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6127.- Il Niger “caccia” la UE, disfatta europea nel Sahel

Con l’Ue, strada in salita per il Nuovo Piano Mattei e si fa avanti la Russia. Per nostra scelta o no, da 108 anni, stiamo sempre con l’alleato o contro il nemico sbagliato; ma, da soli, dove andiamo? L’aver rotto i rapporti degli Stati europei con la Federazione Russa avrà soddisfatto gli interessi americani, ma non i nostri. Abbiamo visto sventolare le bandiere russe nel Niger. La politica della solidarietà attiva nel Magreb, nel Sahel e in Libia può confrontarsi con le ambizioni di Mosca e di Ankara? Certamente, direi.

Mali, Burkina Faso e Niger hanno dato vita all’”Alleanza degli Stati del Sahel”, la NATO africana. Fino a che le basi USA e italiana in Niger resteranno, sarà importante chiarire i nostri obiettivi nel Sahel. Vedremmo bene un summit a Roma con il leader della giunta nigerina, il generale Abdourahamane Tian, con il leader del Burkina Faso, Capitano Ibrahim Traoré, con il presidente del Mali, colonnello Assimi Goita e sarebbe utile la presenza dei leader della Mauritania, generale Mohamed Ould Ghazouani e del Ciad, presidente Mahamat Idriss Déby Itno. Dopodiché la parola dovrebbe passare agli imprenditori e agli istituti finanziari.

Di seguito, da La Nuova Bussola Quotidiana, l’articolo di Gianandrea Gaiani di oggi 11 dicembre 2023

Dopo aver cacciato le truppe francesi, la giunta militare di Niamey chiude le due missioni militari europee e segue l’esempio di Burkina Faso e Mali. E il posto dell’Europa viene preso dalla Russia.

Sostenitori della giunta golpista in Niger issano una bandiera russa dopo il golpe

Il Sahel continua a staccarsi progressivamente dall’Europa. Dopo aver cacciato le truppe francesi, il 5 dicembre la giunta militare – al potere in Niger dallo scorso luglio – ha annunciato la fine delle due missioni dell’Unione Europea per la sicurezza e la difesa. Il ministero degli Esteri nigerino ha infatti denunciato l’accordo siglato da Niamey con l’Ue riguardante la missione EUCAP Sahel Niger, attiva dal 2012 e ha ritirato «il consenso concesso per il dispiegamento di una missione di partenariato militare dell’Ue in Niger (EUMPM)», varata nel febbraio scorso dal governo guidato dal presidente Mohamed Bazoum deposto dai militari.
Entrambe le missioni avevano il compito di sostenere le forze militari e di sicurezza nigerine nella lotta contro l’insurrezione jihadista.

Il Niger, come anche Burkina Faso e Mali, continua così il processo di emancipazione dall’Occidente anche in termini di difesa e sicurezza avviato con la cacciata dell’ambasciatore e delle forze militari francesi che dovrebbe completarsi nelle prime settimane del 2024 ma, ad aggiungere al danno la beffa, l’annuncio della cacciata delle missioni europee è stato reso noto lo stesso giorno in cui a Niamey è giunta in visita una delegazione russa, guidata dal vice ministro della Difesa, Yunus-Bek Yevkurov.

Uno “schiaffo” all’Europa anche perché si tratta della prima visita ufficiale di un esponente del governo russo in Niger dal golpe del 26 luglio scorso e Mosca non ha neppure un’ambasciata a Niamey. Il vice ministro della Difesa russo è stato ricevuto dal leader della giunta, il generale Abdourahamane Tian e al termine dell’incontro le due parti hanno firmato dei documenti «nell’ambito del rafforzamento» della cooperazione militare, stando a quanto riferito dalle autorità nigerine.

A completare la debacle francese ed europea nel Sahel, il 2 dicembre Niger e Burkina Faso hanno proclamato il ritiro anche dalla forza congiunta G5 Sahel, creata nel 2014 per migliorare il coordinamento tra le diverse nazioni della regione nella lotta contro il terrorismo e finanziata dall’Ue, da cui si era già ritirato il Mali.
Gli altri due membri del G5 Sahel, Mauritania e Ciad, hanno preso atto della situazione decretando lo scioglimento dell’organizzazione G5 Sahel che avrebbe dovuto rafforzare il ruolo europeo nella regione destabilizzata nel 2011 dalla disastrosa guerra dell’Occidente contro la Libia di Muammar Gheddafi.

L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell,ha espresso rammarico per la decisione presa dalla giunta militare del Niger, sebbene l’Unione europea aveva immediatamente sospeso ogni cooperazione in materia di sicurezza e difesa col Niger in seguito al colpo di Stato di luglio. Una decisione che ha posto le basi per la cacciata dalla nazione africana, con i francesi, anche della Ue che non è riuscita negli ultimi quattro mesi ad aprire negoziati concreti con la giunta nigerina per impedire l’uscita di Niamey dagli accordi di cooperazione, compromettendo così il ruolo dell’Europa in questa regione strategica per i nostri interessi. L’intransigenza di Bruxelles nei confronti della giunta militare aveva già visto in novembre il Niger revocare gli inasprimenti di pena approvati nel 2015 per punire il traffico di esseri umani i cui flussi sono diretti in Libia e poi in Italia.

Il disastroso insuccesso europeo coincide con l’ennesimo successo russo in Africa. L’accordo di cooperazione militare firmato in Niger è quindi anche una diretta conseguenza delle iniziative europee e va inserito negli accordi di cooperazione militare ed economica che Mosca ha già stretto con le giunte di Mali e Burkina Faso (nazioni alleate del Niger nell’Alleanza degli Stati del Sahel). Le truppe e soprattutto i contractors russi (della PMC Wagner o di altre compagnie militari private) stanno fornendo un solido contributo alle forze del Mali nella riconquista dei territori caduti in mano ai ribelli Tuareg e alle milizie jihadiste.

Yevkurov è giunto a Niamey nell’ambito della ennesima missione in Africa, inclusa la Cirenaica libica (dove il 2 dicembre ha messo a punto il rinnovo degli accordi di cooperazione militare con il feldmaresciallo Khalifa Haftar), cosa che  evidenzia la meticolosa attenzione con cui Mosca rimarca il suo crescente impegno in Africa, politico, militare ed economico.
Si è trattato del terzo incontro in pochi mesi tra il vice ministro russo e Haftar. A fine settembre Haftar era poi stato a Mosca, dove era stato ricevuto dal presidente russo Vladimir Putin e dal ministro della Difesa, Sergei Shoigu. Stando a quento riferito dal comando delle forze di Haftar, sabato scorso i colloqui sono stati incentrati sulle «modalità di cooperazione congiunta tra Libia e Russia».

Dopo Bengasi, la delegazione russa è volata a Bamako, dove è stata ricevuta dal presidente del governo di transizione maliano, il colonnello Assimi Goita, per colloqui «sulle opportunità per rafforzare la cooperazione». Al termine dell’incontro, il ministro dell’Economia e delle Finanze del Mali, Alousseni Sanou, ha precisato che le discussioni hanno riguardato non solo il settore della sicurezza, ma anche quelli dell’energia e delle infrastrutture.
In un video diffuso dalla presidenza, Sanou ha riferito di colloqui sulla costruzione di una rete ferroviaria e per la creazione di una compagnia aerea regionale oltre a uno stabilimento per la lavorazione dell’oro estratto dalle miniere maliane e un memorandum per realizzare una centrale nucleare
Dopo il Mali, il vice ministro russo si è recato in Burkina Faso, paese con cui sono in valutazione investimenti non solo di tipo militare ma anche economico che comprendono anche a Ouagadougou il progetto di realizzare una centrale nucleare.

La disfatta franco-europea nel Sahel appare quindi senza precedenti anche se restano incognite circa il futuro della presenza militare di USA (1.100 militari in  due basi a Niamey e Agadez) e Italia (250 militari a Niamey) che la giunta non ha finora annunciato di voler espellere.

Tenendo conto delle difficoltà con cui l’Italia è riuscita e schierare una missione di consulenza e addestramento militare in Niger vincendo la resistenza francese e alla luce degli interessi di Roma a cooperare con una nazione di rilevante peso nei flussi migratori illegali, Roma avrebbe tutto l’interesse a dare concretezza proprio in Niger alle tante parole spese sul “Piano Mattei” negoziando con la giunta di Niamey un accordo che permetta la continuazione della missione MISIN.
Gli interessi nazionali impongono oggi all’Italia di affermare un proprio ruolo in Africa e nel Mediterraneo smarcandosi da partner ingombranti ormai detestati in Africa e da un’Unione Europea le cui politiche si sono rivelate anche in Africa velleitarie, fallimentari e inaffidabili.

5892.- Come fare la guerra all’Europa col culo degli altri.

É accertato che, dal 2005 ad oggi, gli Stati Uniti hanno addestrato circa 50 mila militari africani. Leggete e capite perché il Nuovo Piano Mattei deve passare per Washington.

Il Comando Operazioni Speciali degli Stati Uniti in Africa condurrà la sua operazione annuale di addestramento militare, denominata Flintlock 2023 in Ghana e Costa d’Avorio dal 1° al 15 marzo 2023.

Flintlock, è rivolta alle truppe dei paesi africani. L’obiettivo è quello del contenimento della crescente minaccia jihadista nel Sahel e in altre aree del continente e, naturalmente, il rafforzamento del parternariato degli Stati aderenti con il governo di Washington. I militari coinvolti nelle operazioni di addestramento in Ghana e Costa d’Avorio sono circa 1.300 e provengono da 29 paesi. Flintlock rafforzerà la capacità dei principali paesi partner della regione di contrastare le organizzazioni estremiste violente, collaborare oltre confine e garantire sicurezza alla propria popolazione, rispettando i diritti umani e costruendo la fiducia con le popolazioni civili. La forte partecipazione dei partner africani e internazionali riflette un impegno reciproco nel contrastare le attività maligne e l’estremismo violento in tutta la regione del Sahel e dell’Africa occidentale.

Le forze statunitensi hanno storicamente collaborato con il Ghana e la Costa d’Avorio attraverso molteplici scambi di affari militari e civili. L’anno scorso, la Costa d’Avorio ha ospitato Flintlock 2022, con più di 400 partecipanti provenienti da dieci nazioni. L’iterazione di quest’anno mira a continuare a rafforzare la capacità collettiva delle nazioni alleate e partner di affrontare le principali sfide alla sicurezza.

Flintlock – la principale e più grande esercitazione annuale di operazioni speciali dell’U.S. Africa Command – si svolge ogni anno dal 2005 nella regione africana del Sahel tra le nazioni che partecipano al partenariato antiterrorismo trans-sahariano e è pianificata dalle forze per le operazioni speciali dei paesi partner africani, dalle forze speciali Operations Command – Africa e il Dipartimento di Stato americano per sviluppare la capacità e la collaborazione tra le forze di sicurezza africane per proteggere le popolazioni civili.

U.S. Africa Command è uno degli undici comandi combattenti unificati controllati dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ed è responsabile per le relazioni e le operazioni militari statunitensi che si svolgono in tutto il continente africano, ad esclusione del solo Egitto, che è di competenza del Central Command.

Ma quale Wagner? Molti militari golpisti africani sono legati agli Stati Uniti che li hanno addestrati.

Da Analisi Difesa, di Giampaolo Cadalanu, 9 Settembre 2023. Foto: truppe africane addestrate da militari statunitensi – US Africa Command

La sequenza di colpi di Stato tentati o portati a termine in questi anni nei paesi dell’Africa subsahariana sembra una conferma dei luoghi comuni sull’instabilità quasi fisiologica del continente. Solo gli analisti più acuti azzardano un’ipotesi meno superficiale: la “fine dei sogni dell’indipendenza” per gli stati post coloniali creati su modello europeo con tanto di welfare. Oggi questi paesi sono del tutto impoveriti, fra interessi privati, pressioni clientelari e privatizzazioni richieste dalle istituzioni finanziarie internazionali e cavalcate senza scrupolo dalle aziende multinazionali già negli anni ’90. Da qui lo spazio per il modello di “ordine” populista proposto dai generali e naturalmente corredato dei sempre efficaci richiami nazionalisti.

Ma al di là del quadro generale, nelle ultime settimane sono spuntati fuori elementi nuovi, con sfumature inquietanti. Forse la narrazione che vede i rivolgimenti politici nati, cresciuti e messi in pratica in modo del tutto spontaneo deve essere rivista. Per aprire la strada al dubbio basta mettere in fila le notizie sul ruolo di altri paesi nell’addestramento dei militari coinvolti, o nella presenza di forze straniere clandestine. Mentre della compagnia militare privata russa Wagner e della sua influenza in Africa si è parlato molto, solo ora filtrano rivelazioni sul coinvolgimento di militari addestrati in Occidente.

Secondo un’indagine di Responsible Statecraft, almeno 15 gli ufficiali addestrati negli Stati Uniti e con stretti rapporti con Washington sono coinvolti nei 12 colpi di Stato in Africa occidentale e nel Sahel dall’inizio dell’intervento statunitense in Africa per combattere le milizie jihadiste nel 2002. Oltre al golpe abortito del Gambia nel 2014, ci sono state quattro diverse occasioni nel Burkina Faso (2014, 2015 e due volte nel 2022), in Ciad (nel 2022), in Guinea Bissau (2021), tre occasioni in Mali (2012, 2020 e 2021), in Mauritania (nel 2008) e nel luglio di quest’anno in Niger. Quest’ultimo rivolgimento ha portato al potere una giunta militare di cui fanno parte almeno cinque ufficiali addestrati negli Stati Uniti. Lo stesso leader dei golpisti Abdourahmane Tchiani ha frequentato la National Defense University dal 2009 al 2010, e così pure il generale Moussa Salaou Barmou, ex comandante delle Forze speciali e ora responsabile della Difesa.

L’ultimo golpe africano, in ordine di tempo, è arrivato a fine agosto in Gabon, dove Ali Bongo Ondimba è stato esautorato da un gruppo di militari guidati da Brice Oligui Nguema. Per ora di questo generale si sa solo che ha frequentato scuole militari in Marocco e Senegal, e i suoi collegamenti con l’Occidente si limitano, secondo la stampa locale, all’acquisto in contanti di proprietà immobiliari per almeno un milione di dollari a Hyattsville e Silver Spring, in Maryland (USA).

La storia dei rapporti fra militari golpisti e Occidente è lunga. Appena nel 2016 una corte del Minnesota ha condannato a lievi pene detentive quattro cittadini americani che due anni prima avevano partecipato al tentativo – fallito – di rovesciare il governo del Gambia. Volevano deporre il presidente Yahya Jammeh per mettere al suo posto Cherno Momodou Njie, un imprenditore immobiliare nato nel paese africano ma emigrato a 25 anni nel Texas. La legge americana denominata Neutrality Act vieta le azioni armate di privati in altri paesi, ma per dirla con il legale che ha difeso gli imputati “se il golpe avesse avuto successo, il governo statunitense li avrebbe considerati eroi”.

L’altra faccia delle guerre. I Neutrality Act furono una serie di leggi approvate dal Congresso degli Stati Uniti negli anni trenta (specificatamente nel 1935, nel 1936, nel 1937 e nel 1939) in risposta alla crescente minaccia e alle guerre che alla fine portarono alla seconda guerra mondiale. Esse vennero stimolate dalla crescita nell’isolazionismo e nel non interventismo negli Stati Uniti successivo alla costosa partecipazione nella prima guerra mondiale e cercarono di assicurare che gli Stati Uniti non si sarebbero di nuovo invischiati in conflitti stranieri.

Ciò non impedì a circa 150 imprese, cooperazioni americane di prendere parte al riarmo tedesco (Henry Ford, GM, Prescott Bush, Fritz Tyssen, Du Pont, ITT, IBM, Standard Oil, alcune delle quali erano società di copertura MEFO istituite dallo stato tedesco) tramite joint venture, accordi di cooperazione e proprietà incrociate con società tedesche e le loro sussidiarie) fornendo alle aziende tedesche di tutto, dalle materie prime alla tecnologia e alla conoscenza dei brevetti. Ad esempio, la DuPont possedeva azioni della IG Farben e della Degussa AG, che controllavano la Degesch, il produttore dello Zyklon B (agente tossico usato nelle camere a gas) e Irénée du Pont, direttrice ed ex presidente di DuPont, era una sostenitrice della teoria razziale nazista e sostenitrice dell’eugenetica. Così, gli USA contribuirono al piano di Hjamar Schacht, l’economista di Hitler, per finanziare il riarmo del Terzo Reich, motorizzando la Wermacht, già allora, in chiave anti sovietica.

A capo dei rivoltosi c’era il tenente colonnello Lamin Sanneh, rimasto ucciso nello scontro: Sanneh aveva ricevuto un addestramento militare nel Regno Unito, all’accademia di Sandhurst, e negli USA, alla National Defense University del Pentagono, per diventare comandante della guardia presidenziale e aver poi lasciato il Gambia per chiedere asilo negli USA e coordinare da lontano l’opposizione a Jammeh. Ad aggiungere spunti di riflessione è il fatto che anche quest’ultimo, l’ “uomo forte” del Gambia, arrivato al potere con un colpo di Stato nel 1994, era stato addestrato negli Stati Uniti.

Il Dipartimento di Stato statunitense nega ogni coinvolgimento nelle azioni dei golpisti e anzi sostiene – per la verità in modo poco convincente – di non essere in grado di seguire all’estero i militari che hanno frequentato scuole e corsi d’addestramento negli USA. Al sito di giornalismo investigativo The Intercept che chiedeva informazioni sul Niger, un portavoce del Dipartimento di Stato ha dichiarato che il governo americano “non addestra la guardia presidenziale” ma secondo lo stesso sito questa dichiarazione è smentita dagli stessi documenti interni sull’addestramento del personale straniero.

Secondo The Intercept gli Stati Uniti affidano a una vasta costellazione di agenzie, enti e società l’addestramento del personale militare straniero, che accoglie ogni anno oltre 200 mila fra militari e forze dell’ordine di paesi considerati alleati o non ostili. Il training si svolge in almeno 471 sedi di 120 paesi, in tutti i continenti tranne l’Antartide e coinvolge almeno 150 fra agenzie della Difesa, agenzie civili, scuole militari, compagnie militari private (PMC), organizzazioni non governative, oltre alla Guardia nazionale di cinque Stati.

La tentazione di individuare in questo denominatore comune dei diversi golpe una strategia complessiva americana è probabilmente azzardata. Washington vuole coltivare gli ovvi collegamenti con l’élite militare dei paesi coinvolti, affiancata sempre dal “soft power”, cioè da un potere culturale pervasivo. Ed è senz’altro soddisfatta di vedere che i golpe nell’Africa francofona stanno indebolendo l’influenza europea.

Il progressivo tramonto del vecchio continente, lo sfilacciarsi dei legami con le ex colonie e probabilmente anche i problemi per Emmanuel Macron, voce spesso critica sulla conduzione unilaterale della NATO, sono uno scenario sicuramente non sgradito e anche direttamente ricercato dai diversi governi USA. Ma il tramonto dell’egemonia europea sta lasciando sempre più spazio ad altri attori, Russia (anche attraverso la Wagner) e Cina in primis.

A confermare che con tutta probabilità il ruolo americano nell’instabilità africana è legato più alla confusione fra i diversi attori e alla mancanza di una visione geopolitica chiara che a una raffinata regia da remoto basta un severo articolo del New York Times, in prima pagina nell’edizione del 7 settembre, che racconta le difficoltà all’interno del governo Biden nel trattare il colpo di Stato in Niger. L’amministrazione democratica sta facendo i salti mortali per non chiamare “golpe” (coup) la presa di potere da parte dei militari a Niamey con l’estromissione e l’incarcerazione del presidente eletto Mohamed Bazoum. Gli scrupoli formali ricordano quelli di Bill Clinton, che decise di chiamare “atti di genocidio” e non “genocidio” tout court il massacro dei tutsi in Ruanda nel 1994 per evitare l’obbligo di intervenire.

Chiamare un colpo di Stato con il suo nome vorrebbe dire per la Casa Bianca dover interrompere ogni aiuto economico e militare con il paese coinvolto, con conseguenze geopolitiche sgradite, dallo spazio offerto a russi e cinesi alla minor presenza in chiave anti-jihadisti. Ma difficilmente il governo Biden potrà mantenere un atteggiamento di distacco diplomatico, tanto più dopo lo schiaffo subito da Victoria Nuland a Niamey. La sottosegretaria di Stato è arrivata d’urgenza nella capitale nigerina, ma nonostante le insistenze non ha avuto la possibilità di incontrare il capo della giunta militare Tchiani, né il presidente deposto e relegato nella sua residenza Bazoum.

Questa ambiguità nel negare a parole e poi concedere nei fatti l’assistenza ai paesi con un esecutivo golpista è stata segnalata dalla stessa stampa americana per il Mali, governato da Assimi Goïta, militare addestrato in Florida con le Forze Speciali statunitensi, protagonista di due putsch successivi. E vale anche per il Burkina Faso, stravolto da due colpi di Stato nel gennaio e settembre 2022. Nel primo, a prendere il potere fu il tenente colonnello Paul-Henri Damiba, addestrato negli Stati Uniti secondo i portavoce dello US Africa Command (AFRICOM). Gli stessi portavoce hanno preferito ricorrere al silenzio, senza confermare né smentire, sul protagonista del secondo golpe, Ibrahim Traoré, che in passato aveva fatto parte dei peacekeeper dell’ONU nella missione MINUSMA in Mali.

BREAKING: The leader of U.S. military’s Africa Command states our government shares “core values” with military coup leaders. 

These SAME coup leaders were trained by our own Armed Forces! pic.twitter.com/boGYfQ6csb

— Rep. Matt Gaetz (@RepMattGaetz) March 23, 2023

Nel complesso, l’approccio americano verso i militari africani potrebbe essere sintetizzato dalle dichiarazioni del generale Mike Langley, comandante di AFRICOM (a questo link l’audizione completa) che ha rivelato davanti alla Commissione Forze armate della Camera che gli Stati Uniti hanno addestrato circa 50 mila militari africani ammettendo, incalzato dal deputato repubblicano Matt Gaetz (a questo link), la “condivisione di valori fondamentali” con leader golpisti addestrati negli Stati Uniti.

5864.- Gabon. Colpo di Stato contro la Dinastia Bongo e il neocolonialismo. La Francia di Macron nel panico (F.B.)

Un altro colpo duro alla Françafrique. Vedremo quanto vale il Governo Meloni se riuscirà a sopperire ai disastri della Françafrique, restando a braccetto con Macron e Von der Leyen. Nè con questa Unione europea né con la Francia, il nostro Nuovo Piano Mattei prenderà forma e sostanza e, nemmeno, obbedendo ai diktat di Washington. Non dovranno essere Cina e Russia a dettare i tempi.

Dal FarodiRoma, 30/08/2023

Alti ufficiali della Guardia Repubblicana, Gendarmeria ed Esercito Nazionale alle prime ore di oggi, mercoledì 30 agosto hanno annunciato alla televisione nazionale di aver “posto fine alla Dinastia Bongo”, che dura dal 1967 con Bongo Padre: Omar Bongo Ondimba che nel 2009 passò il “regno” al figlio Ali Bong Obdimba. Questi alti ufficiali, informano che hanno creato un governo transitorio: il Comitato per la Transizione e il Ripristino delle Istituzioni – CTRI. La famiglia Bongo è lo strumento della Francia per governare il ricco e strategico Paese dell’Africa Occidentale. La storia dei Bongo è costernata di colossali furti, corruzione, brutali violazioni dei diritti umani e grandi affari con gli imprenditori francesi. Il Gabon era il giardino dietro casa di Parigi.

Cosa è veramente successo in Gabon? Come è possibile che una Dinastia con pieno appoggio militare, economico e politico della Francia, possa crollare in meno di 24 ore dopo 56 anni di brutale e incontrastato regno? Le scarne e parziali notizie scritte dai “bianchi” e forniteci dai media occidentali non offrono risposte adeguate a queste cruciali domande. Quindi rivolgiamo l’attenzione ai media africani, soprattutto a quelli gabonesi.

Gabon Info341 ci informa che il golpe è avvenuto tra la notte del 29 e 30 agosto subito dopo l’annuncio della Commissione Elettorale della vittoria di Ali Bongo alle presidenziali svoltesi sabato 26 agosto. Secondo la Commissione Bongo aveva ricevuto il 64,27% dei voti contro il 30,77% del suo principale rivale Albert Ondo Ossa. I risultati ufficiali sono stati dati nel cuore della notte, alle 3.30 (2.30 GMT), dalla televisione di Stato senza che fosse stato fatto alcun annuncio in anticipo dell’evento.

A seguito delle denunce da parte del leader dell’opposizione Ondo Ossa di pesanti frodi elettorali la Dinastia Bongo aveva decretato il coprifuoco e bloccate la connessione internet e linee telefoniche, per scongiurare la diffusione di “notizie false” e di “violenze”. Da sabato sera a martedì la Direzione Generale della Contro Insorgenza e della Sicurezza Militare – DGCISM (la guardia pretoriana della Famiglia Bongo formata da elementi dell’etnia dei Bongo) aveva arrestato oltre 150 leader e simpatizzanti dell’opposizione tra cui il porta parola della piattaforma Alternance2023, Francky Meboon.

E’ parere condiviso da tutti i media gabonesi che il golpe sia stato il frutto di un accordo tra gli ufficiali delle Forze Armate e il leader dell’opposizione Albert Ondo Ossa (che avrebbe riportato la vittoria nelle elezioni, negata dalla Dinastia Bongo). Ondo Ossaa aveva denunciato “una frode orchestrata dal campo Bongo” due ore prima della chiusura delle votazioni di sabato, rivendicando la vittoria. Lunedì il suo schieramento aveva esortato il dittatore Ali Bongo ad “organizzare, senza spargimento di sangue, il trasferimento del potere”.

Gabon Media Time e Gabon24 TV illustrano in modo chiaro le prime decisioni del Comitato per la Transizione e il Ripristino delle Istituzioni – CTRI. Frontiere chiuse fino a nuovo avviso. Elezioni annullate. Scioglimento di tutte le istituzioni della Repubblica. Gabon 1ere TV (la rete nazionale gabonese) e il quotidiano GabonActu stamattina alle ore 10:30 (09:30 GMT) annunciano l’irreversibilità del colpo di Stato affermando che il dittatore Ali Bongo è stato arrestato e posto su residenza sorvegliata.

Le reazioni della Francia e della NATO 

Al momento l’Eliseo (impegnato nel braccio di ferro con il nuovo governo del Niger) non si è ancora ufficialmente espresso, ma i principali media francesi pongono l’accento sulla vittoria elettorale di Ali Bongo senza accennare alle palesi frodi compiute. Una tattica mediatica per raffigurare il dittatore come un “legittimo e democratico” Capo di Stato. Evitano accuratamente di trasmettere le immagini del sostegno di massa ai golpisti da parte della popolazione gabonese che ha organizzato decine di manifestazioni di gioia nella capitale e nelle principali città del Paese.

I gabonesi sono con i golpisti, l’Unione europea è con la Francia e questa è con la Dinastia Bongo. Putin ha gioco facile. Foto da IlFarodiRoma del 31 agosto 2023.

La NATO e i ministri della difesa della UE si riuniranno in emergenza per discutere della situazione in Gabon, riferisce il capo della politica estera dell’Unione Europea, Josep Borrell, noto per il suo incondizionato appoggio al regime neonazista ucraino.

“Se il golpe in Gabon fosse confermato, si tratterebbe di un altro colpo di stato militare che aumenterebbe l’instabilità nell’intera regione. L’intera area, a cominciare dalla Repubblica Centrafricana, poi dal Mali, poi dal Burkina Faso, ora dal Niger, forse dal Gabon, si trova in una situazione molto difficile e certamente i ministri devono riflettere profondamente su cosa sta succedendo lì e su come possiamo migliorare la nostra politica nei confronti di questi paesi”, ha detto Borrell parlando ad una riunione dei ministri della Difesa dell’UE a Toledo, in Spagna.

Quali conseguenze per la Francia? Il Colpo di Stato in Gabon, avviene un mese dopo quello in Niger. Considerando che il Ciad sta addottando una politica ambigua che tende a sganciarsi dalla sfera di influenza francese, il golpe del Gabon rappresenta un grave avvenimento che può spingere altre colonie francesi a ribellarsi: Benin, Costa d’Avorio, Mauritania, Senegal, Togo. 

Nel caso specifico del Gabon la Francia da 56 anni detiene il controllo assoluto dell’economia del Paese tramite la Dinastia Bongo. La Total controlla la maggioranza della produzione petrolifera che rappresenta il 53% del PIL, 79% dei proventi delle esportazioni; risorse minerarie, magnesio in testa, sono gestite dalla società Comilog, controllata al 66% dalla società francese Rougier; la multinazionale francese della logistica, Ballorè gestisce i principali porti gabonesi.

Come in Niger e in altre colonia africane, anche in Gabon, il colonialismo francese ha effetti nefasti sulla popolazione e sullo sviluppo nazionale. Il Paese è vittima degli effetti perversi dei proventi petroliferi e minerari che sono ad esclusivo vantaggio della Famiglia Bongo e della Francia. Questo impedisce che le immense riserve petrolifere e minerarie siano usate per sviluppare il Paese, migliorare l’istruzione, la sanità, creare un tessuto industriale autoctono. Con una popolazione di 2,25 milioni di persone il Il 30% dei gabonesi vive sotto la soglia della povertà mentre il 40% della popolazione di età compresa tra 15 e 24 anni è senza lavoro. il Gabon è un Paese povero, tragicamente privo di manodopera qualificato e con una palese carenza di sovranità.

Al momento è ancora presto per comprendere le conseguenze di questo golpe sulla Francia e sui suoi “possedimenti africani d’oltre mare”. Si può solo notare che Ballorè ha sospeso le sue operazioni presso il principale porto del Gabon a Libreville e che la la società mineraria francese Eramet ha annunciato la sospensione delle operazioni in Gabon.

L’esercito aveva tentato di rovesciare il dittatore Ali Bongo nel 2009 tramite un tentativo di colpo di Stato che fu sventato grazie ai servizi di Intelligence della Francia. Quattro Generali golpisti furono arrestati mentre un quinto riuscì a scappare all’estero. Il Golpe di ieri sera ha colto di sopresa sia la Famiglia Bongo che la Francia.

Ecco la traduzione integrale del comunicato dei Generali golpisti gabonesi trasmesso sulla TV nazionale e da AGP (Agenzia di Stampa Gabonese).

“Il nostro bellissimo paese, il Gabon, è sempre stato un’oasi di pace. Oggi questo paese attraversa una grave crisi istituzionale, politica, economica e sociale.
Inoltre le elezioni generali del 26 agosto 2023, non hanno soddisfatto le condizioni per uno scrutinio trasparente, credibile e inclusivo tanto sperato dai gabonesi e dai gabonesi. A ciò si aggiunge una governance irresponsabile e imprevedibile che si traduce in un continuo deterioramento della coesione sociale che rischia di portare il Paese al caos.

Oggi, 30 agosto 2023, le forze di difesa e di sicurezza, riunite nel Comitato per la transizione e il ripristino delle istituzioni (CTRI), a nome del popolo gabonese e garante della protezione delle istituzioni, hanno deciso di difendere la pace ponendo fine al regime in vigore. A tal fine, le elezioni generali del 26 agosto 2023 e i relativi risultati vengono annullati. Le frontiere sono chiuse fino a nuovo avviso. Vengono sciolte tutte le istituzioni della Repubblica, in particolare il governo, il Senato, l’Assemblea nazionale, la Corte costituzionale, il Consiglio economico, sociale e ambientale (CESE), il Centro elettorale gabonese (CGE).
Invitiamo la popolazione, le comunità dei paesi fratelli insediatisi in Gabon e i gabonesi della diaspora alla calma e alla serenità.
Riaffermiamo il nostro attaccamento al rispetto degli impegni del Gabon nei confronti della comunità nazionale e internazionale.
Popolo del Gabon, è finalmente (iniziato) il nostro volo verso la felicità.
Possano Dio e i fantasmi dei nostri antenati benedire il Gabon. Onore e fedeltà alla patria. Vi ringrazio”.

La giunta militare conferma inoltre che il dittatore Ali Bongo è agli arresti domiciliari assieme alla sua famiglia e in compagnia del suo medico personale.
Informa inoltre che sono stati spiccati mandati di arrestri contro vari membri della famiglia Bongo, del governo e del Parlamento accusati di: alto tradimento contro le istituzione dello Stato; furto organizzato e sistematico del denaro pubblico; malveversazione finanziaria internazionale; falso e uso di falso, falsificazione della firma del Presidente della Repubblica; corruzione attiva; traffico di droga…

Fulvio Beltrami 

Nella foto: la popolazione in giubilio saluta i reparti militari dei golpisti che hanno destituito il dittatore Ali Bongo.