito aggressivo si lanciava sugli avversari e con il fuoco delle proprie armi ne sconvolgeva la formazione collaborando all’abbattimento di numerosi velivoli nemici ed alla realizzazione di una fulgida vittoria dell’Ala Italiana che veniva citata all’ordine del giorno.[17]»
— Cielo della Tunisia, 29 aprile 1943

Adriano Visconti
11 novembre 1915 – 29 aprile 1945
Nato a Tripoli, Libia italiana
Morto a Milano
Cause della morte Omicidio premeditato
Dati militari
Paese servito Italia Italia
Repubblica Sociale Italiana Repubblica Sociale Italiana
Forza armata Lesser coat of arms of the Kingdom of Italy (1929-1943).svg Regia Aeronautica
Aviazione Nazionale Repubblicana Air Force roundel.svg Aeronautica Nazionale Repubblicana
Specialità caccia
Unità 76ª Squadriglia Caccia
Reparto 7º Gruppo Autonomo Caccia Terrestre
Anni di servizio 1936 – 1945
Grado Maggiore
Guerre Seconda guerra mondiale
Campagne Campagna d’Italia
Comandante di 310ª Squadriglia Caccia Aerofotografica
1º Gruppo caccia “Asso di bastoni”
voci di militari presenti su Wikipedia
Adriano Visconti di Lampugnano (Tripoli, 11 novembre 1915 – Milano, 29 aprile 1945) è stato un militare italiano, fu un asso dell’aviazione italiana e comandante del 1º Gruppo caccia “Asso di bastoni”.205v,6279

1773.- Gentiloni ci spieghi perché l’Italia schiera i missili in difesa della Turchia e le cisterne volanti contro la Siria. In Estonia siamo al 14° Scramble contro i russi.

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La guerra dei bischeri per i soldi dei farisei è cominciata e noi ci siamo! ma non lo sappiamo! Abbiamo perso la guerra e anche la faccia.È inspiegabile perché, in segreto: missili italiani difendono ad Ankara il potente esercito turco, mentre invade la Siria e stermina i curdi; perché dall’Estonia, i caccia italiani intercettano i russi nel Baltico, sulla porta di casa loro; perché le aviocisterne hanno rifornito i bombardieri della favola di gas Sarin. Questa non è una Repubblica. E’ un casino!

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Damasco, 11 apr – È stato segnalato che nei cieli del Medio Oriente più di un aereo occidentale ha partecipato all’attacco alla Siria. Tra questi anche un aereo da rifornimento KC-767 dell’Aeronautica Militare Italiana è entrato dalla Giordania, provenendo dall’Arabia Saudita.

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Baltico. Due caccia italiani Eurofighter hanno effettuato uno scramble, giovedì, per intercettare due Sukhoi russi un Su-35 e un Su-24. Sono ben 14 gli scramble effettuati dall’Aeronautica militare (36° stormo) dall’inizio della missione NATO, ma i russi sono a casa loro e noi no.

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Il governo uscente deve ancora spiegare agli italiani perché manteniamo una missione in Turchia per difendere Ankara da non si sa quale pericolo. Pochi in Italia sanno infatti che da oltre un anno manteniamo in Turchia una batteria missilistica puntata sulla Siria. Con noi ci sono gli spagnoli con i loro patriot, mentre gli italiani hanno i missili Samp/T, gli Aster 30. Siamo schierati sulla frontiera nella missione Active Fence, Barriera attiva. È assolutamente inspiegabile, come abbiamo già ribadito in passato, perché noi dobbiamo difendere uno dei più forti eserciti del mondo, quello turco, che è il più forte della Nato dopo quello statunitense. Soprattutto perché adesso dalla Siria non vengono minacce per i turchi, semmai il contrario, visto che la Turchia ha invaso la Siria, Stato sovrano, per sterminare i curdi. Il tutto nel silenzio di Nato, Ue e Onu. Erdogan in visita a Roma, un paio di mesi fa, chiese – meglio. ordinò – di rimanere. Il governo del Pd ha sempre tenuto nascosta questa operazione, perché si sa che occhio non vede cuore non duole. L’unità missilistica italiana, schierata nella città turca di Kahramanmaras e inserita nell’ambito del sistema di difesa aerea integrata della Nato contro un’eventuale minaccia missilistica proveniente dalla vicina Siria, è stato infatti uno dei temi in cima all’agenda dei colloqui a Roma tra il leader turco Recep Tayyip Erdogan, il capo di Stato Sergio Mattarella e il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Lo ha sostenuto lo stesso Erdogan parlando poi con i giornalisti turchi che lo hanno accompagnato durante la missione in Italia. Erdogan, scrive il giornale Hurriyet, ha riferito di una richiesta di Ankara per una proroga del mandato fino al settembre 2018. “È stato prolungato. Per noi è molto importante”, si è vantato Erdogan.
di ANTONIO PANNULLO

1772 .- La fine dell’impero del dollaro

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L’impero del dollaro volge al termine. Il dollaro sta per compiere una ritirata notevole. Nel 1944-1945 il dollaro-oro fu imposto dopo che gli Stati Uniti (USA) furono tra i vincitori della Seconda Guerra Mondiale ed imposero la propria moneta al Regno Unito, sostituendo la sterlina come valuta di riferimento mondiale. All’inizio degli anni settanta la crisi del dollaro-oro (che si trascinava dal 1967) pose fine al dollaro basato sull’oro; tuttavia, l’accordo ottenuto dall’ex-segretario di Stato Henry Kissinger e dalla Casa dei Saud permise la nascita del cosiddetto petrodollaro. Il petrodollaro era la moneta che esprimeva gli interessi delle multinazionali statunitensi già inglobanti Europa e Giappone. In realtà, il petrodollaro non è la valuta nazionale del capitale industriale statunitense, perché le multinazionali statunitensi dominavano produzione, commercio mondiale e consumo globale del petrolio. Per tale ragione poterono concordare e imporre la nuova valuta di riferimento mondiale, il petrodollaro, strumento d’estorsione che costringe tutti i Paesi a scambiare produzione e lavoro reali con una moneta creata dal mero debito e senza base. Oggi sempre più Paesi vedono il predominio del dollaro come ostacolo alla sovranità e al buon sviluppo nell’economia globale, mostrandone l’attuale crisi d’egemonia. Nel recente passato, Paesi relativamente piccoli come Iraq e Libia furono invasi quando cercarono di negoziare petrolio al di fuori del perimetro del dollaro, e oggi c’è la minaccia d’invadere il Venezuela perché ha deciso di negoziare il petrolio al di fuori del campo del dollaro. È necessario sapere che in questa congiuntura i Paesi BRICS multipolari, con la Cina in testa, asse dalla maggiore crescita economica degli ultimi anni, hanno seriamente pensato di lanciare il petroyuan-oro come valuta di riferimento mondiale. Con l’ascesa di questo rivale, abbastanza forte su diversi piani, per la prima volta dal 1944 sarà possibile parlare correttamente di imminente fine del dollaro come valuta dominante, poiché ha già perso l’egemonia. Il petroyuan-oro è un piano valutario mondiale che non si basa solo sulla più importante materia prima, il petrolio, ma anche sull’oro, cosa che gli Stati Uniti non possono più fare. Il suo vantaggio è nell’essere il piano monetario delle economie più dinamiche e maggiori produttrici e compratrici di oro, formando riserve d’oro gigantesche per sostenere lo yuan, che da solo non potrebbe avanzare ed imporsi.

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Il 26 marzo 2018, dopo aver posticipato più volte, la Cina finalmente decise di lanciare sull’International Energy Exchange lo schema di scambio petroyuan-oro, producendo un cambiamento fondamentale del sistema monetario internazionale. Tutti gli esportatori di petrolio verso la Cina dovranno accettare la valuta cinese, lo yuan, in cambio del petrolio. Come incentivo, vi è l’offerta cinese di convertire lo yuan in oro. Inoltre, la borsa di Hong Kong emetterà contratti a termine in yuan, nel commercio del petrolio, anche convertibili in oro. Gli esportatori di petrolio potranno persino ritirare tali certificati d’oro al di fuori della Cina, cioè il petrolio potrà essere pagato anche presso le cosiddette “Bullion Banks” di Londra. Con l’introduzione del petroyuán, si ha la maggiore sfida diretta al dollaro, finora valuta dominante mondiale nei contratti petroliferi. La strategia multipolare della Cina non sarà attaccare frontalmente il sistema del petrodollaro, ma indebolirlo progressivamente per fare sì che yuan ed altre valute come euro, yen, ecc. diventino essenziali come il dollaro, cioè costruire il mondo multipolare delle valute. Esistono accordi tra Banca centrale cinese (PBoC) e Banca centrale dell’Unione europea (BCE) per consentire scambi diretti tra yuan ed euro, firmando accordi per consentire a entrambe le valute di rafforzarsi reciprocamente ed incoraggiare la compenetrazione dei sistemi finanziari di entrambe le regioni. Quanto sopra è il chiaro segnale che l’Unione Europea mantiene la porta aperta all’integrazione nel mondo multipolare. Non solo c’è la minaccia esterna al dollaro, il peggiore pericolo, a nostro avviso, risiede negli stessi Stati Uniti.

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Il capitale finanziario globalista fa di tutto per far crollare il mercato azionario e attribuirlo alle “forze del mercato”, utilizzando i propri conglomerati mediatici in tale golpe del potere morbido della manipolazione. Il globalismo finanziario può portare a una crisi economica finanziaria mai vista dal 1930. La crisi della grande bolla dai tempi di Alan Greenspan, che assunse la presidenza della Federal Reserve (Fed) nel 1987 e la lasciò a febbraio 2006, crisi che oggi si tenta di attribuire, con tutti i mezzi, alla “cattiva” amministrazione del governo Trump.
Il Partito Democratico degli Stati Uniti, vero rappresentante politico del capitale finanziario globalizzato, vi troverebbe il momento opportuno per imporre l’impeachment del presidente Trump. Così il globalismo finanziario potrebbe non solo attaccare Trump e i funzionari che esprimono l’interesse del continentalismo finanziario USA e dei capitali nazionali emarginati dai globalisti, ma prenderebbe il controllo del governo degli Stati Uniti, imponendo la valuta globale della Banca di Basilea, la banca delle banche centrali del mondo, sotto il pieno controllo del capitale finanziario globalizzato, specificatamente sotto l’egemonia dell’impero dei Rothschild.

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Di Wim Dierckxsens e Walter Formento. Sito Aurora. Traduzione di Alessandro Lattanzio

E, per quanto ci riguarda come italiani… non cambierà gran che.

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1771.- Quando arrivarono i marocchini

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da L’Undici N. 98 , di Paolo Agnoli

Con “marocchinate” (o “goumiers” nell’accezione francese), termine che ora ci appare davvero orrendo ma ampiamente utilizzato nella cultura del tempo, vengono ancora oggi indicate le vittime (donne, ma anche bambini, uomini e non raramente perfino animali) delle violenze delle truppe d’assalto marocchine, algerine, tunisine e senegalesi del Corps Expeditionnaire Francais (CEF) comandato dal discusso generale Alphonse Juin (nato a Bona in Algeria). O anche, talvolta, le azioni delittuose commesse da quei soldati (identificati genericamente dalle popolazioni locali tutti come marocchini) in Italia centrale, durante il secondo conflitto mondiale. Con barracani, “bourms” (mantelli di lana con cappuccio) e turbante, pugnali alla cintura, gli uomini del CEF venivano arruolati e addestrati soprattutto sulle montagne dell’Atlante, in Marocco.

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La “furia francese”, ovvero gli episodi di brutale violenza che videro protagoniste queste truppe coloniali, sfociò anche, e spesso, in esecuzioni capitali degli abitanti delle zone depredate e raggiunse il massimo della ignominia (come vedremo con qualche dettaglio) durante i giorni successivi allo sfondamento da parte alleata della linea Gustav – una barriera militare di oltre 200 chilometri, voluta da Adolf Hitler, che partiva da Gaeta per arrivare alla foce del Sangro, vicino Pescara – in particolare nelle zone di Esperia e Ausonia, in provincia di Frosinone (sulla catena dei monti Aurunci che separa Montecassino dal mare). Non furono comunque solo gli abitanti degli Aurunci a subire quelle brutalità. Quel tipo di crimini iniziò già dal luglio del ’43 in Sicilia, arrivando poi nel Lazio e quindi in Toscana, e terminò solo con il rimpatrio del CEF in Francia. Di queste violenze furono vittime anche membri della Resistenza italiana, in particolare diversi partigiani toscani come per esempio alcuni giovani della brigata garibaldina Spartaco Lavagnini, raggruppamento molto attivo nella Toscana meridionale. Tra loro c’erano una giovane staffetta, Lidia, e un ragazzo, Paolo. Come testimoniò Pasquale Plantera, arruolato nella Lavagnini, Lidia e Paolo – quest’ultimo per difendere la ragazza – furono disarmati e crudelmente violentati. I primi di tale efferati atti si registrarono sulla statale Licata-Gela, come ricorda lo storico Fabrizio Carloni, per poi proseguire fino a Capizzi, tra Nicosia e Troina. Qui i soldati si abbandonarono a numerosi veri e propri stupri di massa: «Consideravano le donne bottino di guerra e le portavano via sghignazzando …». Le violenze (tra cui anche sadismi con i fucili e evirazioni) furono poi registrate nei paesi di Mastrogiovanni (dove madri e figlie venivano stuprate e poi subito passate per le armi), Lanuvio, Velletri ed Acquafondata, dove ci fu un vero e proprio rastrellamento di donne e bambine. A Siena si registrarono 24 bambine abusate, con gravi lacerazioni interne. All’isola d’Elba oltre 200 stupri e le violenze – con spesso il successivo omicidio – avvennero tra gli altri nei Comuni di Grosseto, Val d’Orcia, Arcidosso, Castel del Piano, Monticello Amiata, Sasso Ombrone. Va detto che nella cultura magrebina di quel tempo non solo la sodomia ma anche la pederastia e la zoofilia erano ampiamente accettate. Scriveva Malek Chebel, psicoanalista e psicopatologo clinico algerino a Parigi: «L’itinerario copulatorio del giovane maghrebino campagnolo comincia spesso nei lombi delle bestie che è incaricato di accompagnare regolarmente…… Per le truppe africane agli ordini di Juin, le donne italiane [come tutte le occidentali] erano … “gahba”, puttane, nel linguaggio franco-arabo».

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Il generale maiale Alphonse Juin.

LO SFONDAMENTO DELLA LINEA GUSTAV

Quando, nel gennaio del ‘44, gli eserciti alleati giunsero di fronte alla linea Gustav il generale britannico Harold Alexander, comandante in capo delle forze alleate in Italia, decise di attaccare direttamente e ripetutamente le difese tedesche nel settore di Cassino (la città ciociara era la congiuntura principale di tutto lo sbarramento difensivo), perdendo senza alcun successo circa 65.000 uomini. L’Abbazia fu rasa al suolo a metà febbraio, dai più massicci bombardamenti mai effettuati, almeno in quel conflitto, contro un singolo edificio. Un mese dopo questi bombardamenti fu rasa al suolo anche la sottostante città e le bombe caddero sino a Minturno: distruzioni imponenti, con oltre 10.000 vittime civili e circa 50.000 militari. Senza risultato: i combattimenti accaniti per snidare gli invasori trincerati tra le rovine risultarono inutili. Visti i gravi insuccessi, Alexander decise di cambiare strategia: passare attraverso i monti Aurunci, nella valle del Liri in Ciociaria. Tale manovra di “strangolamento” si doveva sviluppare partendo da Castelforte, la via Ausonia, il monte Petrella e “la penetrante” Esperia. Obiettivo finale: la via Casilina. A svolgere questo compito, definito da molti suicida, furono chiamate le truppe coloniali perché ci si rese conto che nella zona, considerata la natura impervia del terreno, era più opportuno inviare truppe di montagna anziché divisioni corazzate.

Disprezzati dagli americani, che li consideravano (su questo a torto) anche truppe di qualità scadente, e certo rimasti famosi soprattutto per aver sempre lasciato dietro di loro una scia di crudeltà e sofferenze, quei soldati in realtà si dimostrarono in combattimento uomini di grandi capacità e coraggio. Scrisse di loro lo storico Fred Majdalany: «Agiscono come una marea su una fila di castelli di sabbia. Sono capaci di spingersi ad ondate su un massiccio montano dove truppe regolari non riuscirebbero mai a passare. Attaccano in silenzio qualsiasi avversario si presenti, lo distruggono e tirano via senza occuparsi di quel che accade a destra o a sinistra. Hanno l’abitudine di riportarsi indietro la prova delle vittime uccise; perciò sono nemici con cui non è piacevole aver a che fare». La sera del 14 maggio del ‘44 partì l’attacco: centinaia e centinaia di cannoni diedero inizio ad un progressivo bombardamento e presto i reparti d’assalto “marocchini” cominciarono l’avanzata, denominata in codice “operazione Diadem“. Quei combattenti, attraversando un terreno nei monti Aurunci ritenuto virtualmente insuperabile, riuscirono ad aggirare la rocca di Cassino e le altre linee difensive situate nell’adiacente Valle del Liri, strenuamente difese dai paracadutisti e dai fanti tedeschi, sfondando infine la linea Gustav e aprendo così ai mezzi corazzati del XIII Corpo britannico la via per Frosinone e a tutto l’esercito alleato la strada per Roma. Come nota lo storico Giovanni De Luna, «Nei furibondi combattimenti che si accesero sulla “linea Gustav”, i francesi riuscirono a riconquistare la stima degli angloamericani, facendo dimenticare l’ignavia della capitolazione del giugno del 1940, il collaborazionismo di Vichy, le ambiguità di Giraud e delle truppe rimaste nell’Africa del Nord».

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Il fronte nel 1944. La linea Gustav tenne in scacco per mesi gli alleati.

Gli elementi del CEF (quasi tutti analfabeti e ai quali per mesi, affinché non compissero violenze ai danni dei civili, era stato impedito perfino di uscire dai loro accampamenti che venivano sorvegliati a vista e recintati con filo spinato) erano denominati “goumiers”, in quanto organizzati in “goums”, ossia gruppi composti da uomini legati tra loro da qualche vincolo di parentela. Erano reparti dalle dimensioni assimilabili a quelle di una divisione convenzionale ma inquadrati in modo meno rigoroso e posti al comando di un ufficiale francese (“goum” deriva dalla trascrizione fonologica, in francese, del termine arabo “qum” che indica, appunto, un gruppo o una squadra). In prossimità dell’ora dell’attacco il generale Juin inoltrò a questi uomini un appello. Per quanto, va detto, non esista alcuna prova scritta di questo proclama (la Francia in ogni caso secretò subito gli archivi militari), ci sarebbero testimonianze sulla traduzione del manifestino, scritto in francese e in arabo, consegnato ai “goumiers”. La traduzione che qui presento, come riportato in Wikipedia, è quella dell’Associazione Nazionale Vittime Civili: «Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete».

Va detto che l’ex presidente algerino Ahmed Ben Bella, che fece parte di quei contingenti, in una intervista ad una recente trasmissione della Rai ha affermato che è improbabile che il generale Juin abbia mai rilasciato quel proclama, tantomeno per iscritto. Le eventuali (lui nega infatti di aver mai assistito ad alcuna violenza) brutalità sarebbero nel caso state favorite dagli ufficiali francesi di rango minore, desiderosi di raggiungere i loro specifici obiettivi sul campo e per questo pronti a fare qualsiasi promessa ai propri subordinati. In ogni caso il fatto che nel giugno del ‘44 quei crimini ebbero un carattere davvero “di massa” non può non far pensare a una condiscendenza anche degli ufficiali di rango superiore.

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Il generale britannico Harold Alexander.

VIOLENZE CONTINUATE DI MASSA

Le violenze comunque non durarono solamente 50 ore, e andarono ben oltre il lasso di tempo che sarebbe stato concesso da Juin, anche se quelle prime ore, secondo le testimonianze, furono quelle più atroci. Nei giorni che seguirono la battaglia, terminata il 17 maggio, i “goumiers” sopravvissuti (si consideri che durante la campagna d’Italia queste milizie videro più che dimezzato il loro numero) devastarono, violentarono, uccisero. Quei giorni cancellarono nel ricordo, in quei luoghi, la stessa brutalità delle truppe tedesche. Migliaia di donne, virtualmente di ogni età, vennero stuprate. Furono anche sodomizzati numerosi uomini – intervenuti per salvare mogli, figlie, sorelle e madri – molti dei quali successivamente assassinati tramite impalatura. Qualcuno fu crocefisso. Il parroco di Esperia (Don Alberto Terilli), che provò inutilmente a salvare tre donne da quelle crudeltà, fu sodomizzato tutta la notte, morendo due giorni dopo a causa delle sevizie. A seguito delle violenze sessuali molte persone furono contagiate da malattie veneree, soprattutto sifilide e blenorragia, e solo il miracoloso uso della penicillina statunitense, appena introdotta, evitò una epidemia su vasta scala. Durante le violenze furono distrutti fabbricati e sottratti bestiame, utensili, abiti e denaro. Neanche i conventi furono risparmiati. Lo scrittore inglese Norman Lewis, all’epoca giovane “Field Security Officer” dei servizi segreti alleati a Napoli, narrò gli eventi di cui fu testimone e tra l’altro scrisse: «Tutte le donne di Patrica, Pofi, Isoletta, Supino, e Morolo sono state violentate. A Lenola il 21 maggio hanno stuprato cinquanta donne, e siccome non ce n’erano abbastanza per tutti hanno violentato anche i bambini e i vecchi. I marocchini di solito aggrediscono le donne in due – uno ha un rapporto normale, mentre l’altro la sodomizza». Già nel marzo del ‘44 De Gaulle, durante la sua prima visita al fronte italiano, parlò di rimpatriare i reparti coloniali e impegnarli solo per compiti di ordine pubblico. In quello stesso mese molti ufficiali francesi chiesero insistentemente ai propri vertici di rafforzare il contingente di prostitute al seguito di quelle truppe. Le efferatezze compiute furono comunque sempre giustificate dagli alti comandi francesi, nel dopoguerra, con la necessità assoluta di sfondare il fronte di Cassino.

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Reparti di goumiers.

Come messo in luce dallo storico Tommaso Baris, una nota alla Presidenza del Consiglio del 25 giugno, da parte del comando generale dell’Arma dei Carabinieri dell’Italia liberata, segnalò nei comuni di Giuliano di Roma, Patrica, Ceccano, Supino, Morolo, e Sgurgola, in soli tre giorni (dal 2 al 5 giugno), 418 violenze sessuali, di cui 3 su uomini, con 29 omicidi e 517 furti compiuti dai soldati coloniali, i quali «infuriarono contro quelle popolazioni terrorizzandole. Numerosissime donne, ragazze e bambine (…) vennero violentate, spesso ripetutamente, da soldati in preda a sfrenata esaltazione sessuale e sadica, che molte volte costrinsero con la forza i genitori e i mariti ad assistere a tale scempio. Sempre ad opera dei soldati marocchini vennero rapinati innumerevoli cittadini di tutti i loro averi e del bestiame. Numerose abitazioni vennero saccheggiate e spesso devastate e incendiate». Molte violenze furono attestate proprio da lunghe relazioni dei carabinieri. Baris ricorda che in alcuni memorandum l’atteggiamento degli ufficiali francesi veniva duramente stigmatizzato. Per esempio, in un documento, si leggeva di loro: «Lungi dall’intervenire e dal reprimere tali crimini hanno invece infierito contro la popolazione civile che cercava di opporvisi … [le truppe marocchine] sono state reclutate mediante un patto che accorda loro il diritto di preda e di saccheggio … gli ufficiali lasciano ai marocchini una discreta libertà di azione … e nella generalità dei casi preferiscono ignorare».

DOLOROSE TESTIMONIANZE

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Goumiers a Cassino.

Sempre Baris, che a lungo ha studiato quelle vicende, presenta nelle sue ricerche diverse testimonianze, tra cui per esempio quella di una giovane afflitta: «Li portettero qua a migliaia. Se vedevano scegnere dalla montagna… da luntano erano come alle furmiche …Ma fuiette nu passaggio, in tre iuorni, facettero l’inferno. Erano na razzaccia brutta e spuorca. C’avevano gli ‘recchini agliu nase, certe vesti longhe (…). Pe tutta la muntagna se sentevano strilli e lamienti….». E lo studioso italiano riassume significativamente: «L’impossibilità di una qualsiasi difesa dinanzi al dispiegarsi di una ferocia animalesca (più volte richiamata dall’accostamento dei goumier alle bestie), così feroce da fuoriuscire dalla sfera umana (indemoniati e diavoli sono infatti definiti ripetutamente i marocchini), l’abbandono subìto dalle autorità alleate in cui avevano riposto tanta fiducia, segnarono in maniera indelebile la memoria dei giorni di guerra. L’immagine restituitaci, e dalla documentazione archivistica e dalle testimonianze orali, è quella di un paesaggio infernale». Diverse città laziali, come detto, furono investite da quelle violenze. Nella provincia di Frosinone: Esperia, Castro dei Volsci, Vallemaio, Sant’Apollinare, Ausonia, Giuliano di Roma, Patrica, Ceccano, Supino, San Giorgio a Liri, Coreno Ausonio, Morolo e Sgurgola per citare le maggiori. Nella provincia di Latina (allora Littoria): Lenola, Campodimele, Spigno, Saturnia, Formia, Terracina, San Felice Circeo, Roccagorga, Priverno, Maenza, Sezze e altre piccole località. Gli stupri continuarono ai Castelli romani, soprattutto a Grottaferrata e a Frascati, ed ebbero luogo anche alla periferia di Roma. Se alcuni fatti, e le nefandezze che ne scaturirono, sono stati ricostruiti in una dolorosa memoria comune è proprio grazie alle sconvolgenti testimonianze: del resto la ferocia degli avvenimenti fu tale da averli resi incancellabili nel ricordo di chi fu vittima o testimone di tanti strazi (alcune di queste attestazioni si trovano sul blog dell’Associazione Nazionale Vittime delle Marocchinate). Qui una testimonianza particolarmente toccante raccolta da Stefania Catallo, fondatrice del Centro Antiviolenza “Marie Anne Erize”: «Il giorno prima che succedesse l’inferno, vennero due donne da un paese vicino a supplicarci di scappare, di cercare un rifugio … perché stavano arrivando i marocchini … Il giorno dopo mi alzai all’alba per preparare qualcosa da mangiare … Avevo preparato una cesta con pane e formaggio, e stavo mettendoci dentro qualche mela, quando all’improvviso sentii urlare e sparare. Ricordo ancora i passi di corsa sulla strada, le urla dei marocchini, le donne che piangevano e gridavano … Mia figlia aveva dieci anni. Le aprii la porta che dava sul cortile, dove avevamo il pollaio e la spinsi fuori, dandole la cesta. Non ci fu bisogno di parole. Rimasi davanti al tavolo della cucina, pensando che se mi fossi fatta trovare in casa, mia figlia avrebbe avuto il tempo di fuggire, e si sarebbe salvata. Vuoi sapere cosa pensavo? Niente. Pregavo …. Pregavo, tante Ave Maria mentre non potevo fare altro che piangere e aspettare. Pregavo la Madonna per mia figlia. Pregavo che la violenza … durasse il più a lungo possibile, affinché lei potesse scappare lontano …. La prima cosa che fecero, fu di darmi un calcio violentissimo alla fronte per stordirmi, per rendermi inerme. Poi mi violentarono e picchiarono selvaggiamente. Sembravano impazziti. Credevo che volessero uccidermi. Di loro mi ricordo solo le risate, i loro vestiti lunghi così strani, e le loro parole in una lingua sconosciuta. La loro puzza. Gli orecchini che uno di loro portava al naso e alle orecchie. Poi, il silenzio. Ero piena di sangue …. Il viso graffiato, i capelli strappati alle tempie, i lividi che mi facevano male ….. Quante donne straziate, quanti uomini uccisi! Vedevo le mie amiche con gli occhi sbarrati e vuoti, vedevo tante bambine buttate da una parte come bambole rotte. Mi faceva male tutto. Rientrai in casa e misi una pentola sul fuoco, poi mi lavai con acqua bollente e sapone, fino a diventare tutta rossa. Ma questo non servì a molto. Quando chiudevo gli occhi, vedevo quelle facce e sentivo quelle risate. E’ durato per anni, me li sognavo la notte …. Nessuno ci ha mai chiesto scusa, nessuna autorità è venuta da noi … Siamo state bottino di guerra. Né più né meno di un oggetto rubato».

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Il primo presidente algerino Ben Bella nel 1965.

Il 17 maggio i soldati americani che passarono da Spigno sentirono le urla di dolore di molte donne violentate. Questi soldati, pur impegnati in guerra ormai da tanto tempo, rimasero fortemente impressionati da ciò che videro e scrissero presto rapporti ufficiali in cui si parlava espressamente di donne, ragazze, adolescenti, bambine e fanciulli stuprati, come pure di prigionieri sodomizzati. Quelle denunce rimasero tutte inascoltate dai vertici militari alleati. 
A Pico, come scrive lo storico Michele Strazza, alcuni soldati statunitensi del 351º reggimento fanteria (88ª divisione, i cui appartenenti erano soprannominati “blue devils” per il coraggio mostrato in battaglia) giunsero mentre i “goumiers” stavano compiendo le loro atrocità. Per un po’ si fronteggiarono armati con questi ultimi, molto più numerosi, ma furono infine bloccati dal proprio comandante che, dopo aver colloquiato con gli ufficiali francesi, disse loro: «siete qui per combattere i tedeschi e non i francesi, e del resto quei soldati stanno solo restituendo le violenze perpetrate dai soldati italiani in Africa». Qualcuno ha attestato anche di un episodio in cui truppe americane e canadesi si sarebbero messe a difesa di un paesino proprio per evitare preventivamente l’accesso ai coloniali francesi, preceduti evidentemente dalla loro triste fama. Il cardinale francese Eugène Tisserant, ricorda sempre Strazza, inoltrò più rimostranze a Juin, il quale un po’ ammise, un po’ promise di intervenire, un po’ cercò di sminuire, e infine assicurò «che si era provveduto alla fucilazione di 15 militari, accusati di stupri, colti sul fatto, mentre altri 54, colpevoli di violenze varie e omicidi, erano stati condannati a diverse pene compresi i lavori forzati a vita». Il 18 giugno papa Pio XII chiese a Charles de Gaulle, ricevuto in udienza, di prendere accorgimenti. Ricevette subito una risposta amareggiata, quanto furiosa nei confronti del generale Juin. La zona di Castelgandolfo, per iniziare, venne subito interdetta ai reparti coloniali. Lo storico Pierluigi Guiducci nota come anche il capo del governo italiano, Ivanoe Bonomi, scrisse all’ammiraglio Ellery Wheeler Stone, presidente della Commissione Alleata di Controllo: «Già precedentemente questo governo ha segnalato… le malefatte commesse dalle truppe marocchine e ha avuto affidamento che sarebbe stato fatto il possibile, dando anche i dovuti esempi, per evitarle. Purtroppo le violenze però continuano. Dal 2 al 5 giugno nel territorio della provincia di Frosinone le truppe francesi marocchine hanno consumato 396 violenze carnali, 13 omicidi, 250 rapine, 303 furti».

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Reparti CEF ad Esperia.

Il ministro degli Esteri Alcide De Gasperi scrisse a Tisserant. Evidentemente tutto era reso difficile dal fatto che fino a poco tempo prima l’Italia era stata alleata della Germania. Del resto, come afferma De Luna, «per quasi due anni, dal luglio del 1943 al maggio 1945, subimmo una durissima legge del contrappasso: il fascismo che aveva inseguito i suoi deliri imperiali in terre lontane, portò la guerra sull’uscio delle nostre case, in un turbinio di stragi naziste (15 mila vittime civili), bombardamenti (65 mila vittime civili), rappresaglie, battaglie campali. Invasori, liberatori, occupanti, comunque si chiamassero, le truppe straniere guardarono all’Italia come a un paese vinto. E si comportarono di conseguenza». L’”Osservatore Romano” (es. 28, 30 luglio e 4, 7, 8 ottobre), ci ricorda Guiducci, denunciò nuovi episodi di violenza da parte dei soldati del CEF. Il 28 luglio per esempio riportò le tragiche violenze consumate dai “goumiers” su un treno a Ciampino. A seguito di quel dramma, fu rinvenuto il cadavere di una donna. Accanto, c’erano quattro donne e un bambino in gravissime condizioni. I sopravvissuti furono ricoverati d’urgenza presso l’ospedale San Giovanni. Ma una delle tre donne morì. Cessò di vivere anche il bambino. Il 4 ottobre il giornale vaticano informò anche che Mons. Mario Toccabelli, arcivescovo di Siena, volle incontrare il generale Juin dopo la liberazione della città toscana. Nel colloquio del 13 luglio il cardinale non fu certo prudente: disse a Juin che aveva autorizzato una difesa armata nei casolari a rischio di attacchi da parte dei marocchini, e fece anche vedere delle bombe a mano che teneva personalmente! I soldati coloniali vennero poi fatti tornare in Francia nell’agosto del ’44. Furono successivamente trasferiti sul fronte tedesco, nella Foresta Nera e a Freudenstadt, nell’aprile del ‘45, dove si resero di nuovo responsabili di molteplici episodi di stupro e violenze di diversa natura. La Francia pagò, alla fine della guerra, da un minimo di 30 mila a un massimo di 150 mila lire per ogni stupro, fino al primo agosto del ‘47 (anche se il risultato si concretizzò in pratica solo dopo un estenuante quanto sistematico ginepraio di capziosità burocratiche e gravi ritardi). Da quel momento in poi a pagare fu lo Stato italiano, sottraendo i fondi dai 30 miliardi dovuti alla Francia per i danni di guerra. Le autorità italiane presentarono richieste in verità molto più numerose di quelle infine riconosciute dai francesi che del resto, va detto, misero presto in dubbio le cifre relative alle violenze. Le ricerche in merito sono infatti discordi: molti studi parlano di decine di migliaia di donne stuprate, ma per esempio lo storico francese Jean Christophe Notin, nella trasmissione della Rai citata precedentemente, ha affermato che le violenze documentate in Ciociaria furono solo poche centinaia. In ogni caso in quella stessa trasmissione Rai si mostra una relazione della Direzione Generale della Sanità Pubblica al Ministero dell’Interno del 13 settembre del ‘44 dove si riportano 3100 casi di donne con malattie veneree nella provincia di Frosinone e di Latina, con sintomi apparsi tutti dopo le violenze dei “goumiers”. In verità i dati ufficiali si basano essenzialmente sul numero di richieste di indennizzo avanzate dalle donne italiane (più di 60000), e così la totalità degli stupri e degli omicidi commessi risultano ad oggi difficilmente riassumibili con precisione. L’entità del fenomeno rimane comunque impressionante, considerando anche il brevissimo arco di tempo in cui avvenne e l’estrema ristrettezza del territorio.

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Don Alberto Terilli, ucciso crudelmente dalla furia dei sodati del CEF.

L’INTERVENTO ALLA CAMERA DI MARIA MADDALENA ROSSI

Nella seduta della Camera dei Deputati del 7 aprile 1952 (relegata nella notte!) i tragici avvenimenti fin qui presentati furono con commozione ricordati e denunciati da Maria Maddalena Rossi, deputata del Partito Comunista Italiano. Nata nel 1906 (fu tra le prime laureate in chimica del nostro paese) era allora la presidente dell’Unione Donne Italiane, organizzazione che si attivò presto, dopo la fine del conflitto, per portare alla luce e denunciare quelle atrocità e cercare di ricompensare, almeno economicamente e per quanto possibile, le vittime. Voglio qui sottolineare, in ogni caso, che molta della storiografia di sinistra attuò pian piano un colpevole profilo di silenzio principalmente per non favorire, si ritenne, una presunta forma di pregiudizio razziale: l’argomento fu così, per molti anni almeno, considerato a sinistra politicamente scorretto, quasi un tabù. Va anche sottolineato che tutti i governi italiani per circa 60 anni hanno virtualmente ignorato quei fatti. In ogni caso, per quanto ho potuto appurare, questi ultimi non hanno trovato mai il giusto spazio neppure nei libri della storiografia ufficiale. Laddove invece sarebbe dovere di chi scrive la storia, a mio modesto avviso, anche ripagare chi la storia l’ha dovuta soffrire. Le stesse realtà locali non sono state quasi mai in grado di costruire un ragionamento pubblico su quelle vicende, rimaste presenti spesso soltanto nel ricordo delle vittime, dei testimoni e dei pochi accademici che le studiarono.

Riporto qui la parte iniziale del lungo ed accorato intervento della presidente dell’UDI: «La nostra interpellanza si riferisce dunque ad uno dei drammi più angosciosi, quello delle donne che subirono le violenze delle truppe marocchine … quando queste irruppero nella zona del cassinate. Non so se sia vero quello che si dice…, cioè che il contratto di ingaggio di questi mercenari non escluda o addirittura consenta il diritto al saccheggio e alla violenza …. Comunque, sia stato o meno tollerato, se non concesso, il fatto è che il saccheggio fu compiuto e le violenze ebbero luogo. Il primo paese del cassinate che le truppe marocchine incontrarono nell’aprile 1944 … fu, se non erro, Esperia. I soldati fecero irruzione nelle case, depredarono, saccheggiarono, e violenze innominabili furono compiute su donne e uomini. Perfino il parroco fu legato ad un albero e costretto ad assistere allo spettacolo. Poi anche di lui fu compiuto tale scempio che ne mori. Del resto, a Vallecorsa, non furono risparmiate neppure le suore dell’ordine del Preziosissimo Sangue. A Castro dei Volsci dai registri del comune risultano 42 gli uomini e le donne morti in quei mesi terribili. Come e perché morirono quei 42 cittadini? Ecco alcune informazioni. Molinari Veglia, una ragazza di 17 anni, è violentata sotto gli occhi della madre e poi uccisa con una fucilata; siamo in contrada Monte Lupino, il 27 maggio 1944. Rossi Elisabetta, di circa 50 anni, è sgozzata dai marocchini perché tenta di difendere le sue due figlie, rispettivamente di 17 e 18 anni: la madre muore e le figlie sono violentate; ciò accade in contrada Farneta. Anche Margherita Molinari, di 55 anni, tenta di salvare la figlia Maria, che ne ha 21: è uccisa con cinque fucilate al ventre! Il bambino Serapiglia Remo, di cinque anni, innocente testimone dei delitti che intorno a lui si compiono, dà fastidio: perciò viene lanciato in aria e lasciato ricadere, così che morrà entro le 24 ore successive per le lesioni riportate … Ed ecco alcuni esempi di ciò che accadde a Pastena … Antonini Giuseppe fu Francesco viene ucciso dai marocchini in contrada Santa Croce e nessuno sa dove sia stato sepolto, perché il cadavere è portato via immediatamente dai francesi. Giuseppe Faiola fu Marco è ucciso dai marocchini in contrada Cerviso. A Vallecorsa, Luigi Mauri fu Martino muore il 26 maggio 1944 in contrada Lisano nel tentativo di difendere l’onore della moglie Lauretti Assunta e delle sue quattro figliole. Ancora a Vallecorsa Antonbenedetto Augusto fu Cesare cade il 25 marzo 1944 in contrada Visano per difendere l’onore della moglie Nardoni Margherita. Cade anche Papa Vittorio di Alessandro il 25 maggio 1944, in contrada Santa Lucia, avendo osato difendere la moglie Di Girolamo Rosina di Augusto, ma prima di essere ucciso è egli stesso seviziato … Fatti analoghi a quelli che ho citato accadono a Pontecorvo, a Sant’ Angelo, a San Giorgio Liri, a Pignatari Intermagna, a Ceccano: almeno in una trentina di paesi delle province di Frosinone e di Latina, percorse dalle truppe marocchine. Quante donne abbiano subito violenza da parte delle truppe marocchine nessuno sa con esattezza né forse si saprà mai…». Quelle strazianti vicende furono costellate, come si può facilmente immaginare, anche da successivi e angosciosi interrogativi, come pure da problemi sia fisici che psicologici di diversa natura. Molte donne violentate morirono per le malattie contratte, alcune si suicidarono, altre furono rinchiuse nei “manicomi”, altrettante emigrarono per scappare da un contesto per loro insopportabile. La violenza sessuale è tra i crimini più odiosi e devastanti: denunciare di essere stata stuprata era un’esperienza di per sè terribile, anche se poteva evidentemente essere fonte di denaro.

IL CONTESTO CULTURALE

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L’Abbazia di Montecassino dopo i bombardamenti alleati.

Per le vittime ci fu anche il dolore di vedersi subito emarginate dalla società. Lo stesso Stato italiano non tributò mai, se non in un discorso pubblico del presidente Ciampi a Cassino il 15 marzo 2004, una decorosa e partecipe vicinanza alle vittime, rendendosi di fatto complice dei giudizi più disparati cui queste donne furono sottoposte, anche in seno alle comunità locali alle quali appartenevano. E’ un fatto che alle celebrazioni istituzionali del dopoguerra relative a quelle violenze sessuali fu sempre assegnato un basso profilo ed esse furono pian piano sempre più ignorate. L’angoscia evidentemente andava smaltita in silenzio, in un contesto fatto di umiliazione e condanna, a causa di una “vergogna alla rovescia”, ovvero un vero ribaltamento del sentimento di ignominia, dal persecutore alla vittima. Ricorda una testimone, come documentato negli studi di Baris: «In paese nisciuno ne parlava in faccia, ma tutti ne parlavano sotto sotto. E venivano indicate: è stata chella, è stata chell’ata. E roppo (dopo) cheste donne qui le schifavano un po’ tutti». Per quanto riguarda gli uomini (molti di loro tornati dalla guerra), essi manifestarono presto malessere e addirittura collera verso le mogli violentate. Questo contesto e questa mentalità furono tali da impedire alle nubili di sposarsi e anche di ottenere un’occupazione degna. Molte donne non riuscirono a convivere con questa realtà, arrivando, come ho già detto, perfino a togliersi la vita. Davvero commovente, ma anche istruttiva se così posso dire, una testimonianza riportata sempre nei lavori di Baris: «Mio padre tornò alla fine della guerra e cominciò l’inferno a casa nostra. Mamma piangeva spesso, anche quando lavorava o stava sola. Mio padre incominciette a bere e si arrabbiava pè niente e ce picchiava. La nonna ce voleva bene e cercava di difenderci. Ma se morì subito di crepacuore. Io non riuscivo a capire perché papà diceva tante brutte parole a mamma. Crescemmo, passavano gli anni, sempre a faticare. Quando divenni signurina mio padre, me lo ricordo ancora, me disse: “Vedi adesso di non fa pure tu la fine de tua madre”. La mamma allora dovette quasi spiegarmi, con la forza, tutto chello che gli erano fatto gli marocchini. Capii che gli surdati che m’avevano dato la cioccolata avevano ruvinato per sempre la pace della casa nostra. Mamma me raccontò che l’avevano violentata in cinque. Mi diceva che tutti gli omene sono sporchi ma che i marocchini sono più sporchi di tutti. E così quanno mio padre capì al suo ritorno quello che era successo a mia madre non stette chiù bene, pareva impazzito…..».

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Il cardinale Tisserant.

La psicologa Cinzia Venturoli sottolinea: «Lo stupro prima di essere considerato come una ferita al corpo e all’anima della donna vittima, era vissuto come un’offesa all’onore personale e familiare, un oltraggio rivolto all’onore e ai valori della comunità. A ciò si deve aggiungere il sospetto di collusione e di una responsabilità della donna che non era riuscita a difendersi e, quindi, a evitare la violenza sessuale. Sin dall’età moderna era andata infatti codificandosi, anche a livello giuridico, una tradizione che imponeva alla vittima dello stupro di dimostrare di avere opposto resistenza alla violenza, dando prova di onestà …. affinché su di lei non ricadesse il sospetto di un qualsiasi consenso». Come quindi commenta Baris, «incapaci di affrontare le mille contraddizioni aperte dagli stupri nel loro sistema culturale, gli abitanti dell’area non furono in grado di rapportarsi con la loro storia più recente, preferendo oscurare la vicenda e lasciando ai singoli l’elaborazione della memoria». Singoli che comunque difficilmente nominavano le violenze subite, quasi ne fossero appunto loro stessi i colpevoli. La presidente dell’UDI, sempre nel suo intervento notturno alla Camera, a proposito di molti di questi aspetti commentò: «Molte di queste vecchie donne sono malate: si consumano lentamente a causa dell’ignobile morbo che è stato loro trasmesso dai soldati marocchini. Entrando nei loro poveri tuguri si vedono queste povere donne sui loro giacigli di stracci, con i bambini intorno, con parenti che non sanno o non possono curarle; e queste vecchie parlano, raccontano quello che è loro accaduto. Le giovani no; le giovani, in generale, sono restie a parlarne, e se ne comprende bene il perché. Se per le vecchie l’insulto subito sa quasi di martirio, per le giovani significa qualche cosa di peggio della morte: significa avere di fronte a sé un lungo periodo di vita, una vita non ancora vissuta, ma buia e fredda, in cui non c’è più alcuno spiraglio, alcuna speranza, alcuna luce; perduta la possibilità di avere una famiglia; di avere dei figli; perfino il lavoro é precluso a queste giovani, e la povertà nel loro caso è ancora più tragica, perché il benessere economico, il lavoro potrebbero almeno aiutarle in parte ad uscire da questo terribile isolamento in cui le ha gettate la loro disgrazia …. ».

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Maria Maddalena Rossi, deputata del PCI.

E’ ancora la deputata del PCI a ricordarci poi indirettamente quale fosse l’atteggiamento del governo, ed a testimoniare altresì come i fatti spinsero quelle donne ad un inedito protagonismo, almeno per l’Italia del tempo: «A Pontecorvo il 14 ottobre scorso ebbe luogo un singolare convegno … Non so se sia vero che vi fu da parte del ministro degli Interni o di qualche suo zelante Prefetto il tentativo di impedirlo per ragioni di “carattere morale”, perché questo convegno avrebbe offeso la pubblica moralità. Ad ogni modo il convegno … ebbe luogo, e vi parteciparono le rappresentanti delle 60 mila donne che a suo tempo hanno presentato domande in qualità di vittime civili della guerra, motivate da violenze e danni di vario tipo. Erano 500 delegate. Io ho partecipato a questo Convegno e ho visto le 500 contadine venute dai villaggi e dai paesi della piana e delle montagne circostanti. Molte avevano camminato per ore ed ore a piedi per arrivare in tempo a Pontecorvo, e non avevano certo mai partecipato in vita loro ad una riunione né tanto meno parlato da una tribuna. Né, credo, queste contadine, queste montanare, che ricordano ancora coi loro costumi le ciociare di un tempo, cosi ritrose e fiere, avrebbero mai voluto parlare addirittura in un convegno di fronte a tutti della loro mostruosa disgrazia. Invece, sono state costrette a fare così. E con quale serietà esse hanno esposto i loro casi dolorosi!». Durante quella stessa seduta parlamentare, l’on. Luigi Preti del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani fa alcune considerazioni rivolte all’aula e al rappresentante del governo le quali, a mio avviso, suggeriscono ulteriori riflessioni sulle angosce delle vittime: «Voi pensate che la vita di queste donne sarebbe colpita nella stessa misura se esse avessero perduto uno dei loro cari in guerra? No, non è la stessa cosa. Noi conosciamo le madri che hanno perso i figli, le mogli che hanno perso i mariti: noi le amiamo, le onoriamo, manifestiamo loro la nostra intera solidarietà, sì che esse trovano qualche volta una sorta di conforto nel sapere che il loro lutto è condiviso, che la memoria dei loro cari scomparsi è sacra a milioni di cittadini. Ma queste donne no! Per queste non c’è conforto possibile. Si devono nascondere, come se si sentissero infette anche moralmente! A queste donne si vorrebbe vietare di parlare della loro sventura, di riunirsi, di reclamare, in nome della pubblica moralità! Inoltre, ella ha confrontato questa sventura a quella di una persona che perde un congiunto in una disgrazia automobilistica o non so che altre. Onorevole sottosegretario, se mi permette, questo non lo doveva dire. Non si deve confrontare questa sventura con altre, piccole o grandi che siano, né tanto meno collocarla nella categoria degli “incidenti”. Altrimenti non basta più parlare di insensibilità, perché si tratterebbe di cinismo».

E’ GIUSTO OGGI RICORDARE?

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La Ciociara.

Il Presidente dell’Associazione Nazionale Vittime delle Marocchinate Emiliano Ciotti ha proposto, come riportato in Wikipedia, una stima recente di quegli stupri di massa, con alcune testimonianze relative agli avvenimenti in Sicilia: «Dalle numerose documentazioni raccolte oggi possiamo affermare che ci furono un minimo di 20.000 casi accertati di violenze, numero che comunque non rispecchia la verità; diversi referti medici dell’epoca riferirono che un terzo delle donne violentate, sia per vergogna o pudore, preferì non denunciare. Facendo una valutazione complessiva … possiamo affermare con certezza che ci fu un minimo di 60.000 donne stuprate … I soldati magrebini mediamente stupravano in gruppi da 2 (due) o 3 (tre), ma abbiamo raccolto testimonianze di donne violentate anche da 100, 200 e 300 magrebini. In Sicilia, i goumiers avrebbero avuto scontri molto accesi con la popolazione per questo motivo: si parla del ritrovamento di alcuni goumiers uccisi con i genitali tagliati (secondo alcuni un chiaro segnale). I siciliani, oltre a nascondere le donne in rifugi naturali o artificiali come grotte o pozzi, in diversi casi reagirono, come a Capizzi dove una quindicina di marocchini venne uccisa con l’acquiescenza delle autorità militari alleate; in altri casi gli autori degli stupri vennero uccisi a roncolate o evirati, sbudellati e dati in pasto ai maiali». Il film La ciociara (1962), diretto da Vittorio De Sica (nativo della provincia di Frosinone) e ispirato al romanzo omonimo di Alberto Moravia (1957), finisce proprio con la violenza da parte di alcuni marocchini nei confronti di una madre, Cesira, e di sua figlia Rosetta, ancora bambina. Nel film, uno dei grandi capolavori del cinema neorealista italiano, che non fa sconti ai fascisti ma neppure idolatra i liberatori, è facile ravvisare quindi la volontà di ricordare un passato che molti italiani vollero invece, per motivi diversi, gettarsi alle spalle (e neanche questo film straordinario, purtroppo, ha potuto evidentemente tradursi in consapevolezza storica). La madre (Sophia Loren, che per questo film vinse l’Oscar, la Palma d’oro a Cannes e il David di Donatello) chiama i violentatori “turchi” (antico retaggio dovuto alle storiche scorribande dei cosiddetti saraceni), in un disperato quanto vano appello verso gli ufficiali francesi. Rosetta da allora comincia a concedersi volontariamente a tutti gli uomini che incontra, come se questo comportamento fosse l’unica liberazione possibile. Moravia, nel romanzo, ci ricorda così un ulteriore drammatico esito di quelle storie angoscianti: «Uno dei peggiori effetti delle guerre è di rendere insensibili, di indurire il cuore, di ammazzare la pietà». Per le ragazze come Rosetta la violenza dello stupro, in un contesto sociale caratterizzato da un modo di pensare arretrato, si sommò alla violenza della guerra, cancellando nel modo più crudele l’uscita dalla loro fanciullezza e segnandone drammaticamente il resto dell’esistenza. «Basta soffrire», è una delle battute cult del film. L’interpretazione delle violenze dei combattenti coloniali francesi è ad oggi tutt’altro che chiara. Quei comportamenti sono stati da alcuni attribuiti principalmente alle responsabilità degli ufficiali francesi (che utilizzavano quelle truppe in azioni impossibili promettendo loro “carta bianca” se fossero poi riuscite nell’impresa); da altri sono stati spiegati con gli istinti primordiali e ferini di “quei selvaggi”, o con le condizioni miserevoli delle zone più povere del Maghreb in cui costoro erano cresciuti.

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Copertina del romanzo.

Nella trasmissione Rai precedentemente citata si riassume una intervista al “Mattino” del 1993 del famoso scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, dove i goumiers vengono così descritti: «Era soprattutto gente che viveva sulle montagne, i francesi li rastrellarono, li caricarono sui camion con un’azione violenta, di sopraffazione e li portarono a migliaia di chilometri da casa a compiere altre violenze. Le loro azioni brutali vanno inquadrate in questo contesto…in Marocco ovviamente sono gli eroi di Cassino. I goumiers andavano all’attacco salmodiando la Chahada. Catturavano i tedeschi per rivenderli (500-600 franchi per un soldato semplice, il triplo per un ufficiale superiore) ai militari americani desiderosi di costruirsi una reputazione guerriera senza rischiare». I comportamenti di quelle truppe furono, da altri ancora, ricondotti a ragioni prettamente religiose, citando presunte concezioni della donna e del suo ruolo nel mondo islamico. Non sono mancate ovviamente interpretazioni di carattere “etnico”, per così dire: queste ultime inevitabilmente confuse, fino a configurarsi talvolta come veri e propri pregiudizi razziali. In più va certamente ricordato che in ogni guerra, in ogni epoca, i fenomeni relativi alle violenze sessuali sulle donne (meno, di norma, su uomini e bambini) sono sempre stati numerosi: “Con la vittoria viene il bottino” è stato il grido di guerra più ripetuto per secoli, con le donne degradate a parte della preda. Ognuno di questi fenomeni, se ha avuto qualche causa comune (per esempio l’irrazionale “bestialità” del maschio quando vengono messe a tacere le uniche forze, oltre la sicura punizione, che davvero la limitano, ovvero l’autocontrollo e l’empatia), ha sempre in ogni caso evidenziato anche proprie, distinte e specifiche caratteristiche. Non è questa la sede in ogni caso, per motivi di spazio oltre che di competenza e di pertinenza al tema solo riassuntivo che mi sono inizialmente posto, di riflettere a lungo su questi difficili e controversi temi. Comunque, anche se ad oggi non abbiamo una spiegazione completa universalmente accettata delle azioni dei “goumiers”, è come dicevo mio profondo convincimento che esse debbano in ogni caso essere messe in luce e non nascoste. Sono una persona di sinistra e frequento spesso persone di sinistra. Alcune di loro, sempre pronte giustamente, sottolineo, a rendere noti e denunciare episodi riguardanti violenze a popoli o comunità ritenute “più indifese” di altre (e magari a considerare l’ex tecnico della CIA Edward Snowden un «benefattore dell’umanità» anche solo per aver «rivelato i fatti»), venute a conoscenza del mio impegno per questo contributo mi hanno, anche se cordialmente e amichevolmente, avvertito: «Non c’è il problema che tornando su questi avvenimenti, del resto dopo così tanti anni, rischi, pur non volendo, di alimentare sentimenti razzisti nei confronti di un certo tipo di immigrati?». Non giudico questa loro considerazione irricevibile, pur ritenendola incoerente con le altre ricordate. Contribuire ad accrescere pregiudizi razzisti, sempre odiosi, sarebbe di per sè un risultato disdicevole. Ciononostante non credo che sia nascondendo i fatti che falsi preconcetti xenofobi (il concetto di ‘razza’ non ha nessuna base scientifica, e del resto in passato la cultura araba è stata più avanzata di tante altre) possano essere, nel lungo termine, davvero contrastati. Sono invece assolutamente convinto che è con la conoscenza, l’informazione e la consapevolezza (magari appunto anche di vicende “scomode” e virtualmente oscurate per anni e anni) che si può provare a sperare in un mondo più civile e quindi più pacifico. E’ inoltre lecito avanzare, in campo etico, considerazioni di carattere non prettamente utilitaristico. L’insegnante di scuola media Bruno D’Epiro, figlio della terra esperiana, deportato a sedici anni dai tedeschi perché non volle aderire alla Repubblica Sociale Italiana e insignito da Pertini del “Diploma d’onore di combattente per la libertà 1943/45”, cominciò presto a raccogliere le attestazioni relative alle atrocità subite dalle vittime: «La spinta me l’hanno data le donne di Esperia. Nel 1950, quando si cominciarono a dare i primi miseri indennizzi alle donne violentate, io scrivevo le domande per loro e ne raccoglievo le testimonianze». E’ così, anche pensando alle tante Cesire e Rosette, e a tutti coloro che provarono a difenderle, che ho ritenuto quindi perfino doveroso, oltre che opportuno, dedicare un po’ del mio tempo a produrre questa pur elementare nota riassuntiva, avendo avuto modo in passato di leggere alcuni libri, articoli e documenti su quelle tristi storie, e di parlarne. Per provare a contribuire, con la cortese e fattiva disponibilità de “L’Undici”, a promuovere la conoscenza di eventi infausti avvenuti a pochissimi chilometri da dove sono nato e da dove vivo, in luoghi che conosco benissimo e frequento sin da bambino. E’ mia convinzione che si possano commemorare quelle vittime martoriate anche con l’impegno a far conoscere le violenze da loro subite (e tutto ciò che queste hanno poi causato) attraverso il corretto ricordo, restituendo a quelle nostre sfortunate connazionali, con la pubblicizzazione della verità (nascosta da moralismi di tipo diverso, tra cui anche quello sessuofobico imperante nei decenni passati in Italia), la dignità delle loro pur terribili esperienze. Ciò può anche ristabilire la giusta memoria di una parte rimossa della celebrata storia della Liberazione dall’oppressione nazifascista, ovvero di una parte taciuta della storia del nostro Paese. I soldati coloniali francesi hanno certamente contribuito a combattere i tedeschi che occupavano il nostro suolo e a sconfiggerli. Ma i loro efferati crimini, quali ne siano le interpretazioni, non possono essere cancellati. Soprattutto non devono essere dimenticati.

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Riferimenti

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S. Catallo, Marocchinate

M. Chebel, La cultura dell’harem: erotismo e sessualita nel Maghreb

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L. Garibaldi, L’assalto alle ciociare, in periodico “Noi”

N. Lewis, Napoli ‘44

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M. Strazza, Senza via di scampo – Gli stupri nelle guerre mondiali

C. Venturoli, Sulla violenza sessuale in contesti di guerra e di pace, in “Voci dal verbo violare, I libri di Emil”

Atti parlamentari – 37011 – Camera dei Deputati, “Seduta notturna di lunedì 7 aprile 1952″

Le marocchinate, articolo sul sito dell’Istituto Tecnico C.G.P.A.C.L.E. “Luca Pacioli” di Crema (CR)

Rai, Bottino di Guerra – Le donne violentate in Ciociaria, in “La Storia siamo noi”

Sito ufficiale della causa di canonizzazione di Papa Pio XII, Intervista al prof. Guiducci, Pio XII Defensor Civitatis Sito Instoria, Marocchinate

1770.- “Mosca pronta a schierare missili in Siria”

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Foto dalla conferenza stampa MD Russia: sullo schermo analisi di parti di missili cruise, in basso sul lungo tavolo esposizione di rottami. Intelligence russa: 46 missili sono stati distrutti durante attacco occidentale

Siria La Difesa russa che al solito ha la Siria al primo punto fa sapere che:
– i tomahawk Usa inesplosi sono in loro possesso;
– vari rottami di cruise (colpiti 46) hanno segni di impatto dei sistemi antimissili della difesa siriana.

Un dettaglio interessante: almeno uno dei missili entrati in possesso delle forze armate russe è un “missile di precisione lanciato da un aereo”. Non è rivelato se arma Nato o Usa. Li utilizzeranno, dice il portavoce, per perfezionare le armi russe (= retroingegneria). Può essere uno Storm Shadow lanciato dai 4 Tornado decollati dalla base Raf (Royal Air Force) di Akrotiri a Cipro, oppure, uno dei 9 missili Scalp lanciati dai cacciabombardieri Rafale.

Siria, La Russia potrebbe presto dislocare in Siria i missili di difesa aerea S-300, in grado di contrastare efficacemente attacchi aerei o missilistici. La notizia, riportata dal quotidiano russo Kommersant, mette in allarme Israele. Anche perché le fonti militari di Mosca citate dal quotidiano avvertono che se Israele reagirà militarmente le conseguenze sarebbero “catastrofiche per tutte le parti”.

La Russia aveva originariamente deciso di vendere il sistema S-300 alla Siria nel 2010, ma tutto è stato poi congelato su pressione israeliana. Secondo Kommersant, Mosca intende ora fornire gratuitamente il sistema di difesa, che verrebbe dislocato a protezione di Damasco e delle basi aeree.

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Il nuovo sistema rischia di far perdere ad Israele la supremazia dei cieli ed è quindi probabile che la sua aviazione cerchi di distruggere gli S-300 in Siria prima che diventino operativi, notano i media israeliani. Tanto più che Israele teme attacchi da parte di forze iraniane stazionate in Siria. In ogni caso, l’esercito siriano è ora in massima allerta come riferiscono fonti militari siriane alla Dpa, spiegando che Israele resta il sospettato numero uno per possibili nuovi attacchi. I media di stato siriani avevano infatti in precedenza sostenuto che Israele stava per attaccare in diversi punti alla periferia di Damasco, contro la base militare di a-Dumair, e vicino a Homs. Secondo queste fonti la difesa antiaerea siriana avrebbe intercettato almeno nove missili.

Già la settimana scorsa il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov aveva lasciato intendere un possibile cambiamento di rotta sugli S-300 dopo il raid occidentale per il presunto attacco chimico a Douma. “Qualche anno fa avevamo deciso di non fornire gli S-300 su richiesta dei nostri partner – aveva detto Lavrov alla Bbc – ora che vi è stato questo oltraggioso atto di aggressione da parte di Usa, Francia e Gran Bretagna potremmo pensare a come assicurarci che lo stato siriano sia protetto”.

1769.- Mani pulite, confessione shock di Di Pietro:”Eravamo arrivati anche al PCI,poi l’inchiesta è stata fermata dai servizi segreti”

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Confessione shock dell’ ex magistrato antonio Di Pietro ai microfoni di Radio Cusano Campus, riguardo l’inchiesta Mani pulite: “Eravamo arrivati anche al PCI,poi l’inchiesta è stata fermata dai servizi segreti deviati”.

“Tangentopoli esiste ancora oggi, non si è mai fermata“, questa è una delle affermazioni più rilevanti di Antonio Di pietro durante una intervista rilasciata a Radio Cusano Campus, l’emittente dell’Università degli Studi Niccolò Cusano.

L’ex magistrato ha risposto alle accuse di chi afferma che nell’ inchiesta “Mani Pulite” non si sia voluta fare chiarezza sul PCI (partito comunista italiano), di chi è convinto che tangentopoli si sia fermata anni fa di fronte al comunismo: “E’ solo l’inchiesta di mani pulite ad essersi fermata“. Il motivo appare abbastanza inquietante, ecco le sue dichiarazioni ai microfoni di Radio Cusano Campus:

“Tangentopoli non si fermò davanti al Partito Comunista, tangentopoli c’è ancora oggi, non si è mai fermata. E’ l’inchiesta di mani pulite che si è fermata, e il perché lo spiega il Copasir, che dice che mani pulite è stata fermata da una operazione di delegittimazione portata avanti da sezioni deviate dei servizi segreti su ordine di altissime cariche dello Stato. Noi siamo arrivati fino ai segretari amministrativi di tutti i partiti e in alcuni casi anche ai segretari politici.

Craxi non è che è stato condannato perché poteva non sapere, è stato condannato perché ha confessato e poi perchè gli abbiamo trovato dei conti in Svizzera che facevano capo a un suo amico d’infanzia che nulla aveva a che vedere col partito“.

Poi ammette il pericolo sventato : “Per l’inchiesta mani Pulite due pentiti di mafia hanno detto che io dovevo essere fatto fuori. Ma mi è andata bene, mi hanno solo delegittimato“.

via JedaNews

1768.- 25 APRILE, IL SALTO NEL BUIO.

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C’era una volta un partito solo; ora son tanti; ma cosa è cambiato? Parlo dei principi, di quella trama su cui è stata tessuta la Costituzione. Forse che abbiamo guadagnato in Libertà, oppure, in Dignità? E il Lavoro? La Repubblica è fondata sul Lavoro, ma anche la Costituzione della Repubblica Sociale si fondava sul Lavoro, all’articolo 9, anziché al primo, perché gli italiani, ieri e sempre, sono lavoratori.
Questa Repubblica è nata storpia, la democrazia è avvelenata dal troppo denaro nella politica e dagli ostacoli alla reale partecipazione dei cittadini, talché chiunque si voti o venga eletto, si ha l’impressione che non cambi mai nulla. Sembra che la Costituzione abbia intitolato sovrano il popolo, dimenticandosi del come avrebbe potuto e dovuto esercitare la sua sovranità. Lo ha scritto nell’art. 49, chiamando i partiti a rappresentare lo strumento per questa partecipazione popolare, ma sul come, anziché fissare dei principi come Trasparenza o Alternanza, si è limitata ad un banale “con metodo democratico”, cioè niente. Certe lacune hanno un significato e non si creano per caso. E, infatti, sono nate le consorterie e gli interessi, prima particolari, poi, via via, personali. È perciò che la chiamo la Costituzione dei partiti e per i partiti.
Perché l’Art. 49 della Costituzione abbia un senso, le gerarchie dei partiti devono essere trasformate da centri di potere blindati in centri di partecipazione e di dialogo, aperti agli iscritti.
In una democrazia partecipativa, anche l’ultimo degli iscritti ha diritto di avanzare osservazioni e proposte attraverso i livelli gerarchici del partito e di riceverne risposta.
Così non è. Veniamo allora alla partecipazione, semplificando e proponendo: i Comuni, attraverso uno specifico ufficio, devono fornire a tutti i cittadini, associazioni, partiti politici che ne facciano richiesta, la disponibilità gratuita di sale adeguate e luoghi aperti, idonei agli incontri e ai pubblici dibattiti; magari, di un sito internet e bacheche per l’informazione.
Durante le campagne elettorali, questa disponibilità deve anche essere riservata a ogni lista in modo paritario.
Cosa c’è di tutto questo? Lascio da parte i Talk Show di parte e vedo appena i social, con tutti i loro limiti. Niente altro.
Nessuna meraviglia che senza partecipazione si sia votato senza consapevolezza di ciò che il voto avrebbe significato; ignorando che gli schieramenti in campo fossero quello della finanza neoliberista, attraverso l’Unione europea, da una parte e gli estremi difensori dello Stato sociale e della sovranità, dall’altra. Nessuna meraviglia che il dibattito politico sia stato sviato, facilmente, senza opposizioni; che abbia resuscitato dalla tomba i fantasmi del fascismo e del comunismo, dell’antifascismo, le bande dei centri sociali e, infine, nessuna meraviglia che dal voto non scaturisca un governo e, forse, è meglio così, viste certe zucche vuote incoronate onorevoli. Che sarà di Te, Italia bella? A quelli che invitano a non sottovalutare il pericolo dei morti, ai partigiani del nulla che il 25 aprile s’inghirlanderanno, consiglio: Restate a casa, a guardarvi n

1767.- Gli Stati Uniti vogliono aprire un secondo fronte in Siria…!

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di ALEXANDER KOTS, da Maurizio Blondet

Per attualizzare questo nuovo fronte, si ritiene che a Damasco i terroristi, possano mettere in atto di nuovo una “provocazione chimica”, dice il commissario militare russo Alexander Kots.
Diverse fonti siriane hanno riferito giovedì di attività senza precedenti dei vari gruppi jihadisti militanti nel sud della Siria .

Distaccamenti “al-Nusra”, “Free Syrian Army” e “rimanenze dell’ISIS” , arrivati lì nel sud da Deir ez-Zor, stanno attivamente cercando di espandere la loro area di intervento terrorista, attaccando le forze governative. E tutto questo accade nella zona di distensione a sud, dove deve essere osservato il regime del silenzio. Tuttavia, gli Stati Uniti e Giordania , che sorvegliano queste aree, tacciono ogni volta che viene violata l’intesa della zona pacificata e non prendono alcuna misura contro i jihadisti.
Non molto tempo fa, quasi tutti i gruppi terroristi detti “militanti “, operanti nelle province meridionali diSuweida, Deraa e Qwneitra hanno deciso di unirsi. Questo significa che stanno pianificando azioni su larga scala.

Non possono essere difese insieme da nessuno : le forze governative mantengono un regime di silenzio e non invadono il loro pezzo di “torta” nella zona di distensione. Quindi nel prossimo futuro possono scoppiare dei combattimenti. E non si può dubitare, anzi è più che sicuro che, nell’aggravarsi della crisi di scontro militare del “regime di cessate il fuoco” verrà accusata ufficialmente Damasco.
Fonti sul campo delle forze dell’ordine siriane riferiscono che la ragione di tale offensiva potrebbe essere un’altra provocazione con l’uso di armi chimiche, con la la loro messa in scena. Come hanno dimostrato gli eventi in Douma, nessuno si preoccuperà di cercare prove.

In Occidente si è percepita con molto “dolore” la vittoria di Damasco nell’Est Gouta e specialmente a Douma.

Gruppi di “opposizione moderata” sostenuti dagli americani hanno preso il “treno espresso verde” per la provincia di Idlib.

Gli Stati Uniti hanno perso una potente leva di pressione sulla capitale e certamente vorranno vendicarsi per questa sconfitta.

L’intelligence siriana nelle ultime settimane ha registrato un gran numero di “rifornimenti umanitari” (per modo di dire), nelle province meridionali vicine alla Giordania.
Tuttavia, il contenuto dei camion si può solo indovinare. Il gruppo combinato di militanti ha oggi circa 12.000 baionette. Hanno a loro disposizione – artiglieria pesante, carri armati, sistemi di lancio di razzi, armi di piccolo calibro e supporto americano….e se li aiuta l’estero, un branco del genere può “fare rumore”.

Allo stesso tempo, gli americani e i loro alleati possono effettivamente sostenere l’offensiva dei terroristi – le loro tattiche hanno funzionato.

Il nuovo uso di armi chimiche è annunciato ufficialmente…..!

Le “forze del bene” guidate dall’ottavo gruppo di portaerei, che dovrebbe presto apparire vicino alla costa della Siria, infliggeranno “ritorsioni” ai “soggetti” coinvolti nell’attacco chimico o sulle forze che hanno “violato il cessate il fuoco” – ovviamente l’esercito siriano.
In ogni caso, gli attacchi queste “forze” possono rivelarsi nella loro efferatezza sulle linee di difesa delle forze governative, sulla loro artiglieria, o si campi di aviazione siriani.

In realtà, i terroristi possono contare sul supporto aereo americano, facile da utilizzare.
Certo, la capitale della Siria non può più essere presa da tali forze.

Ma i gruppi terroristi fedeli agli statunitensi possono seriamente espandere il proprio territorio, conquistando completamente le province meridionali. E questo taglio allontana la Giordania dalla Siria in modo ufficiale…… e crea tutti i prerequisiti per la nascita dell’educazione pseudo-pubblica nel sud del paese con capitale Deraa – che è ancora sotto il controllo di Damasco – come nel nord la zona kurda.

In questo contesto, la versione della cospirazione che l’attacco del 14 aprile con un centinaio di missili “cruise” era solo una battaglia di ricognizione, non sembra poi così fantasiosa….!

trd russo Mihaela Bruja

1766.- DONNA, SIMBOLO DELL’AMORE.

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Sana Cheema è morta ammazzata, no! sgozzata da papà e dal suo fratellino. Cosa di più lurido possono udire le mie orecchie! Chi è così altrettanto lurido da portarci questi selvaggi, ignoranti e la loro legge di morte, la bestemmia della vita, del dono di Dio? Guardo negli occhi il mio cane: leggo Fedeltà, Dignità, Libertà e Amore, cento, mille palmi sopra dei farisei che mi vendono per denaro, dei fedeli di un dio pagano che predica la morte; che non rispettano il ventre che li generò. La donna è il mio simbolo dell’Amore, della Famiglia cristiana, della Libertà. La chiamammo donna, ma avremmo potuto chiamarla Amore senza mutarne il significato. Voglio invitarvi a cogliere il significato valoriale della donna, al quale gli Italiani dovrebbero orientare il sistema legislativo e previdenziale. Gli italiani, ma tutti gli europei, perché l’Europa è l’unico continente ad avere vissuto la Rivoluzione Cristiana che ci ha dato il principio dell’Amore per il Prossimo. Le stesse Costituzioni degli Stati sociali sono figlie di questo principio, che ha permeato le nostre identità. Non lo è la legislazione dell’Unione europea, ma dovrà esserlo.
Nelle società che non sono state toccate dalla Rivoluzione Cristiana e dove meno è cresciuta la civiltà, si riconoscono alla donna ruoli limitati alla procreazione e alle cure domestiche della famiglia. In generale, le si riconosce un ruolo sussidiario e subalterno rispetto all’uomo, una via di mezzo fra la fattrice, l’amante e la badante. Quelle donne sono come un roseto, i cui bocci non si schiudono mai.
La discriminazione nei confronti delle donne, ancora oggi, trova la sua massima espressione in quella non-religione che è l’islam. Si chiamava Allah uno dei 360 dei pagani adorati a La Mecca prima di Maometto. Allah si legge, è incartato nel Corano. È un dio pagano violento e vendicativo. Islam significa letteralmente sottomissione del fedele ad Allah. Le donne vi sono considerate esseri antropologicamente inferiori e schiave sessuali e valgono la metà dell’uomo.
Non è così per mia madre, mia figlia, la mia donna. Non è così per le tutte le “mie” donne italiane.
Rozza persona colei che calca le istituzioni della cristianità coprendosi il capo, coprendo il simbolo dell’Amore cristiano, della madre della vita, della regina della famiglia, alle fondamenta della società.
Rozza persona colui che calca il trono della cristianità coniugandosi con l’infedele.
Raccolsi un giorno un moribondo, amputato terribilmente. Disse con gli occhi al cielo: “Mamma!”. L’hai detto anche tu, Sana? Prego per te la preghiera di Gesù: Padre Nostro!