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6187.- Israele costringerà il Libano a entrare in guerra. L’ONU non ferma l’escalation di Biden e Netanyahu.

Gli attacchi di Israele agli ospedali sono “inaccettabili, violano le leggi e le norme internazionali, in particolare la Convenzione di Ginevra, che sottolinea la neutralità dei centri sanitari e degli operatori sanitari”. Il Libano non vuole la guerra, ma Israele gliela fa. A Gaza si sta celebrando la catastrofe dell’umanità.

Israele attacca centro medico in Libano e uccide 7 persone. La risposta di Hezbollah causa una vittima

Da Pagine Esteri, di Eliana Riva, 27 marzo 2024

Israele attacca centro medico in Libano e uccide 7 persone. La risposta di Hezbollah causa una vittima

di Eliana Riva – 

Il confronto armato tra Israele e Hezbollah, in Libano, subisce una nuova, pericolosa accelerazione. Martedì Israele ha colpito la zona più settentrionale del Libano dall’inizio della guerra. A 100 chilometri dal confine, nella città di Zaboud, nella zona orientale della Valle della Beqaa. L’esercito israeliano afferma di aver colpito un complesso militare contenente diverse piattaforme per il lancio dei droni.

Lo stesso giorno Hezbollah aveva attaccato la base aerea sul monte Meron, poco all’interno del confine israeliano. Si tratta di un presidio utilizzato dall’esercito per monitorare lo spazio aereo che, sempre secondo le forze armate, non ha subito danni significativi.

Durante la notte tra martedì e mercoledì, Israele ha compiuto un raid aereo sul villaggio di al-Habbariyeh, attaccando un centro medico e uccidendo 7 persone. Tel Aviv ha dichiarato che l’operazione militare mirava all’uccisione di un combattente dell’organizzazione Al-Jama’a Al-Islamiyya. Il Centro islamico di Emergenza e Soccorso è stato distrutto nell’attacco, che secondo fonti libanesi ha causato vittime civili: le autorità hanno dichiarato che nell’edificio c’erano paramedici, volontari e studenti universitari. Il Ministero della Salute libanese ha condannato il raid: “Questi attacchi inaccettabili violano le leggi e le norme internazionali, in particolare la Convenzione di Ginevra, che sottolinea la neutralità dei centri sanitari e degli operatori sanitari”.

Hezbollah ha immediatamente dichiarato che avrebbe risposto con forza a quello che ha definito un massacro compiuto da Israele. Alle 8 di mercoledì il gruppo islamico ha lanciato un attacco massiccio contro Kiryat Shmona, la città della punta settentrionale si Israele, vicinissima al confine, tra il Libano e le Alture del Golan occupate da Tel Aviv nel 1967. Almeno 3 dei circa 30 missili esplosi dal Libano hanno raggiunto la città, colpendo un edificio industriale e uccidendo un uomo di 25 anni.

Il Consiglio nazionale libanese per la ricerca scientifica (CNRS) ha denunciato il massiccio utilizzo di Fosforo bianco da parte di Israele nella zona meridionale, quantificato in circa 117 bombe fosforiche lanciate dall’inizio delle ostilità con Hezbollah, l’8 ottobre 2023, fino al 6 marzo 2024.

In Cisgiordania, intanto, sono stati uccisi 3 palestinesi nella zona di Jenin tra i quali due ragazzi di 19 anni. Il primo durante un’incursione dell’esercito israeliano nella città, all’esterno del campo profughi. Poche ora più tardi i militari hanno guidato un drone sull’area che ha ucciso altri 2 giovani palestinesi nelle prime ore dell’alba. L’utilizzo dei droni per uccidere i palestinesi in Cisgiordania è sempre più diffuso. All’inizio dell’anno, il 7 gennaio, proprio a Jenin un drone ha ucciso 7 persone tra le quali 4 fratelli della famiglia Darwish, che aspettavano di cominciare il lavoro quotidiano nei campi.

A Gaza si intensificano gli attacchi israeliani a Rafah, nonostante la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite abbia chiesto un cessate il fuoco immediato. Nella notte sono state uccise almeno 9 persone in un attacco aereo che ha distrutto l’abitazione della famiglia Chahir, nel nord di Rafah, al confine con l’Egitto. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver attaccato altri 5 edifici durante la notte. Sono stati distrutti anche numerosi terreni agricoli. Continua, intanto, l’assedio all’ospedale Shifa, dove gli israeliani hanno dichiarato di aver ucciso decine di persone.

Nella Striscia almeno 27 persone, tra le quali 23 bambini, sono morte di fame. Secondo la United Nations Population Fund, 1 su 3 bambini sotto i due anni a Gaza soffre una grave malnutrizione. Metà della popolazione ha esaurito le proprie scorte di cibo e deve far fronte a una “fame catastrofica”. Martedì almeno 12 palestinesi, tra cui bambini, sono annegati nel tentativo disperato di recuperare gli aiuti umanitari lanciati dagli aerei e finiti in mare. Decine di persone affamate hanno rincorso i paracadute con le scatole di aiuti alimentari fino alla spiaggia di Beit Lahia, dove il forte vento li ha spinti in mare. Pagine Esteri.

Raid nel sud del Libano, colpita auto con osservatori Onu. Idf smentisce: nessun attacco. Come credergli?

Feriti 3 membri Unifil di nazionalità australiana, cilena e norvegese, e un libanese, non in pericolo di vita. Ancora non chiara la dinamica dell’accaduto. Morti sulla distribuzione di aiuti, a Jenin ucciso un 13enne dopo un blitz dell’esercito.

5965.- Israele: Algeria, Tunisia, Qatar… sostengono Hamas. La Francia in trappola

Dopo l’Ucraina, il Mediterraneo è in guerra. Non soltanto Israele. Europa e Stati Uniti hanno sopravvalutato Israele e la guerra in corso sarà senza limiti e senza frontiere.

Da Boulevard Voltaire, Marc Baudriller, direttore aggiunto, 9 ottobre 2023

©shutterstock-2097847231.

Sembrano amici della Francia, grandi amici, cari amici. Algeria, Tunisia, Libano, Qatar, Kuwait, Oman, accompagnati da Siria, Iran e Yemen, hanno immediatamente sostenuto l’attacco di Hamas contro Israele. Un assalto che ha provocato più di 800 vittime alla data del 9 ottobre (alle 16) e 2.500 feriti. Tutti questi paesi hanno espresso molto rapidamente “la loro totale e incondizionata solidarietà al popolo palestinese”. Alcuni, come il Qatar, sembrano cambiare posizione.

Questa non è una sorpresa quando si tratta dell’Algeria. “L’Algeria ha sempre sostenuto la causa palestinese e il movimento palestinese”, ricorda Xavier Driencourt, ex ambasciatore francese in Algeria della BV. Non ha mai riconosciuto Israele, preferendo parlare regolarmente dell’entità sionista”.

La causa unificante palestinese

Questa posizione non ha impedito al presidente francese di compiere una sciropposa visita diplomatica in Algeria nell’agosto 2022, seguita in ottobre da una visita del suo primo ministro Élisabeth Borne, accompagnato per l’occasione da un’imponente delegazione di ministri e imprenditori. La posizione di lunga data dell’Algeria nei confronti di Israele non ha impedito allora i voli lirici e i proclami di amicizia dei macronie tornati dall’Algeria a mani vuote su tutte le questioni, a cominciare da quella dell’OQTF. In Nord Africa, anche la Tunisia non nasconde il suo sostegno ad Hamas durante gli eventi di questo fine settimana. Il Marocco, che ha firmato separatamente gli accordi di Abraham nel dicembre 2020 sotto l’egida degli Stati Uniti di Trump, non segue l’Algeria in questo conflitto. Ma gli accordi statali sono una cosa, l’opinione pubblica è un’altra. E “la causa palestinese è un elemento unificante in tutti questi paesi”, ricorda Xavier Driencourt. Come potrebbero alcuni dei loro connazionali in Francia non essere sensibili a questo?

Tanto più che la Francia dà il primo posto ad alcuni stati più che ambigui riguardo all’islamismo. Sostenendo Hamas, il Qatar ha da decenni un tavolo aperto in Francia. I suoi investimenti scorrono come latte e miele in Francia, con la sincera benedizione di tutti i governi. Stessa posizione, quindi, del Kuwait, dell’Oman o del Libano.

Quanti cittadini francesi partiranno per sostenere Hamas?

La Francia macroniana finora non ha utilizzato l’argomentazione morale contro i sostenitori di Hamas. Forse a causa della nostra politica di immigrazione cosiddetta “generosa”, cioè cieca, sorda e assente? Milioni di musulmani vivono in Francia con, per alcuni di loro, un odio verso gli ebrei vicino a quello che motiva i combattenti di Hamas. Parliamo di volontari francesi partiti per combattere al fianco di Israele, ma quanti lasceranno la Francia per sostenere i palestinesi? I Fratelli Musulmani, vicini ad Hamas, sono potenti nella terra delle cattedrali. Che ci piaccia o no, il conflitto israelo-palestinese tocca anche la nostra patria: Gérald Darmanin, in una conferenza stampa questo lunedì pomeriggio, 9 ottobre, ha denunciato una ventina di atti antisemiti dall’inizio delle ostilità. Per questo motivo “dieci persone sono state arrestate” in diversi dipartimenti, secondo il ministro dell’Interno. E non solo i nativi dell’Aveyron: due persone di nazionalità straniera nel sud della Francia saranno soggette a espulsione immediata. La Francia, che secondo il presidente del concistoro francese Elie Korchia ospita la terza comunità ebraica più grande del mondo, è costretta a mettere in atto misure di protezione immediate. “L’atmosfera è infiammabile”, osserva Elie Korchia. Darmanin promette: “La polizia sarà molto presente nei 400 luoghi di culto, scuole, aziende, asili nido”. La sorveglianza aumenta. Lo Stato ha ricevuto 700 segnalazioni sulla piattaforma Pharos, 44 saranno oggetto di azioni legali.

Divieto dei Fratelli Musulmani

Ancora una volta, come durante le rivolte, come con la tragedia di Lola e molte altre, la Francia si trova ad affrontare le conseguenze della sua follia migratoria. In questo caso importa i conflitti del Medio Oriente, qui alimentati da un’estrema sinistra cieca e clientelare. Éric Zemmour ha fatto il punto della sfida, chiedendo in un messaggio su X “che i paesi che sostengono il jihad smettano di beneficiare dei vantaggi sul suolo francese”. Chiede “la messa al bando dei Fratelli Musulmani da cui Hamas è emerso e lo scioglimento di tutte le associazioni ad essi collegate”, chiedendo infine “l’espulsione dei sostenitori stranieri di Hamas perché sostenitori del terrorismo, così come di tutti i gruppi S stranieri o con doppia nazionalità .

La Francia ha accolto sul suo territorio milioni di cittadini provenienti da paesi ufficialmente e radicalmente ostili a Israele mentre il paese era inebriato dalla lotta anti-Le Pen. Siamo intrappolati.

4515.- Un piano strategico per il Mediterraneo è la risposta ai flussi migratori.

Stiamo dicendo che sia l’Unione europea sia questo decantato Governo Draghi, sia la sua opposizione, stanno affrontando separatamente i problemi dello sviluppo dei Paesi africani del Fianco Sud allargato, cioè, del Mediterraneo e del Sahel e i flussi migratori. Draghi, partendo dalle politiche agricole, anche quelle comuni dell’Ue, dovrebbe proporre un confronto fra Italia, Francia e Spagna e, poi, almeno con Grecia, Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, per cooptare, infine, Israele, Turchia, Libano e – se Dio vuole – Libia. L’obiettivo potrebbe essere un’area mediterranea di Libero Scambio. Questo quadro consentirebbe di dare un senso e coordinare le politiche economiche ed energetiche del Mare Mediterraneo facendo fronte alle prossime aperture delle rotte commerciali dell’Artico. Consentirebbe anche di affrontare meglio l’azione di penetrazione della Cina.

Niente di nuovo!

Roma è ancora un cammino da seguire.

Verso l’area euromediterranea di produzione e di libero scambio

Il mercato comunitario è il primo importatore mondiale di prodotti agricoli e rappresenta l’obiettivo commerciale delle grandi aree di produzione agricole.
Il mercato comunitario è il primo riferimento di destinazione dell’export agricolo sia per l’Italia che per i Paesi terzi mediterranei (PTM). Entrambi subiscono la concorrenza delle aree emergenti. L’impatto della liberalizzazione potrebbe quindi essere consistente sotto il profilo dell’accesso ai mercati.

L’apertura di un’area di Libero Scambio fra i mercati mediterranei fa crescere le nostre e le loro economie; crea opportunità di investimento nei Paesi africani ed è l’unico vero contrasto possibile all’immigrazione incontrollata e sempre più incontrollabile, come gli avvenimenti di oggi sulle coste italiane e sui confini della Grecia e della Polonia dimostrano. Le cause della migrazione sono numerose e vanno da sicurezza, demografia e diritti umani fino al cambiamento climatico, ma ciò porta gli africani a emigrare è, senz’altro la mancanza di opportunità che fa capo all’attuale sistema di sostegni e di sfruttamento del Fondo Monetario Internazionale: un handicap per le economie africane, che ne limita lo sviluppo. L’Europa possiede le risorse tecnologiche e l’Africa è una terra ricca. Dobbiamo crescere! e l’Italia si faccia capofila di una politica Ue di stretta collaborazione sul piano diplomatico, militare ed economico fra i Paesi mediterranei. Solo una politica attiva dell’UE di libero scambio, di investimenti e di partenariato, attuata fra gli Stati dell’area mediterranea può raggiungere questo obiettivo.

Sbaglia chi vuole blindare ancor di più l’Unione Europea e chiede il blocco navale. Il blocco, sostenuto da alcune parti politiche, è inattuabile, guarda all’emergenza, ma non risponde a una visione aperta in tutti i sensi.

Questo non sta avvenendo, complice l’ignoranza che grava sulla politica. Per governare i flussi migratori dai paesi africani, infatti, è necessario comprendere le cause che li determinano. Quindi, va bene contenere il fenomeno migratorio, ma guardando alle cause e alle possibili soluzioni. L’apparente cecità dei governi europei, invece, avvantaggia i forti interessi delle multinazionali occidentali, ma anche della Cina che, dai primi anni Duemila, è diventato il principale attore in Africa, mirando a un approccio molto concreto: vale a dire, risorse naturali in cambio di infrastrutture essenziali, come strade, dighe, ferrovie, porti, investimenti negoziati a condizioni rischiose per chi li riceve. Va da sé che lasciare che la Cina si impossessi delle risorse e delle infrastrutture africane è un suicidio per l’Africa e per l’Europa.

Se dicessimo che i paesi europei e più in generale i paesi occidentali hanno un impatto sull’economia africana e, perciò, dobbiamo rimodulare le nostre economie coordinandole con quelle africane, saremmo sul giusto binario. Guardando al bilancio Ue, una buona metà è dedicata al sostegno all’agricoltura. Questo costituisce di fatto un freno alle esportazioni africane. Se ora dicessimo che gli agricoltori italiani, francesi, spagnoli devono limitare le loro produzioni per fare spazio a quelle dell’Africa bianca, saremmo accusati di eresia. L’obiettivo da proporsi, allora, è: “Portare gli imprenditori agricoli europei a investire sulle coste africane”. Gli imprenditori italiani hanno dimostrato di saperlo fare, e bene, al tempo delle colonie. L’importante è che, oggi, non arrivino per ultimi. Il Mediterraneo è la nostra storia.

“Aiutiamoci a casa loro”

Lo slogan “Aiutiamoli a casa loro” non sia soltanto un auspicio mosso dalla solidarietà tra stati, o dal mero interesse di ridurre i flussi migratori: impossibile! Lo slogan deve essere “Aiutiamoci a casa loro”. Bisogna e sottolineo “bisogna”, che i “canali” attraverso i quali devono essere gestiti questi aiuti (e i come) non devono essere intergovernativi perché la crescita si rivelerebbe sicuramente fragile, molto legata all’andamento dei mercati, sopratutto, a quelli delle materie prime (Ho presenti le condizioni del Mali, primo produttore mondiale di cotone); sarebbe facilmente frenata da fattori politici.

Bruxelles deve soltanto creare le condizioni affinché gli imprenditori europei, insieme alle istituzioni finanziarie, possano investire le loro risorse in partenariato con gli africani, con obiettivi comuni e con reciproco vantaggio. Ciò dovrebbe segnare il futuro dell’area mediterranea e del Sud Europa, ricordando che i processi di sviluppo sono, per loro natura, lunghi e complessi.

4180.- L’Italia può guidare la soluzione della crisi in Tunisia. L’analisi di Dentice (CeSI)

Ultimo aggiornamento 27 luglio 2021

L’Italia è in Mediterraneo come nessun altro e Africa bianca e Unione europea hanno un futuro in comune. La crisi politico-economica e, poi, sanitaria della Tunisia, le elezioni di dicembre in Libia e l’instabilità del Mediterraneo Orientale chiamano Draghi a rivestire ruoli propositivi per l’Italia e per l’Unione. In questo quadro, assume importanza la necessità di ridimensionare la politica della Turchia, anche offrendole opportunità più attuali.

L’analisi di Fabio Ghia

27 luglio. Cosa penso di quanto in corso in Tunisia? Non è da considerare come un colpo di Stato neanche lontanamente! Bensì solo una sospensione di 30 giorni dell’attività legislativa e la “destituzione” per inadempienze (prima fra tutti la situazione anti pandemia – (solo il 7% della popolazione è stato vaccinato?) del Presidente del consiglio, che a me appare piú che giustificata unitamente all’esautorizzazione in totale di ben sette Ministri. Con tutti i casini che non sono riusciti a controllare: dalla monnezza napoletana e corruzioni relative, al Covid e alle silenziose direttive di non uniformarsi alle norme anticovid di El Mahdha, la sospensione di Ghannuchi (Capo del Parlamento!), già stata annunciata più volte e sollecitata dalle opposizioni proprio perché faceva fare al Governo quello che gli pareva senza il minimo supporto di atti parlamentari! Cioé io me lo aspettavo da tempo! ….. Se poi tra 30 giorni … nulla cambia, allora dovremo aspettaarci che l’esercito scenda in campo. Da quel momento lo spauracchio della guerra civile, DIVENTERÀ REALTÀ. Ma non credo che la comunità internzaionale (Italia e Francia in testa) lo consentirà …. VIVA LA TUNISIA LIBERA E DEMOCRATICA!

L’articolo di Emanuele Rossi | 26/07/2021 – Esteri

L’Italia può guidare la soluzione della crisi in Tunisia. L’analisi di Dentice (CeSI)

Secondo il direttore del Mena Desk del CeSI, la crisi che si è innescata in Tunisia può evolversi in diversi scenari su cui l’Italia ha l’opportunità di giocare un ruolo di mediazione e spingere le politiche dell’Ue sul Mediterraneo

“Quello che succede in Tunisia racconta una crisi istituzionale profonda che si somma a quella della vicina Libia e del Libano segnando un fronte di instabilità all’interno dell’arco di interessi della politica estera italiana nel Mediterraneo”. Lo spiega a Formiche.net Giuseppe Dentice, Head del Mena Desk del CeSI.

Il presidente Kais Saied ha licenziato il primo ministro Hichem Mechichi dal suo incarico, citando l’articolo 80 della costituzione che consente questo tipo di misure in caso di “pericolo imminente”. Il Parlamento è stato messo in una sorta di stand by, il Paese è di nuovo senza un governo.

Per Dentice ci sono diversi scenari, che possono arrivare anche alla “deriva autoritaria in senso puro, ossia portare a un presidenzialismo forte in stile egiziano, con la differenza però che in Egitto i militari sono attori centrali, mentre in Tunisia sono più marginali”. Seppure i militari sono stati protagonisti in queste ore caotiche, intervenuti in difesa del Parlamento, hanno poi compiuto un’operazione di polizia sgomberando la sede di al Jazeera, che è una televisione di proprietà del Qatar e considerata vicina alle istanze degli islamici di Ennahda – ispirati all’Islam politico della Fratellanza – mentre il presidente Saied è più collegabile al mondo dei conservatori dello status quo sunnita. Negli ultimi mesi, il principale interlocutore del presidente di Tunisi è stato l’egiziano Abdel Fattah al Sisi.

Un altro scenario evocato dall’esperto del think tank italiano è quello della cosiddetta “dittatura costituzionale”, dove sotto la spinta di una possibile riforma della costituzione, il presidente avoca a sé i maggiori poteri e governa in maniera incontrastata. Terzo, infine, le parti dopo i trenta giorni della durata prefissata della crisi “si mettono a lavorare con consapevolezza e prendono quanto successo come una pausa. Ma è possibile che tutto questo si porti dietro comunque dei problemi creando un precedente rischioso”.

Quanto sta accadendo (va detto in costante evoluzione) manda un messaggio all’Europa. Per Dentice la responsabilità dell’Occidente sta nel non aver salvaguardato la democratizzazione tunisina del 2011 e nel non aver aiutato il processo nel Paese, dopo i segnali già critici emersi nella stagione 2013-2014, quando la tensione sociale e politica era anche allora fortissima. Le fasi successive, le votazioni e la nuova costituzione erano state comunque un tentativo, tuttavia finito in stallo. E qui ci troviamo adesso, punto da cui occorre realisticamente ripartire”.

I segnali della crisi tunisina erano evidenti da diverso tempo, sia sul quadro economico che su quello sociale e istituzionale. Il tutto è stato peggiorato dal Covid. Cosa serve fare? “La Tunisia ha bisogno dell’Europa, e l’Italia deve essere in testa in questa assistenza. Detto questo, a Tunisi serve supporto politico ed economico. Il condizionamento degli aiuti economici alle riforme rischia per altro di essere debole: spesso il quadro macro-economico non porta benefici alla popolazione media, serve essere consapevoli sul dove si va a intervenire e delle complessità”.

In questo contesto è ineccepibile che ci siano interessi per l’Italia. Basta pensare al tema dell’immigrazione: se i flussi riprendono dalla Tunisia è perché si sono create condizioni all’interno del Paese tali da portare alcuni cittadini a fuggire, a cercare fortuna altrove. “L’immigrazione è in effetti un sintomo finale”, aggiunge Dentice.

“L’Italia – spiega l’analista del CeSI – ha l’opportunità di muovere la politica sul Mediterraneo in modo abbastanza chiaro in questo momento anche prendendo le redini di queste crisi. Roma ha l’opportunità di porsi come attore di mediazione. La mediazione non è uno strumento di debolezza, ma è un elemento in grado di dare forza alla politica. E questo lo dimostra anche la situazione attuale in Libia, dove per dirimere il nodo sulle elezioni di dicembre i libici preferiscono venire a parlare a Roma, piuttosto che andare ad Ankara o in altre capitali coinvolte nel dossier”.

Secondo Dentice, l’Italia deve guardare al Mediterraneo in una cornice europea: “L’economia per esempio è certamente un fattore utile per attenuare la crisi tunisina o libica, ma poi c’è bisogno della politica per evitarne altre, e in questo senso l’Italia ha modo e opportunità per aprire forme di dialogo con cui evitare l’innesco di derive complicate, e guidare con Bruxelles le politiche di vicinato nel Mediterraneo”.

La Farnesina ha diffuso una nota sulla situazione: “L’Italia segue con grande attenzione l’evolvere della situazione in Tunisia. La portata e la natura delle decisioni assunte nelle scorse ore dovrà essere attentamente valutata. L’Italia esprime altresì preoccupazione per la situazione e per le sue potenziali implicazioni e rivolge un appello alle istituzioni tunisine affinché venga garantito il rispetto della Costituzione e dello stato di diritto.
In un momento in cui la crisi politico-economica nel Paese è esacerbata dal recente deterioramento del quadro epidemiologico, l’Italia conferma il proprio sostegno a favore della stabilità politica ed economica della Tunisia e ribadisce la propria sincera vicinanza all’amico popolo tunisino”.

3305.- CHI SI FA SCHIAVO DELLA CORRUZIONE SI FA ANCHE PREDA

Macron è volato a Beirut, dove la folla lo ha accolto chiedendo, implorando che i 298 miliardi di dollari promessi dalla videoconferenza dei donatori per la ricostruzione non finiscano per alimentare e nelle mani della ricostruzione. E l’Italia?

Il conflitto del Medio Oriente è permanente? Finirà? C’è chi dice con la vittoria o con la sconfitta di Israele. Sicuramente, alla radice dell’instabilità siriana, del conflitto latente con l’Iran, come del caos libanese, c’è anche la guerra di Israele per la sopravvivenza. Sopravvivenza che non prevede una pacifica convivenza con i popoli della regione. Ma non c’è solo Israele. C’è lo scontro tra le due correnti dei musulmani, nate dallo scisma dell’Islam, la sunnita e la sciita, che ha generato guerre, che hanno, a loro volta, influenzato il prevalere dei diversi sistemi di potere in quei popoli. Due sono i paesi di riferimento per le due correnti religiose musulmane: l’Arabia Saudita per i sunniti (dove gli sciiti rappresentano il 15%) e l’Iran per gli sciiti (dove risiede circa il 4-8% dei sunniti). Nell’instabilità degli assetti geopolitici della regione, si inserisce l’instabilità politica della Turchia, che ha portato il suo presidente a consolidare il suo potere attraverso una politica di avventure militari e di repressione verso il popolo curdo. Non dimenticherei che la Via della Seta, cosiddetta, sboccherà sulla costa orientale del Mediterraneo.

In Medio Oriente, nulla è stabile. Abbiamo conosciuto l’Iran di Reza Phalevi, la Siria di al Assad, padre, la Turchia di Mustafà Kemal e il Libano, giardino del Mediterraneo, il paese dei cedri. Niente più di tutto questo. Quanto vi abbia contribuito o vi stia contribuendo l’insignificanza politica dell’Unione europea, è argomento da approfondire e questa crisi caotica, che accompagna il fallimento libanese, lo metterà in evidenza – Il debito accumulato dallo stato libanese era già a quota 100 miliardi -. Soprattutto, lo vedremo tirando le somme dell’opera di ricostruzione, non solo di Beirut, ma di tutto il Libano, che non è più una nazione coesa. Il popolo libanese è insorto, ha assaltato i ministeri, ha chiesto e, oggi, ha ottenuto le dimissioni del governo. La corruzione à l’unico legante della politica libanese e costituirà il primo problema da affrontare per la ricostruzione, che vedrà fronteggiarsi il partito Hezbollah, vera anima del Sud del paese con gli Stati Uniti e Israele, che vogliono cogliere questa occasione, se occasione fu e mirano a ottenere la cabina di regia. L’Unione europea farà udire dal fondo la voce e gli euro di Merkel e vedrà l’intraprendenza e la presenza di Macron, come in Siria. Macron è volato a Beirut, dove la folla lo ha accolto chiedendo, implorando che i 298 miliardi di dollari promessi dalla videoconferenza dei donatori per la ricostruzione non finiscano per alimentare e nelle mani della ricostruzione. E l’Italia?

L’Italia ha mandato i suoi aiuti, punto e basta, ma non ha un governo con la statura adeguata alla politica estera che sta ridisegnando gli assetti del Mediterraneo. Lo abbiamo visto in Libia, dove abbiamo tentato di ricoprire una posizione, a rimorchio di una ONU impotente e in Siria, dove le patriote curde, tanto ammirate, sono state dimenticate in un momento e, anche qui, il governo italiano è andato a rimorchio, stavolta, della NATO: abbiamo visto, sempre a spese degli italiani, un reggimento di missili contraerei italiano difendere per un anno lo spazio aereo del confine turco dai curdi, che non avevano nemmeno gli aeroplani di carta. Grazie a questa partecipazione, l’ENI, con tutti i suoi diritti, è stato cacciato dalle acque cipriote da Erdogan. La politica del Due di briscola farà dimenticare anche il grande apporto dell’esercito italiano al Libano negli anni che fu dilaniato dalla guerra civile.

Mario

2816.- L’assassinio di Soleimani è stato un episodio prodromico di una nuova stagione di sangue.

DA BAGDAD 

Viene riferito che il funzionario delle Brigate Hezbollah chiama volontari per attentati suicidi. Tanto tuonò che piovve? Né gli Stati Uniti né l’Iran e, meno che meno, Israele vogliono la guerra, ma qualche attentato qua e là e qualche strike ci possono stare.

Noi europei e noi italiani siamo semplici spettatori, eppure almeno 1.100 militari italiani sono in Iraq. E abbiamo avuto da poco 5 feriti gravi nelle nostre forze di élite. Dall’uccisione di Qassem Soleimani, che capiremo presto quanto avventata oppure no sia da considerare, emerge tutta l’impotenza europea. L’incapacità dei singoli stati membri, che restano sovrani in materia di difesa e politica estera, di essere attori credibili e autorevoli nei teatri del medioriente e del mediterraneo, lascia la sicurezza dei cittadini europei in balia di decisioni rispetto alle quali l’Unione europea non ha voce in capitolo». Lo dichiara il segretario di Più Europa, Benedetto Della Vedova. «Altro che sovranismo: la necessità di un’unione diplomatica e di difesa comune europea è ormai una condizione imprescindibile per la rilevanza, la difesa dei valori e degli interessi dei cittadini europei», conclude. Invece, no.Non è così! Più Europa DI CHI? Senza una Costituzione garante della nostra dignità, non possono esserci né un’unione diplomatica né una difesa comune europea. La scriviamo sì o no questa Costituzione?

Il “giubilo” americano per l’assassinio di Soleimani diventerà “lutto”. IRGC.

2020-01-03

Qassem Soleimani . Anadolu Agency/Getty Images

A spokesperson for Iran’s Islamic Revolutionary Guard Corps (IRGC) said the US and Israeli “jubilation” for the killing of Quds Force General Qassem Soleimani would soon turn into “mourning,” while speaking to Iranian State TV in Tehran on Friday.

“Questo giubilo temporaneo di americani e sionisti non ci impiegherà molto tempo per trasformarsi in lutto”, ha detto il portavoce del Generale di brigata Ramezan Sharif.

Sharif ha anche affermato che l’IRGC entrerà in “una nuova stagione” e vendicherà l’omicidio di Soleimani.

Dopo la sua dichiarazione, Sharif è stato visto piangere ed essere confortato da un presentatore televisivo della TV di stato iraniana.

Soleimani è stato ucciso in un attacco aereo all’aeroporto internazionale di Baghdad nelle prime ore di venerdì mattina, insieme a Jamal Jafaar Mohammed Ali Ebrahimi, noto anche come Abu Mahdi al-Muhandis, leader delle forze di mobilitazione popolari irachene (Hashd al-Shaabi), un organizzazione con legami stretti con la Forza Quds.

Il Pentagono ha rilasciato una dichiarazione che conferma che gli Stati Uniti hanno effettuato l’attacco aereo per ordine del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, definendolo una “decisiva azione difensiva per proteggere il personale americano all’estero”. Il leader supremo iraniano Ayatollah Ali Khamenei ha promesso “dura vendetta” contro gli autori della morte di Soleimani.

Credo di capire dove e come colpirà la vendetta. L’avventura di Trump è appena iniziata.

Credito: Ruptly

Cosa sappiamo del successore iraniano di Qassem Soleimani

Esmail Ghaani, un collaboratore stretto e un sostituto di Qassem Soleimani, è stato nominato il nuovo capo della sezione operazioni estere del Corpo dei guardiani della rivoluzione islamica iraniana, la Quds Force, poche ore dopo l’incidente all’aeroporto internazionale di Baghdad, secondo l’agenzia di stampa iraniana Press TV.

Ecco cosa sappiamo finora del nuovo leader di una delle branche militari più potenti dell’Iran:

  • Annunciando la nuova posizione di Ghaani, il supremo leader iraniano Ayatollah Ali Khamenei ha dichiarato che avrebbe continuato la politica del defunto Soleimani.
  • Il fatto che Ghaani abbia ricoperto il ruolo di vice di Soleimani da quando quest’ultimo ha assunto la guida della forza d’élite dell’Iran nel 1997 non fa che accrescere l’opinione secondo cui le tattiche della Forza Quds non cambieranno sotto il suo nuovo capo.
  • Nel suo ruolo precedente, Ghaani sarebbe stato incaricato di supervisionare varie operazioni finanziarie relative alle operazioni della Forza Quds.
  • Il nuovo leader della Quds Force ha anche preso una posizione dura nei confronti degli Stati Uniti in passato, mettendo in guardia il presidente Donald Trump nel 2017 contro “qualsiasi azione militare contro l’Iran”, promettendo che se ne sarebbe pentito.
  • Il 27 marzo 2012 Esmail Ghaani è stato aggiunto all’elenco dei cittadini appositamente designati degli Stati Uniti, utilizzato per imporre sanzioni a coloro che Washington considera terroristi.
  • Ghaani prestò servizio durante gran parte della guerra Iran-Iraq che durò tra settembre 1980 e agosto 1988.

Source: Sputnik

Il leader di Hezbollah promette di completare il percorso di Qassem Soleimani

السيد حسن نصرالله

Il segretario generale del Hezbollah libanese Sayyed Hassan Nasrallah ha affermato che la punizione contro gli assassini del comandante della Forza Quds delle guardie rivoluzionarie iraniane, Qassem Soleimani, “sarà il proposito” di tutti i combattenti della resistenza in tutto il mondo.

Sayyed Nasrallah ha dichiarato in una dichiarazione venerdì, “completeremo il suo percorso e lavoreremo giorno e notte per raggiungere i suoi obiettivi e porteremo la sua bandiera in tutte le piazze e fronti”.

“La giusta punizione di coloro che sono stati uccisi dai criminali che sono i peggiori criminali di questo mondo sarà la responsabilità, l’onestà e l’azione di tutti i combattenti della resistenza e mujahideen in tutto il mondo”, ha continuato.

“Gli assassini americani non saranno in grado, a Dio piacendo, di raggiungere nessuno dei loro obiettivi con questo grande crimine. Piuttosto, tutti gli obiettivi di Hajj Qassem saranno raggiunti dalla grandezza della sua anima e del suo sangue e dai suoi fratelli, figli e studenti che resistono e combattono, da tutti i popoli della nostra nazione “, ha aggiunto.

L’Iran si riserva il diritto all’autodifesa “dura vendetta” per l’assassinio di Soleimani:

2020-01-04

Definendo l’uccisione americana (alla maniera israeliana) del generale Qassem Soleimani “criminale” un atto di terrorismo, l’inviato iraniano alle Nazioni Unite ha dichiarato che il suo paese si riserva il diritto di agire per autodifesa e ha minacciato la vendetta nelle interviste con i media statunitensi.

L’omicidio di Soleimani “in ogni caso, è un evidente esempio di terrorismo di Stato e, in quanto atto criminale, costituisce una grave violazione dei principi fondamentali del diritto internazionale, compresi, in particolare, quelli stipulati nella Carta delle Nazioni Unite, “L’ambasciatore Majid Takht Ravanchi ha scritto venerdì in una lettera al segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e al Consiglio di sicurezza.

Giovedi Soleimani, capo della Forza Quds del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica (IRGC) per oltre 20 anni, è stato ucciso in uno strike di droni negli Stati Uniti. Ravanchi ha aggiunto che Teheran si riserva il diritto di autodifesa ai sensi del diritto internazionale – patetico il richiamo al diritto internazionale.

L’inviato lo ha seguito con interviste a NBC e CNN venerdì sera, definendo l’uccisione di Soleimani un “atto di aggressione” e “equivale ad aprire una guerra contro l’Iran”.

issata la bandiera rossa a Qom. È il segno che precede la battaglia avviene ogni volta che il paese vuole comunicare che ci si trova davanti ad una imminente battaglia

Ha confermato che l’Iran e gli Stati Uniti hanno scambiato lettere tramite un intermediario svizzero, ma ha detto alla NBC che pensa che l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump “non crede nel dialogo”.

L’assassinio, ha detto alla NBC, è stato “un atto di aggressione da parte degli Stati Uniti e non possiamo semplicemente chiudere gli occhi su ciò che è accaduto a un caro generale delle nostre forze armate”.

Ci sarà una dura vendetta. Dove? Quando? Come? Non lo so, ma sicuramente ci saranno alcune ritorsioni.

Parlando con la CNN, Ravanchi ha solo elaborato che “la risposta per un’azione militare è un’azione militare”.
La morte di Soleimani è stata programmata per “un po ‘di tempo”, ha affermato Ravanchi, indicando un tweet dell’ex consigliere di Trump John Bolton, un noto sostenitore del cambio di regime a Teheran, come prova.

Venerdì, Trump ha definito Soleimani il “terrorista numero uno” al mondo. L’ambasciatore ha fatto eccezione, sottolineando il ruolo del generale nella lotta contro le affiliate di Al Qaeda e lo Stato islamico (IS, precedentemente ISIS) in Iraq e Siria.

“Gli Stati Uniti non possono affermare che sta combattendo il terrorismo quando allo stesso tempo sta uccidendo il campione della sconfitta dei terroristi nella nostra regione”, ha detto Ravanchi alla NBC.

Fonte: RT

Gli Stati Uniti designano la forza paramilitare irachena come “organizzazione terroristica straniera”. È vero?

Ieri, Venerdì gli Stati Uniti hanno designato la forza paramilitare irachena, Asa’ib Ahl Al-Haq, e i suoi leader, Qays e Laith Al-Khazali, come terroristi stranieri.

“Oggi, il Segretario di Stato ha annunciato l’intenzione di designare Asa’ib Ahl Al-Haq – noto anche come AAH – come Organizzazione terroristica straniera (FTO) ai sensi della sezione 219 dell’Immigration and Nationality Act. Inoltre, il Segretario ha designato AAH e due dei suoi leader, i fratelli Qays e Laith Al-Khazali, come Terroristi globali appositamente designati (SDGT) ai sensi della sezione 1 (a) (ii) (A) dell’Ordine esecutivo (EO) 13224, come modificato da EO 13886 ”, iniziò la dichiarazione del Dipartimento di Stato USA.

“AAH e il suo leader sono “delegati violenti” della Repubblica islamica dell’Iran”, ha dichiarato il segretario di Stato Mike Pompeo, aggiungendo che “agendo per conto dei loro padroni a Teheran, usano la violenza e il terrore per promuovere gli sforzi del regime iraniano per minare la sovranità irachena “.

“Queste designazioni cercano di negare ad AAH e alla sua leadership le risorse per pianificare e realizzare attacchi terroristici. Tra le altre conseguenze delle designazioni, tutte le proprietà e gli interessi di AAH e dei fratelli Al-Khazali che si trovano negli Stati Uniti o che provengono dagli Stati Uniti o che rientrano nel possesso o controllo delle persone statunitensi, sono bloccati e le persone statunitensi è generalmente vietato intraprendere qualsiasi transazione con loro. Inoltre, in quanto FTO designato, è un crimine federale fornire consapevolmente, o tentare o cospirare per fornire supporto materiale o risorse ad AAH ”, ha affermato il Dipartimento di Stato.

AAH è una potente fazione all’interno delle Unità di mobilitazione popolari (Hashd Al-Sha’abi), che hanno avuto un ruolo importante nella sconfitta dello Stato Islamico (ISIS / ISIL / IS / Daesh) in Iraq.

I principali comandanti israeliani si sono incontrati per discutere dell’assassinio di Soleimani

Le fotografie mostrano il Ministro della Difesa israeliano Naftali Bennett e il Capo della Difesa israeliana Forces Aviv Kochavi che si incontrano con alti funzionari della sicurezza per valutare la situazione. Ai membri del gabinetto di sicurezza è stato ordinato dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu di non rilasciare commenti pubblici sull’evento.

Le autorità di difesa israeliane e i leader dell’esercito nazionale hanno tenuto una riunione di sicurezza a Tel Aviv venerdì dopo che il principale generale iraniano Qasss Force Qassem Soleimani è stato ucciso in un attacco aereo americano all’aeroporto internazionale di Bagdad.

All’inizio della giornata, Netanyahu interruppe la sua visita in Grecia e tornò in Israele appena saputo dell’agguato. Il Premier israeliano ha elogiato la mossa militare degli Stati Uniti e ha dichiarato che il suo paese “sta con gli Stati Uniti nella loro giusta lotta”.

Il Pentagono ha rilasciato una dichiarazione in cui si conferma che gli Stati Uniti hanno effettuato l’attacco aereo per ordine del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, definendolo una “decisiva azione difensiva per proteggere il personale degli Stati Uniti all’estero”.

Israele dichiara di avere attaccato 54 obiettivi in Siria durante la campagna del 2019.

Il sito web ufficiale del ministero ha dichiarato che le forze di difesa israeliane hanno attaccato circa 54 bersagli all’interno del territorio siriano durante la campagna del 2019.

I missili che hanno colpito il comando iraniano di Damasco furono lanciati dallo spazio aereo libanese.

Allo stesso tempo, hanno detto di aver salutato il 2019 distruggendo sei tunnel appartenenti a Hezbollah. Questa operazione è stata effettuata lungo il confine libanese-israeliano ed è durata per quasi un mese.

Le statistiche della difesa israeliana hanno mostrato che l’esercito ha attaccato circa 51 obiettivi in Cisgiordania, un numero basso rispetto all’anno precedente 2018.

La dichiarazione diceva che l’esercito israeliano ha attaccato 900 obbiettivi nella Striscia di Gaza e che i suoi aerei da guerra effettuarono 1.800 raid su tutti i fronti, mentre gli elicotteri militari effettuarono 600 raid.

La dichiarazione della difesa israeliana ha aggiunto che l’esercito israeliano ha partecipato a diverse esercitazioni congiunte con altri eserciti durante l’anno passato, una era nello stato dell’Alaska.

2788.- Hashd Al-Shaabi, Hezbollah: alleate dell’Iran in Iraq e in Libano

Il ruolo “essenziale” dell’Iran, Hezbollah in Iraq.

Hashd al-Shaabi rivela il ruolo “essenziale” dell’Iran, Hezbollah in Iraq. Abu Mahdi al-Muhandis, il vice comandante dell’Hashd al-Shaabi appoggiato dall’Iran, noto anche come Popular Mobilization Forces (PMF), ha dichiarato che dalla creazione del PMF, l’Iran aveva aperto il suo tesoro a sostegno del gruppo della milizia.

Il capo del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamico iraniano (IRGC) Qasem Soleimani (a sinistra) visto in questa immagine senza data con due leader delle forze di mobilitazione popolare irachena (PMF) Hadi Ameri (al centro) e Abu Mahdi Mohandes. (Foto: archivio)

Ha detto Abu Mahdi al-Muhandis: “Nell’Hashd al-Shaabi, siamo stati in grado di addestrare migliaia di combattenti su diverse armi e diverse unità militari, creando un sistema militare e di sicurezza integrato che si integra giorno dopo giorno”.

Discutendo dei risultati raggiunti dal PMF durante la guerra contro lo Stato islamico (IS), Muhandis ha osservato che “sono stati in grado di formare un centro di comando generale [per lo Hashd al-Shaabi] che è equivalente a quelli dei ministeri della difesa e degli interni [in Iraq].”
“Il sostegno della Repubblica islamica [dell’Iran] è stato essenziale e la gioventù di Hezbollah ha avuto un ruolo essenziale nella formazione, pianificazione e supporto [delle fazioni del PMF]”, ha aggiunto Muhandis.

La protezione del confine siriano viene svolta dall’Iraq in coordinamento con Hashd Al-Shaabi

Le unità popolari di mobilitazione dell’Iraq (Hashd Al-Sha’abi) stanno svolgendo un ruolo fondamentale nel garantire il vasto confine del paese con la Siria, ha detto il ministero della Difesa iracheno in una nota mercoledì.

Membri delle unità di mobilitazione popolare irachena (Hashd al-Sha’abi) in una strada nella città di Hatra a sud-ovest della città settentrionale di Mosul, Iraq, 28 aprile 2017.

“La protezione del confine siriano viene assicurata in coordinamento con le Unità di mobilitazione popolare”, ha dichiarato il Ministero della Difesa.

Le Unità di mobilitazione popolari hanno dimostrato di essere una delle forze più efficaci contro lo Stato islamico (ISIS / ISIL / IS / Daesh), in quanto hanno aiutato l’esercito iracheno a liberare le aree precedentemente occupate dal gruppo terroristico.

Fin dalla sconfitta dello Stato Islamico, le Unità di mobilitazione popolare hanno continuato a svolgere operazioni in tutto il paese nel tentativo di eliminare le celle dormienti del gruppo terroristico.

In particolare, le Unità di mobilitazione popolari sono state incredibilmente utili lungo il confine siriano, dove le loro forze ostacolano sistematicamente i tentativi di infiltrazione del gruppo terroristico.

Al-Hashd al-Shaabi e Hezbollah: alleate in Iraq e in Libano con il supporto dell’Iran.

Le Forze di mobilitazione popolare sono milizie paramilitari formate dall’Iran al fine di sostenere l’Iraq nella guerra contro lo Stato Islamico. 

Gli alleati regionali dell’Iran hanno attaccato violentemente i manifestanti chiedendo un cambiamento politico nei loro paesi. Ma dove finiscono gli interessi dell’Iran e iniziano le preoccupazioni interne dei loro alleati?
Potrebbero esserci molte cose che uniscono le recenti proteste in Libano e in Iraq – un rifiuto dei sistemi confessionali imposti dal governo, un’insolita unità intersettoriale, rimostranze contro un’élite politica corrotta percepita – ma ora, le influenze regionali condivise minacciano di far deragliare le richieste di manifestanti in entrambi i paesi.
Sia l’Iran che gli Stati Uniti hanno entrambi trascorso importanti energie strategiche nella costruzione di reti di alleati con gruppi politici e fazioni armate in Iraq e in Libano. Mentre alcuni di quelli simpatetici con l’Iran sostengono che le proteste vengono utilizzate dai suoi nemici per minare Teheran, la violenza perpetrata dagli alleati iraniani in entrambi i paesi suggerisce che Teheran teme di perdere la propria influenza di fronte alle richieste dei manifestanti.
Il Libano ha bisogno di qualcosa di più di una semplice protesta e indignazione
Dopo aver inizialmente appoggiato le manifestazioni, i sostenitori degli Hezbollah collegati all’Iran da allora hanno picchiato i manifestanti in Libano. Le Unità di mobilitazione popolare irachena (PMU) o al-Hashd al-Shaabi, le cui principali fazioni sono strettamente associate all’Iran, sono ampiamente sospettate di dispiegare cecchini e percosse per reprimere le proteste in Iraq, in cui sono morte almeno 250 persone.
In che misura questi gruppi operano in base ai propri interessi domestici o come delegati iraniani?
Chi sono gli Hashd al-Shaabi?
Formata in risposta a una fatwa sciita che chiede resistenza contro la minaccia dello “Stato islamico” (IS) nel 2014, al-Hashd al-Shaabi è un gruppo di oltre 40 milizie con varie alleanze.
Gli sciiti iracheni formano la maggior parte dei ranghi di al-Hashd al-Shaabi e i più potenti, tra cui Kataeb Hezbollah (indipendente dal Libano), Asaib Ahl al-Haq e l’Organizzazione Badr, hanno una lunga storia con l’Iran. Mentre l’Iranian Guardary Guard Corps (IRGC) ha armato, finanziato e addestrato questi gruppi mentre combattevano contro gli Stati Uniti dopo l’invasione del 2003, i loro rispettivi leader hanno anche stretti legami con il generale Qassem Soleimani, capo della forza d’élite iraniana Quds.
Con tra i 60.000 e i 150.000 combattenti, il gruppo ha contribuito a sconfiggere l’IS in Iraq nella guerra 2014-2017. Si dice che molte delle milizie si autosostengano attraverso i pagamenti del governo iracheno e le proprie fonti economiche informali.
Il governo iracheno ha tentato di portare al-Hashd al-Shaabi nelle forze regolari ma c’è stata una forte resistenza alla mossa, con molti non disposti a cedere il loro nuovo potere allo stato. Sono rappresentati in parlamento dall’alleanza di Fatah e hanno sostenuto il Primo Ministro Abdel Mahdi, nonostante le richieste dei manifestanti per le sue dimissioni.
Che cos’è Hezbollah?
Hezbollah in Libano è un partito politico con una milizia affiliata che ha goduto del sostegno leale dalla sua base sciita, ma anche da altri quartieri in Libano, in gran parte per il suo ruolo nel forzare il ritiro di Israele dal Libano meridionale nel 2000.
Libanon Beirut Sheik Hassan Nasrallah (picture-alliance / dpa)

Hezbollah, organizzazione paramilitaria sostenuta del libano

Ascesa di Hezbollah


Hezbollah, o Partito di Dio, è stato concepito dai religiosi musulmani negli anni ’80 in risposta all’invasione israeliana del Libano meridionale nel 1982. Il gruppo sciita ha un’ala politica e militare.
Costituito con il sostegno di fondi iraniani e la formazione dell’IRGC durante la guerra civile libanese, il gruppo è ora uno dei principali registi della politica libanese con alleanze con il presidente Michel Aoun e il presidente della Camera Nabih Berri.
Hezbollah è intervenuto nella guerra siriana insieme alle forze dell’IRGC Quds per salvare il regime del presidente siriano Bashar al-Assad mentre allo stesso tempo ha lavorato con l’Iran per costruire una base di potere in Siria parallela allo stato.
A causa delle sanzioni statunitensi, di una relazione apertamente ostile con Israele e del suo status non statale, l’ala militare di Hezbollah è altamente riservata ma stimata più forte dell’esercito libanese ed efficace nella guerra ibrida.
Quali sono i loro programmi nelle proteste?
Mentre l’avvertimento di Nasrallah che il paese rischiava di scivolare nel “caos” era visto da alcuni come un tentativo di minare le proteste, Hezbollah poteva anche trarre vantaggio dal nuovo sistema radicale che molti manifestanti chiedono. In base a un sistema di rappresentanza proporzionale, la crescente base sciita del partito avrebbe abbastanza voti per gli uffici superiori rispetto a quanto consentito dalle norme attuali, che richiedono che il presidente sia cristiano, il primo ministro sunnita e l’oratore sciita di casa.
Ma un tale spostamento ridefinirebbe radicalmente il Libano e sarebbe ferocemente resistito dai gruppi cristiani che stanno per perdere, portando probabilmente a anni di turbolenze politiche. Un potenziale vuoto di potere creerebbe incertezza per Hezbollah e per l’Iran. La guerra per procura di Teheran con Israele si basa fortemente sulla forza strategica di Hezbollah.
La posizione di Hezbollah è stata precaria. Combattuto tra la perdita di sostegno popolare da parte dei manifestanti che chiedono un governo completamente nuovo con lo slogan “tutti significano tutti

Le Forze di mobilitazione popolare sono state formate dall’Iran

Le Forze di mobilitazione popolare sono un’organizzazione para-statale, composta principalmente da musulmani sciiti, anche se sono presenti nel gruppo sunniti, cristiani e yazidi. L’organizzazione, che viene sostenuta e addestrata dall’Iran, si è formata nel giugno 2014, in seguito all’emissione di una fatwa dell’ayatollah iracheno Ali Al-Sistani, che chiedeva la mobilitazione nazionale contro lo Stato Islamico.

Secondo quanto previsto dal decreto, emanato giovedì 8 marzo, i soldati delle Forze di mobilitazione popolare godranno degli stessi diritti dei membri dell’esercito nazionale, che sono sotto il controllo del Ministero della Difesa iracheno, avranno gli stessi salari, hanno accesso agli istituti e ai collegi militari e saranno sottoposti alle leggi che regolano il servizio militare.

Le Forze di mobilitazione popolare sono sempre state oggetto di discussione, soprattutto da parte degli Stati Uniti, dal momento che si tratta di milizie prevalentemente sciite, formate dall’Iran al fine di sostenere l’Iraq nella guerra contro lo Stato Islamico. 

Questi soldati, acerrimi nemici di Daesh, sono in gran parte sciiti iracheni e formano un gruppo di oltre 40 milizie con varie alleanze.. Non appartengono all’esercito iracheno, ma alla Milizia della Mobilitazione Popolare o al-Hashd al-Shaabi.

Secondo l’ala ufficiale dei media di Hashd Al-Sha’abi, le loro forze hanno ingaggiato un contingente terrorista dello Stato Islamico dopo che quest’ultimo era stato catturato e stava cercando di sgattaiolare attraverso il deserto di Al-Khodor a sud di Mosul.

#مباشر

مشاهد من الاشتباكات الجارية حالياً بين قوات #الحشد_الشعبي ومجموعة من عناصر #داعش تحاول التسلل عبر صحراء #الحضر جنوب #الموصل

استمعوا الى نداء الابطال ، ولاتنسوهم من الدعاء #العراق #نينوى

2756.- L’ATTACCO A DAMASCO, TIRANDO LE SOMME E IL CORPO NAVALE ISRAELIANO.

L’attacco del corpo navale israeliano ha causato gravi danni alle difese aeree dell’Iran e della Siria a Damasco: rapporto

2019-11-24

La Siria sta combattendo da sola contro l’esercito più forte della NATO, la Turchia, combatte contro l’Isis e deve difendersi da Israele. La Russia non sta aiutando molto le forze governative siriane per paura di perdere l’amicizia con Erdogan.

L’attacco delle forze di difesa israeliane (IDF) a Damasco Sud degli scorsi giorni ha causato gravi danni alle difese aeree dell’esercito arabo-siriano poste intorno alla capitale e ad una caserma e ad un centro di comando e controllo iraniani, secondo quanto riferito da un nuovo rapporto.

Secondo l’account Twitter di Within Syria Blog, l’attacco israeliano è riuscito a distruggere sei unità della difesa aerea.

  • Due civili, marito e moglie, furono anche uccisi e le loro due bambine ferite nella loro casa nella città di Bait Sabre a Sud di Damasco:
    Ayoub Safadi
    Nadia Subh
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Within Syria@WithinSyriaBlog

Il ZSU-23-4 Shilka è un semovente antiaereo entrato in linea nell’Armata rossa fin dai tardi anni sessanta, ed è un veicolo puramente contraereo, efficace, a breve distanza, persino contro aerei da combattimento ad elevatissime prestazioni. L’acronimo “ZSU” sta per Zenitnaya Samokhodnaya Ustanovka.

Il SAA ha perso sei sistemi antiaerei del suo equipaggiamento in totale, tra cui uno ZSU-23-4, cannone semovente quadrinato da 23 mm, un Shilka SPAAG. La maggior parte delle perdite si è verificata nel Sud di Damasco. Dalla pubblicazione russa Avia.Pro sappiamo anche che la distruzione di questi sistemi di difesa aerea è stata probabilmente dovuta all’attacco con missili da crociera dalle navi Saar. Il Corpo navale israeliano ha recentemente aggiornato le sue navi con nuovi sistemi di rilevamento e di cyberwar.

Israele ha anche esteso, unilateralmente, la sua zona economia esclusiva (Zee) fino a 150 miglia nautiche dalla costa. Un’estensione non riconosciuta a livello internazionale, ma che di fatto assegna al Corpo navale delle Forze di Difesa (in ebraico: חיל הים הישראלי‎, Heil HaYam HaYisraeli) una notevole quantità di territorio da proteggere. L’estensione della Zee è mirata al controllo dei giacimenti di gas. Per Israele, un modo per incrementare la sua economia e il suo ruolo geopolitico. Così, le piattaforme off-shore e le trivellazioni sono diventate il centro della strategia navale israeliana, motivo di contesa con il Libano e un obbiettivo per Hezbollah e per Hamas.

Il governo israeliano ha definiti come “un atto di guerra” l’esplorazione nei giacimenti presente nelle acque  territoriali del Libano disputate. Per Beirut sono acque sovrane. Per Israele sono acque contese. Le trivellazioni sono state considerate dal ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, una provocazione. In Libano, l’opposizione alle parole israeliane è stata netta, sia da parte di Hezbollah che da parte del governo di Saad Hariri

Hezbollah ha minacciato più volte di colpire le piattaforme come rappresaglia. E l’arsenale missilistico del movimento sciita può effettivamente raggiungere gli obiettivi. E la guerra latente fra Iran e Israele è certamente un fattore di aumento del rischio.

Colpire il cuore dell’energia israeliana, che potrebbe in futuro fornire il 75% del fabbisogno di gas del Paese, potrebbe essere un obiettivo fondamentale. E la guerra in Siria, con i continui attacchi di Israele alle forze sciite libanesi, ha acuito notevolmente lo scontro. 

La Marina israeliana sta assumendo un ruolo rilevante e nelle sue esercitazioni è previsto l’attacco da parte di un drone diretto su una piattaforma di gas e provare a intercettarlo con il sistema di difesa aerea Barak-8, una volta identificato dai sistemi navali..

La INS Hetz, corvetta israeliana classe Sa’ar 4.5. Nella versione 4.5., sono armate con  i missili Harpoon, presenti con un lanciatore quadruplo o due binati, assieme a 4 più economici Gabriel Mk II. 

“Non permetteremo all’Iran di trincerarsi in Siria”, questo il commento del Primo Ministro di Israele Benjamin Netanyahu poche ore dopo il bombardamento avvenuto a Damasco, che, tuttavia, non ha citato, Come diverse fonti hanno sottolineato sull’attacco notturno, gli israeliani hanno distrutto sei sistemi di difesa aerea con missili da crociera Delilah, inoltre, risulta che fra i sistemi distrutti debba esserci un Pantsir-S, non si sa bene se siriano o iraniano, che, a sua volta, aveva abbattuto alcuni dei missili attaccanti.

Una unità Pantsir-S1 ( NATO SA-22 Greyhound ) fa parte anche della difesa aerea delle basi russe in Siria.

Questo estemporaneo bombardamento, “a tradimento”, testimonia, da un lato, la volontà israeliana di non volere dichiarare guerra alla Siria, dall’altro, di non tollerare una forte presenza militare iraniana a pochi passi da Israel. Lo dimostrano sia la scelta fra gli obbiettivi di di questo attacco di un centro di comando e controllo iraniano, complesso, nei pressi dell’aeroporto di Damasco Sud sia il contrasto stesso, attuato dalle forze iraniane e Hezbollah. Evidentemente, in cambio del supporto ricevuto per la vittoria sullo Stato islamico, Bashar al-Assad ha dovuto lasciare mano libera all’Iran per operare in maniera autonoma sul territorio della Repubblica Araba di Siria. Sappiamo, ora, che una parte del sistema di difesa aereo della Siria non è più sotto il controllo del governo di Al-Assad, come non lo sono le batterie dei missili S-300PM 2 e S-400. Una buona ragione a favore delle trattative in corso per la fornitura gratuita alla Siria del sistema missilistico antiaereo cinese HQ-22 o HQ-9, ma anche uno spunto di riflessione sullo stato della sovranità siriana. Il motivo dei negoziati è l’impossibilità di utilizzare l’S-300 russo, poiché quest’ultimo è controllato dall’esercito russo, tuttavia, ci sono altri motivi, in particolare, Damasco intenderebbe distribuire il sistema cinese in tutta la Siria, coprendo così completamente lo spazio aereo sopra il territorio del paese .

Il Delilah israeliano è un missile subsonico con testata ad alto esplosivo di media potenza, circa 85 kg. Viene impiegato per bombardamenti di precisione ed ha un raggio d’azione di 300 km.

l’Iran sta edificando in terra siriana, anche grazie alle risorse economiche liberate grazie all’accordo sul programma atomico di Teheran, una serie di installazioni militari. Tra esse citiamo una fabbrica per missili balistici, ed un paio di caserme/centri di comando nelle zona orientale e meridionale di Damasco.
Una di queste caserme, con annesso centro di coordinamento militare, è stata colpita la notte scorsa da un raid aereo israeliano.  Comunque e benché in circostanze sconosciute, un missile da crociera ha distrutto un quadrinato semovente Shilka”, ha continuato Avia.Pro.

L’HQ-9 è un missile terra-aria con radar attivo a medio-lungo raggio: 300 km. Simile per capacità ai sistemi russi S-300 e American Patriot, l’HQ-9 utilizza un sistema radar PESA HT-233. I sistemi missilistici antiaerei cinesi sono HQ-9, HQ-12, HQ-22 e HQ-6.

Il blog di Inside Syria afferma che le notizie sulle vittime iraniane e di Hezbollah erano errate, aggiungendo – forse, per il buon per la pace – che non vi erano vittime tra le loro forze.

Questa affermazione è stata confermata dall’esercito siriano, che ha affermato di non aver sentito parlare di vittime di altra nazionalità durante l’attacco israeliano alle loro posizioni nel settore Sud di Damasco.

Da Beirut, una fonte qualificata dell’esercito ha anche detto che, martedì notte, una delle loro basi, un deposito di missili della difesa aerea, è stato colpito dalle forze di difesa israeliane. L’esplosione si è udita in tutta Damasco.

2740.-“Fatti gli affari tuoi”: i manifestanti libanesi bruciano bandiere americane e israeliane di fronte alla ambasciata americana

2019-11-25

Diverse dozzine di cittadini libanesi hanno protestato durante il fine settimana vicino all’ambasciata degli Stati Uniti nella capitale di Beirut per esprimere il loro malcontento per ciò che chiamano intervento americano negli affari interni del Libano.

I manifestanti sono stati visti bruciare bandiere statunitensi e israeliane davanti all’ambasciata.

In Libano, in Giordania, in Iran, ma anche a Torino, i manifestanti sono stati visti bruciare bandiere statunitensi e israeliane davanti all’ambasciata USA.

​I dimostranti sono stati anche visti portare cartelli con la scritta “USA, fatti gli affari tuoi” o “Stai zitto, [Ambasciatore degli Stati Uniti in Libano Jeffrey D.] Feltmann (sic)”. Uno dei manifestanti ha incendiato una foto del presidente Trump.

Kassem Tarshahani @KassemTar

In risposta all’incontro del Congresso degli Stati Uniti sul Libano e alle ultime dichiarazioni dell’ambasciatore americano Jeffrey Filtman, gruppi di manifestanti a Saida e Beirut bruciano bandiere statunitensi e israeliane. Richieste di proteste davanti all’Ambasciata degli Stati Uniti #LebanonProtests # لبنان_ينتفض 2728: 43 AM – 23 Nov 2019 Info su Twitter e privacy

​Il popolo libanese è sceso in strada sulla scia dei commenti dell’ambasciatore americano in Libano Jeffrey Feltman, secondo cui le turbolenze nel paese mediorientale sono in linea con gli interessi americani.

الأستخبارات الروسية@Counselkremlin

تظاهرات أمام السفارة الأمريكية في بيروت ..
:
رفضاً للابتزاز الامريكي.. وللاملاءات السياسية الخارجية.. ورفضا للعقوبات الإقتصادية
:
وتم حرق العلم الأمريكي والإسرائيلي وصورة ترامب .. ورفع العلم الفلسطيني
:

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Le manifestazioni, in Libano, sono in corso da ottobre, scatenate dal piano delle autorità di introdurre una tassa sulle chiamate online effettuate tramite il messenger WhatsApp, che è stata successivamente cancellata.

Tuttavia, le proteste, ora, sono limitate in inviti a porre fine alla corruzione e alla cattiva gestione da parte dell’élite politica. Le rivolte hanno visto le dimissioni del Primo Ministro Saad Hariri il 29 ottobre.

Immagini relative a bruciate bandiere statunitensi e israeliane davanti all’ambasciata. USA

2684.- Bisogno di rivoluzione? Chiamate Otpor


IRAK E LIBANO: LO ZAMPINO VISIBILE DIETRO LE RIVOLTEdi Maurizio Blondet

Le incessanti manifestazioni di piazza per il carovita, che  avvengono simultaneamente in Libano e in Irak,   per il grande giornalista Elija Magner (che vive in Libano) non sono spontanee:

Sono  “primavere  colorate”   fatte per colpire “l’Asse della Resistenza” (Iran-Hezbollah)  e destabilizzare i due paesi.  “Usa e Arabia Saudita hanno perso in Siria, ma adesso continuano la loro  la loro battaglia su altri teatri”.

Ci sono  ragioni legittime per le  proteste. In Irak, la maggioranza della popolazione  ha meno di 20  anni  e ha bisogno di posti di lavoro, che lo stato devastato e corrotto non sa certo dare. In Libano,  il malcontento è stato decisamente aumentato dalle  sanzioni che gli USA  hanno imposto alle banche libanesi che  loro accusano di sostenere Hezbollah – il solito gioco US-raeliano e saudita per schiacciare l’Iran e i suoi alleati  – ed ulteriormente aggravato dalla chiusura di tutte le banche, per volontà di una banca centrale agli ordini di Ryad, e che sta durando da due settimane: con la gente a corto di contanti, e  la prospettiva  sicura  che alla riapertura si produca un assalto agli sportelli di  tutti per ritirare i  loro conti in dollari, perché  la società  libanese è “dollarizzata”.

Però lo zampino degli stranieri si vede.  Nelle assemblee dei manifestanti domina   tale Robert Gallagher – che accende gli animi proponendo ai rivoltosi di creare  “Un governo parallelo” – il quale è un ex impiegato dell’ambasciata USA, oggi  direttore di un think tank  chiamato “Eudemian Institute.  Il quale  un’organizzazione fondata dallo stesso Gallagher, David Konstan (j) e Spencer Pack (j), che sono  professori con sede a New York. Pack, un economista, è un ebreo americano pro-“Israele”, anti-BDS, che ha scritto numerose pubblicazioni a favore delle politiche fiscali neoliberiste, del capitalismo  –  insomma un tipico neocon.

Bisogno di rivoluzione? Chiamate Otpor

“Otpor” è  il gruppo “spontaneo” che organizzò  con perfezione geometrica le manifestazioni di  strada a Belgrado e in Serbia per far cadere Milosevic . Poi, visto il successo, è diventato una specie di compagnia di giro   che potete noleggiare se avete bisogno di   suscitare una “primavera  colorata”. Le manifestazioni che organizzano portano il simbolo del pugno chiuso.
Allora  – era il 2000 – i giovani di Belgrado erano istruiti da corsi intensivi sui metodi di “lotta non-violenta” da un colonnello americano in pensione, Robert Helvy, che abitava  all’Hilton di Belgrado.  E  che anni dopo, in una intervista, raccontò come  fosse stato mandato lì, stipendiato, dallo International Republican Institute  di Washington, una emanazione del partito repubblicano USa e ovviamente, della  Cia. I  In seguito, gli esperti di  Otpor  sono andati a prestare i loro servizi in posti come Georgia e Ucraina e Bielorussia

I vecchi militanti del movimento Otpor (“Resistenza”), tra gli artefici della caduta del regime di Slobodan Milosevic, sono diventati degli esperti internazionali in rivoluzioni. I casi di Georgia e Ucraina in questo articolo del quotidiano belgradese Politika

Di Aleksandar Apostolovski.Traduzione dal francese: Carlo Dall’Asta

I nomi di Aleksandar Maric e di Stanko Lazendic non dicono granché all’opinione pubblica serba. Ma per Leonid Kouchma e Alexander Lukaschenko, i presidenti dell’Ucraina e della Bielorussia, essi sono gli “istigatori di un colpo di stato” e dei “pericoli pubblici”.

Così erano visti anche dal regime di Slobodan Milosevic, con degli aggettivi supplementari: “agenti stranieri e traditori della patria”.

Anche se il movimento Otpor ufficialmente non esiste più, anche se non è più registrato come partito politico, sembra che il suo alito minacci tuttora i regimi che l’amministrazione americana considera “non democratici”. Aleksandar Maric e Stanko Lazendic sono due amici, vecchi militanti delle ONG serbe che hanno giocato un ruolo essenziale nella rivoluzione del 5 ottobre 2000.

Durante la “rivoluzione delle rose” in Georgia, che ha cacciato il presidente Eduard Shevarnadze, in molti hanno imparato le “ricette” rivoluzionarie dell’Otpor. L’Ucraina e la vecchia volpe Leonid Kouchma si trovano ormai sulla lista?

Maric espulso dall’Ucraina

Aleksandar Maric, membro del movimento Otpor e collaboratore dell’ONG americana Freedom House in Ucraina, è stato respinto martedì sera, senza spiegazioni, all’aeroporto di Kiev, ha comunicato l’Agenzia France Presse.

L’AFP aggiunge che membri del movimento serbo Otpor soggiornano già da qualche mese in Ucraina, assicurando la formazione di giovani militanti per l’azione non violenta, nel caso si verificassero brogli durante le elezioni presidenziali, convocate per il 31 ottobre.

Stanko Lazendic ha confermato a Politika che il suo compagno Aleksandar Maric non ha potuto lasciare l’areoporto, anche se i suoi documenti erano tutti in regola.

Lazendic, Maric e uno dei dirigenti carismatici dell’Otpor, Ivan Marovic, hanno fondato l’ONG “Centro per la resistenza non violenta” e non sono confluiti nel Partito Democratico (DS), dopo l’accordo intervenuto tra quest’ultimo e il partito politico che l’Otpor aveva cercato di creare.

Il loro curriculum vitae professionale presenta comunque delle strane specializzazioni: addestramento al colpo di stato, gestione delle rivoluzioni.

Stanko Lazendic, che ha soggiornato in Ucraina insieme ad Aleksandar Maric, spiega che “allorché l’Otpor ha rovesciato Milosevic ed è divenuto celebre nel mondo intero, ci hanno contattato organizzazioni di tutti i paesi dell’Europa dell’est. Come formatori dell’Otpor, noi abbiamo partecipato a numerosissimi seminari. A titolo individuale. Io sono andato in Bosnia e in Ucraina, Maric è stato in Georgia e in Bielorussia. Per quanto concerne l’Ucraina, noi siamo coinvolti da un anno, e giriamo con alcune organizzazioni non governative il cui scopo è quello di mostrare agli Ucraini cosa significa il regime di Leonid Kouchma. Noi gli abbiamo insegnato a condurre delle campagne, senza raccomandazioni precise su cosa essi dovessero fare.”

Aleksandar Maric ha soggiornato in Ucraina, quando il movimento Kmara, uno dei principali attori della caduta di Shevarnadze e dell’arrivo al potere di Sakashvili, sventolava le sue bandiere in ogni strada di Tbilisi. La missione di Maric era quella di formare i giovani Georgiani all’azione nonviolenta.

“Nella concezione dei dittatori, la nostra azione è inconsueta. Essi non sono abituati a combattimenti dove i giovani usano l’ironia come arma. Di colpo, ci tacciano tutti di essere organizzazioni violente, paramilitari,” spiega Stanko Lazendic.

L’ombra della Cia

I militanti dell’Otpor vorrebbero dimenticare il nome di Robert Helvy? Questo colonnello americano in pensione ha tenuto all’inizio del 2000, presso l’hotel Hilton di Budapest, dei corsi intensivi sui metodi di combattimento nonviolento ai membri serbi dell’Otpor.

Helvy ha ammesso una volta di fronte ai media serbi di essere stato convocato da rappresentanti dell’Istituto internazionale repubblicano (IRI) a Washington, che gli hanno spiegato che lavoravano con dei giovani in Serbia, e che sarebbe stato interessante se lui li avesse formati nelle tecniche di resistenza nonviolenta, cosa che avrebbe permesso loro di raggiungere i propri scopi. 

Avrebbe dovuto addestrare i giovani di Otpor alla grande battaglia che li attendeva. Come ha rilevato il Washington Post, i servizi di polizia di frontiera serba hanno all’epoca rilevato che un sorprendente numero di giovani andava a visitare il monastero serbo di Sent Andrej, in Ungheria. La loro effettiva destinazione era naturalmente l’hotel Hilton sulle rive del Danubio a Budapest.

Stanko Lazendic riconosce che il colonnello Helvy ha partecipato ai seminari. “Ma quando noi siamo andati laggiù, non abbiamo mai pensato che potesse lavorare per la CIA. Quello che lui ci ha insegnato, noi ora lo insegniamo ad altri. Come creare un movimento d’opinione contro il regime attraverso il materiale di propaganda o le manifestazioni di piazza. Ora si dirà sicuramente in Ucraina e in Bielorussia che tutto ciò è messo in piedi da agenti della CIA. I servizi segreti ucraini sono al corrente dei seminari da noi tenuti, perché i media ne hanno ulteriormente rivelato i contenuti. Nei media di Stato Maric ed io siamo presentati come gli ispiratori di un colpo di stato. Viene spiegato che noi abbiamo il nostro centro direzionale in Georgia e che io sono il capo dei formatori inviati laggiù.”

L’ONG americana Freedom House ha assunto Lazendic e Maric come consiglieri speciali per i movimenti giovanili in Ucraina. Lo scopo ufficiale? Lo sviluppo della società civile.