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4180.- L’Italia può guidare la soluzione della crisi in Tunisia. L’analisi di Dentice (CeSI)

Ultimo aggiornamento 27 luglio 2021

L’Italia è in Mediterraneo come nessun altro e Africa bianca e Unione europea hanno un futuro in comune. La crisi politico-economica e, poi, sanitaria della Tunisia, le elezioni di dicembre in Libia e l’instabilità del Mediterraneo Orientale chiamano Draghi a rivestire ruoli propositivi per l’Italia e per l’Unione. In questo quadro, assume importanza la necessità di ridimensionare la politica della Turchia, anche offrendole opportunità più attuali.

L’analisi di Fabio Ghia

27 luglio. Cosa penso di quanto in corso in Tunisia? Non è da considerare come un colpo di Stato neanche lontanamente! Bensì solo una sospensione di 30 giorni dell’attività legislativa e la “destituzione” per inadempienze (prima fra tutti la situazione anti pandemia – (solo il 7% della popolazione è stato vaccinato?) del Presidente del consiglio, che a me appare piú che giustificata unitamente all’esautorizzazione in totale di ben sette Ministri. Con tutti i casini che non sono riusciti a controllare: dalla monnezza napoletana e corruzioni relative, al Covid e alle silenziose direttive di non uniformarsi alle norme anticovid di El Mahdha, la sospensione di Ghannuchi (Capo del Parlamento!), già stata annunciata più volte e sollecitata dalle opposizioni proprio perché faceva fare al Governo quello che gli pareva senza il minimo supporto di atti parlamentari! Cioé io me lo aspettavo da tempo! ….. Se poi tra 30 giorni … nulla cambia, allora dovremo aspettaarci che l’esercito scenda in campo. Da quel momento lo spauracchio della guerra civile, DIVENTERÀ REALTÀ. Ma non credo che la comunità internzaionale (Italia e Francia in testa) lo consentirà …. VIVA LA TUNISIA LIBERA E DEMOCRATICA!

L’articolo di Emanuele Rossi | 26/07/2021 – Esteri

L’Italia può guidare la soluzione della crisi in Tunisia. L’analisi di Dentice (CeSI)

Secondo il direttore del Mena Desk del CeSI, la crisi che si è innescata in Tunisia può evolversi in diversi scenari su cui l’Italia ha l’opportunità di giocare un ruolo di mediazione e spingere le politiche dell’Ue sul Mediterraneo

“Quello che succede in Tunisia racconta una crisi istituzionale profonda che si somma a quella della vicina Libia e del Libano segnando un fronte di instabilità all’interno dell’arco di interessi della politica estera italiana nel Mediterraneo”. Lo spiega a Formiche.net Giuseppe Dentice, Head del Mena Desk del CeSI.

Il presidente Kais Saied ha licenziato il primo ministro Hichem Mechichi dal suo incarico, citando l’articolo 80 della costituzione che consente questo tipo di misure in caso di “pericolo imminente”. Il Parlamento è stato messo in una sorta di stand by, il Paese è di nuovo senza un governo.

Per Dentice ci sono diversi scenari, che possono arrivare anche alla “deriva autoritaria in senso puro, ossia portare a un presidenzialismo forte in stile egiziano, con la differenza però che in Egitto i militari sono attori centrali, mentre in Tunisia sono più marginali”. Seppure i militari sono stati protagonisti in queste ore caotiche, intervenuti in difesa del Parlamento, hanno poi compiuto un’operazione di polizia sgomberando la sede di al Jazeera, che è una televisione di proprietà del Qatar e considerata vicina alle istanze degli islamici di Ennahda – ispirati all’Islam politico della Fratellanza – mentre il presidente Saied è più collegabile al mondo dei conservatori dello status quo sunnita. Negli ultimi mesi, il principale interlocutore del presidente di Tunisi è stato l’egiziano Abdel Fattah al Sisi.

Un altro scenario evocato dall’esperto del think tank italiano è quello della cosiddetta “dittatura costituzionale”, dove sotto la spinta di una possibile riforma della costituzione, il presidente avoca a sé i maggiori poteri e governa in maniera incontrastata. Terzo, infine, le parti dopo i trenta giorni della durata prefissata della crisi “si mettono a lavorare con consapevolezza e prendono quanto successo come una pausa. Ma è possibile che tutto questo si porti dietro comunque dei problemi creando un precedente rischioso”.

Quanto sta accadendo (va detto in costante evoluzione) manda un messaggio all’Europa. Per Dentice la responsabilità dell’Occidente sta nel non aver salvaguardato la democratizzazione tunisina del 2011 e nel non aver aiutato il processo nel Paese, dopo i segnali già critici emersi nella stagione 2013-2014, quando la tensione sociale e politica era anche allora fortissima. Le fasi successive, le votazioni e la nuova costituzione erano state comunque un tentativo, tuttavia finito in stallo. E qui ci troviamo adesso, punto da cui occorre realisticamente ripartire”.

I segnali della crisi tunisina erano evidenti da diverso tempo, sia sul quadro economico che su quello sociale e istituzionale. Il tutto è stato peggiorato dal Covid. Cosa serve fare? “La Tunisia ha bisogno dell’Europa, e l’Italia deve essere in testa in questa assistenza. Detto questo, a Tunisi serve supporto politico ed economico. Il condizionamento degli aiuti economici alle riforme rischia per altro di essere debole: spesso il quadro macro-economico non porta benefici alla popolazione media, serve essere consapevoli sul dove si va a intervenire e delle complessità”.

In questo contesto è ineccepibile che ci siano interessi per l’Italia. Basta pensare al tema dell’immigrazione: se i flussi riprendono dalla Tunisia è perché si sono create condizioni all’interno del Paese tali da portare alcuni cittadini a fuggire, a cercare fortuna altrove. “L’immigrazione è in effetti un sintomo finale”, aggiunge Dentice.

“L’Italia – spiega l’analista del CeSI – ha l’opportunità di muovere la politica sul Mediterraneo in modo abbastanza chiaro in questo momento anche prendendo le redini di queste crisi. Roma ha l’opportunità di porsi come attore di mediazione. La mediazione non è uno strumento di debolezza, ma è un elemento in grado di dare forza alla politica. E questo lo dimostra anche la situazione attuale in Libia, dove per dirimere il nodo sulle elezioni di dicembre i libici preferiscono venire a parlare a Roma, piuttosto che andare ad Ankara o in altre capitali coinvolte nel dossier”.

Secondo Dentice, l’Italia deve guardare al Mediterraneo in una cornice europea: “L’economia per esempio è certamente un fattore utile per attenuare la crisi tunisina o libica, ma poi c’è bisogno della politica per evitarne altre, e in questo senso l’Italia ha modo e opportunità per aprire forme di dialogo con cui evitare l’innesco di derive complicate, e guidare con Bruxelles le politiche di vicinato nel Mediterraneo”.

La Farnesina ha diffuso una nota sulla situazione: “L’Italia segue con grande attenzione l’evolvere della situazione in Tunisia. La portata e la natura delle decisioni assunte nelle scorse ore dovrà essere attentamente valutata. L’Italia esprime altresì preoccupazione per la situazione e per le sue potenziali implicazioni e rivolge un appello alle istituzioni tunisine affinché venga garantito il rispetto della Costituzione e dello stato di diritto.
In un momento in cui la crisi politico-economica nel Paese è esacerbata dal recente deterioramento del quadro epidemiologico, l’Italia conferma il proprio sostegno a favore della stabilità politica ed economica della Tunisia e ribadisce la propria sincera vicinanza all’amico popolo tunisino”.

2492.- Vertice politico ” Pro-Terzo Tempio”. Dopo il vertice di pace arabo-israeliano, Preparatevi per la Guerra

By David SidmanJuly 31, 2019 , 10:07 am

Quelle nazioni che stai per espropriare ricorrono davvero a indovini e promuovono il Deuteronomio 18:14 (The Israel Bible ™)

(Shutterstock)FacebookTwitterEmailWhatsAppPrintCondividi1.224

In risposta alle notizie di un imminente vertice di pace arabo-israeliano ospitato dall’amministrazione Trump, l’ex MK Moshe Feiglin ha dichiarato che il risultato di questa iniziativa sarà una “guerra”.

Moshe Feiglin, un ex parlamentare e attualmente capo del partito Zehut, è, poi, apparso sui social media ripetendo che “il risultato del prossimo vertice sulla pace di Trump, come tutti i precedenti vertici di pace, sarà una guerra”.

Moshe Feiglin (credit: Facebook)

“Per comprenderlo, bisogna capire che l’obiettivo di un” palestinese “non è la sovranità (per questa non nazione) in Israele ma piuttosto l’eliminazione della sovranità ebraica”, ha aggiunto Feiglin.“

Nel post, il leader del partito ha ricordato l’ex segretario agli esteri britannico Ernest Bevin che, alla fine del mandato britannico, ammise che l’obiettivo degli arabi in Palestina è garantire che gli ebrei non abbiano mai uno stato.

“Da allora non è cambiato nulla”, ha continuato Feiglin. “Non vogliono uno stato, vogliono solo assicurarsi che gli ebrei non ne abbiamo uno. Non hanno fatto funzionare uno stato nei “territori” quando era sotto il controllo giordano ed egiziano. Chiederanno sempre l’ultimo centimetro quadrato di terra governata da ebrei ”, ha affermato.

“Pertanto, ogni tentativo di pace porterà sempre a un altro giro di spargimenti di sangue”, ha aggiunto Feiglin.

Il partito di Feiglin, Zehut, è l’unico partito politico attuale che ha pubblicamente approvato la costruzione del Terzo Tempio, sebbene non sia necessariamente in prima linea nella loro agenda. Il partito Zehut è anche l’unico partito libertario di Israele che promuove il capitalismo del libero mercato ma anche l’annessione di tutta la Giudea, la Samaria e Gaza.

2470.- Siria: i media denunciano missili israeliani sull’esercito

Un altro lancio di missili

Secondo i media di Damasco, c’è stato un attacco missilistico nella notte da parte di Israele nel Sud della Siria.

Di Elvira Ragosta- Città del Vaticano

La zona colpita è la collina di al Harra, a sud di Damasco, nella provincia di Daraa, dove sono di stanza postazioni dell’esercito siriano e milizie alleate. L’episodio è stato confermato anche dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, agenzia di attivisti con base in Gran Bretagna, secondo cui l’attacco missilistico ha provocato il ferimento di almeno 4 militari siriani e due miliziani. “Non commentiamo notizie dei media stranieri”, ha detto una portavoce militare israeliana.

Operazioni militari nel contesto di partite regionali incrociate

“Queste notizie vanno lette nel quadro più generale”, dice ai microfoni di Radio Vaticana Italia Giorgio Bernardelli, giornalista esperto di Medio oriente. “Purtroppo sappiamo ormai bene com’è questa guerra, in cui si intrecciano tanti piani e tante partite regionali. Queste incursioni, verosimilmente di Israele, anche se non c’è stata una conferma ufficiale, si inseriscono nelle tensioni che riguardano i rapporti con l’Iran e le sue milizie alleate, in questo caso Hezbollah”.

La zona cuscinetto al confine turco

Intanto, ieri colloqui tra Turchia e Stati Uniti per la creazione di una zona di sicurezza nel Sud della Siria. Il progetto prevede una ‘safe-zone’ di circa 30 chilometri oltre il confine turco ed è da tempo tra gli obiettivi del governo di Erdogan. “Anche qui si parla di partite incrociate – continua Bernardelli – da mesi quest’area a presenza curda rappresenta il vero obiettivo da salvaguardare per la Turchia per l’interesse nazionale”.

La situazione umanitaria

“I risvolti umanitari della situazione sul terreno restano pesanti – conclude Bernardelli – soprattutto nell’area di Idlib. Finché non si metterà davvero al centro dell’attenzione una soluzione sostenibile pe la Siria, le conseguenze non potranno che essere pesanti. Non dimentichiamo che Idlib è un’area del Paese in cui oggi sono concentrati tre milioni di persone se non si riesce in qualche modo ad arrestare quest’escalation cominciata ad aprile le conseguenze possono essere drammatiche”.

1874.- LE FORZE ISRAELIANE SCHIERANO ULTERIORI CARRI ARMATI, ARTIGLIERIA SULLA LINEA DI CONTATTO CON LA SIRIA

Dal 9 giugno 1967, dalla guerra dei Sei giorni, malgrado il cessate il fuoco con la Siria, l’intero territorio del Golan, tuttora de iure appartenente alla Siria, de facto è occupato militarmente e amministrato da Israele che ha proceduto alla sua annessione unilaterale e non riconosciuta dalle Nazioni Unite. Decine di migliaia di siriani dovettero abbandonare le le loro terre e le loro case. Damasco, si trova a Est del Golan, da cui dista appena 60 chilometri. Siria e Israele non vi hanno scontri militari dal 1974. Nel 2008 sono stati avviati dei contatti tra le amministrazioni siriana ed israeliana per portare a termine il contenzioso, ma, sembra che il presidente Trump sia intenzionato a riconoscere l’annessione israeliana. Il rischieramento delle forze corazzate israeliane fa seguito all’attacco aereo dei droni di alcune notti fa.

Forze-israeliane-sul-Golan

Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno schierato ulteriori forze corazzate e di artiglieria, compresi i carri armati, nelle alture del Golan occupate, vicino alla linea di contatto con la Siria.

La mossa è stata presa mentre prosegue l’avanzata dell’esercito siriano contro i gruppi militanti ad est delle alture del Golan .

È interessante notare che nella sua dichiarazione l’IDF ha ancora una volta affermato che non è coinvolto nella guerra in Siria, mentre in realtà è noto che le forze israeliane hanno ripetutamente fornito un sostegno diretto e indiretto ai gruppi miliziani terroristi che combattono il governo a Damasco. Queste azioni erano particolarmente attive nel sud della Siria.

“L’IDF attribuisce grande importanza al mantenimento dell’accordo di separazione delle forze tra Israele e Siria del 1974. Inoltre, l’IDF continuerà a insistere sul principio del non coinvolgimento in quello che sta accadendo in Siria, accanto a una politica di risposta risoluta a la violazione della sovranità di Israele e il rischio per i suoi residenti “, ha detto l’IDF nella sua dichiarazione . “L’assistenza umanitaria è stata fornita da Israele per anni e continua oggi, se necessario”.

L’IDF ha anche alzato il livello di allerta nelle alture del Golan, secondo il quotidiano israeliano Haaretz .

“Le Forze di Difesa Israeliane hanno innalzato il livello di allerta nelle alture del Golan alla luce della recente escalation dei combattimenti nella Siria meridionale tra il regime di Assad e le milizie ribelli e la crescente vicinanza dell’esercito siriano al confine israeliano.

Israele non si aspetta uno scontro diretto con l’esercito siriano, ma si sta preparando per la possibilità di effetti di ricaduta dell’attacco del regime, con l’assistenza russa e iraniana, nella regione di Daraa, che si trova a soli sessanta chilometri dal confine israeliano, “il Il giornale ha detto che il gabinetto di sicurezza si incontrerà per discutere le capacità israeliane nel caso di una nuova guerra l’1 luglio.

Secondo gli esperti siriani, l’IDF potrebbe utilizzare azioni militari nel sud della Siria per giustificare nuovi attacchi contro gli obiettivi delle forze governative in Siria. Se questo avviene , causerà un nuovo round di scontro nel conflitto israeliano-siriano che potrebbe avere sviluppi pericolosi.

Fonte: South Front

Traduzione: Alejandro Sanchez

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Le alture del Golan (in ebraico: רמת הגולן, Ramat HaGolan, arabo: الجولان, al-Jawlān) sono un altopiano montuoso, dell’estensione di circa 1.800 km², con un’altitudine massima di 2.814 metri (Monte Hermon), all’interno, o sui confini, di Israele, Siria, Libano e Giordania. Il Golan ha confini geografici ben distinti. La zona confina con Israele, è collinare e permette l’osservazione del Mar di Galilea (anche conosciuto come Lago Tiberiade o Lago Kinneret) posto 200 metri sotto il livello del mare[2], il fiume Giordano e il Monte Hermon. Il confine occidentale della pianura è diviso strutturalmente dalla Valle del Giordano, che cade a strapiombo nel mar di Galilea. La zona a sud del fiume Yarmuk appartiene alla Giordania mentre la zona all’estremità orientale del fiume Raqqad è controllata dalla Siria. Il resto è sotto il controllo di Israele. Un terzo delle risorse idriche di Israele attraversa o confluisce nel Golan. Il controllo dell’acqua della regione vale più di ogni giacimento petrolifero. Ma anche di questo abbiamo già trattato.