Archivio mensile:aprile 2017

1150.- Dopo 100 giorni, Trump rimedia un’umiliazione coreana

Non è la Korea democratica che può scatenare la guerra, ma il braccio di ferro in atto in Siria.

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Nikki Haley

Il segretario di Stato degli USA, Rex Tillerson, dopo aver allontanato l’ambasciatrice neocon Nikki Haley dalla sessione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, segnalava la disponibilità di Washington a colloqui diretti con la leadership della Corea democratica. Tillerson dichiarava “Il nostro obiettivo non è il cambio del regime. Né vogliamo minacciare il popolo nord-coreano o destabilizzare la regione dell’Asia Pacifico. Negli anni abbiamo ritirato le nostre armi nucleari dalla Corea del Sud e offerto aiuti alla Corea democratica come prova della nostra intenzione di normalizzare le relazioni… gli Stati Uniti credono in un futuro per la Corea democratica. Questi primi passi verso un futuro più speranzoso saranno più spediti se altri soggetti interessati, nella regione e nella sicurezza globale, ci raggiungeranno”.

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Il segretario di Stato degli USA, Rex Tillerson. Stati Uniti e Cina intendono entrambi mantenere la divisione delle due Coree. La strategia della politica USA dovrebbe tenere in maggior conto l’espansione delle nuove potenze asiatiche: India e Corea, che si aggiungono alla Cina e rendersi parte attiva della fondazione di un Nuovo Occidente, dall’Alaska, all’Alaska, con l’Europa e la Russia, assumendovi la funzione di “primus inter pares” (ndr).

Tillerson, però continuava minacciando “Dobbiamo imporre la massima pressione economica tagliando i rapporti commerciali che finanziano direttamente il programma nucleare e missilistico della RPDC. Invito la comunità internazionale a sospendere il flusso dei lavoratori ospiti nordcoreani e ad imporre divieti alle importazioni nordcoreane, in particolare al carbone”.

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>>>ANSA/COREA NORD LANCIA DUE MISSILI, UNO ARRIVA IN ACQUE GIAPPONE

Questi sistemi missilistici nordcoreani sono allo stato più potenziale che sperimentale e i ripetuti lanci falliti potrebbero anche dipendere da attività di contromisure elettroniche ostili. Allo stato dei fatti, rappresentano l’arma diplomatica migliore della Corea democratica, da sacrificare in cambio di una riduzione delle pressioni e delle sanzioni.

Tillerson chiariva che ormai obiettivo degli USA è impedire alla Corea democratica di sviluppare armamenti strategici che possano minacciare direttamente la terraferma nordamericana. Timore confermato da Vasilij Kashin, analista militare russo, “Attualmente, i test riusciti con i missili KN-11 Pukkuksong-1 navali e KN-15 Pukkuksong-2 terrestri, sono in corso. In realtà, i nordcoreani hanno raggiunto lo stesso livello della Cina agli inizi degli anni ’80, quando Pechino effettuò i test di volo del JL-1, il primo missile lanciato da sottomarini della Cina, da cui evolse il DF-21, missile balistico mobile a medio raggio”. Kashin indicava che la Cina impiegò 5-6 anni per completare i test di volo del JL-1, mentre “I nordcoreani hanno iniziato i test di volo del Pukkuksong-1 nel 2014, ed è possibile che saranno pronti a schierarli alla fine del decennio. Questi missili avrebbero una gittata di 2000 km, paragonabile a quella di JL-1 e DF-21A. Pyongyang avrà la capacità sicura di colpire obiettivi in Corea del Sud e Giappone, ma ancora non potrebbe raggiungere gli Stati Uniti”. Si pensa che i nordcoreani abbiano fatto una dozzina di prove con i Pukkuksong-1 e 2, e nell’agosto 2016 fu compiuto un lancio da un sottomarino del Pukkuksong-1. Secondo Kashin, questi successi saranno la base di ulteriori progressi. Tuttavia, “il passo per realizzare un missile balistico intercontinentale, e in particolare un ICBM propulso da combustibili solidi, richiederà un salto qualitativo nello sviluppo della base produttiva e delle infrastrutture dei test della Corea democratica”.

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La Corea democratica ha sviluppato anche il KN-08, noto anche come Rodong-C o Hwasong-13, ICBM autocarrato mobile allo studio dal 2010. Kashin osservava che i nordcoreani, “dovranno saper produrre motori a razzo a propellente solido dal grande diametro. Dovranno sperimentare nuovi combustibili e nuovi contenitori per missili. Una limitazione seria è la capacità o meno di acquistare o creare le attrezzature necessarie”. Inoltre, “per essere testati, gli ICBM dovranno essere lanciati sopra il territorio giapponese in direzione dell’Oceano Pacifico meridionale. Dato che l’esperienza dei cinesi nel testare i loro ICBM DF-5 nei primi anni ’80 dimostra che i test richiederanno la creazione di una flotta di navi specializzate dotate di complessi strumenti di misura e, probabilmente, nuove navi da guerra per scortarle. I tentativi di condurre tali test saranno minacciati da Stati Uniti ed alleati, anche con tentativi di abbattere i missili durante il decollo, o di bloccare le apparecchiature di controllo a bordo delle navi nordcoreane”. Quindi, secondo Kashin, i test sugli ICBM richiederanno circa 5-6 anni. La Cina “schierò i suoi ICBM DF-31 15-20 anni dopo lo schieramento dei Jl-2 e DF-21”. Quindi, secondo l’analista, passerebbero decenni prima che Pyongyang possa disporre di un vero ICBM. “Perché i nordcoreani sentano la necessità di richiamare l’attenzione sui sistemi di armi che, anche secondo lo scenario più ottimista, non possono essere schierati prima della metà degli anni 2030? È possibile che, dal punto di vista di Pyongyang, sia una dimostrazione della determinazione e, allo stesso tempo, un invito ai colloqui, che la Corea democratica, nonostante l’isolamento, intende condurre da una posizione di forza. È possibile che questi potenziali sistemi missilistici siano ciò che la Corea democratica è pronta a sacrificare in cambio di una riduzione delle pressioni e delle sanzioni. La sicurezza del Paese è garantita dalla capacità d’infliggere danni inaccettabili agli alleati degli USA Corea del Sud e Giappone in caso di guerra. Pyongyang non abbandonerà armi nucleari e missili a medio raggio, ma potrebbe accettare di non condurre nuovi test o sviluppare missili intercontinentali in cambio di concessioni economiche e politiche. Questo è possibile, può benissimo essere lo scenario ideale per Pyongyang”. I nordcoreani potrebbero essere pronti a rinunciare alla futura capacità di attaccare il continente nordamericano in cambio della normalizzazione delle relazioni con gli Stati Uniti. Ciò potrebbe spiegare il discorso di Tillerson al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

wang_yi_ Il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi

Ma se il segretario di Stato Rex Tillerson sembrava indicare un ammorbidimento della posizione degli Stati Uniti verso la Corea democratica, il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, affermava, “La chiave per risolvere la questione nucleare sulla penisola non è nelle mani cinesi. È necessario mettere da parte il dibattito su chi debba compiere il primo passo e smettere di discutere chi abbia ragione e chi torto. Ora è il momento di considerare seriamente la ripresa dei colloqui”. Sempre Wang Yi, in una conferenza stampa con il ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel, affermava “Certamente crediamo che i continui test nucleari violino le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma effettuare esercitazioni militari nella penisola coreana chiaramente non è n linea con lo spirito delle risoluzioni del Consiglio… riguardo la probabilità di una guerra, anche una minima probabilità non è accettabile. La penisola coreana non è il Medio Oriente. Se la guerra esplodesse, le conseguenze sarebbero inimmaginabili”, tracciando così la linea rossa che gli Stati Uniti non devono attraversare. Inoltre, il Quotidiano del Popolo avvertiva, “La forza non porterà da alcuna parte; dialogo e negoziati restano l’unica soluzione. È indispensabile che tutte le parti interessate considerino la proposta della Cina: sospensione dei test nucleari da parte della RPDC e cessazione delle esercitazioni militari congiunte di Stati Uniti e Corea del Sud. Altre parole aspre e confronti militari non beneficeranno né Stati Uniti né RPDC. Se le parti possono inviassero segnali positivi, il problema potrebbe avere una probabile soluzione”. Lungi dall’essere disposta a considerare ulteriori sanzioni contro la Corea democratica, la Cina chiede agli Stati Uniti d’impegnarsi immediatamente in colloqui diretti con la Corea democratica e che sospendano le esercitazioni militari con la Corea del Sud, in cambio della sospensione della Corea democratica di ulteriori test nucleari. Tillerson restava scioccato dalla risposta cinese, “Non negozieremo il nostro ritorno ai negoziati con la Corea democratica, non ricompenseremo le violazioni delle risoluzioni passate, né il cattivo comportamento nei colloqui”. Ma il Viceministro degli Esteri russo Gennadij Gatilov sosteneva la Cina, dichiarando, “Una retorica bellicosa accoppiata a dimostrazioni di forza accanita hanno portato a una situazione in cui il mondo intero seriamente si domanda se ci sarà una guerra. Un pensiero sbagliato o un errore male interpretato porterebbero a conseguenze spaventose e deprecabili”. Gatilov osservava come la Corea democratica sia minacciata dalle esercitazioni militari congiunte statunitensi-sudcoreane e dall’arrivo delle portaerei statunitensi nelle acque della penisola coreana.

Cina e Russia si oppongono allo schieramento del sistema antimissile statunitense in Corea del Sud, definito “sforzo destabilizzante” che danneggia la fiducia tra le parti sulla questione della Corea democratica. In sostanza, invece d’isolare la Corea democratica, gli USA si ritrovano la Cina ad accusarli di suscitare una crisi, e non solo Beijing si oppone alle pretese degli Stati Uniti di ulteriori sanzioni, ma rafforza il sostegno alla Corea democratica. Il Quotidiano del Popolo riportava, “Nonostante le tensioni sulla penisola, una guerra non è affatto imminente. Anche se il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il suo governo rimproverano alla RPDC il programma nucleare e missilistico, e sebbene la RPDC abbia risposto con parole e azioni nette, ci sono ancora segnali incoraggianti. Negli ultimi giorni, la RPDC non ha condotto alcun nuovo test nucleare. E il 26 aprile, segretario di Stato, segretario della difesa e direttore dell’intelligence nazionale degli USA dichiaravano congiuntamente che i negoziati sono ancora sul tavolo”.
Tornando al discorso di Tillerson alla sessione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, le sue parole dimostrano chiaramente che gli Stati Uniti non hanno altra scelta se non dialogare con Piyongiyang, e la necessità per l’amministrazione Trump, dopo la foia bellicosa delle ultime settimane, di avere la foglia di fico delle sanzioni cinesi per salvarsi la faccia prima di negoziare con la Corea democratica. Ma i cinesi, memori dell’oltraggio dell’attacco missilistico alla Siria, avvenuto mentre Trump incontrava il Presidente Xi Jinping, negano a Trump tale favore. Infatti, l’ambasciatore nordcoreano, d’accordo con i cinesi, neanche si degnava di partecipare alla sessione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per rispondere a Tillerson. Per loro hanno parlato Cina e Russia.

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Un’aula computer nella Grand People’s Study House, a Pyongyang. I computer danno accesso a Kwangmyong, non ad internet. Da marzo del 2014, i computer sono attrezzati con Windows XP ed Internet Explorer 6. Kwangmyong è accessibile solo dall’interno della Corea del Nord.

Il successo della Corea democratica nel programma missilistico e nucleare dimostra che possiede una seria base industriale e tecnologica comprendente chimica avanzata e fisica nucleare. Il successo della Corea democratica nel produrre cellulari e tablet intelligenti e la rete intranet nazionale “Kwangmyong”, indicano anche l’esistenza di un’industria informatica avanzata. Rodong Sinmun, quotidiano del Partito dei Lavoratori della Corea democratica, spiega la necessità del programma strategico per la Corea democratica, “Recentemente, il rappresentante statunitense alle Nazioni Unite, attaccando le giuste misure della RPDC per rafforzare la deterrenza nucleare, dichiarava che costituirebbero una minaccia per gli Stati Uniti e diversi altri Paesi, e che “Paesi compiono atti malvagi”, come la RPDC, non firmando la convenzione del bando delle armi nucleari o non attuandola. Ciò è una distorsione grossolana della realtà. Gli Stati Uniti distorcono e sfruttano deliberatamente la realtà per mutare il quadro in loro favore. Lo scopo è indicare la RPDC come nemica della pace e nascondere la verità sul terribile criminale nucleare e giustificarne le mosse per soffocare la RPDC. Non hanno merito e diritto di accusare le misure della RPDC per rafforzare la deterrenza nucleare, e neanche diritto di agitarsi sulla convenzione per il divieto delle armi nucleari. Gli USA cercano di convincere il pubblico che la denuclearizzazione del mondo non avviene a causa della RPDC. È un’accusa senza senso che ignora i motivi storici per cui la RPDC è stata costretta ad optare per le armi nucleari e rafforzarle qualitativamente e quantitativamente, e del perché è diventato necessario nel mondo disporre della convenzione sul divieto delle armi nucleari. Non sono altri che gli Stati Uniti che hanno costretto la RPDC ad accedere alle armi nucleari e sono sempre gli Stati Uniti che spingono costantemente la RPDC a rafforzarle qualitativamente e quantitativamente. La deterrenza nucleare della RPDC non minaccia gli altri, ma è un mezzo per difendere la sovranità del Paese dalla provocazione nucleare statunitense in ogni aspetto. La RPDC continuerà ad esercitare questo diritto con dignità, indipendentemente da ciò che altri possano dire”.
Infine, Trump si vantava di aver diviso la Cina dalla Russia nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nel tentativo di suscitare zizzania tra Beijing e Mosca; cosa confermata dal consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, H. R. McMaster, che in un’intervista dichiarava in preda al delirio, “Ciò che sappiamo è che rispondendo alla strage del regime siriano, il presidente Trump e prima signora hanno ospitato una conferenza straordinariamente vincente con il Presidente Xi e la sua squadra. E non solo hanno stabilito un rapporto molto caldo, ma… hanno lavorato sulla risposta alla strage da parte del regime di Assad nel voto alle Nazioni Unite. Penso che il Presidente Xi sia stato coraggioso nel distanziarsi dai russi, isolando russi e boliviani… E credo che il mondo l’abbia visto bene, in quale club volete essere? Il club russo-boliviano? Oppure nel club degli Stati Uniti, lavorando insieme sui nostri interessi per la pace e la sicurezza”. Un commento che illustra la miseria della diplomazia statunitense sotto Trump. “I cinesi chiarirono a Mosca la decisione di astenersi nel voto alle Nazioni Unite, prima della votazione. Dal loro punto di vista e da quello dei russi, la decisione della Cina di astenersi non significava molto. Non c’era possibilità che il progetto di risoluzione passasse perché la Russia aveva già fatto sapere che avrebbe posto il veto, mentre gli Stati Uniti avevano già rimosso i termini più offensivi nel progetto di risoluzione prima che venisse votato, cancellando la formulazione che accusava dell’incidente di Qan Shayqun il governo siriano, prima che avesse luogo una qualsiasi inchiesta… ciò che i cinesi intesero come semplice cortesia diplomatica verso Trump su un tema che per la Cina era secondario, tuttavia fu erroneamente interpretato dall’amministrazione Trump come passo della Cina contro la Russia. Chiaramente, sarebbe stato completamente diverso se la Cina avesse votato la risoluzione dopo che la Russia aveva fatto sapere che avrebbe votato contro. In quel caso sarebbe stato legittimo parlare di grave frattura sul tema siriano tra Pechino e Mosca. Tuttavia l’astensione non va interpretata così”. Comunque, come visto, l’atteggiamento dell’amministrazione Trump verso la dirigenza cinese e il tentativo puerile di dividere Cina e Russia, oltre alle minacce alla Corea democratica, non solo hanno spinto la leadership cinese a riaffermare la persistenza dei rapporti tra Cina e Russia, ma irritava la Cina, con il risultato visto al Consiglio di Sicurezza, dove la Cina sostiene espressamente le richieste nordcoreane sulla fine delle manovre militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud, collegandole al programma strategico nordcoreano, passo contro cui gli Stati Uniti si sono sempre opposti. Inoltre, la realtà della cooperazione cinese e russa nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite veniva dimostrata appunto sulla questione della Corea democratica, con i russi che sostengono con nettezza la Cina, dimostrando un chiaro coordinamento tra dirigenze di Cina e Russia.

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Xi Jinping e Putin

di Alessandro Lattanzio

1149.- Corea : Usa e Pechino d’accordo, disse Hillary

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Vengo all’altra area di conflitto,  la Corea del Nord,  in cui  Trump ha mandato una “armata” navale (17 navi, fra cui sommergibili atomici),   non c’è da temere che  questa sia l’area in cui scoppierà la guerra mondiale.

Wikileaks ha reso noto il testo di una conferenza riservata (e a pagamento) che Hillary Clinton, allora  appena dimessasi dalla  carica di segretaria di Stato  tenne per le alte cariche della Goldman Sachs  nel giugno 2013. Essa spiegò a Lloyd Blanfein, il capintesta di Goldman:

“Noi [americani] non vogliamo una Corea unificata, perché se ci fosse una sola Corea del Sud sarebbe dominante per ovvie ragioni politiche ed economiche. Non vogliamo nemmeno che il Nord Corea crei più problemi di quelli che il sistema può assorbire”.

Anche Pechino,  aggiunse Hillary, è perfettamente d’accordo: una Corea unificata sarebbe troppo potente economicamente. E  in passato [noi e i cinesi] avevamo  “fatto piuttosto bene  coi precedenti leader nord-coreani.

Ma il nuovo giovane leader insulta i cinesi…”

“Allora un alto ufficiale militare non coreano  è stato ricevuto a Pechino e gli è stato detto: Piantatela. Chi credete di essere? Siete dipendenti da noi e lo sapete. […]”.

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Leggete il resto qui: Hillary Clinton Explains Our ‘North Korea, South Korea, China’ Policy

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Authored by Gaius Publius via Down With Tyranny blog,

“We don’t want a unified Korean peninsula … We [also] don’t want the North Koreans to cause more trouble than the system can absorb.”
—Hillary Clinton, 2013, speech to Goldman Sachs

Our policy toward North Korea is not what most people think it is. We don’t want the North Koreans to go away. In fact, we like them doing what they’re doing; we just want less of it than they’ve been doing lately. If this sounds confusing, it’s because this policy is unlike what the public has been led to assume. Thanks to something uncovered by WikiLeaks, the American public has a chance to be unconfused about what’s really going on with respect to our policies in Korea.

This piece isn’t intended to criticize that policy; it may be an excellent one. I just want to help us understand it better.

Our source for the U.S. government’s actual Korean policy — going back decades really — is former Secretary of State Hillary Clinton.She resigned that position in February 2013, and on June 4, 2013 she gave a speech at Goldman Sachs with Lloyd Blankfein present (perhaps on stage with her) in which she discussed in what sounds like a very frank manner, among many other things, the U.S. policy toward the two Korea and the relationship of that policy to China.

That speech and two others were sent by Tony Carrk of the Clinton campaign to a number of others in the campaign, including John Podesta. WikiLeaks subsequently released that email as part of its release of other Podesta emails (source email with attachments here). In that speech, Clinton spoke confidentially and, I believe, honestly. What she said in that speech, I take her as meaning truthfully. There’s certainly no reason for her to lie to her peers, and in some cases her betters, at Goldman Sachs. The entire speech reads like elites talking with elites in a space reserved just for them.

 

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I’m not trying to impugn Clinton or WikiLeaks by writing this — that’s not my intention at all. I just want to learn from what she has to say — from a position of knowledge — about the real U.S. policy toward North Korea. After all, if Goldman Sachs executives can be told this, it can’t be that big a secret. We should be able to know it as well.

What Clinton’s Speech Tells Us about U.S. Korea Policy

The WikiLeaks tweet is above. The entire speech, contained in the attachment to the email, is here. I’ve reprinted some of the relevant portions below, first quoting Ms. Clinton with some interspersed comments from me. Then, adding some thoughts about what this seems to imply about our approach to and relations with South Korea.

The Korea section of the Goldman Sachs speech starts with a discussion of China, and then Blankfein pivots to Korea. Blankfein’s whole question that leads to the Clinton quote tweeted by WikiLeaks above (my emphasis throughout):

MR. BLANKFEIN: The Japanese — I was more surprised that it wasn’t like that when you think of — all these different things. It’s such a part of who they are, their response to Japan. If you bump into the Filipino fishing boats, then I think you really — while we’re in the neighborhood [i.e., discussing Asia], the Chinese is going to help us or help themselves — what is helping themselves? North Korea? On the one hand they [the Chinese] wouldn’t want — they don’t want to unify Korea, but they can’t really like a nutty nuclear power on their border. What is their interests and what are they going to help us do?

Clinton’s whole answer is reprinted in the WikiLeaks tweet attachment (click through to the tweet and expand the embedded image to read it all). The relevant portions, for my purposes, are printed below. From the rest of her remarks, the context of Blankfein’s question and Clinton’s answer is the threat posed by a North Korean ICBM, not unlike the situation our government faces today.

MS. CLINTON: Well, I think [Chinese] traditional policy has been close to what you’ve described. We don’t want a unified Korean peninsula, because if there were one South Korea would be dominant for the obvious economic and political reasons.

We [also] don’t want the North Koreans to cause more trouble than the system can absorb. So we’ve got a pretty good thing going with the previous North Korean leaders [Kim Il-sung and Kim Jung-il]. And then along comes the new young leader [Kim Jung-un], and he proceeds to insult the Chinese. He refuses to accept delegations coming from them. He engages in all kinds of both public and private rhetoric, which seems to suggest that he is preparing himself to stand against not only the South Koreans and the Japanese and the Americans, but also the Chinese.

Translation — three points:

  • The U.S. prefers that Korea stay divided. If Korea were to unite, South Korea would be in charge, and we don’t want South Korea to become any more powerful than it already is.
  • We also don’t want the trouble North Korea causes South Korea to extend beyond the region. We want it to stay within previously defined bounds.
  • Our arrangement with the two previous North Korean leaders met both of those objectives. North Korea’s new leader, Kim Jung-un, is threatening that arrangement.

It appears that China has the same interest in keeping this situation as-is that we do. That is, they want South Korea (and us) to have a Korean adversary, but they don’t want the adversary acting out of acceptable bounds — coloring outside the lines laid down by the Chinese (and the U.S.), as it were. Clinton:

So the new [Chinese] leadership basically calls him [Kim Jung-un] on the carpet. And a high ranking North Korean military official has just finished a visit in Beijing and basically told [him, as a message from the Chinese]: Cut it out. Just stop it. Who do you think you are? And you are dependent on us [the Chinese], and you know it. And we expect you to demonstrate the respect that your father and your grandfather [Kim Jung-il, Kim Il-sung] showed toward us, and there will be a price to pay if you do not.

Now, that looks back to an important connection of what I said before. The biggest supporters of a provocative North Korea has been the PLA [the Chinese People’s Liberation Army]. The deep connections between the military leadership in China and in North Korea has really been the mainstay of the relationship. So now all of a sudden new leadership with Xi and his team, and they’re saying to the North Koreans — and by extension to the PLA — no. It is not acceptable. We don’t need this [trouble] right now. We’ve got other things going on. So you’re going to have to pull back from your provocative actions, start talking to South Koreans again about the free trade zones, the business zones on the border, and get back to regular order and do it quickly.

Now, we don’t care if you occasionally shoot off a missile. That’s good. That upsets the Americans and causes them heartburn, but you can’t keep going down a path that is unpredictable. We don’t like that. That is not acceptable to us.

So I think they’re trying to reign Kim Jong in. I think they’re trying to send a clear message to the North Korean military. They also have a very significant trade relationship with Seoul and they’re trying to reassure Seoul that, you know, we’re now on the case.

Clinton ends with a fourth point:

  • From the U.S. standpoint, the current problem is now on the Chinese to fix.

Clinton:

So they want to keep North Korea within their orbit. They want to keep it predictable in their view. They have made some rather significant statements recently that they would very much like to see the North Koreans pull back from their nuclear program. Because I and everybody else — and I know you had Leon Panetta here this morning. You know, we all have told the Chinese if they continue to develop this missile program and they get an ICBM that has the capacity to carry a small nuclear weapon on it, which is what they’re aiming to do, we cannot abide that. Because they could not only do damage to our treaty allies, namely Japan and South Korea, but they could actually reach Hawaii and the west coast theoretically, and we’re going to ring China with missile defense. We’re going to put more of our fleet in the area.

So China, come on. You either control them or we’re going to have to defend against them.

The four bullets above (three, and then one) give a very clear definition of longstanding U.S. policy toward the two Koreas. I think the only surprise in this, for us civilians, is that the U.S. doesn’t want the Korean peninsula unified. So two questions: Why not? And, do the South Koreans know this? I’ll offer brief answers below.

The “Great Game” In East Asia — Keeping the Korean “Tiger” in Check

South Korea is one of the great emerging nations in East Asia, one of the “Asian tigers,” a manufacturing and economic powerhouse that’s lately been turning into a technological and innovative powerhouse as well.

For example, one of just many, from Forbes:

Why South Korea Will Be The Next Global Hub For Tech Startups

American business has long led the way in high tech density or the proportion of businesses that engage in activities such as Internet software and services, hardware and semiconductors. The US is fertile ground for tech start-ups with access to capital and a culture that celebrates risk taking. Other countries have made their mark on the world stage, competing to be prominent tech and innovation hubs. Israel has been lauded as a start-up nation with several hundred companies getting funded by venture capital each year. A number of these companies are now being acquired by the likes of Apple, Facebook and Google. Finland and Sweden have attracted notice by bringing us Angry Birds and Spotify among others. But a new start-up powerhouse is on the horizon – South Korea. […]

In other words, South Korea has leaped beyond being a country that keeps U.S. tech CEOs wealthy — it’s now taking steps that threaten that wealth itself. And not just in electronics; the biological research field — think cloning — is an area the South Koreans are trying to take a lead in as well.

It’s easy to understand Ms. Clinton’s — and the business-captured American government’s — interest in making sure that the U.S. CEO class isn’t further threatened by a potential doubling of the capacity of the South Korean government and economy. Let them (the Koreans) manufacture to their heart’s content, our policy seems to say; but to threaten our lead in billionaire-producing entrepreneurship … that’s a bridge too far.

Again, this is Clinton speaking, I’m absolutely certain, on behalf of U.S. government policy makers and the elites they serve: We don’t want a unified Korean peninsula, because if there were one, an already-strong South Korea would be dominant for obvious economic reasons.

As to whether the South Koreans know that this is our policy, I’d have to say, very likely yes. After all, if Clinton is saying this to meetings of Goldman Sachs executives, it can’t be that big a secret. It’s just that the South Korea leadership knows better than the North Korean leader how to handle it.

[Update: It’s been suggested in comments (initially here) that Clinton’s “we” in her answer to Blankfein’s question was a reference to China’s policy, not our own. I’m doubtful that’s true, but it’s an interpretation worth considering. Even so, the U.S. and Chinese policies toward the two Koreas are certainly aligned, and, as Clinton says, “for the obvious economic and political reasons.” (That argument was also expressed in comments here.)  I therefore think the thrust of the piece below is valid under either interpretation of Clinton’s use of “we.” –GP]

1148.- SIRIA. IL CAOS AMERICANO SEMPRE PIU’ INCENDIARIO.

MA GLI AEREI DELLA TURCHIA E DEGLI USA SONO DELLA NATO SOLO DOPO L’ATTERRAGGIO? E LA NATO A COSA SERVE? SERVE A FAR SCOPPIARE LA GUERRA NUCLEARE, PARTENDO DALLA SIRIA.

President Donald Trump talks on the phone to Commander Andria Slough
President Donald Trump talks on the phone to Commander Andria Slough, Commanding Officer of USS Porter from his office on board AF-1 en route Washington, D.C., Sunday, April 9, 2017. Also shown is Lt. Gen. H. R. McMaster, National Security Advisor. President Trump called Commander Slough to congratulate and thank the commanding officer for the flawless execution of the April 6 order to retaliate against the regime of Bashar Al-Asad for his chemical weapons attack against innocent civilians in Syria on April 4. (Official White House Photo by Shealah Craighead)

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Venerdì 21 aprile: un portavoce del Pentagono comunica che caccia Usa hanno tentato di intercettare aerei siriani (due Su-24) che stavano attaccando forze curde nella regione di Hasaka, non riuscendoci perché gli aerei siriani avevano già abbandonato la zona. La scusa per questo, ha detto  l’uomo del Pentagono, era “proteggere i consiglieri americani,  i militari che stanno inquadrando le forze curde.

Lunedì 24 aprile: un altro portavoce del Pentagono, Peter Cook, mette in guardia Siria e Russia con queste parole: “Non ci sono ‘zone di esclusione’ [no-flight zone], ma consigliamo il regime siriano di restare lontano dalle zone dove operano forze della coalizione” [la “coalizione” americana “contro l’IS”]. Alla domanda di un giornalista  se gli aerei Usa sono pronti ad abbattere anche aerei russi, Cook risponde: “Se minacciano le forze americane, abbiamo sempre diritto di difendere le nostre forze armate”.

Martedì 25 aprile:  F-16 turchi (non siriani, non russi: turchi) attaccano posizioni kurde alleati degli Usa nel nordest della  Siria e in Irak (forze situate sui due lati delle montagne Singal, dove i curdi operano con forze di autodifesa yezide)  ammazzando una ventina di combattenti e  distruggendo un centro dello YPG (l’armata curda anti-Assad), un centro-stampa e una stazione radio. Lo YPG, per Erdogan, è il braccio armato del PKK di  Oçalan, organizzazione “terrorista” pèer Ankara ed anche per gli Usa.  Nello stesso tempo,  lo YPG è parte attiva (anzi decisiva) della “coalizione” americana di cui sopra, e  partecipa alla  “liberazione” di Rakka (in Siria) occupata dall’IS (che è sostanzialmente una creatura wahabita-americana).  L’attacco turco  ai curdi favorisce l’IS, perché  una parte delle forze combattenti curde saranno distolte dall’assedio di Rakka per rinforzare le difese attornoalla zona bombardata, aprendo il cerchio che  per ora impedisce (più o meno) ai terroristi wahabiti assediati a Rakka di defluire verso le città siriane – soluzione preferita dagli americani, che vogliono usare  l’IS contro Assad  ricostruendo una “capitale dello Stato Islamico” a Idlib (Siria del Nord) con i resti dei mercenari terroristi.

Domande: Erdogan ha bombardato i curdi YPG con l’assenso  oppure contro il parere del  Pentagono? Se sì, il Pentagono minaccerà Ankara di abbattere i suoi aerei che minacciano i suoi alleati e i consiglieri militari Usa che sicuramente sono lì? Sono domande per cui non abbiamo risposta,  ma servono a dar l’idea di quanto sia contorta, caotica e pericolosa la situazione bellica del Nord Siria, dove gli americani l’hanno ulteriormente complicata e non è più tanto facile capire chi sta combattendo contro chi, e  “con”  chi.

Infatti,  i caccia di Ankara hanno colpito non solo i curdi YPG, ma  anche ucciso cinque peshmerga, la milizia del clan Barzani   – e  la famiglia Barzani è amica sia di Ankara sia di Washington e Israele; occupa la parte curda dell’Irak,   ricca di greggio,  dove ha sostanzialmente dichiarato la sua autonomia  con il beneplacito  Usa.  I Barzani ricoprono tutte le  cariche in questa  semi-repubblica del Kurdistan iracheno (dove operano  il Mossad e Tsahal come consiglieri  speciali): presidente, primo ministro, capo del controspionaggio…  Gli Usa   operano dall’aeroporto di Erbil, la capitale del  Barzanistan;  anche i turchi hanno lì diverse basi militari; il clan Barzani   estrae  il petrolio dal Kurdistan iracheno e lo rivende  in Turchia; la famiglia Erdogan, notoriamente, è nello stesso business; insomma sono amiconi.  L’attacco  turco mette in difficoltà il clan Barzani, che già ha dovuto soffocare proteste di  curdi che manifestano contro la sua dittatura. Erdogan  preferisce aiutare Is che Barzani?

Erdogan, bombe accidentali

Poche ore dopo, la Reuters dà notizia dell’attacco degli aerei turchi  dicendo che ha ucciso “18 membri del PKK”.   L’uccisione dei cinque peshmerga è menzionata alla fine  come “un accidente”, un errore.  E’ la versione ufficiale e autorizzata. Subito, il clan Barzani accusa lo YPG  come vero responsabile   per il bombardamento   turco dei suoi uomini, e lancia un appello “al PKK perché se ne vada dal Kurdistan iracheno”.

http://www.reuters.com/article/us-mideast-crisis-turkey-iraq-idUSKBN17R0D2

Magari è andata davvero così.  Aspettiamo il comunicato  con cui Ankara “si scuserà” con Barzani  per “l’accidente”, così come qualche giorno fa lo Stato Islamico s’è scusato con   Israele per aver  aperto il fuoco, a novembre,  contro un commando israeliano (la brigata Golani) che era penetrato nel sud siriano per condurvi una “imboscata”.

https://www.rt.com/news/386027-isis-apologized-israel-golan/

Un  errore scusabile. La Golani non aveva avvertito i suoi amiconi islamisti che occupano la parte sud  della Siria e la tengono in caldo per Sion. Il punto è: consideri il lettore quanti “errori” e “accidenti”   possono avvenire in questo groviglio di truppe regolari e irregolari, siriane e  russe, terroristi con consiglieri americani, kurdi con consiglieri americani, doppi e tripli giochi di Washington e di Erdogan (che,beninteso,   stanno “combattendo l’IS”  cercandolo di mandare ad occupare altro zone della Siria).

Tanto più  che – avendo con questi tripli giochi  gli Usa mandato a monte la pacificazione in Siria, che Mosca aveva faticosamente tentato di organizzare mettendo al tavolo dei  negoziati anche “l’opposizione”  –   anche la Russia è costretta a giocare lo stesso gioco – e forse lo sa fare meglio.

La Russia infatti ospita la  prima ambasciata non-ufficiale kurda (ossia dello YPG, nerbo dell’Armata siriana Libera, anti-Assad, ma disposta a sedersi nel negoziato;  quello YPG che Erdogan vuole distruggere), ha accolto a febbraio una “Prima Conferenza Curda”, ha aperto un centro militare a Manbij nella zona di Siria in mano allo YPG , ufficialmente per sorvegliare il cessate-il-fuoco, e sta addestrando le milizie YPG “alla guerra moderna”:  insomma sta mostrando ad Erdogan che può benissimo giocare la carta curda contro di lui, se sgarra troppo.

http://www.arabnews.com/node/1078696

Frattanto   Izvestia comunica:  Mosca ha  offerto a Damasco di mandare truppe  russe di terra, su richiesta ufficiale, per proteggere la popolazione (in maggioranza cristiana) nella provincia di Hama, sollevando dal compito l’Armata Siriana (di Assad) che si sta concentrando nella imminente operazione anti-terrorista nella Hama  settentrionale.   I russi “aiuteranno le milizie popolari” locali “a riportare ordine e sicurezza nella cittadina di Mahradeh, cristiana”,  insomma ad addestrare all’autodifesa quella comunità.

Due settimane fa il generale McMaster, capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale di Trump,  sta progettando di mandare “fra 10 e 50 mila truppe” in Siria nel Sud.  Ormai che  “la guerra per interposti attori nel Nord siriano, è persa per  l’Occidente”  (i russi-siriani hanno ormai sventato, sembra, il progetto americano di ritagliare una zona al Nord sottratta a Damasco),  l’America sta palesemente aiutando Al Qaeda e Israele a ritagliare la zona Sud attigua alle alture  del Golan occupate da Sion. Ovviamente per costituire una”zona sicura meridionale” protetta dall’artiglieria israeliana,per “Al Qaeda”. Infatti è ricomparso persino Al-Zawahiri, con un messaggio in cui ha “consigliato” i  terroristi del Nord di smettere di cercare di difendere  il  terreno ad Idlib e darsi “alla guerriglia”.  Naturalmente i media europei hanno già annunciato che la sconfitta dello Stato Islamico  non diminuirà il pericolo per noi europei; anzi lo aumenterà, perché  Daesh farà altri attentati in Europa. Anche Al Zawahiri adesso si unisce, con suo consiglio.

Da quanto tempo non avevamo tue notizie, Zawahiri! Cime ci sei mancato! Dove vivi? Ti hanno dato finalmente la carta verde? O abiti in Sion?

Maurizio Blondet

1147.- La prima portaerei made in China

‘Type 001A’, una sigla prima del vero nome, per la prima portaerei cinese costruita interamente in casa. Copiatori d’eccellenza, gli ingegneri cinesi avevano a comprato la loro prima portaerei dalla Russia, e ora fanno da soli. Corsa al riarmo anche se la gara con gli Usa per ora è dispari, ma è dal 2000 che l’US NAVY prevede il sorpasso dei cinesi per il 2025.

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Ieri 26 aprile Pechino ha varato la prima portaerei completamente «Made in China». La nuova nave da guerra, la seconda portaerei della flotta cinese, è stata costruita nei cantieri navali di Dalian, nel Nord-Est della Cina. La nuova unità, ancora da ‘armare’ nel saenso navale e non soltanto, entrerà però in servizio tra due o tre anni.
Con una stazza di 50 mila tonnellate e una lunghezza di 315 metri, la nuova Type-001A è di poco più grande rispetto alla Liaoning, la portaerei di fabbricazione sovietica, acquistata dalla Cina in Ucraina e che dal 2012 è parte della flotta della Repubblica Popolare.

Grande enfasi nazionalista per l’evento, ma c’è anche chi ha voluto rimarcare il forte divario con la potenza navale Usa. La US Navy può contare su dieci portaerei, con altre due sono in costruzione. Inoltre, le portaerei cinesi mostrano limiti nelle dimensioni e in altri dettagli tecnici rispetto alle navi da guerra a propulsione nucleare che fanno parte della flotta americana.
Anche se la Cina sta già lavorando a navi da guerra di nuova generazione, per ora la dottrina militare di Pechino sembra concentrata a livello regionale: Taiwan, le contese territoriali con il Giappone e sulle isole nel Mar Cinese Meridionale.

Nell’ultimo decennio, però, la marina cinese ha iniziato ad ampliare i ‘proprio orizzonti’ in senso letterale. Dal 2008 è impegnata in missioni anti-pirateria al largo della Somalia, la prima presenza al di fuori delle proprie acque territoriali condotta da Pechino. Una fregata cinese aveva partecipato alla scorta internazionale per l’evacuazione dei gas tossici dalla Siria. Attualmente, nel Golfo di Aden, a Gibuti, la Cina sta costruendo la sua prima base navale all’estero. Una posizione strategica, quella del Corno d’Africa, da cui si controllano le rotte commerciali ed energetiche tra l’Oceano Indiano e il Mediterraneo.

Una delle priorità dell’amministrazione del Presidente Xi Jinping è stata proprio la modernizzazione dell’Esercito Popolare di Liberazione. La Cina prevede il progressivo spostamento di uomini e risorse dalle forze di terra – oggi l’enormità di un milione e 600 mila soldati – verso la marina e l’aviazione. Come si legge nei documenti ufficiali di Pechino, è già una trentina d’anni che la Cina ha iniziato a trasformare la propria dottrina militare, dalla tradizionale difesa dei confini terrestri per iniziare a rivolgere la propria attenzione agli oceani. La Cina che apriva alle riforme economiche doveva, infatti, proteggere le rotte marittime su cui viaggiano le esportazioni di Pechino.

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J-15 Flying Shark Carrier Borne Naval Fighter

Nel 2016 la Cina aveva messo a bilancio 954,35 miliardi di yuan per la spesa militare, 138,4 miliardi di dollari. L’aumento deciso per quest’anno, +7%, la porta a 147,9 miliardi di dollari, la spesa più alta dopo quella degli Stati Uniti, superiore alla somma dei rivali regionali Giappone e Corea del Sud. D’altra parte quella cinese è la seconda economia del mondo.
Il +7% «circa» del 2017 porta il budget delle forze armate oltre la soglia simbolica dei 1.000 miliardi di yuan (147,9 miliardi di dollari). Ma 9 miliardi di dollari in più sul 2016 sono una frazione dei 54 miliardi chiesti da Donald Trump davanti al Congresso di Washington. E il Pentagono ha a disposizione 603 miliardi di dollari, il quadruplo dell’Esercito cinese.

1146.- Tutte le tensioni tra Frontex e Ong sui migranti

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europa-flag Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex)

Ruolo: Frontex aiuta i paesi dell’UE e i paesi associati alla zona Schengen a gestire le loro frontiere esterne. Contribuisce anche ad armonizzare i controlli alle frontiere in tutta l’UE. L’agenzia agevola la collaborazione tra le autorità di frontiera dei singoli paesi dell’UE fornendo assistenza tecnica e know how.
Direttore: Fabrice Leggeri
Anno di istituzione: 2004
Numero di dipendenti: 315
Bilancio: 250 milioni di euro
Sede: Varsavia (Polonia)
Sito web: Frontex

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L’agenzia Frontex ha i nomi delle Ong che vengono chiamate direttamente dagli scafisti o dai migranti sui barconi per essere salvati, ma queste informazioni saranno fornite solo all’autorità giudiziaria italiana. L’ha spiegato Fabrice Leggeri (nella foto), direttore esecutivo dell’agenzia europea, ai senatori della commissione Difesa in audizione. E, visto che sono tre le procure che già stanno indagando sul ruolo opaco di alcune organizzazioni non governative, è possibile che presto ci saranno sviluppi. Quella di Leggeri è stata una delle tre audizioni parlamentari di mercoledì 12 aprile su un tema divisivo come quello sull’immigrazione usato ancora una volta per alimentare confusione finalizzata allo scontro tra partiti anziché chiarezza a beneficio di tutti. Alla commissione Difesa di Palazzo Madama si sono presentati anche i rappresentanti della Ong Proactiva Open Arms e il Comitato Schengen della Camera ha ascoltato il presidente dell’Ong Sea-Eye mentre nell’Aula di Montecitorio è stato approvato a maggioranza, e con spaccature a sinistra, il decreto sull’immigrazione.

 

LE ACCUSE DI FRONTEX

Le indagini conoscitive avviate in Parlamento stanno confermando posizioni inconciliabili. Leggeri ha confermato le sue accuse alle Ong rilevando che dall’anno scorso la quota di soccorsi fatti da queste organizzazioni è salita a circa un terzo del totale e che intervengono sempre più in prossimità della Libia mentre fino al 2015 si era a metà strada tra Sicilia e Libia. Frontex ha due tipi di testimonianze di migranti: gli scafisti forniscono loro apparecchi telefonici con numeri di Ong da chiamare per essere soccorsi (quindi non una normale richiesta di aiuti a una sala operativa che indirizza la nave più vicina) e “uomini libici in uniforme”, certamente appartenenti alla Guardia costiera libica, sono in contatto con Ong a Ovest di Tripoli, in qualche caso minacciando di uccidere donne e bambini.

IL RUOLO DI SEA-EYE

Il presidente della Ong Sea-Eye, il tedesco Michael Buschheuer, al Comitato Schengen ha detto in sintesi le seguenti cose: l’Ong, nata all’indomani della chiusura della missione Mare Nostrum, si tiene “il più lontano possibile dalle coste libiche”, tra le 30 e le 36 miglia, e si è avvicinata fino a 13 miglia solo per salvare persone in pericolo e in accordo con la sala operativa di Roma; non trasporta migranti in Italia perché non è attrezzata per farlo, si limita all’assistenza e alla creazione di “isole flottanti” per consentire ad altri il materiale salvataggio; non ha intenzione di aiutare i trafficanti e se dovrà adeguare il modo di agire lo farà perché non intende favorire i traffici. Un punto su cui Buschheuer ha insistito è il contatto costante e sostanzialmente esclusivo con Mrcc Roma, cioè con la sala operativa della Guardia costiera, precisando che la metà dei loro interventi arriva su segnalazione della sala operativa e l’altra metà da loro avvistamenti.

LA POLEMICA DELLA RAVETTO

Il presidente del Comitato, Laura Ravetto (FI), ha a sua volta insistito sul contatto diretto “con il ministero dei Trasporti” dichiarato dal presidente di Sea-Eye, cioè che sia “il ministero dei Trasporti” a indicare dove andare a salvare i migranti, tanto che ha anticipato l’intenzione di audire nuovamente la Guardia costiera, il ministro Graziano Delrio, il ministero dell’Interno e altri. La Guardia costiera (corpo specialistico della Marina militare) è inquadrata funzionalmente nel ministero delle Infrastrutture e Trasporti, ma in caso di emergenza chi dovrebbe avvertire le tante navi che solcano il Mediterraneo se non la sala operativa che coordina i soccorsi? Trasformare un’ovvietà in uno spunto polemico significa conoscere poco i meccanismi operativi quando c’è già sufficiente materiale per tentare di mettere ordine nella complessa gestione del fenomeno pur nelle diverse opinioni politiche: trattati internazionali e la “legge del mare” impongono di salvare chi chiede aiuto, altra cosa sono la diplomazia che non riesce a risolvere la crisi libica, certe Ong che probabilmente vanno a prendere i migranti dove non dovrebbero, la quasi nulla ricollocazione in Europa dei rifugiati che l’Italia ospita.

LE INCHIESTE

Dal suo punto di vista, Buschheuer ha lamentato perfino che chi coordina i soccorsi si “limita” a far intervenire le navi più vicine solo una volta ricevuta una richiesta di aiuto, “ma non vanno a cercare i migranti”. Questo l’Italia non può e non deve farlo. Il presidente di Sea-Eye ha inoltre attaccato “un pm siciliano” che ha accusato le Ong di godere di finanziamenti poco chiari, rimarcando che nessuno ha visionato i loro libri contabili da cui emergerebbero solo donazioni di privati. Il riferimento era al procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, che nel mese di marzo davanti allo stesso Comitato Schengen aveva confermato l’apertura di inchieste di tre procure (Catania, Palermo e Cagliari) sul ruolo opaco di certe Ong.

LE MODALITÀ DI SOCCORSO

La spagnola Proactiva Open Arms nel 2016 ha salvato 70 mila migranti su oltre 181 mila arrivati in Italia. Il direttore Oscar Camps e il capo missione Riccardo Gatti hanno negato di aver ricevuto telefonate da terra e ribadito di operare sotto il coordinamento del comando della Guardia costiera italiana, che indica loro dove portare i migranti. In particolare, non credono a Frontex quando sostiene di avere le prove di telefonate dirette dai migranti alle Ong e non c’è dubbio che su questo punto le inchieste dovranno fare chiarezza. A una precisa domanda, Gatti ha risposto che la Guardia costiera individua il porto su indicazione del Viminale e che comunque la legge impone di approdare nel porto “più vicino e più sicuro”. Geograficamente il più vicino è Sfax in Tunisia, ma non è sicuro e l’alternativa è l’Italia. Allo stesso modo, così come affermano di non operare mai nelle acque libiche, il diritto internazionale obbliga a farlo in caso di naufragio: alla Proactiva Open Arms è accaduto due volte, il 23 luglio e il 9 ottobre 2016. Giusto per capire il clima, Maurizio Gasparri (FI) in audizione ha definito la Guardia costiera “organizzazione dedita a devastare il nostro Paese e non a proteggere le nostre coste” e in una successiva dichiarazione si è spinto perfino a invocare la corte marziale aggiungendo nel calderone anche il Viminale e la missione Eunavfor Med.

LE ROTTE DI UN FLUSSO INTERMINABILE

Secondo l’ultimo rapporto Frontex (diffuso in contemporanea con l’audizione di Leggeri), nel mese di marzo sono passate nel Mediterraneo centrale 10.800 persone, oltre un quinto in più del mese precedente, mentre lungo la rotta del Mediterraneo orientale verso la Grecia ne sono passate 1.690, cioè solo il 6 per cento di quanti arrivarono lo scorso anno prima dell’accordo tra Ue e Turchia. I dati complessivi di Frontex fino a marzo parlano di un 30 per cento in più di arrivi in Italia rispetto al 2016: una media attendibile perché il ministero dell’Interno all’11 aprile ha registrato 26.989 persone, che quel giorno equivalevano al 35,4 per cento in più e che il giorno dopo valevano invece il 23,8 per cento in più in assenza di nuovi sbarchi. Frontex segnala anche che da marzo aumentano gli arrivi dal Corno d’Africa passando per la Libia. Sul fronte dei ricollocamenti il vero problema, già ammesso recentemente da Angela Merkel, è che sono pochissimi quelli che ne hanno diritto: secondo la Commissione europea, infatti, in Italia oggi sono presenti solo 3.500 richiedenti asilo che possono beneficiare della ricollocazione. Fino al 10 aprile, secondo Bruxelles ne sono stati ricollocati 16.340 di cui 5.001 dall’Italia e 11.339 dalla Grecia.

I TORMENTI DELLA SINISTRA

La Camera ha nel frattempo approvato a maggioranza il decreto legge Minniti sull’immigrazione. Nel centrodestra ci sono posizioni variegate, non necessariamente aggressive, aspettando il ministro dell’Interno al varco dell’applicazione pratica del decreto. Per esempio il presidente della Lombardia, Roberto Maroni (Lega), da ex ministro dell’Interno sa più di altri di che cosa si parla e, dopo aver apprezzato l’opera di Minniti, ora lo bacchetta: “Aveva detto che avrebbero fatto un Cie in ogni regione, ma sto ancora aspettando che mi dica in Lombardia dove vuole farlo. Più passa il tempo, più arrivano immigrati”. A sinistra invece cominciano a emergere le contraddizioni di un gruppo come Mdp che comprende una sinistra dura e pura e una sinistra meno dura, ma sicuramente antirenziana. Così nel Pd è facile per Emanuele Fiano rilevare che Mdp ha votato contro il decreto alla Camera e a favore al Senato oppure per Alessia Morani affermare che è curioso votare contro un decreto del ministero dell’Interno il cui viceministro è Filippo Bubbico che fa parte di Mdp. E più si avvicinano le elezioni amministrative più se ne vedranno delle belle, visto che il capogruppo alla Camera, Ettore Rosato, accusa Mdp di destabilizzare la legislatura. Se poi dall’altra parte qualcuno arriva a parlare di corte marziale…

1145.- ONG: CHI LE FINANZIA VERAMENTE? E PERCHE’ HANNO QUESTE E PROPRIO QUESTE PRIORITA’?

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1. Nessuno si interroga su quanto costi esattamente armare delle navi – che magari in precedenza erano addette al trasporto di merci ricavandone un corrispettivo- e dunque, rinunciando ai precedenti noli commerciali, per tenerle continuamente in navigazione, pagando i  relativi carburanti, il personale di bordo delle varie qualifiche e quello di terra per il supporto logistico/tecnologico e per il disbrigo delle pratiche portuali di ormeggio e rifornimento.
Allo Stato, a cui non si perdona nessuno spreco, – che poi consiste nel fatto stesso che non affida al mercato privato ogni suo possibile compito-, costa(va) tanto: la “versione” Mare Nostrum, delle operazioni di salvataggio (previo pattugliamento), costava allo Stato italiano 9,5 milioni al mese; quella Frontex, e Triton, in apparenza notevolmente di meno, cioè circa 2,9 milioni al mese.
Almeno stando al livello di finanziamento apprestato dall’UE: ma dato il “volume” incrementale di sbarchi in Italia, nel corso degli ultimi anni, questo finanziamento UE deve necessariamente essere pro-quota e quindi non sufficiente a coprire gli interi costi dell’operazione: e ciò, includendo, appunto, l’attuale apporto di navi mercantili, cioè di armatori privati (che dovrebbero essere prescelte dall’UE in base a criteri che si devono presumere trasparenti e conseguenti ad accertamenti sui requisiti finanziari e di capacità tecnica degli armatori interessati).
2. Poiché il volume di “salvataggi” si è addirittura incrementato rispetto alla fase Mare Nostrum, se ne deve dedurre che il costo differenziale che sostiene l’iniziativa privata, rigorosamente no-profit, sia quantomeno, per approssimazione, superiore ai 6,5 milioni al mese.
Questo intervento al Senato dell’onorevole Arrigoni, precisa le ipotesi appena fatte, supportandole coi dati ufficiali resi disponibili dal governo e delineando lo scenario complessivo, di tenuta del sistema finanziario pubblico e del tessuto sociale, che ne consegue:
“Vorrei descrivere il fenomeno in Italia.
Nel triennio 2014-2016 gli ingressi e gli sbarchi sono stati 505.000, ma – attenzione – solo via mare. A questi dovrebbero aggiungersi le migliaia di persone che entrano via terra, dall’Austria e dalla Slovenia in particolare, cioè da Paesi dell’area Schengen, dove noi non imponiamo il diritto di Paese di primo ingresso.
Dall’inizio dell’anno al 20 marzo 2017 sono già entrate via mare più di 18.000 persone, pari a oltre il 32 per cento (in più) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Perché do i dati dell’ultimo triennio?
Dalla fine del 2013, anno in cui si sono registrati 42.330 ingressi, c’è stata un’impennata degli sbarchi grazie – lo sottolineo – alle operazioni Mare nostrum (introdotta dopo la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013) e, poi, Triton.
Negli obiettivi, quelle missioni internazionali avrebbero dovuto costituire un deterrente per gli scafisti e diminuire le morti in mare.
Come i dati dimostrano, i risultati hanno invece visto un aumento esponenziale degli ingressi, a maggior ragione dopo l’attività delle navi delle organizzazioni non governative da settembre dello scorso anno.
In secondo luogo, si sono incrementate – e di molto – le morti in mare.
Do alcuni dati forniti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Dal 1990 al 2012 (ossia in un arco di ventitré anni) sono state registrate 2.711 morti nel Mediterraneo. Nel 2013 il numero è stato pari a 477 (comprese le 388 morti nella strage di Lampedusa del 3 ottobre). Dopo l’operazione Mare nostrum il numero delle morti si è innalzato: nel 2014 è stato pari a 3.270, nel 2015 a 3.771 e lo scorso anno a oltre 5.000. Nei primi due mesi del corrente anno i morti sono già oltre 500.
Veniamo alle organizzazioni non governative, di cui questa mattina ha parlato il procuratore della Repubblica di Catania Zuccaro in sede di Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen.
Dal settembre 2016 appartenenti a una decina di organizzazioni non governative non italiane, la metà con sede in Germania, spuntate come funghi – come dice Frontex, non collaborano con le attività di polizia e di intelligence – dispongono di 13 navi battenti bandiera di Paesi poco collaborativi con le nostre magistrature che stazionano stabilmente – h24 – al limite delle acque libiche e si fanno notare da facilitatori scafisti, che così inviano verso di loro gommoni precari, di produzione cinese, carichi di immigrati che vengono salvati e trasportati in Italia.
Nel complessivo anno 2016, queste organizzazioni non governative hanno compiuto, da sole, il 30 per cento dei soccorsi in mare nelle aree di ricerche e soccorso. Nei primi due mesi del 2017, operando a pieno regime, hanno svolto il 50 per cento dei soccorsi e, in barba a quanto previsto dalla Convenzione dell’ONU sul diritto del mare, se ne guardano bene dal portare i migranti salvati nel porto più vicino e sicuro, di Zarzis, in Tunisia, ma si dirigono direttamente in Italia.
Queste navi, super equipaggiate e dotate di droni sofisticati, hanno dei costi di navigazione elevatissimi, stimati in circa 10.000 euro al giorno cadauna.
Chi finanzia tutto questo?
È questa un’invasione pianificata a tavolino?… È inaccettabile che dei privati si sostituiscano allo Stato per realizzare, di fatto, un corridoio umanitario verso il nostro Paese. Ci domandiamo se queste organizzazioni non governative favoriscono l’immigrazione clandestina in Italia.
Esse dovrebbero essere indagate non solo ai sensi del cosiddetto articolo 12 della legge Bossi-Fini, per favoreggiamento del reato di immigrazione clandestina, ma anche per omicidio colposo.
Anche la procura di Catania correla le attività di queste ONG con l’aumento delle morti, visto che le organizzazioni criminali ricorrono a gommoni sempre più inadeguati (gommoni cinesi dove si muore persino per schiacciamento) mettendo alla guida non scafisti, che si sono fatti furbi, ma gli stessi migranti, dotandoli semplicemente di bussola e cellulare, per i quali non è nemmeno configurabile il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Dopo gli ingressi, veniamo al numero delle richieste di asilo nell’ultimo triennio: sono state “solo” 300.000 contro i 500.000 ingressi.
Dove sono andati i 200.000 che non hanno fatto richiesta di asilo? Nel triennio, di questi 300.000 richiedenti, solo 220.000 sono state le richieste esaminate dalle Commissioni territoriali. Nel 2016 le richieste di asilo sono state 123.600 (il 50 per cento in più rispetto al 2015) e nelle prime settimane del 2017 registriamo un aumento del 60 per cento rispetto al pari periodo del 2016. Sempre lo scorso anno sono state “solo” 91.100 le richieste esaminate, e di queste il 60 per cento sono state respinte. Dunque, nonostante l’aumento delle commissioni territoriali (che da diciotto mesi sono state elevate a 48) cresce costantemente la coda delle persone in attesa di esame della richiesta di asilo: al 10 marzo – lo dice il presidente della Commissione nazionale per il diritto d’asilo, il prefetto Trovato – le pendenze in ordine alle richieste di asilo sono 120.000.
Analizzando tali richieste si scoprono, poi, cose davvero interessanti.
Le nazionalità più numerose che chiedono protezione internazionale in Italia non sono quelle che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale (soglia che la UE stabilisce nel 75 per cento).
La prima nazionalità a fare richiesta d’asilo è la Nigeria con l’otto per cento di riconoscimento di protezione; la seconda è il Pakistan con il 23 per cento; la terza il Gambia con il cinque per cento; la quarta il Senegal con il quattro per cento; la quinta la Costa d’Avorio con l’otto per cento; la sesta l’Eritrea con il 74 per cento (di richieste accolte).
Insomma, per quantità di richieste di asilo bisogna arrivare al sesto posto per trovare gli eritrei e addirittura all’undicesimo per trovare gli afghani, entrambe nazionalità che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale, ma che registrano numeri bassi.
Prime riflessioni. Questo spiega perché negli ultimi due anni la percentuale di rifugiati media è del cinque per cento, mentre quella di coloro che ottengono protezione sussidiaria è del 14 per cento; cioè a meno del 20 per cento (uno su cinque) degli esami delle richieste di asilo si riconoscerà la protezione internazionale. I dati dimostrano, dunque, che la gran parte di coloro che chiedono asilo sono migranti economici, dunque irregolari, clandestini… Questi sono messi nel sistema di accoglienza per anni.
Tra le nazionalità di migranti in ingresso balzano all’occhio i pakistani, che ottengono il tre per cento di stato di rifugiato e il cinque per cento della protezione sussidiaria, e che dunque sono prevalentemente migranti economici, dunque clandestini. I numeri ci dicono che i pakistani sbarcati nel 2016 sono molti meno (il 20 per cento) rispetto a quelli che hanno chiesto asilo:2.770 sono sbarcati, 13.510 hanno richiesto asilo nel 2016. Sono forse stati paracadutati nel nostro Paese? No. Qual è allora la motivazione? Percorrendo la rotta dei Balcani – che quindi non è totalmente interrotta, nonostante noi Europa, noi Italia, diamo sei miliardi al sultano Erdogan per bloccarla  – i pachistani e altri migranti, venendo dal Medio Oriente, passano attraverso i confini terrestri, soprattutto austriaco e sloveno, che sono Paesi di area Schengen, che dunque non sono controllati.
Dove emerge con tutta forza il lato più significativo dell’emergenza?
È nel sistema di accoglienza, che registra una situazione che diventa ogni giorno sempre più esplosiva. Elevati ingressi più foto segnalamenti a tappeto che ci ha imposto l’Europa , hanno determinato un’esplosione dei numeri che sta facendo collassare il sistema di accoglienza dove vengono assistiti i sedicenti profughi.
Alla fine del 2013 erano 22.000 nel sistema di accoglienza; a fine 2014 erano 66.000, a fine 2015 erano 104.000, alla fine dello scorso anno 176.000, con spese enormi a carico del nostro Paese; spese passate da 1,6 miliardi del 2013, con un contributo dell’Unione europea di soli 100 milioni di euro, a 4 miliardi del 2016, con soli 112 milioni di contributo dell’Unione europea: un contributo che non si avvicina neanche a meno del 3 per cento del costo complessivo.
L’impatto fiscale dell’emergenza migranti tocca quasi lo 0,3 per cento del nostro PIL; oltre il 60 per cento di questi 4 miliardi è speso per l’accoglienza: un esborso con spreco enorme di risorse. È una follia.
Assistiamo al fatto che per un periodo medio di due o tre anni (a volte anche quattro) ci sono molte persone che per l’80 per cento non hanno diritto alla protezione internazionale, con l’automatica conseguenza che l’80 per cento dei posti nel sistema di accoglienza (quasi 140.000) è dato da strutture temporanee, case private o condomini, alberghi, resort gestiti da cooperative in odore di affari o da albergatori falliti, spesso individuati dai prefetti che scavalcano i sindaci. Tutto ciò avviene con costi economici e sociali enormi, incombenze enormi per i Comuni”.
3. Insomma: nella “filiera” industrializzata della importazione di immigrati, che all’80% compiono accessi illegali nel nostro territorio, i costi, sono altissimi: certamente nella fase di trasporto via mare, che viene generosamente privatizzata da organizzazioni che prescelgono la destinazione-Italia, a prescindere dai presupposti effettivi e dalla corretta applicazione dello sbandierato “diritto del mare”.
Se mi muovo su segnalazione di chi si è posto in navigazione, entro le acque sovrane libiche, già sapendo che non sarà in grado di navigare fino alla (unica) destinazione prescelta, l’Italia, si tratta visibilmente di un espediente.
Non è salvataggio, ma l’utilizzazione programmatica di più vettori, in oggettivo coordinamento tra loro, per una destinazione predeterminata e avulsa dalle regole del diritto del mare: le mete portuali più prossime, Tunisia e Malta, paiono infatti ignorate dai “salvatori-secondo-il-diritto-del-mare”che navigano allo scopo esclusivo, e dichiarato, di andare a raccogliere chi si mette in mare solo per finire in pericolo e essere “salvato”!
E questo meccanismo, dunque, nulla ha a che fare coi criteri di accidentalità del soccorso da apprestare in mare, e tantomeno coi criteri di prossimità in cui si sviluppa normalmente il soccorso “accidentale” e non predisposto; è, cioè, un “soccorso” apprestato da parte di chi abbia, come privato, un’unica ragione per navigare: quella di stazionare nei pressi delle acque territoriali libiche per completare la tratta illegalmente intrapresa e segnalata dagli scafisti o, per essi, dai passeggeri “addestrati” dei gommoni!
3.1. Ma il fatto saliente, al di là della totale anomalia del meccanismo di trasporto di massa chiamato forzatamente salvataggio (se si ha riguardo alle invocate regole dei “diritto del mare”), è che, solo per il segmento della fase di entrata-trasporto entro il territorio nazionale, dal mare, dei soggetti privati sostengono costi altissimi.
E quindi, posto che il finanziamento ufficiale UE copre, a malapena, meno di un terzo dei costi complessivi, e che ragionevolmente appare esclusivamente un (limitato) cofinanziamento della spesa sostenuta dal nostro Stato, chi li finanzia?
E’ credibileche, in un’€uropa afflitta dalla disoccupazione strutturale più alta dalla fine della seconda guerra mondiale e dalla deflazione salariale che l’accompagna in termini di calo dei salari e della capacità di spesa della maggior parte della popolazione, questi finanziamenti siano attinti da spontanee, costanti e ragguardevoli microdonazioni di cittadini privati?
4. E poi: non è strano che, registrandosi all’interno dell’€uropa, un un crescendo preoccupante di povertà assoluta, i cittadini comuni, pur impoveriti (tranne una fascia di elite sempre più ristretta e ricca), sentano la spinta umanitaria soltanto per coloro che risiedono in altri paesi e considerino con indifferenza la povertà di chi gli sta accanto e condivide, con loro, l’appartenenza alla stessa comunità sociale e territoriale?
Ma se non appare verosimile che siano le spontanee e straordinariamente costanti donazioni dei cittadini privati a garantire l’altissimo livello di finanziamento delle operazioni navali delle ONG, almeno finchè non sia compiuta un’operazione di oggettiva e doverosa trasparenza sui loro bilanci, la domanda è non tanto “chi veramente le finanzi”, ma “perché le finanzi”.
5. Se la finalità delle ONG nord-europee,  come per lo più risultano essere, fosse umanitaria, cioè di sollievo della condizione di povertà, anche considerata in chiave internazionale, avrebbero come logico e immediato scenario quello di soccorrere la massa crescente dei poveri assoluti che si sta inarrestabilmente stabilizzando in €uropa, (e proprio in paesi (€uropei) diversi da quelli in cui hanno sede le ONG, le ONLUS e le associazioni internazionaliste della “solidarietà”).
Magari, se queste attivissime protagoniste del tanto vagheggiato “terzo settore”, avessero pure un’etica incline all’analisi veritiera dei fatti, non farebbero solo azioni assistenziali sugli effetti della povertà, ma si attiverebbero per rimuoverne le cause; cioè, denunziando l’austerità fiscale che disattiva il welfare pubblico, mediante la riduzione dei deficit pubblici e della relativa spesa, considerata, dalle istituzioni UE e dai governi ad esse obbedienti, improduttiva; una riduzione che è alla base di questa stessa dilagante povertà.
6. Ma né questa azione assistenziale riguardante i cittadini poveri €uropei, né questa denunzia delle sue cause notorie ed oggettive, appaiono minimamente interessare l’azione delle ONG “umanitarie”.
Forse i diritti umani, prima di tutti quelli all’esistenza libera dalla miseria che, un tempo, in €uropa si connetteva alla dignità del lavoro, non pertengono anche ai disoccupati degli Stati mediterranei coinvolti nell’eurozona e ai loro figli (ammesso che non ci si debba curare delle cause, altrettanto chiare, per chi vuole spiegarsele, della crisi demografica €uropea, v. p.2, dopo 30 anni di feroci politiche deflazioniste e di liberalizzazione del mercato del lavoro)?
6.1. Eppure la situazione della povertà assoluta, in €uropa, non può non essere definita allarmante, per chi avesse qualche minima razionale preoccupazione per le popolazioni che gli vivono accanto:

“L’Europa delle povertà

Uno dei misuratori indiretti della crisi in corso e delle diseguaglianze in crescita da decenni è senz’altro quello delle povertà.
Guardando agli ultimi dati Istat, in Italia balza agli occhi il livello raggiunto dalla povertà assoluta. Che è poi quella povertà più radicale, perché se quella relativa si misura sul reddito medio, quella assoluta ha a che fare con i beni essenziali per la vita e la sopravvivenza.
Negli ultimi dieci anni mai si era registrato un dato simile in relazione ai singoli individui: nel 2015 sono 4.598.000, il 7,6% della popolazione, erano il 6,8% nel 2014. Sotto il profilo della povertà relativa, la cui soglia nel 2015 è attestata su 1.050,95 euro per due persone, i dati non sono più confortanti: anche qui crescono proporzionalmente di più i singoli delle famiglie, rispettivamente 8.307.000 (il 13,7% del totale, era il 12,9% nel 2014) e 2.678.000 famiglie, il 10,4% (era il 10,3%).
L’economia non decolla, il welfare non tutela
Con buona pace per l’obiettivo di lotta alla povertà della strategia comunitaria Europe 2020 – ridurre di 20 milioni il numero degli europei a rischio povertà ed esclusione entro lo scadere del 2020 – il trend è sostanzialmente stabile, il minimo decremento medio dello 0,1% registrato nel 2014 rispetto all’anno precedente viene infatti dopo la netta e costante crescita nel periodo 2009-2013, e non riesce a recuperare i valori pre-crisi: nell’Unione Europea con 28 Paesi membri (UE28) è povero (in relazione a tutti e tre gli indicatori AROPE, rischio povertà, deprivazione materiale e bassa intensità lavorativa) il 24,4%, 122 milioni di persone, nel 2008 era 23,8%.
I dati più negativi sono in Romania (40,2%), Bulgaria (40,1%) e Grecia (36%), tuttavia mentre i primi due Paesi hanno un tasso elevato ma in calo rispetto al 2013, la Grecia – sottoposta come noto al Memorandum della Troika – registra un incremento anche nell’ultimo anno, dopo un trend in impressionate escalation tra il 2008 e il 2014: +7,9%.
I Paesi con meno poveri sono Repubblica Ceca (14,8%), Svezia (16,9%), Olanda (17,1%), Finlandia (17,3%) e Danimarca (17,8%). L’Italia si colloca in posizione critica, con il 28,3%, 4 punti sopra la media UE28, ed è uno dei Paesi, insieme a Grecia, Spagna, Cipro, Malta e Ungheria, che dall’anno della crisi ha registrato un costante aumento delle povertà, con +2,8%. Segno non solo di una economia che non decolla, ma anche di un sistema di welfare che non tutela e non bilancia gli effetti sociali della crisi.
Secondo un trend ormai purtroppo consolidato, sono bambini e ragazzi under18 a essere maggiormente penalizzati: sono poveri nel 27,8% dei casi, oltre 3 punti in più del dato medio, con gli usuali picchi di Romania e Bulgaria (51% e 45%), ma anche con i dati di Ungheria (41,4%), Grecia (36,7%), Spagna (35,8%). I fattori che più espongono i minori alla povertà sono la posizione occupazionale dei genitori, il loro livello di istruzione, la numerosità del nucleo famigliare e l’accesso a misure di sostegno e servizi; in maggiore svantaggio anche i figli di immigrati”.
(Non vi riporto il saggio della CGIL sulla povertà citato dall’autore perché non lo reputo equilibrato.ndr)
7. Questo la mappa EUROSTAT sul rischio povertà nel continente europeo:
Questa, oltrettutto, è una situazione che, proprio per i cittadini europei, è senza futuro: il futuro, cioè i bambini di oggi, appare sempre più compromesso dalla emarginazione, dalla miseria materiale e culturale, a cui sono esposti come destino esistenziale immutabile, in numeri che risultano sempre più spaventosi:
https://i0.wp.com/www.secondowelfare.it/edt/image/Figura_1.png
7.1. Notare che, se per paesi come quelli dell’Europa orientale, questa situazione di diffusa povertà assoluta è notoriamente “derivata” dal passaggio ormai ultraventennale all’economia di mercato – il che fa già dubitare della sua efficacia nel determinare l’innalzamento costante del benessere e dell’equità sociale- per il meridione italiano, quello spagnolo e per la Grecia, si tratta di una condizione obiettivamente indotta dalla moneta unica, e precisamente dalle politiche fiscali considerate TINA per il suo mantenimento.
Dunque, una condizione non solo auspicata e ritenuta tecnicamente e eticamente giusta dalle istituzioni UEM, ma anche destinata a strutturarsi e, viste le ulteriori raccomandazioni fiscali che vengono date ai paesi appartenenti all’eurozona, ad aggravarsi.
Certamente, e in modo sensibile, non appena si manifestasse una qualche crisi esogena (o endogena) di tipo finanziario, come già nel 2008, alla quale si risponderebbe, per vincolo normativo supremo scolpito nella pietra dei (vari) trattati €uropei, con dosi aggiuntive di austerità fiscale.
8. Dunque, queste ONG internazionaliste non sentono alcuna esigenza prioritaria di rivolgere le loro attenzioni umanitarie ai poveri greci, spagnoli o italiani (o almeno bulgari e rumeni)?
Non si rendono conto che entrare pesantemente nella catena di montaggio dell’importazione massificata di ulteriori poveri, da insediare proprio nei territori di paesi così provati dall’austerità fiscale e dalle infinite riforme strutturali impoverenti, aggrava la situazione di una parte così consistente dei loro “concittadini” europei e rende sempre più disperata la situazione di bambini (bambini!) europei in povertà assoluta, giunti, nell’area emergenziale del mediterraneo, – proprio quella in cui operano per immettere i nuovi disperati, la cui presenza aggrava la situazione di impotenza fiscale degli Stati ad intervenire-, a percentuali di oltre un terzo della popolazione infantile?
8.1. Non sarebbe il caso, anzitutto, di soccorrere queste fasce di popolazione autoctona, stabilizzare il benessere sociale nei paesi europei, proprio per poi consentire, anche agli immigrati dall’Africa e dalla zone più povere dell’Asia, di avere in €uropa, tutti insieme e in una condizione di effettiva sostenibilità sociale, un futuro che non sia di scontro permanente tra masse di miserabili in inevitabile attrito fra loro?
Non si rendono conto che ammassare poveri in zone dove disoccupati e poveri “autoctoni” sono già un problema drammatico e, nel paradigma istituzionale €uropeo, irrisolvibile, non significa “salvare vite umane” – e già i numeri dei morti in mare danno torto a questo fine salvifico e ricattatorio contro ogni buon senso-, ma innescare la situazione esplosiva di una miseria a livelli ottocenteschi che pareva sconfitta in €uropa?
E fu sconfitta per buone ragioni, completamente dimenticate dalle ONG e dalle istituzioni UE: dopo la seconda guerra mondiale, per l’affermarsi delle democrazie sociali in cui l’intervento dello Stato, garantiva lo sviluppo armonico del capitalismo, coniungandolo con la priorità dell’occupazione e della tutela pubblica, cioè democratica e legalmente prevista, dei più deboli (che sono i lavoratori e le loro famiglie).
9. Evidentemente non sono interessate a rendersene conto: la cultura delle ONG è improntata, rispetto a questo tragico scenario, che in Europa non ha mai condotto a nulla di buono, alla più totale indifferenza.
E se c’è questa programmatica, anzi, organizzata, indifferenza, rimane il pesante interrogativo: perché le ONG, e cioè i misteriosi finanziatori privati che le istituiscono, e che inevitabilmente appaiono essere soggetti economicamente molto forti (non certamente identificabili con i cittadini medi impoveriti, il cui contributo non pare obiettivamente sufficiente a giustificarne gli imponenti strumenti di azione organizzata) operano in questo modo?
Perché i sottostanti finanziatori, che normalmente si muovono secondo la logica dell’investimento rapportato al rendimento finanziario più profittevole, compiono, in definitiva, questo tipo di “investimenti” nella miseria e nella destabilizzazione sociale di un intero continente?
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1144.- Tutte le stranezze di alcune Ong sui migranti dalla Libia. Parla il magistrato Zuccaro

di Pietro Di Michele

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Tutti i dettagli di quello che ha detto negli ultimi giorni il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, ai giornali, alle tv e soprattutto in Parlamento durante un’audizione al comitato Schengen

“A mio avviso alcune Ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti e so di contatti. Un traffico che oggi sta fruttando quanto quello della droga. Forse la cosa potrebbe essere ancora più inquietante, si perseguono da parte di alcune Ong finalità diverse: destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi”. Parola del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, espresse ieri ad Agorà su Raitre.

COSA HA DETTO A REPUBBLICA

Oggi Zuccaro è tornato a parlare del tema in una intervista al quotidiano la Repubblica: “Da magistrato, ho il preciso do vere di denunciare un gravissimo fenomeno, criminale, per arginare il quale la politica deve intervenire tempestivamente. Se si dovessero aspettare i tempi lunghi di un’indagine che sarà complessa e per la quale ho bisogno di uomini e mezzi di cui al momento non dispongo, sarebbe troppo tardi”. Ma lei le ha le prove dei comportamenti poco trasparenti di cui accusa le Ong?, chiede il giornalista di Repubblica. Risponde Zuccaro: «Spero di chiarire una volta per tutte. Quando io parlo di prove intendo prove giudiziarie, da poter portare in un dibattimento. Queste prove non le ho ma la certezza, che mi viene da fonti di conoscenza reale ma non utilizzabile processualmente, che alcune delle navi operano all’interno delle acque territoriali, che vi siano state delle conversazioni dirette, in lingua araba, tra soggetti che stanno sulla terraferma in Libia ed esponenti delle Ong che dichiarano di essere lì pronti a recuperare i migranti, che le navi spengono i trasponder perché non venga individuata la loro posizione, che prendano a bordo migliaia di persone ben prima che si verifichi una situazione di pericolo. E dunque fuori dalle norme di legge».

LA QUESTIONE DEI SOLDI

Lei ha detto una cosa gravissima, nota il giornalista di Repubblica: che alcune Ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti e che addirittura avrebbero come fine di destabilizzare l’economia italiana. Ha le prove? «È un’ipotesi di lavoro – risponde Zuccaro – Dimmi chi ti finanzia e ti dirò chi sei. Dai bilanci delle Ong che abbiamo acquisito è evidente che abbiano una disponibilità finanziaria enorme. Ora, se è giustificato che organizzazioni di comprovata solidità come Msf o Save the children possano contare su questa disponibilità, lo è molto di meno per altre. Stiamo lavorando per sapere chi sono questi finanziatori, se oltre quelli dichiarati ce ne sono altri e da dove provengono questi soldi. Che un’organizzazione come Moas possa spendere 400mila euro al mese è un dato che merita un approfondimento».

ESTRATTO DELL’AUDIZIONE PARLAMENTARE

Su Moas e su altro, Zuccaro aveva parlato nel corso di un’audizione in Parlamento il 22 marzo scorso nell’ambito di un’indagine conoscitiva avviata dal Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione. Ecco i passi salienti dell’audizione di Zuccaro come emerge dalla bozza non corretta del resoconto stenografico:

A partire dal settembre-ottobre del 2016, abbiamo invece registrato un improvviso proliferare di unità navali di queste ONG, che hanno fatto il lavoro che prima gli organizzatori svolgevano, cioè quello di accompagnare fino al nostro territorio i barconi dei migranti.

Abbiamo registrato la presenza, nei momenti di maggiore picco, nelle acque internazionali di 13 assetti navali, come lei, presidente, ricordava. Ci siamo voluti interrogare, cercando di essere attenti all’evoluzione del fenomeno, sulla strategia migliore per poterlo contrastare, cercando di capire perché mai vi fosse stato un proliferare così intenso di queste unità navali. Soprattutto, abbiamo cercato di capire come si potessero affrontare costi così elevati senza disporre di un ritorno in termini di profitto economico.

Quello che è emerso dagli esiti della prima indagine conoscitiva che abbiamo fatto è che il Paese europeo che ha dato vita alla maggior parte di queste ONG è la Germania, alla quale fanno capo ben 5 di queste ONG: SOS Méditerranée, Sea Watch Foundation, Sea-Eye, Lifeboat, Jugend Rettet.

Sono ben sei navi presenti, perché SOS Méditerranée può contare su una nave, Aquarius, che batte bandiera di Gibilterra, una nave guardapesca; Sea Watch Foundation ha due unità navali, una che batte bandiera neozelandese e l’altra che batte bandiera olandese; Sea-Eye può contare su un’unità che batte bandiera olandese; Lifeboat su un’unità che batte bandiera tedesca; l’ultima, Jugend Rettet, su un peschereccio che batte anch’esso bandiera olandese.

Per quello che abbiamo potuto ricavare dai primi accertamenti, i costi mensili o giornalieri che affrontano queste ONG sono effettivamente elevati.

Per quanto riguarda, per esempio, Aquarius, la nave di SOS Méditerranée, ci risulta che ammonta a circa 11.000 euro al giorno il costo di gestione della missione. Per quanto riguarda, per esempio, il peschereccio Jugend, i costi mensili ammontano invece su base mensile a circa 40.000 euro.

Per quanto riguarda la ONG MOAS, fondata nel 2013, che ha sede a Malta, abbiamo due unità: la Phoenix, che batte bandiera del Belize; la Topaz Responder, che batte bandiera delle isole Marshall. Sono certamente sospetti anche i Paesi che danno bandiera a questi assetti navali.

I costi mensili che si affrontano, compresi i soli costi di spedizione di noleggio di due droni – hanno anche dei droni ad alta tecnologia, dati in noleggio dalla Schiebel, un’azienda austriaca che produce questi apparecchi sofisticati, che svolgono attività di ricognizione, e quindi sono in grado di individuare in alto mare, ma a volte anche in territorio libico, i barconi che si trovano in acqua – ammontano a circa 400.000 euro. In questi costi non sono compresi, ovviamente, quelli per l’acquisto delle navi… Sto parlando dei costi mensili dell’ONG MOAS. Questi sono dati piuttosto approssimativi, ma che hanno un’approssimazione abbastanza affidabile.

Dicevo che cinque sono le ONG tedesche. Non voglio considerare Medici senza frontiere, che opera con due unità (la Bourbon Argos e Dignity I), e Save the Children, che opera con un’unità. Le altre sono due navi di una ONG spagnola, che prima si occupava anche di salvare i migranti siriani che tentavano di raggiungere l’isola greca di Lesbo partendo dalla Turchia. Adesso, operano tranquillamente nel Mediterraneo. La loro unità navale batte bandiera panamense. Una è di Malta. Non abbiamo, quindi, trovato ONG, né ci aspettavamo di trovarne, di nazionalità non europee. Non ci aspettavamo di trovarne, perché sarebbe stato ingenuo pensare che questo potesse avvenire.

Queste unità navali, vi dicevo, a volte operano all’interno del territorio libico. In ogni caso, quasi sempre operano in acque internazionali, proprio nell’immediato confine del territorio libico. Se volete dei dati che vi diano un’idea del fenomeno, nel corso del 2016 – tenete conto che queste ONG hanno cominciato a operare in maniera così numerosa soltanto a partire dal mese di settembre-ottobre – circa il 30 per cento dei salvataggi i cui migranti siano poi approdati nel distretto catanese era da riferire a salvataggi effettuati dalle ONG. Questo 30 per cento si è prodotto soltanto negli ultimi quattro mesi del 2016. Nel corso del 2017, in cui c’è un proliferare di sbarchi veramente incredibile, abbiamo almeno il 50 per cento dei salvataggi effettuato da queste ONG.

Parallelamente a questo, registriamo un dato che ovviamente ci desta molta preoccupazione: i morti in mare nel corso del 2016 e del 2017 – parlo solo di dati ufficiali – hanno raggiunto un numero elevatissimo. Nel corso del 2016, mi risulta che oltre 5.000 persone, dati ufficiali, sarebbero morte in mare nel tentativo di entrare in Europa. Per quanto riguarda il nostro distretto, quello catanese, abbiamo più di 2.000 morti nel triennio 2013-2015, e questo numero di morti non accenna a diminuire. Vi ho detto che nel 2016 siamo arrivati a quella cifra.

Questo mi induce a ritenere che la presenza di queste organizzazioni, a prescindere dagli intenti per cui operano, non ha attenuato purtroppo il numero delle tragedie in mare. Sono convinto che i dati ufficiali di questi morti rispecchino soltanto in maniera molto approssimativa il dato effettivo delle tragedie che si verificano in alto mare.

Noi stiamo constatando che, effettivamente, i barconi su cui questi migranti vengono fatti salire sono sempre più inadeguati al loro scopo, sempre più inidonei. Le persone che si pongono alla guida di questi barconi sono sempre più inidonee. Ormai, non sono più appartenenti, sia pure a livello basso, all’organizzazione del traffico. Stiamo parlando di persone che vengono scelte all’ultimo momento tra gli stessi migranti, a cui viene data in mano una bussola, quando viene loro data, un telefono satellitare, quando viene loro dato, e si dice loro di seguire una determinata rotta, che tanto prima o poi è certo che – è quello che viene detto a loro – li soccorrerà una ONG.

Io sono convinto che, per quanto possano essere numerose quelle ONG, non riescano a coprire tutto l’intenso traffico che sta avvenendo in questo momento, dalle coste della Libia in particolare, il mio osservatorio principale.

Resta il fatto che coloro che hanno la fortuna di salire su queste unità navali affrontano il viaggio in condizioni certamente ottimali. Proprio ieri, sono sbarcati da noi, a Catania, circa 1000 migranti, che sono stati tratti in salvo dalla SOS Méditerranée: nel corso del viaggio, una delle migranti è riuscita a partorire felicemente un bimbo, quindi non c’è dubbio che quelli che riescono a essere salvati affrontano il viaggio in condizioni ottimali. Tuttavia, vi sono tutti gli altri, le cui speranze vengono alimentate dal fatto di poter contare sul salvataggio, che poi molte volte non si realizza.

Che cosa comporta questo per quanto riguarda la nostra attività giudiziaria? I cosiddetti facilitatori, cioè le imbarcazioni che accompagnavano nei primi tratti delle acque internazionali questi barconi di migranti, oggi ci possiamo dimenticare di poterli identificare. Neanche ai facilitatori, quindi neanche a questo livello medio basso dell’organizzazione del traffico, riusciamo più ad arrivare, perché queste ONG indubbiamente hanno fatto venir meno quest’esigenza.

In un solo caso siamo riusciti, di recente, a individuare e trarre in arresto dei facilitatori, perché si è verificato un evento del tutto atipico: una clientela un po’ particolare, un po’ privilegiata, di siriani, molti dei quali, come sapete, dispongono di risorse economiche maggiori, era riuscita a ottenere un trasporto in condizioni migliori su un barcone che non ospitava un numero trasbordante di migranti.

In quel caso, a quel barcone si affiancava – avendo pagato una certa cifra ed essendo una committenza un po’ particolare, potevano pretendere un po’ di più da questi organizzatori del traffico – un’unità navale di facilitatori. Il motore di quest’unità navale va in avaria e non si riesce a muovere. I migranti riescono a ottenere di non allontanarsi, come pure avrebbero potuto fare chiedendo aiuto agli altri organizzatori che navigavano lì vicino, perché appunto comunque sarebbero stati in difficoltà qualora non fossero stati accanto a loro, vicini, quelli che erano in grado di fornire loro indicazioni sulla rotta.

Questo ha consentito a una nostra unità della missione EUNVAFOR MED di intervenire e di trarli in arresto. Se, però, non si fosse verificato questo caso del tutto atipico con una committenza del tutto particolare, non l’avremmo potuto più fare, e infatti non riusciamo più a individuare neanche i cosiddetti facilitatori.

Quelli che riusciamo a prendere sono soltanto gli scafisti, ma l’indicazione che ho fornito, ovviamente dopo una consultazione con il gruppo di lavoro specializzato e avendo preso atto che coloro che si trovano alla guida erano né più né meno che migranti individuati a caso, è stata che non si doveva più richiedere alcuna misura cautelare nei loro confronti. La gravità della condotta loro ascrivibile sicuramente non era tale da giustificare questa misura, essendo da considerare migranti a tutti gli effetti, come gli alti, soltanto individuati per porsi al timone. In questo momento, quindi, registriamo una sorta di scacco che la presenza di queste ONG provoca nell’attività di contrasto al fenomeno degli organizzatori del traffico.

Sostanzialmente, questo è il dato oggettivo che vi rappresento. Che cosa si propone di fare il nostro ufficio? Non siamo abituati, infatti, a registrare un fenomeno senza cercare di individuare possibili strategie di contrasto.

Noi riteniamo ci si debba porre il problema di capire da dove provenga il denaro che alimenta, che finanzia questi costi elevati. Da questo punto di vista, la successiva fase della nostra indagine conoscitiva sarà quella di capire quali sono i canali di finanziamento.

Certo, ci rendiamo conto che la circostanza per cui alcune di queste ONG possono contare anche sulla donazione del 5 per mille detraibile fiscalmente anche in Italia, oltre che in altri Paesi, rende più difficile individuare in tutti i modi tutte le forme di finanziamento possibili. Ci rendiamo conto che il fatto che alcune di queste unità battano bandiera di Paesi non propriamente in prima fila per la collaborazione con le autorità giudiziarie, ci renderà più difficile questo compito.

Tuttavia, credo che questo compito debba essere svolto. La procura di Catania lo farà – ovviamente, abbiamo una sfera di competenza ben limitata – in relazione a quelle ONG che porteranno dei migranti del nostro distretto. Non ci potremo certamente estendere ad altri distretti.

L’altra cosa che vogliamo cercare di capire è se da parte di queste ONG vi è comunque quella doverosa collaborazione che si deve prestare alle autorità di polizia e alle autorità giudiziarie al momento in cui si pongono in contatto con l’autorità giudiziaria italiana.

Come lei ricordava, presidente, già il fatto che venga disattesa l’applicazione della Convenzione di Ginevra e delle altre convenzioni internazionali che prevedono il soccorso in alto mare nella misura in cui non si approda nel porto più vicino, ma in quello che costituisce la meta intermedia agognata, quantomeno dei migranti, e cioè l’Italia, e la Sicilia in particolare, indubbiamente è un’anomalia che va registrata.

Se poi, come purtroppo registriamo in alcuni casi, questo scambio informativo, che io giudico assolutamente doveroso, non si realizza, e cioè non ci danno indicazioni su che cosa hanno potuto vedere in quel momento, se si rifiuta qualunque forma di collaborazione, questo è un punto che, laddove documentato, come non è sempre facile, darà luogo da parte del nostro ufficio a iniziative giudiziarie calibrate sul tipo di rifiuto, di non collaborazione che dobbiamo registrare. Allo stato, mi sento di dire questo per quanto riguarda la nostra indagine conoscitiva sulle ONG.

28/04/2017

1143.- Ong e Libia, cosa hanno scoperto i Servizi segreti di Germania, Italia e Olanda

Mano a mano che si leva il sipario, che si rivelano le protezioni che sostengono il traffico di esseri umani, si comprende come il malcostume nella politica sia diventato il malaffare e come si inanellano i suoi cerchi. Il film si svela: dalle trattative Stato-mafia, ai veleni affondati nel mare, a mafia capitale, alla parata funebre dei re dello spaccio, ai miliardi liquefatti dalle banche e via, via dicendo,… Alitalia, ecc.., fino al tradimento supremo della Costituzione. Appare, così, sempre meno strano e annichilisce il vedere le Forze Armate e le Forze dell’Ordine non denunciare “per prime!” le rotte fantasma delle ONG e il governo non precedere, non agevolare, quasi (o anzi?) contrastare, un magistrato coraggioso e ci si domanda: quanto coraggiosi dovremmo essere e quanti di noi, segretamente, vorrebbero guazzare dalla parte sbagliata.

 

L’articolo di Niccolò Mazzarino su Formiche net.

“Zuccaro ha evidenze e intercettazioni che forse non può usare. Evidentemente sono informazioni che ha ricevuto anche da Servizi segreti italiani in Libia”. È quello che ieri sera ha detto il deputato Riccardo Fraccaro (nella foto) del Movimento 5 Stelle nel corso della trasmissione Piazza Pulita condotta da Corrado Formigli su La 7. Fraccaro ha chiosato così le ultime esternazioni del procuratore di Catania che peraltro a fine marzo nel corso di un’audizione in Parlamento aveva spiegato nei dettagli informazioni e dubbi sull’attività di alcune organizzazioni non governative nel soccorso dei migranti che partono dalla Libia (qui l’approfondimento di Formiche.net con i passi salienti dell’audizione parlamentare di Zuccaro). Nel frattempo dopo le ultime dichiarazioni del magistrato è divampata una baruffa politica (qui il corsivo di Stefano Vespa su Formiche.net) e il Csm (Consiglio superiore della magistratura)affronterà il caso il prossimo 3 maggio. Ma ecco tutti i dettagli che sono finora emersi sulle informazioni giunte dall’Intelligence sulla questione.

IL LAVORO DEI SERVIZI SEGRETI

Le rivelazioni del pentastellato Fraccaro si rintracciano nella sostanza oggi sul Fatto Quotidiano in un articolo scritto dal vicedirettore Stefano Feltri. Aggiunge il quotidiano La Stampa: “Sono arrivati a Catania anche i rapporti riservati dell’intelligence italiana. Altre segnalazioni delicatissime. È stato ricostruito, ad esempio, l’enorme andirivieni dei gommoni nei giorni di Pasqua, con porti di partenza e navi delle Ong in attesa. Sono quelle ricostruzioni che nel governo italiano hanno fatto pensare che vi fosse «una regia» dietro la partenza simultanea di ben 8500 migranti”.

IL REBUS GIURIDICO

“Questi rapporti, ai sensi della legge 124 sui servizi segreti – scrive il giornalista Francesco Grignetti del quotidiano La Stampa – sarebbero acquisibili dal magistrato, tramite una delega specifica alla polizia. Ma forse non possono bastare per impiantarvi un procedimento penale. Occorre molto di più. Servirebbe ad esempio qualche prova concreta di un trasferimento di soldi che accompagni i “contatti”. Zuccaro lo sa, perciò ha dato disposizione ai suoi investigatori di seguire prioritariamente i flussi finanziari”.

I RAPPORTI DEGLI 007 STRANIERI

È una sorta di rebus giuridico che al momento non ha soluzione quello in cui lavora la procura di Catania. E a Zucaro le informazioni non sono soltanto giunte dall’Intelligence italiana sul ruolo delle Ong nel soccorso dei migranti dalla Libia: “La sua indagine – aggiunge La Stampa – poggia sui report di alcuni servizi segreti – quello tedesco e quello olandese – che da mesi monitorano alla loro maniera le comunicazioni da e per la Libia. Si sono mossi, i servizi d’intelligence del Nord Europa, attraverso le navi militari inquadrate nel dispositivo europeo Eunavformed-Sophia e attraverso alcuni natanti fantasma. Dapprima sono stati informati i rispettivi governi. Poi i loro rapporti sono stati veicolati da Frontex alla procura di Catania attraverso canali riservati”.

LA CONCLUSIONE

Conclusione: “Quei rapporti, però, pur utilissimi per l’inchiesta, sono assolutamente inutilizzabili ai fini del procedimento italiano. La legge è molto chiara. Siccome gli 007 tedeschi e olandesi si muovono senza avere avuto l’autorizzazione preventiva di un magistrato, a differenza dell’intelligence italiana, le loro intercettazioni è come se non esistessero”.

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Concludo anch’io:  Tuttavia, siccome l’intelligence italiana deve essere in possesso delle intercettazioni dei colleghi europei, le stesse devono essere consegnate al magistrato.

1142.- Ong e trafficanti, soccorso su chiamata, con tanto di coordinate…. incredibile….

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Nawal Sos
11 febbraio 2016 ·
Urgenteeeeee
Stanno affondando …
Sono tra la Turchia e Lesbo…
Chiamiamo tutti insieme la guardia costiera Turca e Greca.
Questa e’ la posizione
39.066978,26.772890
Numero di tel a bordo ( da non contattare ) +905392316769
Consegnatelo solo alla guardia costiera.
Mi trovo obbligata a pubblicare il numero non posso scrivere in privato.

Nawal Sos
15 gennaio 2016 ·
37°17’34.3″N 27°09’36.9″E
Nuove coordinate
Onde sempre piu’ alte
Gommone in sovrappeso
Bambini a bordo
Il motore ha ripreso a funzionare
Vedono l’isola ma il gommone perde ancora aria.

Nawal Sos
15 gennaio 2016 ·
Aiutooooo
Chiamate roma guardia costiera ..chiamate la grecia e la turchia.
Ho internet ma nessuna copertura telefonica gommone sta x affondare.. a bordo molti bambini questa e’ la posizione 37°18’51.9″N 27°13’07.8″E.
Partito da Didim in turchia diretto verso isola farmaconisi.
Numero g c italiana 1530.

Nawal Sos
15 gennaio 2016 ·
37°17’34.3″N 27°09’36.9″E
Nuove coordinate
Onde sempre piu’ alte
Gommone in sovrappeso
Bambini a bordo
Il motore ha ripreso a funzionare
Vedono l’isola ma il gommone perde ancora aria.

Nawal Sos
5 gennaio 2016 ·
Turchia-Grecia 😥 😥 😥
Altri 36 morti…
Ieri ho ricevuto un sos da una persona che diceva ” aiutateci stiamo affondando” .
L’sos e’ stato inoltrato alla guardia costiera Italiana, Turca e Greca…..
Il nome della persona che ha lanciato l’sos era Ayman…
Non so piu’ cosa scrivere…
Non ha senso scrivere…

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Nawal Sos
26 dicembre 2015 ·
Urgente urgente urgente
Mi serve una soluzione per i maghrebini presenti a Lesvos.
Abbiamo superato tutti i limiti… la polizia sta inseguendo i migranti e sta portando in carcere e ammanettando tanti ragazzi come se fossero dei terroristi…
Abbiamo bisogno di persone che possano raccogliere la richiesta di protezione umanitaria e in questo modo i migranti possono usare il documento che le autorita’ daranno per poter fare il biglietto per Atene.
Datemi una mano per favore… non ci resta altra soluzione se non fare delle catene umane e bloccare gli arresti di persone che gia’ da 15 giorni vivono in un carcere a cielo aperto e soffrono la fame e il freddo.

Nella trasmissione piazza pulita hanno fatto vedere un video in cui una giornalista aveva contattato uno trafficante libico, per mandare delle persone per attraversare il mediterraneo, lo scafista indica il prezzo e dice che è tutto a posto poi lui telefona a Nawal Sos la quale ha il numero satellitare del gommone, e poi da le coordinate a Medici Senza Frontiere….

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Le navi delle ONG tedesche si moltiplicano come funghi fra Malta e la Libia. Dopo la fine dell’operazione Mare Nostrum nel Mar Mediterraneo, tre partner commerciali della Germania hanno deciso di fondare la ONG non-profit, Sea-Watch e.V., che ha appena aggiunto un’altra nave alla flotta d’invasione. Ma chi gestisce queste navi e quanto c’entra la Guardia Costiera italiana? Per esempio, proprio la Nave ONG Sea Watch I° risulterebbe ancorata a Malta ma il suo transponder non invia dati dal 14/4, può essere ovunque. Sarà legale?

Parla Nawal Soufi, lady Sos “I profughi siriani mi chiamano dai cargo e io lancio l’allarme” – Repubblica.it

Parla Nawal Soufi, lady Sos “I profughi siriani mi chiamano dai cargo e io lancio l’allarme”
Nata in Marocco 27 anni fa, vive a Catania ed è diventata punto di riferimento per chi fugge verso l’Italia: “Tutti hanno il mio numero, ne ho salvati a migliaia”

di FABIO TONACCI
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06 gennaio 2015

Nawal

Parla Nawal Soufi, lady Sos “I profughi siriani mi chiamano dai cargo e io lancio l’allarme”
Nawal Soufi
NAWAL lancia gli sos che salvano le vite dei profughi siriani con un cellulare vecchio di dieci anni. “Sì è vero, ma ha una batteria che dura quattro giorni di fila… – sorride – e io non posso permettermi di tenerlo spento”. Nawal Soufi, 27 anni, nata in Marocco ma cresciuta a Catania fin da quando aveva un mese, è a quattro esami dalla laurea in Scienze politiche, e intanto fa la “vedetta” del Mediterraneo.

È lei “Lady Sos”, come l’hanno soprannominata i siriani. Perché quando si trovano alla deriva, su un mercantile lasciato senza equipaggio, quando non rimane che disperazione e paura sanno che c’è un numero “d’emergenza” sempre attivo. Il suo.
Lei avverte la Guardia Costiera fornendo ai militari le coordinate della posizione dell’imbarcazione. Poi corre al porto ad accoglierli, fornisce loro cibo, acqua, vestiti, pannolini per bambini, contatti utili. Lo fa da quasi due anni, gratis, spinta da una passione incondizionata che si riassume in questa risposta: “È il cuore che mi paga”.

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È stata lei a segnalare l’arrivo di tutti i 13 cargo lanciati contro le coste italiane dagli scafisti, dal 28 settembre a oggi. “In quattro casi mi avevano detto di essere stati abbandonati. Con il Blue Sky M( intercettato il 30 dicembre con quasi 800 migranti a bordo, ndr), mi arrivò questo sms: “Abbiamo problemi a guidare il mercantile, non abbiamo controllo””.

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1902184Le dicono chi sono gli organizzatori dei viaggi?
“No, c’è molta paura delle ritorsioni perché chi parte lascia la famiglia in Turchia o in Siria. Si limitano a dirmi: “I pezzi grossi non li conosciamo. Sappiamo solo chi sono quelli che raccolgono i passeggeri. Queste organizzazioni criminali si stanno arricchendo in modo pazzesco: nel Mediterraneo ci sono morti di prima, seconda e terza classe” .

Quanti messaggi di sos riceve ogni giorno?
“Decine, ormai ho perso il conto. Annoto le chiamate su un diario, le registro e pubblico i messaggi su Facebook. Così è tutto alla luce del sole. Alcune giornate non finiscono mai… Il 31 agosto scorso per esempio”.

Cosa successe?
“Leggo dal mio diario… “A mezzogiorno mi chiamano da un rimorchiatore con 800 persone a largo della Libia. Poi un secondo sms da un altro numero: Stiamo imbarcando acqua vicino alla piattaforma petrolifera Bouri Field, queste sono le nostre coordinate. Altro sms da un barcone di legno: Siamo 350, partiti da Sebrata, a bordo donne incinte. Altro sos: Siamo in 250, non abbiamo più credito nel telefono. Alle 16.30 poi: Siamo tutte famiglie, partiti dall’Egitto. Così fino a notte fonda. A volte poi arrivano messaggi particolari…”.

14117793_1160348100689777_9211660318216856631_nOvvero?
“Una volta un gruppo di 30 siriani, bloccati da 48 ore su un isoletta in mezzo al fiume di Evros, al confine tra Grecia e Turchia. Mi chiesero di contattare la Croce Rossa perché sostenevano che i “tedeschi”, così chiamano Frontex, li avevano picchiati. Un altro siriano mi cercò dall’aeroporto di Fiumicino: aveva il passaporto ma la polizia di frontiera aveva deciso di riportarlo in Turchia. Oppure messaggi tipo: Siamo in mare, lo scafista ci ha lasciati, siamo senza credito sul telefono satellitare, per favore facci una ricarica “.

In quel caso come si comporta?
“Pubblico la richiesta sulla mia pagina Facebook “Nawal Siriahorra”, che significa Siria Libera. Qualcuno degli altri attivisti italiani poi fa davvero la ricarica “.

Lei poi segnala tutto alla Guardia Costiera. Ma come fanno i profughi a fornire le coordinate esatte della posizione?
“Le trovano con gli smartphone che hanno il servizio Gps. Se non sanno come fare, glielo dico io. Urlo per farmi capire, chi sta dall’altra parte è nel panico e c’è il rumore del vento”.
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Riesce a comprendere cosa dicono?
“Per passione mi sono messa a studiare tutti i dialetti del mondo arabo, per questo capita anche che la Guardia costiera mi faccia partecipare a telefonate di gruppo con i migranti per quale sia la situazione a bordo”.

Da quanto tempo fa questa vita?
“Sono impegnata nel sociale da quando avevo 14 anni. Ho anche un lavoro “vero”, faccio l’interprete presso tribunali e carceri siciliani. La prima barca con profughi siriani è arrivata in Sicilia tra il luglio e l’agosto 2013: li ho incontrati davanti al Cpa, ho preparato vestiti per i bimbi, ho spiegato loro quali erano i loro diritti e cosa fare per evitare gli scafisti di terra…”.

Scafisti di terra?
“Quelle persone che girano nei pressi di stazioni e porti e offrono biglietti e passaggi per Milano a 500 euro o più”.

Vestiti, cibo, biglietti, ricariche… dove trova i soldi?
“Promuovo raccolte ogni settimana, su Facebook. Sono in contatto con altri attivisti, abbiamo un deposito. La chiamo “accoglienza zero”: quando hai due o tre euro in tasca, puoi comprare palloncini e farci giocare i piccoli profughi”

Mac’è di più, molto di più.

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1141.- MESSAGGI SEGRETI DI ISRAELE AD ASSAD. E L’OFFERTA APERTA DI PUTIN.

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Israele ha inviato ad Assad diverse lettere, segretamente per messo di una “parte terza” che non viene rivelata, in cui chiede a Damasco di rinunciare all’alleanza con Iran ed Hezbollah – e in cambio si dichiara pronta ad operare in vista di “una soluzione politica in Siria”, e di “metter fine ai suoi attacchi [aerei] sulla Siria”.  Anzi di più: “Tel Aviv si sarebbe impegnata a metter termine all’occupazione militare del Golan e tornare ai termini del  cessate il fuoco del 1973”, sempre se la Siria taglia definitivamente i ponti con Iran ed Hezbollah.

Lo afferma il giornale israeliano Maariv, e lo riporta un articolo della iraniana  PressTv.  Se  c’è del vero in questa notizia, bisogna ipotizzare che Sion, mentre s’è unita alla campagna “chimica” anti-Assad e ha mobilitato il cosiddetto Occidente  sulla linea dell’imminente intervento armato  diretto  di tutti i vassalli,   con Trump in prima linea pronto a cominciare subito,  in realtà è come minimo preoccupata di un conflitto alle porte di casa – e potenzialmente in casa – con le due superpotenze nucleari impegnate; e  non è tantO   sicura di una facile vittoria contro Iran ed Hezbollah.

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Questa è la valutazione di PressTV, quindi presumibilmente degli ambienti militari iraniani. I quali parlano addirittura di “panico”  della dirigenza politica e militare  israeliana  per  le ultime avanzate dell’esercito siriano  e dei suoi alleati; nonostante abbia cercato in tutti i modi di  bloccarle per interposte organizzazioni terroriste, gli islamisti che arma, sostiene e che i suoi ufficiali palesemente guidano.

“Sul fronte sud siriano Israele ha moltiplicato le azioni per interposti terroristi”, scrive PressTv: “Ma  la complessità del fronte sud non e  minore di quella del fronte nord.  Le regioni del sud della Siria cono controllate dai terroristi di Daech e   di Al-Nusra soprattutto a Deraa; Daech agisce essenzialmente a Wadi Yarmouk ad ovest di Deraa, area a forma  di triangolo con tre lati: Giordania, Golan occupato e Siria Meridionale.

Per  quanto riguarda Daesh, “il sostegno di Israele , i rovesci continui al Nord e all’est della Siria,   fan sì che questo gruppo si  adoperi per tenere ad ogni costo le sue  posizioni nel sud della Siria”. Quanto ad Al Nusra, “gode  del largo sostegno del centro di comando di Al-Mouk in Giordania dove sono presenti, fra altri, anche ufficiali israeliani. I terroristi si fanno aiutare da tutti. Ma le lettere di Israele  ad Assad provano che in termini militari, la disfatta del campo opposto a Damasco è ritenuta certa, altrimenti Tel Aviv non si sarebbe abbassata a  tal punto da supplicare ”.

Supplicare? A dire il vero, il ministro della Guerra israeliana Avigdor Lieberman, in un’intervista al giornale Yediot Ahronot,  dichiarato che “I due attacchi avvenuti a Idlib, in Siria, quello chimico omicida sui civili e quello all’ospedale locale, sono stati condotti su ordine diretto e dietro progettazione del presidente siriano Bashar Assad, mediante aerei da combattimento siriani”.

Ci può essere una doppia recita, la faccia feroce e l’unità bellica  dell’intero Occidente per la platea, e  trattative sotto sotto?

In realtà, gli iraniani segnalano che  “la coalizione americana ha anche facilitato negli ultimi giorni il trasferimento di grandi convogli d’armi e munizioni di Daesh dalla regione di Hamad Hawsh (Aleppo?) verso Uadi Yarmouk, sotto gli occhi benevoli dell’aviazione americana, non lontana  dalla provincia pro-salafita  di Giordana,  la famosa Al Zarka [da cui venne il leggendario qaedista Al Zarkawi, ndr.].  A quanto sembra, Washington mantiene la spada di Damocle sulla testa del re giordano, la spada di Daesh. Con quella minaccia, re Abdallah rifletterebbe due volte prima di dire no a Washington e  si unirà alla causa Usa-Israele.  In chiaro:  terrà a freno certi ufficiali del  suo esercito che si vorrebbero avvicinare  all’armata siriana per vincere davvero Daesh”.

Ripeto: questa è una valutazione iraniana, forse di propaganda, che riferisco. Ma basta a rendere l’idea della complessità della situazione, della fragilità e delle insicurezze che stanno percorrendo  i campi  opposti. Sembra evidente che ci sia una scena per la grande platea mediatica, di cui noi siamo vittime  e  spettatori – che dobbiamo credere la guerra decisa e imminente – mentre sotto si   scambiano, sottobanco offerte e domande.

Ne è prova l’ultima, clamorosa notizia (gli eventi si succedono con una rapidità superiore alla  possibilità  di registrarli):

La Russia riconosce Gerusalemme Ovest capitale d’Israele – 

Mosca: “Gerusalemme Est lo sarà del futuro stato Palestinese”

“Mosca “riafferma” l’impegno verso i principi delle Nazioni Unite per la soluzione della questione israelo-palestinese, che “comprende lo status di Gerusalemme Est come capitale del futuro stato palestinese”. “In questo contesto – sottolinea un comunicato del ministero degli Esteri russo – consideriamo Gerusalemme Ovest come la capitale dello Stato di Israele”.

“Mosca ribadisce la soluzione dei due Stati “come opzione ottimale che soddisfi gli interessi nazionali del popolo palestinese e israeliano, con entrambi i quali abbiamo relazioni amichevoli, e gli interessi di tutti gli altri paesi della regione e della comunità internazionale un’intera”.

Fin qui Huffington Post.

JERUSALEM

Attenzione. La frase: “In questo contesto  consideriamo Gerusalemme Ovest come la capitale dello Stato di Israele“,  è una novità assoluta: mai prima Mosca aveva  riconosciuto una simile   cosa. “In questo contesto”; ovviamente, significa:  purché  Israele accetti che Gerusalemme Est sia capitale palestinese,  nel quadro dunque di una sistemazione generale a due stati della tragedia  di Terrasanta.  Non è un’offerta incondizionata, un calo di braghe; è una generosa apertura  e indicazione della volontà di negoziare.

Noi sappiamo che i sionisti vogliono Gerusalemme capitale indivisa, dunque non sono disposti ad accettare questo.  Sappiamo anche che Netanyahu ha telefonato  a Putin sull’attacco chimico  accusando Assad, e ricevendone una risposta nient’affatto molle: “E’ inaccettabile  accusare qualcuno finché non viene condotta una indagine internazionale completa e imparziale”.

Ma è chiaro che la conversazione non s’è ridotta a questa frase, che appare nel comunicato ufficiale.  Entrambi possono aver tastato il terreno  e le intenzioni dell’altro, visto il bluff e le carte in mano, fatto qualche offerta di scambio?  Fra due che si conoscono bene, sulle spalle di Trump e dei forsennati europei, lasciati  a strillare “Guerra! Guerra!” per la scena? Il riconoscimento russo di Gerusalemme Est  non può essere venuto dal cielo come un fulmine.

Ricordiamo  anche che  un milione di israeliani vengono dalla Russia,  sono anti-religiosi per lopiù,  mantengono contatti con la Russia, amano ed ammirano Putin: sono un bel bacino elettorale, che Netanyahu non può   alienarsi facendo l’anti-Putin come si permettono di fare  i nostrani  Mogherini da operetta.

Vi do il parere della redazione del sito Moon of Alabama, fonte di comprovata credibilità sulla questione siriana.

“La mia ipotesi: la potente lobby sionista in Usa (AIPAC & Co.) sta spingendo per una guerra immediata contro la Sira, esattamente come già fece nel 2013,   quando poi Obama non riuscì a scatenarla perché il parlamento britannico e poi anche il  Congresso votarono contro.

Netanyahu deve aver fatto capire che preferisce nessuna guerra in Siria. A  questo punto la pressione della Zionist Lobby su Trump sarebbe allentata, e un intervento militare diretto in Siria, scongiurato. L’altra volta, Putin  fece l’offerta della distruzione dell’arsenale chimico siriano.  L’eliminazione dell’arsenale strategico della Siria  fu un grande regalo per Israele;   e fu ciò che permise  ad Obama di non andare in guerra nonostante  le pressioni fortissime. Ora   Putin ha fatto un’altra grossa offerta. Israele accetterà il dono? Netanyahu  richiamerà  i suoi cani della guerra dell’AIPAC?”.

Vi lascio con questa domanda,   che sicuramente fra poche ore sarà superata, tanto rapidamente arrivano le cose. L’ipotesi tuttavia mi pare coincida con la valutazione iraniana, Netanyahu non arde dalla voglia di trovarsi a far davvero la guerra con Iran, Hezbollah e l’aviazione russa.

Del resto, cosa credete,  nemmeno tutti i ministri europei.  Appena Trump  ha dichiarato di essere pronto ad entrare in guerra   anche   senza mandato Onu, il ministro inglese Ben Johnson ha esortato a non precipitare. Il ministro degli esteri francese, Jean-Marc Ayrault,  ha detto: “Mica si può  entrare in guerra perché a Trump è saltato il sangue alla testa”. I veri   guerrafondai senza see senza ma, sono  i media: “I bambini di Idlib! I bambini!”.

TERZO-TEMPIO

(Vorrei anche invitare alcuni miei lettori, che paranoicamente mi sommergono di messaggini  comunicandomi le notizie che già sono, di calmarsi.  Non abbiamo nessun potere  su questi eventi. Ciò che deve accadere, accadrà: e noi sappiamo che viviamo in  frangenti apocalittici.  Sappiamo che la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme è nei progetti messianici sionisti  – segno apocalittico per eccellenza – e forse,  l’offerta di Putin lo  avvicina. O forse lo allontana? Tranqulli. Quel che deve avvenire avverrà: noi, confessati e comunicati, attendiamo con calma).

di Maurizio Blondet