Archivi categoria: Politica estera – Albania

6081.- È il caos nell’opposizione a tenere in vita il governo. Ma per quanto? L’opinione di Sisci

La mia opinione.

É vero che l’assenza di una politica di seria opposizione nuoce all’esecutivo e ne rende meno immediata la percezione dell’opera, ma sul partito pesa anche il ritmo straordinario della crescita impresso dalla volontà e dall’impegno della presidente, e sopratutto, dalla presidente. C’è un che di eroico in questo impegno pragmatico, che Giorgia Meloni ha voluto improntare a senso pratico e a concretezza, senza cedere a pregiudiziali … Così nella politica estera, in particolare nel Mediterraneo e così nel rapporto, a nostro sentire non semplice, con il capo dello Stato. Se dovesse avverarsi l’ipotesi di un cedimento, come sembra paventare Sisci, dovremmo addebitarlo anche a quei quadri intermedi del partito – non tutte e tutti certamente – che al proselitismo hanno anteposto le loro faide interne che, purtroppo, caratterizzano la democrazia in Italia. Ma se l’opposizione della sinistra italiana è carente nei soggetti e nei contenuti, possiamo dire che la politica del governo, malgrado i nostri limiti, si confronta meglio in Europa e nel Magreb, come testimonia il rispetto di Rishi Sunak, Olaf Scholtz, Edi Rama, Abdelmadjid Tebboune, Kaïs Saïed e, non ultimo, di Recep Tayyip Erdoğan, per l’impulso dato dal Nuovo Piano Mattei.

Mario Donnini

Da Formiche.net, di Francesco Sisci, 19/11/2023  

È il caos nell’opposizione a tenere in vita il governo. Ma per quanto? L’opinione di Sisci

In un momento di grande volatilità internazionale e incertezza governativa la debolezza dell’opposizione non rafforza l’esecutivo. Apre le porte ai tecnici. Meloni deve dare una scossa o verrà travolta. L’analisi di Francesco Sisci

Non tanto per valor proprio, quanto per infamia altrui. Due ottave di sapore ottocentesco possono spiegare succintamente la permanenza al potere di Giorgia Meloni. Nel suo anno di potere ha sfornato progetti e politiche (lo dico come abbreviazione) velleitarie (fermiamo la migrazione, lanciamo il Piano Mattei, portiamo i migranti in Albania) e idee (lo dico sempre come abbreviazione) balzane (il premierato). Invece ha trascurato l’economia, il Pnrr ed emergenze come l’acciaieria di Taranto che potrebbero fare esplodere il Paese.

Il suo proposito, intendiamoci, era buono: affrontiamo il problema dell’immigrazione, quello della dispersione dei poteri. Ma le proposte non erano (non sono) “ingegnerizzate”, anche perché non si capisce bene la fisica che sta alle spalle.

La migrazione e questioni annesse, l’abbiamo scritto più volte, è un problema internazionale che non può essere affrontato dalla sola Italia. Né in Africa si può ignorare che la Francia ha forse 20mila militari lì da secoli, mentre l’Italia potrebbe portarne solo qualche centinaio ora. Sul premierato ha scritto bene Giuseppe Boschini (qui), è una formula senza precedenti che crea più problemi di quanto miri a risolverne.

D’altro canto invece, il fatto di trascurare il Pnrr ha ridotto a un rivolo il fiume di denaro che sarebbe potuto arrivare in Italia in mezzo a un’ondata di inflazione, tassa iniqua contro i redditi più bassi. La questione Ilva (a un passo dalla chiusura) potrebbe portare all’esplosione della provincia di Taranto, 500mila abitanti, e della Puglia, con effetti di contagio devastanti su tutto il sud.

Di fronte a ciò l’opposizione fa peggio. Il M5S di Giuseppe Conte è immune al malo morbo della contraddizione, dice tutto e il contrario di tutto. Ciò gli da spazio in palazzo mentre tiene viva l’anima feroce di una minoranza di masanielli bramanti solo il furto di un pezzo di argenteria. Il Pd non riesce ad articolare una frase di senso sotto la guida della povera Elly Schlein, sballottata poi dal leader della Cgil Maurizio Landini, lui ignaro del misero stato dell’economia nazionale.

D’altro canto l’opposizione interna alla maggioranza, guidata dalla lega di Matteo Salvini, cerca di aizzare la piazza, per esempio ordinando precettazioni in uno sciopero che altrimenti sarebbe stato destinato a fallire. Ma poi si ritira prima del passo fatale. Il suo gioco sembra quello di lacerare i poveri nervi di Meloni.

Così, il caos degli altri oggettivamente mantiene il governo al suo posto, ma non è chiaro per quanto tempo. La confusione da entrambi i lati del parlamento, in un momento di grave incertezza internazionale, con due guerre aperte, in Ucraina e a Gaza, e un’altra, più grande, con la Cina, che arde sotto la cenere crea una situazione simile a quella che portò alla fine del secondo governo Conte durante il Covid.

Cioè le sfide interne e internazionali richiedono un colpo di reni che se Meloni non saprà imprimere lo dovrà invece dare un altro esecutivo, più o meno tecnico. Ciò sarebbe un fallimento della democrazia italiana, ma non un tradimento della volontà degli elettori, anzi. Quando alla votazione suppletiva al Senato a Monza di presenta solo il 18% degli aventi diritto c’è la bocciatura di tutta la rappresentanza parlamentare.

L’impressione è confermata poi dal silenzio corale con cui il parlamento ha accolto tale risultato, segno di una “coda di paglia”, incapacità, indisponibilità ad affrontare la questione della mancanza di contatto con il popolo.

Questo non è un voto a un premier o presidente eletto dal popolo con minoranze rionali, ma un suffragio quasi universale per un governo che vada al di là del Parlamento, un esecutivo “tecnico”. Il prolungamento della guerra in Ucraina, il fatto che le operazioni a Gaza potrebbero proseguire per alcuni mesi, le complicazioni con la Cina e nell’Indo-Pacifico non blindano Meloni. Può essere il contrario. Se tempi difficili si prospettano può essere meglio mettere qualcun altro al timone, per il bene di tutti, per evitare che la nave italiana vada a fondo.

5688.- La visita segreta del direttore della Cia in Grecia mette in allerta la Turchia

.. e dopo l’avanzata di Ankara in Kossovo mette più tranquilla l’Italia?

L’obiettivo del viaggio di William Burns non è noto: secondo le indiscrezioni provenienti da Atene, il funzionario avrebbe incontrato alti ufficiali dei servizi d’intelligence e sicurezza greci, per poi ispezionare alcune strutture nel porto di Alessandropoli.

Da Atene © Agenzia Nova, 8 Giugno 2023 – Riproduzione riservata

La recente visita in Grecia del direttore della Cia, William Burns, avvolta dal segreto e riportata dalla stampa ellenica, ha messo in guardia la Turchia sul rafforzamento della cooperazione tra il Paese balcanico e gli Stati Uniti. Dopo l’invasione della Russia in Ucraina, Washington avrebbe cercato di stringere le relazioni con Atene per sfruttare la sua posizione geografica strategica per la logistica e i rifornimenti di gas naturale e militari. Secondo quanto reso noto dai media ellenici, il capo delle spie Usa avrebbe visitato la Grecia tra il 30 maggio e il primo giugno, recandosi prima ad Atene e poi ad Alessandropoli. Quella di Burns nel Paese balcanico è stata la prima visita di un direttore della Cia negli ultimi undici anni, a dimostrazione del fatto di come la Grecia abbia assunto un ruolo sempre più strategico dopo l’inizio della guerra, portando le relazioni con gli Stati Uniti a un livello superiore.

L’obiettivo del viaggio di Burns non è noto: secondo le indiscrezioni provenienti da Atene, il funzionario statunitense avrebbe incontrato alti ufficiali dei servizi d’intelligence e sicurezza greci, per poi ispezionare alcune strutture nel porto di Alessandropoli. Già in occasione dell’ultimo Dialogo strategico tra Grecia e Usa, Washington aveva sottolineato l’importanza geostrategica del porto ellenico, divenuto un hub logistico vitale per la posizione difensiva dell’Alleanza atlantica sul fianco orientale del continente e per la sicurezza energetica regionale, nell’ambito delle forniture di gas naturale. Inoltre, non è un segreto che gli Stati Uniti hanno investito milioni di dollari per espandere la propria presenza militare in Grecia. Un numero crescente di forze statunitensi è infatti temporaneamente dispiegato nel Paese balcanico, per esercitazioni e operazioni di transito, a sostegno delle forze armate greche e dell’Alleanza atlantica. Lo scorso febbraio, durante una visita in Grecia, il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, aveva elogiato il ruolo di Atene nei Balcani occidentali, sia come “hub energetico” che “come promotore” dell’integrazione europea dei Paesi della regione.

Da quanto emerge dalla stampa della Turchia, il misterioso viaggio del direttore della Cia non avrebbe fatto altro che accrescere il disagio di Ankara per la presenza di forze statunitensi a pochi chilometri dalla frontiera, nonché la sua preoccupazione di poter perdere progressivamente la leadership nel contesto balcanico. Il quotidiano “Hurriyet” scrive che se da una parte i contorni del viaggio di Burns non sono chiari, dall’altra la visita di pochi giorni fa ad Alessandropoli dell’ambasciatore statunitense in Grecia, George Tsunis, “uomo d’affari scelto da Biden in persona”, conferma le ambizioni statunitensi. Tsunis, insieme agli ambasciatori di Ucraina, Bulgaria e Moldova, si è recato nella base Usa per incontrare i soldati statunitensi attualmente impegnati nelle missioni Nato per il trasferimento di equipaggiamento militare. I media filogovernativi turchi sottolineano che Alessandropoli è recentemente diventato uno dei più importanti porti logistici degli Usa in Europa e che per questo la città greca, dopo le recenti visite, è tornata alla ribalta come centro “energetico, commerciale e logistico”.

1737.- Crisi in Serbia-Kosovo: la Russia pronta ad inviare una “Forza di intervento rapido”. La Serbia potrebbe entrare nell’alleanza militare russa .

Maurizio Blondet mi riporta in Kossovo, quando un reparto di paracadutisti russi tentò di entrare nella zona italiana della Brigata multinazionale West. Marciavano insieme ai russi alcuni osservatori serbi, vestiti ed equipaggiati come loro, che volevano osservare il territorio, pur sempre loro. Avevamo di guardia un reparto del Battaglione San Marco che tentò di fermarli, finché non si giunse alle mani.. e i russi si ritirarono e ricordo un antico monastero ortodosso, a Deciani, dove i monaci serbi custodivano le reliquie della guerra vinta contro i turchi, protetti da due carri Leopard della Brigata Ariete. Sembra ieri e sono passati diciotto anni. E, ancora, gli occhi si ritraggono al ricordo dei serbi scannati, ovunque, a decine, a famiglie intere, nelle loro case, nelle auto in fuga dalle loro case, a galla nelle cisterne del vino, nella piscina di un hotel e il banchetto dei corvi. Pace ai serbi di Mitrovica!

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Putin sulla crisi in Serbia: Entro poche ore posso Inviare una Forza di Intervento rapido per difendere I Serbi nel Kosovo.
MOSCA, Russia – I rapidi sviluppi derivano dalla comunicazione telefonica fra Putin e il premier serbo Aleksandar Vucic, dopo gli episodi di violenza avvenuti a Nord Mitrovica / Kosovo. “Non dubitate che invierò forze immediate se necessario. Non lascerò senza difesa il mio partner e alleato più importante in Europa “, ha sottolineato il presidente russo nella sua controparte serba e ora stiamo andando verso nuove avventure nella regione.

Le notizie fanno il giro della Serbia

Non a caso, i combattenti serbi “fischiano” continuamente alle orecchie dei capi albanesi a Presevo per il secondo giorno consecutivo

Secondo i media serbi, il presidente russo Vladimir Putin, nella nuova comunicazione telefonica con il presidente serbo, avrebbe detto:
“Nell’eventuale tentativo, da parte delle forze speciali albanesi, di occupare la parte settentrionale del Kosovo o di un nuovo pogrom contro i serbi, la Russia invierà immediatamente un significativo contingente militare”.

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Questo si traduce nell’invio di una brigata aerotrasportata russa con tutti i mezzi, che secondo la risoluzione ONU 1244 è perfettamente fattibile, perché la Russia è semplicemente una parte garante della “sicurezza” dell’ex provincia jugoslava.

“La Federazione Russa è pienamente impegnata nei confronti dei serbi del Kosovo con tutti i mezzi per difenderli da un possibile attacco”, ha detto Putin.

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Nel caso in cui dovesse iniziare un nuovo pogrom contro i serbi nella provincia, con operazioni di polizia albanese finalizzate a occupare la parte settentrionale del Kosovo, Mosca invierà immediatamente un’assistenza militare significativa “, ha detto il Cremlino.

Questo è stato uno dei messaggi chiave che Vladimir Putin aveva pronunciato ieri in una conversazione telefonica con il suo omologo serbo Aleksandar Vucic.

Il presidente Putin ha ufficialmente designato la Serbia come “il partner e alleato più importante in Europa”, secondo fonti del Cremlino, e Belgrado conta sul massimo supporto e protezione da parte della Russia.

Recentemente Putin ha dato mandato ai suoi generali e ad altri esperti militari di sviluppare un piano di intervento militare che aiuterebbe la Serbia in un possibile “impegno” contro la NATO e l’Occidente.

Questi piani prevedono che i combattenti aereotrasportati e i convogli russi possano volare in territorio serbo entro e non oltre due ore con una missione chiave nel Nord Kosovo per agire in modo da proteggere i serbi ei loro interessi nazionali.

C’è anche un piano dettagliato per il trasferimento di alcune forze speciali russe (Spetsnaz) in Serbia.

Si stima che entro 24 ore ci saranno centinaia di commando russi in Serbia, cioè in Kosovo.

Fonte: Fort Russ

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La Serbia potrebbe entrare nell’alleanza militare russa alternativa alla NATO

Uno dei gruppi parlamentari ha preparato una risoluzione sull’adesione della Serbia all’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), un’alleanza difensiva creata il 15 maggio 1992 da sei nazioni appartenenti alla Comunità degli Stati Indipendenti.
Nel prossimo futuro il Partito Radicale Serbo invierà la bozza del documento a tutte le forze politiche del Paese.

Il documento sottolinea che Belgrado non dovrebbe permettere l’approfondimento della cooperazione con la NATO, un’organizzazione che ha distrutto l’ex Jugoslavia e che si è resa responsabile della morte di oltre 2.500 civili durante i bombardamenti del 1999.

Gli autori del documento sottolineano che la questione dell’adesione alla CSTO è diventata particolarmente rilevante in seguito all’arresto da parte delle unità speciali del Kosovo di Marko Djuric, inviato del governo serbo per il Kosovo e Metohija, e per il peggioramento della situazione nella regione, riporta il canale televisivo “Rossiya 24”.

Intanto, la NATO riconosce alla Serbia il diritto di creare un centro umanitario in collaborazione con la Russia e con quest’ultima condurre esercitazioni militari. Lo ha dichiarato il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg.
“Rispettiamo le decisioni sovrane, perché la Serbia è un Paese sovrano”, ha spiegato Stoltenberg. È chiaro che Belgrado tenterà di risolvere la situazione del Kossovo mettendo sul tavolo le alternative geopolitiche al di fuori della sfera d’influenza euro-atlantica.

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916.- KOSOVO: L’ex premier Haradinaj arrestato in Francia. La Serbia attende l’estradizione

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Ramush Haradinaj, generale dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk)

Leggo di Gianluca Samà su East journal: Ramush Haradinaj, ex generale dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). L’avvocato Haradinaj  è nato a Glođane, vicino al meraviglioso monastero ortodosso di Dečani, nell’ovest del Kosovo. Ha trascorso diversi anni in Svizzera ed è tornato in Kosovo poco prima dello scoppio della guerra, partecipando al conflitto e divenendo uno dei più importanti comandanti dell’UCK. Dopo il conflitto viene eletto Primo Ministro del Kosovo sotto amministrazione ONU, ma dopo 100 giorni si dimette perché incriminato dal TPIJ di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, commessi durante la guerra in Kosovo. Viene assolto con furmula piena con molte polemiche a causa della morte misteriosa di diversi testimoni e del rifiuto di altri a testimoniare. Prima del pezzo di Sama, però…

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Parlare di Kosovo, mi significa tornare indietro di diciassette anni, a Dakovica, a Peć, a Prizren e anche di più, a Tirana nel 1999, quando gli albanesi mi portavano al sabato sera a vedere i camion in partenza per il Nord, caricati di armi, sotto la direzione degli “esperti” americani. Esperti di agricoltura, per lo più, con cui cenavo spesso nei pochi locali di Tirana frequentati da noi stranieri. Esperti di agricoltura, che conoscevano a menadito, chi l’elicottero da combattimento Apache e chi le cisterne volanti KC-135, a me note. Nasceva l’euro e i padroni del dollaro temettero un crollo e fomentarono la guerra in Europa: nei Balcani e in Kosovo, esattamente, dove era più facile. Così, improvvisamente, gli indipendentisti presero il posto degli autonomisti di Ibrahim Rugova (nome di battesimo Pjetër Rugova) furono aperte le prigioni e nacque l’Uçk, Esercito di liberazione del Kosovo. Ormai, ero balcanico e, tornato in Italia, presi a trascorrere qualche weekend in kosovo, alla ricerca di un terreno solo pubblico, adatto al futuro aeroporto italiano. Da Roma a Tirana e, poi, in elicottero, in Kosovo. Qua e là case bruciate, colonne di auto bruciate con tutte le masserizie sopra e con le famiglie serbe fuggiasche dentro. Il lezzo della morte che ci raggiungeva a 2.000 piedi. Qualche raro idiota sparava da terra. Banchettavano i corvi. Erano così tanti che, al mattino, levandosi in volo, facevano aprire la finestra rotta del mio giaciglio. La guerra suscita e soddisfa gli istinti più barbari. La televisione italiana raccontava di massacri dell’esercito serbo, che, spesso erano rappresaglie. Come quando i guerriglieri entrarono nel bar di un liceo falciando i ragazzi. E vi mostrava colonne di profughi. Non erano profughi e non erano kosovari; ma erano gli albanesi più poveri che risalivano i tornanti del Nord dell’Albania a prendere le case, le terre, le aziende, le auto e la vita dei serbi. Cercavo un ricovero per gli automezzi e a una curva apparvero…sembravano due cavalli morti; ma erano marito e moglie serbi, ormai gonfi. Lei con i piedi mozzati e lui legato col filo spinato e, poi, dopo il poi, mitragliato. In albanese, perché non capissi, ma venivo da un anno e mezzo a Tirana, la mia guida chiese al nuovo padrone di casa: “Sei stato tu? Buttaci un po’ di terra ché li vedono gli italiani.”  I serbi erano rimasti lì in tanti: due nelle cisterne della cantina sociale (non bevvi mai vino), due nella piscina del Pastriku e peggio. I popoli senza terra usano la pulizia etnica, sempre. Si scelse di fare l’aeroporto a Dakovica e, insieme a un amico, rimasto, poi purtroppo, sul monte di Kabul, scegliemmo per base del futuro contingente l’hotel Pastriku e lo requisimmo. Ora i preparativi per la missione procedevano velocemente. Una settimana dopo, mi trovai a sbarcare dagli elicotteri a Peć, con una dozzina di colleghi specialisti di ogni branca. Strade deserte, qualche cane e il rumore della carta portata dal vento. Due figuri, vestiti di nero, apparvero e scomparvero. Ci sistemammo per la notte in una scuola. Una raffica di kalashnikov, sparata a bruciapelo, dietro la finestra, interruppe il dopo cena, ma il visore notturno fu d’aiuto. Al mattino bussavamo alla porta di quel vagabondo con l’AK 47, offrendogli un caffè. Non c’era segno di vita; solo un ristorante carino che bruciava. Sicuramente, una vendetta. Poi, finalmente, i primi due carri Leopard della brigata italiana. Il secondo teneva la torretta all’indietro, precedendo una colonna. Era il 14 giugno 1999. Il nostro contingente del genio partì da Verona in aereo, per Salonicco. Eravamo 202. Che gente! Qui, i greci non volevano vederci perché andavamo a combattere per i musulmani contro un paese ortodosso. Ci diedero un magazzino del porto con due-trecento letti a castello e i materassi lerci, che parlavano con tutti i loro insetti. Era agosto e salii a dormire sulla gru N. 10 del porto. Sognai pizza, rischiando di cadere. Due sottufficiali avevano incontrato il cuoco napoletano di un mercantile e il profumo di quella pizza riempì la notte. Il giorno dopo, una nave sbarcò il centinaio dei nostri mezzi, carichi di tutto. ultime raccomandazioni e alle tre di notte, per non essere visti,  partenza. Su e giù per il convoglio; miracolato a ogni curva: “Serrate sotto! restate uniti.” Grecia, Macedonia e, poi, il Kosovo. Ponti distrutti, fabbriche bombardate: eravamo in Europa? Un camion rimorchio stracolmo guada il fiume e risale la scarpata, con l’ultimo respiro, non so come. Paesi distrutti. Con D’Alema sganciammo di tutto, anche i residuati della guerra mondiale. Una caserma è un cimitero di veicoli militari mitragliati. Sono tutti Iveco e OTO Melara, uguali ai nostri. Infine, il 16 agosto, terzo giorno, giungiamo a Dakovica e al Pastriku. Siamo appena arrivati e la nostra assistenza si schiera al completo a rifornire due elicotteri dell’esercito: “Ma siete appena arrivati!” L’aeroporto iniziò da zero, vicino a una piccola pista di 300 metri e 9 metri più bassa. La polvere sollevata dagli apripista alzava una colonna visibile da alcuni chilometri nel cielo torrido. Cinque litri e mezzo d’acqua a testa, al giorno non bastavano. Conobbi il Präfekt Maslom Kumnova, il capo locale, col quale ebbi un buon rapporto, qualche comandante dell’Uçk come Ramush e gli ottimi dirigenti dell’Elektrokosova. Il 29 settembre, 52 giorni dopo, dove prima c’era l’erba e una linea elettrica a 35.000, un aeroplano con la coccarda italiana atterrava su una pista cementizia di 1.500 metri (oggi 1.800 m). Gli uomini, in piedi sulle benne delle ruspe alzate agitavano i berretti. La radio albanese trasmise “Comandante Donnini piange!”…e mi emoziono ancora. Col passare del tempo, finì la missione “eroica” e ripresero gli andazzi di casa, ma ricordo solo quei 52 giorni. Il 18 dicembre 2013, l’aeroporto A.MI.KO è stato consegnato ai kosovari e, con 26.000 movimenti all’anno, funziona alla grande.

YUGOSLAVIA KOSOVO

Gianluca Samà scrive su East journal: Ramush Haradinaj, ex generale dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk) ed ex primo ministro del Kosovo sotto amministrazione Onu tra il 2004 e il 2005, è stato arrestato il 4 gennaio 2017 in Francia nell’aeroporto Basilea-Mulhouse-Friburgo, subito dopo il suo arrivo su un volo proveniente da Pristina. L’arresto è stato effettuato su mandato di cattura spiccato dalla Serbia nel 2005, con l’accusa di aver torturato e assassinato circa 60 persone durante la guerra in Kosovo.

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Da generale a politico

A guerra conclusa Haradinaj è entrato in politica fondando il partito Alleanza per il futuro del Kosovo (AAK). Alle elezioni del 2004 ottenne lo scranno di primo ministro. L’esperienza politica durò circa cento giorni e l’8 marzo del 2005 il Tribunale internazionale per i crimini commessi in ex-Jugoslavia (ICTY) spiccò un mandato d’arresto nei suoi confronti. Il processo a Haradinaj, Idriz Balaj e Lahi Brahimaj iniziò il 5 marzo 2007; i tre erano accusati di crimini di guerra e contro l’umanità. Il 3 aprile del 2008 fu assolto anche in virtù delle mancate testimonianze che inficiarono il corretto andamento del processo; dieci testimoni morirono uccisi in circostanze sospette e altri si dichiararono impossibilitati in quanto intimoriti dall’andamento del processo. La stessa accusa del Tribunale trovò poca collaborazione dei vertici kosovari, dell’Onu e della Nato. Fu arrestato una seconda volta il 21 giugno del 2010 per apparire in appello: i tre imputati furono successivamente assolti tra le polemiche il 29 novembre 2012.

L’arresto e le reazioni

Si dice spesso che una persona possa cambiare e affrontare nuove sfide durante la propria vita e che la gente ricorderà sempre gli errori fatti da giovane. Questo è particolarmente vero nel caso di Haradinaj, sulla cui responsabilità personale nei capi d’accusa dell’ICTY rimane più di un dubbio, anche se è stato assolto. Soprattutto le modalità del processo e le resistenze incontrate dal Tribunale da parte di istituzioni internazionali non rendono le sentenze univoche e scevre di interpretazioni discordanti. Sicuramente a Belgrado l’opinione pubblica ha pochi dubbi su Haradinaj, e le accuse su cui si basa il mandato di cattura vertono sulla responsabilità soggettiva nei campi di internamento in Metohija (la parte occidentale del paese) e nella strage di sessanta civili serbi e albanesi, i cui corpi vennero rinvenuti presso il lago Radonjic. Sia Kosovo che Albania hanno condannato l’arresto: il presidente del Kosovo Hashim Thaçi ha dichiarato inaccettabile un suo arresto, dichiarandosi inoltre fiero di persone come Haradinaj che hanno combattuto contro le leggi discriminatorie del regime di Milošević. Espressioni di solidarietà sono arrivate anche da esponenti dell’opposizione come Visar Ymeri, leader di Vetevendosje.

Il rilascio in attesa di estradizione

Il 12 gennaio le autorità francesi hanno rilasciato Haradinaj in via temporanea, con obbligo di firma e passaporto sospeso. Le istituzioni serbe hanno dichiarato di aver approntato nuove prove della colpevolezza di Haradinaj, ed è stata effettuata la richiesta di estradizione: l’Ufficio per il Kosovo e Metohija, organo governativo di Belgrado, si è dichiarato fiducioso che Parigi accolga la richiesta ma altresì pronto a contromisure qualora la richiesta venisse rigettata. Belgrado sta utilizzando l’arma della ferma diplomazia nelle dichiarazioni, soprattutto quelle che arrivano dalle sue istituzioni. L’impressione che si ha è che stiano premendo su una questione di principio reale, certamente molto sentita dall’opinione pubblica, e non solo per ragioni politiche, come la vicinanza con le elezioni lascerebbe supporre. Questo appare ancora più vero vista la storia di Haradinaj, sulle cui responsabilità nei crimini di guerra restano ancora molti dubbi.

902.- ALBANIA: L’impatto sociale della migrazione di ritorno. Di Stefania Morreale

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Negli ultimi cinque anni si è diffuso il fenomeno della migrazione di ritorno tra diverse comunità di immigrati in Italia. Nel caso albanese, più di 5000 immigrati hanno deciso di rientrare in patria nel 2014; il numero dei rientri è cresciuto nel 2015 e i dati statistici parlano di un trend in continua evoluzione. Sono cifre abbastanza elevate se messe in relazione a quelle degli anni precedenti.

Tale fenomeno ha preso forma intorno al 2008, anno d’inizio della crisi economica italiana, quando cominciarono a mancare i fattori di attrazione, fra tutti il fabbisogno di manodopera aggiuntiva dall’estero, e, parallelamente, si attenuarono quelli di espulsione, grazie a dei miglioramenti nell’economia albanese. Ridotto il dislivello economico tra Italia e Albania, la possibilità di cercare fortuna nel proprio paese non sembrava così astratta. Le cause di questa ondata migratoria dunque ruotano attorno a questi due importanti fattori: la crisi economica che sta investendo tutto il mondo occidentale e, di contro, la rinascita socio-economica albanese.

Il fenomeno è particolarmente interessante nel contesto albanese in quanto, secondo i dati dell’INSTAT, i migranti non sono circoscrivibili all’interno di una sola classe socio-economica: si tratta di un evento che coinvolge trasversalmente tutta la popolazione immigrata albanese. L’Albania così assiste anche al rientro di personale molto specializzato, di migranti che in Italia hanno preso un titolo di studio e hanno fatto carriera. Questo fenomeno influisce profondamente all’interno del percorso di costruzione identitaria in atto nella società albanese.

I migranti di ritorno propongono novità lavorative e sociali considerevoli e il loro contributo risulta essere fondamentale in questa fase di transizione per il paese. Lo stesso circuito migratorio è cambiato. Da una migrazione prettamente lavorativa e finalizzata all’inserimento duraturo nella comunità ospitante, si è passati a un tipo di migrazione mirata all’apprendimento e alla formazione scolastica che ha insita in sé l’idea del ritorno in Albania. Questa tendenza sembra essere quella dominante tra gli studenti albanesi presso gli atenei italiani che sperano di sfruttare la laurea italiana in Albania. Esiste, infatti, una sorta di “discriminazione positiva” nei confronti dei titoli di studio ottenuti all’estero: i giovani che hanno studiato fuori dall’Albania sembrano avere maggiori possibilità di trovare lavoro e di costruire un futuro roseo.

Per far fronte a questa ondata di ritorno, il governo sta lavorando a una serie di proposte finalizzate a una migliore accoglienza dei migranti che decidono di tornare nel paese. In quest’ottica va letto l’avvio di diversi progetti di finanziamento per coloro che rientrano in patria e l’investimento sulla costruzione di nuove strutture abitative, soprattutto vicino a Tirana. Ma gli interventi che gli immigrati di ritorno si aspettano abbracciano anche altri ambiti.

Le loro necessità comprendono fondamentalmente tre punti: l’orientamento lavorativo già in fase pre-partenza attraverso sistemi di mediazione transnazionale al lavoro e collaborazioni transnazionali tra strutture competenti, l’inserimento dei minori all’interno del sistema scolastico e l’organizzazione di un programma di cumulo dei contributi. Ad oggi, infatti, non esiste la possibilità di cumulare i contributi versati dai lavoratori nei paesi d’origine e d’arrivo. Anche l’assistenza degli anziani che intendono tornare in Albania è un punto dove si chiede di intervenire.

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Tirane

La migrazione di ritorno non implica necessariamente che il paese d’origine stia vivendo uno sviluppo omogeneo. La situazione dell’Albania è ancora molto eterogenea: se è vero che nelle grandi città si sta assistendo a un miglioramento delle condizioni di vita e lavorative, è anche vero che alcune zone più marginali del paese rimangono in condizioni di estrema povertà. In questo contesto vanno letti i dati che parlano di una nuova intensificazione del fenomeno migratorio albanese.