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6165.- La strategia delle atrocità nella guerra di Gaza

Michael Hochberg e Leonard Hochberg, in questo articolo pubblicato da Gatestone institute e da noi tradotto liberamente, sostengono che l’umanità che distingue il combattente cristiano dalla bestia feroce, avrebbe lasciato il campo all’atrocità. Preferirei una nuova Nurnberg. Riflettiamo.

Da Gatestone Institute, di Michael Hochberg e Leonard Hochberg, 18

Hamas è forse il primo regime nella storia a combattere una guerra progettata per massimizzare le vittime tra la propria popolazione.

Il fallimento nel distruggere rapidamente Hamas e nel punire direttamente i suoi sostenitori in Iran e Qatar insegnerà ai simpatizzanti di altre parti del mondo musulmano che le strategie di atrocità dovrebbero essere aggiunte al programma dei regimi che sfidano gli alleati degli Stati Uniti in tutto il mondo. Ancora peggio sarebbe che Hamas ottenesse effettivamente una vittoria strategica e ottenesse uno stato palestinese; un simile risultato garantirebbe che l’atrocità diventi una strategia standard e ampiamente utilizzata per almeno una generazione a venire.

Le leggi di guerra – principalmente un’innovazione occidentale – vengono utilizzate come armi dai nemici dell’Occidente, che non aderiscono alla cultura occidentale… Oggi, gli Stati Uniti e i nostri alleati si trovano in guerra con stati e non -entità statali che non sottoscrivono le leggi di guerra.

“[I] terroristi di Hamas uccisi da Israele nella guerra che ne seguì, e civili non combattenti uccisi nella Striscia di Gaza mentre venivano usati come scudi umani da Hamas. Sono tutti considerati” Martiri “le cui famiglie hanno diritto a ricevere uno stipendio di 1.400 -12.000 shekel [$375-$3200] al mese per tutta la vita.” — Itamar Marco; Fondatore, Palestine Media Watch, palwatch.org, 10 gennaio 2024.

L’accusa popolare di sproporzionalità è, in realtà, mirata a impedire alle nazioni allineate all’Occidente di ottenere vittorie decisive. Anche quando gli alleati degli Stati Uniti avranno la capacità militare di spezzare la volontà del nemico, imponendo così la pace agli sconfitti, saranno costretti a ricorrere a guerre eterne.

Perché gli israeliani dovrebbero essere costretti a concedere aiuti a Gaza, quando Hamas continua a tenere in ostaggio non solo gli israeliani ma anche gli americani? Con il pretesto di benevolenza e generosità, le organizzazioni internazionali promuovono guerre eterne.

Se si permette al tipo di guerra che abbiamo visto da parte di Hamas di avere successo, e non viene accolta con violenza schiacciante e sconfitta totale, diventerà l’approccio standard per coloro che sfidano il dominio occidentale. Se, tuttavia, vogliamo vivere in un mondo in cui le leggi di guerra significano qualcosa, allora le sanzioni per chi le viola deliberatamente devono essere terribili. Altrimenti più regimi saranno tentati di trarre vantaggio attraverso strategie di atrocità.

  • Gli Stati Uniti dovrebbero smettere di imporre ai nostri alleati la dottrina della sconfitta.
  • Infine, il giorno dopo la fine delle ostilità, gli israeliani devono proteggere il nuovo governo di Gaza dall’essere indebolito dai rinnovati sforzi per sostenere il terrorismo e la rimilitarizzazione.
  • L’unica via verso la pace, oltre alla distruzione di Israele, passa attraverso una vittoria globale di Israele e una resa incondizionata di Hamas a Gaza, e un accordo postbellico che garantisca che gli abitanti di Gaza non saranno più in grado di commettere tali atrocità in Israele.
Hamas è forse il primo regime nella storia a combattere una guerra progettata per massimizzare le vittime tra la propria popolazione. Nella foto: il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen mostra una foto di un soldato israeliano in posa accanto a un deposito di armi di Hamas trovato all’ospedale Rantisi di Gaza, in una conferenza stampa presso l’Ufficio europeo delle Nazioni Unite a Ginevra, il 14 novembre 2023 (Foto di Pierre Albouy/AFP tramite Getty Images)

Le persone dovrebbero essere accarezzate o schiacciate. Se fai loro un danno minore, si vendicheranno; ma se li paralizzi non possono fare nulla. Se devi ferire qualcuno, fallo in modo tale da non dover temere la sua vendetta.” — Niccolò Machiavelli.

Immagina per un momento la seguente storia apparsa sul New York Times:

12 ottobre 2023, Gaza City. In un impeto di rabbia, la popolazione di Gaza è scesa in piazza per protestare contro gli attentati del 7 ottobre, che hanno provocato il crollo del governo di Hamas. I resoconti locali sono confusi, ma sembra che diverse centinaia di funzionari di Hamas siano stati uccisi da folle inferocite di cittadini palestinesi. Si dice che i leader sopravvissuti di Hamas stiano fuggendo da Gaza. Sui social media sono stati pubblicati video non verificati di quella che sembra essere la morte raccapricciante di diversi alti funzionari di Hamas.

Ma non è questa la realtà in cui viviamo.

LEZIONI APPRESE DAL 7 OTTOBRE

A parte la distruzione di Israele, non ci sarà nessuno stato palestinese sovrano a Gaza nel prossimo futuro. Ciò non è dovuto a ciò che Hamas ha fatto il 7 ottobre. Questo perché tali azioni sono avvenute con il sostegno e la collaborazione della popolazione di Gaza, migliaia della quale si è riversata oltre confine per saccheggiare, stuprare e prendere ostaggi al seguito dei terroristi.

Sfortunatamente, parlare di Hamas come di un’entità separata dalla popolazione di Gaza è falso e fuorviante. Ogni indicazione, dai sondaggi d’opinione alle azioni tangibili di gran parte della popolazione di Gaza, indica che le azioni di Hamas sono viste in una luce positiva da molti abitanti di Gaza. Per gli Stati Uniti ricompensare queste azioni con statualità, autonomia o fondi per la ricostruzione sarebbe una totale follia.

Ci sono solo due strade verso una pace duratura tra il popolo palestinese e Israele:

La prima è che i palestinesi ottengano una vittoria militare complessiva, che comporterebbe l’immediato stupro, tortura e omicidio di tutti gli israeliani che non riescono a fuggire.

La seconda è che Israele ottenga una vittoria decisiva e la resa incondizionata di Hamas, a quel punto potrà iniziare il lungo processo di ricostruzione della società di Gaza.

La terza alternativa, e l’opzione predefinita – probabilmente sostenuta dal Qatar, il principale negoziatore per il rilascio degli ostaggi ma anche il principale sostenitore di Hamas e di altri gruppi terroristici (qui e qui) – è una guerra eterna in cui nessuna delle due parti può ottenere la vittoria. Hamas continuerà a impiegare mezzi militari asimmetrici, come attacchi terroristici e lancio di missili contro obiettivi civili, per garantire diversi obiettivi:

In primo luogo, ricordare a tutti i palestinesi che Hamas sta assumendo la guida della distruzione di Israele; secondo, sopravvivere come forza militare; terzo, riaccendere il conflitto con Israele quando, in futuro, si presenterà un’apertura strategica; e, quarto, generare conflitti continui e quindi sofferenze per gli abitanti di Gaza, la cui responsabilità può essere trasferita su Israele nei media internazionali e attraverso organismi internazionali, comprese le Nazioni Unite.

UNA GUERRA DI ATROCITÀ

A Gaza stiamo assistendo a un nuovo e innovativo tipo di guerra combattuta: Hamas è forse il primo regime nella storia a combattere una guerra progettata per massimizzare le vittime tra la propria popolazione. Hamas ha creato una circostanza, attraverso il dispiegamento strategico di atrocità, in cui Israele si è trovato di fronte alla scelta di non rispondere o di rispondere con una forza schiacciante. Il primo comporterebbe il collasso del governo israeliano e gli avversari di Israele lo percepirebbero (correttamente) come devastantemente debole, a causa della riluttanza o dell’incapacità di difendersi. Quest’ultima si tradurrebbe inevitabilmente in una condanna internazionale per gli effetti sui non combattenti di Gaza, con false accuse di “sproporzionalità” e presunte violazioni delle leggi di guerra. La strategia atroce di Hamas è allo stesso tempo brillante e malvagia.

Inizialmente, commentatori e politici israeliani hanno notato una somiglianza con le tattiche di atrocità attuate dall’ISIS (lo Stato islamico in Iraq e Siria). Tuttavia, il legame tra Isis e Hamas è molto più profondo di quanto molti credano. Secondo Ofira Seliktar, studiosa dei fallimenti dell’intelligence, l’Isis e Hamas hanno imparato la strategia dagli stessi manuali. Seliktar ha sostenuto che Hamas

“… sviluppò[ndr] una strategia jihadista basata su due famosi libri jihadisti: Uno, Issues in the Jurisprudence of Jihad … noto anche come Jurisprudence of Blood, o la “bibbia jihadista”, forniva una giustificazione teologica per aver inflitto violenza estrema ai nemici, nonché un elenco di tattiche come decapitare, torturare o bruciare vivi i prigionieri. Il secondo libro, Management of Savagery, esortava [gli jihadisti] a commettere atrocità che attiravano l’attenzione per attirare reclute e seminare paura nei cuori del nemico.”

Inoltre, il fatto che Hamas “incorpori” i suoi combattenti tra i civili residenti a Gaza, utilizzando di fatto i palestinesi come scudi umani – un’altra atrocità – è giustificato dai principi della guerra asimmetrica. Secondo Seliktar, la descrizione fornita dai media del rapporto tra Hamas e i residenti è sbagliata

“… si limitava principalmente alla descrizione delle sofferenze…. La dottrina dell’IRGC-QF [Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica Iranica – Forza Quds] dell’uso di scudi umani era basata sul principio coranico della guerra del generale di brigata S. K. Malik. Adattato ai conflitti asimmetrici, stabiliva che l’inserimento tra i non combattenti potesse livellare il campo di gioco quando si affrontavano eserciti occidentali obbligati a seguire le leggi umanitarie della guerra.

GUERRA ASIMMETRICA E LEGGI DI GUERRA

Le leggi di guerra – principalmente un’innovazione occidentale – vengono utilizzate come armi dai nemici dell’Occidente, che non aderiscono alla cultura occidentale. Le leggi di guerra hanno un certo senso quando esiste un consenso culturale tra i potenziali combattenti sull’esistenza di un insieme minimo di standard per la condotta della guerra. Ma senza un terzo sovrano indipendente che possa far rispettare le regole sulle potenze combattenti, tali leggi di guerra saranno valide solo nella misura in cui i leader scelgono di obbedirle e garantire che i loro stessi soldati le rispettino. Quando uno Stato che sottoscrive il concetto di diritti umani e restrizioni militari è in guerra con un’organizzazione che non riconosce tali restrizioni, la bilancia dei vantaggi va alla parte che non riconosce limiti, a meno che non vi sia qualche beneficio esogeno associato all’adesione al concetto di diritti umani e restrizioni militari. leggi di guerra e norme accettate in materia di diritti umani.

Oggi gli Stati Uniti e i nostri alleati si trovano in guerra con stati ed entità non statali che non sottoscrivono le leggi di guerra. Anche se alcuni hanno firmato i relativi trattati, la loro leadership ha dimostrato una profonda mancanza di interesse nel far rispettare le leggi pertinenti riguardanti i propri soldati. Ad esempio, la Russia, durante l’invasione dell’Ucraina, ha commesso una serie infinita di atrocità e crimini di guerra e ha deliberatamente preso di mira i civili. Gli obiettivi russi sembrano includere il terrore della popolazione civile per sottometterla e la cancellazione dell’identità ucraina nelle aree occupate.

Ciò che è ancora peggio è che, in alcuni casi, il nucleo della legittimità dei regimi avversari si fonda su un’agenda che contravviene ai presupposti su cui si fondano le leggi di guerra. L’obiettivo esplicito e dichiarato di Hamas è la distruzione di Israele e la morte di tutti gli ebrei in tutto il mondo (qui, qui e qui).

Hamas, l’ISIS e persino l’Autorità Palestinese (AP) non riconoscono alcuna distinzione significativa tra civili e combattenti, né tra i loro nemici, né all’interno delle loro stesse popolazioni. Come sottolinea Itamar Marcus, fondatore di Palestine Media Watch:

“Ciò che risulta chiaro sia dai nuovi annunci dell’Autorità Palestinese che dalla politica passata è che l’Autorità Palestinese non fa differenza tra i terroristi di Hamas che hanno commesso atrocità dopo aver invaso Israele il 7 ottobre, i terroristi di Hamas uccisi da Israele nella guerra che ne seguì, e i civili non combattenti. uccisi nella Striscia di Gaza mentre venivano usati come scudi umani da Hamas. Sono tutti considerati “martiri” le cui famiglie hanno diritto a ricevere uno stipendio di 1.400-12.000 shekel [$ 375 – $ 3.215] al mese per tutta la vita.”

Questa distinzione tra combattenti e civili è un concetto chiave nella moderna comprensione di ciò che costituisce uno stato-nazione. Quale moderazione è giustificata in una guerra, provocata da un attacco terroristico contro una società liberal-democratica e pluralistica, verso un regime che celebra l’omicidio, lo stupro di massa, il rapimento e ogni immaginabile sapore di ferocia e terrore? La risposta è tragicamente semplice: le leggi di guerra sono state progettate per affrontare i conflitti tra stati che riconoscono una chiara distinzione tra combattenti e civili.

Se a organizzazioni come Hamas fosse permesso di nascondersi “tra la gente” e di ottenere la vittoria violando le regole accettate della guerra civile, allora le regole della guerra civile diventerebbero niente più che un’arma intellettuale schierata contro l’Occidente, impedendo a quest’ultimo di agire. difendendo le sue istituzioni e la sua cultura e, infine, portandolo alla sconfitta.

LA DOTTRINA DELLA PROPORZIONALITÀ

La proporzionalità – uno dei principi chiave delle leggi di guerra – è un termine ampiamente frainteso. Esiste un’intesa popolare e una tecnica, giuridica. Secondo un annuncio disponibile su un sito web di West Point:

“La proporzionalità gioca un ruolo chiave nel diritto internazionale umanitario (DIU). È essenziale per regolare la condotta delle ostilità, richiedendo che il danno accidentale atteso non sia eccessivo rispetto al vantaggio militare previsto….”

Lord Guglielmo Verdirame, in the UK House of Lords, articulated the legal doctrine of proportionality clearly and succinctly:

“Proporzionalità non significa che la forza difensiva debba essere uguale all’attacco. Significa che è possibile usare la forza in modo proporzionato all’obiettivo difensivo: fermare, respingere e prevenire ulteriori attacchi. Gli obiettivi di guerra di Israele sono coerenti con la proporzionalità prevista dalla legge dell’autodeterminazione. -difesa.”

Verdirame suggerisce che la legittimità del vantaggio militare che uno stato cerca di assicurarsi dipende dai suoi obiettivi di guerra mentre si impegna nell’autodifesa. Quali sono gli obiettivi di guerra ufficiali di Israele?

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato, in una recente intervista, che gli obiettivi di guerra di Israele sono: “Uno, distruggere Hamas. Due, liberare gli ostaggi… Tre, garantire che Gaza non costituisca mai più una minaccia per Israele”. Dato che la leadership di Hamas sta già minacciando una serie di ulteriori attacchi (qui e qui), è chiaro che la forza dispiegata finora da Israele non ha ancora consentito loro di raggiungere i loro obiettivi di guerra.

Tuttavia, nell’immaginazione popolare, la dottrina della proporzionalità ha lo scopo di impedire agli Stati di usare una forza schiacciante e di arrecare danni eccessivi ai non combattenti. I media mainstream hanno alimentato l’idea che Israele abbia commesso crimini di guerra uccidendo presumibilmente 30.000 abitanti di Gaza, mentre solo 1.300 persone – israeliane, francesi, americane e cittadini di altri paesi – sono state uccise il 7 ottobre. è fornito da un’agenzia del governo di Gaza gestita da Hamas; e il numero non fa distinzione tra terroristi di Hamas e non combattenti. La stampa popolare sostiene che il numero “sproporzionato” di morti significa che i crimini di guerra devono essere stati commessi da Israele.

Consideriamo il Giappone e la Germania alla fine della seconda guerra mondiale: circa il 6-12% della loro popolazione totale era stata uccisa, e molte di più ferite, prima che fosse raggiunta la resa incondizionata. Al contrario, solo lo 0,32% della popolazione americana è stata uccisa. Una campagna simile oggi comporterebbe un numero di vittime dieci volte superiore a quello riportato a Gaza, forse 300.000 o più.

Questi confronti sollevano il problema della proporzionalità dei risultati, ma c’è un altro problema: la proporzionalità date le diverse capacità militari. Alcuni sostengono che Israele, a causa della sua forza comparativa, ha la responsabilità di attaccare solo Hamas ed evitare danni alla popolazione civile che Hamas usa come scudi umani. Tali affermazioni popolari equivalgono alla dottrina secondo cui una parte lesa in un conflitto, essendo stata accecata da un occhio da un nemico, può cercare solo un danno uguale, “occhio per occhio”. Tale logica non ha alcun fondamento nel diritto internazionale o nel diritto di guerra e produrrebbe risultati assurdi: un omicidio per un omicidio, una mutilazione per una mutilazione, una decapitazione per una decapitazione, uno stupro per uno stupro.

L’effetto immediato di questa dottrina colloquiale della “proporzionalità” definita in modo confuso è quello di delegittimare la guerra di Israele contro Hamas. Ma l’effetto a lungo termine è qualcosa di completamente diverso: l’accusa popolare di sproporzionalità è, in realtà, mirata a impedire alle nazioni allineate all’Occidente di ottenere vittorie decisive. Anche quando gli alleati degli Stati Uniti avranno la capacità militare di spezzare la volontà del nemico, imponendo così la pace agli sconfitti, saranno costretti a ricorrere a guerre eterne.

L’accusa di sproporzionalità non è che una delle accuse di crimini di guerra mosse contro Israele e le Forze di Difesa Israeliane. La Corte internazionale di giustizia dell’Aia, le organizzazioni non governative (ONG) e persino il governo degli Stati Uniti, alleato di Israele, stanno indagando sulle accuse di crimini di guerra israeliani, quando, secondo quanto riferito, Israele ha fatto più di qualsiasi altro esercito per ridurre al minimo i danni ai civili . Queste accuse tuttavia includono, tra le altre: genocidio contro i palestinesi, pulizia etnica, punizione collettiva, negazione degli aiuti umanitari, uccisione indiscriminata di civili e incapacità di fornire un adeguato avvertimento di un attacco imminente. Israele risponderà senza dubbio sia alle accuse formali che alle accuse dei media.

La portata dell’indiscussa distruzione e della tragedia umana a Gaza ha suscitato un’attenzione drammatica e incessante da parte dei media, che ha conseguenze strategiche significative e immediate sia per Israele che per Hamas. L’uso diffuso dei social media si traduce nella trasmissione rapida e di vasta portata di notizie e propaganda, con testi, immagini e video, progettati e ottimizzati per promuovere indignazione e polarizzazione, trasmessi a miliardi di persone in tutto il mondo. Allo stesso modo, la scelta di Israele di limitare la copertura mediatica e la pubblicazione delle immagini e dei video delle atrocità di Hamas del 7 ottobre e delle loro conseguenze ha avuto effetti significativi sulla percezione di Israele e degli attacchi stessi (qui, qui e qui).

Il primo incidente ad attirare l’ampia attenzione dei media è stato quando un giornalista della British Broadcasting Company (BBC) ha indicato che un’esplosione fuori da un ospedale nel nord di Gaza il 18 ottobre 2023 era stata il risultato di un attacco israeliano:

“L’esercito israeliano… ha detto che sta indagando, ma è difficile vedere cos’altro potrebbe essere, in realtà, data la dimensione dell’esplosione, oltre a un attacco aereo israeliano, o diversi attacchi aerei.”

Entro un’ora dall’attacco, il ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas, ha stimato il bilancio delle vittime a 500; la BBC ha fatto eco a questa affermazione indicando che il numero dei morti era di centinaia. Il 19 ottobre 2023, la BBC ha ritirato le sue accuse. Nel commentare questi avvenimenti, il Signore Guglielmo Verdirami ha affermato:

“Quando viene fatta un’accusa seria, in particolare quella che potrebbe costituire un crimine di guerra, la risposta immediata del belligerante rispettoso della legge sarà quella di dire: ‘Stiamo indagando.'”

Il belligerante che non rispetta la legge, al contrario, incolperà immediatamente l’altra parte e fornirà anche cifre sorprendentemente precise sulle vittime. Il dovere di indagare è uno dei compiti più importanti nei conflitti armati. Quello che è successo nel modo in cui è stato riportato lo sciopero all’ospedale è che la parte che non ha mostrato alcun interesse a rispettare le leggi sui conflitti armati è stata premiata con i titoli dei giornali che cercava.

Il resoconto irresponsabile della BBC, accompagnato dalle immagini del luogo dell’esplosione, è stato indagato, smentito e ripudiato da Israele e dai governi occidentali. Hanno stabilito che l’esplosione è stata causata da un razzo lanciato dall’interno di Gaza dalla Jihad islamica palestinese.

Amnesty International ha insistito il 20 ottobre 2023 sul fatto che la sua ricerca ha rivelato che le Forze di difesa israeliane (IDF) non sono riuscite a notificare ai civili la sua intenzione di attaccare le abitazioni nella densamente popolata Gaza, provocando la morte di famiglie palestinesi. Il titolo del post catturava l’intento dell’organizzazione: “Prove schiaccianti di crimini di guerra mentre gli attacchi israeliani sterminano intere famiglie a Gaza”. Inoltre, Amnesty International ha affermato che Israele non aveva permesso loro di entrare a Gaza per missioni conoscitive, suggerendo così che Israele stava nascondendo qualcosa piuttosto che che Amnesty potesse non agire in buona fede.

Prima di accettare acriticamente tali accuse, ciò che dovremmo apprezzare sono i dati comparativi che collocano la distruzione di Gaza da parte di Israele nel perseguimento dei suoi obiettivi di guerra nel contesto storico. Secondo John Spencer, titolare della cattedra di studi sulla guerra urbana presso il Modern War Institute dell’Accademia militare degli Stati Uniti (West Point), la guerra a Gaza non è paragonabile a nessun altro conflitto della storia moderna, in particolare per l’inclusione sistemica dei guerrieri di Hamas e del materiale bellico all’interno e al di sotto di case private, ospedali, scuole, moschee e strutture dell’UNWRA. Tale inclusione è, di per sé, un crimine di guerra.

“La verità”, sostiene Spencer, “è che Israele ha seguito scrupolosamente le leggi dei conflitti armati e ha implementato molte misure per prevenire vittime civili….” Egli paragona il numero di vittime a Gaza con il numero devastante e schiacciante di vite umane persi in altre battaglie urbane moderne – a Mariupol, in Cecenia, in Siria, a Dresda, a Tokyo, a Manila e a Mosul.

Un’implicazione inequivocabile dell’analisi di Spencer è che Israele è tenuto a uno standard di comportamento diverso e più esigente rispetto a Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti – tre potenze che avevano deciso nel 1945 di evitare guerre per sempre cercando la vittoria, anche se devastante. costo per i loro avversari.

HAMAS E LA FINE DELLE GUERRE PER SEMPRE

Hamas fornisce un eccellente esempio di guerra eterna: ha funzionato per quasi 20 anni come governo a Gaza, esercitando il monopolio locale sulla violenza in un territorio specifico. Dal 2006, ogni periodo di relativa pace a Gaza è stato utilizzato da Hamas come un’opportunità per riarmarsi e prepararsi per la successiva serie di attacchi. Nei mesi precedenti il 7 ottobre, Hamas è rimasta relativamente tranquilla, per infondere agli israeliani un senso di sicurezza, mentre si preparavano a lanciare un attacco devastante. Molte élite politiche e leadership militari in Israele credevano in quella che si rivelò una speranza ingiustificata: che attraverso l’impegno economico (qui, qui e qui), Gaza sarebbe diventata più prospera, gli abitanti di Gaza avrebbero abbandonato la loro bellicosità a favore di una crescita verso l’alto. mobilità e che Hamas si stava dedicando completamente al governo. Altri avrebbero potuto sperare che la retorica genocida di Hamas fosse una forma di atteggiamento politico. Purtroppo, non avrebbero potuto sbagliarsi di più.

La leadership di Hamas capisce chiaramente di non avere la forza delle armi o il sostegno esterno necessari per sconfiggere Israele in qualsiasi conflitto intrapreso nell’ambito delle leggi di guerra. Invece, Hamas si impegna in attacchi terroristici che sembrano intenzionati a esigere risposte che provocheranno dispiacere e divisione tra i sostenitori occidentali di Israele. Ciò rafforza la posizione di Hamas all’interno del mondo musulmano, sottoponendo al tempo stesso i cittadini di Gaza alle terribili conseguenze di una guerra che Hamas non può vincere, ma che a volte sembra che l’Occidente non voglia che Hamas perda.

La popolazione palestinese è stata sostenuta da un’agenzia delle Nazioni Unite, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA). I palestinesi, a differenza di altre nazioni, popoli o gruppi etnici, hanno un’agenzia esclusiva delle Nazioni Unite dedicata al loro benessere, ma ad accompagnare questo privilegio ci sono delle restrizioni: ai palestinesi non è consentito reinsediarsi come cittadini nelle popolazioni dei paesi ospitanti. I palestinesi che vivono in Giordania, Libano e Siria da tre generazioni vengono trattati come non cittadini apolidi e non possono per legge lavorare o integrarsi nei loro nuovi paesi d’origine. Ancora oggi, l’Egitto tiene le porte chiuse (in assenza di massicce tangenti o influenza politica) ai palestinesi che cercano di fuggire dalla zona di guerra.

Fornire assistenza sociale a questi rifugiati mantiene una popolazione scoraggiata, piena di odio e in espansione mobilitata allo scopo di terrorizzare contro Israele. Dato che la leadership dei campi profughi, Hamas, Jihad islamica e persino Fatah (qui, qui e qui) sono tutti impegnati nella distruzione di Israele, la domanda profonda è questa: perché le popolazioni che hanno sostenuto tali organizzazioni dovrebbero , e che rifiutandosi di rispettare le leggi di guerra, ricevono benefici dalle Nazioni Unite e dalle istituzioni occidentali? Perché gli israeliani dovrebbero essere costretti a concedere aiuti a Gaza, quando Hamas continua a tenere in ostaggio non solo gli israeliani ma anche gli americani? Con il pretesto di benevolenza e generosità, queste organizzazioni internazionali promuovono guerre eterne.

Al contrario, dopo la seconda guerra mondiale, gli Alleati erano temuti in gran parte perché dimostravano la volontà di usare una forza schiacciante per ottenere la vittoria. Anche se non hanno preso di mira deliberatamente i civili, non hanno esitato a intraprendere azioni che avrebbero senza dubbio provocato un gran numero di vittime civili, al fine di distruggere obiettivi militari legittimi e minare la volontà dei loro avversari di continuare a combattere. Tali azioni sono state una parte necessaria per ottenere la vittoria nella maggior parte delle guerre nel corso della storia umana.

I regimi liberal-democratici del mondo non possono accettare di essere ostacolati dal concetto popolare di proporzionalità, applicato in modo asimmetrico agli avversari che non riconoscono tale limitazione. L’uso di una forza schiacciante per ottenere la vittoria porta a guerre che effettivamente finiscono, anziché trascinarsi all’infinito. I regimi che sostengono il terrorismo, che hanno programmi esplicitamente genocidi e che non riescono a riconoscere la distinzione tra civili e combattenti, devono essere attaccati e distrutti con tutta la forza delle armi occidentali. Qualsiasi appello da parte loro alla moderazione o alle leggi di guerra dovrebbe essere basato sul loro esplicito disconoscimento e applicazione sia degli obiettivi genocidi che dei mezzi terroristici per raggiungere tali fini.

VITTORIA DECISIVA E RESA INCONDIZIONATA

Le distinzioni tra civili e combattenti sono esplicitamente un artefatto della cultura strategica occidentale. Gli avversari dell’Occidente oggi non condividono questa cultura strategica e hanno i propri modi di guerra, del tutto distinti. Nella misura in cui si conformano alle idee occidentali sulla guerra limitata, sui diritti umani o sulle distinzioni tra civile e militare, è perché temono le conseguenze di una risposta da parte degli Stati Uniti. Perfino l’egemonia americana si è rivelata insufficiente per fermare Srebrenica, Xinjiang, Darfur, Grozny o altri massacri troppo numerosi per essere menzionati.

Qual è il risultato di questi casi di atrocità avviate dal governo? Quando un regime che non riconosce una distinzione tra civili e combattenti si impegna nel terrorismo, quel governo, con ogni probabilità, utilizzerà il proprio popolo come scudi umani, ostaggi o sacrifici umani al fine di generare simpatia tra la popolazione dei suoi nemici. I non combattenti che hanno scelto e sostenuto un tale governo hanno creato una circostanza in cui, affinché l’ordine internazionale basato sulle regole sopravviva, il governo deve essere distrutto.

Se si permette al tipo di guerra che abbiamo visto da parte di Hamas di avere successo, e non viene accolta con violenza schiacciante e sconfitta totale, diventerà l’approccio standard per coloro che sfidano il dominio occidentale. Se, tuttavia, vogliamo vivere in un mondo in cui le leggi di guerra significano qualcosa, allora le sanzioni per chi le viola deliberatamente devono essere terribili. Altrimenti più regimi saranno tentati di trarre vantaggio attraverso strategie di atrocità.

Gli Stati Uniti dovrebbero smettere di imporre ai nostri alleati la dottrina della sconfitta. Anche se i civili non dovrebbero essere presi di mira deliberatamente, i nostri alleati dovrebbero essere incoraggiati a usare una forza schiacciante per ottenere vittorie rapide e decisive sui regimi che promuovono le atrocità. Le vittime civili, in una circostanza del genere, sono sia deplorevoli che inevitabili.

Gli Stati Uniti dovrebbero sostenere Israele per ottenere una vittoria decisiva a Gaza. Cosa significa una vittoria decisiva? La resa incondizionata di Hamas.

Chiunque abbia partecipato agli eventi del 7 ottobre, chiunque abbia trasmesso ordini e chiunque abbia fornito sostegno materiale deve essere ucciso, oppure catturato e processato. Lo stesso vale per chiunque sia coinvolto nella cattura, detenzione o abuso degli ostaggi. Chiunque sia stato impegnato con il regime di Hamas come amministratore, politico o esattore delle tasse deve essere detenuto, interrogato e chiamato a rispondere di qualsiasi azione abbia sostenuto l’invasione del 7 ottobre. Alla fine di questa guerra, i militari e i politici i leader responsabili di quegli attacchi avrebbero dovuto essere uccisi in battaglia, processati per la loro complicità in crimini di guerra, o dovrebbero fuggire per salvarsi la vita, come la leadership del partito nazista dopo la seconda guerra mondiale. Inoltre, tutte le organizzazioni internazionali complici di Hamas non dovrebbero più avere alcun ruolo nel governo o nel sostegno di Gaza, in particolare l’UNRWA.

In particolare, anche il governo del Qatar, che “sostiene tutte le organizzazioni terroristiche islamiste (ISIS, Al-Qaeda, Talebani, Hamas e Hezbollah)” (qui e qui) e fornisce un rifugio sicuro alla leadership di Hamas, dovrebbe essere ritenuto responsabile . L’Iran, che finanzia e dirige i gruppi terroristici in tutto il Medio Oriente e oltre, deve essere sanzionato, contenuto e minacciato con l’uso credibile di una forza devastante per il suo ruolo. Infine, il giorno dopo la fine delle ostilità, gli israeliani devono proteggere il nuovo governo di Gaza dall’essere indebolito dai rinnovati sforzi per sostenere il terrorismo e la rimilitarizzazione.

IL GIORNO DOPO LA RESA INCONDIZIONATA: “CONQUISTARE” LA PACE

Gli israeliani dovranno compiere uno sforzo significativo per deradicalizzare la popolazione di Gaza nelle prossime due generazioni. Dovranno istituire un regime che governi per loro conto, anche se gli abitanti di Gaza senza dubbio considereranno questi politici come dei Quisling. Imponendo un governo che tenti almeno di far rispettare i diritti civili fondamentali – accesso al controllo delle nascite, libertà di religione, libertà di parola, sicurezza della proprietà privata, equa giustizia secondo la legge – e un programma educativo inteso a deradicalizzare il popolazione, forse superiore a 50 anni o più – è possibile ottenere una sorta di sistemazione duratura. Nel frattempo, il meglio che si può sperare è sicurezza e stabilità. Nessun attore esterno può far sì che ciò accada. L’alternativa è una guerra eterna. L’unica via verso la pace, oltre alla distruzione di Israele, passa attraverso una vittoria globale di Israele e una resa incondizionata di Hamas a Gaza, e un accordo postbellico che garantisca che gli abitanti di Gaza non saranno più in grado di commettere tali atrocità in Israele.

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Michael Hochberg ha conseguito il dottorato in fisica applicata al Caltech ed è attualmente visiting fellow presso il Center for Geopolitics dell’Università di Cambridge. È il presidente di Periplous LLC, che fornisce servizi di consulenza su strategia, tecnologia e progettazione organizzativa.

6124.- Gaza, Biden: «Al lavoro per tregua di almeno 6 settimane». Hamas, «morti tre ostaggi israeliani feriti nei raid»

Commentiamo le Ultime da il sole24 ore, a cura di Antonio LarizzVittorio Nuti, fonte fra le poche attendibili, del 12 febbraio 2024. I Telegiornali, tolto Sanremo, non sanno proprio più che dire. Commenti nostri in grassetto.

Questa non è più soltanto la guerra di Gaza, è la battaglia finale dell’Occidente, in cui sta perdendo la vergogna. Ma abbiamo fede che le elezioni di novembre potranno più delle migliaia di bambini ammazzati dalle gloriose armi di Netanyahu.

“Il portavoce del Consiglio americano per la Sicurezza nazionale, John Kirby, ha affermato che gli Stati Uniti sono “felici” della liberazione di due ostaggi israeliani a Rafah. Stranamente, poi, “Non posso confermare” le notizie che vi sarebbero state vittime civili durante l’operazione israeliana, ma “come abbiamo detto molte volte il giusto numero di vittime civili è zero… non vogliamo nessuna vittima civile innocente, israeliana come palestinese”. Ma, ecco la retromarcia: “Non vi può essere una fine durevole della crisi fino a quando Hamas non rilascerà tutti gli uomini e le donne che tiene prigionieri, tutti.”

  • Biden, ’al lavoro per tregua di almeno 6 settimane’. Con re Abdullah II di Giordania si è discusso di “un accordo sugli ostaggi tra Israele e Hamas, che porterebbe un periodo di calma immediato e prolungato a Gaza, per almeno sei settimane. Potremmo poi prenderci il tempo per trasformarlo in qualcosa di più duraturo”. Lo ha detto il presidente Usa Joe Biden incontrando i giornalisti alla Casa Bianca. “Gli elementi chiave dell’accordo sono sul tavolo – ha detto Biden rivolgendosi ai giornalisti accanto al re alla Casa Bianca – Rimangono delle lacune, ma ho incoraggiato i leader israeliani a continuare a lavorare per raggiungere l’accordo. Gli Stati Uniti faranno tutto il possibile affinché ciò accada”. Biden non ha spiegato quali siano le “lacune” nell’accordo.
  • 23:11Donald Trump ha chiesto alla Corte Suprema degli Stati Uniti di sospendere temporaneamente la decisione della corte d’Appello federale di Washington che ha negato la sua richiesta di immunità presidenziale, rispetto alle accuse per il suo ruolo nella tentata sovversione del voto 2020 e nell’assalto a Capitol Hill. Secondo la richiesta di emergenza presentata dai legali dell’ex presidente, la decisione della corte d’Appello rappresenta un “danno immediato e irreparabile” agli interessi di Trump, protetti dal “Primo Emendamento” e a quelli di “decine di milioni di elettori americani, che hanno il diritto di ascoltare il messaggio elettorale del presidente Trump mentre decidono come votare a novembre”. Quattro giorni fa, la Corte Suprema aveva ascoltato gli argomenti riguardanti l’eventuale esclusione di Trump dalle elezioni per il suo ruolo nei fatti del 6 gennaio. I nove giudici della Corte sono ora chiamati a decidere in ben due vicende giudiziarie riguardanti l’ex presidente.
  • 22:11ReRe Abdullah di Giordania è arrivato alla Casa Bianca per incontrare il presidente americano Joe Biden, nella prima visita di un leader arabo dall’attacco del 7 ottobre che ha innescato la guerra a Gaza. Il conflitto sarà al centro dei colloqui. Accompagnato dalla regina Rania e l’erede al trono Hussein, re Abdullah è stato accolto sulla porta della Casa Bianca da Biden e la first lady Jill.

USA: “No a trasferimento forzato palestinesi fuori da Gaza

  • 20:43 Casa Bianca, ”“Non vogliamo vedere nessun trasferimento forzato di persone fuori da Gaza. Gaza è la loro casa e non devono essere costretti ad andarsene se non vogliono farlo. Se ci sarà (un’operazione militare) a Rafah, Israele ha l’obbligo di provvedere alla sicurezza dei palestinesi innocenti che vi si trovano”. Lo ha detto il portavoce del Consiglio americano per la Sicurezza nazionale, John Kirby.
  • 20:27 Erdogan, “escalation israeliana a Gaza al centro colloqui in Emirati ed Egitto”“L’escalation di attacchi israeliani su Gaza sarà senza dubbio in cima all’agenda” dei colloqui negli Emirati Arabi Uniti e in Egitto. Lo ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan in dichiarazioni riportate dall’agenzia Anadolu. Dopo una missione che lo vedrà impegnato domani negli Emirati, il leader turco sarà mercoledì in Egitto. Oggi è tornato a criticare “la politica brutale di maacri” da parte di Israele “dopo il 7 ottobre”, giorno del terribile attacco nel Paese.
  • 20:16 M.o.: media, “
  • Il capo del Mossad andrà in Egitto per negoziati su ostaggi.

No a trasferimento forzato? A parlare di che?

  • i”Fonti israeliane ritengono che il capo dei servizi del Mossad, David Barnea, andrà al Cairo per negoziare un possibile accordo per la liberazione degli ostaggi detenuti da Hamas. Lo scrive Haaretz. Ai colloqui parteciperanno il capo della Cia, Bill Burns, il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdelrahman Al-Thani, e il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamal.

Nessuno giochi con la sicurezza dell’Europa. In nome di che e di chi?

  • Scholz, “Nessuno deve giocare o trattare con la sicurezza dell’Europa”. Lo ha detto il cancelliere tedesco Olaf Scholz, commentando indirettamente le dichiarazioni di Donald Trump sulla Nato. “La promessa di protezione della Nato si applica senza restrizioni. Tutti per uno. Uno per tutti”, ha detto Scholz in conferenza stampa a Berlino, dopo un incontro con il primo ministro polacco Donald Tusk. “Soprattutto in un momento in cui l’imperialismo russo minaccia la nostra sicurezza comune in Europa”, ha poi aggiunto Scholz, è importante ribadire che “la sicurezza della Polonia è anche la nostra sicurezza.”
  • 19:32 Usa: «Commenti Trump? Con Biden Nato più forte che mai»“Con Joe Biden la Nato è diventata più forte che mai”. Lo ha detto il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale americana in un briefing con la stampa a proposito delle frasi shock di Donald Trump sull’Alleanza. “Gli Stati Uniti difenderanno ogni centimetro di territorio della Nato”, ha sottolineato il funzionario.

Se questo “più forte” è inteso in chiave offensiva, siamo rovinati. Come vedete, sono più i quesiti che ci poniamo che le certezze, ma questa è troppo:

Ipocrisia!

  • 19:31 Usa: straziante morte bimba palestinese che chiese aiuto“Straziante”: così il portavoce del dipartimento di stato Usa Matthew Miller ha definito la morte a Gaza di Hind Rajab, la bambina palestinese di sei anni che ha perso la vita dopo che era sopravvissuta ad un attacco contro l’auto dei suoi famigliari e aveva telefonato per chiedere soccorsi. Miller ha sollecitato Israele ad indagare sull’episodio.
  • Indaga, indaga!

6107.- 27.238 palestinesi ammazzati e altri 66.452 feriti nella Striscia di Gaza, rasa al suolo dal 7 ottobre scorso. 

Le mani sozze di sangue sarebbero il progresso? Più di 10.000 i bambini uccisi, 17.000 i non accompagnati o separati dai genitori nella Striscia. É un urlo di dolore, disumano! Ci fanno accapponare e abbiamo celebrato per due giorni il genocidio dei loro! ma non erano loro. Anche al Papa comoda scambiare l’antisionismo dilagante per l’antisemitismo, che torna a condannare: “É un peccato contro Dio.” Ma che papa è, che Dio è e dove sono i fulmini del cielo? Soltanto ferme condanne accompagnano la macchina da guerra americana mentre produce raid in Yemen e, va bene, ci sono gli Houthi; ma in Iraq e in Siria: in Siria?! non mancano gli israeliani in Libano. E il fetente sarebbe solo Putin! La verità è che la Russia non molla e il Medio Oriente e tutta la regione Transcaucasica sono strategiche per il prossimo futuro.

Intanto, l’Ucraina lancia i potenti missili USA Himars fra la gente russa, in una panetteria del Lugansk: 15 morti per un pò di pane e missili pagati dal dollaro, come non si sa. C’è di che essere orgogliosi di questi leader, anzi, con il loro nome: brownnoser.

L’ M142  High Mobility Artillery Rocket System, Himars nasce a Camden, in Arkansas.

Si può vivere in pace, ma, sopratutto, i grandi possono guadagnare senza spargere sangue, il nostro? In Germania molti cittadini si riuniscono a manifestare contro l’oblio, l’odio e contro i discorsi d’odio. In migliaia hanno partecipato alla manifestazione filo-palestinese nel centro di Londra per chiedere il cessate il fuoco a Gaza;  bottiglie incendiarie sono state lanciate contro il consolato USA di Firenze nella notte del 1° febbraio. La gente vuole contare, ma non contare i morti. Non chiede quanti droni sono stati abbattuti, vuole vivere, lavorare e coltivare in pace. Il commercio, l’economia, la finanza devono essere spronati per servire, non usarci.

6201.- PIANO MATTEI, AFRICA E INDO PACIFICO

Il Piano Mattei è per l’Occidente soltanto il primo scalino da salire, ma si deve essere forti e uniti, gli italiani per primi. Quanto ci penalizza la guerra alla Federazione Russa?

Da Formiche.net, a cura di Emanuele Rossi, 31 gennaio 2024

I Paesi dell’Indo-Pacifico hanno seguito attentamente gli sviluppi della Conferenza Italia-Africa, che Roma ha ospitato domenica 28 gennaio e lunedì 29. Il cosiddetto “Piano Mattei”, quale programma guida per una serie di progetti italiani nel continente africano, suscita notevole interesse nella regione in quanto l’Africa rappresenta un crocevia politico, diplomatico, economico e culturale-demografico a cui le nazioni indo-pacifiche guardano da tempo.

Narrazione, interesse, attenzione In questo ultimo anno, mi sono trovato in molte occasioni in cui ho potuto constatare direttamente – attraverso conversazioni, eventi, studi – come l’interesse indo-pacifico per l’Africa si abbini anche all’iniziativa italiana. Aspetto già positivo: la narrazione messa in piedi da Roma ha funzionato quanto meno nell’attrarre extra-attenzioni internazionali. Ora la sfida è di implementare questo storytelling con progetti concreti, anche se è plausibile pensare che i risultati arrivino rapidamente. Ma questa è una percezione più chiara al di fuori dell’Italia, dove si è portati a ragionamenti di carattere strategico (dunque a lungo termine). Lo è per esempio nell’Indo Pacifico.

L’importanza dei partner Sarà importante per l’Italia comprendere quali potrebbero essere eventuali partner per strutturare cooperazioni negli ambienti terzi africani. Territori dove tutte le potenze hanno rivolto la loro attenzione. L’Africa, ha sottolineato su France24 Antoine Glaser, esperto del continente dell’Institu Montaigne, “ha il mondo intero nella sua sala d’attesa”.

Qui Pechino Ho cercato le razioni cinesi al Piano Mattei, ma non ci sono (per ora) cose di livello. La Cina è interessante perché ha attualmente un ruolo importante, essendo il primo partner commerciale dell’Africa, anche grazie agli investimenti economici e politici. Pechino muove anche una sua narrazione, che vuole rappresentare il proprio modello di cooperazione come il più efficace e funzionale, mentre critica le attività occidentali (macchiate da post-colonialismo, dice). Bisogna fare i conti con questo substrato culturale e (dis)informativo che si sta creando, spinto anche dalla Russia, dall’Iran e da altri Paesi competitor.

Like-minded… Ma ci sono anche altri attori dell’Indo Pacifico, come India, Giappone, Corea del Sud, Australia, Taiwan, Indonesia e Vietnam, che mostrano un crescente interesse per l’Africa, sviluppando progetti e strategie specifiche. Molti di questi sono indicati sovente come “like-minded”, ossia vedono il mondo con le stesse lenti dell’Italia e dell’Occidente. Sono democrazie, sono aperti al libero mercato, sono meno interessati a rivoluzionare l’ordine mondiale di quanto non sia la Cina. Inciso a proposito di questo dal saggio pubblicato su Foreign Affairs dal direttore della CIA William Burns: “La Cina rimane l’unico rivale degli Stati Uniti [che ha] sia l’intento di rimodellare l’ordine internazionale sia il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per farlo”. Chiuso l’inciso.

…significa buoni partner? Una considerazione che mi ha fatto un parlamentare italiano che segue con estrema attenzione la politica internazionale: “Siamo sicuri che effettivamente quei Paesi like-minded poi intendano la proiezione africana come la intendiamo noi? Siamo sicuri che le direttrici di una cooperazione con loro seguano esattamente i nostri interessi? Che tipo di compromessi siamo disposti ad accettare?”.

Aspettiamo e vedremo Sebbene molti di quei Paesi indicati siano sinceramente interessati a comprendere la strategia italiana in Africa – aspettandosi anche input sui principi, cardini e sviluppi futuri del Piano Mattei (magari anche inviti) – attualmente ottenere informazioni dettagliate da loro su cosa ne pensino è complesso (quanto comprensibile). La sfida principale del Piano Mattei, come mi spiegava Arturo Varvelli (Ecfr), è trasformarlo in un paradigma trainante per i progetti europei, inquadrandolo in qualche modo al contesto più ampio del Global Gateway e renderlo ancora più appetibile agli occhi esterni. La forza finanziaria e politico-diplomatica europea supera notevolmente quella di un singolo Paese come l’Italia, ma l’idea strategica italiana può contribuire in qualche modo a direzionarla, ed è per questo che il progetto diventa attraente – e chiaramente sfidante.

E dunque? Ho pensato che, visto la sovrapposizione di interessi, potesse diventare utile fare un recap rapido (certamente non esaustivo, sicuramente basico e poco analitico) di quali sono obiettivi, attività e visioni di alcuni dei grandi attori dell’Indo Pacifico in Africa. E di farlo tramite studi di valore.

DIARIO DALL’INDO MEDITERRANEO
 . Tra gli appunti, parlando di Africa, ci finisce l’intervista fatta da Giulia Pompili del Foglio al primo ministro dell’eSwaitini, a Roma anche lui per la Conferenza. Russell Dlamini è il premier dell’unico stato africano che riconosce Taiwan: “La nostra politica è non avere nemici”, dice.

. A proposito di interviste, anche quella di Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, al presidente della Somalia, ospite di un evento organizzato nella sede di Fondazione Med-Or è interessantissima in ottica indo-mediterranea. “Nel gioco del Mar Rosso serve un accordo tra Cina e Occidente per garantire la stabilità”, propone Hassan Sheikh Mohammud.

. Rispondendo alle notizie uscite su un “enorme deposito” di armi cinesi nei tunnel di Hamas, il portavoce del ministero della Difesa di Pechino ha detto: “La Cina ha sempre adottato un atteggiamento prudente e responsabile nelle esportazioni di armi”. La notizia è qui, ma vi ricordate di quando l’analista militare Zhang Bin, spiegava come la tecnologia dei missili balistici antinave (ASBM) cinesi abbia raggiunto lo Yemen attraverso l’Iran? Ne avevamo parlato in IPS201223.

. Seul e Riad insieme per un jet di Sesta generazione? Girano voci che alti funzionari dell’Agenzia per lo sviluppo della difesa (Add) e del ministero della Difesa sudcoreani abbiano visitato l’Arabia Saudita per incontri teoricamente top secret di qualche giorno fa. Non è chiaro per ora quanto queste voci siano credibili e concrete, vero che la sfera militare fa parte delle relazioni tra i due Paesi, vero altrettanto che gira disinformazioni; inoltre è possibile che sauditi e sudcoreani parlino di armi ma non di quel genere di armi. Riad e Seul sono comunque interessati a un caccia di ultima generazione (entrambi hanno buttato gli occhi sul Gcap, sebbene con letture diverse).
 

A proposito di Africa, la cui costa orientale è considerata parte dell’Indo Mediterraneo (per lo meno nelle visioni indiane, sposate anche in parte dalla lettura geostrategica delle dinamiche in corso), val la pena fare un passo indietro sulla visita – a metà gennaio – del capo della diplomazia cinese, Wang Yi, in quattro Paesi del continente. Nella foto è in Tunisia, ma è stato anche in Egitto, Togo e Burkina Faso (che fa parte della triade golpista anti-occidentale che ha annunciato di voler uscire dall’associazione Ecowas in questi giorni).

E val la pena ricordare che dal 1991 a oggi, il primo viaggio all’estero del ministro degli Esteri cinese è sempre dedicato, ogni anno, all’Africa. Nel 2024 ci sarà anche il Forum sulla Cooperazione Cina-Africa (quello precedente c’era stato nel 2021 a Dakar, in Senegal, e aveva adottato piani per 2022-2024). Wang sta organizzando l’evento e le partecipazioni. Ne ho parlato sul canale Telegram “Indo Pacific Diary”, che curo più o meno quotidianamente da un paio di anni. Qui invece c’è la lettura del viaggio da parte della stampa egiziana e tunisina.
COSA ALTRO LEGGERE
 
Dicevamo che per rendere tutto più funzionale, questa settimana ho pensato di mettere qualche link ad analisi e studi su ruolo e visioni dei big indo-pacifici in Africa. Questa sezione di approfondimento diventa dunque “Cosa altro leggere”. 

CINA
China in Africa, Council on Foreign Relations; China in Sub-Saharan Africa: Reaching far beyond natural resources,Atlantic Council; An allied strategy for China, Atlantic Council; China-Africa relations, Chatham House: The response to debt distress in Africa and the role of China, Chatham House; Grandi ambizioni, risultati limitati: l’ordine globale secondo la Cina, Ecfr; Il risveglio degli Europei dal sogno della Cina, Ecfr; Valori occidentali, economia cinese? La frammentazione globale, Ecfr.

GIAPPONE
Japan in Africa, strategia pubblica del governo di Tokyo; What Japan and Africa can add to Tokyo International Conference on African Development, East Asia Forum; Japan to boost ties with Africa, with eyes on ChinaJapan TimesJapan’s valuable footprint in Africa, Gis; The Japan-Africa dialogue, Atlantic Council.

INDIA
Africa-India Cooperation Sets Benchmark for Partnership. Africa Center For Strategic Studies; India’s geopolitical rise in context: Regional implications, Atlantic Council; India’s geopolitical rise in context: Regional implications, Brookings Institution; India’s geopolitical rise in context: Regional implications, Orf; India eyes Africa in its quest for superpower status, Institute For Security Studies; India is driving change by working together with AfricaAsia Nikkei.

COREA DEL SUD
South Korea’s Engagement with Africa, Springer (libro); Seoul trains its sights on African relations, African Business; Korea and Africa rally additional finance and technology […], African Development Bank Group; The African Continental Free Trade Area: Opportunities and Challenges, Brookings Institution; South Korea’s Role in Africa’s Development: A New Approach, Orf.

AUSTRALIA
Strengthening Australia’s relationships in Africa through education, Aspi; A strategy for Australia’s engagement with Africa, analisi del gruppo di lavoro del dipartimento Affari Esteri e Commercio Estero del governo australiano; Rethinking Australia’s Approach to Africa, Australian Institute For International Affairs; Australia to achieve membership of an African development, DevPolicy Blog; Australia, New Zealand and the African Union, South Africa Institute For International Affairs.

INDONESIA, VIETNAM, TAIWAN
Indonesia Seeks to Deepen Africa RelationsVoice Of AmericaIndonesia’s Jokowi deepens Global South ties in Africa tour, Asia Nikkei; What Can Africa Learn From the Progress Made by Vietnam?, Tony Blair Institute; Vietnam treasures traditional ties with African countriesVientam PlusTaiwan and Africa: a comprehensive overview of diplomatic recognition and derecognition of the RoC, Ceias; Taiwan’s Africa outreach irks China, Orf.

6160.- Il 2024 ci chiamerà alle elezioni per il Parlamento Europeo. Chi voteremo?

Dal 6 al 9 giugno 2024 si svolgeranno le elezioni per il Parlamento europeo, con lo scopo di eleggere i rappresentanti dei cittadini dell’Unione Europea a membri del Parlamento Europeo. Sono, sicuramente di nome, elezioni politiche, le seconde più importanti del mondo e, infatti, il Parlamento Europeo è l’unica assemblea transnazionale al mondo e l’unica istituzione dell’UE ad essere eletta direttamente e a suffragio universale. Sono importanti perché i 705 Membri del Parlamento Europeo rappresentano gli interessi dei cittadini dell’Unione a livello europeo, con competenze di vigilanza e di bilancio. I deputati eletti si riuniscono in gruppi politici, formeranno 27 Commissioni (di supporto alle sedute plenarie del Parlamento), ma, com’è facile comprendere, sono organizzati in funzione delle loro affinità politiche e non su base nazionale e questo non agevola il compito degli elettori, che già seguono le realtà politiche nazionali e non vivono la realtà del Parlamento. Questa difficoltà ha costituito per molti un ostacolo importante – uno fra i tanti – all’allargamento dell’Unione e potrebbe essere affrontata con un maggiore e più incisivo coordinamento fra il Parlamento Europeo e i Parlamenti nazionali.

Governi e Parlamento concorrono a sviluppare, redigere e approvare tutte le nuove disposizioni che vanno a incidere sulla vita dei cittadini dell’Unione Europea nei diversi ambiti come il sostegno all’economia, la lotta contro la povertà, il cambiamento climatico, come anche le questioni legate alla sicurezza; ma, qui, entriamo nell’ambito della politica estera e, in assenza di una sovranità europea, il compito è più difficile. Infatti, la diplomazia e il rispetto delle norme internazionali non sempre sono sufficienti. Comunque, il Parlamento Europeo intrattiene e scambia rapporti e informazioni anche con i parlamenti di paesi extra UE. L’UE, poi, collabora con i maggiori protagonisti della scena mondiale, ivi comprese le potenze emergenti e i gruppi regionali. In aggiunta, operea il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), che è il servizio diplomatico dell’UE. Attraverso una rete di circa 140 tra delegazioni e uffici promuove e tutela i valori e gli interessi dell’UE in tutto il mondo.

Per esemplificare sulle attività del parlamento a favore dei cittadini Ue previste lo scorso mese per il 2024, verrà rivista la Direttiva 2009/12 sui diritti aeroportuali che riguarda i diritti pagati dagli utenti aeroportuali (ovvero le compagnie aeree) per l’utilizzo delle strutture aeroportuali, i diritti relativi all’atterraggio, al decollo, all’illuminazione e al parcheggio degli aeromobili, nonché ai diritti aeroportuali veri e propri, il trattamento dei passeggeri e delle merci. Sebbene le tasse aeroportuali siano imposte alle compagnie aeree, il loro costo è in definitiva pagato indirettamente dai passeggeri e dai clienti del trasporto merci attraverso i prezzi dei biglietti e le spese di spedizione delle merci. La direttiva sui diritti aeroportuali si applica agli aeroporti con oltre cinque milioni di movimenti di passeggeri all’anno e almeno all’aeroporto più grande di ciascuno Stato membro. Gli obiettivi della direttiva sono: garantire maggiore trasparenza sulle modalità di calcolo dei diritti aeroportuali; garantire che gli aeroporti non discriminino tra le compagnie aeree nell’applicazione dei diritti aeroportuali (a meno che non siano debitamente giustificati); stabilire consultazioni regolari tra aeroporti e compagnie aeree e, infine, istituire in ciascuno Stato membro un’autorità di vigilanza indipendente incaricata di risolvere le controversie tra aeroporti e compagnie aeree sui diritti aeroportuali e di vigilare sull’attuazione della direttiva.

A partire dal trattato di Lisbona del 2009, al Parlamento europeo, sono stati conferiti sostanziali poteri legislativi, di bilancio e di controllo, che rappresentano le sue tre funzioni. Il Parlamento tratta importanti temi politici, economici, sociali e, naturalmente, finanziari. Infatti, approva anche il bilancio dell’UE e dovrebbe controllare come vengono spesi i soldi: ciò che le modalità di acquisto dei vaccini Covid non sembra abbiano soddisfatto. Infine, il Parlamento elegge il Presidente della Commissione Europea, nomina i Commissari e garantisce che agiscano nell’interesse dei cittadini dell’UE.

Una istituzione europea nota a solo pochi è il Mediatore europeo, il quale viene eletto dal Parlamento per esaminare le denunce di cattiva amministrazione delle istituzioni e degli organi dell’UE. Il Mediatore può avviare indagini di propria iniziativa. Il Mediatore riferisce al Parlamento europeo e presenta alle deputate e ai deputati una relazione annuale.

Poiché abbiamo accennato alla difficoltà di una politica estera e, sopratutto, di una difesa europea senza la sovranità, qui, allo stato, l’organo decisionale supremo dell’UE è il Consiglio europeo, formato dai capi di Stato dei paesi dell’UE e dei governi. Quasi tutte le decisioni in materia di politica estera e di sicurezza richiedono il consenso di tutti i paesi dell’UE. L’adozione di una maggioranza qualificata semplificherebbe il potere decisionale solo apparentemente, comunque venisse stabilito il quorum funzionale, p. es., in una frazione superiore alla metà del numero totale dei votanti o degli aventi diritto al voto. Molti sarebbero a favore di un esercito europeo assegnato alla NATO, ma l’UE non dispone di un esercito permanente. Ci si basa su contingenti forniti di volta in volta dai paesi membri per inviare missioni nelle zone a rischio del mondo per monitorare e mantenere l’ordine pubblico, partecipare agli sforzi per il mantenimento della pace o fornire aiuti umanitari alle popolazioni colpite. Tutto ciò, per un gigante economico come l’UE rappresenta un minus, sopratutto, nelle aree d’interesse come il Sahel e il Magreb e in presenza di azioni concorrenziali della Federazione Russa e della Cina.

Sulla costa Sud del Mediterraneo allargato assistiamo a rivolte e conflitti che ostacolano le opportunità di cooperazione politica ed economica. In questo contesto, si andrebbe a sviluppare il Nuovo Piano Mattei dell’Italia. Il suo principio della “solidarietà attiva” rappresenta la pietra tombale del colonialismo alla francese. I paesi del Magreb, del Sahel, dell’Ecowas, sono in rapida trasformazione; vi operano e interagiscono istituzioni pubbliche e private, imprese, operatori finanziari, soggetti della società civile e organizzazioni non profit. Anche l’imprenditoria, sopratutto, finanziaria della nostra Europa deve trasformarsi e affiancarli secondo il principio della “solidarietà attiva”, perché, altrimenti, non ci sarà futuro né per l’Europa e né per l’Africa, ma vi assisteremo a un nuovo colonialismo russo e cinese in Africa e americano in Europa.

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13 dicembre 2023. Il presidente della Commissione ECOWAS riceve la visita di cortesia dell’inviato del Mali ad Abuja.

Quando andremo a votare, avremo come obiettivi di eleggere cittadini
capaci di comprendere e spiegare con sufficiente sensibilità critica le dinamiche politico-strategiche, economiche e sociali che caratterizzano i Paesi nell’area del Mediterraneo, analizzando e approfondendo il ruolo e l’azione dell’Unione Europea nell’area occidentale e orientale, con tutte le difficoltà di un conflitto israelo-arabo e di un partner NATO indipendente come la Turchia. Senza dimenticare le sconfitte subite in Afghanistan e in Ucraina, ma ricordando che la Federazione Russa è in gran parte europea e che l’unione fa la forza.

Segue.

6152.- Una Patria è sovrana. L’arte dei contrari vuol fare di un’Unione, che unione non è, una Nazione

Questa volta, Formiche è un auspicio, oppure, non convince. Afferma De Palo: “Non c’è nessuna contraddizione tra nazioni e unione, perché le parti nazionali sono difese in quanto esiste la patria comune europea, altrimenti diventerebbero delle patrie fuori tempo massimo.” Mi é facile controbattere che senza una Costituzione, senza la sovranità, la patria comune europea non può esistere e che è proprio questa Unione europea ad essere fuori tempo massimo. Lungi dal demolirla, siamo convinti che la “Patria europea” debba scaturire da una profonda riforma di tutto l’Occidente, che ci consenta di confrontare gli interessi degli Stati Uniti con quelli degli europei, degli africani del Magreb e del Sahel e dei russi, sicuramente europei. Altrimenti, la civiltà occidentale si troverà a cedere il passo a quelle dei popoli asiatici. E non è questa ipotesi il frutto di una competizione, che ben venga, ma l’amore per i valori che rappresentiamo da secoli.

La patria europea non minaccia la nazione. Il futuro dell’Ue secondo Parsi

Da Formiche.net, di Francesco De Palo | 27/12/2023

La patria europea non minaccia la nazione. Il futuro dell’Ue secondo Parsi

“Anche senza modificare i trattati si possono definire margini in cui sia possibile prendere decisioni in maniera diversa senza farsi bloccare dall’Ungheria di turno”, spiega il docente della Cattolica ed esperto analista. “La ricchezza dell’Europa sta nel suo pluralismo, però la difesa di quest’ultimo passa attraverso l’unione con una maggiore coesione interna”

Una madrepatria europea non è in contraddizione con l’appartenenza nazionale, spiega a Formiche.net il professor Vittorio Emanuele Parsi, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, di cui è appena uscito “Madre patria. Un’idea per una nazione di orfani” (Bompiani). Il tema è doppio: da un lato riflettere sulle prospettive federaliste dell’Unione per evitare che le nuove sfide possano provocare nell’Ue un declino inarrestabile e, dall’altro, immaginare un manifesto valoriale come una manifestazione di volontà politica dopo le prossime europee.

Crisi, migrazioni e guerre hanno evidenziato la debolezza dell’Ue in politica estera e difesa?

Hanno messo in evidenza quali sono i limiti europei e di tutto quello che si può fare non solo a trattati vigenti ma anche senza una più radicale presa di posizione verso una direzione federale. Un attimo dopo bisognerà vedere come riuscire a fare un’Europa federale con chi ci sta, ma non va dimenticato che gli Stati saranno in grado di bloccare qualsiasi dinamica se quelli più forti non si accorderanno fra loro per andare oltre la lettera dei trattati.

Ciò dovrebbe spingere alla creazione di un soggetto politico più coeso?

Sì, ma a una condizione: che tutti gli attori principali, e parlo di Germania, Francia, Italia, Spagna, Polonia si rendano conto che avere una capacità di maggiore coesione è un interesse collettivo e non può essere contrattato di volta in volta sul singolo dossier. Nella realtà poi tutti i Paesi si bloccano a vicenda, perché ognuno ha paura che in un dossier di specifico interessa si abbia una maggioranza diversa che possa imporre decisioni. Il problema è che a volte le decisioni che verranno prese saranno più vicine agli interessi del singolo attore e altre volte saranno più lontane. Ma di sicuro se non ci sarà una coesione e una capacità di decidere insieme, saremo sempre più lontani dall’obiettivo di sopravvivere politicamente.

In che modo e con che tempi sarebbe possibile un passo del genere?

Occorre innanzitutto una manifestazione di volontà politica da parte delle leadership e probabilmente il momento giusto sarebbe dopo le elezioni europee. Ripeto, anche senza modificare i trattati si possono definire margini in cui sia possibile prendere decisioni in maniera diversa senza farsi bloccare dall’Ungheria di turno, insomma.

In caso di ulteriore rinvio quali potenziali danni ci sarebbero?

Potrebbe iniziare un declino inarrestabile. Abbiamo due tipi di minacce, quella esterna rappresentata dai big player anti Ue, come la Russia, e quella interna rappresentata dai sovranisti che potrebbero stare quieti fino a quando capiranno che la prospettiva è quella di una maggiore unione, ma se vedessero che invece l’Unione europea fosse in difficoltà alzerebbero la testa e cambierebbero le loro agende.

L’Ue deve anche gestire un potenziale allargamento alle regioni balcaniche. Senza le dovute riforme l’allargamento rischia di essere un peso molto grave da portare?

Si pone lo stesso problema che era già stato evidenziato rispetto alla grande ondata di allargamento dei primi anni 2000, chiaramente aggravata dal fatto che saremo ancora di più. In seguito si dovranno fare anche su questo aspetto le dovute differenze: mi riferisco al processo di adesione dell’Ucraina che va su una strada diversa, perché si tratta di un paese in una condizione particolare che ha fatto molto per l’Unione europea, semplicemente difendendo il suo confine orientale.

Quest’oggi è scomparso l’ex ministro dell’Economia tedesco Schauble: la sua austerità ha fatto più bene o più male all’Europa?

All’inizio è stato un passaggio necessario per evitare che i conti andassero fuori controllo, ma dopo è stata una posizione sclerotizzata, che non ha mai tenuto conto dell’interesse europeo: è stata l’incarnazione del merkelismo. Ovvero un europeismo tedesco tale solo quando erano in gioco gli interessi della Germania.

Politico ha raccontato il 2023 di Ursula von der Leyen e il suo rapporto con Giorgia Meloni. 

Il problema vero del rapporto con Meloni è il fattore S, cioè Salvini: potrebbe essere bloccata da logiche interne relative ai partiti di destra italiani. Von der Leyen potrebbe essere la prossima presidente della Commissione, ma si parla anche di Draghi che sarebbe una bella cosa. Il problema non è tanto il rapporto personale tra von der Leyen e Meloni, ma il salto di qualità che deve compiere il premier: deve smetterla di essere europeista quando conviene e anti europeista quando non le conviene.

Madre Patria Ue, la riflessione contenuta nel suo libro come si potrebbe allargare all’Europa?

La ricchezza dell’Europa sta nel suo pluralismo, però la difesa del suo pluralismo passa attraverso l’unione con una maggiore coesione interna. Questo è il punto. Non c’è nessuna contraddizione tra nazioni e unione, perché le parti nazionali sono difese in quanto esiste la patria comune europea, altrimenti diventerebbero delle patrie fuori tempo massimo.

@FDepalo

5835.- Delusione e corruzione, in Ucraina è fuga dalla guerra

Siamo diventati becchini in nome della difesa di uno stato provocatore, infine, aggredito. Benché l’Ucraina non sia membro della NATO, tutto il potenziale dell’alleanza ha preso la via dell’Ucraina. Tonnellate di armi che finiranno in buona parte in mano alle mafie e ai gruppi terroristi e tutto per tentare di realizzare il sogno secolare dei massoni angloamericani di dominare l’immensa Federazione Russa.

Il bisogno di pace tra gli alleati europei ha prodotto solo tensioni. Nemmeno conta che non siano stati consultati da Washington. Vale il caso delle bombe a grappolo con qualche timido dissenso, Di Meloni, per esempio.

Ad oggi, tutta questa ricchezza sottratta ai popoli dell’Occidente è servita a guadagnare appena 15 km di territorio e non parliamo delle centinaia di migliaia di morti, delle bande di arruolatori in Ucraina. Anche se le facce di bronzo si avvinghiano agli scranni, sono state violentate le costituzioni. L’Europa non sarà più sé stessa, ma nemmeno gli Stati Uniti.

La guerra continuerà in autunno e, poi, in inverno e fino a quando gli americani, per primi, capiranno di dover passare la mano a un timoniere degno della nostra civiltà. É possibile e anche probabile che, per esaurimento, si giunga a una trattativa per la legittimazione e per il riconoscimento delle repubbliche russofone del Donbass. Contemporaneamente, la trattativa consentirebbe l’ingresso dell’Ucraina nella NATO, ma questo significherebbe la fine di Zelensky – e, pazienza – e l’insicurezza delle frontiere russe. Gli Stati Uniti, in mano a Biden e chi con lui, ci stanno trascinando in un baratro.

Da La Nuova Bussola Quotidiana, di Gianandrea Gaiani, 16 agosto 2023

Il recente scioglimento dei Comitati militari regionali deciso da Zelensky evidenzia il livello di corruzione alimentato dalle migliaia di uomini che cercano di sfuggire al fronte. E intanto il procuratore Gratteri lancia l’allarme sulle armi occidentali date a Kiev e già sul mercato nero, a disposizione delle mafie.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky

L’ultimo scandalo legato a corruzione e malversazione nello sforzo bellico dell’Ucraina è venuto a galla ieri, con l’arresto nella regione centro-orientale di Khmelnytsky, di un commissario militare sorpreso dai servizi di sicurezza interni mentre riceveva una tangente. Lo hanno riferito gli organi inquirenti, precisando che l’uomo avrebbe ricevuto 4.500 dollari da una persona che voleva sfuggire all’arruolamento. In cambio della tangente il commissario avrebbe promesso d’influenzare la commissione medica militare per farlo dichiarare disabile e quindi non idoneo al servizio militare: diagnosi che consente ai maschi ucraini tra i 18 e i 60 anni di non essere più soggetti alla coscrizione né al divieto di recarsi all’estero.
Il commissario è stato rimosso dall’incarico e rischia fino a otto anni di carcere.

La corruzione dei commissari adibiti al reclutamento non riguarda certo solo la regione di Khmelnytsky (una delle più colpite nelle ultime settimane dai bombardamenti di precisione russi scatenati contro depositi di armi e munizioni) e del resto l’11 agosto il presidente Volodymyr Zelensky ha annunciato durante una riunione del Consiglio per la Sicurezza Nazionale lo scioglimento di tutti i comitati militari regionali. La decisione è stata presa dopo i risultati emersi dalle ispezioni che hanno portato ad avviare procedimenti penali contro 112 funzionari e commissari nelle regioni di Donetsk, Poltava, Vinnitsa, Odessa, Kiev e Lviv.

Secondo quanto emerso dalle ispezioni, ha spiegato Zelensky, vi sono stati casi di «arricchimento illegale e fondi ottenuti irregolarmente per profitti personali».  Nell’ultimo mese alcuni responsabili dei Centri territoriali di reclutamento e sostegno sociale sono stati coinvolti in scandali con casi anche eclatanti come quelli a Odessa e Dniepropetrovsk, dove funzionari hanno ottenuto immobili all’estero e auto di lusso in cambio della cancellazione dei nomi di alcuni uomini chiamati alle armi.

«La soluzione è sciogliere i comitati militari regionali. Cinismo e corruzione in tempo di conflitto equivalgono a tradimento», ha detto Zelensky, aggiungendo che «questa struttura dovrebbe essere gestita da persone che sanno esattamente cosa è la guerra, da soldati che sono stati al fronte e che non possono più stare in trincea perché hanno perso la salute o gli arti, ma hanno conservato la dignità e non hanno cinismo. Prima della nomina dei nuovi commissari militari ci saranno controlli da parte del servizio di sicurezza», ha assicurato Zelensky.

Malaffare e malversazione non sono certo una novità in Ucraina, in testa fin da molto prima della guerra a tutte le classifiche negative di malgoverno e corruzione, ma il pessimo andamento del conflitto ha ingigantito il problema dei tanti uomini – giovani e meno giovani – che cercano in ogni modo di evitare l’arruolamento per non venire inviati nei tritacarne della controffensiva ucraina, che in due mesi e mezzo ha già provocato perdite stimate in 45/50 mila uomini.
Sui social si moltiplicano le immagini di giovani inseguiti e bloccati per strada, con la forza, dalle squadre di arruolatori, e del problema comincia a parlare anche la stampa internazionale, soprattutto quella anglosassone. «Perché non possiamo essere onesti sulla controffensiva dell’Ucraina?» commentava ieri Adam Creighton su The Australian criticando i media occidentali che «hanno creato l’impressione che l’Ucraina stia vincendo».

Nei giorni scorsi il Washington Post (WP) da Smila, nell’Ucraina centrale, riportava la testimonianza della fornaia Alla Blyzniuk, 42 anni, che vende ogni giorno dolci per i ricevimenti funebri mentre i genitori si preparano a seppellire i loro figli uccisi sul fronte a centinaia di chilometri di distanza.
Prima, ha detto, anche quando la situazione era dolorosa, «le persone erano unite». Si sono offerti volontari, hanno preparato i pasti l’uno per l’altro e hanno consegnato cibo ai soldati. Ora, ha detto, c’è un senso di delusione collettiva. Blyzniuk vive anche nella paura che suo marito o due figli in età da combattimento vengano mobilitati. Ha già notato che molti meno uomini camminano per le strade della sua città rispetto a prima. L’Ucraina non rivela il numero delle sue perdite militari, ma tutti condividono storie, ha detto, di reclute al fronte sopravvissute solo due o tre giorni.

Un militare dei reparti sanitari ha detto al WP che «a volte i corpi dei soldati sono così fatti a pezzi che devono usare due o tre sacchi per contenerli. Ci sono momenti in cui un soldato viene restituito con solo il 15% del corpo. Non ho mai visto così tanto sangue prima».
Brucia anche il contrasto tra i drammi della guerra e la vita “normale” di tante persone a Kiev. Yulia Paltseva, 36 anni, ha detto sempre al Washington Post di essere rimasta scioccata dal modo in cui i residenti di Kiev continuano a fare feste e socializzare mentre il suo ragazzo è al fronte e sarà presto trasferito a combattere vicino a Bakhmut.

Zelensky dal vestibolo ha invitato gli ucraini in vacanza nei club e nei bar a prendere parte alla sua guerra: «Tutti sono in guerra, l’Ucraina è in guerra. E chi non combatte in prima linea dovrebbe aiutare a combattere, e non nei bar o nei club, non correndo per le strade o ostentando l’acquisto di beni di consumo, ma con un consumo che sia di aiuto ai soldati», ha detto. Testimonianze specifiche cui vanno aggiunte le continue manifestazioni spontanee a Kiev e in tante città ucraine in cui madri e mogli chiedono notizie dei propri cari poiché «tantissimi militari risultano dispersi».

Il Financial Times racconta che il numero di uomini fermati al confine mentre cercava di fuggire all’estero equivale agli effettivi di cinque brigate dell’esercito ucraino. Il portavoce del servizio di frontiera ucraino Andrey Demchenko, ha rivelato che 13.600 maschi in età di arruolamento sono stati catturati mentre tentavano di attraversare il confine al di fuori dei valichi di frontiera mentre altri 6.100 sono stati fermati con documenti falsi ai punti di controllo regolari.

Le altissime perdite militari tra caduti, feriti e mutilati (tra 20 e 50mila secondo le stime molto vaghe di un’inchiesta del Wall Street Journal di inizio agosto), la crescente percezione che la carneficina in atto sarà inutile, unite alla consapevolezza che esponenti delle élite riescono a sfuggire all’arruolamento oltre ad arricchirsi col conflitto, stanno minando il “fronte interno”, inficiando la compattezza sociale degli ucraini di fronte alla guerra.

Il tema della corruzione dilagante in Ucraina poi, ha riflessi anche sulla crescente mole di armi occidentali fornite a Kiev, trafugate e già uscite dai confini ucraini per alimentare traffici rivolti ad armare milizie, gruppi terroristici e criminali.
In Italia è tornato a parlare di questo tema spinoso il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, presentando il 12 agosto a Lido di Camaiore (Lucca) il suo l’ultimo libro “Fuori dai confini. La ‘ndrangheta nel mondo”, scritto insieme allo storico Antonio Nicaso. «L’attuale guerra russo-ucraino è stata capace di portare anche le mafie ucraine in Occidente» ha detto Gratteri. «Ora che sono in Europa fanno qui i loro affari. Perché, chiedo, non è stato pensato un sistema di tracciamento di armi micidiali che ora sono già sul mercato e che con 30mila euro si acquistano e sono potenti, dieci volte più potenti di un bazooka? Quelle armi presto saranno nelle mani delle nostre mafie».

5751.- Quando la Russia voleva entrare nella Nato

L’esercito del III° Reich fu finanziato dall’Élite americana in chiave anti URSS. Dopo la Guerra Fredda, Mosca guardava a Ovest con benevolenza e considerava la possibilità di poter entrare nell’Alleanza Atlantica. Washington, alla ricerca del dominio finanziario, non ha voluto accettare che la Russia fosse una potenza globale. La guerra della Nato finirà e l’Europa, la Russia e gli Stati Uniti torneranno a guardarsi.

L’emisfero Boreale è un unicum

Da Insideover, di Paolo Mauri , 8 NOVEMBRE 2021, ma vale la pena di rileggerlo.

Russia e Occidente, intendendo con quest’ultimo termine il Vecchio Continente e gli Stati Uniti, non sono sempre stati gli avversari che si scambiano colpi da Guerra Fredda come sono oggi. C’è stato un tempo in cui Mosca guardava a ovest con benevolenza, tanto da considerare di poter entrare nell’Alleanza Atlantica, che di rimando auspicava di poter allargare il suo braccio a est per “normalizzare” quello stato/continente che è la Russia e che ha rappresentato storicamente il suo acerrimo nemico dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

La dissoluzione dell’Unione Sovietica ha portato il mondo ad avere un’unica grande potenza: gli Stati Uniti. L’Occidente era risultato vincitore della Guerra Fredda e la Nato nei primi anni ’90 del secolo scorso stava attraversando un profondo riassetto ideologico/strutturale al punto che qualcuno, internamente, si stava chiedendo se avesse ancora senso continuarne l’esistenza. La fine della contrapposizione in blocchi aveva infatti aperto la questione dell’ambiguità sulla natura dell’Alleanza, oscillante tra quella di ordine militare e quella di sicurezza collettiva, che poi fu presa in carico da Bruxelles.

La Nato quindi è trasfigurata, in quel periodo, sia per sopravvivere – in quanto i benefici della sua sopravvivenza erano superiori ai costi del suo mantenimento – sia per affrontare nuove minacce non più “statuali”: asimmetriche, cyber, terroristiche ecc. L’Alleanza ha mutato pelle e non ha continuato a essere un organismo puramente difensivo, bensì uno capace di azioni proattive proprio nel quadro della dottrina di mantenimento della sicurezza internazionale.

Nel 1994 subisce una riorganizzazione strutturale con la nascita della Combined Joined Task Force per poter effettuare missioni fuori area ad hoc con tutti gli strumenti militari combinati necessari; i comandi vengono riformati, ma soprattutto diventa esecutiva la Partnership For Peace (Pfp), il primo degli strumenti burocratici per permetterne l’allargamento con l’ingresso di quegli Stati che volessero farne parte.

A giugno di quel fatidico anno la Russia accettò di firmare il documento quadro della Pfp, considerata come “l’anticamera” del formale ingresso nella Nato. Da quando era stato proposto il concetto di Partnership For Peace, nell’ottobre 1993, il governo russo aveva cercato di sondare le intenzioni dell’Alleanza, chiarendo le proprie ambizioni e adeguando la propria politica estera ai processi politici interni. Quel processo funzionò, e allora veramente si riteneva che l’ingresso di Mosca nella Nato fosse solo questione di tempo.

I rapporti tra Russia e Occidente, però, non sono rimasti costanti dal 1994, e riflettono quelli tra Mosca e Washington, essendo quest’ultima – fondamentalmente – quella che gestisce e determina la politica della Nato in qualità di alleato più forte. Storicamente possiamo dividerli in tre fasi: la prima, durata dal 1992 sino al 2003, caratterizzata da una cooperazione asimmetrica, la seconda, dal 2004 al 2013, definibile come “di competizione pragmatica” e una terza, dal 2014 a oggi, di scontro.

Sappiamo bene le motivazioni di questo scontro che perdura ancora oggi (Crimea), pertanto ci interessa focalizzarci sulla prima fase che è quella in cui Russia e Occidente sono state più vicine che mai.

Allora era un Paese molto diverso, che faticava a uscire dalla terribile crisi generata dalla fine del sistema socialista, in cui l’irruzione del capitalismo aveva causato una polarizzazione della società mai vista con gli oligarchi che sempre più diventano terminali ultimi del potere, anche politico.

Boris Eltisn ed Evgenij Primakov – suo ministro degli Esteri – pensano che avvicinarsi all’Occidente e alla Nato potesse in qualche modo essere utile a stabilizzare il Paese e esautorare gli oligarchi, nonostante proprio Primakov sia sempre stato sostenitore di una visione globale multipolare e abbia contestato il primato Usa nel mondo, ovvero, sostanzialmente, l’eccezionalismo occidentale anche dal punto di vista morale. Per lui il mondo deve essere multipolare, cioè reggersi su una collaborazione “condominiale” dello scenario internazionale: riflessioni che Primakov ha solo perfezionato essendo presenti nella filosofia politica russa da almeno due secoli, se pur in modo differente.

La prima rottura con l’Occidente, in pieno clima Pfp, si ha nel 1999, quando la Nato attacca la Serbia: l’aereo di Primakov, che doveva partecipare a un vertice a Washington, quella notte, in pieno Atlantico, fa inversione di rotta e torna a Mosca. Un segnale fortissimo che genera “fastidio” alla Casa Bianca e che segna un primo stop all’“occidentalismo” russo. Il grande allargamento della Nato a Est di quegli anni serve solo a confermare i timori russi già evidenziati dai bombardamenti dell’Alleanza su Belgrado.

Quando Vladimir Putin sale al Cremlino nel 2000, in un periodo particolarmente favorevole caratterizzato da prezzi del petrolio alti, nonostante riesca a realizzare in parte la contestazione del mondo unipolare di Primakov, si continua a guardare a ovest, ma questa volta pretendendo di essere trattati alla pari dagli Stati Uniti: sono gli anni conosciuti, in Italia, come quelli caratterizzati dallo “spirito di Pratica di Mare”. Ancora quindi si torna a parlare della possibilità, per la Russia, di entrare nella Nato, ma Washington rifiuta un equo partenariato con Mosca causando una seconda nuova chiusura.

Le tensioni e i disaccordi crescono, e si entra in quel periodo che è stato definito di “competizione pragmatica” ovvero di un pragmatismo nella ricerca e difesa degli interessi nazionali russi. Si arriva al 2007 quando da Monaco, alla Conferenza Internazionale sulla Sicurezza, il presidente Putin critica la Nato e gli Stati Uniti per le intrusioni nella sfera di influenza russa. Da lì a poco ci sarebbe stata la guerra in Ossezia del Sud/Georgia (agosto 2008) e una nuova crisi tra Russia e Nato.

Con l’arrivo di Barack Obama gli Stati Uniti cercano quello che è stato definito “il grande reset” nei rapporti con Mosca: al Cremlino viene anche offerto di entrare nello “scudo missilistico” che si stava erigendo dopo l’uscita unilaterale dal Trattato Abm (Anti Ballistic Missile) degli Usa voluto dal presidente George W. Bush. Mosca però ormai è su un altro binario, anche proprio per via delle continue intrusioni nel suo estero vicino, per il continuo trattamento di subalternità e per la postura statunitense sullo “scudo missilistico” che minaccia direttamente la capacità di deterrenza dell’arsenale nucleare russo – e da qui Mosca comincia gli studi per i suoi veicoli di rientro ipersonici, definiti Hgv (Hypersonic Glide Vehicle).

La rottura definitiva, lo abbiamo già detto, avviene nel 2014 grazie alla questione della Crimea/Donbass e oggi tra la Russia e la Nato sembra che vigano ancora i meccanismi della Guerra Fredda: provocazioni, sospetti, reciproche accuse, contrasto indiretto in altri fronti.

Mosca però, nonostante la politica di protivostoyanie zapadu (contrasto all’occidente), spinta anche dal desiderio di non isolarsi che la ha portata nelle braccia del drago cinese, si sente ancora occidentale come si sentiva ai tempi degli Zar. La Russia è ancora un Paese di cultura europea/occidentale, come lo è sempre stato sebbene la sua politica estera non lo sia per via della sua stessa geografia. Ancora nel 2012, quindi poco prima dell’attuale rottura, il presidente Putin ebbe a dire che la Russia è parte organica della civilizzazione europea e che i cittadini russi si sentono europei, quindi Mosca non ha mai del tutto cessato di vedere l’Europa come un vettore di modernizzazione (come pensava Pietro il Grande).

L’attuale partenariato con la Cina non deve trarre in inganno: si tratta di una necessitàdettata dalle vigenti contingenze, non si tratta né di un’alleanza né di una profonda, intima, comunanza di valori: alla base c’è solo la comune visione della politica estera che rifiuta il ruolo egemonico statunitense e “occidentale” e la rivendicazione del diritto di essere portatori di valori propri, se pur differenti. Culturalmente, sebbene i due Paesi condividano un lungo confine (spesso conteso e oggi molto delicato), non hanno nulla in comune: perfino la parentesi marxista è stata declinata in modo diverso, con divergenze talmente profonde da portare a un vero e proprio gelo (con qualche calda cannonata) che, oltretutto, portò la Cina ad essere avvicinata dagli Stati Uniti di Richard Nixon in chiave antisovietica.

Ecco perché, fondamentalmente, Russia e Occidente – in particolare Russia ed Europa –, nonostante le attuali divergenze e tensioni hanno sempre la possibilità, in futuro, di tornare a stringersi la mano.

5706.- Sconfitto l’esercito ucraino, armato e addestrato dalla NATO, gli USA preparano il nostro olocausto nucleare.

La Federazione Russa resiste e colpisce. L’addestramento dato dalla NATO agli ucraini e la direzione strategica USA hanno fallito vergognosamente. Incapacità? Non penso. Temo piuttosto un piano malefico: Ora cercheranno di lanciare all’attacco gli eserciti europei, per poi colpire le forze strategiche russe mentre saranno impegnate contro di noi, contro le armi nucleari della NATO in Europa. É per questo che la portaerei USS Ford è entrata in Mediterraneo? In nome della libertà, le marionette dei governi occidentali sono pronte a obbedir tacendo e, tacendo, a obbedir! Putin ha rilasciato una valutazione concisa e agghiacciante sulla nostra posizione nello scacchiere:

“Siamo stati costretti a cercare di porre fine alla guerra che l’Occidente ha iniziato nel 2014 con la forza delle armi. E la Russia porrà fine a questa guerra con la forza delle armi, liberando l’intero territorio dell’ex Ucraina dagli Stati Uniti e dai nazisti ucraini. Non ci sono altre opzioni. L’esercito ucraino degli Stati Uniti e della NATO sarà sconfitto, indipendentemente dai nuovi tipi di armi che riceverà dall’Occidente. Più armi ci saranno, meno ucraini e ciò che era l’Ucraina rimarranno. L’intervento diretto degli eserciti europei della NATO non cambierà il risultato. In questo caso, però, il fuoco della guerra coinvolgerà l’intera Europa. Sembra che gli Stati Uniti siano pronti anche a questo”.

La carneficina umana di questi giorni nel Donetsk porta il nome di Joe Biden. Con gli Stati Uniti, l’Ucraina non ha alcuna voce in capitolo. Può soltanto mandare al macello i suoi uomini; ma gli ucraini sono europei, i russi sono europei e gli americani no e gli europei vogliono la pace. “La Nato è pronta a sacrificarci, ma ha già perso la sua guerra e tu, Biden hai già perso le elezioni! Fak you Biden, sei un morto che cammina! “ Fa presto Donald!

Sul fallimento della controffensiva ucraina

Da La Nuova Bussola Quotidiana di Sabino Paciolla, 19 giugno 2023. Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Moon of Alabama. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione. 


Il 4/5 giugno l’esercito ucraino ha lanciato la controffensiva, da tempo annunciata, nel sud-est dell’Ucraina. Dieci giorni dopo non si registrano progressi significativi.

Questo non è il risultato che i propagandisti della guerra si aspettavano:

[Il generale Petreus] ha parlato della situazione in Ucraina al programma Today di Radio 4 della BBC.

Riguardo alla controffensiva, ha detto:

‘Penso che questa controffensiva sarà molto impressionante.

Ho l’impressione che otterranno effetti di armi combinate, in altre parole, riusciranno a portare a termine con successo operazioni di armi combinate in cui ci sono ingegneri che superano gli ostacoli e disperdono i campi minati e così via; i mezzi corazzati che li seguono protetti dalla fanteria contro i missili anticarro; la difesa aerea che tiene lontani i velivoli russi; la guerra elettronica che disturba le loro reti radio; la logistica proprio dietro di loro; l’artiglieria e i mortai proprio di fronte a loro.

E la cosa più importante di tutte… è che quando gli elementi di testa arriveranno inevitabilmente al culmine dopo 72-96 ore, fisicamente è il massimo che si possa fare, e avranno subito delle perdite… si avranno unità successive che si spingeranno fino in fondo e capitalizzeranno i progressi e manterranno lo slancio e penso che questo possa far muovere l’intera difesa russa in quell’area, poi penso che si apriranno altre opportunità anche sui fianchi”.

Nella realtà, gli elementi principali dell’attacco ucraino sono stati massacrati. Sono “giunti al culmine”, cioè hanno perso la loro capacità di ulteriori attacchi, in meno di un giorno:

Gli uomini della 37a brigata ucraina erano stati addestrati di recente e armati con armi fornite dall’Occidente, con l’incarico di effettuare una spinta iniziale attraverso il territorio occupato dai russi nei primi giorni di una controffensiva a lungo attesa.

Avrebbero pagato un prezzo pesante.

Nei 20 minuti successivi alla loro avanzata del 5 giugno a sud di Velyka Novosilka, nella regione sud-orientale di Donetsk, i mortai sono esplosi intorno a loro, hanno raccontato i soldati. Un soldato di 30 anni, noto come Lumberjack, ha visto due degli uomini nel suo veicolo sanguinare pesantemente; uno ha perso un braccio mentre gridava per la sua famiglia. Lumberjack si è infilato in un cratere, ma le schegge di un mortaio hanno attraversato il terreno e gli hanno trapassato la spalla.

“Siamo stati lasciati lì sul campo, senza carri armati o armature pesanti”, ha detto Lumberjack, che ha parlato con il Washington Post a condizione di essere identificato solo con il suo nome di battaglia perché non era autorizzato a parlarne. “Ci hanno bombardato con i mortai da tre lati. Non potevamo fare nulla”.

L’unità era composta da meno di 50 uomini, ha detto, e 30 non sono tornati – sono stati uccisi, feriti o catturati dal nemico. Cinque dei veicoli blindati dell’unità sono stati distrutti nella prima ora.


Chiunque abbia addestrato queste unità ha commesso gravi errori:

Per la prima ora e mezza dell’assalto del 37° vicino a Velyka Novosilka, i russi hanno bombardato l’unità con bombardamenti senza sosta che hanno penetrato i loro veicoli blindati AMX-10 RC, secondo Grey, un altro soldato del battaglione che ha parlato a condizione di essere identificato solo con il suo nome di battaglia. I veicoli blindati, a volte chiamati “carri armati leggeri”, non erano abbastanza pesanti per proteggere i soldati, ha detto Grey, e dovevano essere posizionati dietro di loro invece che davanti.

L’AMX-10 non è un carro armato e non può essere usato come tale. È un veicolo da ricognizione leggero su ruote costruito dalla Francia 50 anni fa per dominare gli insorti nelle sue ex colonie africane. Una delle sue caratteristiche principali è quella di avere una buona velocità in retromarcia. In questo modo è in grado di uscire di scena non appena vengono individuate serie forze di contrasto.

Il contrattacco ucraino è ora bloccato nella zona di sicurezza della difesa russa, a chilometri di distanza dalle vere linee di difesa. Questo era prevedibile.

Come il manuale di campo statunitense 100-2-1 descriveva l’esercito sovietico in difesa (pag. 93 e seguenti):

Quando la difesa viene stabilita prima del contatto con il nemico, i sovietici stabiliscono un echelon di sicurezza fino a 15 chilometri davanti all’area difensiva principale. Gli elementi che compongono lo scaglione di sicurezza provengono dal secondo scaglione della divisione. Una forza di sicurezza fino a un battaglione può essere dispiegata davanti a ogni reggimento di prima linea.

Viene sviluppato un piano di fuoco dettagliato e coordinato. Le armi sono posizionate in modo che la massima quantità di fuoco possa essere portata direttamente di fronte al [bordo anteriore dell’area di battaglia]. Le penetrazioni nemiche vengono smussate spostando il fuoco dell’artiglieria e conducendo contrattacchi.

L’esercito ucraino ha utilizzato almeno quattro brigate per il suo attacco. Almeno due di queste provenivano dalla riserva di 12 brigate che era stata costituita per il contrattacco. Con perdite di circa il 30%, le truppe coinvolte sono state seriamente danneggiate per poco o nessuno guadagno:

I russi stanno cercando di infliggere il maggior numero di vittime e di distruggere il maggior numero possibile di veicoli in una zona di battaglia davanti alla linea difensiva principale, svuotando le forze ucraine prima che la raggiungano. In effetti, l’area di fronte alla linea difensiva principale viene trasformata in una zona di morte.

Se la strategia russa si rivela efficace, l’Ucraina potrebbe perdere troppe truppe appena addestrate – che sono decine di migliaia – e troppi carri armati e veicoli da combattimento di fanteria per sfondare la linea principale.

Anche se dovessero arrivare a quel punto, le forze potrebbero essere troppo indebolite per dirigersi verso sud e contribuire a raggiungere un obiettivo importante: interrompere il cosiddetto ponte di terra che collega la Russia alla penisola della Crimea occupata. Ciò avverrebbe raggiungendo il Mar d’Azov, a circa 60 miglia di distanza. Le forze ucraine non erano ovviamente addestrate per questo. Inoltre, hanno attaccato in troppi punti. La mappa in alto mostra frecce di attacco in 7 punti e quattro direzioni principali. Una o due direzioni di attacco, con forze più concentrate, avrebbero potuto dare risultati migliori.

Il Presidente russo Putin ha recentemente descritto le perdite ucraine:

Non voglio fornire il numero delle perdite di personale. Lascerò che sia il Ministero della Difesa a farlo dopo aver controllato i numeri, ma la struttura delle perdite è sfavorevole anche per loro. Intendo dire che di tutte le perdite di personale – e si stanno avvicinando a un numero che può essere definito catastrofico – la struttura di queste perdite è sfavorevole per loro. Perché, come sappiamo, le perdite possono essere sanitarie o irrecuperabili. Di solito, temo di sbagliare un po’, le perdite irrecuperabili si aggirano intorno al 25%, massimo 30%, mentre le loro perdite sono quasi al 50%. Questo è il mio primo punto.

In secondo luogo, se consideriamo le perdite irrecuperabili, è chiaro che la parte che difende subisce meno perdite, ma questo rapporto di 1 a 10 è a nostro favore. Le nostre perdite sono un decimo di quelle delle forze ucraine.

Dall’inizio del contrattacco, il rapporto giornaliero russo ha elencato un totale di circa 10.500 vittime ucraine.

Si prevede un secondo grande tentativo di attraversare il Forward Edge of the Battle Area (FEBA) con le rimanenti forze ucraine, ma è improbabile che l’esito sia migliore. Il contrattacco ucraino, promosso da tempo, finirà probabilmente con alte perdite e nessun guadagno per gli ucraini.

Questo diventerà presto un enorme problema politico:

In vista della campagna per la rielezione del prossimo anno, Biden ha bisogno di una grande vittoria sul campo di battaglia per dimostrare che il suo sostegno incondizionato all’Ucraina ha rafforzato la leadership globale degli Stati Uniti, ha rinvigorito una politica estera forte con un sostegno bipartisan e ha dimostrato l’uso prudente della forza militare americana all’estero.

Un risultato confuso di guadagni limitati in Ucraina fornirebbe materiale per tutte queste critiche e intorbidirebbe ulteriormente le acque già torbide del dibattito della NATO e dell’Unione Europea sulla futura posizione nei confronti dell’Ucraina e della Russia. Un successo meno che “schiacciante” probabilmente aumenterebbe anche la pressione dell’Occidente per spingere Kiev a negoziare una soluzione territoriale che potrebbe non essere di suo gradimento.
L’amministrazione Biden può fare ben poco per cambiare questo quadro desolante. Il Congresso probabilmente gli impedirà di utilizzare apertamente l’esercito statunitense in Ucraina. Gli alleati europei della NATO hanno visto cosa può fare l’esercito russo ai suoi nemici. Non saranno ansiosi di vedere fare lo stesso alle proprie truppe.

L’unica via d’uscita è rappresentata dai negoziati.

La domanda per la Russia è quando e con chi. I colloqui con la sola Ucraina, un semplice proxy degli Stati Uniti senza alcuna voce in capitolo, sarebbero insufficienti. È il governo statunitense che deve accettare una nuova architettura di sicurezza in Europa. Le condizioni russe per la pace saranno dure e ci vorrà ancora molto tempo, e molti ucraini morti, prima che gli Stati Uniti le accettino.

5659.- Il Memorandum d’intesa (MoU) del 27 aprile con il Regno Unito e la politica estera di Giorgia Meloni

Dall’analisi del pensiero di Henry Kissinger, abbiamo tratto la conferma che la politica estera dell’Occidente ha sofferto di scarsa preveggenza, almeno a partire da Obama e, sicuramente, con la presidenza Biden. La politica estera dell’Italia, afflitta in particolare dalla endemica divisività politica, non ha le risorse per fungere da battistrada in Mediterraneo, né verso l’Europa né verso l’Africa. Questa divisività è tanto più negativa quanto espressione di una opposizione da parte di una politica di sinistra senza valore. In tutto questo, la Nato è la pietra angolare di questa nostra politica e va a impattare sulle scelte di politica interna, oggi, come domani in caso di nuova vittoria del presidente Donald Trump.

Di fronte all’inconsistenza della politica estera dell’Unione europea e, in particolare, all’inconcludenza dell’asse Parigi-Berlino, al tiepido interesse di Washington per il Mediterraneo, allargato o no, alla intraprendenza dirompente di Ankara, serviva un cambio di passo. Lo scorso aprile il Governo Meloni si è risolto a rafforzare il dialogo e la cooperazione strategica con il Regno Unito e, più precisamente, con quella associazione che consideriamo il motore della politica estera e finanziaria di Londra e non solo, la Fabian Society, istituita a Londra nel 1884 – si disse, con lo scopo di elevare le classi lavoratrici per renderle idonee ad assumere il controllo dei mezzi di produzione. 

Viene da pensare alla diversa scelta operata dalla monarchia e dal fascismo alle soglie della seconda guerra mondiale: scelta ingenua, suicida, ma più ancora ignorante della storia e presuntuosa per i nostri poveri limiti, poveri in tutti i sensi. Il parallelo non vuole rivelare né sostenere aspirazioni dell’Italia pari, sia pure in valore assoluto a quelle illusorie del ventennio. Neppure e pur auspicandolo, condividiamo il titolo di “Piano Mattei” dato dal Governo alla politica per l’Africa, il suo sviluppo e il contrasto fattivo all’immigrazione. Il grande italiano che fu Enrico Mattei fu travolto dal suo stesso successo. 

Più realisticamente, l’Italia è la porta dell’Africa per l’Europa, ma si viene spesso a trovare fuori dai giochi, finora inconcludenti, condotti a Bruxelles dall’asse franco-tedesco. La fedeltà dell’Italia alla Nato e a Washington è cieca, ma non basta perché, contemporaneamente, la penisola è immersa in un Mediterraneo, sempre più allargato, che già viene attraversato dalle rotte della Nuova Via della Seta e dove finora è prevalso lo statista Erdogan. 

In tutto questo, si è posta in modo inderogabile la necessità di fare fronte alla prevista sostituzione delle rotte commerciali mediterranee con quelle artiche. 

Con la guerra dichiarata dalla Nato alla Federazione russa, la complessità della situazione geostrategica ha raggiunto limiti non gestibili da Roma, neppure seguendo le linee di Washington e di Bruxelles ed ecco la necessità di condividere un dialogo strategico a tutto tondo con un partner come il Regno Unito, con il quale poter mettere in colonna e affrontare le molteplici sfide a livello globale.

Giorgia Meloni e Rishi Sunak hanno iniziato un cammino. Al Mediterraneo, crocevia di culture, razze, religioni, serve stabilità, non ultimo, per affrontare il confronto fra il mondo arabo e la radice culturale europea che ha generato la democrazia; che fonda sul rispetto dell’essere umano, della donna, la dignità e le libertà. L’intera popolazione musulmana del Mediterraneo, come oggi lo intendiamo allargato, ha bisogno di decidere se attualizzare il Corano, meglio, l’ortodossia islamica, con il rispetto dei Diritti Umani sanciti dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, sopratutto nel Diritto di Famiglia. Le tre religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo, islamismo possono convivere pacificamente se “nessun credente si opporrà alla religione di un altro credente” (Così, nel nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso, dalla Carta di Medina). La nomina di Luigi Di Maio, Rappresentante Speciale dell’Ue nel Golfo, assolutamente insufficiente per affrontare questo cammino è un’altra dimostrazione di quanto fallimentare sia l’impostazione data all’Unione europea.

Giorgia Meloni e Rishi Sunak fanno entrambi parte della Fabian Society.

La Guerra del Donbass

In questa rapida disamina, abbiamo volutamente soprasseduto a ogni commento verso la cosiddetta “guerra di aggressione” della Federazione Russa verso l’Ucraina, tranne puntualizzare e marcare la fedeltà incondizionata dell’Italia alla Nato e a Washington. La guerra dichiarata da Washington attraverso la Nato alla Federazione Russa è stata imposta dall’emergere delle potenze asiatiche e, anzi tutte, da Pechino a livello globale. Era l’unica via possibile? Può darsi di no, ma la Federazione Russa in campo occidentale avrebbe, prima o poi, richiesto un chiarimento delle rispettive posizioni.

La firma del Memorandum d’intesa (MoU) del 27 aprile, ha sottolineato che Londra e Roma si sono costituite in un polo per quanto concerne le sfide più urgenti: la sicurezza globale e la cooperazione in materia di difesa; il contrasto all’immigrazione clandestina; il rafforzamento della sicurezza energetica; la lotta al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità; la difesa della democrazia; i diritti umani e lo stato di diritto; la realizzazione di una crescita economica in un contesto commerciale aperto; il conferimento di priorità allo sviluppo sostenibile; l’espansione delle frontiere della scienza e dell’innovazione; e la promozione dei rapporti tra società civili. Il documento ha ribadito – e non poteva essere diversamente – la condanna all’invasione russa in Ucraina e l’impegno a sostenere Kiev e conferma il supporto all’Ucraina sia in ambito militare sia verso la popolazione.

The Guardian ha pubblicato un articolo intitolato “Le forze speciali britanniche hanno operato segretamente in 19 paesi dal 2011”

Sebbene il Regno Unito non sia parte del conflitto nel Donbass, non è casuale che almeno 50 unità delle forze speciali britanniche SAS stiano già combattendo in Ucraina da gennaio. È noto che le unità militari d’élite tendono ad operare in segreto, senza l’approvazione pubblica delle loro attività da parte dei loro ministri. Il SAS può essere dispiegato senza l’approvazione della Camera dei Comuni e le sue azioni non sono soggette a indagine da parte di alcuna commissione parlamentare.

Attraverso il memorandum con l’Italia, il governo britannico mantiene una presenza nell’Ue, tuttavia, i poteri ampi che caratterizzano l’impiego delle forze speciali dell’Inghilterra devono essere motivo di attenzione. Infatti, come ha affermato Ian Overton, direttore esecutivo di AOAV“Il diffuso dispiegamento di forze speciali britanniche in molti paesi negli ultimi dieci anni ha sollevato serie preoccupazioni sulla trasparenza e il loro controllo democratico”.

La Gran Bretagna, come gli Stati Uniti, è una potenza marittima e gli inglesi sono noti per essere particolarmente abili nell’organizzare colpi di stato, proteste di massa e altre attività sovversive. I combattenti del SAS hanno un buon record di omicidi a contratto di politici di spicco, reclutamento di agenti, anche nelle alte sfere, e preparazione di attacchi terroristici.

Oltre al Guardian abbiamo visto rapporti di altri media menzionare le forze speciali britanniche coinvolte in Ucraina nei combattimenti a fianco delle forze armate ucraine. Ciò malgrado da parte britannica fosse stato affermato che i militari britannici in Ucraina erano coinvolti solo in compiti di sorveglianza all’ambasciata britannica e addestrativi per i soldati dell’AFU.

La Russia sta pagando col sangue la sua vittoria e la guerra del Donbass non finirà in una nuova Corea né diverrà perenne come in Israele. Possiamo auspicare che la ripresa economica dell’Ucraina condurrà alla stabilizzazione e alla ripresa della crescita di quelle europee. Il Governo italiano ha già posto le basi per la nostra partecipazione alla ricostruzione dell’Ucraina. Sappiamo che, prima dell’Operazione speciale russa, Dupont, Cargill, Monsanto e la Cina hanno acquistato oltre metà dei terreni coltivabili dell’Ucraina e speriamo che il contributo italiano vada oltre lo sminamento, come avvenne nei Balcani. La linea politica del presidente Biden non è condivisa da tutto il popolo degli Stati Uniti e la campagna elettorale in America ne terrà conto. Duole affermarlo, ma decideranno prima le armi sul campo e, poi, la diplomazia, sul come dare all’Occidente quell’assetto che ci consenta di fare fronte all’Asia. 

Il Memorandum d’intesa (MoU) del 27 aprile sulla Cooperazione Bilaterale tra il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana e il Primo Ministro del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord 

1. Noi, il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana e il Primo Ministro del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (insieme, le “Parti”), 

2. consapevoli della nostra storica amicizia e del nostro comune retaggio europeo,

3. riconoscendo che siamo partner con visioni affini a livello globale che condividono una visione comune su un ampio ventaglio di tematiche internazionali, 

4. richiamando altresì il nostro produttivo dialogo su tutte le questioni di interesse condiviso, sulla base del positivo dialogo bilaterale nella cornice degli annuali Seminario di Venezia e Conferenza di Pontignano, 

5. e constatando il nostro convinto impegno per il mantenimento di un ordine internazionale aperto e stabile, e per la sicurezza e la stabilità dell’Europa, della Comunità euro-atlantica e della più ampia Comunità internazionale, attraverso un approccio multilaterale con al suo centro il sistema delle Nazioni Unite, 

6. consapevoli dei forti legami economici bilaterali e del contributo significativo che i cittadini italiani nel Regno Unito e i cittadini britannici in Italia hanno dato alla prosperità dei Paesi che li ospitano, e riconoscendo come tale contributo continuerà a ricoprire un ruolo significativo, 

7. alla luce delle molteplici, inedite sfide che stiamo affrontando a livello globale, in particolare la guerra di aggressione della Federazione russa contro l’Ucraina, che rappresenta una minaccia concreta alla nostra sicurezza e ai nostri valori comuni, 

8. abbiamo deciso di rafforzare il dialogo e la cooperazione strategica tra i nostri due Paesi, in piena coerenza e complementarietà con l’appartenenza dell’Italia all’UE, con le relazioni che il Regno Unito ha stabilito con l’UE attraverso l’Accordo di Recesso e l’Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione, e con gli altri accordi e strumenti che abbiamo in essere o che potremmo concludere in futuro. 

9. A questo fine, ci impegniamo a rafforzare il nostro fondamentale partenariato strategico attraverso consultazioni strutturate e una più intensa cooperazione nei settori descritti nel presente Memorandum d’Intesa, coinvolgendo attivamente in questo processo tutti i rilevanti attori dei nostri rispettivi Governi e Pubbliche Amministrazioni. 

10. In particolare, ci concentreremo sulle sfide più urgenti che abbiamo dinnanzi: la sicurezza globale e la cooperazione in materia di difesa; il contrasto all’immigrazione clandestina; il rafforzamento della sicurezza energetica; la lotta al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità; la difesa della democrazia; i diritti umani e lo stato di diritto; la realizzazione di una crescita economica in un contesto commerciale aperto; il conferimento di priorità allo sviluppo sostenibile; l’espansione delle frontiere della scienza e dell’innovazione; e la promozione dei rapporti tra società civili. 

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11. Svilupperemo altresì ulteriormente i nostri rapporti economici bilaterali e il dialogo e la collaborazione tra i settori privati dei nostri Paesi, in tutti i settori rilevanti. Le attività focalizzate sul rafforzamento della nostra cooperazione economica incluse nel presente Memorandum d’Intesa sono complementari a quelle previste dal Dialogo sulla Promozione delle Esportazioni e degli Investimenti firmato a Roma l’8 febbraio 2023. 

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1. PoliticaEstera,SicurezzaGlobaleeCooperazionenelSettoredellaDifesa 

1. Sulla base dell’esistente Dialogo Strategico sulla Politica Estera e di Sicurezza e la Cooperazione Bilaterale, stabilito con la Dichiarazione d’Intenti del 13 marzo 2019 e ampliato con l’Annesso del 29 marzo 2021, e dell’aggiornata Dichiarazione d’Intenti tra Italia e Regno Unito sulla Cooperazione Bilaterale nel Settore della Difesa firmata nel febbraio 2023, promuoveremo una più stretta cooperazione bilaterale per rafforzare il nostro fondamentale partenariato strategico attraverso consultazioni, coordinamento, scambio di informazioni e cooperazione a tutti i livelli ritenuti appropriati, al fine di affrontare le comuni sfide globali. 

2. Ribadiamo la nostra ferma condanna della guerra di aggressione della Federazione russa e siamo impegnati nel proseguire a sostenere l’Ucraina, la sua integrità territoriale, sovranità e indipendenza, nel quadro delle organizzazioni e dei partenariati internazionali. Richiamiamo la determinazione del G7 nel prosieguo del sostegno all’Ucraina, anche attraverso la fornitura di assistenza militare e di difesa, nell’esercizio del suo diritto di autodifesa contro l’invasione russa e in vista di scoraggiare futuri atti di aggressione, e siamo impegnati in uno sforzo coordinato nel soddisfare i bisogni dell’Ucraina per tutto il tempo che si renda necessario. Coordineremo i nostri sforzi, incluso nel settore dell’addestramento, per promuovere una pace complessiva, giusta e duratura in Ucraina, basata sul diritto internazionale e in linea con la Carta delle Nazioni Unite. 

3. Nell’accogliere con favore il sostegno che Italia e Regno Unito hanno già fornito all’Ucraina, ivi incluso la fornitura di attrezzature vitali di cui l’Ucraina ha bisogno per l’esercizio del diritto di autodifesa e di assistenza economica, riaffermiamo il nostro impegno a continuare a lavorare insieme per consentire la ripresa economica e la ricostruzione dell’Ucraina. 

4. Focalizzeremo il sostegno alla popolazione ucraina e rafforzeremo il coordinamento nelle iniziative a sostegno della ripresa economica e della ricostruzione per migliorarne l’impatto per l’Ucraina e per il suo popolo – a partire dalla Piattaforma di Coordinamento Multi-Agenzie dei Donatori – e guardiamo con interesse alla Conferenza di Londra sulla Ricostruzione dell’Ucraina di giugno. In particolare, lavoreremo per rafforzare la partecipazione del settore privato agli sforzi per la ricostruzione, sulla base del lavoro svolto dalla Conferenza di Roma. Lo faremo lavorando insieme nell’ambito del G7 su aree che comprendono, tra le altre: la collaborazione tra le istituzioni finanziarie per lo sviluppo, il sostegno alla modernizzazione energetica dell’Ucraina e la collaborazione su iniziative relative all’assicurazione dal rischio di guerra. 

5. Terremo incontri annuali in formato 2 + 2 sulla Politica Estera e di Sicurezza a livello Ministeriale e di Alti funzionari tra il Ministero degli Affari Esteri, del Commonwealth e dello Sviluppo e il Ministero della Difesa britannici da un lato, e il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e il Ministero della Difesa italiani dall’altro, per esplorare le modalità di rafforzamento dell’impegno congiunto volto a promuovere sicurezza e prosperità globali e la risoluzione dei conflitti. Ci impegniamo ad approfondire ulteriormente la nostra cooperazione all’interno del sistema delle Nazioni Unite per affrontare le crescenti sfide alla pace e alla sicurezza globali. 

6. Sulla base del lavoro svolto congiuntamente durante l’Anno delle Presidenze 2021 (G7, G20, COP26), rafforzeremo il coordinamento all’interno dei formati G7 e G20, in modo da aumentare ulteriormente l’efficacia della nostra collaborazione, anche in vista delle nostre rispettive presidenze del G7 (ad esempio, Italia 2024, Regno Unito 2028). 

7. Cercheremo attivamente di ampliare lo spettro delle questioni di interesse strategico oggetto del nostro dialogo. Riaffermiamo il nostro impegno comune per la sicurezza, la stabilità, la prosperità e la sovranità dei Paesi dei Balcani occidentali, e aumenteremo la nostra cooperazione per promuovere questo obiettivo attraverso consultazioni integrate sul Mediterraneo e i Balcani occidentali. 

8. In aggiunta all’Indo-Pacifico, riconosciamo la crescente rilevanza strategica del Continente africano e del Medio Oriente. Rafforzeremo pertanto la nostra collaborazione su Medio Oriente, Nord Africa, Sahel e Golfo di Guinea, nonché sul Corno d’Africa, ivi incluso incrementando la cooperazione e il coordinamento in materia di sicurezza e sviluppo, e nelle iniziative politiche e diplomatiche di sensibilizzazione dei diversi attoriIn particolare, lavoreremo a stretto contatto e scambieremo informazioni sulla Libia, in quanto entrambi membri del formato P3+2 e alla luce del ruolo del Regno Unito di responsabile redazionale per la Libia nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. 

9. Ci coordineremo nell’azione a sostegno di un ordine internazionale basato sul rispetto delle regole, in particolare in merito alle condivise preoccupazioni derivanti dalle sfide poste da attori statali. Invitiamo la Cina ad assolvere alle proprie responsabilità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ivi incluso non fornendo supporto alla guerra illegale della Federazione russa in Ucraina. Lavoreremo insieme con i partner per gestire le crescenti rivalità e competizione sistemica e per rafforzare la sicurezza e la resilienza economica comune. 

10. Riaffermiamo l’importanza della pace e della stabilità nell’area dello Stretto di Taiwan e incoraggiamo la risoluzione pacifica delle questioni tra le due sponde dello Stretto senza il ricorso alla minaccia o all’uso della forza o della coercizione. Ribadiamo la nostra comune opposizione a modifiche unilaterali dello status quo. 

11. Continueremo a manifestare preoccupazione nei confronti della Cina per le sue violazioni dei diritti umani e per gli abusi nello Xinjiang e in Tibet, nonché per la continua erosione dei diritti, delle libertà e dell’autonomia di Hong Kong. Rimaniamo disponibili a lavorare con la Cina sulle sfide globali, ivi incluso il cambiamento climatico, la biodiversità, le questioni sanitarie globali e l’uguaglianza di genere. 

12. Promuoveremo, ogniqualvolta sia possibile, l’inclusione dell’altra Parte in formati plurilaterali che trattano tematiche di interesse strategico per l’altra Parte, senza pregiudizio per i differenti formati di consultazione derivanti dalle rispettive appartenenze all’Unione Europea e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nonché ad altri rilevanti fora internazionali, come la Comunità Politica Europea. Lavoreremo insieme per rafforzare ulteriormente la nostra cooperazione in formati come il G7 o il Quint o in organizzazioni internazionali come il Consiglio d’Europa e l’OSCE. 

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13. In qualità di leader mondiali nella promozione dei diritti umani e dello stato di diritto, l’Italia e il Regno Unito riaffermano il loro fermo sostegno alla lotta contro la violenza sessuale nei conflitti. 

14. L’Italia e il Regno Unito, condividono un comune e profondo rispetto per la libertà di religione o di credo, e intendono rafforzare la loro cooperazione in questo ambito. 

15. Con l’obiettivo della tutela delle nostre rispettive comunità e nell’intento di affrontare le sfide più urgenti per la nostra sicurezza, proseguiremo nella cooperazione a livello di intelligence e tra i canali diplomatici su minacce provenienti da Stati, antiterrorismo, combattenti stranieri, de-radicalizzazione, questioni cibernetiche, minacce ibride e disinformazione da parte di attori statali e non statali, attraverso scambi regolari di informazioni. 

16. Continueremo a sostenere il nostro impegno comune contro la proliferazione delle Armi di Distruzione di Massa e le minacce derivanti dall’intero spettro Chimico, Biologico, Radiologico e Nucleare, promuovendo il dialogo e la condivisione di buone pratiche tra le nostre comunità di esperti. 

17. Sulla base del nostro impegno condiviso in risposta all’illegittima invasione russa dell’Ucraina, continueremo a collaborare strettamente attraverso il G7 in materia di sanzioni, anche per ciò che riguarda la loro applicazione e i rischi di aggiramento. 

18. Sulla base dei recenti sviluppi internazionali e della nostra condivisa esperienza, continueremo a cooperare per rafforzare le nostre rispettive capacità militari, al fine di sostenere la risposta civile alle minacce ambientali, umanitarie, mediche e cibernetiche. 

19. Lavoreremo per preservare e potenziare le basi tecnologiche e industriali nazionali ed europee attraverso una cornice di dialogo e collaborazione, garantendo l’ulteriore sviluppo di un settore industriale della difesa improntato alla collaborazione, solido, e competitivo, in grado di cogliere le potenzialità di sviluppo e di fornire capacità di difesa all’avanguardia, nonché di cogliere potenziali opportunità nel campo dell’esportazione. In qualità di Stato Membro dell’UE, l’Italia faciliterà, per quanto possibile, la cooperazione intereuropea nelle iniziative di difesa UE. 

20. Con l’obiettivo di accrescere le nostre capacità e cooperazione industriale, terremo incontri a cadenza regolare tra SegreDifesa III (Direzione Armamenti) e il UK Defence and Security Exports (UKDSE), volti a identificare obiettivi comuni nel settore dell’industria della difesa e strategie d’esportazione condivise, con il coinvolgimento della base industriale comune e promuovendo sinergie con la base industriale e tecnologica europea. 

21. Continueremo a sviluppare il nostro tradizionale partenariato nel settore dell’aviazione da combattimento attraverso l’impegno condiviso dei nostri Paesi per un Global Combat Air Programme trilaterale. Gestiremo congiuntamente, nello spirito di un partenariato paritario, l’evoluzione industriale, tattica e operativa, nonché gli aspetti di addestramento, richiesti per la transizione al Global Combat Air Program in via di sviluppo, in stretto coordinamento con tutti i partner. 

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22. Con l’obiettivo di migliorare le nostre capacità e la cooperazione industriale, il Gruppo di Alti Funzionari sull’Export di Materiali di Armamento si riunirà a cadenza annuale con lo scopo di costituire stretti e duraturi rapporti in materia di ricerca, di competenze e industriali, anche in collaborazione con terze parti con visioni affini. 

23. Istituiremo un nuovo Dialogo Militare di Alto Livello al fine di sostenere i nostri sforzi comuni per affrontare le sfide del XXI secolo attraverso la contemporanea trasformazione delle nostre Forze armate, sulla base del Dialogo Strutturato annuale sulla Difesa e della conseguente tabella di marcia d’attuazione. 

24. Continueremo a individuare opportunità per condurre operazioni congiunte tra le nostre Forze Armate al fine di migliorarne l’interoperabilità e l’efficacia in tutti i settori operativi. I forti legami interpersonali instauratisi tra le nostre Forze Armate sono un elemento trainante del nostro rapporto. Ci impegniamo a continuare ad approfondire lo scambio di personale e a garantirne la fattibilità. Nel quadro di tale impegno, svilupperemo una più intensa collaborazione nell’ambito del dominio terrestre. 

25.. In qualità di nazioni europee che utilizzano portaerei per velivoli F35B, lavoreremo a stretto contatto per rafforzare la nostra capacità operativa comune. Il Regno Unito intende coinvolgere gli F35B italiani in un futuro dispiegamento di un gruppo incentrato su portaerei. 

26. La NATO è la pietra angolare della sicurezza nella regione euro-atlantica. Ci consulteremo per migliorare la cooperazione e l’allineamento nella NATO, in linea con l’approccio a 360° dell’Alleanza in tema di deterrenza e difesa. Sosterremo gli sforzi per rafforzare e modernizzare la NATO, assicurando che sia in grado di affrontare le minacce presenti e future. Sulla base del Concetto Strategico 2022 della NATO, approfondiremo anche il nostro dialogo con riferimento al Mediterraneo allargato, dove le sfide politiche, securitarie, economiche e demografiche influenzano la sicurezza dei nostri alleati e partner. 

2. Clima,EnergiaeAmbiente 

1. Attingendo dall’esperienza del nostro positivo partenariato in seno alla COP26, promuoveremo un dialogo di ampio respiro sulla lotta al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità, anche attraverso il rafforzamento del dialogo e della cooperazione sugli aspetti geopolitici e di sicurezza del riscaldamento globale, della transizione ecologica e della sicurezza energetica. 

2. Abbiamo svolto passi significativi per contrastare l’utilizzo da parte russa dell’energia come arma e ci adopereremo per porre fine in modo permanente alla nostra dipendenza dai combustibili fossili russi, diversificando le nostre forniture e mitigando i prezzi internazionali dell’energia. 

3. Accelerare la transizione verso fonti energetiche pulite è il modo migliore per garantire la sicurezza energetica e l’accessibilità economica dell’energia, nonché per rispettare i nostri impegni in materia climatica. L’Italia e il Regno Unito sono impegnati nell’attuazione del Patto per il Clima di Glasgow, dell’Accordo di Parigi e del Quadro Globale per la Biodiversità di Kunming-Montreal e lavoreranno insieme per dare 

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impulso all’azione per il clima e per in seno al G7, al G20 e alla COP, e per promuovere una transizione verde sostenibile in direzione della neutralità climatica.

4. Rimaniamo impegnati nel mantenere l’obiettivo del 1,5°C, a dimezzare le emissioni globali entro il 2030 attraverso le nostre azioni e a garantire che i Paesi accrescano l’ambizione complessiva e l’azione in materia di mitigazione nel corso del presente decennio, cruciale per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050. 

5. Sottolineiamo il nostro impegno, nel contesto di uno sforz globale, ad accelerare l’eliminazione graduale dei combustibili fossili non abbattuti così da raggiungere le emissioni nette zero nei nostri sistemi energetici al più tardi entro il 2050, e riaffermiamo il nostro impegno all’eliminazione dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili entro il 2025 o prima di tale data. L’Italia e il Regno Unito sono impegnate ad attuare i rispettivi obiettivi prefissati. 

6. Il Regno Unito è impegnato a raggiungere una produzione energetica completamente decarbonizzata entro il 2035 e l’Italia farà la sua parte per raggiungere un settore energetico prevalentemente decarbonizzato a livello europeo entro il 2035. Sulla base dei risultati dell sulla mitigazione, il Regno Unito pubblicherà entro il 2025 il suo prossimo contributo definito sul piano nazionale (NDC) con scadenza 2035, allineato all’obiettivo 1,5C°, mentre l’Italia rispecchierà la sua ambizione contribuendo al processo UE di definizione di nuovi obiettivi, in conformità con la normativa UE sul clima. 

7. Ci prefiggiamo una stretta cooperazione nel rafforzamento delle azioni volte ad arrestare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2030, sulla base del Quadro Globale per la Biodiversità di Kunming-Montreal (KMGBF). Ribadiamo il nostro impegno a raggiungere l’obiettivo di conservare e gestire in modo efficiente almeno il 30% delle aree terrestri e delle acque interne e almeno il 30% delle aree marine e costiere entro il 2030 (30 entro il 2030) a livello nazionale e globale. Inoltre, ci impegniamo a raggiungere l’obiettivo globale di ripristinare, entro il 2030, almeno il 30% delle aree degradate degli ecosistemi terrestri, delle acque interne, costieri e marini, al fine di migliorare la funzionalità e i servizi relativi a biodiversità ed ecosistemi, l’integrità ecologica e la connettività. 

8. Alla luce dei nuovi obiettivi di finanza sostenibile del KMGBF, l’Italia e il Regno Unito ribadiscono il loro impegno ad allineare tutti i rilevanti flussi fiscali e finanziari, nel contesto del Quadro, e invitano tutti i Paesi e le istituzioni finanziarie, in particolare le banche multilaterali di sviluppo e, ove opportuno, le istituzioni finanziarie internazionali, a fare lo stesso. 

9. Lavoreremo insieme per accelerare le opportunità offerte dalla transizione verso l’energia pulita. Si tratta della strada più efficace per garantire la sicurezza energetica e per garantire al contempo prosperità a lungo termine. Lavoreremo insieme sull’uso efficiente delle risorse e sull’economia circolare, sulle soluzioni basate sulla natura e su un approccio ecosistemico a sostegno dello sviluppo sostenibile per le generazioni future. Sosterremo la progettazione congiunta e l’attuazione di una campagna di sensibilizzazione al fine di incentivare le aziende italiane e britanniche ad aderire all’impegno della neutralità climatica entro la metà del secolo. 

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10. L’Italia e il Regno Unito sono concordi nel sostenere il principio della neutralità tecnologica sul piano normativo, senza pregiudizi o preferenze tecnologiche, con ciò sostenendo la creazione di condizioni di parità per le aziende e gli imprenditori e promuovendo al contempo l’innovazione e lo sviluppo di soluzioni all’avanguardia. 

11. Assicureremo lo svolgimento di un dialogo costante sulle tematiche della sicurezza energetica, sulla base dei meccanismi di dialogo esistenti in materia di energia, al fine di promuovere un più stretto partenariato bilaterale sulla sicurezza energetica e sul clima. Valuteremo come raggiungere i nostri obiettivi condivisi volti a abbandonare gradualmente i combustibili fossili non abbattuti, ivi incluso la riduzione della dipendenza europea dai combustibili russi, sostenendo la transizione verso fonti energetiche pulite e riducendo la combustione di gas naturale. 

12. Ci concentreremo sull’efficienza energetica, sulle tecnologie pulite (tra cui l’eolico offshore, le energie rinnovabili marine e la ricerca sulla fusione nucleare), sul ripristino degli ecosistemi, sulla finanza verde e sulla tassazione ambientale, nonché sullo sviluppo dell’economia circolare (anche nel quadro dell’Alleanza del G7 sull’Efficienza delle Risorse e del Dialogo del G20 sull’Efficienza delle Risorse). 

13. Ciò includerà un’accresciuta ambizione in materia di definizione del prezzo del carbonio e un’azione di sensibilizzazione in vista dell’individuazione di aggiornati NCD su scala globale, attraverso un’attività di diplomazia climatica congiunta, nonché attraverso il riconoscimento e il rafforzamento del ruolo chiave delle città intelligenti, resilienti e sostenibili. Ci concentreremo inoltre sulla digitalizzazione, in vista di misure concrete in materia di infrastrutture di ricarica pubbliche e di promozione dell’innovazione e di un suo maggiore utilizzo. 

14. Svilupperemo sistemi di trasporto verdi, intelligenti, interoperabili, sicuri e sostenibili, condividendo informazioni sulle buone prassi e promuovendo potenziali iniziative di cooperazione nello sviluppo e nell’implementazione di energie rinnovabili e tecnologie verdi anche per il trasporto stradale, ferroviario, marittimo e aereo. 

15. Istituiremo un gruppo di lavoro sull’agricoltura e la nutrizione per consultarci e scambiare buone pratiche in materia di sicurezza alimentare, con l’obiettivo di rafforzare la sostenibilità del nostro sistema agroalimentare e ridurre gli sprechi di cibo, migliorando la produzione e incoraggiando gli investimenti responsabili. 

3. Migrazione 

1. Riconosciamo l’importanza di affrontare con urgenza la sfida condivisa dell’immigrazione clandestina e concordiamo di ampliare e rafforzare la cooperazione in questo settore, incluso a livello bilaterale attraverso il Dialogo sulla Migrazione tra Italia e Regno Unito, nonché nei fori regionali, ivi incluso la Comunità Politica Europea. Si tratta di una sfida per l’intera Europa e che richiede una risposta a livello europeo. Lavoreremo insieme per proteggere i nostri confini, le vite delle vittime innocenti del traffico di esseri umani e la sicurezza del continente europeo. Rafforzeremo la condivisione di informazioni, di informazioni raccolte dai rispettivi servizi e di competenze, nonché lo sviluppo delle capacità e la collaborazione tra forze di polizia nelle sfide condivise legate alla migrazione irregolare, ivi incluso il nostro impegno

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comune per contrastare il modello di business dei gruppi criminali che facilitano i viaggi illegali e pericolosi verso i nostri Paesi via mare. 

2. Rileviamo la necessità di una più stretta cooperazione per migliorare la gestione della migrazione sia a livello bilaterale che tra Regno Unito e UE lungo le rotte migratorie verso l’Europa, tenendo conto degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea. Ciò include la cooperazione con Frontex ed altri strumenti o agenzie. 

3. È necessario un cambio di passo nel nostro approccio alla politica migratoria. Concordiamo di rendere prioritaria la dimensione esterna delle politiche migratorie come soluzione strutturale per prevenire la migrazione irregolare e stabilizzare i flussi, e ci impegniamo a collaborare a livello internazionale a sostegno di approcci innovativi. Uniremo gli sforzi per rafforzare il nostro impegno con i Paesi terzi di origine e di transito lungo tutte le principali rotte migratorie, concentrandoci in particolare sul controllo del territorio e delle frontiere, sulla lotta al traffico di esseri umani, sulle campagne di sensibilizzazione sui rischi della migrazione irregolare e sulla rimozione di una narrativa fuorviante, sui rimpatri volontari e sulle riammissioni, nonché sull’assistenza ai migranti in difficoltà, ai rifugiati, ai richiedenti asilo e agli sfollati interni. Solo adottando una strategia omnicomprensiva su più fronti saremo in grado di affrontare efficacemente il fenomeno. 

4. Coopereremo in modo prioritario nell’affrontare le cause profonde della migrazione nei Paesi terzi chiave, con un’attenzione specifica all’Africa e ai Balcani occidentali. In Africa, ci concentreremo nel recidere le radici della criminalità organizzata che la alimenta, aumentando la condivisione di intelligence, la cooperazione allo sviluppo, promuovendo gli investimenti, rafforzando l’istruzione e la formazione professionale, creando nuove opportunità commerciali e occupazionali e promuovendo la creazione di posti di lavoro, nell’auspicio di un coinvolgimento attivo delle Banche Multilaterali di sviluppo, delle Istituzioni finanziarie internazionali e del settore privato in questo nostro sforzo. Nei Balcani occidentali, ci concentreremo sull’impiego delle nostre rispettive competenze e relazioni per delineare un più stretto impegno nella regione. 

5. Come seguito concreto, definiremo rapidamente una serie di iniziative specifiche sulla migrazione, attraverso un Partenariato Strategico sulla Migrazione tra Italia e Regno Unito, sulla base dei principi sopramenzionati. 

4. Cooperazionedipoliziaegiudiziaria 

1. Istituiremo un Comitato Strategico Congiunto per la Sicurezza tra il Ministero dell’Interno italiano e il Ministero dell’Interno britannico, (i) per trattare le minacce e le sfide comuni alla nostra sicurezza, comprese quelle legate all’immigrazione irregolare, come il traffico di migranti e la tratta di esseri umani; (ii) per rafforzare le attività di cooperazione di polizia per prevenire e contrastare la criminalità nelle sue varie forme; (iii) per promuovere lo scambio di metodologie, buone prassi e competenze volte a prevenire e combattere le forme più gravi di criminalità; (iv) per approfondire i nostri scambi sulle minacce informatiche e per discutere di meccanismi di cooperazione volti a favorire la condivisione delle informazioni, nonché la collaborazione per migliorare la resilienza, la deterrenza e la lotta al crimine cibernetico. 

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2. Individueremo le opportunità di rafforzare la cooperazione in materia di polizia e giustizia penale, a complemento della cooperazione in corso nell’ambito dell’Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra il Regno Unito e l’UE, ove possibile e in linea con le sue disposizioni. Ciò include l’individuazione di migliori e più efficienti modalità per lo scambio reciproco di segnalazioni, incluso lo sviluppo di nuove tecnologie di supporto e il rafforzamento dello scambio di informazioni in materia di polizia attraverso i meccanismi esistenti, come l’INTERPOL. 

3. Rafforzeremo la cooperazione in materia di polizia anche condividendo buone prassi, competenze e scambi regolari di vedute in materia di lotta al terrorismo, corruzione, criminalità organizzata e traffici illeciti (compresi quelli di persone, droga, armi da fuoco e beni culturali), nonché sulle minacce emergenti all’ordine pubblico e alla sicurezza. 

4. Condivideremo buone prassi e ci scambieremo opinioni sulla riforma giudiziaria e dei tribunali e sulle questioni relative all’estremismo nelle carceri e al ruolo della cooperazione giudiziaria nella lotta contro la criminalità transnazionale. 

5. A beneficio dei cittadini e delle famiglie che vivono, si spostano e lavorano tra i nostri due Paesi, promuoveremo la cooperazione giudiziaria e amministrativa in materia civile e familiare e nell’applicazione della legge penale per incoraggiare la riabilitazione attraverso il reinserimento. Più nello specifico, in ambito civile e commerciale, le nostre Parti confermano l’applicazione della Convenzione dell’Aia del 1965 sulla notifica e la comunicazione all’estero di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile o commerciale e della Convenzione dell’Aia del 1970 sull’assunzione di prove all’estero in materia civile o commerciale. 

6. Per rafforzare la nostra cooperazione in materia di diritto penale, entro la fine dell’anno concluderemo un Accordo bilaterale sul trasferimento dei detenuti, per consentire un’efficace riabilitazione degli autori di reati attraverso il reinserimento nel loro rispettivo Paese. 

5. Democraziaerapportitrasocietàcivili 

1. Riconoscendo il loro ruolo essenziale in termini di rappresentanza democratica dei nostri popoli e nel pieno rispetto della loro autonomia sovrana, incoraggiamo la cooperazione interparlamentare e la creazione di strette relazioni tra i nostri Parlamenti. 

2. Lavoreremo per rafforzare l’analisi delle tematiche internazionali attraverso il coinvolgimento delle risorse delle nostre rispettive unità di analisi e programmazione, nonché degli attori della società civile (Centri di analisi politica, centri di ricerca, organizzazioni no-profit, leader religiosi). Condivideremo inoltre buone prassi di alto livello sulla riforma della pubblica amministrazione, sul miglioramento della regolamentazione e sull’innovazione del settore pubblico, compresa la digitalizzazione dei servizi pubblici. 

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3. Promuoveremo nuovi legami tra i nostri giovani e connessioni tra le nostre città e autorità locali. Prendendo come spunto la nostra partecipazione al Congresso dei poteri locali e regionali, lanceremo un’iniziativa per promuovere il dialogo a livello tecnico tra Comuni ed Enti locali. Condivideremo la nostra esperienza sull’economia circolare, sull’attuazione a livello locale dell’Agenda 2030 e degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, e rafforzeremo la collaborazione per creare realtà urbane accessibili, resilienti e sostenibili per affrontare le sfide che abbiamo di fronte. Questi obiettivi sono in linea con i pilastri della candidatura di Roma all’EXPO 2030 presentata dal governo italiano. 

4. Promuoveremo iniziative che riconoscano pubblicamente il ruolo e il contributo della comunità italiana nel Regno Unito e della comunità britannica in Italia, nonché l’importanza della crescita degli scambi e degli investimenti tra i nostri due Paesi. Riaffermiamo il nostro impegno a continuare a lavorare in stretta collaborazione per proteggere i diritti dei cittadini e affrontare le questioni che riguardano i cittadini italiani nel Regno Unito e i cittadini britannici in Italia rientranti nel quadro dell’Accordo di recesso. Ci impegniamo altresì a tenere consultazioni a livello tecnico per approfondire le questioni specifiche che riguardano i cittadini italiani nel Regno Unito e i cittadini britannici in Italia che non sono beneficiari dell’Accordo di recesso. 

5. Ci impegniamo a rafforzare i rapporti tra società civili esplorando le opportunità di migliorare la mobilità dei giovani e gli scambi culturali, tenendo conto dei diritti delle persone con disabilità. 

6. Sulla base dell’esperienza di successo del Seminario di Venezia e della Conferenza di Pontignano, sosterremo il dialogo, le esperienze formative paritarie e la cooperazione tra i nostri giornalisti, operatori del settore dei beni culturali e dei musei, artisti e rappresentanti del mondo accademico e della comunità scientifica. Approfondiremo i legami tra i giovani professionisti italiani e britannici attraverso l’istituzione di un programma annuale multisettoriale per Giovani Leader, che sarà integrato in un ciclo annuale di eventi di aggregazione sociale. 

7. Coordineremo le nostre iniziative per sottolineare il valore della cultura e delle istituzioni culturali come stabilito nella Convenzione culturale tra la Repubblica Italiana e il Governo del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (1953). Promuoveremo il valore delle istituzioni culturali, tra cui il British Council, la British School a Rome e gli Istituti Italiani di Cultura nel Regno Unito, come risorsa per sostenere il benessere sociale, approfondire i rapporti tra società civili e ai fini dello sviluppo sostenibile delle nostre società. 

8. Promuoveremo la cooperazione nel campo dell’istruzione superiore al fine di rafforzare la partecipazione dell’Italia e del Regno Unito alla Convenzione di Lisbona e allo Spazio europeo dell’istruzione superiore (EHEA), nell’ambito del Processo di Bologna. 

9. Condivideremo buone pratiche per promuovere l’innovazione digitale nelle istituzioni educative e culturali e nell’educazione allo sviluppo sostenibile. L’Italia e il Regno Unito riconoscono insieme l’importanza dello sviluppo delle competenze al fine di cogliere le opportunità della migliore innovazione digitale nei nostri settori educativi e culturali e nel mercato del lavoro,

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per affrontare e superare le sfide di un futuro giusto, sicuro, sostenibile e inclusivo. 

10. Continueremo a collaborare all’interno dei fora internazionali sui temi della cultura e dell’istruzione, come il Consiglio d’Europa, l’UNESCO e altre agenzie e fora rilevanti, difendendo i valori condivisi e sostenendo l’istruzione e la cultura sia nei nostri Paesi che a livello globale. 

11. Condivideremo buone pratiche ed esperienze in materia di sport, per promuovere la salute attraverso lo sport di base e l’attività fisica e promuoveremo l’inclusività (sport per disabili e sport femminile). Condivideremo le nostre competenze per la realizzazione di grandi eventi sportivi, tra cui l’organizzazione della Ryder Cup di Roma del 2023 e delle Olimpiadi invernali di Milano e Cortina del 2026. 

6. Economia,ScienzaeInnovazione 

1. Promuoveremo le consultazioni la cooperazione e la condivisione di esperienze tra le nostre comunità scientifiche, attingendo alle aree di eccellenza di ciascun Paese (ad esempio, la fisica e le scienze di base, lo spazio, compresa l’osservazione della Terra, la sostenibilità e la ricerca inter-accademica, le scienze della vita.) 

2. Sfruttando i risultati del progetto IT-UK BEST SHAPE, svilupperemo la nostra collaborazione esistente in materia di rafforzamento dei nostri sistemi sanitari, con un focus su: scienze della vita (ad esempio, sfruttando le competenze italiane e britanniche nella mappatura del DNA dei virus, e nella sorveglianza e nello spill-over delle malattie zoonotiche), infezioni da resistenza ai farmaci, e sforzi nazionali e globali nella prevenzione, preparazione e risposta alle pandemie nell’ambito dell’approccio One Health. 

3. Nei primi sei mesi del 2024 terremo un incontro di alto livello sulla scienza e l’innovazione, il primo di una serie di iniziative bilaterali tra le nostre comunità (università, enti pubblici di ricerca, infrastrutture di ricerca, finanziatori della ricerca) per promuovere la cooperazione sulla ricerca scientifica, la mobilità dei ricercatori e la discussione su aspetti decisionali e sostenere lo sviluppo di tecnologie emergenti e di innovazioni per le imprese. 

4. Incoraggeremo il dialogo tra le comunità mediche e di ricerca dell’Italia e del Regno Unito sul trattamento delle malattie non trasmissibili (NCDs), sulla ricerca e l’innovazione, sulla regolamentazione e la valutazione delle tecnologie sanitarie. 

5. Incoraggeremo la collaborazione nel settore pubblico e privato, anche attraverso un dialogo annuale tra governi sulle politiche imprenditoriali, per migliorare l’industria sostenibile, la sicurezza delle catene di approvvigionamento (ivi incluso di minerali critici), sull’innovazione e la produttività delle imprese. Promuoveremo il dialogo tra le imprese, sulla digitalizzazione, sulle tecnologie emergenti e sulla modernizzazione delle pratiche di lavoro, migliorando così la competitività dei mercati nazionali, sottolineando la necessità di facilitare il trasferimento di tecnologie e competenze. 

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6. In quanto partner con visioni affini impegnati a favore di un commercio libero, equo e aperto, continueremo a collaborare nelle sedi multilaterali. Rimaniamo impegnati a sostenere il libero scambio in un sistema economico internazionale basato su regole, anche attraverso un’Organizzazione Mondiale del Commercio riformata e rafforzata, e cercheremo di utilizzare il G7 per consolidare, mantenere e diversificare le catene di approvvigionamento critiche e promuovere la transizione energetica pulita. 

7. Richiamiamo gli impegni del G7 sul mantenimento di un sistema economico internazionale basato sulle regole e sul rafforzamento della sicurezza e della resilienza economica al fine di affrontare le minacce attuali e future alla sicurezza e alla stabilità globali, tra cui la coercizione economica, in vista delle nostre Presidenze di turno del G7 e del G20 nei prossimi anni, anche sulla base dei risultati del Vertice di Hiroshima di quest’anno. 

8. In linea con il Dialogo ministeriale sulla promozione delle esportazioni e degli investimenti, ci concentreremo sul rafforzamento della collaborazione per garantire la promozione delle esportazioni e degli investimenti bilaterali sostenendo la crescita delle imprese, specialmente delle PMI, nei seguenti settori: Economia verde e blu, Tecnologie di frontiera – compresa quella quantistica – Mobilità sostenibile, Scienze della vita, Ingegneria avanzata e Industrie creative. 

9. Sulla base dell’impegno assunto da entrambi i Paesi nell’ambito della dell’Agile Nations network per promuovere la cooperazione tra i governi in materia di pratiche normative innovative, continueremo a lavorare insieme per sostenere una migliore regolamentazione e buone pratiche nella definizione di regole volte ad accrescere l’imprenditorialità, gli investimenti, il commercio e l’innovazione attraverso la cooperazione normativa a livello internazionale. 

10. Riconosciamo l’impatto che le pratiche di distorsione del mercato, come le sovvenzioni industriali scorrette e le pratiche sleali delle imprese statali, possono avere sul commercio internazionale equo e aperto. Continueremo a collaborare nelle sedi internazionali, come il G7, il G20 e l’OCSE, per esplorare le possibilità di sviluppare soluzioni multilaterali a queste pratiche. 

7. Governance 

1. Quanto precede rappresenta l’intesa raggiunta tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Regno Unito sulle tematiche sopraindicate. 

2. Il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano e il Foreign, Commonwealth and Development Office del Regno Unito nomineranno alti funzionari che guideranno l’attuazione del presente accordo, fornendone una relazione annuale ai Ministri degli Esteri. 

3. Il presente Memorandum d’Intesa potrà essere aggiornato ogni 5 anni. Su richiesta di una delle Parti, la presente dichiarazione potrà essere aggiornata o modificata di comune accordo. Qualsiasi modifica sarà effettuata per iscritto ed entrerà in vigore in una data decisa di comune accordo. 

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