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6206.- GAZA. Via libera degli USA all’offensiva israeliana su Rafah. Israele in cambio attuerà un attacco limitato contro l’Iran che, secondo funzionari americani, dovrebbe scattare dopo la Pasqua ebraica.

Dalla Casa Bianca un No all’ingresso della Palestina nell’ONU e un appoggio incondizionato alla “mietitura araba”. Infatti, Israele miete altri morti nel Nord della Striscia, a decine. Il genocidio impazza e l’Iran, il Libano e la Siria sono in pericolo; la Turchia è in travaglio.

من البيت الأبيض لا لدخول فلسطين إلى الأمم المتحدة ودعم غير مشروط لـ«الحصاد العربي». والحقيقة أن إسرائيل تحصد عشرات القتلى في القطاع، وإيران ولبنان وسوريا في خطر.

Dalla redazione di Pagine esteri, 18 Aprile 2024

GAZA. Via libera degli USA all’offensiva israeliana su Rafah

della redazione

Pagine Esteri, 18 aprile 2024 – Una fonte egiziana ha rivelato al quotidiano Al-Arabi Al-Jadid che l’Amministrazione Biden ha approvato il piano d’attacco del gabinetto di guerra israeliano contro Rafah, in cambio Israele non lancerà un attacco su larga scala all’Iran. Inoltre funzionari americani hanno detto alla rete ABC che Israele non attaccherà Teheran prima della fine della Pasqua ebraica (22-29 aprile).

Al Arabi Al Jadid aggiunge le forze egiziane nel Nord Sinai sono in piena allerta lungo il confine con la Striscia di Gaza per far fronte allo scenario di un’invasione di Rafah. Il Cairo è in allarme da lunedì scorso, da dopo i colloqui avuti con Israele relativi proprio ai preparativi per la nuova fase dell’offensiva militare nel sud di Gaza.

Il piano israeliano prevederebbe la suddivisione di Rafah in quadrati numerati che verranno presi di mira uno dopo l’altro, spingendo i civili palestinesi al loro interno a scappare, in particolare verso Khan Yunis e Al-Mawasi. La fonte egiziana ha affermato che, nell’ambito dei preparativi egiziani, la capacità di assorbimento dei campi per sfollati nella città di Khan Yunis, che sono supervisionati dalla Mezzaluna Rossa egiziana, è stata aumentata e la quantità di aiuti che vi entrano è cresciuta.

Intanto la tv Kan riferisce che il gabinetto di guerra israeliano avrà difficoltà ad attuare la risposta originale, pianificata e approvata inizialmente contro l’Iran. Una risposta ci sarà, ma molto probabilmente sarà diversa da quanto previsto nella notte tra sabato e domenica. Gli alleati occidentali, ha aggiunto la rete televisiva, sanno “che Israele risponderà ma che nessuno può garantire che la risposta non porti ad un’ampia escalation” con l’Iran. Pagine Esteri

6110.- La lunga guerra di Israele per l’Occidente

Da Gatestone institute, di Pete Hoekstra, 4  Febbraio 2024. Traduzione libera.

(Image source: iStock/Getty Images)

Il filo conduttore che unisce Hamas, Hezbollah e le milizie sciite è il significativo finanziamento e sostegno che ciascuno riceve dall’Iran, che a sua volta li ha ricevuti dalle amministrazioni Obama e Biden. Quando è entrata l’amministrazione Biden, l’Iran aveva 6 miliardi di dollari di riserve; ora possiede, secondo l’ex generale dell’esercito americano Jack Keane, più di 100 miliardi di dollari, che presumibilmente è ciò che ha utilizzato per finanziare i suoi delegati e il suo programma nucleare.

L’amministrazione Biden sembra ora sul punto di aggravare il problema con un’altra catastrofica ritirata: si dice che ci siano discussioni sul fatto che gli Stati Uniti ritirino le loro truppe dall’Iraq ricco di petrolio – proprio come il regime iraniano ha cercato di costringere gli Stati Uniti a fare dai tempi dell’Iran. Rivoluzione islamica del 1979.

“Israele non ha iniziato questa guerra. Israele non ha voluto questa guerra… Nel combattere Hamas e l’asse del terrore iraniano, Israele sta combattendo i nemici della civiltà stessa… Mentre Israele sta facendo di tutto per ottenere i palestinesi i civili palestinesi fuori pericolo, Hamas sta facendo di tutto per tenere i civili palestinesi in pericolo. Israele esorta i civili palestinesi a lasciare le aree di conflitto armato, mentre Hamas impedisce a quei civili di lasciare quelle aree sotto la minaccia delle armi.” – Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, Wall Street Journal.

L’ex ministro degli Esteri iraniano Ali-Akbar Salehi ha recentemente confermato che “lo scontro tra Iran e Israele continuerà finché [Israele] esiste… anche se verrà creato uno Stato palestinese”.

In realtà Israele è sulla buona strada per vincere. Il minimo che possiamo fare è consentirgli di avere tutto ciò di cui ha bisogno per completare la sua missione e il tempo necessario per farlo.

[P]proteggere i nostri confini e proteggere i nostri alleati non è una scelta alternativa…. Le eccezionali truppe americane stanno combattendo all’estero non perché gli Stati Uniti siano irresponsabilmente coraggiosi, e non per finanziare sconsideratamente il complesso militare-industriale, ma per difenderci qui a casa meglio.

Se hai un esercito forte, non dovrai usarlo: nessuno ti metterà alla prova.

Nel 1938, il primo ministro britannico Neville Chamberlain pensava che un “accordo” con Hitler avrebbe portato pace e stabilità. Ha portato il contrario. Hitler, non a caso, sfruttò l’opportunità offerta dall’illusione della pace per ampliare le sue invasioni. Quando diventarono intollerabili, fu chiaro a tutti che sarebbe stato molto meno costoso, in termini di vite umane e di denaro, fermare Hitler prima che il suo esercito attraversasse il Reno.

Come ha sottolineato il giornalista Daniel Greenfield, qualcuno ha mai chiesto durante la seconda guerra mondiale se ci fossero state troppe vittime tedesche e, in caso affermativo, che i combattimenti dovessero cessare?

L’amministrazione Biden probabilmente preferirebbe lavorare con un primo ministro israeliano, che fosse più compiacente, uno che sarebbe felice di vedere uno stato palestinese accanto a Israele, e non si preoccuperebbe così tanto se fosse un genocidio; un primo ministro che sarebbe felice di vedere un Iran armato di armi nucleari, e non diventare schizzinoso ogni volta che i mullah invocano “Morte a Israele” e dicono che Israele è una nazione “con una sola bomba”. L’amministrazione Biden potrebbe anche chiedersi: “Perché non può esserci un primo ministro israeliano ragionevole che approvi semplicemente questi piani senza dare del filo da torcere a tutti?”

“L’Iran vuole cancellare lo Stato ebraico dalla mappa geografica, ma il principale ostacolo che Blinken vede al suo piano è Israele.” — Comitato editoriale, Wall Street Journal, 24 gennaio 2024.

Altri hanno affermato che se questo è ciò che l’Iran sta facendo senza un’arma nucleare, basti pensare a cosa farà con una.

Non tutte le guerre sono “per sempre” o “inutili”, altrimenti gli Stati Uniti non sarebbero qui. Purtroppo, sembra esserci… un impegno a perdere.

Finora l’amministrazione Biden ha fornito un enorme sostegno a Israele in molti modi, il che è molto gradito. Si spera sinceramente che il suo sincero sostegno mantenga le distanze.

L’Iran stesso è stato esentato dal pagare qualsiasi prezzo per tutta la devastazione che sta causando, per non parlare della devastazione che potrebbe causare se gli fosse permesso di possedere armi nucleari. La diplomazia non lo fermerà, e un “accordo” non lo fermerà.

È tempo di affrontare seriamente la sfida iraniana, eliminare la capacità dell’Iran di finanziare e fornire armi ai suoi delegati che rappresentano molteplici minacce in questa lotta, e porre fine al suo programma nucleare prima che sia troppo tardi.

Il 17 gennaio 2024, il Council for a Secure America (CSA) ha pubblicato l’ultimo aggiornamento del suo rapporto “Guerra Israele-Hamas”, segnando 100 giorni dall’inizio della guerra. L’aggiornamento è il terzo di una serie che segue i rapporti di guerra di 50 e 70 giorni del CSA. Fin dall’inizio di questi rapporti, la vera domanda era quanto tempo sarebbe stato necessario per pubblicarli.

Storicamente, le guerre che coinvolgono Israele sono state relativamente brevi. La “Guerra dei Sei Giorni” del 1967 prese il nome dalla durata della guerra che vide Israele sconfiggere le forze combinate di Egitto, Giordania e Siria in quel periodo. La guerra dello Yom Kippur del 1973, iniziata con un attacco a sorpresa contro Israele guidato da Siria ed Egitto, durò poco meno di tre settimane prima della vittoria israeliana. Nel mezzo ci sono stati continui attacchi, ai quali Israele ha risposto “ripulendo” le fonti immediate degli attacchi, che gli israeliani hanno seccamente definito “falciare il prato”.

       L’attuale guerra di Gaza, purtroppo, è diversa. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha paragonato gli attacchi terroristici di Hamas da Gaza il 7 ottobre 2023 all’equivalente del “11 settembre”.

Il problema sembra essere che l’origine non è essenzialmente Hamas, ma l’Iran, che organizza, finanzia e rifornisce i suoi delegati: Hamas e la Jihad islamica palestinese a Gaza e nella Cisgiordania israeliana, Hezbollah in Libano e gli Houthi nello Yemen. Inoltre, l’attuale regime in Iran schiera la propria milizia, il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), che addestra le milizie per procura, e milizie più piccole in Siria e Iraq.

Dall’inizio della guerra di Gaza, le milizie sciite sostenute dall’Iran in Iraq hanno intensificato gli attacchi contro le forze statunitensi in Siria e Iraq, aggiungendo ancora un altro fattore destabilizzante militare ed economico nella regione. Il filo conduttore che unisce Hamas, Hezbollah e le milizie sciite è il significativo finanziamento e sostegno che ciascuno riceve dall’Iran, che a sua volta li ha ricevuti dalle amministrazioni Obama e Biden. Quando è entrata l’amministrazione Biden, l’Iran aveva 6 miliardi di dollari di riserve; ora possiede, secondo l’ex generale dell’esercito americano Jack Keane, più di 100 miliardi di dollari, che presumibilmente è ciò che ha utilizzato per finanziare i suoi delegati e il suo programma nucleare. Inoltre, grazie all’amministrazione Biden, l’Iran ha potuto continuare a finanziare Hamas per circa 100 milioni di dollari all’anno, oltre a fornire armi e addestramento.

Ancora più problematico è che, in segno di gratitudine per la generosità dell’amministrazione Biden, l’Iran e i suoi delegati hanno finora lanciato più di 244 attacchi (qui, più 161 secondo il generale Jack Keane) contro risorse statunitensi in Siria e Iraq da quando Biden è entrato in carica. La filantropia fuorviante di Biden è la stessa del suo primo giorno in carica, quando, dopo aver di fatto ostacolato l’approvvigionamento energetico americano, gli Stati Uniti acquistarono petrolio dalla Russia (perché non dal Canada?). Il presidente russo Vladimir Putin presumibilmente ha utilizzato i prezzi del petrolio improvvisamente raddoppiati (e per un certo periodo triplicati) per portare avanti la sua guerra all’Ucraina. Allo stesso modo, l’Iran, ha utilizzato i suoi guadagni per accelerare l’arricchimento dell’uranio all’84%, appena al di sotto del 90% necessario per la capacità di sviluppare armi nucleari. Il regime allora non solo finanziò e ordinò il suo procuratore Hamas per attaccare Israele; un altro dei suoi delegati, gli Houthi dello Yemen, ha attaccato gli Stati Uniti e i loro alleati nella regione.

Il problema con un cessate il fuoco nella guerra di Gaza adesso, prima che Israele disabiliti le capacità terroristiche di Hamas, è che Israele sta combattendo non solo per difendere se stesso, ma per conto di tutti noi nel mondo libero che siamo stati attaccati dal terrorismo e di coloro che sponsorizzarlo e che potrebbero essere attaccati da loro in futuro. L’attuale guerra a Gaza in realtà ha meno a che fare con Hamas, la Jihad islamica palestinese, Hezbollah o gli Houthi, e ha molto più a che fare con il loro finanziatore e protettore, l’Iran.

Al momento, l’Iran sta espandendo la sua guerra mentre l’amministrazione Biden sembra fare tutto ciò che è in suo potere per non farlo. Questi due obiettivi sembrano scarsamente allineati: l’Iran e i suoi delegati massacrano gli israeliani e ora gli americani; e gli Stati Uniti affermano per l’ennesima volta che risponderanno quando e come vorranno, in un momento “di nostra scelta”. Ciò dovrebbe certamente incutere loro terrore!

All’inizio della guerra, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha delineato il conflitto:

“Mentre Israele sta facendo di tutto per tenere i civili palestinesi fuori dal pericolo, Hamas sta facendo di tutto per mantenere i civili palestinesi in pericolo. Israele esorta i civili palestinesi a lasciare le aree di conflitto armato, mentre Hamas impedisce a quei civili di lasciare quelle aree sotto la minaccia delle armi.

“La cosa più deplorevole è che Hamas detiene più di [136] ostaggi israeliani… compresi… bambini. Ogni nazione civilizzata dovrebbe schierarsi con Israele nel chiedere che questi ostaggi siano liberati immediatamente e senza condizioni.

“Le richieste di cessate il fuoco sono richieste a Israele di arrendersi a Hamas, di arrendersi al terrorismo, di arrendersi alla barbarie. Ciò non accadrà.

“La lotta di Israele è la tua battaglia. Se Hamas e l’asse del male iraniano vincono, tu sarai il loro prossimo obiettivo. Ecco perché la vittoria di Israele sarà la tua vittoria.”

L’ex ministro degli Esteri iraniano Ali-Akbar Salehi ha recentemente confermato che “lo scontro tra Iran e Israele continuerà finché [Israele] esiste… anche se verrà creato uno Stato palestinese”.

L’amministrazione Biden sembra ora sul punto di aggravare il problema con un’altra catastrofica ritirata: si dice che ci siano discussioni sul fatto che gli Stati Uniti ritirino le loro truppe dall’Iraq ricco di petrolio – proprio come il regime iraniano ha cercato di costringere gli Stati Uniti a fare dai tempi dell’Iran. Rivoluzione islamica del 1979. Come riportato dal New York Times:

“Dalla presa del potere dell’Iran da parte dell’Ayatollah Ruhollah Khomeini nel 1979, il governo rivoluzionario islamico del Paese ha avuto un’ambizione fondamentale: essere il principale attore nel plasmare il futuro del Medio Oriente. Visto in un altro modo, vuole che Israele si indebolisca e gli Stati Uniti se ne vadano dalla la regione dopo decenni di primato.”

Quindi, dopo essersi arresi ai talebani in Afghanistan, gli Stati Uniti d’America, il grande difensore della libertà mondiale, si arrenderanno ancora una volta, arrendendosi ai terroristi e al loro padrone del terrore, l’Iran, e lasciando un vuoto in Medio Oriente essere riempito dagli avversari statunitensi?

I leader degli alleati degli Stati Uniti in Israele, Taiwan, Ucraina e nel Golfo Persico possono solo chiedersi quale di loro sarà il prossimo.

Israele, nonostante la straziante perdita di vite umane e il colpo devastante alla sua economia, non sta tagliando e fuggendo. È “una battaglia di civiltà contro la barbarie”, ha detto Netanyahu. “Vinceremo.”

Sembra che ci sia chi, però, preferirebbe che Israele non vincesse. Voci di propaganda disfattista (come qui e qui) stanno già cercando di affermare che “Israele non può vincere”. Al contrario, come ha spiegato il reporter militare Yaakov Lappin, Israele è in realtà sulla buona strada per vincere. Il minimo che possiamo fare è consentirgli di avere tutto ciò di cui ha bisogno per completare la sua missione e il tempo necessario per farlo.

Altre voci, nel frattempo, protestano dicendo che prima che gli Stati Uniti affrontino i confini esteri, dovremmo prima occuparci dei nostri, soprattutto quelli meridionali. Più di 8,6 milioni di immigrati clandestini sono entrati negli Stati Uniti da quando Biden ha iniziato il suo mandato, inclusi quasi 1,6 milioni di “fughe” di cui sappiamo, ma di cui non sappiamo nulla. È una crisi di sicurezza e deve essere affrontata. Tuttavia, proteggere i nostri confini e proteggere i nostri alleati non è una scelta alternativa.

Ciò che manca in una simile valutazione è che le truppe statunitensi di stanza all’estero stanno di fatto proteggendo un confine virtuale più ampio, per gli Stati Uniti e il mondo libero. Questi siti sono basi avanzate, non solo per difendere alleati come Ucraina, Israele, Taiwan, Medio Oriente, Indo-Pacifico, ma per assicurarci che non dovremo combattere nelle strade di Boston, San Francisco e New York . Se ciò sembra inverosimile, non c’è nemmeno bisogno di guardare indietro fino agli attacchi dell’11 settembre. Il direttore della CIA Christopher Ray, riferendosi ai segnali che erano sfuggiti prima dell’11 settembre, ha recentemente avvertito i senatori americani: “Vedo luci lampeggianti ovunque mi giri”.

Le migliori truppe americane combattono all’estero non perché gli Stati Uniti siano irresponsabilmente coraggiosi e non per finanziare sconsideratamente il complesso militare-industriale, ma per difenderci meglio qui in patria. Infatti, se vogliamo tenere il passo con gli eserciti stranieri che si stanno rapidamente modernizzando, e se vogliamo mantenere una deterrenza credibile, abbiamo bisogno di più finanziamenti per le forze armate oltre a uno studio serio delle migliori modalità aggiornate per utilizzarle. Questo non è essere un falco; in realtà è pura colomba: se hai un esercito forte non dovrai usarlo: nessuno ti metterà alla prova. Il presidente Ronald Reagan lo definì “Pace attraverso la forza”. Ha funzionato.

L’isolazionismo statunitense, una piacevole fantasia, è, come gli Stati Uniti hanno scoperto nel modo più duro durante la Seconda Guerra Mondiale, immensamente pericoloso. Mentre i nostri avversari si riversano per riempire ogni vuoto da cui gli Stati Uniti si ritirano, il desiderio di spodestare l’America non sarà trascurato. Per quanto costosi e spesso anche dispendiosi (un problema di gestione e responsabilità che dovrebbe essere indagato), questi impegni possono sembrare, sono un affare rispetto a quelle che potrebbero essere le spese successive in una guerra vera e propria.

Nel 1938, il primo ministro britannico Neville Chamberlain pensava che un “accordo” con Hitler avrebbe portato pace e stabilità. Ha portato il contrario. Hitler, non a caso, sfruttò l’opportunità offerta dall’illusione della pace per ampliare le sue invasioni. Quando diventarono intollerabili, fu chiaro a tutti che sarebbe stato molto meno costoso, in termini di vite umane e di denaro, fermare Hitler prima che il suo esercito attraversasse il Reno.

Se il problema sembra essere il numero delle vittime civili, il rapporto CSA rileva che, anche se sono significative – idealmente anche una sola morte è di troppo – non sono diverse da quelle delle guerre precedenti – e, secondo il New York Times, sono addirittura drammatiche. decrescente.

Il Ministero della Sanità di Gaza – gestito ovviamente da Hamas, le cui statistiche sono palesemente inaffidabili – ha riferito che più di 23.000 persone sono state uccise a Gaza. Il ministero, tuttavia, non fa distinzione tra terroristi e civili. Sfortunatamente, Hamas sembra credere che sia nel suo interesse pubblicare statistiche quanto più attendibili possibile, molto probabilmente nella speranza che sia Israele ad essere incolpato per le morti e non lui stesso per aver usato i propri cittadini come scudi umani.

Inoltre, come ha sottolineato il giornalista Daniel Greenfield, qualcuno si è mai chiesto durante la seconda guerra mondiale se ci fossero state troppe vittime tedesche e, se ci fossero state, che i combattimenti dovessero cessare? Come ha detto Netanyahu, Israele non voleva questa guerra e non ha chiesto questa guerra; gli dovrebbe essere consentito di porre fine a questa guerra prima che il piano del regime iraniano di “esportare la Rivoluzione” si diffonda ulteriormente. L’Iran controlla quattro capitali oltre alla propria, in Siria, Yemen, Libano e Iraq. L’Iran ha rafforzato i suoi intermediari terroristici; è vicino alla costruzione della sua bomba nucleare e da più di un decennio sta espandendo le sue operazioni in Sud America (qui, qui, qui e qui).

Ci sono state preoccupazioni circa il periodo di tempo di cui Israele potrebbe aver bisogno se non si vede una fine definita in vista. Netanyahu, tuttavia, ha dichiarato chiaramente i suoi “tre obiettivi di guerra”, secondo il Wall Street Journal:

“Questi obiettivi sono realizzabili”, ma la guerra “richiederà molti mesi”. Elenca gli obiettivi nel suo caratteristico baritono. “Uno: distruggere Hamas. Due: liberare gli ostaggi”, di cui circa 136 rimangono nei tunnel di Hamas, alcuni dei quali si presume siano morti. “Tre: garantire che Gaza non costituisca mai più una minaccia per Israele.”

Non è questo ciò che gli Stati Uniti vorrebbero in un confronto simile con al-Qaeda o ISIS?

L’amministrazione Biden probabilmente preferirebbe lavorare con un primo ministro israeliano, che fosse più compiacente, uno che sarebbe felice di vedere uno stato palestinese (qui e qui) accanto a Israele, e non si preoccuperebbe così tanto se fosse un genocidio; un primo ministro che sarebbe felice di vedere un Iran armato di armi nucleari, e non diventare schizzinoso ogni volta che i mullah invocano “Morte a Israele” e dicono che Israele è una nazione “con una sola bomba”. L’amministrazione Biden potrebbe anche chiedersi: “Perché non può esserci un primo ministro israeliano ragionevole che approvi semplicemente questi piani senza dare del filo da torcere a tutti?”

Sembra esserci una mentalità profonda negli Stati Uniti che crede: “Se solo Israele non ci fosse, non avremmo tutti questi problemi”. Potrebbero anche essere le stesse persone che pensano che se continuate a corrompere i vostri avversari, questi, come falsamente promesso dall’ayatollah Ruhollah Khomeini, non si opporranno agli interessi americani in Iran. Non ci sono prove che indichino che qualcosa sia cambiato. Perché dovrebbe farlo quando gli Stati Uniti continuano a dimostrare che essere un avversario è un grande business? I nostri avversari possono vedere che gli alleati degli Stati Uniti, come Israele, ricevono minacce (per esempio qui e qui); sono ordinati in giro; hanno subito interferenze nei loro affari interni, come le riforme giudiziarie, e compromesse le loro elezioni libere ed eque (qui e qui). I nostri avversari possono anche vedere agli alleati degli Stati Uniti sentirsi dire quando, dove, come possono o meno difendersi – anche dopo un attacco genocida (qui e qui). In quale squadra preferiresti essere?

Il Wall Street Journal ha osservato:

          ”L’Iran vuole cancellare lo Stato ebraico dalla mappa geografica, ma il principale ostacolo che Blinken vede al suo piano è Israele…

“A quanto pare, le concessioni politiche al terrorismo sono l’unica via da seguire…

“Lo prenda dal presidente israeliano Isaac Herzog, un oppositore di Netanyahu ed ex leader del partito laburista. ‘Se chiedi a un israeliano medio adesso’, ha detto giovedì, ‘nessuno sano di mente è disposto ora a pensare a quale sarà la soluzione di gli accordi di pace…’

Nell’entusiasmo dell’amministrazione Biden per il successo in politica estera, non si dovrebbe dimenticare che quanto più completa sarà la sconfitta di Hamas, tanto maggiore sarà lo spazio di compromesso che Israele avrà. La vittoria sarebbe il massimo per aprire la strada alla pace.”

Biden, con ogni probabilità, vede la cessazione della violenza e la creazione di uno Stato palestinese come un biglietto per la rielezione, o per lo meno, per un Premio Nobel per la pace. Sembra ancora, mistificantemente, determinato a garantire una sorta di “accordo” con l’Iran, anche se l’Iran non ha onorato nessuno dei suoi accordi in passato e non sembra probabile che ne onorerà uno in futuro.

“L’Iran minaccia il mondo”, ha detto il ministro dell’Economia israeliano Nir Barkat. “Vogliono creare una bomba per usarla.”

Altri hanno affermato che se questo è ciò che l’Iran sta facendo senza un’arma nucleare, basti pensare a cosa farà con una.

Non tutte le guerre sono “per sempre” o “inutili”, altrimenti gli Stati Uniti non sarebbero qui. Purtroppo, sembra esserci nell’amministrazione Biden l’impegno a perdere. Naturalmente, probabilmente sembra più facile – nel breve termine – arrendersi, come in Afghanistan, e ritirare le truppe americane dalla Siria e dall’Iraq, e abbandonare Israele a favore di un regime terroristico maligno. È molto meglio scoraggiare e ancora meglio vincere.

Sul confine settentrionale di Israele si trova il Libano, ora sotto il dominio di un’altra milizia per procura dell’Iran, Hezbollah. Per anni, ha ampliato gli sforzi dell’Iran schierando circa 150.000 missili puntati contro Israele, un paese più piccolo del New Jersey. Hezbollah ammette apertamente di aver condotto più di 670 attacchi contro Israele – oltre a quelli di Hamas nel sud di Israele – proprio da allora. 7 ottobre 2023. In risposta, il ministro del Gabinetto di Guerra israeliano Benny Gantz ha detto agli alti funzionari statunitensi dei crescenti attacchi di Hezbollah nel nord di Israele, “chiedendo a Israele di rimuovere tale minaccia”.

L’Iran, ovviamente, è felice che i suoi delegati combattano e muoiano per distruggere Israele, purché la guerra non si estenda a loro – il motivo, con ogni probabilità, in primo luogo per cui l’Iran ha dei delegati. L’amministrazione Biden, con suo enorme merito, ha stazionato diverse navi da guerra nella regione per scoraggiare l’espansione, il che prolungherebbe ulteriormente la durata della guerra. Finora l’amministrazione Biden ha fornito un enorme sostegno a Israele in molti modi, il che è molto gradito, e si spera sinceramente che il suo sincero sostegno mantenga le distanze.

Qualsiasi deterrenza, tuttavia, dovrà essere molto più potente e indirizzata direttamente all’Iran, un conto per i beni iraniani, per distrarre l’Iran dai suoi obiettivi egemonici. Una situazione diversa in questa guerra richiederebbe una risposta molto più forte da parte degli Stati Uniti rispetto a quella a cui abbiamo assistito attualmente. Il generale Keane ha suggerito di colpire i leader e le capacità militari dell’IRGC e dei suoi leader che stanno dando inizio all’aggressione, per impedire loro di causare ulteriori danni.

Come in tutte le guerre, entrambe le parti sono colpite da centinaia di migliaia di civili sfollati, sia palestinesi che israeliani.

Dalla lettura del rapporto CSA è possibile trarre alcune conclusioni significative.

In primo luogo, se l’Iran e i suoi delegati vengono ulteriormente coinvolti nel conflitto, gli Stati Uniti devono rispondere all’Iran, cosa che il presidente Biden ha accettato di fare, anche se non è ancora chiaro quando, dove o come. Almeno finora, l’amministrazione Biden è apparsa riluttante a rispondere all’Iran e alle sue provocazioni in un modo che potrebbe effettivamente scoraggiarlo. Il personale statunitense è morto e decine di soldati sono rimasti feriti, alcuni con gravi lesioni cerebrali traumatiche, ma l’Iran stesso è stato esonerato dal pagare qualsiasi prezzo per tutta la devastazione che sta causando, per non parlare della devastazione che potrebbe causare se gli fosse permesso. avere armi nucleari. La diplomazia non lo fermerà, e un “accordo” non lo fermerà.

L’Iran non è stato colpito affatto: né le basi dell’IRGC, né i centri di addestramento, né la sua nave spia nel Mar Rosso. Non sono state ripristinate nemmeno le sanzioni finanziarie. L’Iran può solo leggere questa risposta come un’opportunità d’oro per intensificare l’aggressione e, almeno fino alle elezioni presidenziali americane di novembre, fare tutto ciò che vuole.

Il capo di stato maggiore dell’IDF, il tenente generale Herzi Halevi, ha detto ai giornalisti che “sia la sicurezza che il senso di protezione” per il nord di Israele potrebbero richiedere alle forze dell’IDF di apportare un “cambiamento molto chiaro”. Non ha detto di cosa.

Ci sono anche segnali che la guerra sta diventando un conflitto regionale allargato, anche se l’amministrazione Biden, apparentemente facendo del suo meglio per evitarlo, potrebbe scoprire, come ha fatto Chamberlain, che tale posizione è esattamente ciò che la provoca.

Con una mezza mossa, l’amministrazione Biden ha recentemente aggiunto gli Houthi con sede nello Yemen a un elenco di gruppi designati come organizzazioni terroristiche. Purtroppo, l’elenco si è rivelato relativamente inefficace, ben al di sotto del livello delle organizzazioni terroristiche straniere a cui il gruppo era stato precedentemente assegnato.

Finora, l’amministrazione Biden non ha affrontato le minacce come se fossero sfide globali significative. L’amministrazione sta sostenendo le necessità militari di Israele, il che è positivo, ma si rifiuta ancora di affrontare il vero problema centrale: l’Iran. Fornire agli israeliani le risorse per vincere la guerra e costruire una coalizione per affrontare gli attacchi terroristici degli Houthi contro il trasporto marittimo globale sono passi concreti. Ciò che viene ignorato è che l’Iran è il burattinaio dietro le quinte che tira le fila. Per contenere la minaccia, l’amministrazione Biden deve ripristinare una strategia molto più vigorosa per affrontare l’Iran. L’Iran deve essere nuovamente sanzionato, ostracizzato nella comunità globale e la sua fonte di entrate – il petrolio – utilizzato per finanziare Hamas, Hezbollah, gli Houthi e le milizie sciite – deve essere tagliata.

Se all’Iran non verrà impedito di acquisire armi nucleari, il mondo si troverà in una situazione diversa, soggetto a innumerevoli corse agli armamenti o addirittura a una guerra nucleare.

Come evidenzia il rapporto CSA, la guerra in corso tra Israele e Hamas comporta rischi significativi per Israele, per la regione e per il mondo. È tempo di affrontare seriamente la sfida iraniana, eliminare la capacità dell’Iran di finanziare e fornire armi ai suoi delegati che rappresentano molteplici minacce in questa lotta, e porre fine al suo programma nucleare prima che sia troppo tardi.

Peter Hoekstra è un Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute. È stato ambasciatore degli Stati Uniti nei Paesi Bassi durante l’amministrazione Trump. Ha anche prestato servizio per 18 anni nella Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti in rappresentanza del secondo distretto del Michigan ed è stato presidente e membro di grado del comitato di intelligence della Camera.



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6070.- Nel Medio Oriente diviso su Israele, prevale la cautela saudita

Il presidente iraniano “Ibrāhīm Raisi al vertice islamico tenutosi in Arabia Saudita guida la linea oltranzista: «Armare i palestinesi fino alla vittoria». Ma gli arabi sono divisi sulle sanzioni allo Stato ebraico. Gli Accordi di Abramo con Israele hanno lasciato il segno.

Riad, lo show di Raisi al vertice islamico: “Bacio le mani ad Hamas, resiste a Israele”

“Ibrāhīm Raisi al vertice islamico: “Bacio le mani ad Hamas che resiste a Israele”

Da Affari Internazionali, di Eleonora Ardemagni, 13 Novembre 2023

Diviso, dunque impotente. Il super vertice arabo-islamico di Riyadh (Lega Araba e Organizzazione per la Cooperazione Islamica insieme) ha messo a nudo la frammentazione del Medio Oriente di fronte alla dura offensiva militare di Israele nella Striscia di Gaza. Un’offensiva seguita al 7 ottobre, ovvero all’attacco, con modalità terroristiche, di Hamas contro Israele. Dal summit d’emergenza organizzato dall’Arabia Saudita non è emersa alcuna azione concreta, né proposta nuova: soltanto un simbolico invito all’embargo sulla vendita di armi a Israele. Occorre ricordare però che le armi comprate da Israele provengono per tre quarti da Stati Uniti e Germania, dunque non da partner mediorientali. Chiedendo una risoluzione vincolante che blocchi le azioni militari israeliane, i paesi arabi e islamici ributtano poi, per mascherare le loro divisioni, la ´palla della politica` nel campo del Consiglio di Sicurezza Onu, anch’esso più che mai diviso e bloccato.

Di certo, l’offensiva israeliana su Gaza ha offuscato le divergenze arabe su Hamas, in particolare tra le monarchie del Golfo. La notizia, però, sta proprio in ciò che il vertice organizzato dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman Al Saud non ha deciso: nessuna rottura delle relazioni diplomatiche con Tel Aviv (per chi ha normalizzato i rapporti), né embarghi petroliferi. Insomma, i proclami del presidente iraniano Ebrahim Raisi, presente al summit, hanno ottenuto un palco mediatico ma nessun consenso politico sufficiente a orientare la politica delle principali istituzioni arabo-islamiche.

Per MbS, la prova di leadership regionale è riuscita solo a metà. Infatti, la linea prevalsa è quella saudita (oltreché degli Emirati Arabi) della cautela verso Israele, anche se emergono i limiti di una posizione faticosamente intermedia fra il tradizionale appoggio alla causa palestinese e le recenti aperture a Israele. Perché anche i sovrani del Golfo, al di là dei consueti richiami alla creazione di uno stato palestinese, sembrano non avere idea del ‘come fare’.

Il summit di Riyadh

Nel comunicato finale del vertice congiunto fra Lega Araba (22 paesi) e Organizzazione per la Cooperazione Islamica (57 paesi inclusi quelli arabi), svoltosi a Riyadh il 10-11 novembre, i partecipanti hanno chiesto il cessate il fuoco immediato a Gaza e al Consiglio di Sicurezza Onu di approvare una risoluzione “vincolante” per porre fine “all’aggressione israeliana”. Nel testo, in cui manca la condanna dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, si chiede a tutti gli stati di attuare un embargo sulla vendita di armi e munizioni a Israele, nonché alla Corte Penale Internazionale di indagare sui “crimini di guerra commessi da Israele ”.

La bozza precedente, della sola Lega Araba, non aveva raggiunto la maggioranza dei voti: il testo chiedeva, su iniziativa di Iran e Siria, l’interruzione completa delle relazioni diplomatiche con Israele ipotesi avversata da alcuni paesi. Anche per superare lo stallo, la presidenza saudita ha così riunito i due vertici in un’unica sessione.

MbS condanna Israele ma senza strappi

Il principe ereditario saudita ha dichiarato che “le autorità d’occupazione israeliane sono responsabili di crimini contro la popolazione palestinese” e ha invocato, durante il bilaterale con Raisi, “il rilascio degli ostaggi e dei detenuti”. Il ministro degli esteri saudita Faisal bin Farhan ha poi criticato l’inattività dell’Onu, sottolineando la “necessità di ristrutturare la struttura di sicurezza internazionale“.

Eppure, dopo oltre un mese di guerra, il ministro degli investimenti saudita Khalid Al Falih ha affermato che l’ipotesi di normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Israele è “ancora sul tavolo, seppur “dipendente da una risoluzione pacifica della questione palestinese”. Le parole di MbS verso il governo israeliano sono state fin qui dure -non aspre però come quelle di Qatar e Turchia –  ma senza strappi.

Il Bahrein, firmatario degli Accordi di Abramo nel 2020, si è spinto un passo più in là, ma anche qui senza arrivare alla rottura: la Camera bassa (Majlis al Shura, senza potere legislativo) ha approvato il ritiro dell’ambasciatore e la cessazione delle relazioni economiche con Israele. Non sono però arrivate conferme né annunci dal governo di Manama.

Anche i media del Golfo riflettono le divergenze fra governi

Le differenti vedute dei governi arabi del Golfo sulla guerra Hamas-Israele e il contesto regionale si riflettono anche sulla stampa araba. Così, la qatarina Al Jazeera sottolinea che i leader arabi e islamici “non hanno un meccanismo per spingere il cessate il fuoco ”, criticando le “parole vaghe” del comunicato finale, utili solo “per il pubblico interno”. Invece, l’emiratino The National si sofferma sulla bocciatura della bozza  in cui si chiedeva lo stop alle relazioni diplomatiche con Israele.

Il vertice invoca l’embargo alla vendita di armi a Israele: è interessante notare però che i paesi firmatari degli Accordi di Abramo sono stati i destinatari, nel 2022, del 24% dell’export di armi israeliane (era il 7% nel 2021). Secondo i dati diffusi dal ministero della difesa di Tel Aviv, i partner arabi hanno comprato da Israele soprattutto droni, ma anche missili, razzi e sistemi di difesa aerea. Ciò che nel Golfo serve, insomma, a difendersi dagli attacchi delle milizie filo-Teheran.

Il gioco dell’Iran

Il bilaterale di Riyadh fra MbS e Raisi conferma che i sauditi e le monarchie non hanno interesse all’escalation regionale.Razionalmente non ce l’ha neppure l’Iran che sa di non poter vincere una guerra convenzionale. Ma non solo per questo. Infatti, più l’offensiva di Israele a Gaza continua, più gli Accordi di Abramo rischiano di logorarsi: questo sarebbe un punto in favore di Teheran, ostile alle normalizzazioni e a un equilibrio mediorientale di cui gli Stati Uniti sono il regista.

Se però le milizie filo-iraniane aprissero altri fronti di guerra (Libano, Yemen), le monarchie del Golfo percepirebbero una minaccia diretta più forte e ciò accrescerebbe la convergenza con Israele, a discapito così degli obiettivi di Teheran. In fondo, quando si tratta degli attacchi degli houthi dallo Yemen, sauditi, emiratini e israeliani devono già difendersi, di fatto, da missili e droni provenienti dallo stesso nemico. Anche questo fattore ha un peso nella perdurante cautela saudita su Israele.

6067.- L’escalation c’è già: l’Iran è coinvolto nel conflitto contro Israele

La campagna militare di Gaza sarà aeroterrestre e potrebbe durare molto, molto a lungo, con molti altri lutti. La tenuta politica di Netaniahu se ne gioverebbe, ma dipende anche molto da quali opportunità possono crearsi a livello internazionale. C’è, però, una possibilità di pace, senza altri lutti, con un confine eretto fra due stati sovrani, garantito, che non farebbe gli interessi né di Hamas né di Netaniahu e che António Gutérrez non ha la forza di sostenere.

La guerra a Gaza, oggetto della telefonata fra Papa Francesco e Biden, rischia di allungarsi nel tempo. E si sta già allargando ad altre aree calde del Medio Oriente. Milizie sciite pro-Iran entrano in azione in Libano, Siria, Iraq e Yemen anche contro gli Usa.

Da La Nuova Bussola Quotidiana, 10 novembre 2023. Di Stefano Magni.Teheran, manifestazione pro-Palestina (con i ritratti di Soleimani)

Il rischio maggiore, per ora, della guerra a Gaza è che si allunghino i tempi e con essi anche le perdite, militari e civili. Ma il rischio più temuto nel mondo è che si allarghi. In realtà, l’escalation non è definibile semplicemente come “rischio”: è già in corso. L’Iran è indirettamente coinvolto nelle operazioni iniziate su fronti secondari, di cui si parla meno, ma dove i morti si contano già a decine, in Libano, Yemen, Siria e Iraq.

Scongiurare l’ulteriore allargamento del conflitto è stato molto probabilmente al centro del colloquio telefonico riservato fra Papa Francesco e il presidente degli Usa Joe Biden, domenica 22 ottobre. Sappiamo poco dei suoi contenuti, se non che è servita a “individuare percorsi di pace”. Biden, il giorno successivo ha parlato di un pieno accordo con il Santo Padre: “Il Papa ed io siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Era molto, molto interessato a ciò che stiamo facendo per alcune delle crisi che stiamo affrontando, in particolare in Israele questa volta”.

La diplomazia a livello mondiale sembra poter fare ben poco in questa fase del conflitto. Quella locale sta ottenendo qualche risultato. Dopo la liberazione, da parte di Hamas, di due cittadine americane Judith e Natalie Shoshanna Raanan (madre e figlia), altri due ostaggi sono stati scambiati con aiuti umanitari al confine con l’Egitto, altre due donne, israeliane: Nurit Cooper e Yocheved Lifshitz, di 80 e 85 anni rispettivamente. Tuttavia un altro tentativo di scambio, negoziato dal Qatar e riguardante ben 50 ostaggi con doppia nazionalità, pare sia fallito, stando a fonti del Wall Street Journal. Hamas chiedeva in cambio una fornitura di carburante e Israele ha rifiutato perché può essere usato anche per scopi militari (per i razzi, tanto per cominciare).

Lo Stato Maggiore israeliano fa sapere che non vi sia alcun nesso fra la presenza di ostaggi a Gaza e il mancato inizio delle operazioni di terra, che gli osservatori già si attendevano la settimana scorsa. Su questo punto non trapela nulla, né ci sono indizi su quando l’offensiva possa iniziare. L’ora X potrebbe scattare mentre questo articolo va online, così come non scattare affatto. Quel che però pare ormai assodato è che la campagna militare di Gaza (che sia solo aerea o anche terrestre) dovrebbe durare molto a lungo.

Il Segretario alla Difesa degli Usa, Lloyd Austin ha citato ad esempio la riconquista di Mosul nel 2017, che segnò la sconfitta dell’Isis in Iraq: occorsero nove mesi per ripulire la città dai jihadisti. A Gaza i membri di Hamas, della Jihad Islamica e delle sigle terroriste minori presenti sul territorio, sono anche più numerosi di quelli dell’Isis di allora e possono avvalersi di una intricata rete di tunnel per nascondersi e muoversi in un conflitto urbano.

Chiaramente, più lunga è la durata del conflitto, più è facile che si estenda anche territorialmente. Ma, appunto: altri fronti sono già aperti, anche se fanno meno notizia.

Ad esempio, gli Stati Uniti hanno sparato i loro primi colpi, il 19 ottobre, nel Mar Rosso. Lo hanno fatto per reagire a un lancio di missili e droni dallo Yemen. Sono stati tutti intercettati dalla batteria anti-missile del cacciatorpediniere USS Carney. La marina degli Stati Uniti non ha fornito molti dettagli sull’azione, se non che i missili e i droni fossero diretti “verso Nord”, quindi “potenzialmente verso Israele”. I missili sono stati lanciati dalla milizia sciita Houthi, sostenuta dall’Iran.

Sul lato opposto del teatro di conflitto, nel Nord, il Libano è già coinvolto da tre settimane in scontri a fuoco fra Hezbollah (altra emanazione del regime iraniano) e Israele. Per sicurezza, 200mila civili israeliani sono già stati evacuati dall’area. L’aviazione israeliana ha colpito due postazioni della milizia sciita anche ieri, per prevenire un loro lancio di razzi. Inoltre ha lanciato raid in profondità in Siria, colpendo gli aeroporti di Damasco e Aleppo, dove l’Iran sta inviando a Hezbollah armi e rinforzi di miliziani sciiti.  

Altre milizie filo-iraniane in Siria e nel vicino Iraq, invece, hanno aumentato i loro attacchi contro le basi statunitensi nell’ultima settimana. L’ultimo in ordine di tempo è stato il tentativo (fallito) da parte di milizie sciite di colpire l’aeroporto di al Tanf, in Siria.

Per questo motivo, anche ieri, lunedì 23 ottobre, l’amministrazione Biden è tornata ad ammonire Teheran. «Sappiamo che l’obiettivo dell’Iran è quello di mantenere un certo livello di segretezza per negare le sue responsabilità – ha dichiarato John Kirby, del Consiglio di sicurezza nazionale – Ma non glielo permetteremo. Non permetteremo nemmeno che qualsiasi minaccia ai nostri interessi nella regione rimanga incontrastata”.

Secondo fonti del Jerusalem Post, domenica i media iraniani si sono concentrati su altre minacce a Israele e alla regione, criticando il ruolo degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, ventilando la possibilità di nuovi attacchi informatici a Israele ed enfatizzando le divisioni interne allo Stato ebraico sulla futura probabile operazione di terra. Mehdi Hosseini Matin, incaricato d’affari iraniano a Londra, ha affermato che se questa dovesse partire è possibile che gli interessi del Regno Unito vengano colpiti. Lanciando il sasso e nascondendo la mano, ha aggiunto che l’Iran non ha alcun controllo sulle “forze di resistenza” nella regione, che, a suo dire, prenderebbero le proprie decisioni indipendentemente da Teheran. Detto in parole povere: noi vogliamo la pace, ma se qualcuno dei nostri si arrabbia non garantiamo nulla.

In caso di partecipazione diretta o indiretta dell’Iran nel conflitto, comunque, Israele potrebbe rispondere con un attacco alla fonte. Come ha dichiarato Nir Barkat, ministro dell’Economia in un’intervista al britannico Daily Mail: “Taglieremo la testa del serpente a Teheran”.

6022.- Obiettivi Teheran e Damasco. Il 7 ottobre una licenza di uccidere e Washington scopre le carte.

Sarà un caso ma Iran e Siria sono fra i 9 Paesi le cui banche centrali non appartengono ai Rothschild. Le altre sono: Cina, Russia, Iran, Venezuela, Ungheria, Siria, Cuba, Islanda e Corea del Nord. Tre di questi Paesi, nell’ordine Russia, Iran e Venezuela, sono anche le tre più grandi potenze energetiche del mondo, quanto alle riserve di petrolio, gas e carbone.

Washington scopre le carte. Apprezziamo la linea tenuta dal governo italiano, l’unica possibile; ma qualcuno soffia sul fuoco. La guerra di Gaza è imprevedibile e si sta allargando alla Siria e al Libano. Non è ancora una guerra mondiale, ma è senz’altro multipolare: navi da guerra sia cinesi sia americane sono in quelle acque. Israele deve affrontare problemi sia militari sia diplomatici, per i civili di Gaza e sia al suo interno per gli ostaggi e per chi chiama vendetta. Israele è in lotta contro il tempo. Deve eliminare Hamas ma è improbabile che riesca a sradicarlo e ogni colpo sparato è un seme per il terrorismo.

Ambasciata Usa in Libano esorta americani a lasciare il paese

RAI news 24. L’ambasciata americana in Libano esorta nuovamente gli americani a lasciare il Paese “mentre i voli commerciali restano disponibili, a causa dell’imprevedibile situazione della sicurezza”. “Il momento migliore per lasciare un Paese è, se possibile, prima di una crisi. Le evacuazioni di civili da un paese straniero assistite dai militari statunitensi sono rare. Non vi è alcuna garanzia che il governo degli Stati Uniti evacuerà i privati cittadini statunitensi e i loro familiari in una situazione di crisi”, si legge nel messaggio.

Hamas chiede a Hezbollah di intervenire

Hamas ha chiesto a Hezbollah e agli altri alleati di svolgere un ruolo più importante nel conflitto tra Israele e il movimento islamista.Ghazi Hamad, un alto funzionario, in un’intervista a Associated Press ha dichiarato: “Apprezziamo che Hezbollah stia lavorando contro l’occupazione, ma abbiamo bisogno di più per fermare l’aggressione a Gaza. Nella sua intervista, Hamad ha negato qualsiasi coinvolgimento dell’Iran o di Hezbollah nella pianificazione dell’attacco del 7 ottobre. “La decisione è stata presa solo da Hamas, e noi ce ne siamo presi la responsabilità”, ha detto.Per Hamad l’attacco del 7 ottobre che ha ucciso civili israeliani è stato una risposta a Israele ma anche la “licenza di uccidere” i civili di Gaza. Le prospettive di pace sono legate al rilascio di centinaia di ostaggi. Hamas, consapevole di non poter vincere, è “molto disponibile” a discutere il rilascio di altri ostaggi.

Questa immagine presa da un filmato televisivo AFP mostra palle di fuoco e fumo che si alzano sopra Gaza City durante un attacco israeliano. Foto: Yousef Hassouna/AFP

E ora, da Il secolo d’Italia, 27 Ott 2023, di Viola Longo

Medioriente, bombardamenti Usa in Siria.

Nuova incursione dell’esercito israeliano a Gaza

Gli Usa hanno attaccato due strutture nella Siria orientale utilizzate dal Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane e dai gruppi da esso sostenuti. Lo ha resto noto il Pentagono,aggiungendo che il raid dell’esercito americano è la risposta a un’ondata di attacchi contro le forze statunitensi sia in Iraq che in Siria. Nella notte si è registrata anche la terza incursione in 24 ore dell’esercito israeliano a Gaza.

Gli Usa bombardano postazioni in Siria, dopo gli attacchi al proprio esercito

Gli attacchi americani hanno preso di mira depositi di armi e munizioni utilizzando aerei F-15, ha detto un funzionario del Pentagono, e non sono stati coordinati con Israele. “Questi attacchi di autodifesa di precisione sono una risposta a una serie di attacchi in corso e per lo più infruttuosi contro il personale americano in Iraq e Siria da parte di gruppi di miliziani sostenuti dall’Iran, iniziati il ​​17 ottobre”, ha precisato in una nota il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin.

L’avvertimento della Casa Bianca

Un avvertimento in questo senso sera giunto nella serata di ieri, quando l’addetto stampa del Pentagono, il generale di brigata  Patrick Ryder, aveva riferito degli attacchi che si erano moltiplicati negli ultimi giorni (12 in Iraq e 4 in Siria nell’ultima settimana), spiegando anche che proprio in giornata era stato sventato un attacco contro la base militare Usa a Erbil, nel Kurdistan iracheno. Era stato poi il portavoce del Consiglio nazionale di sicurezza della Casa Bianca, John Kirby, ad anticipare che gli Usa avrebbero risposto “nel momento e nel modo da noi scelti”, chiarendo di considerare le milizie filo iraniane responsabili degli attacchi. Il bilancio degli attacchi sarebbe, secondo quanto emerso, di 21 militari americani feriti, sebbene lievemente.

L’esercito israeliano entra a Gaza per la terza volta in 24 ore

usa siria

Sul fronte israelo-palestinese nella notte l’esercito israeliano è entrato nel nord di Gaza per la terza volta in 24 ore e ha attaccato le postazioni di Hamas, come piattaforme di lancio di missili anticarro e sedi dell’organizzazione, alcune delle quali nella città di Gaza. Secondo l’esercito, entrato con i carri armati e sostenuto dall’aviazione, gli obiettivi erano membri di Hamas, piattaforme di lancio di missili anticarro e quartier generali di Hamas. Nessun soldato israeliano è rimasto ferito.

6021.- USA rivogliono gli ostaggi: No all’invasione di Gaza; ma Israele non vivrà con l’incubo di Hamas e Gaza muore. Occhi sulla Cina.

Massiccia raffica di razzi sul centro Israele. Colpita la rete elettrica nei pressi di Tel Aviv. Esercito Idf: “Nuove incursioni di terra a Gaza” Nuovo raid israeliano nella Striscia di Gaza. Almeno 18 persone sono morte e 40 sono rimaste ferite per l’attacco aereo mirato a Khan Yunis contro la famiglia di Yunis Al Astal, membro di Hamas. Netanyahu: “Stiamo facendo piovere il fuoco dell’inferno su Hamas!” e il presidente israeliano Isaac Herzog auspica un Medio Oriente di pace, ma quale pace?

Occhi sulla Cina e sull’India, non su Mosca né su Teheran né su Ankara. La nuova «via del Cotone» benedetta al G20 da Biden congiunge India, Arabia Saudita, Israele ed Europa. Se l’obiettivo terroristico è Israele, quello economico mira a rallentare se non a eliminare il contrasto proprio con la «via della Seta». Perciò, occhi sulla Cina.

La situazione vista attraverso le notizie di RAI news 24 di LaPresse di ieri 26 ottobre e i commenti.

Il ruolo della Cina nella guerra che colpisce tutti

Immagine di Gaza da Nicola Porro, vicedirettore de il Giornale

(LaPresse) L’aumento degli attacchi aerei israeliani continua a devastare parti della Striscia di Gaza, mettendo a repentaglio le operazioni di soccorso e lasciando i quartieri nel caos. Gli ultimi bombardamenti hanno distrutto case e attività commerciali. Le immagini satellitari rilasciate da Maxar Technologies mostrano l’entità dei danni causati dai bombardamenti quotidiani nel nord di Gaza.

Gaza com’è oggi.  Le testimonianze: “Qui si rischia la morte sotto le bombe anche in fila per comprare il pane”

Si muove la diplomazia di Putin

Delegazione Hamas a Mosca: “Apprezziamo sforzi Putin”. Mosca: “Con Hamas discussa liberazione ostaggi”. Israele: “Russia cacci subito i terroristi”. Ucciso il vice capo dell’intelligence di Hamas. Esercito: “Blitz mirati nel nord della Striscia”.

Mosca: “Discusso con Hamas di liberazione degli ostaggi”

Secondo quanto riportato dalla Tass, che cita una dichiarazione di Hamas, la delegazione del gruppo palestinese ha incontrato a Mosca Mikhail Bogdanov, viceministro degli Esteri e inviato speciale presidenziale della Russia per il Medio Oriente e l’Africa. Nell’incontro è stato discusso “il rilascio immediato degli ostaggi stranieri che si trovano nella Striscia di Gaza, e le questioni relative alla garanzia della evacuazione dei cittadini russi e di altri cittadini stranieri dal territorio dell’enclave palestinese”, ha riferito il ministero degli Esteri russo. “È stata confermata la posizione immutabile della Russia a favore dell’attuazione delle decisioni ben note della comunità internazionale, comprese le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che prevedono la creazione di uno Stato palestinese sovrano entro i confini del 1967 con capitale a Gerusalemme Est e la convivenza in pace e sicurezza con Israele”, ha aggiunto. 

Secondo l’agenzia di stampa russa Ria, Hamas ha rilasciato una propria dichiarazione in cui elogia gli sforzi del presidente russo Vladimir Putin e del ministro degli Esteri per porre fine a quelli che definisce “i crimini di Israele sostenuti dall’Occidente”.

Anche il viceministro degli Esteri dell’Iran è a Mosca, nello stesso giorno della visita della delegazione di Hamas

Il ministero degli Esteri russo ha confermato che una delegazione di Hamas è arrivata oggi a Mosca per parlare con “gli attori chiave, per risolvere la crisi il più presto possibile”. Hamas non è considerato un gruppo terroristico dalla Russia. La testata russa RIA Novosti, rilanciata dalla Bbc, ha detto che la delegazione era guidata dalla figura di spicco Moussa Abu Marzouk, che si pensa viva a Doha, in Qatar. Una foto pubblicata sui social media lo mostra mentre incontra il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov. Il ministero degli Esteri russo ha inoltre rivelato che nella capitale moscovita si trova anche il viceministro degli Esteri iraniano. L’Iran è l’arcinemico di Israele e da lungo tempo sostiene Hamas, ma ha sviluppato stretti legami anche con la Russia. Il Cremlino afferma inoltre che è imminente la visita del Presidente palestinese Mahmoud Abbas.

Ministro Esteri Iran: Hamas pronto a rilascio civili

Il ministro degli Esteri iraniano, Hussein Amirabdollahian, ha fatto sapere che Hamas è pronto a liberare gli ostaggi civili. Il mondo, ha aggiunto, dovrebbe sostenere la liberazione di 6 mila prigionieri palestinesi. Lo riferisce Reuters.

Israele: invito delegazione Hamas a Mosca è osceno

“Israele vede l’invito di alti funzionari di Hamas a Mosca come un passo osceno che dà sostegno al terrorismo e legittima le atrocità dei terroristi di Hamas”. Lo afferma il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Lior Haiat in un post pubblicato su X. “Le mani degli alti funzionari di Hamas sono macchiate del sangue di oltre 1.400 israeliani che sono stati massacrati, assassinati, giustiziati e bruciati e sono responsabili del rapimento di oltre 220 israeliani tra cui neonati, bambini, donne e anziani”, si legge nel post. Una delegazione di Hamas è stata ospite oggi a Mosca dove ha incontrato il viceministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov.

Iran all’Onu: se a Gaza continuano, Usa non risparmiati

Il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, ha avvertito gli Stati Uniti che se la ritorsione di Israele contro Gaza non finirà, gli Stati Uniti “non saranno risparmiati da questo fuoco”. Il ministro ha affermato che Hamas è pronto a rilasciare i suoi ostaggi civili, ma il mondo dovrebbe sollecitare il rilascio di migliaia di palestinesi nelle carceri israeliane. “Non accogliamo con favore l’espansione della guerra nella regione. Ma se il genocidio a Gaza continua, non saranno risparmiati da questo fuoco”, ha detto Amir-Abdollahian, rivolgendosi ai leader americani. La minaccia vale quanto vale l’Iran, la cui economia, sotto embargo, dipende da sei miliardi di proventi del petrolio, quindi, da Washingtona che può bloccarlo quando utile e neceessario. 

Libano: incontro tra il capo Hezbollah e i dirigenti di Hamas e della Jihad islamica

Al centro del vertice i modi per sostenere questi movimenti palestinesi nelle loro guerre contro Israele. Lo ha riferito la formazione pro-iraniana.

“Hamas e Hezbollah, secondo alcune fonti vicine a Hezbollah, hanno costituito, molto prima dell’attacco del 7 ottobre, un centro di “operazioni comuni” con la Jihad islamica e la forza Al-Qods, l’unità che sta ai vertici delle Guardie della Rivoluzione in Iran.

I tre gruppi fanno parte dell’”asse della resistenza” a favore degli iraniani contro Israele e coordinano le loro azioni con fazioni palestinesi, siriane, irachene e altre. L’incontro ha anche menzionato “il confronto in corso sulle frontiere libanesi”.

Queste azioni hanno fatto 52 morti dal lato libanese di cui quattro civili, 39 combattenti di Hezbollah e nove altri militanti delle organizzazioni correlate, secondo il nuovo calcolo condotto da Afp, considerando l’annuncio degli Hezbollah della morte di altri suoi membri. Quattro persone sono state uccise dal lato israeliano della frontiera. Per ora gli scontri restano limitati, così come i bombardamenti israeliani sui villaggi al confine nel Sud del Libano.”

Hamas ha chiesto a Hezbollah un maggior impegno nella lotta a Israele.

Washington ha ordinato di non invadere Gaza e anche il fronte interno in Israele è diviso. Familiari ostaggi a Netanyahu: nostra pazienza è finita

Le famiglie degli ostaggi nelle mani di Hamas hanno affermato in una dichiarazione che la loro pazienza “è esaurita” chiedendo al governo di agire immediatamente. Lo riporta la Cnn. L’accusa al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è quella di “tacere” sulla sorte dei loro cari. “Sono lì da 20 giorni, 20 giorni in cui non abbiamo idea delle loro condizioni, se vengono curati, se respirano, 20 giorni in cui ci viene chiesto di essere pazienti”, ha detto Meirav Leshem Gonen, la cui figlia Romi Gonen è stata rapita dal festival musicale Nova , si legge nel comunicato.
Ditza Or, la madre di Avinatan Or, anche lui rapito dal festival musicale Nova, ha detto: “Se gli ostaggi non ritornano, abbiamo un problema esistenziale. Mi rivolgo a tutti i governanti di questo Paese: non li chiamo leader perché non ci guidano. Questo non è di destra o di sinistra”.

Casa Bianca: “Sosterremo pause umanitarie a Gaza”

US sends military officers to Israel to advise on operations ...

John Kirby

C’e’ un onere aggiuntivo per Israele: assicurarsi che stiano facendo tutto il possibile per ridurre al minimo le vittime civili, e siamo in costante comunicazione con loro al riguardo”.

La Casa Bianca sosterrà ”pause umanitarie” nella guerra tra Israele e Hamas per Gaza. Secondo il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, si tratta di ”pause sul campo di battaglia localizzate, temporanee e specifiche in modo che l’assistenza umanitaria arrivi alla popolazione che ne ha bisogno o che le persone possano lasciare la zona in relativa sicurezza”.Kirby sottolinea che ”pensiamo che sia un’idea da esplorare” e che le pause potrebbero durare ”ore” o ”giorni”. Kirby ha spiegato che non si riferisce al ”cessate il fuoco” chiesto dal Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres e da diversi governi.

Usa inviano altri 900 soldati in Medioriente

Il gruppo da battaglia della portaerei Eisenhower

@ US Navy. Il gruppo d’attacco della portaerei nucleare USS Eisenhower (CVA69) è in Mar Rosso dal 10 ottobre.

Il Pentagono afferma che altri 900 soldati americani saranno inviati in Medioriente come parte “degli “sforzi per scoraggiare un conflitto più ampio e rafforzare ulteriormente le capacità di protezione delle nostre forze”, ha spiegato il portavoce il generale di brigata Patrick Ryder. Non è stato specificato dove le truppe saranno dislocate ma non in Israele.

La USS Carney intercetta missili dallo Yemen: «Puntavano verso Israele»

Il cacciatorpediniere lanciamissili USS Carney (DDG 64), in navigazione nel Mar Rosso settentrionale ha intercettato 3 missili e alcuni droni diretti verso Israele e provenienti dallo Yemen. Jet militari americani bombardano gli iraniani in Siria

Mentre parla di ”pause umanitarie’’, la Casa bianca ordina un raid in Siria sui gruppi sostenuti dall’Iran. Sarebbe una risposta ai droni iraniani. È l’Iran l’obiettivo di Washington. Austin però, ha assicurato che gli Usa non cercano il conflitto. Né hanno «l’intenzione o il desiderio di partecipare ad ulteriori ostilità». Ma «se gli attacchi iraniani contro le forze statunitensi continueranno, non esiteremo a prendere le misure necessarie per proteggere il nostro popolo». Ha anche detto che gli attacchi non sono legati alla guerra tra Israele e Hamas. Mentre le bombe USA colpiscono in Siria, Austin ha chiesto a tutti i paesi di evitare di adottare misure che potrebbero contribuire alla diffusione della guerra in altre regioni.

Intanto truppe dell’esercito americano – sembra 15.000 – e dozzine di veicoli militari come i sistemi missilistici MIM-104 Patriot e THAAD sono stati rischierati in Medio Oriente. Ciò è stato confermato dalla dichiarazione di Lloyd J. Austin III, secondo cui gli Stati Uniti hanno inviato una serie di truppe aggiuntive in preparazione allo schieramento di ordini come parte di un’attenta pianificazione di emergenza, per aumentare la loro prontezza e capacità di rispondere rapidamente quando necessario. L’ipocrisia di Washington è costante quanto sarebbe superflua perché c’è un modo diverso e sincero di protestare le proprie ragioni e, come in Siria, questo modo sono le bombe.

Massiccia raffica di razzi sul centro di Israele, Tel Aviv compresa

Una massiccia raffica di razzi è stata lanciata da Hamas sul centro di Israele, compresa Tel Aviv. Lo riferisce il Times of Israel.
Le sirene dei raid aerei hanno suonato in tutto il centro di Israele, tra cui Tel Aviv, Bnei Brak, Petah Tikva, Lod, Rishon Lezion, Holon, Rehovot e molte altre città.Danni alla rete elettrica presso Tel Aviv.

Esercito Israele ribadisce: carburante non entrerà a Gaza

Il portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari, conferma che l’ingresso del carburante a Gaza non sarà consentito. Le sue affermazioni si riferiscono alle voci secondo cui il governo stava valutando l’ingresso del carburante nella Striscia  in cambio del rilascio di un’ampia quantità di prigionieri detenuti da Hamas. “Al momento le istruzioni sono che il carburante non entrerà – ha affermato – se ci saranno cambiamenti vi aggiorneremo. Hagari ha aggiunto che gran parte della capacità operativa di Hamas “si basa sul carburante”.

Israele all’Onu: guerra è con Hamas, non coi palestinesi

“Questa non è una guerra con i palestinesi, Israele è in guerra con l’organizzazione terroristica genocida e jihadista di Hamas”. É quanto ha affermato l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite Gilad Erdan intervenendo all’Assemblea generale dell’Onu. Lo riporta Haaretz. “Il massacro del 7 ottobre e ciò che ne è seguito non ha nulla a che fare con i palestinesi o con il conflitto arabo-israeliano o con la questione palestinese”, ha aggiunto.

Esercito Israele: “Nuove incursioni di terra a Gaza”. Almeno tre.

L’esercito israeliano sta continuando in incursioni di terra “locali” dentro la Striscia e proseguirà, aumentandole di intensità, anche nei prossimi giorni. Lo ha detto il portavoce militare Daniel Hagari. 

Sito britannico: piano israeliano prevede “gas nervino nei tunnel di Hamas”

Israele potrebbe “inondare i tunnel di Gaza con gas nervino e sostanze chimiche come parte di un attacco a sorpresa contro la Striscia”. Lo sostiene il sito britannico ‘Middle East Eye’ citando una ”fonte araba di alto profilo”, secondo cui il ritardo dell’invasione di terra israeliana di Gaza fa parte di una “campagna di disinformazione volta a ottenere l’elemento sorpresa in un attacco su più fronti”. L’articolo a firma del capo redattore David Hearst, ex giornalista del Guardian, ha attirato l’attenzione dei media arabi, compreso il canale satellitare Al Jazeera.
La fonte araba, secondo ‘Middle East Eye’, ha attribuito le sue informazioni a ”fughe di notizie provenienti dagli Usa”, la quale ha spiegato che il piano consiste, ”sotto la supervisione della Delta Force, nel pompaggio di grandi quantità di gas nervino nei tunnel di Hamas sufficiente per paralizzare i movimenti fisici per un periodo compreso tra le 6 e le 12 ore. Durante questo periodo, aggiunge la fonte, i tunnel verranno penetrati, gli ostaggi verranno liberati e migliaia di soldati delle Brigate Al-Qassam verranno uccisi”. Il sito web di ‘Middle East Eye’, considerato vicino all’autorità del Qatar, ha precisato, di non essere in grado di verificare in modo indipendente le informazioni contenute nella fuga di notizie, affermando di aver contattato la Casa Bianca e il dipartimento della Difesa per un commento, ma non ha ricevuto alcuna risposta al momento della pubblicazione.

Idf: uccisi 3 leader del battaglione di Hamas che partecipò all’assalto del 7 ottobre

Le Forze della difesa israeliane (Idf) hanno eliminato il comandante del battaglione Darj Tafah, Rafat Abbas, e il suo vice, Ibrahim Jadewa, che facevano parte della Brigata di Gaza City e avevano partecipato all’assalto del 7 ottobre contro Israele. Lo riporta l’emittente N12. Insieme a loro, nel raid aereo compiuto dalle Idf, è stato ucciso anche Tarek Maruf, che era comandante di supporto e si occupava dell’assistenza amministrativa al battaglione. Secondo l’Odf, il battaglione Darj Tafah, o Daraj-Tuffah come scrive il Times of Israel, fa parte della Brigata Gaza City di Hamas, che è “considerata la brigata più significativa dell’organizzazione terroristica di Hamas”.

Fonti spagnole: Ue deve lanciare messaggio chiaro su Gaza

Il capo del governo Pedro Sanchez ritiene che serva una voce chiara dell’Ue che aiuti il cammino verso una soluzione definitiva del conflitto, oltre che la consegna degli aiuti umanitari, ovvero la soluzione dei due Stati. Israele non può continuare a vivere così e la soluzione è dare alla Palestina una prospettiva: serve qualcosa di concreto e quindi mobilitare la comunità internazionale perché Israele e Palestina convivano in pace e sicurezza. Lo dice una fonte della delegazione spagnola a proposito della posizione di Madrid al Consiglio Europeo.

Washington Post: Qatar rivedrà rapporti con Hamas dopo crisi con ostaggi

Il Qatar rivedrà i suoi rapporti con Hamas dopo la crisi degli oltre 220 ostaggi seguita all’assalto sferrato contro Israele lo scorso 7 ottobre. Lo scrive il ‘Washington Post’ citando proprie fonti diplomatiche ben informate e a condizione di anonimato, secondo le quali il Qatar rivedrà i rapporti con Hamas dopo averne parlato con gli Stati Uniti. Durante un recente incontro a Doha tra il Segretario di Stato Usa Antony Blinken e l’emiro del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad al-Thani, si è infatti giunti a un accordo, di cui non si era a conoscenza, per la gestione dei rapporti con Hamas. Ancora incerto, spiegano le fonti citate dal Washington Post, se la revisione porterà all’espulsione dei leader di Hamas dal Qatar, dove per molto tempo hanno gestito il loro ufficio politico a Doha.
L’accordo è un tentativo di bilanciare l’obiettivo a breve termine dell’Amministrazione Biden di salvare il maggior numero possibile di ostaggi con l’obiettivo a lungo termine di cercare di isolare Hamas dopo la furia del 7 ottobre in Israele, si legge. Il Qatar è stato determinante nell’aiutare gli Stati Uniti e Israele a garantire il rilascio degli ostaggi e a comunicare con Hamas su altre questioni urgenti, compreso il flusso di aiuti umanitari a Gaza e il passaggio sicuro di palestinesi-americani fuori dall’enclave palestinese. Ma la decisione del Qatar di fornire un rifugio ai leader politici di Hamas e di ospitare un loro ufficio a Doha, presa più di un decennio fa, è stata esaminata dai repubblicani al Congresso e da altri sostenitori della linea dura filo-israeliana.

Herzog incontra famiglie beduini presi in ostaggio da Hamas

Il presidente israeliano Isaac Herzog ha incontrato oggi le famiglie di alcuni beduini presi in ostaggio da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre. “Siamo qui per condividere il dolore della popolazione arabo israeliana, in particolare dei beduini”, ha detto Herzog durante l’incontro nella città meridionale di Rehat, “questa non è una guerra fra ebrei e musulmani, ma fra persone che cercano di portare la luce e altre che vogliono l’oscurità”. “E’ per me importante dire alla società araba in Israele quanto ho apprezzato la responsabilità dimostrata da questa comunità in questi giorni difficili. Questa non è una lotta politica. Si tratta della nostra capacità di vivere in un Medio Oriente di pace, contrapposto ad un Medio Oriente di guerra e spargimenti di sangue”, ha aggiunto, secondo quanto riferisce Times of Israel.

Meloni a Bruxelles: “Serve l’impegno di tutti per una de-escalation. Hamas non è la Palestina”

26 Ott 2023

“Credo che uno degli strumenti più efficaci per sconfiggere Hamas sia dare una concretezza e una tempistica alla soluzione della questione palestinese. Dare maggiore peso all’Autorità nazionale palestinese. Questo è un ruolo che l’Unione europea può giocare e sicuramente una delle grandi chiavi di volta nel medio periodo. Nell’immediato c’è il tema umanitario, il tema degli ostaggi, dei civili che devono uscire da Gaza”. 

5992.- La vittoria di Hamas

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Una nota di Mario Donnini.

Netanyahu, Biden e i suoi fan politici europei, obtorto collo servili, sono la nostra rovina. Senza troppo indugiare sulla dietrologia e esasperare le accuse rivolte a chi ha lasciato covare o ha alimentato la radicalizzazione dei palestinesi, per poterla usare, dovremmo misurare tutti quei politici che, proni al presidente americano, non hanno saputo distinguere fra il lutto di Israele, il suo diritto alla vendetta e la sicurezza dei propri cittadini. Coerenti con l’ipocrisia, diciamo: “Pace ai morti”, a tutti quei morti. Il trionfo della falsità caratterizza questa epoca, ma nessuno che ancora possegga senso critico ha creduto alla “sorpresa” realizzata da Hamas sui servizi israeliani: Shabàk, o Shin Bet (l’agenzia di intelligence per gli affari interni dello stato di Israele), Aman (intelligence militare) e al Mossad ( gestione della raccolta di intelligence all’estero); nemmeno dopo la patriottica autodenuncia del loro coordinatore. Senza contare l’allerta lanciato dall’Egitto una settimana prima.

Uno sguardo alle posizioni assunte dai governi nel quadro internazionale dimostra che il passaggio di testimone fra la guerra perduta dalla NATO in Ucraina (ma non dalle lobbies delle armi) e questa guerra in Medio Oriente vede la contrarietà e l’invito al dialogo in un consesso internazionale da parte della Cina, interessata alla stabilità della regione. Pechino denuncia la punizione collettiva dei palestinesi, ma questi non neghino di aver saputo delle migliaia di razzi apprestati da Hamas. Ankara si barcamena. Sopratutto, vediamo la pressione degli Stati Uniti sull’Iran, finanziatore di Hamas, schierato con la Russia in Ucraina, che, però, si chiama fuori da questo progrom. Molti quesiti attendono una risposta e non siamo in grado di certificare alcunché. Il principale, cui abbiamo accennato, è la sorpresa di Israele mentre tanti sapevano: l’Egitto, l’Iran, la Russia, la Siria e, chi dice, gli Stati Uniti e lo stesso Israele. Sarebbe comprensibile la volontà di farla finita una volta per tutte e prima che sia troppo tardi, costi quel che costi.

Per quanto ci interessa più da vicino, notiamo lo schieramento compatto dei paesi arabi africani, del Magreb e del Sahel, a fianco dei palestinesi. E non può essere diversamente.  Meloni: contraddizione o sudditanza? Da parte italiana, passato lo sgomento, l’enfasi e la posizione netta a favore di Israele, per conseguenza non con gli arabi, sembrano contraddire la politica estera del governo Meloni incentrata sul Nuovo Piano Mattei. Fra la gente, la paura del riacuirsi del terrorismo accompagna la certezza che siamo di fronte ad un’altra stagione di paura, a un altro freno per l’economia italiana, dopo la pandemia e la guerra alla Federazione Russa. Che Natale ci attende? Per certo, la via per la risoluzione di questo lungo conflitto non passa attraverso le vendette, ma attraverso il dialogo. Ci auguriamo la soddisfazione del diritto ad esistere di entrambi i popoli israeliano e palestinese. Guardiamo avanti.

© ANSA/EPA

© ANSA/EPA

Dal blog di Sabino Paciolla del 17 Ottobre 2023, che scrive: Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Ron Paul e pubblicato su Ron Paul Institute. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione. 

Attacco di Hamas A Israele -Foto-ANSA
Attacco di Hamas A Israele -Foto-ANSA

Coloro che hanno definito l’attacco di Hamas a Israele “l’11 settembre di Israele” sono stati più precisi di quanto non abbiano capito. Proprio come gli Stati Uniti hanno reagito all’11 settembre, realizzando il desiderio di Osama bin Laden di impantanarsi in guerre senza vincitori, la reazione di Israele all’attacco di Hamas realizza il probabile obiettivo di Hamas di radicalizzare un maggior numero di palestinesi. Il risultato dell’attacco di Hamas sarà quello di rafforzare gli elementi più estremi di entrambe le parti in conflitto.

Dato il forte sostegno a Israele da parte di entrambi i principali partiti politici, non sorprende che, dopo gli attacchi, molti politici si siano precipitati ai microfoni per proclamare il loro sostegno all’assistenza statunitense a Israele. Il Presidente Biden ha annunciato che gli Stati Uniti invieranno aiuti militari a Israele, mentre il Congresso sta elaborando una legge che prevede circa due miliardi di dollari di assistenza militare “di emergenza” a Israele. Anche la maggior parte del crescente numero di rappresentanti che si oppone agli aiuti militari all’Ucraina è favorevole a spendere “qualsiasi cosa sia necessaria” per difendere Israele. Ecco perché l’amministrazione Biden e alcuni membri del Congresso vogliono combinare gli aiuti a Israele e all’Ucraina in un unico pacchetto legislativo.

Spendere altri miliardi per sostenere le azioni militari in Medio Oriente e in Ucraina andrà a vantaggio del complesso militare-industriale. Tuttavia, danneggerà la maggior parte degli americani accelerando la crescita del debito pubblico di oltre 33.000 miliardi di dollari. Con l’aumento del debito, la Federal Reserve abbasserà i tassi di interesse e monetizzerà il debito. Questo porterà a un aumento dell’inflazione dei prezzi, combinato con la stagnazione economica e l’alta disoccupazione – in altre parole, la stagflazione.

Le preoccupazioni per il debito pubblico e per la sua monetizzazione da parte della Federal Reserve con denaro facile e bassi tassi di interesse porteranno a nuove sfide per lo status di valuta di riserva mondiale del dollaro. Anche l’aumento del risentimento per la politica estera iperinterventista degli Stati Uniti porterà a cambiamenti nello status di valuta di riserva del dollaro. L’Arabia Saudita potrebbe addirittura smettere di usare i dollari per il suo commercio internazionale di petrolio. La fine del petrodollaro sarebbe l’ultimo chiodo nella bara dello status di valuta di riserva mondiale del dollaro.

La fine dello status di valuta di riserva mondiale del dollaro significherebbe che il governo statunitense non potrebbe più gestire un impero all’estero e uno stato sociale autoritario in patria. La questione non è se l’impero americano finirà, ma quando e come. Dovrebbe finire deliberatamente, con il Congresso che inizia il processo di ripristino di un governo costituzionale limitato, ponendo fine a tutti gli aiuti esteri e riportando a casa le nostre truppe.

Quando Israele è stato criticato per aver bombardato un impianto nucleare iracheno che temeva potesse essere usato per produrre armi, ho difeso il diritto di Israele, in quanto Stato sovrano, di agire in quello che considerava il suo interesse di sicurezza nazionale. Sono ancora di questo parere. Credo che Israele trarrebbe beneficio se gli Stati Uniti ponessero fine a tutti gli aiuti esteri, poiché gran parte di essi va ai nemici di Israele. Gli aiuti esteri danno anche agli Stati Uniti una scusa per impegnarsi in altre forme di ingerenza. La fine della politica estera interventista degli Stati Uniti permetterebbe a israeliani e palestinesi di trovare una via per una pace giusta e duratura.

Ron Paul

Ron Paul è un politico statunitense di lunga data. Per quasi due decenni, Ron Paul è stato il rappresentante degli Stati Uniti per il 14° distretto congressuale del Texas. Ha attraversato le enormi tempeste dell’11 settembre e della guerra in Afghanistan, il PATRIOT Act, la guerra in Iraq, la “primavera araba”, le rivelazioni di Snowden e molto altro ancora. Ha lottato con tutto il suo potere per bloccare le violazioni delle nostre libertà civili da parte del governo americano e per impedire che il governo statunitense violasse la vita di altri all’estero.

5989.- La vendetta di Israele può scatenare una nuova crisi in Siria: tutti i rischi per il Medio Oriente

Da Insideover, di Chiara Marcassa , 16 ottobre 2023

Il conflitto israelo-palestinese sta assumendo dimensioni temibili per la geopolitica regionale, che proprio quest’anno – tra la normalizzazione dei rapporti tra sauditi e iraniani, il ritorno della Siria nella Lega Araba e il possibile allargamento degli Accordi di Abramo – aveva dato una parvenza di stabilizzazione. Ora però l’attacco di Hamas ha infiammato una guerra che potrebbe far vacillare ognuno di questi progressi. Tra le vittime potrebbe esserci l’idea di Siria di Bashar al-Assad

La Siria ribolle

Il conflitto che affligge il Paese dal lontano 2011 si è riattivato già prima dell’assalto di Hamas in Israele. Il fronte settentrionale si è mostrato particolarmente caldo: l’eterno scontro tra i curdi siriani e il governo di Ankara si è ripresentato all’inizio del mese, quando un attentato kamikaze ha colpito il ministero dell’Interno turco ferendo membri del personale. L’aggressione è presto stata rivendicata dal PKK, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, riconosciuto come organizzazione terroristica non solo dalla Turchia ma anche da Unione Europea e Stati Uniti. L’intelligence turca ha ritenuto che gli attentatori fossero penetrati dalla Siria e le forze aeree turche hanno bombardato le posizioni dei curdi siriani nel nord-est del Paese, ma lì hanno commesso un errore grossolano.

La politica bellicosa della Turchia è un problema per la NATO. Il portavoce del Pentagono, il generale di brigata Pat Ryder, ha dichiarato che giovedì mattina 5 ottobre, nella regione di Hasaka, a Nord-Est della Siria, un caccia F-35A del 421° Fighter Squadron dell’USAF ha abbattuto un drone turco Anka-S armato con un missile aria-aria AIM-120 AMRAAM. I drone stavano bombardando miliziani curdi vicino ad una delle tre basi militari illegali che gli Stati Uniti hanno in Siria per proteggere il colossale furto americano del 80% del greggio siriano. Il drone abbattuto stava bombardando le Unità di protezione del popolo (YPG) curde, spina dorsale della coalizione guidata dagli Stati Uniti contro lo Stato islamico, cosiddetto Daesh. Giunto il drone a mezzo chilometro dagli americani, è divenuto una minaccia. Inutilmente, l’esercito americano ha tentato di contattare i turchi “una dozzina di volte” prima di ordinare l’abbattimento del drone.

È la prima volta che Washington abbatte un aereo di un alleato NATO. La Turchia ha tentato di disconoscere i drone attaccanti, ma, alla sera, la stessa squadriglia turca di 15 drone ha distrutto 30 obiettivi militari curdi nel nord della Siria, tra cui un pozzo petrolifero, un deposito e alcuni rifugi, “neutralizzando” molti militanti. Nel 2019, truppe statunitensi sono state colpite dall’artiglieria turca nel Nord della Siria. La Turchia ha invitato le forze di Paesi terzi a stare lontane dai luoghi controllati dal PKK e dall’YPG. Ndr.

Da Redazione del FarodiRoma del 7 ottobre 2023.

“Il Generale Brigadiere Patrick Ryder lo ha definito un “incidente deplorevole” e ha affermato che le truppe statunitensi sono state in un primo momento costrette a rifugiarsi nei bunker per sicurezza mentre la Turchia bombardava obiettivi nelle vicinanze e successivamente a far decollare un F-35 per abbattere il drone e sospendere l’attacco aereo. 
Il Ministero della Difesa turco ha cercato di offrire una versione alternativa e mitigata, confermando l’abbattimento del drone da parte del F-35 americano ma affermando che il drone non apparteneva alle forze armate turche, senza però menzionare a chi appartenesse. Gli osservatori militari regionali pensano che questa confusa dichiarazione sia motiva dalla gravità dell’incidente in quanto Stati Uniti e la Turchia sono i principali eserciti membri della North Atlantic Treaty Organization: NATO. 
La notizia dello scontro tra le due aeronautiche militari è stata diffusa dai principali media turchi, arabi, asiatici, greci e bulgari. Secondo fonti turche il drone abbattuto faceva parte di una squadriglia di UCAV (velivoli da combattimento senza pilota) che stavano conducendo raid aerei contro le milizie curde del Partiya Karkerên Kurdistan/ Partiya Yekîtiya Demokra (PKK/YPG) sostenute dagli Stati Uniti. 
Nel raid aereo di ieri i i droni turchi hanno colpito un accampagmento militare curdo nella regione di Kuwadieh distruggendolo e uccidendo almeno 9 miliziani. Nella località di Ain al-Arab i droni turchi hanno distrutto un’officina di riparazione mezzi militari delle milizie curde. Nella località di Misherge i raid turchi hanno colpito una base militare del PKK/YPG che è ubicata nelle strette vicinanze della base militare americana. Un veicolo che trasportava miliziani curdi è stato attaccato e distrutto a 700 metri dalla base americana dove era diretto per cercare rifugio. Secondo queste fonti la US Air Force avrebbero attaccato il drone a Misherge. Come risposta altri droni turchi avrebbero attaccato le stazioni petrolifere americane che stanno illegalmente estraendo il petrolio siriano per rubarlo e portarlo nel vicino Iraq dove viene ripulito ed immesso nel mercato internazionale spacciandolo come “greggio iracheno”.”

Intorno alla città di Hasaka è di stanza un contingente di circa mille soldati americani che al fianco delle Forze democratiche siriane combattono le rimanenze dell’Isis. Il 5 ottobre, le forze turche hanno attaccato le basi che ospitano circa 2500 soldati americani che collaborano con le forze governative e con i Peshmerga per contrastare un rilancio dell’Isis – e, come in Siria, per limitare l’ingerenza iraniana.

Il rafforzamento dell’opposizione 

L’incidente del drone e più in generale il tentativo turco di colpire forze alleate Usa ha messo in contrapposizione Ankara e Washington destabilizzando il fragile equilibrio siriano, in cui il presidente Bashar al-Assad detiene il potere a Damasco ma dipende fortemente dal sostegno iraniano e russo – e quest’ultimo rischia di venir meno. In questo momento, Mosca necessita delle proprie forze armate (in particolare di quelle aeree) sul fronte ucraino, e per questo motivo ha cominciato a smobilitare i contingenti che manteneva in Siria. Il progressivo ricollocamento delle forze russe ha indebolito il regime di Assad e ha incoraggiato la sua opposizione, sia interna che esterna, a perseguire i propri interessi in Siria più liberamente. 

Con tutta probabilità è stato questo il caso per un altro incidente che ha avuto luogo sempre il 5 ottobre: a Homs, a nord di Damasco e nel pieno del territorio controllato dalle forze governative, un drone armato ha colpito la cerimonia di diploma di un’accademia militare, causando oltre 100 vittime tra cadetti e familiari. All’evento era presente anche il ministro della Difesa siriano, che però al momento del bombardamento aveva da poco lasciato l’accademia. L’attacco non è stato rivendicato, e il governo lo ha attribuito all’opposizione islamista e secolare che ha la sua roccaforte a Idlib: l’enclave ribelle è stata bombardata il 7 ottobre. 

La mano libera di Israele

Chi, di fronte alla contrazione dell’opposizione russa, si sente molto più libero di perseguire i propri obiettivi sul territorio siriano è senza dubbio Israele, determinato a far saltare tutti i ponti che potrebbero aver contribuito ad armare i miliziani di Hamas. Dopo l’offensiva lanciata dai gruppi armati palestinesi, le forze armate israeliane intensificheranno la propria azione contro i gruppi iraniani e filo-iraniani presenti in Siria, accusati di aver sfruttato le vie terrestri del Paese per equipaggiare Hezbollah in Libano e i combattenti palestinesi. Per cominciare, il 12 ottobre dei missili israeliani si sono abbattuti contemporaneamente sui due principali aeroporti internazionali della Siria, Damasco e Aleppo, mettendoli fuori uso. Quegli stessi aeroporti dovevano vedere in questi giorni l’arrivo del ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian, che in un primo momento ha cancellato la tappa siriana del suo tour regionale per mobilitare il sostegno per Hamas. Alla fine, Amir-Abdollahian ha scelto comunque di far visita ad Assad il giorno dopo i bombardamenti per discutere dell’escalation israeliana.

Assad smentito 

L’attivismo dei miliziani curdi, l’incidente di Homs e l’attacco israeliano contro gli aeroporti confutano la narrativa vittoriosa con cui il presidente Assad e i suoi alleati esterni affermano di essere riusciti a sconfiggere gli oppositori e a riappacificare il Paese, che invece è in guerra su molteplici fronti, compreso quello domestico dato che per mesi le proteste contro il regime sono cresciute nel sud del Paese. Questa serie di episodi delegittima anche quanto dichiarato da Assad sul ritorno nella Lega Araba: a suo dire, la normalizzazione delle relazioni con molti Paesi arabi avrebbe inaugurato una stagione di sostanziale ricostruzionedella Siria della sua economia. In realtà, il suo governo appare indebolito e la veemenza con cui Israele sembra voler vendicare l’attacco subito fa ipotizzare il rilancio di una fase ad alta intensità del conflitto siriano. Al contrario di quanto afferma, Assad potrebbe non essere mai stato così lontano dalla pacificazione del Paese.  

5770.- La Russia ha “molestato” i droni americani in Siria per 3 giorni consecutivi: il Pentagono

Insomma, per l’USAF, paese che vai, amico o nemico che trovi. Chissà mai che …

A drone flies by at Creech Air Force Base in Indian Springs, Nev., on Aug. 8, 2007. (Ethan Miller/Getty Images)

Un drone vola sulla base dell’aeronautica militare di Creech a Indian Springs, Nevada, l’8 agosto 2007. (Ethan Miller/Getty Images)

Jack Phillips

Da The Epoch Times, di Jack Phillips, 9 luglio 2023. Traduzione libera di Mario Donnini.

I droni da combattimento statunitensi sono stati attaccati tre volte in tre giorni da aerei russi in Siria. Lo hanno confermato i funzionari del Pentagono.

Il Comando centrale degli Stati Uniti, o CENTCOM, ha dichiarato domenica di aver effettuato un attacco con droni venerdì 7 luglio, che ha ucciso un leader terrorista dell’ISIS in Siria e che ha utilizzato droni MQ-9 Reaper nell’attacco. Non sono stati forniti altri dettagli, a parte il fatto che quei droni “all’inizio della giornata sono stati ostacolati da aerei russi in un intercettazione durata quasi due ore”, secondo una dichiarazione del CENTCOM.

“NOI. Il comando centrale ha condotto un attacco in Siria che ha provocato la morte di Usamah al-Muhajir, un leader dell’ISIS nella Siria orientale”. Lo ha affermato senza fornire ulteriori dettagli su al-Muhajir.

I funzionari hanno affermato che giovedì e mercoledì, secondo i rapporti, anche gli aerei russi avrebbero molestato i droni MQ-9 in incidenti separati (Nella normativa ICAO, “incidente” è qualsiasi violazione delle regole del volo. ndt).

I militari hanno affermato che, giovedì, i piloti russi si sono impegnati in quello che i funzionari hanno descritto come “comportamento non sicuro e non professionale”, lanciando razzi paracadute davanti ai droni. Il giorno prima, mercoledì, anche tre droni Reaper statunitensi sarebbero stati intercettati e molestati da aerei da combattimento russi, mentre quei droni erano in missione contro l’ISIS, ha detto l’Air Force.

Un drone MQ-9 Reaper si prepara ad atterrare dopo una missione a sostegno dell’Operazione Enduring Freedom in Afghanistan. Il Reaper (Mietitore) ha la capacità di trasportare sia bombe a guida di precisione che missili aria-terra. È un avversario pericoloso. (U.S. Air Force foto/Staff Sgt. Brian Ferguson)

Senza un ufficio di coordinamento sulle missioni contro l’ISIS, questi eventi si ripeteranno. ndt

I militari hanno anche declassificato video che mostrano i jet russi che lanciano razzi davanti ai droni MQ-9. Anche uno dei jet russi è stato visto usare i suoi postbruciatori.

L’US Air Forces Central ha dichiarato che, complessivamente, “gli aerei russi hanno effettuato 18 passaggi ravvicinati, rischiosi, che hanno indotto gli MQ-9 a reagire per evitare situazioni pericolose”, aggiungendo: “Continuiamo a incoraggiare la Russia a tornare alle regole del volo in vigore di un’aeronautica professionale, così possiamo tutti riportare la nostra attenzione a garantire la sconfitta duratura dell’ISIS “. La Russia non ha rilasciato un commento pubblico sulle ultime affermazioni del Pentagono.

Ma il contrammiraglio Oleg Gurinov, capo del Centro di riconciliazione russo per la Siria, ha dichiarato la scorsa settimana che le forze armate russa e siriana hanno iniziato un addestramento congiunto di sei giorni che si concluderà lunedì.

Gurinov ha aggiunto nei commenti riportati dai media statali siriani che Mosca era preoccupata per i voli di droni della coalizione guidata dagli Stati Uniti nel nord della Siria, definendoli “violazioni sistematiche dei protocolli” progettati proprio per evitare scontri tra i militari dei due paesi, secondo l’Associated Press .

Washington, nell’ultimo anno, ha intensificato i raid e le operazioni contro sospetti agenti dell’ISIS in Siria, uccidendo e arrestando vari leader che si erano rifugiati in aree sotto il controllo dei ribelli sostenuti dalla Turchia, dopo che il gruppo aveva perso il controllo del suo ultimo territorio in Siria nel 2019.

La campagna guidata dagli Stati Uniti che ha ucciso l’ex capo dell’ISIS Abu Bakr al-Baghdadi, che si era dichiarato il “califfo di tutti i musulmani”, da allora, ha preso di mira i suoi leader sopravvissuti, a molti dei quali, si pensa, debba attribuirsi la pianificazione degli attacchi all’estero.

United States Russia Syria
Gli aerei militari russi SU-34 e SU-35 rilascianouna seriue di razzi sulla traiettoria di volo di un drone MQ-9 Reaper dell’aeronautica americana, che vedete in basso a sinistra, il 6 luglio 2023, sopra la Siria. (US Air Force tramite AP)

I comandanti militari statunitensi affermano che l’ISIS rimane una minaccia significativa all’interno della regione, malgrado le sue capacità siano state degradate e la sua capacità di ristabilire la sua rete si sia indebolita.

L’ISIS, a volte chiamato Stato islamico o ISIL, una volta controllava un terzo dell’Iraq e della Siria quando raggiunse il suo apice nel 2014. Sebbene sia stato respinto in entrambi i paesi, i suoi combattenti continuano a condurre operazioni terroristiche.

“Abbiamo chiarito che rimaniamo impegnati nella sconfitta dell’ISIS in tutta la regione”, ha dichiarato domenica il generale Michael “Erik” Kurilla, comandante del CENTCOM. “L’ISIS è una minaccia, non solo per la regione, ma ben oltre”.

La dichiarazione dell’autorità militare afferma inoltre che nulla indica che non ci sia stato alcun civile ucciso nell’attacco dei droni. Tuttavia, i funzionari stanno ancora valutando i rapporti che giungono sulle vittime civili.

“Ciò interromperà e, comunque, degraderà la capacità dell’ISIS di pianificare e condurre attacchi terroristici”, ha continuato la dichiarazione di domenica. “Tuttavia, le operazioni del CENTCOM contro l’ISIS, insieme a quelle delle forze partner in Iraq e Siria, continueranno per ottenere la sconfitta definitiva del gruppo”.

Altri incidenti

Gli incontri ravvicinati tra Stati Uniti e aerei russi verificatisi in diversi giorni disegnano il terzo confronto di questo tipo quest’anno. A marzo, il Pentagono ha rilasciato una clip del jet russo che si scontra con un altro drone MQ-9 nello spazio aereo internazionale, portando il drone a schiantarsi nel Mar Nero.

L’incidente ha suscitato una risposta da parte del Segretario alla Difesa degli Stati Uniti Lloyd Austin, che ha sorvolato sul tipo di attività che il drone stava svolgendo e ha affermato che “gli Stati Uniti continueranno a volare e ad operare ovunque il diritto internazionale lo consenta, e spetta alla Russia utilizzare i suoi aerei militari in modo sicuro e professionale”.

Reuters e The Associated Press hanno contribuito a questo rapporto.

5620.- Cosa porta Il ritorno della Siria alla Lega Araba, spiegato bene

Parliamo di Lega Araba, Siria, quindi, vengono in campo l’Islam ortodosso, l’Iran, il Libano – da sempre considerato dall’Iran come il prolungamento naturale della Siria di Assad, con gli Hezbollah in Siria, in Libano e con l’Iran dietro gli Hezbollah. L’Islam ortodosso ha grande memoria e, perciò, è lecito pensare che il ritorno della Siria alla Lega Araba sia legato al riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran, mediato dalla Cina. Circa dieci anni fa, dopo l’assassinio del presidente libanese Hariri, forse ad opera di Hezbollah, la leadership sunnita del Golfo, il principe saudita Abdullah, decretò la Fatwa per Assad padre. Oggi, Arabia Saudita e Qatar dialogano con il leader sciita Iran e, attraverso la Lega Araba, nuovamente con la Siria. Alle spalle di questo mondo arabo c’è la Cina, con la sua Via della Seta, il Libano, i Palestinesi, c’è il Mediterraneo e, perché no? il nostro Piano Mattei. C’è, poi sempre, la grande eminenza grigia degli USA e c’è la Russia. Restiamo in grande attesa.

 Da Maurizio Blondet  11 Maggio 2023. Dell’ambasciatore MK Bhadrakumar

Il Cairo, 7 maggio 2023, riunione di Emergenza dei ministri degli Esteri della Lega Araba per la riammissione della Siria

Quando da un giorno all’altro una semplice sottotrama assume un’abitazione e un nome, diventa più affascinante della stessa trama principale. Il ritorno della Siria alla Lega Araba dopo la sua decennale esclusione può essere considerato un sottotrama del riavvicinamento mediato dalla Cina tra Arabia Saudita e Iran. D’altra parte, la Cina e l’Iran non sono di per sé parte del processo.

Il ritorno della Siria alla Lega Araba è visto come un’iniziativa araba, ma è essenzialmente un progetto guidato da Riyadh in stretta consultazione e coordinamento con Damasco, ignorando qualche mormorio da parte di un gruppo di Stati arabi e palesemente sfidando la tagliente opposizione di Washington.

Sullo sfondo della lotta epocale per un nuovo ordine mondiale caratterizzato dal multipolarismo e dalla resistenza all’egemonia occidentale, la Russia e la Cina hanno silenziosamente incoraggiato Riyad a muoversi in tale direzione.

Una cosa avvincente della decisione presa dai ministri degli Esteri delle sette nazioni della Lega Araba all’incontro di domenica al Cairo è il suo buon tempismo. Perché questo è l’80° anniversario della costituzione del partito Ba’ath a Damasco nel 1943, che sposava un’ideologia di interessi nazionalisti arabi e antimperialisti che sono recentemente riapparsi nella geopolitica dell’Asia occidentale.

La Siria ha una tradizione di autonomia strategica. Negli ultimi dieci anni, si è preoccupato di combattere il progetto di cambio di regime sponsorizzato dagli Stati Uniti, con l’aiuto di Russia e Iran. Mentre gira l’angolo e si sta stabilizzando, l’autonomia strategica della Siria sarà sempre più evidente. Questa è una cosa.

Tuttavia, le relazioni strategiche con la Russia e l’Iran continueranno a rimanere speciali e su questo punto non dovrebbero esserci malintesi. Ma la Siria è capace di ingegnosità e acume diplomatico per crearsi uno spazio di manovra, poiché la geopolitica passa in secondo piano e Assad dà la priorità alla stabilizzazione e alla ricostruzione dell’economia, che richiede la cooperazione regionale.

La recente visita del presidente iraniano Ebrahim Raisi in Siria testimonia la “diplomazia morbida” di Teheran, trasudando pragmatismo che da un lato ha fatto capire che nonostante il recente riavvicinamento tra Damasco e i paesi arabi, i legami siriano-iraniani sono ancora forti e hanno anche evidenziato la ruolo nella resistenza a Israele – con Raisi che ha tenuto un incontro a Damasco con alti funzionari palestinesi, compresi i leader di Hamas e della Jihad islamica – mentre, d’altra parte, i negoziati con la leadership siriana riguardavano in gran parte la cooperazione economica.

Raisi ha affermato che l’Iran è pronto a prendere parte attiva alla ricostruzione postbellica della Siria. L’Iran deve affrontare la concorrenza dei paesi del Golfo che hanno tasche profonde. Nel frattempo, all’ordine del giorno c’è anche il riscaldamento delle relazioni tra Siria e Turchia, che sicuramente porterà a un aumento degli scambi e stimolerà il flusso di investimenti.

Per mettere le cose in prospettiva, le esportazioni iraniane verso la Siria attualmente ammontano a una misera somma di 243 milioni di dollari. Tuttavia, dall’inizio del conflitto in Siria, l’Iran è stato uno sponsor chiave delle autorità siriane. Nel gennaio 2013 Teheran ha aperto la prima linea di credito di 1 miliardo di dollari per Damasco, soggetta a sanzioni internazionali, grazie alla quale il governo ha potuto pagare il cibo importato. Questo è stato seguito da un prestito di $ 3,6 miliardi per l’acquisto di prodotti petroliferi. Il terzo prestito di 1 miliardo di dollari è stato prorogato nel 2015. Teheran ha anche stanziato fondi a Damasco per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, il che ha contribuito a preservare le istituzioni statali. Nel 2012 è entrato in vigore un accordo di libero scambio tra i paesi. L’Iran sta anche spendendo miliardi per finanziare le milizie sciite in Siria e fornire loro armi. Naturalmente,

La Siria sta valutando, giustamente, che la normalizzazione con i vicini arabi e la Turchia sarà un punto di svolta. Ma, mentre tutti parlano della “riammissione nella famiglia araba” della Siria come di una concessione, Damasco ha reagito alla decisione della Lega Araba in modo misurato.

La dichiarazione del ministero degli Esteri siriano ha affermato domenica: “La Siria ha seguito le tendenze e le interazioni positive che si stanno attualmente verificando nella regione araba e ritiene che queste avvantaggino tutti i paesi arabi e favoriscano la stabilità, la sicurezza e il benessere dei loro popoli .

“La Siria ha accolto con interesse la decisione emessa dalla riunione del Consiglio della Lega degli Stati arabi”. La dichiarazione ha proseguito sottolineando l’importanza del dialogo e dell’azione congiunta per affrontare le sfide che devono affrontare i paesi arabi. Ha ricordato che la Siria è un membro fondatore della Lega araba e ha sempre avuto una posizione forte a favore del rafforzamento dell’azione araba congiunta.

Cosa più importante, la dichiarazione concludeva riaffermando che la fase successiva richiede “un approccio arabo efficace e costruttivo a livello bilaterale e collettivo sulla base del dialogo, del rispetto reciproco e degli interessi comuni della nazione araba”.

A quanto pare, la stessa dichiarazione della Lega Araba era una “dichiarazione di consenso” redatta con grande sensibilità dall’Arabia Saudita.

In un’intervista con Al-Mayadeen, Raisi ha detto prima della sua partenza per Damasco che “la Siria è sempre stata sull’asse della resistenza… Sosteniamo inequivocabilmente tutti i fronti dell’asse della resistenza, e la mia visita in Siria rientra nel quadro di questa sostegno, e stiamo lavorando per rafforzare il fronte della resistenza, e non esiteremo in questo”. In effetti, l’arrivo di Raisi in Siria ha coinciso con l’aumento degli attacchi israeliani da parte di Israele contro le strutture militari iraniane, compreso l’aeroporto di Aleppo.

Senza dubbio, l’Iran rimane il principale alleato della Siria e l’influenza iraniana a Damasco è ancora forte. L’Iran vede la Siria come il suo territorio strategico attraverso il quale Teheran può stabilire legami con il Libano e affrontare Israele.

Ciò che funziona a vantaggio della Siria qui è che la distensione saudita-iraniana si basa su una visione comune a Riyadh e Teheran secondo cui devono coesistere in una forma o nell’altra, dal momento che la loro inimicizia e rivalità regionale si è rivelata un “perdere-perdere”. proposta che non ha migliorato la loro posizione regionale. Basti dire che il loro interesse nazionale derivante dal loro riavvicinamento prevale sulle passate rivalità. La Siria sarà un banco di prova in cui le vere intenzioni e la condotta degli altri saranno oggetto di un attento esame.

La parte buona è che i sauditi hanno concluso che il presidente Assad è saldamente in sella, avendo resistito alla guerra più devastante dalla seconda guerra mondiale, e ricucire le relazioni con Damasco può essere una “vittoria” per Riyadh.

Detto questo, la Siria è un cardine strategico in cui Riyadh dovrà bilanciare i suoi legami strategici con gli Stati Uniti e i suoi taciti legami con Israele. Ma poi, il nuovo calcolo strategico dell’Arabia Saudita include anche Cina e Russia. Quando si tratta della Siria, la Russia è un punto fermo per Assad, mentre la Cina è sempre stata dalla parte giusta della storia.

L’amministrazione Biden è spinta alla frenesia dai venti di cambiamento che spazzano la regione: la morte definitiva dell’agenda neocon della primavera araba in Siria; l’ondata di nazionalismo arabo e la crescente resistenza all’egemonia occidentale che creano nuove esigenze di panarabismo; il fascino nascosto del multipolarismo; l’ascesa della Cina; la crisi esistenziale in Israele; la dialettica della tradizione e della modernità negli stati regionali tra le aspirazioni delle società giovanili e così via. Paradossalmente, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e Assad oggi avrebbero interessi comuni su molti di questi fronti.

Biden, che è come una balena spiaggiata nel panorama politico dell’Asia occidentale, ha incaricato il suo consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan di precipitarsi in Arabia Saudita , tenendo le mani delle sue controparti indiane ed emiratine per compagnia per salvare la faccia e salvare il naufragio della regione degli Stati Uniti strategie!

La saggezza sta nel fatto che Washington usi i sauditi (e gli emiratini e gli indiani) per aprire una linea con Damasco. Tuttavia, Assad porrà a Washington la stessa condizione non negoziabile per la normalizzazione che ha insistito con la Turchia: cessazione dell’occupazione statunitense. Al di là di ciò c’è, ovviamente, l’annessione israeliana delle alture del Golan…