Archivio mensile:ottobre 2019

2685.- Siria. Aggiornamento. Era previsto: L’esercito siriano combatte contro i turchi.

I media restano concentrati sulla morte e la successione di Abu Bakr al-Baghdadi. Non si hanno notizie dei terroristi evacuati dalle forze speciali Usa in trasferimento verso i campi petroliferi siriani. A completare la notizia, lo Stato Islamico (ISIS / ISIL / IS / Daesh) ha rilasciato una dichiarazione audio ufficiale dal loro canale Telegram giovedì, confermando la morte del suo leader Abu Bakr Al-Baghdadi mentre, da parte loro, gli Stati Uniti hanno mostrato un video preso dagli aeroplani che hanno appoggiato l’attacco, inoltre, a sostegno della nuova morte, vengono fatti circolare racconti verosimili sull’operazione, come questo:

Un “funzionario della sicurezza” personale, anonimo, del leader del Daesh al-Baghdadi ha trasmesso alla milizia curda informazioni sui movimenti del terrorista numero uno e sulle case che si ritenevano sicure per lui. Lo ha riferito NBC News, citando il generale delle forze democratiche siriane Mazloum Abdi. Secondo Abdi, la spia nella cerchia interna di al-Baghdadi era responsabile della “protezione dei luoghi” dove si nascondeva il leader del Daesh.

“Al-Baghdadi ha portato le sue precauzioni di sicurezza ai massimi livelli. Non ha mai usato comunicazioni ad alta tecnologia. In qualsiasi posto si trovasse, era in un blackout delle comunicazioni, ad eccezione di quelli che erano direttamente responsabili della sua sicurezza “, ha detto il generale.
Abdi ha rivelato che l ‘”ufficiale” che ha tradito al-Baghdadi lo ha fatto per un desiderio di vendetta sia contro Daesh * che verso il suo leader, dopo aver presumibilmente perso la speranza nel “futuro” del gruppo. Il generale curdo ha inoltre affermato che la spia era presente nel nascondiglio del terrorista quando è stata aggredita dalle forze statunitensi e successivamente è stata evacuata da loro.

“L’idea che al-Baghdadi fosse in Idlib era completamente inattesa. È stata una sorpresa per tutti ”. L’operazione per eliminare al-Baghdadi è stata ritardata dalla decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di ritirare le forze statunitensi (solo?) Dalla Siria settentrionale.


Il difficile percorso dell’Operazione

Mazloum Abdi ha dichiarato che la spia forniva regolarmente alla milizia curda informazioni che venivano successivamente trasmesse agli Stati Uniti. La persona non conosceva la posizione esatta della casa segreta, ma è riuscita a fare osservazioni e notare punti di riferimento che presumibilmente hanno aiutato i servizi segreti statunitensi a individuare la sua posizione in una struttura nella provincia di Idlib in Siria.

Ci fermiamo qui, per annotare gli sviluppi della politica con Putin e Assad stanno fronteggiando la strategia di Erdogan e Trump.

I Militanti agli ordini dello Stato Maggiore Turco consegnano 11 città ai soldati russi ad Al-Raqqa

30 ottobre 2019

All’inizio della giornata di ieri, le forze armate siriane hanno chiesto ai gruppi armati della FSA di lasciare 11 villaggi nell’area di Ayn Issa nel distretto di Tal Abyad e di consegnarli alla polizia militare russa.

“I gruppi FSA hanno lasciato questi undici villaggi e li hanno consegnati alla polizia militare russa, su richiesta dello Stato Maggiore delle forze armate turche al quale obbediscono”, ha detto la fonte.
L’esercito turco aveva informato l’FSA che quegli insediamenti non facevano parte del confine della zona di sicurezza, ha spiegato la fonte.

La polizia militare russa e l’esercito turco hanno stabilito un servizio di pattuglie miste nella zona operativa lungo il confine turco, secondo gli accordi raggiunti fra Erdogan e il presidente russo Vladimir Putin, per tenere lontani i combattenti curdi dalla frontiera turca.

Le immagini sono state girate sull’autostrada internazionale Ithriyah-Khanaser-Raqqa.

Una grande colonna dell’Esercito arabo siriano (SAA) è entrata nella città di Al-Tabaqa nella campagna occidentale del Governatorato di Al-Raqqa questa settimana. L’esercito siriano è stato visto entrare durante la notte ad Al-Tabaqa con numerosi carri armati e veicoli corazzati. L’immagine dei trasporti di carri armati, appartenenti all’esercito siriano, che vi mostriamo è tratta da un video della TV siriana ripreso sull’autostrada vicino a Raqqa. Si tratta di carri armati di fabbricazione sovietica, contemporanei degli M-60 turchi, che in precedenza sono stati impiegati nella battaglia di Idlib. Ci sono però alcune particolari novità. Sono T-62M ripitturati in color sabbia e la cui protezione è stata aggiornata allo standard 1983 con moduli di protezione passiva aggiuntiva denominati “sopracciglia di Brezhnev”. “Si tratta di contenitori particolari montati sulle torrette con la protezione multistrato – all’interno in un intervallo di 30 millimetri sono inserite le lastre d’acciaio da 5 millimetri e lo spazio tra di loro è riempito da poliuretano schiumato”. Le “Sopracciglia di Brezhnev” servono ad assicurare la dispersione dell’esplosione concentrata della carica cava dei missili anticarro, in particolare, quella dei missili teleguidati a raggi infrarossi statunitensi T.O.W. in dotazione all’esercito turco e ai ribelli anti-Assad armati e gestiti dai turchi. Secondo alcuni esperti militari, l’invio dei T-62M nel punto strategico vicino a Raqqa presagiva lo scontro frontale, se non direttamente con l’esercito turco, almeno con le sue milizie irregolari, armate per l’opposizione ad Assad.

Le unità di rinforzo dell’esercito siriano si riversano nel nord-ovest di Hasakah per fermare l’avanzata dei militanti

2019-10-31

BEIRUT, LEBANON (4:30 P.M.) – L’esercito arabo siriano (SAA) ha inviato diverse unità di rinforzo nella campagna nord-occidentale del Governatorato di Al-Hasakah giovedì.
Secondo i rapporti del nord-ovest di Al-Hasakah, questi rinforzi siriani sono arrivati da diverse aree della Siria settentrionale, per tentare di fermare l’avanzata dei militanti mandati dallo Stato Maggiore turco verso la città chiave di Tal Tamr.

Dopo i combattimenti che hanno visto i militanti turchi bombardare le postazioni dell’esercito siriano, facendo 5 prigionieri e subendo perdite entrambe le parti, i rinforzi delle SAA siriane sono stati inviati su questo fronte a seguito di un riuscito contrattacco da parte dell’esercito e delle forze alleate siriane democratiche (SDF) a nord di Tal Tamr, terminato ieri sera.

Una fonte dell’esercito ha detto che questi reparti vogliono prevenire l’avanzata dei militanti, garantendo nel contempo la sicurezza dei territori intorno alle campagne settentrionali e occidentali di Tal Tamr.

Nell’ultima settimana, i militanti dell’esercito della Turchia hanno preso diverse aree tra Ras Al-‘Ayn e Tal Tamr , ma ciò è dovuto principalmente al fatto che possiedono artiglieria pesante semovente e hanno il supporto aereo dell’aeronautica turca e del reparto missilistico contraereo italiano.

L’esercito siriano e le truppe SDF, oggi, hanno ripreso il possesso di diverse aree intorno alla città chiave di Al-Hasakah

2019-10-31

È guerra fra Siria e Turchia, ma le guerre non si dichiarano più, per non offendere i pacifisti. La NATO tace e chi tace, acconsente.

BEIRUT, LEBANON (3:45 P.M.) – L’esercito arabo siriano (SAA) e le forze democratiche siriane (SDF) sono stati in grado di riconquistare diverse aree vicino alla città chiave di Tal Tamr ieri sera dopo aver lanciato una grande controffensiva nel nord-ovest di Al-Hasakah.

Sostenuti dall’artiglieria pesante siriana, l’esercito (SAA) e le truppe SDF iniziarono il loro attacco assaltando le difese dei militanti comanndati dalla Turchia a nord di Tal Tamr.

Secondo un rapporto trasmesso dal nord-ovest di Al-Hasakah, la SAA e la SDF sono riuscite a riprendere diverse aree a nord di Tal Tamr, tra cui le città di Al-Qassimiyah, Al-Faisaliyah e Manaf.

Questa avanzata da parte di SAA e SDF si è verificata poco dopo che furono costretti ad abbandonare diverse posizioni a ovest di Tal Tamr per la mancanza di armi pesanti.
L’esercito arabo siriano ha iniziato a ritirare alcune truppe dalla città di confine di Al-Derbasiyah e Amuda ieri; tuttavia, hanno continuato a resistere all’assalto turco contro Tal Tamr.

2684.- Bisogno di rivoluzione? Chiamate Otpor


IRAK E LIBANO: LO ZAMPINO VISIBILE DIETRO LE RIVOLTEdi Maurizio Blondet

Le incessanti manifestazioni di piazza per il carovita, che  avvengono simultaneamente in Libano e in Irak,   per il grande giornalista Elija Magner (che vive in Libano) non sono spontanee:

Sono  “primavere  colorate”   fatte per colpire “l’Asse della Resistenza” (Iran-Hezbollah)  e destabilizzare i due paesi.  “Usa e Arabia Saudita hanno perso in Siria, ma adesso continuano la loro  la loro battaglia su altri teatri”.

Ci sono  ragioni legittime per le  proteste. In Irak, la maggioranza della popolazione  ha meno di 20  anni  e ha bisogno di posti di lavoro, che lo stato devastato e corrotto non sa certo dare. In Libano,  il malcontento è stato decisamente aumentato dalle  sanzioni che gli USA  hanno imposto alle banche libanesi che  loro accusano di sostenere Hezbollah – il solito gioco US-raeliano e saudita per schiacciare l’Iran e i suoi alleati  – ed ulteriormente aggravato dalla chiusura di tutte le banche, per volontà di una banca centrale agli ordini di Ryad, e che sta durando da due settimane: con la gente a corto di contanti, e  la prospettiva  sicura  che alla riapertura si produca un assalto agli sportelli di  tutti per ritirare i  loro conti in dollari, perché  la società  libanese è “dollarizzata”.

Però lo zampino degli stranieri si vede.  Nelle assemblee dei manifestanti domina   tale Robert Gallagher – che accende gli animi proponendo ai rivoltosi di creare  “Un governo parallelo” – il quale è un ex impiegato dell’ambasciata USA, oggi  direttore di un think tank  chiamato “Eudemian Institute.  Il quale  un’organizzazione fondata dallo stesso Gallagher, David Konstan (j) e Spencer Pack (j), che sono  professori con sede a New York. Pack, un economista, è un ebreo americano pro-“Israele”, anti-BDS, che ha scritto numerose pubblicazioni a favore delle politiche fiscali neoliberiste, del capitalismo  –  insomma un tipico neocon.

Bisogno di rivoluzione? Chiamate Otpor

“Otpor” è  il gruppo “spontaneo” che organizzò  con perfezione geometrica le manifestazioni di  strada a Belgrado e in Serbia per far cadere Milosevic . Poi, visto il successo, è diventato una specie di compagnia di giro   che potete noleggiare se avete bisogno di   suscitare una “primavera  colorata”. Le manifestazioni che organizzano portano il simbolo del pugno chiuso.
Allora  – era il 2000 – i giovani di Belgrado erano istruiti da corsi intensivi sui metodi di “lotta non-violenta” da un colonnello americano in pensione, Robert Helvy, che abitava  all’Hilton di Belgrado.  E  che anni dopo, in una intervista, raccontò come  fosse stato mandato lì, stipendiato, dallo International Republican Institute  di Washington, una emanazione del partito repubblicano USa e ovviamente, della  Cia. I  In seguito, gli esperti di  Otpor  sono andati a prestare i loro servizi in posti come Georgia e Ucraina e Bielorussia

I vecchi militanti del movimento Otpor (“Resistenza”), tra gli artefici della caduta del regime di Slobodan Milosevic, sono diventati degli esperti internazionali in rivoluzioni. I casi di Georgia e Ucraina in questo articolo del quotidiano belgradese Politika

Di Aleksandar Apostolovski.Traduzione dal francese: Carlo Dall’Asta

I nomi di Aleksandar Maric e di Stanko Lazendic non dicono granché all’opinione pubblica serba. Ma per Leonid Kouchma e Alexander Lukaschenko, i presidenti dell’Ucraina e della Bielorussia, essi sono gli “istigatori di un colpo di stato” e dei “pericoli pubblici”.

Così erano visti anche dal regime di Slobodan Milosevic, con degli aggettivi supplementari: “agenti stranieri e traditori della patria”.

Anche se il movimento Otpor ufficialmente non esiste più, anche se non è più registrato come partito politico, sembra che il suo alito minacci tuttora i regimi che l’amministrazione americana considera “non democratici”. Aleksandar Maric e Stanko Lazendic sono due amici, vecchi militanti delle ONG serbe che hanno giocato un ruolo essenziale nella rivoluzione del 5 ottobre 2000.

Durante la “rivoluzione delle rose” in Georgia, che ha cacciato il presidente Eduard Shevarnadze, in molti hanno imparato le “ricette” rivoluzionarie dell’Otpor. L’Ucraina e la vecchia volpe Leonid Kouchma si trovano ormai sulla lista?

Maric espulso dall’Ucraina

Aleksandar Maric, membro del movimento Otpor e collaboratore dell’ONG americana Freedom House in Ucraina, è stato respinto martedì sera, senza spiegazioni, all’aeroporto di Kiev, ha comunicato l’Agenzia France Presse.

L’AFP aggiunge che membri del movimento serbo Otpor soggiornano già da qualche mese in Ucraina, assicurando la formazione di giovani militanti per l’azione non violenta, nel caso si verificassero brogli durante le elezioni presidenziali, convocate per il 31 ottobre.

Stanko Lazendic ha confermato a Politika che il suo compagno Aleksandar Maric non ha potuto lasciare l’areoporto, anche se i suoi documenti erano tutti in regola.

Lazendic, Maric e uno dei dirigenti carismatici dell’Otpor, Ivan Marovic, hanno fondato l’ONG “Centro per la resistenza non violenta” e non sono confluiti nel Partito Democratico (DS), dopo l’accordo intervenuto tra quest’ultimo e il partito politico che l’Otpor aveva cercato di creare.

Il loro curriculum vitae professionale presenta comunque delle strane specializzazioni: addestramento al colpo di stato, gestione delle rivoluzioni.

Stanko Lazendic, che ha soggiornato in Ucraina insieme ad Aleksandar Maric, spiega che “allorché l’Otpor ha rovesciato Milosevic ed è divenuto celebre nel mondo intero, ci hanno contattato organizzazioni di tutti i paesi dell’Europa dell’est. Come formatori dell’Otpor, noi abbiamo partecipato a numerosissimi seminari. A titolo individuale. Io sono andato in Bosnia e in Ucraina, Maric è stato in Georgia e in Bielorussia. Per quanto concerne l’Ucraina, noi siamo coinvolti da un anno, e giriamo con alcune organizzazioni non governative il cui scopo è quello di mostrare agli Ucraini cosa significa il regime di Leonid Kouchma. Noi gli abbiamo insegnato a condurre delle campagne, senza raccomandazioni precise su cosa essi dovessero fare.”

Aleksandar Maric ha soggiornato in Ucraina, quando il movimento Kmara, uno dei principali attori della caduta di Shevarnadze e dell’arrivo al potere di Sakashvili, sventolava le sue bandiere in ogni strada di Tbilisi. La missione di Maric era quella di formare i giovani Georgiani all’azione nonviolenta.

“Nella concezione dei dittatori, la nostra azione è inconsueta. Essi non sono abituati a combattimenti dove i giovani usano l’ironia come arma. Di colpo, ci tacciano tutti di essere organizzazioni violente, paramilitari,” spiega Stanko Lazendic.

L’ombra della Cia

I militanti dell’Otpor vorrebbero dimenticare il nome di Robert Helvy? Questo colonnello americano in pensione ha tenuto all’inizio del 2000, presso l’hotel Hilton di Budapest, dei corsi intensivi sui metodi di combattimento nonviolento ai membri serbi dell’Otpor.

Helvy ha ammesso una volta di fronte ai media serbi di essere stato convocato da rappresentanti dell’Istituto internazionale repubblicano (IRI) a Washington, che gli hanno spiegato che lavoravano con dei giovani in Serbia, e che sarebbe stato interessante se lui li avesse formati nelle tecniche di resistenza nonviolenta, cosa che avrebbe permesso loro di raggiungere i propri scopi. 

Avrebbe dovuto addestrare i giovani di Otpor alla grande battaglia che li attendeva. Come ha rilevato il Washington Post, i servizi di polizia di frontiera serba hanno all’epoca rilevato che un sorprendente numero di giovani andava a visitare il monastero serbo di Sent Andrej, in Ungheria. La loro effettiva destinazione era naturalmente l’hotel Hilton sulle rive del Danubio a Budapest.

Stanko Lazendic riconosce che il colonnello Helvy ha partecipato ai seminari. “Ma quando noi siamo andati laggiù, non abbiamo mai pensato che potesse lavorare per la CIA. Quello che lui ci ha insegnato, noi ora lo insegniamo ad altri. Come creare un movimento d’opinione contro il regime attraverso il materiale di propaganda o le manifestazioni di piazza. Ora si dirà sicuramente in Ucraina e in Bielorussia che tutto ciò è messo in piedi da agenti della CIA. I servizi segreti ucraini sono al corrente dei seminari da noi tenuti, perché i media ne hanno ulteriormente rivelato i contenuti. Nei media di Stato Maric ed io siamo presentati come gli ispiratori di un colpo di stato. Viene spiegato che noi abbiamo il nostro centro direzionale in Georgia e che io sono il capo dei formatori inviati laggiù.”

L’ONG americana Freedom House ha assunto Lazendic e Maric come consiglieri speciali per i movimenti giovanili in Ucraina. Lo scopo ufficiale? Lo sviluppo della società civile.

2683.- AL BAGHDADI AVRA’ ALMENO LA CARTA VERDE? l’HA MERITATA.

Al Baghdadi muore, resuscita, rimuore. Non ci crede più nessuno. Sappiamo che l’ISIS è l’esercito che combatte per conto della finanza sionista-americana, senza impegnare gli Stati Uniti e senza dichiarazioni di guerra, come un paio di secoli fa fece la Compagnia delle Indie per conto di Sua Maestà britannica. Anzi, l’aver inventato il terrorismo, ha consentito di mettere in stato di guerra (di conquista) permanente la NATO. Il mondo tace, ma ciò non significa che abbia abboccato e, invece, sappiamo per certo che ne ha le scatole piene di questi teatrini di morte. Grande il nostro Maurizio Blondet.

Maurizio Blondet  27 Ottobre 2019 

Ricordiamo queste foto, che pubblichiamo di nuovo e di nuovo, speriamo per l’ultima volta. I media del giro CIA  (Huffington eccetera) hanno detto che quello nella foto non è il futuro  Al Baghdadi. Senza alcuna vera prova, del resto impossibile da dare. Meyssan  è risalito alle fonti   che hanno sostenuto che questa era una bufala: sono Il New York Times, l’11 settembre 2014,  il quale a sua volta  riferisce quel che ha sstenuto  il blog Socioeconomic History in un articolo, ;  un’altra  smentita da parte del direttore delle comunicazioni di McCain e un’altra smentita da parte del direttore esecutivo della Syrian Emergency Task Force, un’organizzazione di lobby  condotta da un impiegato palestinese dell’AIPAC (American Israeli Public Affairs Committee – la nota lobby)    che ha organizzato la visita del senatore.

Il professor Cghossudowky di Global Research ritiene che sia tutto vero:

Ma  anche se non fosse, nulla cambia del significato dell’immagine:  mostra JohnMcCain che  il 27 maggio 2013 è entrato in Siria dalla Turchia con il generale Salem Idris, che guida il Consiglio militare supremo dell’esercito siriano liber:  la Free Syrian Army, i  ribelli in armi contro il governo di Damasco, e  altri “leader ribelli vivono ad Idlib.   Alla fine di questa riunione, Mc Cain  – attraverso il suo addetto stampa –  ha proclamato che gli USA  entrino con “un’azione militare aggressiva nella guerra siriana (che dura da due anni), ed ha chiesto che si armino e ribelli e venga istituita una no-fly zone” a loro protezione”.

Non sarebbe da scartare a  priori nemmeno la notizia, da varie fonti islamiche (iraniane ma non solo) , secondo cui il preteso Al Baghdad, alias Emir Daash sarebbe  un infiltrato ebreo isreaeliano, di nome Eliot Shimon, . Il suo falso nome: Ibrahim ibn Awad ibn Ibrahim Al Al Badri Arradoui Hoseini.


https://www.controinformazione.info/il-leader-dellisis-al-baghdadi-e-agente-del-mossad-ebraico-di-nome-simon-elliot/

Le poche cose che sembrano certe su  questo personaggio la cui identità è stranamente imprecisa, è che il futuro  al-Baghdadi , col nome di  Ibrahim Awad Ibrahim al-Badry,  è stato tenuto nella prigione USA in Iraq, Camp Bucca dal 2005 al 2009 (o 2010) e poi lo hanno rilasciato.

Segnaletica da Camp Bucca

http://insider.foxnews.com/2014/06/13/next-bin-laden-isis-leader-abu-bakr-al-baghdadi

Camp Bucca, per generale ammissione anche dei mainstream  media,  è ritenuto essere “il centro di reclutamento e addestramento per combattenti che avrebbero continuato a guidare l’IS”.

Qui diamo tre articoli, delle decine che potete trovare sul web:

https://www.cbsnews.com/video/birth-of-isis-traced-to-u-s-military-prison/

https://www.theguardian.com/world/2014/dec/11/-sp-isis-the-inside-story

https://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/camp-bucca-the-us-prison-that-became-the-birthplace-of-isis-9838905.html

Subito dopo la liberazione di al-Baghdadi, lo Stato islamico è emerso dal nulla e ha rapidamente assunto importanti aree di Iraq e Siria. Come si va a dimenticare che i terroristi apparvero dal nulla   – scenograficamente e  in favore di telecamere –  a bordo di centinaia di Pick-up Toyota, alcuni di seconda mano che risultarono acquistati negli Stati Uniti da arabi sauditi?  Con armi parte delle quali  comprovatamente  comprate in paesi come la Bulgaria a mediatori americani e sauditi?

Che stampavano una rivista in quadricromia, in inglese, che non si trovava ovviamente nelle edicole, ma la scovava sul web Rita Katz?

Dunque non occorre altro per capire ciò che è evidente  –  a qualunque giornalista  o politico che non sia un venduto  –   che l’ISIS e il suo capo sono creature artificiali create  dagli USA,  con apporti francesi e  inglesi,  finanziate dai saudti e  degli Emirati, per destanbilizzare la Siria, impadronendosi specificamente dell’area petrolifera siriana, per sfruttarla  ai fini di autofinanziamento e toglierla a Damasco. L’ISIS ha  funzionato benissimo in questo senso, vendendo il petrolio rubato ad Erdogan e al suo figlio, a colonne intere di autobotti,  indisturbate dagli aerei americani impegnati nella “guerra al terrorismo”; fino al giorno in cui i russi hanno incenerito dal cielo una colonna di autobotti  – molte di queste autobotti erano ovviamente turche, e  quindi Erdogan si è molto arrabbiato del danno subito, ed ha fatto abbattere un Sukoy russo.

Adesso apprendo dall’amico Carisio che i russi smentiscono il raid contro “il califfo” e dicono che è vivo in Irak.

Speriamo per lui – se è il sunnita  – che si sia finalmente guadagnato la carta verde, il sospirato permesso di soggiorno permanente in USA,  che ha  ben meritato in questi anni di  recitazione nella  sinistra e sanguinosa messinscena per conto di Usa e Sion, e possa cominciare una nuova vita,  ormai ha una certa età.  Se poi  è Shimon, tanti saluti.  Ci si contenti di vedere che,  finalmente, i produttori di questo criminale teatro di sangue stanno smantellandone le quinte,  ripiegando i falsi fondali,  dimettendo gli attori.

Mezzo milione di morti,  è costato.  Prezzo “che val la pena  di pagare”, come disse (a proposito di un altro mezzo milione di  morti, iracheni) la segretaria di Stato Madeleine  Albright, nata Jana Korbelová.

2682.- GUERRA CIVILE IN SVEZIA, MA È UN SEGRETO!

Alejandro Augusto Stephan Meran, il 29enne dominicano la belva nera che ha sparato ammazzando due poliziotti a Trieste

Stoccolma è stata scossa da tre esplosioni in una notte la scorsa settimana. Ma le esplosioni non hanno nemmeno fatto notizia. Con l’aumento della violenza, il governo del paese sembra più preoccupato di minimizzare il problema invece di affrontarlo.
Tre esplosioni in una notte sarebbero notizie in prima pagina in qualsiasi città del primo mondo. Ma quando Stoccolma è stata svegliata da più esplosioni in una notte, la scorsa settimana, la trasmissione notturna dell’emittente nazionale SVT è stata silenziosa, relegando invece la notizia alla sua copertura web. Uno degli obiettivi, una chiesa siriana ortodossa, era già stato bombardato due volte l’anno scorso.
Ma in Svezia, le esplosioni non fanno più notizia. Nel 2018 ci sono stati 162 attentati denunciati alla polizia e 93 segnalati nei primi cinque mesi di quest’anno, 30 in più rispetto allo stesso periodo del 2018. Il livello di attacchi è “estremo in un paese che non è in guerra”, Crimine Il commissario Gunnar Appelgren ha dichiarato a SVT l’anno scorso. L’uso delle bombe a mano è anche un fenomeno puramente svedese, senza che nessun altro paese in Europa ne riferisca l’uso a un livello simile, ha detto un responsabile della polizia alla radio svedese nel 2016, un anno dopo che gli attacchi sono stati registrati per la prima volta.

Le granate usate provengono quasi esclusivamente dall’ex Jugoslavia e vengono vendute in Svezia per circa $ 100 al pezzo. Ma mentre nel Kosovo sono state lanciate solo tre bombe a mano tra il 2013 e il 2014, in Svezia dal 2015 sono state utilizzate più di 20 ogni anno.

Più in generale, gli omicidi sono aumentati in Svezia, con oltre 300 sparatorie riportate l’anno scorso, che hanno causato 45 morti. Sebbene i tassi di omicidi fossero in calo dal 2002, hanno iniziato di nuovo a crescere nel 2015, così come gli stupri e le aggressioni sessuali, che sono più che triplicate negli ultimi quattro anni.
Non chiedetevi perché.

Un recente studio dell’Università di Difesa svedese ha messo in guardia sul fatto che il sistema giudiziario svedese non è attrezzato per sorvegliare le società parallele che si sviluppano nei quartieri degli immigrati, e il quotidiano Dagens Nyheter ha sottolineato che il 90 percento degli autori di spari in Svezia appartiene alla prima o alla seconda generazione di immigrati.

Non ve lo dicono, ma in Francia la guerra civile c’è già.
Parigi: una quindicina di migranti appicca incendio per tendere agguato ai vigili del fuoco che sono stati bersagliati con proiettili e molotov, insieme ai poliziotti arrivati in loro aiuto.


A Barcellona, le belve vestono i panni della polizia, come a Parigi.


E in Italia?
Per ora, Alejandro Augusto Stephan Meran, il 29enne dominicano la belva nera che ha sparato ammazzando due poliziotti a Trieste si è fatto girare le palle in carcere e ha lanciato una “lavatrice” contro le guardie penitenziarie.
PREPARATEVI !

2681.-Che fine farà l’Unione europea? L’analisi di Alberto Bagnai

L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali…

Ecco come l’area più prospera e pacifica del mondo – l’Unione europea – nel buco nero della domanda mondiale. Diagnosi e prognosi. Il post dell’economista Alberto Bagnai, presidente della commissione Finanze del Senato, estratto di Start, da un articolo del suo blog

Abbiamo trasformato quella che era l’area più prospera e pacifica del mondo nel buco nero della domanda mondiale, creando un sistema più rigido del gold standard e che può sostenersi solo con la deflazione competitiva, per qualche anno siamo andati avanti a dire che non era colpa nostra, che c’era stata la grande moria delle vacche, cioè la secular stagnation, ma ormai non ci crede più nessuno, ormai è chiaro che è stato il riportare al XIX secolo la zona più prospera del pianeta, a porre una seria ipoteca sulla crescita mondiale, e tuttavia proseguiamo a vele spiegate sulla medesima strada, e va bene così, i motivi li capivo da fuori, e li capisco anche meglio da dentro. La storia ci insegna che prima o poi le correzioni arrivano, e il buon senso suggerisce che questa sarà particolarmente drastica. Uno dei motivi che la renderanno tale è proprio la natura particolarmente irrazionale dell’ordinamento che ci siamo dati. Qui non c’è una persona che da sola possa decidere, come FDR, e questo credo che dovreste sempre tenerlo presente (ma so che per molti è impossibile).

Proprio per questo, vi faccio una domanda semplice semplice, cui vi prego di rispondere anche alla luce del lieve scarto fra “fatti” e “narraFFione” che il resoconto appena fatto credo evidenzi (fra aumento della spesa pubblica – che aveva fatto Hoover – e uscita dal gold standard – che si evita di attribuire a Roosevelt – c’è una differenza, no!?): ma secondo voi, in tutta onestà, sapendo che deve succedere quello che non può non succedere, vale proprio tanto la pena di prendersene la responsabilità politica, per essere “narrati” come gli egoisti, incoscienti, nazixenofascioleghisti truci e barbari? Noi stiamo semplicemente dicendo che le cose non funzionano molto bene, e sfido chiunque a dimostrare il contrario alla luce dei numeri. Qualcuno sa come migliorare le cose continuando a seguire regole procicliche? Siamo qui per ascoltarlo e cooperare (collaborare no: quello lo fa il PD). Ma poi, non ce n’è nemmeno bisogno: ora quelli che sanno, gli ottimati, i buoni, i democratici, gli onesti, sono al Governo: lasciamo che ci stupiscano con effetti speciali!

Certo, purtroppo noi sappiamo come andrà a finire (cioè come non può non andare a finire), e lo abbiamo detto in tutte le possibili sedi, e siamo anche abbastanza svegli da capire quando le cose cominceranno a mettersi male. Non sarà certo per colpa nostra: dieci anni senza recessione negli Usa sono un unicum: non credo che dovremo aspettare molto. La cosa importante è che di questo inutile sperpero di risorse, di questo episodio particolarmente cupo della nostra storia, si prenda la responsabilità (come sta facendo con un’incoscienza che non è onestà intellettuale), e paghi il costo politico, chi questo sistema lo ha voluto e difeso contro ogni ragionevole evidenza, non chi come noi non lo ha voluto e ne ha argomentato scientificamente l’irrazionalità.

Paesi più accorti, meglio governati, più democratici, stanno ragionando su ogni possibile scenario, e discutono apertamente i rischi degli attuali assetti. I nostri governanti se lo impediscono, e vorrebbero impedircelo. La loro dolorosa elaborazione del lutto è ancora nella fase del rifiuto, della negazione psicotica della realtà, cui vorrebbero che ci associassimo. Ma allora la cosa migliore da fare è lasciarli lavorare e seguire le regole. Dureranno poco, per motivi oggettivi. Il resto sono chiacchiere da bar e di chi ignora i fondamentali sapremo fare facilmente a meno.

Il mondo è fuori, ed è con noi…

2680.- SIRIA: TERRORISTI RECLUTATI DAGLI USA PER CONTRABBANDO DI PETROLIO

  •  La svelta ritirata degli americani dal Rojava, per assecondare il turco e occupare i pozzi petroliferi dei siriani, in nome della lotta all’ISIS, appena liberato, ripropone questa analisi di Fabio Giuseppe Carlo Carisio di due mesi fa. Aggiungo che anche la Germania vuole mandare in Siria i suoi soldati e i francesi di Kobane devono essere anche loro da qualche parte.
SIRIA: TERRORISTI RECLUTATI DAGLI USA PER CONTRABBANDO DI PETROLIO

Fino all’anno scorso era l’Isis a sfruttare i giacimenti petroliferi della valle dell’Eufrate, in particolare quello di Al Omar, nella provincia di Deir Ezzor, divenuta famosa per lo sterminio di civili condotto dai raid dell’Us Air Force, nella Siria nordorientale.

La sconfitta (temporanea) dello Stato Islamico nell’ultima roccaforte di Baghouz ha lasciato nelle mani delllo SDF (o Qasd), le milizie a maggioranza curda alleate dell’esercito Usa, i giacimenti nel Rojava ma ora, secondo la denuncia di un alto ufficiale russo, sono gli Stati Uniti, che prima compravano il petrolio di contrabbando dall’Isis (a conferma degli stretti legami) ad utilizzare le formazioni terroristiche più estremiste del FSA (l’esercito rivoluzionario anti-Assad ormai pressochè sconfitto) per compiere operazioni finalizzate al furto di petrolio su commissione.

Impianti petroliferi a Deri Ezzor nella valle dell’Eufrate

«Il colonnello generale Sergei Rudskoi, capo della direzione generale delle operazioni dello stato maggiore dell’esercito russo, ha detto lunedì ai giornalisti che gli Stati Uniti hanno mobilitato circa 2.700 “militanti” in una zona di deconfigurazione autodidatta di 34 miglia vicino all’attraversamento del confine sud-orientale di Al -Tanf. Ha detto che questi ribelli, compresi quelli di Maghawir al-Thawra e dell’Esercito delle tribù libere, venivano trasferiti da Al-Tanf tramite elicotteri dell’aeronautica militare americana per condurre “sabotaggi, distruzione di infrastrutture petrolifere e di gas e commettere attacchi terroristici contro forze governative “in settori come Al-Sweida, Palmyra e Al-Bukamal» ha scritto alcune settimane fa Tom O’Connor sulla rivista newyorkese NewsWeek.

La notizia è stata riportata, e quindi accreditata, anche dal Syrian Observatory for Human Right, l’organizzazione umanitaria di Coventry che negli ultimi mesi ha assunto posizioni più obiettive rispetto al passato quando era apertamente schierata contro il Governo di Damasco ed a favore dei famigerati White Helmets, il contingente di soccorso addestrato da un ex agente segreto militare britannico sspesso complice dei terroristi islamici qaedisti di Al Nusra (oggi Hayyaat Tahrir Al-Sham), che controllano una parte della provincia di Idlib grazie ai rifornimenti militari della Turchia.

I PROVENTI DEL PETROLIO PER I GRUPPI TERRORISTICI

«A parte l’addestramento dei militanti, le strutture statunitensi in Siria sono coinvolte nel saccheggio delle strutture petrolifere e dei depositi nell’area attraverso l’Eufrate che appartiene al legittimo governo siriano. Ultimamente, le compagnie militari private statunitensi sono state osservate per rafforzare attivamente il loro personale. Oggi i mercenari delle compagnie militari private in Siria superano le 3.500 persone » ha affermato Rudskoi.

Secondo il generale russo questi gruppi di contractor hanno «organizzato la produzione e la vendita di petrolio siriano dai giacimenti petroliferi Conaco, Al-Omar e Tanak situati ad est del fiume Eufrate, in un piano criminale per saccheggiare la ricchezza nazionale della Siria». All’ufficiale di Mosca risulta che i proventi di tali furti sarebbero «spesi per mantenere gruppi armati illegali, corrompere gli sceicchi dei sindacati tribali arabi e fomentare sentimenti anti-governativi».


Il gruppo terroristico Maghawir al-Thawra, armato e addestrato dall’esercito americano nella base militare di Al Tanf

Il giornalista O’Connor ricorda che «gli Stati Uniti sono stati a lungo accusati di intervenire all’estero a sostegno degli interessi petroliferi, soprattutto dall’invasione dell’Iraq del 2003 che ha rovesciato il presidente Saddam Hussein con accuse che in seguito si sono rivelate false». E nonostante gli Usa abbiano conquistato una sempre maggiore indipendenza energetica tali accuse si sono riferite anche al «ruolo del Paese nell’intervento della NATO che nel 2011 ha estromesso il leader libico Muammar el-Gheddafi, nonché i continui sforzi del presidente Donald Trump per deporre il presidente venezuelano Nicolás Maduro e isolare l’Iran attraverso sanzioni».

Rudskoi ha affermato che le operazioni di compagnie militari private statunitensi in Siria sono state «condotte sotto la parvenza dell’aviazione della coalizione internazionale antiterrorista» e ciò «rappresenta un affare di contrabbando preso dagli americani dall’ISIS. La continua fornitura di armi e attrezzature militari da parte degli Stati Uniti alla sponda orientale dell’Eufrate provoca anche notevoli preoccupazioni» perché «in cambio di assistenza nel traffico di petrolio, gli Usa stanno rinforzando sia i curdi che le formazioni arabe con le armi e successivamente le usano una contro l’altra».

A ciò si aggiunge anche la preoccupazione per il ritorno dell’Isis in quanto proprio la scorsa settimana il segretario di Stato Mike Pompeo ha dichiarato a Fox News Channel che c’era ancora “una manciata” di jihadisti in Siria mentre altri si sono spostati in Iraq. Ma il funzionario della Casa Bianca fa finta di ignorare che molti dei comandanti Isis sono stati liberati dall’Afghanistan o dalla Siria dagli stessi militari Usa e trasportati con elicotteri e camion in vari punti strategici nel deserto iracheno, nelle zone montagnose afghane al confine con le ex repubbliche dell’Unione Sovietica e anche in Nigeria.

LA ROTTA DEL PETROLIO DI CONTRABBANDO

Proprio la rotta del petrolio di contrabbando da Deir Ezzor verso la Turchia può spiegare l’importanza strategica del Rojava, controllato dalle milizie SDF in gran parte composte da combattenti curdi di YPG vicini al PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan, considerati da Ankara terroristi. Ecco perché la minaccia del presidente turco Recep Erdogan di invadere la Siria ad est dell’Eufrate.

Una manovra duramente contestata dagli stessi Usa che grazie agli alleati curdi hanno piena libertà di azione nel territorio dove, nel febbraio scorso, ci fu un’aspra battaglia nei pressi di giacimenti di petrolio e gas tra milizie sciite di Hezbollah libanesi e Quds iraniani, fedeli al governo di Damasco appoggiato dalla Russia. Pompeo dichiarò che tra le circa 200 vittime ci furono anche contractors russi della compagnia militare privata Wagner.

La rotta del contrabbando di petrolio in Siria usata dall’Isis e ora dal gruppo terrorista Maghawir al-Thawra protetto dagli Usa

«Nel 2015-2017, secondo gli analisti americani, il petrolio è diventato la principale fonte di reddito per l’ISIS. È noto che al culmine della sua potenza, l’autoproclamato «califfato» ricevette, secondo varie stime, fino a $ 5 milioni al giorno dalla vendita di petrolio. Ad esempio, nel 2015, gli esperti hanno stimato il reddito ISIS a $ 3 milioni al giorno – e questa è la stima più prudente» lo riferisce il blog Alaff84 citando varie fonti autorevoli in un reportage molto approfondito sulla rotta del petrolio di contrabbando in Siria.

«Nonostante il successivo declino a seguito del successo delle operazioni militari delle truppe siriane e delle forze aerospaziali russe, il reddito dei terroristi dal contrabbando di petrolio, secondo la Task Force di azione finanziaria sul riciclaggio di denaro (GAFI), è stato di $ 1-2 milioni quotidiano – aggiunge il portale – Nel settembre 2017, quando l’esercito arabo siriano, con il supporto dell’aviazione russa, iniziò a liberare la provincia di Deir-ez-Zor, anche le forze armate curde iniziarono a muoversi in fretta verso questa zona. Mentre le forze governative erano impegnate in feroci battaglie con l’ISIS, le “Forze Democratiche Siriane”, mediate dalle forze armate e di sicurezza statunitensi, hanno semplicemente negoziato con i terroristi, il che è ampiamente dimostrato».

I LEGAMI TRA ISIS, USA E MILIZIE SDF

«Il giacimento petrolifero Al-Omar, come molti altri giacimenti petroliferi, è stato trasferito senza combattere dopo i negoziati tra l’ISIS e i rappresentanti delle forze statunitensi. Inoltre, i militanti dello “Stato islamico”, a guardia dei giacimenti petroliferi, sono passati sotto la bandiera dello SDF» rammenta Alaff84 ricordando anche che successivamente gli Usa hanno istituito una base militare nelle immediate vicinanze dei pozzi di oro nero, come riportato dai rappresentanti delle stesse unità armate curde nella primavera del 2018.

Gli impianti petroliferi di Al Omar, nel Governorato di Deir Ezzor, nella Siria nordorientale, ora controllati dallo SDF e dai gruppi terroristici protetti dall’esercito Usa

La Federal News Agency ha ripetutamente riferito di collusioni tra Stati Uniti, terroristi dell’ISIS e curdi – ad esempio, nel settembre 2017 si è appreso che gli Stati Uniti e i curdi erano d’accordo con i terroristi sul trasferimento del grande giacimento petrolifero di Tabia dove si trova l’impianto Conoco.

«Il militante prigioniero dell’ISIS ha detto che gli è stato ordinato di non distruggere le costruzioni e di non aprire in nessun caso il fuoco sui curdi. Questa informazione è stata confermata dal giornalista libanese Firas Shufi nel suo film» aggiunge il sito arabo confermando l’ennesima complicità tra i terroristi islamici del Daesh, gli Usa e i loro alleati dello Sdf e Fsa che, attraverso gli estremisti del Maghawir al-Thawra controllano il campo profughi di Al Rukban, considerato rifugio e luogo di addestramento di estremisti musulmani. Nonché centro di proselitismo per le nuove generazioni di arabi sunniti destinati a crescere coltivando l’odio per gli occidentali e per gli sciiti nel nome della Jihad.

2679.- Nel mondo arabo c’è una nuova rivoluzione, questa volta spontanea e contro l’Iran


Nel mondo arabo c’è una nuova rivoluzione, questa volta contro l’Iran. Si tratta di manifestazioni spontanee e apparentemente “senza leader”, un cenno di conferma sul carattere anti-iraniano: i manifestanti protestano “contro l’influenza fuori misura di Teheran negli affari iracheni”.

In Libano, Hezbollah, la milizia filo-iraniana che è anche partito, sostiene il governo di Saad Hariri. In Iraq il governo formato da sciiti e sunniti conserva legami con Teheran. Altro punto di contatto è l’improvvisa epifania della protesta, nata dal nulla e dilagata in pochi giorni.

La nuova primavera araba ha il sostegno entusiasta dei media avversi all’Iran, da Debkafile, vicino all’intelligence israeliana, ad al Jazeera, la Tv nata per supportare l’interventismo neocon nel mondo arabo.

Hezbollah a Beirut e gli sciiti pro Teheran in Iraq sono in crisi di consenso perché da un lato combattono per conto degli ayatollah e dall’altro non riescono a mettere il cibo nei piatti del loro popolo

ANWAR AMRO / AFPANWAR AMRO / AFP

Due cordoni di soldati dividono i manifestanti con le bandiere del Libano da un gruppo di sostenitori di Hezbollah. Gli scontri si sono da poco placati, ma la tensione resta alta. Il Partito di Dio e milizia alleata dell’Iran è parte di quel governo che da dieci giorni è oggetto delle proteste di migliaia di manifestanti a Beirut e in molte altre città del paese.

Dagli amplificatori montati su un palco nella vicina piazza dei Martiri e dagli smartphone tra la folla esce la voce del segretario generale Hassan Nasrallah, al suo secondo discorso alla nazione dopo l’inizio delle proteste. Sostiene il governo, solleva lo spettro di un vuoto di potere. Ha abbandonato la solita retorica della resistenza per assumere un tono paternalistico e suggerire la fine della contestazione.

A stupire in Libano, a rendere quella che ormai in molti chiamano «la rivoluzione d’ottobre», un evento senza precedenti nella storia del Paese, non è soltanto la presenza in piazza di diverse generazioni, classi sociali e religioni, unite nella comune accusa contro i leader politici, siano essi cristiani, musulmani sunniti o sciiti, druzi. I cori contro Nasrallah sono stati scanditi anche a Tiro, a Nabatieh, nelle cittadine di quel sud impoverito che è roccaforte dei due movimenti sciiti Amal e Hezbollah. Alcuni uffici locali dei partiti sono stati presi d’assalto da una folla arrabbiata, frustrata da anni di crisi economica, salari bassi, tagli di corrente elettrica, mancanza di servizi. La rivolta della strada sciita nei confronti dei propri leader confessionali è uno degli elementi che rende il dissenso libanese eccezionale e potente.

«Hezbollah e i suoi alleati pensano di star vincendo nella regione, contro gli americani, ma in realtà l’Iran che li sostiene sta perdendo sia in Libano sia in Iraq»Nassif Hitti, ex ambasciatore della Lega araba a Parigi, perché non ha saputo dare un significato politico-sociale alle sue vittorie.

«Gli sciiti sono sudditi per i loro capi. Come lo sono a loro volta nelle rispettive comunità i cristiani e i druzi. In questo modo, voluto dai politici, gli sciiti resteranno sempre sciiti, e avranno sempre bisogno di un capo sciita», ci dice Ibrahim Chamseddine, ex ministro, figlio dell’ex presidente del Consiglio superiore sciita, Mohammad Mehdi Chamseddine, e voce critica dei due partiti dell’egemonia sciita in Libano. «Stiamo assistendo oggi alla fine della comunità e all’emergere del cittadino, anche se il sistema è molto forte e reagirà. Lo abbiamo già visto a Nabatieh con Amal e Hezbollah», quando sostenitori dei due movimenti hanno preso d’assalto la folla in protesta nella cittadina.

A creare unità nella protesta una crisi economica che si può riassumere in pochi dati: il 37% di disoccupazione nella popolazione sotto i 35 anni e il terzo debito pubblico più vasto al mondo, pari a 150% del pil. Sulla difficile situazione pesa l’incapacità – e la non volontà – del governo di gestire 1,5 milioni di rifugiati siriani su una popolazione di quattro milioni. «È la sclerosi del sistema politico che ha provocato la crisi economica, risultato dell’incapacità di governare di politici pronti soltanto a spartirsi la torta – spiega Karim Émile Bitar, direttore dell’Istituto di Scienze politiche dell’Université Saint-Joseph di Beirut – Nella piazza c’è la consapevolezza che la corruzione sia alla base del confessionalismo e che il confessionalismo sia alla base del sistema. Da qui, la richiesta della protesta: una trasformazione del sistema».

E infatti i cori della contestazione sono diretti a tutti gli attori della politica nazionale, qualsiasi sia la loro appartenenza religiosa: il presidente cristiano Michel Aoun, il premier sunnita Saad Hariri e lo speaker del Parlamento Nabih Berri hanno ricevuto tutti la loro razione di insulti, urlati dalle folle e consegnati alle scritte sui muri delle città. Hanno parlato alla nazione, con giorni di ritardo, proponendo riforme economiche cosmetiche ma difendendo il governo. Lo ha fatto ieri nel suo secondo discorso anche Nasrallah, criticato per la prima volta apertamente dalla sua stessa base. «Queste critiche potrebbero portare il Partito di Dio a mostrarsi più comprensivo alle richieste popolari, ma in realtà Hezbollah è concentrato sui propri obiettivi strategici regionali, e lo status quo in Libano gli conviene. Questa protesta lo mette in imbarazzo».

Otto anni di guerra per procura in Siria, a fianco degli iraniani impegnati a sostenere il dittatore Bashar el Assad, hanno drenato le risorse delle milizie e sono costati al Partito di Dio centinaia di morti tra le sue file per una causa non nazionale. Sullo stato di salute di Hezbollah pesano le sanzioni americane sull’Iran, principale finanziatore. E così, ad affievolirsi, è quello Stato nello Stato che permetteva al movimento di essere welfare comunitario, di pagare ospedali e scuole, di trovare posti di lavoro.

«Hezbollah e i suoi alleati pensano di star vincendo nella regione, contro gli americani, ma in realtà l’Iran che li sostiene sta perdendo sia in Libano sia in Iraq», dice Nassif Hitti, ex ambasciatore della Lega araba a Parigi, libanese. E proprio ieri sono riprese le proteste a Baghdad e in altre città irachene. Ancora una volta ci sono stati scontri con le forze dell’ordine, cinque manifestanti sono stati uccisi. A sollevare la piazza irachena le stesse frustrazioni di quella libanese: la corruzione della classe politica, l’inettitudine del governo, la mancanza di servizi per una popolazione provata da decenni di guerre e conflitti interni.

A inizio ottobre, erano morte oltre cento persone negli scontri, e Reuters ha da poco rivelato che appostati sui tetti della capitale irachena a prendere di mira i manifestanti c’erano decine di tiratori scelti di quelle milizie irachene sciite filo-iraniane che hanno contribuito alla sconfitta dello Stato islamico in Iraq. Le notizie in arrivo da Baghdad innervosiscono un Libano che teme uno scivolamento del dissenso nella violenza, e mostra l’inquietudine dell’Iran, protettore di Hezbollah nel piccolo paese Levantino e dei politici sciiti al governo in Iraq.

Un eventuale indebolimento degli alleati della Repubblica islamica non può che avere influsso sulla sua influenza nell’area, e mostra i limiti della sua politica regionale: «Teheran e i suoi proxy hanno fallito nel tradurre le vittorie militari e politiche in una visione socio-economica – ha scritto Foreign Policy – Detto più semplicemente: la narrazione della resistenza dell’Iran non ha saputo mettere cibo nei piatti».

2678.- Rinforzi russi di centinaia di soldati arrivano in Siria per sorvegliare il ritiro curdo

L’invio di nuove truppe russe – mentre i soldati americani, appoggiati dagli elicotteri, si ritirano verso i pozzi di petrolio – sottolinea ulteriormente come la situazione sul terreno in Siria sia cambiata radicalmente con l’invasione della Turchia e le conseguenze che ne sono derivate.

Russian military police near the Syrian town of Amuda, October 24, 2019.
Polizia militare russa vicino alla città siriana di Amuda, 24 ottobre 2019. AFP

Circa 300 poliziotti militari russi della regione meridionale della Cecenia, con 20 veicoli da ricognizione, sono sbarcati dagli aerei da trasporto in Siria, secondo quanto dichiarato oggi dal ministero della Difesa russo e riferito dall’agenzia di stampa Interfax.

Riferisce Interfax, che il ministro della difesa russo, venerdì, ha dichiarato che i rinforzi della polizia militare russa aiuteranno i siriani a pattugliare il confine fra Siria e Turchia e le regioni previste negli accordi fra Mosca e Ankara; inoltre, coopereranno per assicurare che le forze curde e le loro armi si ritirino a 30 chilometri dal confine tra Siria e Turchia.

L’inviato siriano di Trump afferma che i combattenti dell’ISIS sono ancora dispersi e vede prove dei crimini di guerra turchi

Purtroppo, non vedremo una nuova Norimberga. Alla Turchia è stato ora concesso di mantenere il controllo su una parte significativa della Siria Nord-orientale: la striscia di terra al suo confine a Nord-Est che ha invaso il 9 ottobre, insieme a una parte più grande del confine a Nord-Ovest che la Turchia già occupa, catturato nelle precedenti incursioni.

Sempre il ministro russo, venerdì, ha dichiarato che il battaglione di rinforzoo di polizia militare inviato in Siria proviene dalla Cecenia, una regione russa che ha visto due devastanti guerre separatiste, alla fine degli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000, prima che Mosca ne riprendesse il controllo. Le truppe dalla Cecenia, note per il loro feroce spirito guerriero, sono state regolarmente inviate in Siria in base alle normali rotazioni fra i reparti, negli ultimi anni.

Russian military police vehicles drive past an equestrian statue of Bassel al-Assad, the late brother of President Bashar al-Assad, in the northeastern Syrian city of Qamishli on October 24, 2019.
Veicoli della polizia militare russa passano davanti a una statua equestre di Bassel al-Assad, defunto fratello del presidente Bashar al-Assad, nella città siriana nord-orientale di Qamishli il 24 ottobre 2019.Delil SOULEIMAN / AFP

L’esercito russo non dichiara il numero totale del suo contingente in Siria e, venerdì, non ha detto quanti uomini saranno coinvoltie nella missione di pattugliamento al confine turco.

In base all’accordo Mosca-Ankara, la Turchia deve mantenere il controllo esclusivo di un’ampia sezione al centro dell’area di confine, la maggior parte delle quali è stata occupata durante la sua invasione questo mese, allo scopo di scacciare le forze curde alleate degli Stati Uniti da una “zona detta di sicurezza” lungo il confine.

Il governo siriano e la polizia militare russa controlleranno il resto del confine Siria-Turchia di 440 chilometri (273 miglia). Devono garantire che i combattenti curdi siriani, che erano alleati degli Stati Uniti nella lotta contro il gruppo dello Stato islamico e che hanno liberato gran parte della regione dall’IS, si allontanino di 30 chilometri (19 miglia) dalla frontiera. Successivamente, Russia e Turchia inizieranno i pattugliamenti congiunti lungo una striscia più stretta direttamente sul confine turco-siriano.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha dichiarato che le forze armate russe sono state in stretto contatto con i combattenti curdi siriani, facendo un “delicato lavoro” nel coordinare il loro ritiro dalle aree di confine. Ha osservato che i curdi si sono impegnati a rispettare l’accordo, aggiungendo che la mancata osservanza li metterebbe nei guai.

“Se le unità kurde con le loro armi non verranno ritirate da quella zona, rimpiangeranno purtroppo di essere faccia a faccia con l’esercito turco, perché le guardie di frontiera (siriane) e la polizia militare russa non si interporrebbero fra loro”, ha detto Peskov in una teleconferenza con i giornalisti.

Un grosso cuneo della Siria orientale rimane nelle mani dei combattenti a guida curda. Ciò include la maggior parte dei giacimenti petroliferi della Siria, che priva Damasco del controllo su una risorsa cruciale e conferisce ai curdi siriani un grosso chip di contrattazione. Trump ha affermato che un contingente di truppe statunitensi rimarrà lì per aiutare i curdi a “proteggere” i campi petroliferi.

Mosca ha sostenuto che la presenza delle truppe statunitensi in Siria è illegittima in quanto priva del permesso di Damasco di rimanere. Il viceministro degli Esteri Sergey Ryabkov ha dichiarato che Mosca è “preoccupata dal frequente cambio di segnali da Washington sui suoi piani e intenzioni verso la Siria”.

Members of the Syrian Kurdish Asayish internal security forces during a joint patrol with Russian military police vehicles (behind), in Hasakeh province on October 24, 2019.
Membri delle forze di sicurezza interne dell’asayish curdo siriano durante una pattuglia congiunta con veicoli della polizia militare russa (dietro), nella provincia di Hasakeh il 24 ottobre 2019. Delil SOULEIMAN / AFP

Come sappiamo, i combattenti curdi hanno occupato i principali campi tenuti dal gruppo dello Stato islamico e da allora hanno contribuito a finanziare il loro autogoverno vendendo il greggio, principalmente, al governo siriano.

Ancora Sergei Ryabkov ha suggerito che i nuovi segnali contraddittori che gli Stati Uniti hanno inviato riguardo alla Siria potrebbero indicare il desiderio di Washington di mantenere condizioni che consentano una continua pressione su Damasco.
“Siamo decisamente preoccupati che i segnali della Casa Bianca possano riflettere proprio questo atteggiamento: preservare le condizioni attuali per continuare la pressione multicomponente sulle autorità legittime di Damasco”. E lo ha sottolineato, aggiungendo che “questo è il momento in cui non sono d’accordo e non possiamo essere d’accordo con gli Stati Uniti su tutta la situazione “.

Gli Stati Uniti stanno inviando truppe corazzate nei giacimenti petroliferi siriani. La Russia li censura come “banditi di stato”

Lasciano l’Iraq, che non li vuole, per andare a occupare i campi petroliferi siriani

Il rischieramento di rinforzi nella Siria orientale potrebbe significare l’invio di diverse centinaia di truppe, il che invertirebbe, in parte, la riduzione in corso della presenza di truppe statunitensi in Siria, colmata dalla Russia.

Venerdì, il segretario alla Difesa Mark Esper, ha descritto la forza inviata in rinforzo come “meccanizzata”, il che significa che probabilmente includerà veicoli corazzati come i trasporti della fanteria Bradley e, possibilmente, carri armati M-1 Abrams (30 secondo una fonte), sebbene i dettagli debbano essere ancora elaborati. Questo rischieramento di un reparto corazzato introdurrebbe una nuova dimensione nella presenza militare degli Stati Uniti, che era in gran parte composta da forze dei reparti speciali, che non sono equipaggiate con carri armati o con altri veicoli corazzati.

Esper ha parlato a una conferenza stampa presso il quartier generale della NATO a Bruxelles, dove si è consultato con gli alleati degli americani. Si sfiora l’entrata della NATO nel conflitto siriano, senza che i popoli europei ne siano consapevoli. Trump millanta come una sua vittoria il ritiro dal Rojava, senza fare parola dell’annuncio di Esper.

L’inviato speciale degli Stati Uniti per la Siria, James Jeffrey, ha detto venerdì a Ginevra di aver parlato con un funzionario russo di una questione non specificata sorta nella regione petrolifera siriana.
“Attualmente siamo molto preoccupati per alcuni sviluppi nel Sud, nella zona di Deir el-Zour”, ha detto Jeffrey. “Ne ho parlato con il mio collega russo e stiamo avendo altri contatti con i russi in merito a quella situazione. Pensiamo che ora sia sotto controllo”.
Sebbene Esper non abbia menzionato le dimensioni dei rinforzi statunitensi, potrebbero ammontare a diverse centinaia di soldati perché i carri armati, che consumano molto carburante e gli altri veicoli corazzati dipendono da un ampio reparto di supporto logistico e di rifornimento. Aggiungerei che la loro distruzione avrebbe un forte impatto sull’opinione pubblica.
Un funzionario, che ha discusso della pianificazione a condizione dell’anonimato, perché alcuni dettagli sono rimasti da concordare, ha avvertito che i carri armati potrebbero eventualmente essere eliminati dal mix a causa di problematiche logistiche, incluso il trasporto aereo.
I leader russi e turchi hanno ora stabilito i rispettivi ruoli per la sicurezza nel Nord-Est della Siria in seguito al inatteso ritiro delle truppe di Trump dalla regione di confine tra Turchia e Siria. La mossa americana ha suscitato critiche diffuse sul fatto che l’amministrazione degli Stati Uniti avesse abbandonato i combattenti curdi siriani che hanno combattuto a fianco degli Stati Uniti contro l’ISIS per diversi anni.
L’annuncio di Esper è arrivato anche mentre Trump ha nuovamente indicato nei tweet che la missione militare degli Stati Uniti in Siria è completata. In precedenza ha riconosciuto la volontà di aiutare a proteggere i giacimenti petroliferi nella Siria orientale, suggerendo che potrebbero trarne beneficio i curdi e gli Stati Uniti, sebbene tali risorse appartengano al governo siriano.
“Il petrolio è garantito”, ha twittato Trump venerdì. “I nostri soldati se ne sono andati e stanno lasciando la Siria per altri posti, poi …. RITORNO A CASA! … Quando questi sciocchi esperti che hanno sbagliato a meditare sul Medio Oriente per 20 anni chiedono che cosa stiamo per concludere, io semplicemente dico, “L’OLIO E STIAMO PORTANDO I NOSTRI SOLDATI A CASA, AL SICURO DALL’ISIS! “

Da Mosca, il Maj. Gen. Igor Konashenkov, portavoce del ministero, ha aggiunto che “tutti i depositi di idrocarburi e altri minerali situati nel territorio della Siria non appartengono ai terroristi dell’IS, e ancor meno ai” difensori americani dai terroristi dell’ISIS “, ma esclusivamente alla Repubblica araba siriana”. Ha anche affermato che “né il diritto internazionale, né la legislazione americana stessa possono giustificare l’obiettivo delle truppe statunitensi di proteggere le riserve di idrocarburi siriani dalla Siria stessa e dal suo popolo.

A convoy of U.S. vehicles is seen after withdrawing from northern Syria, on the outskirts of Dohuk, Iraq, October 21, 2019.
Un convoglio di veicoli statunitensi viene visto in Iraq, dopo il ritiro dalla Siria settentrionale, alla periferia di Dohuk il 21 ottobre 2019. REUTERS / Ari Jalal

L’accusa di Ryabkov è che gli Stati Uniti potranno usare la loro presenza di truppe vicino ai giacimenti petroliferi per continuare a esercitare pressioni su Damasco. “Ricordando il caso della petroliera iraniana Grace 1, diretta in Siria e sequestrata, aggiungerei: per privare il popolo siriano di ogni sua fonte di energia.

Tutte le parti hanno promesso di rispettare un cessate il fuoco in base all’accordo russo-turco, ma la SANA statale siriana ha riferito di un attacco di truppe turche e ribelli alleati siriani alle posizioni dell’esercito siriano giovedì, fuori dalla città di Tal Tamr. Tuttavia, le forze democratiche siriane a guida curda hanno detto giovedì che tre dei suoi combattenti sono stati uccisi in combattimenti con forze sostenute dalla Turchia.

Per “ucciso in combattimento” o “neutralizzato” i turchi intendono anche il prigioniero giustiziato

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha rinnovato la sua minaccia, giovedì, di riprendere l’offensiva militare se il suo paese continuasse ad essere “molestato” dalla milizia curda. Ha anche detto che la Turchia “schiaccerà” qualsiasi combattente curdo siriano che i suoi militari incontrano mentre cercano di proteggere le aree sotto il loro controllo.

La Siria afferma che le forze a guida turca hanno attaccato le sue truppe, mentre i turchi reclamano cinque feriti in uno strike curdo

L’agenzia di stampa SANA statale siriana afferma che le truppe turche e i suoi combattenti alleati hanno attaccato posizioni dell’esercito arabo-siriano fuori dalla città di Tal Tamr, rivendicando diversi “martiri”. Se questa non è guerra!

Le forze turche e i loro alleati hanno attaccato giovedì le truppe del governo siriano nella Siria nord-orientale, uccidendo alcuni soldati e si sono, anche, scontrate con combattenti a guida curda, hanno riferito l’agenzia di stampa statale a Damasco e un gruppo di monitoraggio della guerra.

Il ministero della difesa turco ha riferito che cinque militari militari turchi sono stati feriti attorno alla città di confine siriana di Ras al Ain in un attacco effettuato dalla milizia curda YPG giovedì, dopo che la milizia ha accusato Ankara di aver attaccato l’area.

L’attacco è stato condotto usando droni, mortai e armi leggere, ha detto il ministero in una dichiarazione, aggiungendo che le forze turche hanno risposto agli attacchi per autodifesa. Naturalmente.

I combattimenti hanno sottolineato i rischi di escalation della violenza, in quanto forze armate polivalenti e spesso opposte si spingono a occupare nuove posizioni negli stretti quartieri delle città siriane della zona di confine Nord-orientale.

Ciò che più preoccupa è la prospettiva di una collisione, non episodica, tra le forze del governo siriano e quelle irregolari turche, controllate dallo Stato Maggiore della Turchia, che includono combattenti ribelli siriani ed estremisti islamici contrari al presidente Bashar Assad.

I curdi non si lamentassero

Il comandante della forza a guida curda siriana, Mazloum Abdi, ha affermato che Trump gli ha assicurato in una telefonata che le forze americane “rimarranno qui a lungo e che la loro collaborazione con le forze democratiche siriane continuerà a lungo”.

Erdogan, nel frattempo, ha detto alla televisione di stato turca TRT che gli Stati Uniti dovrebbero consegnare Abdi alla Turchia, definendolo un “terrorista” ricercato in Turchia.

Ankara ha giustificato la sua pulizia etnica – tale deve essere definita la sostituzione di un etnia nel suo territorio – affermando che deve salvaguardare il territorio della Turchia e spera di reinsediare i rifugiati arabi-siriani ora ospitati dalla Turchia nell’area di confine.

L’offensiva turca, infatti, ha innescato nuovi flussi di rifugiati. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, l’UNHCR, ha affermato che finora oltre 10.100 rifugiati siriani, principalmente donne e bambini, sono entrati in Iraq in cerca di sicurezza. Ha anche stimato che circa 180.000 persone sono state sfollate all’interno del Nord-Est della Siria.

The Associated Press. Traduzione libera commentata.

2677.- Fini e magagne dell’asse franco-tedesco sulla Difesa. Parla il generale Camporini. Di Marco Orioles, Start.

PREMESSA

In sordina, l’Italia aderisce alla “European Intervention Initiative – EI2”

19 Settembre 2019

L’Italia, o meglio, chi si dice rappresentate degli italiani ha comunicato, ufficialmente, la volontà di aderire all’Iniziativa europea d’intervento, “European Intervention Initiative EI2”, fornendo la peculiare competenza nazionale nel settore securitario nella regione del Mediterraneo. Dell’iniziativa, che si fonda su un approccio innovativo alla cooperazione nella Difesa, ispirato alle idee di “interoperabilità politica” ed “anticipazione strategica”, fanno parte, oltre alla Francia, la Germania, il Regno Unito, la Spagna, il Portogallo, l’Olanda, il Belgio, la Danimarca, l’Estonia e la Finlandia.

La divisività degli italiani permea tutti i temi nazionali. La peculiare competenza nazionale nel settore securitario fa onore ai nostri militari, ma senza il sostegno di un popolo coeso, almeno, sulla sua sicurezza, vale zero. Siamo già soggetti all’Alleanza Atlantica. Porterei, piuttosto, lo sguardo ai paesi del Mediterraneo, che con tutta questa “competenza” vedono sventolare di più le bandiere turche, francesi e, naturalmente, quelle americana e russa.


L’INTERVISTA A VINCENZO CAMPORINI

F-35, Siria, Turchia, Trump e il progetto bandiera (European Intervention Initative) del presidente francese Macron. Temi e tesi del generale Vincenzo Camporini

Non si sbottona, il generale Vincenzo Camporini, quando – incontrandolo ieri in quel di Padova alla presentazione del saggio su Donald Trump di Germano Dottori – gli chiediamo se si senta sollevato dall’uscita di scena del governo Conte 1 e in particolare del suo ministro della Difesa Elisabetta Trenta.

Certo è che la polemica di cui l’ex capo di Stato Maggiore delle nostre Forze Armate si rese protagonista lo scorso 2 giugno, quando decise – in compagnia di altri colleghi di primissimo piano –  di disertare platealmente la parata militare organizzata per la Festa della Repubblica, sembra essersi smorzata nella mente di un uomo che conosce meglio di altri le necessità di un ambito, quello della Difesa, che sembrerebbe ormai, è la nostra deduzione, fuori pericolo.

Del resto, le rassicurazioni fatte da Giuseppe Conte, nella veste di capo del suo secondo esecutivo, a Donald Trump sui nostri impegni in merito agli F-35, sono già motivo di soddisfazione per un uomo come Camporini che in questa intervista a Start Magazine non può che ribadire quanto sia importante per il nostro Paese quello specifico investimento sia da un punto di vista strettamente militare, sia da quello del ritorno economico.

E se il giudizio di Camporini su un altro passo compiuto dal Conte 2 in materia di Difesa, la nostra adesioneall’European Intervention Initiative, è più sfumato, il generale accoglie con favore la partecipazione dell’Italia ad un progetto che, vedendoci dentro e non fuori, può se non altro essere guidato nella direzione a noi più conveniente.

Resta tuttavia ben fermo sullo sfondo di questa conversazione il pessimismo quasi cosmico di un ex protagonista del mondo militare in merito ad un’Europa che, nel contesto delle attuali turbolenze mondiali ben segnalate dai fatti drammatici di questi giorni al confine turco-siriano, resta ai margini di un gioco dove toccano palla solo le altre potenze, restituendoci la consueta sensazione di un continente dove si coltivano grandi ideali ma che resta letteralmente senza nerbo.

Allora generale, si sente rassicurato dal cambio della guardia al Ministero della Difesa?

Come voi ben sapete, io non ho lesinato le mie critiche alla gestione del governo precedente, e lei si ricorderà bene la mia decisione di disertare le celebrazioni del 2 giugno con una scelta che ha fatto più rumore di quel che pensavo all’inizio.

La risposta è sì?

La risposta è: vediamo quel che fa questo governo. Stiamo aspettando i dati di bilancio e vedremo a quel punto se l’atteggiamento del governo in carica è di consapevolezza della necessità, o meglio, della indispensabilità di uno strumento militare per la nostra politica, o se si continuerà con l’andazzo precedente.

Non ci sarà un Europa senza una Costituzione e finché Francia e Germania non abbasseranno le penne.

Subito dopo aver ricevuto l’incarico di formare il suo secondo governo, il primo ministro Conte è andato a Washington dove ha confermato solennemente l’impegno italiano sugli F-35. È contento, oppure anche lei nutre qualche timore per la presenza, nella coalizione politica che regge l’esecutivo, di una forza politica che non nasconde la propria avversione verso gli F-35 e che, se dipendesse solo da lei, opererebbe quasi certamente un taglio netto?

La parte politica a cui lei fa riferimento è totalmente inconsapevole delle dinamiche globali e quindi credo sia assolutamente fuori dalla realtà. La questione F-35 dovrebbe essere in primo piano e non solo per gli aspetti di carattere operativo che sono peraltro fondamentali, perché si tratta di un sistema d’arma completamente nuovo con capacità straordinarie, e non semplicemente di un aereo nuovo che ne sostituisce uno vecchio. Il punto è che ci sono questioni in ballo di carattere industriale, perché noi – come lei ben sa – abbiamo a Cameri la linea di assemblaggio dei nostri velivoli e di quelli olandesi, e quello è un investimento che promette ritorni importanti al nostro sistema-paese.

Temo che queste sue osservazioni lascino del tutto indifferenti l’elettore medio grillino. Se dovesse rivolgersi proprio a lui, cosa gli direbbe per convincerlo dell’utilità, per un paese come il nostro, degli F-35?

Gli direi, molto semplicemente, che le macchine che abbiamo in servizio oggi non sono in grado di essere integrate in una forza comune, e quindi se schierate in una coalizione rischiano non solo di dare alcun apporto, ma di essere addirittura un peso. E poi gli direi che, nel mondo hobbesiano in cui viviamo, avere la disponibilità di uno strumento che possa consentire l’uso della forza quando è indispensabile, e nella misura in cui è indispensabile, non può essere messo in dubbio. Poi è chiaro che tutti quanti vorremmo un mondo pacifico, o francescano se preferisce, ma purtroppo non è così.

È mio dovere ricordarle che quando un sottosegretario grillino del Conte 1 disse qualcosa di molto simile, fu linciato dal suo partito. In tali circostanze, pensa che riusciremo davvero a mantenere i nostri impegni con gli Usa sugli F-35?

È chiaro che il futuro è in grembo a Giove. Confido tuttavia sul fatto che l’impegno sarà mantenuto. E che raccoglieremo questa opportunità straordinaria. Segnalo che qualche giorno fa il capo dello Stato maggiore dell’aeronautica di un Paese che ha deciso da poco di acquistare gli F-35, la Polonia, è stato a Cameri. Se il governo polacco si convincesse a far assemblare a Cameri i suoi aerei ci sarebbe tantissimo lavoro per noi. E devo precisare che si tratta di investimenti e posti di lavoro che non durano lo spazio di un mattino, perché si tratta di una macchina che rimarrà in servizio per almeno quarant’anni. Questo vuol dire che quei posti di lavoro sono garantiti per almeno quarant’anni. Sfido chiunque a indicarmi una qualsiasi impresa industriale che garantisca posti di lavoro per un tempo equivalente.

Sotto il profilo dell’investimento si tratta insomma di un ghiotto affare per l’Italia.

È dimostrato che il moltiplicatore degli investimenti nel settore aerospaziale è più elevato che in quasi tutti gli altri comparti industriali. Quindi, ogni euro speso rende molto di più di quanto costi, e lo rende per un tempo molto lungo. Io credo che chi governa un paese non possa rimanere indifferente di fronte a questa nozione elementare.

Gli Stati Uniti enumerano le criticità di questo aeroplano; gli F-22 hanno un coefficiente di efficienza basso e stanno rimodernando i vecchi caccia. L’F-35 nasce secondo nella graduatoria dei caccia di quinta generazione: un altro F-104; ma i suoi sistemi offrono al Pentagono il controllo istantaneo del sistema difesa degli alleati. Un aeroplano che assorbe troppo delle nostre risorse Quanti altri investimenti offrirebbe il campo aerospaziale?

Oltre a confermare l’impegno sugli F-35, il nuovo governo ha fatto un secondo passo rilevante nel campo della Difesa: l’adesione all’European Intervention Initative (EI2), il progetto bandiera del presidente francese Macron che è stato accompagnato da un codazzo di polemiche. Lei che ne pensa?

Trovo che l’idea francese sia viziata da un’essenza franco-centrica che la rende difficilmente appetibile. È un’iniziativa che si pone al di fuori della Nato e dell’Ue. E per questo dunque a me non piace. Cionostante, la mia posizione assomiglia a quella di altri ed è che bisogna esserci dentro. Perché se uno non partecipa a questo tipo di iniziative, non può poi sperare di potere in qualche modo controllarle e indirizzarle. Trovo dunque opportuna una presenza che non vuol dire approvazione delle modalità o delle finalità.

Certo è che il modo quasi furtivo con cui è stata annunciata la nostra adesione fa riflettere. Cosa indica?

Indica che su certi temi l’attenzione politica è abbastanza ridotta, purtroppo. Ci sono cose che preoccupano i nostri governanti molto di più. I temi della sicurezza e della difesa sono purtroppo in secondo piano. Non se ne parla, o se ne parla sottovoce. Ma questa ovviamente non è una novità. È un brutto vizio che continua.

Eppure, questo dovrebbe essere il momento in cui portare in primo piano certe discussioni. In fin dei conti, abbiamo la guerra ai nostri confini, in Ucraina come in Libia, e stiamo facendo ancora dibattiti astratti. Perché?

Perché l’Europa è guidata da politici che rispondono alle rispettive opinioni pubbliche nazionali, le quali hanno goduto negli ultimi 70 anni un lungo periodo di pace mai visto prima, e ciò le ha portate a credere che la guerra sia stata messa fuori dalla storia. Così non è, come sanno benissimo nei Balcani Occidentali, in Ucraina o in Medio Oriente. Senza una presa di coscienza di tutto ciò da parte dell’opinione pubblica, i nostri governanti continueranno a mettere la testa sotto la sabbia.

Le chiacchiere a stelle e strisce non incantano più nessuno

In questi giorni c’è stata una gravissima crisi al confine turco-siriano, anzi era cominciata una vera e propria guerra che è stata bloccata dopo l’intervento delle grandi potenze. Che prova ha dato l’Europa in questa circostanza?

Una prova di totale assenza, se non di indifferenza. Col risultato di lasciare campo libero alle forze che invece sul terreno vogliono imporsi, che sono quelle della Turchia di Erdogan, della Russia di Putin, della Siria di Assad e chi più ne ha più ne metta. Gente, insomma, che è ben consapevole che i progetti politici devono essere sostenuti con la forza.

In fuga verso i pozzi di petrolio

Ecco, però i popoli europei, quello italiano incluso, si sono mobilitati e hanno urlato a gran voce il loro grido di dolore per i curdi traditi da Trump e aggrediti dal Sultano… 

È proprio quello che stavo dicendo prima. L’atteggiamento europeo è stato soltanto vocale, non accompagnato da alcun segno di volontà politica di voler proteggere e aiutare chi ci ha tolto le castagne dal fuoco sconfiggendo l’Isis. È un atteggiamento che non risponde certo all’esigenza di affermare la presenza e la visibilità di un’Ue che ha dimostrato oltretutto una scarsa coesione. Il risultato di tutto questo è l’assoluta irrilevanza della posizione dei singoli paesi europei, che essendo delle micro-unità nell’ambito della dialettica tra grandi potenze non hanno alcun modo né di farsi ascoltare né di dare un contributo alla gestione dei problemi.

La sequenza un po’ schizoide delle decisioni degli ultimi dieci mesi di Donald Trump in Siria si conclude con i soldati americani che abbandonano il campo tra lanci di patate e pomodori da parte della popolazione civile di quei territori martoriati. Cosa ne pensa di queste defaillance dell’impero Usa?

L’osservazione da fare qui è di tipo storico-strategico ed è che gli Usa sono stanchi di guardare a quello che succede nel mondo come se loro ne fossero responsabili e dovessero intervenire comunque. Non parlerei comunque di atteggiamento schizoide. È vero che Trump è un elemento molto folkloristico, ma lui non ha fatto altro che interpretare una tendenza che già con Obama era chiarissima. Lo sta facendo se vogliamo in modo un po’ grossolano, ma sta continuando a fare quello che gli americani gli chiedono di fare.

2676.- Dall’ISIS al petrolio siriano: 5 Grandi Bugie Trump che continua a raccontare sulla sua politica in Siria

SouthFront Maps

I più grandi giacimenti petroliferi della Siria, tra cui al-Omar e Rmelan, si trovano nella regione Nord-orientale. Prima della guerra, la Siria produceva 387mila barili di petrolio al giorno, di cui 140mila venivano esportati. Nella regione Nord-orientale si trovano anche strutture per il trattamento chiave come la fabbrica di gas CONICO. Questi giacimenti petroliferi sono ancora controllati dalle forze democratiche siriane (SDF), cioè, dai curdi e dalle milizie arabe locali, che gestiscono un commercio illegale di petrolio nella regione. Il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov ha dichiarato il 23 ottobre che “tutto” dovrebbe tornare sotto il controllo del governo legittimo a Damasco, sottolineando che ciò non significherà la fine del processo politico nel paese devastato dalla guerra. Da parte sua, il Pentagono ha inviato circa 200 soldati nella regione per controllare “insieme ai curdi” i giacimenti petroliferi e impedire alle truppe siriane di riconquistarli. Ma i curdi saranno così ingenui da accettare questa nuova, un pò volgare alleanza?

Donald Trump speaks during a cabinet meeting at the White House, October 21, 2019.
Donald Trump parla durante una riunione di gabinetto alla Casa Bianca, il 21 ottobre 2019.Pablo Martinez Monsivais / AP

Trump ha sbagliato i suoi resoconti su almeno cinque punti chiave del conflitto siriano

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha rilasciato diverse dichiarazioni errate o fuorvianti sulla battaglia quinquennale contro il gruppo dello Stato islamico mentre cerca di porre fine a quelle che chiama “guerre senza fine” e di spiegare il brusco abbandono dei partner curdi d’America di fronte a un’offensiva turca .

TRUMP: LO SFORZO DEI LED USA PER DEFORMARE IL GRUPPO DI STATO ISLAMICO È STATO “UN MESS” PRIMA CHE IO PRENDESSI L’UFFICIO.

È ben vero che ha accelerato la spinta militare in Siria, in parte dando maggiore autorità ai comandanti statunitensi sul campo. Ma fu durante l’amministrazione Obama che la forza guidata dai curdi fu reclutata, organizzata e addestrata per sradicare il gruppo dello Stato Islamico.

Trump ha anche erroneamente affermato lunedì che le forze statunitensi sono state in Siria per 10 anni (a meno che non via siano state per svolgere un’azione destabilizzatrice, per due anni prima che esplodesse la rivolta).

L’esercito americano sotto Obama ha iniziato la sua spinta per contrastare il gruppo dello Stato islamico, a volte indicato come il gruppo IS o ISIS, a partire dall’estate del 2014. Lo sforzo è iniziato in Iraq, dove gli estremisti avevano catturato gran parte delle parti settentrionale e occidentale del paese, comprese le città chiave di Ramadi e Mosul. In Iraq, a differenza della Siria, le forze statunitensi avevano un partner valido nel governo iracheno.

Ash Carter, che ha guidato il Pentagono dall’inizio del 2015 fino a quando Trump è stato inaugurato a gennaio 2017, ha riconosciuto: “Abbiamo impiegato più tempo del necessario per mettere insieme il nostro piano” e una strategia efficace per raggiungere una sconfitta duratura del gruppo dello Stato islamico. Ma la campagna fu quasi un “disastro”, fin quando Trump prese il sopravvento.

In effetti, Mosul in Iraq e Raqqa in Siria erano sul punto di cadere e gli elementi per il successo militare erano ampiamente in atto. L’Iraq ha dichiarato la vittoria sul gruppo dello Stato islamico nel dicembre 2017 e le forze curde appoggiate dagli Stati Uniti hanno dichiarato la vittoria in Siria nel marzo di quest’anno. Rimane una questione aperta se questi successi si dimostreranno duraturi.

Raqqa. L’80% degli edifici è distrutto. Un’altra Dresda,

TRUMP HA ASSICURATO CHE IL GRUPPO DI STATO ISLAMICO È DISFATTO. “ABBIAMO UCCISO L’ISIS”, HA DETTO IL 12 OTTOBRE.

Nessuno contesta il fatto che il gruppo dello Stato islamico abbia perso il suo “califfato” – l’ampia fascia di territorio che un tempo controllava in alcune parti della Siria e dell’Iraq. Ma il gruppo rimane una minaccia per riemergere se le condizioni che ne hanno consentito la nascita, tra cui la guerra civile in Siria e la mancanza di un governo efficace in Iraq, non vengono corrette.

Il senatore repubblicano Liz Cheney del Wyoming ha dichiarato quando la Turchia ha lanciato la sua offensiva nel nord della Siria il 9 ottobre che era “impossibile capire” perché Trump stava abbandonando i curdi e “consentendo il ritorno dell’ISIS”.

Un’altra preoccupazione è che il caos innescato dall’incursione turca del 9 ottobre, che ha seguito la decisione di Trump di far allontanare circa due dozzine di soldati americani dalla zona di attacco, potrebbe consentire a un numero maggiore di combattenti di stato islamico di sfuggire alle carceri, che sono state gestite dai curdi ora sotto attacco. Ecco due buoni motivi per la decisione di Trump: La liberazione dei terroristi e l’insediamento di una compagnia petrolifera americana nella regione Nord-orientale, con un battaglione di 30 carri armati a sua difesa e la solita carne da macello dei curdi, chiamata, ora, Sirian Democratic Forces.

Un popolo straniero nella sua terra

Sull’argomento, un estratto dell’articolo di Francesco De Palo, su Formiche:

“Che fine farà il petrolio siriano dopo l’accordo tra Ankara e Mosca?

“… Non va dimenticato che all’inizio dello scorso anno, mercenari paramilitari russi e forze pro-Assad avevano attaccato un giacimento petrolifero vicino a Deir al-Zour. Ma un gruppo di marines statunitensi contribuì a respingere l’attacco. Lecito chiedersi: nel prossimo futuro esiste il rischio che si sviluppino altri scontri per la supremazia in quel territorio ricco di greggio?

SOCHI

Qualche giorno fa il presidente americano Donald Trump, commentando l’accordo di Sochi, ha detto di voler lavorare con i curdi “in modo che abbiano un po’ di soldi, in modo che abbiano un certo flusso di cassa”. Aggiungendo che è allo studio la possibile presenza in quel fazzoletto di Siria di una delle maggiori compagnie petrolifere Usa. Per cui, come sostenuto da alcuni media americani, gli Stati Uniti hanno elaborato un piano per inviare truppe e carri armati a guardia dei giacimenti petroliferi orientali della Siria proprio durante le fasi del ritiro dal nord del Paese.” …

TRUMP HA DETTO È DA DIVERSO TEMPO CHE TRUPPE USA SONO COINVOLTE NELLA CAMPAGNA CONTRO LO STATO ISLAMICO. STANNO TORNANDO A CASA.

Tump ha detto: L’ISIS è stato distrutto, ma sul campo, la situazione è un’altra.

Per ora, almeno, questo non è vero. La maggior parte delle circa 1.000 truppe che lasciano la Siria andranno in Iraq, almeno temporaneamente, o in altre località del Medio Oriente come la Giordania. Il Pentagono afferma che sta, ancora, lavorando suI piani per continuare la campagna anti-IS in Siria e Iraq.

“Stiamo riportando i nostri soldati a casa”, ha detto Trump.

Hogan Gidley, un vice segretario stampa della Casa Bianca, ha dichiarato che Trump si riferisce a un obiettivo che deve essere bilanciato con altre considerazioni.

“Alla fine il presidente vuole riportare a casa tutte queste truppe”, ha detto Gidley. “Era il suo obiettivo quando era in campagna elettorale. Questo è quello che vuole fare ora. Ma vuole anche garantire stabilità nella regione. “

TRUMP DICE: “GLI STATI UNITI CONTROLLANO IL PETROLIO SIRIANO.

Siglata la tregua che ha fermato la guerra in Siria tra la Turchia e le milizie Ypg, adesso Stati Uniti e Russia si stanno spartendo i giacimenti di petrolio che fino a poco tempo fa erano in mano ai curdi.

“Ne abbiamo preso il controllo”, ha detto il 18 ottobre, riferendosi al petrolio. Tre giorni dopo, ha confermato la sua tesi secondo cui quando gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq nel 2003, avrebbero dovuto prendere il controllo del petrolio dell’Iraq. “Ho sempre detto:” Se entri, tieni il petrolio. “Stessa cosa qui (in Siria). Tieni l’olio.

PUTIN DICE: “QUEL PETROLIO È SIRIANO”.

Il governo siriano dovrebbe riprendere il controllo di tutte le strutture petrolifere nel nord-est del paese, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa RIA Novosti il ministero degli Affari esteri russo. In effetti, per legge, quel petrolio è siriano.

Trump afferma che sta prendendo in considerazione un piano per far sì che un numero limitato di truppe statunitensi rimanga nella province produttrici di petrolio della Siria orientale, in modo che né il gruppo dello Stato islamico né qualcun altro possa assumere il controllo dei giacimenti petroliferi e utilizzarli per generare entrate, come attraverso il contrabbando di petrolio (turchi?).

TRUMP, NOVE GIORNI NELLE MANI DEL TURCO: I KURDS SIRIANI SONO “MOLTO FELICI DI COME STANNO ANDANDO LE COSE”.

Il comandante delle forze curde, Mazloum Abdi, ha accolto con favore il cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti lungo una porzione limitata del confine tra Siria e Turchia, ma è stato anche citato da organizzazioni giornalistiche che affermano abbia detto di sentirsi tradito dagli Stati Uniti.

Con l’uscita delle forze statunitensi, i curdi affrontano la possibilità di un cupo futuro. Un’acquisizione del territorio da parte turca significherebbe schiacciare l’autogoverno che avevano scavato nel nord-est in mezzo alla lunga guerra civile siriana. Temono inoltre un massiccio cambiamento demografico, poiché i civili curdi fuggono dal controllo turco, mentre si rifugiano principalmente rifugiati siriani arabi.

The Associated Press

La grande spartizione è iniziata. Che fine farà il petrolio siriano dopo l’accordo tra Ankara e Mosca? Poi, sarà la volta della Libia.

Come Usa e Russia si stanno dividendo il petrolio dei curdi siriani

 Alessandro Cipolla

Da quando ha preso il via l’operazione “Fonte di pace”, ovvero l’invasione del Nord della Siria da parte della Turchia, sono stati versati fiumi di inchiostro per cercare di spiegare le ragioni di questa guerra contro i curdi voluta da Ankara.

Il mantra ripetuto dal governo turco era quello della necessità di realizzare una zona cuscinetto lungo il confine siriano, così da allontanare la minaccia terroristica e dare una casa ai milioni di rifugiatipresenti nel proprio territorio dopo la prezzolata chiusura della rotta balcanica.

Di mezzo poi ci sono tre spettatori interessati: il governo siriano di Assad, la Russia e gli Stati Uniti. Non pervenuta invece l’Unione Europea, così come l’ONU o la NATO, incapace di prendere una posizione forte di fronte all’invasione turca.

Ora che è stata siglata la tregua grazie a un’intesa tra Erdogan e Putin, emerge il legittimo sospetto che alla base di tutto ci siano ancora una volta i grossi interessi in ballo nella zona, tra petrolio e progetti di ricostruzione, con i curdi che, ancora una volta, sono quelli che ci hanno rimesso.

Prima dell’invasione della Turchia, le milizie curde gestivano buona parte del territorio del Nord della Siria dopo averle sottratte con il supporto degli Usa all’Isis, che in quella zona aveva fondato il proprio sedicente Stato Islamico.

Un vasto fazzoletto di terra dove sono presenti la quasi totalità dei giacimenti siriani di petrolio e gas. Durante i tre anni del califfato, si è stimato che l’Isis poteva garantirsi 1,5 milioni di dollari al giorno dal contrabbando di queste materie. Ricordiamo i convogli di autocisterne dell’ISIS diretti in Turchia e attaccati dal cielo.

Quando Donald Trump ha deciso di richiamare le proprie truppe di stanza nel Rojava, Recep Tayyip Erdogan ha avuto come il via libera per invadere quella terra che nelle mire di Ankara doveva diventare una zona cuscinetto.

Sotto il peso delle bombe turche, i curdi per evitare una carneficina hanno quindi chiesto l’aiuto dell’esercito regolare di Damasco che così è tornato a prendere possesso del ricco territorio da tempo sfuggito dal proprio controllo.

Con la tregua prima abbozzata dalla Casa Bianca e poi sancita dalla Russia, la Turchia ha quindi ottenuto il ritiro delle truppo Ypg oltre 30 chilometri dal proprio confine potendo così prendere la gestione della tanto voluta safety zone.

Adesso Erdogan potrà in quel territorio mettere in atto una straordinaria sostituzione etnica: via i curdi e dentro gli oltre tre milioni di rifugiati. Soprattutto adesso potrà partire un piano per la costruzione di case, ospedali e scuole da un valore complessivo di 27 miliardi di dollari, finanziati anche dall’Occidente.

Se la Turchia più sorridere anche il regime di Assad, quindi di riflesso la Russia, può ritenersi soddisfatto. Senza dover sparare un solo colpo, la bandiera sirianaè tornata a sventolare in diverse città dove negli ultimi anni prima c’è stato il vessillo del Daesh e poi quello del Kurdistan.

La provincia di Deir Ez Zor, che è quella più ricca di petrolio ed è stata a lungo il vero polmone economico dell’Isis, potrà tornare così a essere sotto la totale egemonia di Damasco con i curdi che rischiano di essere tagliati fuori.

Per ultimo gli Stati Uniti, dopo aver dato l’avvio alla guerra decidendo di ritirare il migliaio di soldati che erano dislocati nel Rojava, hanno ora deciso di lasciare delle truppe a guardia di alcuni pozzi petroliferi, per la gioia di aziende a stelle e strisce. Pensate! “allo scopo di non permettere ai jihadisti di prenderne di nuovo il controllo”.

Dopo aver lasciato sul campo 10.000 guerriglieri per non parlare della sofferenza dei civili, i curdi adesso vedono svanire non solo il sogno di una parziale indipendenza del Rojava, ma rischiano di perdere anche quel vitale sostentamento economico che garantiva lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas.

Quello che si è consumato in Siria è stato quindi una sorta di delitto perfetto, messo in atto da Turchia, USA e Russia, con il popolo curdo ancora una volta nei panni della vittima sacrificale.

Un volantino pubblicato dalla presidenza siriana il 21 ottobre 2019, mostra gli ufficiali di Assad e dell’esercito ad al-Habit ai margini meridionali della provincia di Idlib. Turchia, USA e Russia, tutti, meno i curdi, hanno guadagnato ciò che volevano, ma anche la Siria. Assad ha riportato il suo esercito senza colpo ferire nei territori occupati dall’SDF, YPG. L’Unione europea non serve a niente.