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6076.- Le Sea Watch 5 lanciata «contro la politica migratoria razzista» d’Italia

L’immigrazione è diventata un’arma da cui difendersi e sappiamo da chi.

Da Boulevard Voltaire, di Marie d’Armagnac, 16 novembre 2023. Traduzione libera.

«Noi siamo politici e religiosi indipendenti e siamo finanziati da noi», è scritto sul sito di Sea Watch, una ONG qui, per il conto di United4Rescue, una ONG che noleggia imbarcazioni per esplorare il Mediterraneo centrale, dicono, e soprattutto per stazionarsi al largo delle coste della Tunisia e della Libia per recuperare i migranti imbarcati dai trafficanti su imbarcazioni poco galleggianti e portarli al “porto sicuro” più vicino. Che, per loro, è sempre italiano e non tunisino.

Avendo con me Stephen Born, coordinatore del lavoro, responsabile per una ragione puramente politica della nave Sea-Watch 5, un grande bastimento che può accogliere 500 migranti, cambiando bandiera, sostituendo il cielo di Gibilterra con la bandiera alemanna che «ha il vantaggio di avere un po’ più di influenza politica se venissi effettivamente arrestato», riferisce Il Giornale.

Si tratta di un finanziamento di due milioni di euro deciso dal Bundestag e dalla coalizione governativa rossa nella legge finanziaria 2022, che alimenta in parte l’ONG, un finanziamento pubblico, molto politico.

Quindi, il commento è stato trasmesso dal messaggio eminentemente politico lanciato il 15 novembre dalla ONG Sea Watch-Italia nell’ambito del partenariato Sea-Watch 5 con il Mediterraneo Centrale. “Mentre l’Europa ignora il dramma della morte in mare, ma gli Stati europei si lanciano sul fronte dei manicomi e hanno occhi per i diritti umani, la Sea-Watch 5 prende le cose in grande. […] Lo facciamo, consapevoli della campagna di criminalizzazione del salvataggio in mare e di tutte le norme che rendono più difficile salvare chi rischia la vita. […] nonostante le politiche razziste, nonostante gli attacchi, nonostante tutto. “Non hanno ancora esplorato i 2.400 morti in mare, ma non sai che queste campagne mediatiche sono un formidabile avvallo per i migranti? Infatti in questo momento e all’inizio dell’inverno, riporta il Corriere della Sera, lanciano i saldi: “Per mille euro siete in Europa! »

“Lo facciamo contro le politiche razziste sull’immigrazione dell’estrema destra italiana”, aggiunge l’account X di Sea Watch International.

E infatti è contro il governo Meloni e le misure adottate per regolamentare rigorosamente l’attività di queste ONG ultrapoliticizzate che viene lanciata questa campagna marittima. Infatti, si chiede Il Giornale, perché navigare su un’imbarcazione di tali proporzioni quando sappiamo che, a partire dal decreto Sicurezza di Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno italiano, le navi delle ONG devono sistematicamente dirigersi, senza deviare, verso i porti loro assegnati dal porto? autorità dal primo salvataggio effettuato? Sono previste sanzioni, prima pecuniarie, poi il sequestro in caso di violazioni ripetute. La ONG ha pianificato, volontariamente, di scontrarsi con il governo italiano?

Il 15 novembre l’aviazione civile italiana ha inviato un avvertimento alla ONG che fa decollare i propri aerei da ricognizione dall’isola di Lampedusa (dopo che Malta ha deciso di vietarli), perché aeroporto di competenza esclusiva dello Stato italiano.

In breve, come possiamo meglio dimostrare le ripetute violazioni della sovranità compiute di fatto da queste ONG?

L’ultimo tentativo del governo italiano di intimidirci è molto preoccupante. Qualche giorno fa abbiamo ricevuto un avvertimento dall’autorità dell’aviazione civile italiana in merito al nostro lavoro di monitoraggio aereo nel Mediterraneo centrale. (Thread… 1/4 )

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4511.-Guerra navale: La nuovissima “Open Arms Uno” e la “Mare Jonio 2” contro le coste italiane.


Mentre ai confini Est l’Europa si difende dall’attacco dei trafficanti, il fianco Sud è una falla, ma rende. Le ONG immigrazioniste Open Arms e Mediterranea Saving Humans presentano ciascuna le loro nuove navi, una con capacità di almeno 300 migranti e l’altra di 1.000!

Julien Michel

Gli stessi attivisti delle ONG spagnole hanno dato la notizia. “Benvenuti in Open Arms Uno, la nuova ammiraglia della Open Arms per raggiungere più velocemente il territorio, per garantire protezione a un maggior numero di persone, per essere più efficaci nella difesa dei diritti dei più vulnerabili, per stare dalla parte civile ”.

L’Ong Open Arms è stata recentemente sui media dopo il processo iniziato il 23 ottobre a Palermo contro l’ex ministro Matteo Salvini. Un caso nato da un fascicolo aperto dalla Procura di Agrigento contro il segretario della Lega dopo il suo rifiuto, in qualità di ministro dell’Interno, di acconsentire allo sbarco della Open Arms in un porto italiano nell’agosto 2019.

In nome di chi?

A Palermo, l’americano l’attore Richard Gere potrebbe venire a testimoniare contro Salvini!
La nuova nave è stata acquistata con una donazione del “filantropo” argentino Enrique Piñeyro. Lo hanno reso noto gli stessi attivisti. “Enrique Piñeyro, il filantropo argentino che ha avviato una stretta collaborazione con Open Arms attraverso la ONG Solidarnosc di cui è a capo, si è unito alla nostra missione in mare vendendo la nave Open Arms Uno alla nostra organizzazione”.

Sappiamo, prima di tutto, della nuova nave a disposizione dell’organizzazione spagnola che sarà molto più grande dell’attuale ammiraglia. Almeno 300 posti a bordo, incrementabili in caso di emergenza. All’interno trova spazio anche un ospedale da 26 posti letto. Ci sono invece 31 posti per i membri dell’equipaggio.

Il traffico di umani rende bene

Con la nave Geo Barents, Medici Senza Frontiere è tornata al soccorso in mare dei rifugiati nel Mediterraneo nel giugno 2021.

Open Arms non è l’unica ONG a presentare una nuova nave. Nei mesi scorsi, l’ONG Medici Senza Frontiere ha messo in mare i GeoBarents, mentre l’italiana Mediterranea Saving Humans potrebbe lanciare il Mare Jonio 2 nei prossimi mesi.

Brema è iniziato il conto alla rovescia per la fine dei lavori sulla Mare Jonio 2, un mercantile norvegese adibito al trasporto di piattaforme galleggianti. La nuova nave di Mediterranea Saving Humans sarà la più capiente tra quelle in possesso delle Ong.

Sono stati resi noti alcuni numeri: 72 metri di lunghezza, un ponte di coperta di 540 metri quadrati, una capienza che potrebbe arrivare anche a mille posti. E poi anche due gommoni da 8.60 metri a bordo, assieme ad almeno due droni, a visori notturni e a un pallone aerostatico. Un equipaggiamento quindi paragonabile a quello di una nave da guerra. Ecco l’ong dei centri sociali nata solo per sfidare Salvini

Qualcosa in più adesso si conosce a proposito di altri numeri, quelli cioè relativi ai costi. Così come sottolineato su Libero da Alessandro Gonzato, la Mare Jonio 2 potrebbe essere costata a Mediterranea 800mila Euro. A questo occorre aggiungere anche i costi relativi al riallestimento e ai lavori che verranno svolti nel cantiere navale di Brema.

Ma non solo. Quando la nave solcherà il Mediterraneo centrale nel tratto di mare in cui scorrono i flussi migratori provenienti dalla Libia, l’Ong italiana per mantenere in moto la Mare Jonio 2 potrebbe arrivare a spendere fino a 100mila Euro al mese. Senza contare, all’interno di questa cifra, le spese per i 36 uomini di equipaggio previsti a bordo.

Numeri importanti quindi, anche perché una nave del genere ha comunque bisogno di una costante (e costosa) manutenzione. Anche l’attuale Mare Jonio, molto più piccola ed acquistata nei primi mesi di vita dell’Ong, richiede costantemente lavori. Dalla messa in sicurezza all’adeguamento alle norme per il trasporto marittimo, la manutenzione richiede tempo e denaro. Il mezzo usato dall’organizzazione italiana proprio in questi giorni è a Venezia per dei lavori.

Evidentemente richiamare ai principi di umanità fa ottenere un certo successo sul fronte della raccolta fondi. Perché Mediterranea ha sempre dichiarato di finanziarsi con donazioni private o con iniziative di crowdfounding. Di certo, all’Ong italiana non mancano gli appoggi politici. Quando si è costituita, il primo finanziamento è stato dato da Banca Etica e tra i garanti sono risultati alcuni esponenti del centro sinistra. Tra questi, anche l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola. Poi nel corso degli anni, specialmente da quando il capomissione della Mare Jonio ha rivendicato la sfida contro i decreti sicurezza di Salvini, l’Ong è stata appoggiata dai sindaci di Palermo e Napoli, Leoluca Orlando e Luigi De Magistris.

E oggi, forse anche grazie a questo, gli attivisti hanno potuto racimolare un bel “tesoretto” a giudicare dagli esosi esborsi attuati per avere la nuova Mare Jonio.

4232.- Chi è stato Gino Strada.

GINO STRADA CHIAMAVA “SBIRRI” I POLIZIOTTI, MA CHI ERA? (1399)

1399. , ONG, Politica italiana

Ora che è morto e che l’ora dei necrologi si tende a celebrare il bene che ha fatto, ma sono certo di rendergli un miglior servizio tornando a raccontare chi è stato e cosa ci lasciano quelli come lui. Non solo fiori!

C’è uno strano caso di “silenzio stampa” in questo nostro grande paese: quello riguardante il passato violento del dottor Gino Strada. Il pacifista, la colomba, l’uomo che ama il bene e fa del bene, il missionario laico che va in soccorso degli oppressi, colui che predica col ramoscello d’ulivo in bocca, trafficante all’occorrenza, è lo stesso che faceva da “luogotenente” – insieme al futuro odontoiatra Leghissa – a Luca Cafiero il famigerato capo del servizio d’ordine del famigerato Movimento Studentesco del l’Università Statale di Milano, quello dei terribili e mai dimenticati “katanghesi”. Chi è Gino Strada e perché è una figura controversa? Non ho mai visto molta limpidezza nelle attività di Strada all’estero e nei troppi contatti di Emergency con i servizi stranieri. Insomma, è un uomo controverso che non è stato mai un santo, che è stato candidato al premio Nobel e, fortunatamente, non l’ha vinto e che ha vissuto e vive da protagonista. Pescando qua e là sul web, diamo uno sguardo al suo passato.

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Chiama “sbirri” i poliziotti e il suo passato ci spiega il perche’. L’altra faccia dell’antipolizia, già attivista del famigerato e violentissimo “movimento studentesco”e responsabile nel gruppo di servizio d’ordine “Lenin” della facoltà di medicina.

Sì, è proprio lui: il “pacifista” Gino Strada, colui che oggi dà dei “delinquenti politici” agli esponenti della casa della Libertà e dei DS che non vogliono soggiacere ai suoi diktat di aspirante leader politico che sogna un seggio in Parlamento.Per l’esattezza Strada, insieme a Leghissa, era il capo del servizio d’ordine di Medicina e Scienze e il suo gruppo o squadra aveva questo inequivocabile nome: “Lenin”, un nome tanto illustre nella storia del comunismo. La “Lenin” era giudicata da Luca Cafiero quale la più fidata ed aggressiva, costituendo in tal modo una sorta di unità scelta. Questa era un’organizzazione di estrema sinistra, il quale si auto-definiva “stalinista”, al punto da gridava nelle proprie manifestazioni “viva Stalin, viva Berja, via la Ghepeu”, in questo modo inneggiando sia al dittatore georgiano, sia al più noto dei suoi capi dei servizi segreti. Questo movimento disponeva del più organizzato e pericoloso fra tutti i “servizi d’ordine”, in realtà reparti paramilitari, di quegli anni, i cosiddetti “katanga” o “katanghesi”.

I “katanghesi” avevano un armamento individuale uniforme ed accuratamente predisposto dai loro capi: il casco da combattimento, tuta, mascherina anti gas, le “caramelle”, ossia sassi nelle tasche (con l’obbligo di portarli sempre con sé), e la cosiddetta “penna”, la famosa Hazet 36 cromata, una chiave inglese d’acciaio lunga quasi mezzo metro che andava nascosta sotto l’eskimo o nelle tasche del loden, tipici segni di riconoscimento degli estremisti comunisti dell’epoca.

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Questi estremisti avevano infine selezionato la Hazet 36 dopo aver scartato altri strumenti di offesa, quali i manici di piccone, le mazze ecc., poiché avevano sperimentato direttamente che presentavano rispetto alla chiave inglese una minore efficacia. La “penna” aveva anche il vantaggio aggiuntivo di facilitare la difesa in caso d’arresto, poiché si poteva tentare di giustificarla quale “strumento di lavoro”. I “katanghesi” non erano soltanto armati, ma molto bene organizzati e disciplinati, con una serie di reparti inquadrati da comandanti ed una disciplina interna molto severa. Manovravano sulle piazze e nelle vie in formazioni serrate ed ordinate, di centinaia e centinaia di uomini, simili all’assetto da battaglia di una coorte romana. Accadeva sovente che non fosse la polizia ad attaccarli, ma al contrario che fossero i “katanga” a caricare la polizia con estrema violenza.

Non arretravano di un millimetro nemmeno di fronte agli scudi della polizia in assetto da combattimento. Semmai, purtroppo avveniva talvolta il contrario.

Oltre alla polizia ed ai carabinieri, il Movimento Studentesco assaliva gli avversari di destra, e giudicava nemici praticamente tutti gli altri movimenti di sinistra di quegli anni: Avanguardia Operaia, Lotta Continua, Lotta Comunista (con cui si ebbe a Milano uno scontro di straordinaria violenza), ed altri ancora. Persino i primi gruppi di Comunione e Liberazione, del tutto pacifici, furono vittime della violenza del “Movimento Studentesco”.

Gino Strada era membro di tale organizzazione paramilitare stalinista, ed aveva anzi un ruolo importante. Rispetto ai capi degli altri servizi d’ordine – ad esempio Mario Martucci per la Bocconi e il suo gruppo “Stalin”, o Franco Origoni per la squadra di Architettura, o Roberto Tuminelli, l’erede delle famose scuole private per il recupero-anni, alla guida del gruppo “Dimitroff”, il bulgaro segretario della Terza Internazionale accusato da Hitler di aver incendiato il Reichstag – il gruppo guidato da Strada si distingueva per la più cieca obbedienza e fedeltà a quel fior di democratico e di amante dei diritti civili che rispondeva al nome di Luca Cafiero, capo supremo di tutti i Servizi d’Ordine e poi divenuto deputato del PCI, candidato a Napoli, dove superò addirittura in fatto di preferenze l’on. Giorgio Napolitano. Al comando generale e assoluto di Cafiero c’erano i gruppi “Stalin”, “Dimitroff” e tanti altri – ciascuno dei quali aveva uno o più sotto-capi -, ma era il “Lenin” di Gino Strada che si distingueva per la prontezza e la capacità di intervento laddove ce ne fosse stato bisogno.

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I pestaggi davanti alle scuole sono all’ordine del giorno, giovani di 17 anni finiscono sulle sedie a rotelle,

In sostanza, ancora ben lontano dallo scoprire il suo attuale animo pacifista, Gino Strada era uno degli uomini di punta di quel Movimento dichiaratamente marxista-leninista-stalinista-maoista che aveva i suoi uomini guida in Mario Capanna, Salvatore “Turi” Toscano e Luca Cafiero. I milanesi, e non solo loro, ricordano benissimo quegli anni, e soprattutto quei sabati di violenza, di scontri, di disordini.

Ma ora nessuno dice loro che ad accendere quelle scintille c’era anche l’odierno “predicatore” Gino Strada.

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Il servizio d’ordine del Movimento Studentesco era uno dei corpi più militarizzati, una autentica banda armata che incuteva terrore e seminava odio.

Ma era molto di più avvezzo ai seguenti segni identificativi: l’eskimo, il casco da combattimento, e l’obbligo di portare con sé, 24 ore su 24, le “caramelle”: cioè due sassi nelle tasche e soprattutto “la penna”, cioè la famosa Hazet 36 cromata, una chiave inglese d’acciaio lunga quasi mezzo metro nascosta sotto l’eskimo o nelle tasche del loden. Alla “penna” – si usava tale termine durante le telefonate per evitare problemi con le intercettazioni – si era arrivati partendo dalla “stagetta” (i manici di piccone che avevano il difetto di spezzarsi al contatto col cranio da colpire), dalle mazze con avvitato un bullone sulla sommità per fare più male, e dai tondini di ferro usati per armare il cemento, ma anch’essi non adatti poiché si piegavano. I katanghesi e il loro servizio d’ordine, Gino Strada in testa, erano arrivati a questa scelta finale in fatto di armamentario, su esplicita indicazione del loro collegio di difesa che allineava nomi oggi famosissimi come quello di Gaetano Pecorella, Marco Janni, Gigi Mariani, insieme ad altre decine di futuri principi del foro, mentre sul fronte dei “Magistrati Democratici” spiccava la figura di Edmondo Bruti Liberati. Il “collegio di difesa” aveva dato istruzioni ben precise in caso di arresti e processi: “Negare sempre l’evidenza”, anche in caso di fotografie o filmati inequivocabili, definire come “strumento di lavoro” la scoperta eventuale della chiave inglese.

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L’acrimonia degli scontri di piazza raggiunse ben presto livelli di guardia molto preoccupanti, sia per il numero dei feriti annoverati tra le Forze dell’Ordine.

I loro avversari non erano solo i Tommaso Staiti sul fronte della destra, ma anche i “compagni” di Avanguardia Operaia (molti dei quali oggi sono esponenti dei Verdi), Lotta Continua (dei Sofri, Mario Deaglio, Gad Lerner, apprezzato radiocronista dai microfoni di Radio Popolare incaricato di dare le istruzioni in diretta sulle vie da evitare e sulle strade di fuga in cui fuggire) e Lotta Comunista (memorabile e indimenticabile uno scontro di inaudita violenza) e perfino coi primi gruppi di Comunione & Liberazione. Anche quelli di sinistra erano i “nemici” di Strada al pari di Tom Staiti e dei suoi.

Non c’è bisogno di scomodare la memoria del prefetto Mazza e del suo famoso rapporto, la cui rispondenza alla verità venne riconosciuta solo molti anni dopo, per affermare che il servizio d’ordine del Movimento Studentesco era uno dei corpi più militarizzati, una autentica banda armata che incuteva terrore e seminava odio in quegli anni. Si trattava di una autentica falange macedone di 300-500 persone, (Strada e Leghissa ne guidavano una cinquantina), che non arretravano di un millimetro nemmeno di fronte agli scudi della polizia in assetto da combattimento. Semmai, purtroppo avveniva talvolta il contrario.

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Per sostituire la democrazia rattrappita con una progressista, il 17 maggio 1972 viene ucciso a Milano da uno sconosciuto il commissario di pubblica sicurezza Luigi Calabresi.

Unico aspetto positivo è che, a differenza di Lotta Continua, l’MS non ha prodotto successivi passaggi al terrorismo. Anche se bisognerebbe riaprire le pagine del delitto Franceschi alla Bocconi e sarebbe ora che la coscienza di qualcuno che conosce la verità finalmente si aprisse. Che si trattasse di un corpo militarizzato, in tutti i sensi, strumenti di violenza compresi, è fuor di dubbio. Così come è indubitabile la autentica ed elevata ferocia che caratterizzava quei gruppi che attaccavano deliberatamente la polizia come quando si trattò di arrivare alla Bocconi per conquistare il diritto dei lavoratori ad avere le aule per i loro corsi serali. E non possono certo essere le attuali conversioni dei Sergio Cusani, degli Alessandro Dalai, dei Gino Strada, degli Ugo Volli (considerato, senza ritengno alcuno, “l’erede di Umberto Eco”) o degli Ugo Vallardi (al vertice del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera) a far dimenticare quegli anni, quelle violenze, e quelle “squadre di propaganda” di cui faceva parte anche un certo Sergio Cofferati, in qualità di studente-lavoratore della Pirelli. Qualcuno, quando incrocia il dottor Gino Strada in qualche talk-show televisivo, vuole provare a ricordargli se ha qualche ricordo di quei giorni, di quegli scontri, di quelle spranghe, di quei ragazzi (poliziotti o studenti) rimasti sul selciato? Che bello sarebbe poterglielo chiedere al dottor Gino Strada se rinnega il suo passato e come si concilia col suo presente. E poi, soprattutto: quale titolo ha costui per poter definire “delinquenti politici” gli altri? Ma perché continuo a stupirmi?

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Sono anch’io un reduce del ’68, ma senza mazze. Oggi, vediamo quale Stato hanno costruito la violenza e l’odio.

Per l’esattezza Strada, insieme a Leghissa, era il capo del servizio d’ordine di Medicina e Scienze e il suo gruppo o squadra aveva questo inequivocabile nome: “Lenin”, un nome tanto illustre nella storia del comunismo. La “Lenin” era giudicata da Luca Cafiero quale la più fidata ed aggressiva, costituendo in tal modo una sorta di unità scelta. Questa era un’organizzazione di estrema sinistra, il quale si auto-definiva “stalinista”, al punto da gridava nelle proprie manifestazioni “viva Stalin, viva Berja, via la Ghepeu”, in questo modo inneggiando sia al dittatore georgiano, sia al più noto dei suoi capi dei servizi segreti. Questo movimento disponeva del più organizzato e pericoloso fra tutti i “servizi d’ordine”, in realtà reparti paramilitari, di quegli anni, i cosiddetti “katanga” o “katanghesi”.

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I katanghesi e il loro servizio d’ordine, Gino Strada in testa, erano arrivati alla scelta finale in fatto di armamentario, su esplicita indicazione del loro collegio di difesa: Gaetano Pecorella, Marco Janni, Gigi Mariani,  Edmondo Bruti Liberati.
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Gino Strada era membro di tale organizzazione paramilitare stalinista, eversiva ed aveva anzi un ruolo importante. Era un nemico della Repubblica democratica fondata sul dialogo, sul Parlamento di tutti. Non stupisce che, oggi, sia parte attiva dell’invasione della Nazione.

Altri potranno scrivere delle attività di intelligence e dei traffici di quest’uomo, come pure del bene che indubbiamente viene fatto dalla sua Ong, ma questa storia non sembri il ricordo di un attivismo “eroico”, ché fu violenza in tutti i sensi, anche per noi studenti della Sapienza che dovevamo vivere in un clima eversivo. Feci l’esame di Diritto Romano chiusi a chiave, io e il professore, pallido in volto, con la porta, grande, dell’aula che veniva giù. Le scuole superiori e le università italiane, furono teatro di accesi scontri politici tra studenti di destra e di sinistra e molti di loro finirono in carrozzella. Ricordo due bambini uccisi da questa follia: Claudio Varalli (Bollate, 1º luglio 1957 – Milano, 16 aprile 1975) e Sergio Ramelli (Milano, 6 luglio 1956 – Milano, 29 aprile 1975).Ma meglio delle mie parole, valga questa memoria della morte di un bambino:

All’Istituto tecnico Molinari lo tormentarono in tutti i modi. Il suo tema in classe sulla Resistenza non piacque per niente agli staliniani di Avanguardia e degli altri gruppi dominanti in quella scuola: Lotta continua e il Movimento

Lo processarono durante un’assemblea. Ne decretarono l’espulsione dal Molinari. 
Quindi scrissero sui muri la sentenza: “Ramelli fascista, sei il primo della lista”.

Il padre di Ramelli lo iscrisse a una scuola privata, ma la precauzione non salvò il ragazzo.

Il giovedì 13 marzo 1975, i katanga di Avanguardia operaia, alle tredici del pomeriggio, lo aggredirono mentre rientrava a casa.

Erano in sette contro uno, armati con sbarre di ferro e grosse chiavi inglesi.

Ci diedero dentro e gli spaccarono il cranio. Ramelli venne operato al Policlinico, cinque ore d’intervento per ricostruirgli la calotta cranica. Il ragazzo sembrò riprendersi, ma presto entrò in coma.

La sua agonia durò quarantasette giorni. Poi morì. I suoi assassini vennero scoperti dieci anni dopo. Tutti avevano fatto parte del servizio d’ordine di Avanguardia Operaia. 

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Sergio Ramelli (Milano6 luglio 1956 – Milano29 aprile 1975)

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Il cadavere di Claudio Varalli

La democrazia cresce nel dialogo e non con la violenza e vediamo i risultati di questi delinquenti nella mancanza di coesione del popolo italiano.

3948.- Sono, esattamente tutti, vaccini sperimentali, producono effetti collaterali e noi siamo le cavie.

Palermo non vedrà più il tuo sorriso. Addio Cinzia.

Sono esattamente tutti vaccini sperimentali. Tutti i responsabili si sono assicurati l’immunità e noi siamo le cavie. È inutile e sciocco richiamarsi e tentare di richiamare in vita la Costituzione, così come, sussurrare con timore la parola “corruzione”. Aggiungete, invece, la parola “cinismo” e ricordiamo il proverbio veneto: “Gnanca el can move a coa par niente!

Guardando i dati dell’Ema, gli effetti collaterali gravi si non si sono verificati soltanto con AstraZeneca e Johnson&Johnson, ma anche con Pfizer e Moderna. Cinzia Pennino era una brava insegnante, una bella donna. Quante Cinzia Pennino, quante Annamaria dovremo contare per sentirci confermare che i benefici hanno superato i rischi? Gli organi di Cinzia sono stati sequestrati dalla Procura.

Quanto andiamo denunciando da più di un anno ormai ed è stato platealmente messo in piazza da Report sulla diabolica non attuazione e la vigliacca secretazione del “Piano di Preparazione e Risposta a una Pandemia Influenzale 2006”sono di pubblico dominio, ma “quello, quelli” sono sempre lì perché qualcuno lo vuole! Il rischio è nostro, ma c’è una lezione da non dimenticare: NON è possibile frammischiare, Finanza, Sanità, Politica e Salute e Noi non dobbiamo: i popoli non devono, essere usati come scimmie da laboratorio – povere anime! –, ridotti alla fame e, presto, marchiati come schiavi per soddisfare la fame insaziabile di Ong e di Multinazionali. Sfogliando Il Secolo d’Italia:

Non solo il vaccino Astrazeneca ha dato luogo a sospetti effetti collaterali gravi, suscitando timori e vanificando gran parte della campagna vaccinale. Le reazioni avverse sospette si sono registrate anche per Pfizer e Moderna.

Astrazeneca, sequestrati gli organi dell’insegnante di Palermo. Era morta dieci giorni dopo il vaccino

giovedì 22 Aprile 2021, di Redazione

È stata la famiglia a chiedere chiarezza sulla morte della professoressa palermitana dieci dopo la somministrazione della prima dosa di Astrazeneca.Così la Procura di Palermo, su istanza dei legali dei parenti della donna, ha disposto il sequestro degli organiE di alcuni campioni prelevati dal corpo di Cinzia Pennino. Il provvedimento è stato firmato dal pm Giorgia Spiri. Che ha nominato la professoressa Antonietta Argo e delegato il commissariato Oreto Stazione per le indagini.PUBBLICITÀ

Astrazeneca, sequestrati gli organi della donna morta dopo il vaccino

Consulenti di parte, incaricati dalla famiglia, sono il professor Paolo Procaccianti dell’Università degli Studi di Palermo. E  il professor Lucio Di Mauro dell’Università degli Studi di Catania. Che è anche il medico legale di Stefano Paternò. Il sottufficiale della Marina militare di Augusta morto i primi di marzo, anche lui dopo la prima somministrazione di AstraZeneca

I legali: una risposta concreta alle richieste dei familiari

“E una prima risposta concreta – commentano gli avvocati Raffaella Geraci e Alessandro Palmigiano – rispetto alle richieste dalla famiglia. E alla necessità di fare chiarezza sulla vicenda. Per quanto ci riguarda e per quello che abbiamo ricostruito, Cinzia Pennino era in ottima salute fino alla data della somministrazione. E risulterebbe quindi evidente un rapporto causa-effetto tra il vaccino e la trombosi che ne ha causato la morte”.

Presentato esposto all’Aifa e alla Asp di Palermo

Nei giorni seguenti la morte dell’insegnate, gli avvocati avevano presentato un esposto e un’istanza di accesso all’Aifa e all’Asp di Palermo. Per conoscere sia le determinazioni sulla distribuzione del vaccino, sia le procedure mediche e le terapie seguite a partire dalla fase della somministrazione del siero anglo-svedese fino al momento della morte.

AstraZeneca, il documento: entro quanto tempo le trombosi possono verificarsi dalla prima dose

di Redazione

AstraZeneca e trombosi

AstraZeneca e trombosi rare. In Italia, dopo le valutazioni dell’Ema sul legame con il vaccino anglo svedese, l’Aifa ha diramato una nota informativa con aggiornamenti sul rischio. La nota è in allegato alla circolare con cui il ministero della Salute aggiorna le indicazioni per l’uso del prodotto anti Covid, ora suggerito in via preferenziale per gli over 60. Dopo l’incontro di ieri tra Commissione tecnico-scientifica (Cts) ed Aifa, il ministero della Salute ha pubblicato infatti la circolare nella quale si ribadisce “che il vaccino Vaxzevria(AstraZeneca, ndr) è approvato a partire dai 18 anni di età”. Ma è   “raccomandato un suo uso preferenziale nelle persone di età superiore ai 60 anni”. Vediamo quindi in quali casi avvengono le problematiche.

AstraZeneca e trombosi: “Eventi avversi entro 14 giorni”

La Cts – leggiamo su Adnkronos Salute – “ha esaminato tutta la documentazione disponibile; nonché le valutazioni dell’Area di farmacovigilanza di Aifa e del Prca-Ema; con il supporto del gruppo di esperti in ambito di coagulazione convocato dall’agenzia. Il compito era fornire un supporto scientifico nell’analisi dei casi di trombosi”. Sulla base degli elementi emersi, la Cts ha spiegato che:  “è stata riscontrata un’associazione tra il vaccino Vaxzevria e casi molto rari di tromboembolismi anche gravi, in sedi inusuali: fra i quali casi rari di trombosi venosa dei seni cerebrali; trombosi splancniche e arteriose, associati a trombocitopenia. Ad oggi, la maggior parte dei casi è avvenuta  in soggetti di età inferiore ai 60 anni e prevalentemente nelle donne. Tali eventi – si specifica- sono stati osservati per lo più entro 14 giorni dalla somministrazione della prima dose di vaccino”. Il motivo, pertanto, per cui adesso AstraZeneca è “consigliato” agli Over 60 è dovuto al fatto che:  “l’associazione con gli eventi trombotici sopra descritti non è stata riscontrata nei soggetti di età superiore a 60 anni. Per i quali l’incidenza dei casi a seguito della vaccinazione risulta addirittura inferiore rispetto a quella attesa”. Lo  sottolinea la Cts, precisando che “non sono ancora disponibili ulteriori dati dalle sperimentazioni attualmente in corso”.

Astrazeneca e trombosi: “Non conosciamo specifici fattori di rischio”

Lascia nell’incertezza il terzo punto della circolare in cui si dice che: “alla luce dei dati attualmente disponibili non è possibile esprimere raccomandazioni circa l’individuazione di specifici fattori di rischio; e che nel contempo non sono identificabili trattamenti preventivi dei suddetti episodi trombotici”.

Il parere della Cts

Al netto dell’estrema rarità degli eventi trombotici, “il bilancio beneficio/rischiodel vaccino Vaxzevria si conferma complessivamente positivo: in quanto il vaccino è sicuramente efficace nel ridurre il rischio di malattia grave, ospedalizzazione e morte connesso al COVID-19″. Si legge in fondo alla circolare che “attualmente tale bilancio appare progressivamente più favorevole al crescere dell’età: sia in considerazione dei maggiori rischi di sviluppare Covid-19 grave; sia per il mancato riscontro di un aumentato rischio degli eventi trombotici sopra descritti nei soggetti vaccinati di età superiore ai 60 anni”. In pratica, quest’ultima affermazione suona come un monito: sopra i 60 anni tutto ok, sotto pure ma...

Vaccino Johnson&Johnson e trombosi
Il vaccino americano Johnson&Johnson come Astrazeneca, ma la Fda aveva negato il nesso di causalità, dichiarando nessun legame tra vaccino e trombosi. Non credo più a nessuno.

Le conclusioni del documento infatti sono ambigue: “La Commissione rileva che al momento non ci sono analoghi segnali di rischio per i vaccini a mRNA”. Come a dire che Pfizer e Moderna funzionano bene ed i rischi sono pressocché nulli – chiosa il Giornale -. Con AstraZeneca invece le possibilità di trombosi, anche se rarissime, ci sono. È chiaro che è valida la constatazione che la Gb è uscita dal guado proprio con AstreaZeneca. Ma l’esempio britannico e il rapporto beneficio/rischio non è detto che  debba rassicurare tutti. Come molti virologi stanno asserendo ormai è difficile che ci  possa essere una totale ed incondizionata fiducia in AstraZeneca al 100%.

Aggiungo, per incidens, che il rapporto beneficio/rischio, presuppone che qualcuno sia messo in pericolo di vita, il che è palesemente incostituzionale e, no solo, è delinquenziale.

3895.- Migranti. Fazzolari (FdI): su nave Mare Jonio fare chiarezza. Interrogazione al ministro Lamorgese

REDAZIONE BOLLETTINO PATRIOTTICO, 30 Marzo 2021 

La nave Mare Jonio
La nave Mare Jonio

“Fratelli d’Italia chiede chiarezza sulla vicenda della nave Mare Jonio, con la quale la ONG Mediterranea Saving Humans effettua operazioni di SAR nello specchio d’acqua antistante le coste libiche e maltesi, e che avrebbe recuperato dei migranti dietro pagamento di un sostanzioso corrispettivo in denaro”.

A dirlo è il senatore di Fratelli d’Italia, Giovanbattista Fazzolari, che oggi ha depositato un’interrogazione con cui chiede al ministro Lamorgese quali verifiche e quali atti abbia intenzione di porre in essere per evitare che presunte operazioni umanitarie nascondano in realtà odiose pratiche speculative di traffico di immigrati.

“La gravità dei fatti – continua al senatore di FdI – che emergono dall’inchiesta aperta dalla Procura della Repubblica di Ragusa, che ha indagato per associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, Luca Casarini, Beppe Caccia, Alessandro Metz e altri, tutti coinvolti a vario titolo sia nella società armatrice della nave che nella ONG, è tale da non poter restare indifferenti. Gli indagati avrebbero mercanteggiato un lauto compenso per trasbordare sulla Mare Jonio e far sbarcare in Italia dei migranti prelevati da una nave danese, per poi richiedere all’Italia l’autorizzazione all’approdo. Non è la prima volta che le Procure italiane indagano su fatti similari”.

“Questa vicenda è la spia del fatto che le ONG si rendono compartecipi di un sistema che fa gola ai trafficanti di uomini, i quali mettono in acqua imbarcazioni inadeguate, a continuo rischio di naufragio, spesso utilizzando senza scrupoli donne incinte e bambini, per indurre gli Stati a consentire lo sbarco mettendo, peraltro, in serio rischio e pericolo la vita di persone indifese”.

3382.- Quattro ONG (fra cui la Sea Watch) accusate di traffico di esseri umani – dai servizi greci.

di Maurizio Blondet, tratto dai giornali greci, con traduzione automatica.

Documenti segreti rivelano giochi di “spionaggio” a Lesbo: le due donne e l’intelligence in Turchia. Lo scorso maggio, due agenti dell’intelligence greca si sono recati in Turchia, facendosi  come migranti clandestini. Iniziava così  l’operazione Alcmena dei servizi.   I due agenti  sono riusciti ad entrare in contatto con chi si occupava del traffico delle persone e hanno fatto il tragitto per l’isola di Lesbo a bordo di una nave.Le indagini sono ora contenute in un voluminoso fascicolo, che è un atto d’accusa legale contro  33 membri di quattro  ONG con sede in Germania, Austria e Norvegia;  dove vengono  v menzionati dati e movimenti di due persone specifiche, che avevano persino accesso diretto anche  siti web “chiusi” del  governo turco, ossia che richiedono codici speciali  per entrarvi.Si tratta di due donne, una cittadina austriaca e una norvegese,  che hanno  vissuto sulle coste della Turchia negli ultimi 2 anni e coordinato  i flussi migratori illegali verso il nostro paese.  La loro colpevolezza è , secondo la polizia ellenica, “pienamente  chiarito”.

Soltanto la connivenza dei governi può tenere in piedi questo orrendo mercato

Le 2 imputate  reclutavano sulla costa turca  migranti  che non erano riusciti a raggiungere le isole greche, a causa della forte presenza di navi della Guardia Costiera greca e di Frontex. Un  loro scopo era quello di ottenere dai migranti fotografie delle navi greche sia della Marina militare che della Guardia Costiera ma anche di Frontex, che hanno inviato a Lesbo, ai membri delle altre tre ONG accusate, in modo che potessero sapere in qualsiasi momento se queste navi erano ormeggiate o di pattuglia in mare.Tipico è il caso di due afgani reclutati da ONG e che scattavano continuamente foto nel porto di Mitilene. Le indagini della NSA e dell’Antiterrorismo sono iniziate progressivamente dal 23/05/2020 e sono culminate con l’incendio doloso del quartier generale di Moria, dove hanno cominciato a venire alla luce chiari segnali di coinvolgimento, fino all’istigazione dell’incendio doloso del campo delle 4 ONG.La svolta nelle indagini è avvenuta il 5 settembre quando i funzionari della sicurezza di Lesbo e gli ufficiali della guardia costiera  coordinati  con i funzionari della NSA e dell’antiterrorismo, hanno svolto una ricerca su un  cabinato  attraccato a Mitilene  (il capoluogo di Lesbo),che era stato acquistato da una specifica ONG con sede in Germania.  Da quella  nave, attraverso un apposito software, venivano  intercettate le conversazioni della Guardia Costiera, tramite una specifica ONG che era attiva anche a Lesbo. Lì sono state trovate prove incriminanti  sull’azione di 33 persone, tutti membri delle 4 Ong che sono addirittura accusate di spionaggio:  19 tedeschi, 2 svizzeri, un francese, un bulgaro e uno spagnolo. Tra queste prove trovate sulla nave, il fascicolo  menziona  in particolare i codici attraverso i quali fornivano informazioni ai migranti sulla costa turca dal telefono di bordo  della nave, lo stretto rapporto con un sito web specifico che direttamente informava i migranti  sugli spostamenti dei greci e FRONTEX sulle coste turche,  dati sui flussi migratori, mappe dei porti di  Chios, Lesbo e Samos, mappe con punti di partenza dei migranti dalla Turchia, istruzioni ai migranti in modo che attraverso il sito web dell’AP accesso diretto ai loro punti di guida ai porti naturali di Lesbo e allo stesso tempo comunicazione diretta con i membri delle ONG per la fornitura di informazioni.Le autorità hanno trovato le istruzioni per eseguire il sito Web AP che fungeva anche da telefono Internet. In effetti, è stato scoperto che questo sito web è stato uno dei primi a far circolare le fake news turche su presunti immigrati uccisi sul fiume  Evros dalla scariche della polizia greca. Le quattro ONG  sono: la ben nota Sea Watch,  Mare Liberum, FFM e Josoor. [Quest’ultima una discussa ONG americana creata da migranti siriani che ha base a Izmir, sotto la protezione della polizia di Erdogan]. Tutte e quattro le ONG hanno utilizzato la piattaforma “Alarm Phone”. 2 delle suddette ONG hanno sede a Berlino, nello stesso indirizzo.

L’incendio finale doloso

12.700 in fuga verso la città di Mitilene, ma la Grecia ha un governo.

Il 15 settembre  scorso, il grande campo-profughi allestito mell’isola di Lesbo, Moria,  e riempito così sistematicamente e  spietatamente dalle ONG, è stato incendiato. La natura dolosa dell’incendio è comprovata: la polizia ha arrestato quattro afgani  praticamente sul fatto; altri non sono stati arrestati perché  minorenni. Come effetto di questa deliberata distruzione, 12 mila profughi sono senza riparo: e  la Germania si guarda bene di prenderseli, li vuole scaricare a Ungheria, Polonia… Questo incendio corona significativamente questa azione spietata, ostinata, ben finanziata con cabinati acquistati e stipendiati  regolari  sulle coste turche e greche , e telefoni satellitari,  sostenuta contro il popolo greco.

Il campo profughi dopo la sua distruzione per incendio doloso.

Nulla di caritatevole  e umanitario; questa  è la spudorata  manifestazione dell’imperialismo germanico spilorcio,   del disprezzo di una cancelliera che che dopo aver spogliato il paese per assicurare i lucri delle sue banche,  gli infligge le decine di migliaia di immigrati, e   suo carico, del popolo che ha saccheggiato.  Non escluderei che l’incendio sia stato programmato  perché, essendo stata smantellata l’organizzazione, l’operazione era diventata impossibile.


Maurizio Blondet, 7 ottobre 2020

2506.- CHI SONO OSCAR CAMPS E LA OPEN ARMS

ong open arms josepha naufragio

Come faceva la Ong Open Arms a conoscere la posizione del naufragio di Josepha?Storia di un anno fa della Open Arms, ma sempre utile.

Roma, 24 lug – Abbiamo contestato la narrazione mediatica dell“l’Italia paga gli assassini che lasciano affogare una madre col figlio”, evidenziando che la donna e il bambino non erano affatto affogati. E questo è stato riconosciuto anche dal medico di bordo della Ong Open Arms (la donna era morta da ore, il bambino da poco). Nel secondo articolo abbiamo evidenziato, consultando lo storico dei dati AIS (Automatic Identification System ) su http://www.marinetraffic.com che la Open Arms dirigeva sul gommone almeno dalle ore 00:00 del giorno 17 luglio, quello del “salvataggio”, e che alle 03.18 UTC ha eseguito una deviazione che ha ritardato di tre ore e mezza il salvataggio di Josepha e il recupero delle due salme.

Ma il nostro account su marinetraffic non ci permetteva di ricostruire la rotta della Open Arms a prima delle 00:00 UTC del 17 luglio e nel frattempo erano venute alcune precisazioni: A) la Guardia Costiera libica aveva ammesso di aver lasciato in mare le due persone morte (per la loro legge le persone recuperate in mare devono essere “identificabili”. B) il responsabile della Open Arms ha dichiarato che si sono diretti sul relitto del gommone dopo aver intercettato le comunicazioni fra la nave Triades e la Guardia Costiera libica. La Triades è una nave commerciale che il giorno 16 luglio circa alle ore 13:30 UTC si trova in posizione per avvistare il gommone, e avvisa la Guardia Costiera libica, pur non prestando soccorso ma restando in vista alcune ore. La Guardia Costiera libica arriva sul posto (con a bordo una troupe tedesca) alle ore 22:00UTC del giorno 16 luglio salvando le 158 persone in mare da circa 60 ore, ormai allo stremo.

Era quindi necessario risalire ai movimenti della Open Arms del giorno 16 luglio per verificare “quando” ha fatto rotta sul gommone, se come dichiarato al momento delle comunicazioni fra la Triades e la Guardia Costiera libica o in precedenza. E’ ovvio che senza sapere il punto geografico dove si trova il gommone, in mare aperto a 80 miglia nautiche dalla costa libica, non lo troverai mai. Abbiamo aperto un account a pagamento su marinetraffic che permette di avere lo storico dei movimenti delle navi per 30gg precedenti alla richiesta. Il risultato è che la Open Arms si dirige sul gommone fin dalle ore 01:14 UTC del giorno 16 luglio, quando attraversa proveniente dalla Spagna il Canale di Sicilia. E quindi almeno 12 ore prima che la Triades possa avvistare il gommone(circa le 13:30 UTC del giorno 16 luglio) e mandare l’allarme alla Guardia Costiera libica.

La cartina ricavata riportando le coordinate geografiche dei “punti nave” della Open Arms come risultano dalle tabelle scaricate da marinetraffic non lascia dubbi.

Per inciso: chiunque può aprirsi un account a pagamento su marinetraffic, scaricarsi gli stessi dati relativi a Open Arms e Triades, ricostruirsi la scena e verificare.

Resta quindi da chiarire:

  • Chi ha dato la posizione del gommone a Open Arms almeno dalle ore 01:14 UTC del 16 luglio, 12 ore prima che la Triades in viaggio per Misurata lo avvistasse.
  •  Perché la Open Arms diretta decisamente e a poche miglia dal gommone alle ore 03.38 UTC vira verso Est (a destra nell’immagine) allontanandosi dal gommone fino alle 04.41 UTC (circa 8/9 miglia) quando inverte la rotta e si dirige nuovamente sul gommone, dove arriva poco prima delle 07.00 UTC, e quindi ritardando il contatto di circa tre ore e mezza. Le operazioni di recupero (Open Arms ferma, 0,1 KTS) sono delle ore 07.10 UTC

Le ipotesi che si possono fare sono molte e non è questa la sede, lasciamo al lettore di farle.

E’ chiaro però che avendo lasciato gli scafisti il gommone in mare almeno da 60 ore(dall’arrivo della Guardia Costiera libica alle ore 22:00 UTC del 16 luglio, e quindi dalle ore 10:00 UTC del 14 luglio) la Open Arms, senza l’intervento casuale della Triades, avrebbe trovato la “Grande Strage in mare davanti alle telecamere” che ci si aspettava da quando l’Italia ha chiuso i porti alle Ong mettendo in crisi il lucroso traffico delle organizzazioni criminali. 

La Open Arms è stata strumento inconsapevole o attore di questa vicenda? Lo dovrà decidere la Magistratura, ma è indubitabile che si stesse dirigendo verso il gommone almeno 12 ore prima che qualcuno ne conoscesse l’esistenza. Basta guardare il video della TV tedesca, coi bambini allo stremo che si gettano avidamente sulle bottiglie d’acqua per verificare che la Grande Strage in mare davanti alle telecamere era stata pianificata.

GUARDIA COSTIERA LIBICA VS OPEN ARMS (VIDEO N-TV)

L’ anteprima del video di ntv nachrichten dimostra già ampiamente che durante l'”incriminato” salvataggio del 16 luglio 2018 fatto dalla Guardia Costiera Libica, nessun migrante è stato lasciato sul gommone in balia del mare, smentendo quanto dichiarato dalla ong spagnola Proactiva Open Arms, dal suo fondatore Oscar Camps, dal deputato Erasmo Palazzotto di sinistra italiana (a bordo della Astral), dalla giornalista Annalisa Camilli di internazionale (a bordo della Open Arms) e dal milionario cestista Marc Gasol (improvvisato soccorritori “volontario” a favore di telecamere).la reporter tedesca Nadja Kriewald a bordo della motovedetta libica ha affermato: “la Guardia Costiera libica sta facendo un ottimo lavoro”. La veloce fuga di Proactiva Open Arms verso la Spagna (non ha neppure accettato lo sbarco in Italia concesso da Matteo Salvini) era già un chiaro indizio. Francesca Totolo

PUBLIÉE PAR FRANCESCA TOTOLO SUR JEUDI 19 JUILLET 2018

Ultima considerazione: per almeno tre giorni i media nazionali hanno fatto da cassa di risonanza su “I’italia che paga gli assassini che lasciano affogare madre e figlio” in una campagna diretta contro il ministro dell’interno Matteo Salvini. senza preoccuparsi minimamente di fare alcuna verifica, un deputato di leu al seguito di Open Arms sul veliero Astral è arrivato a dire che la tv tedesca aveva “depistato” mentre già si avevano le prove in video che la Guardia Costiera libica (gli “assassini”) la grande strage in mare l’aveva impedita.

LUIGI DI STEFANO

COMMENTI

  1. Smontate le accuse della ong: così i libici hanno provato a salvare i migranti –
  2. 24 luglio 2018 come faceva la ong Open Arms a conoscere la posizione del naufragio di Josepha?  il primato nazionale […]risposta marco 24 luglio 2018 at 18:54=non ne fa mistero Carmelo Zuccaro, il procuratore capo di Catania che a partire dalla scorsa primavera ha incominciato a indagare su presunte collusioni tra ong e il traffico di esseri umani quando, in occasione del convegno di magistratura per la democrazia, traccia il quadro di quali siano oggi le problematiche che l’italia incontra nel contrasto giudiziario al traffico organizzato dei migranti: «va debellato in Libia, ma non basta la nostra collaborazione con questo paese. negli ultimi mesi abbiamo assistito alla proliferazione dei centri di raccolta pieni di migranti pronti a partire e che vanno in pasto alle ong». organizzazioni che secondo zuccaro favoriscono il traffico proprio a causa della loro presenza serrata a ridosso delle acque libiche e spiega anche perché: «le navi stazionano sempre più a ridosso della linea d’acqua libica per cui gommoni scadenti, spesso di fabbricazione cinese, possono essere mandati alla deriva anche senza scafisti, ma solo con i cosiddetti facilitatori mentre lo scafista spesso è uno dei migranti a bordo». è così che il pm catanese si spinge a monte di quel che succede prima dell’imbarco specificando che «la rete è più fitta e organizzata di quel che si crede perché coinvolge anche le organizzazioni criminali presenti sul territorio dei paesi da cui provengono i migranti. occorre quindi individuare chi interviene nelle fasi iniziali: coloro che vengono contattati dai migranti nei paesi d’origine e di transito, per arrivare sino in Libia».= naturalmente in questo caso un procuratore capo dicendo cose a “vanvera” deve essere degradato e messo alla berlina, vero ? la verità non è mai bianca o nera come pensate voi, in mezzo ci sono decine di tonalità grigie.
  3. risposta blackwater 25 luglio 2018 at 11:31 Se posso in punta di piedi suggerire la mia ipotesi su quel ritardo di ben tre ore, che in mare possono davvero fare la differenza tra vivere o morire:1) è stata una tattica della ong per arrivare con le luce piena del giorno anzichè nel buio della notte e questo – a mio avviso – non tanto per filmare, ma per non essere sgamati come già a conoscenza di dove trovare il relitto: un ritrovamente in piena notte di un “relitto” del genere (invisibile agli ausili elettronici di bordo) penso avrebbe suscitato perplessità anche nel più accanito accoglione rossomagliettato.2)rimane il mistero di tal Joseppa; fermo restando che il racconto per cui “avrebbe preferito rimanere sul gommone piuttosto di ritornare nei lager libici” (una delle tante boiate difuse dalla stampa di sinistra) era già assolutamente incredibile così come quello del volontario abbandono da parte della guardia costiera libica—appare molto probabile che costei sia stata portata sul posto dagli scafisti con completa collusione-connivenza con la ong, ergo quelle tre ore di ritardo nei soccorsi sono probabilmente servite ad aspettare che la donna fosse posizionata sul relitto da qualche complice.3) la fuga (con i conseguenti elevatissimi costi di navigazione) verso la Spagna da parte della ong con solo una aspirante profuga a bordo,credo sia abbastanza emblematica di quanto questa vicenda sia probabilmente sfuggita di mano alla stessa ong.piccolo appunto; avete notato che nei vari report giornalistici tal joseppa è sempre coricata su una piccola brandina da trasporto feriti durante tutti i giorni della navigazione? davvero una nave ong destinata al recupero naufraghi non dispone di una inferneria di bordo con dei letti veri e propri (pur di dimensioni non grandi) e questo con una sola persona da assistere a bordo ? propaganda zero eh…complimenti al valente Di Stefano per un articolo davvero emblematico su come si dovrebbe fare giornalismo d’inchiesta,cosa del resto abituale sul primato nazionale e completamente sconosciuta a tante altre testate online o cartacee.

2442.- Sea Watch, spunta la verità: Tv e giornali stanno nascondendo tutto agli italiani.

Fra i bimbi manipolati, stuprati di Bibbiano, Forteto e simili e fra la destabilizzazione delle società europee, si comincia a dipanare la matassa dei globalisti. Oggi, 10 luglio, Libero pubblica e lo aggiungiamo:

Si parla dei presunti rapporti tra ong e scafisti, da tempo nel mirino di Matteo Salvini, il quale ha infatti sganciato la bomba: “I magistrati hanno elementi concreti su telefonate fatte dagli scafisti a una ong dalla Libia”. Così ieri, martedì 9 luglio, il ministro dell’Interno in televisione. Il punto è che, svela sempre il leader della Lega, un libico ha chiamato per errore il Centro di coordinamento delle Capitanierie di porto di Roma, il Mrcc, credendo di parlare con Sea Watch. L’uomo parlava in inglese: “Pronto, Sea Watch? È partito un gommone da Zuara”.

Il Mrcc, come sempre, ha registrato la comunicazione, fatta ascoltare – sottolinea Il Fatto Quotidiano – più di un mese fa al Comitato nazionale per l’ordine pubblico che si riunisce al Viminale, presieduto da Salvini. Dunque la vicenda è passata alla magistratura, Roma prima e Agrigento poi, dove si indaga sugli sbarchi, compreso l’ultimo della Sea Wach 3 di Carola Rackete. Ad ora gli investigatori sono scettici, Luigi Patronaggio ha affermato che “non ci sono prove di accordi tra ong e scafisti”. Ma le indagini continuano. Troppo sospetta quella telefonata, anche se sempre secondo Il Fatto, in procura qualcuno teme che sia una polpetta avvelenata.

Resta il fatto che l’intelligence italiana è convinta del fatto che ong e scafisti abbiano rapporti, anche se nessuna prova ufficiale è mai stata esibita in pubblico.

da oggi24ore

Una breve riflessione del Prof. Augusto Sinagra, docente di diritto internazionale sul caso “Sea Watch 3” e sull’arresto del comandante Carola Rackete.

Augusto Sinagra, docente di diritto internazionale.

Cercherò di fare una riflessione esclusivamente tecnico-giuridica di diritto internazionale di cui sono stato Professore Ordinario all’Università.

1. Le navi che solcano i mari battono una Bandiera. La Bandiera non è una cosa meramente folkloristica o di colore. La Bandiera della nave rende riconoscibile lo Stato di riferimento della nave nei cui Registri navali essa è iscritta (nei registri è indicata anche la proprietà pubblica o privata).

2. La nave è giuridicamente una “comunità viaggiante” o, in altri termini, una “proiezione mobile” dello Stato di riferimento. In base al diritto internazionale la nave, fuori dalle acque territoriali di un altro Stato, è considerata “territorio” dello Stato della Bandiera.

Dunque, sulla nave in mare alto si applicano le leggi, tutte le leggi, anche quelle penali, dello Stato della Bandiera.

3. Il famoso Regolamento UE di Dublino prevede che dei cosiddetti “profughi” (in realtà, deportati) debba farsi carico lo Stato con il quale essi per prima vengono in contatto. A cominciare dalle eventuali richieste di asilo politico.

4. Non si vede allora quale sia la ragione per la quale una nave battente Bandiera, per esempio, tedesca, spagnola o francese, debba – d’intesa con gli scafisti – raccogliere i cosiddetti profughi appena fuori le acque territoriali libiche e poi scaricarli in Italia quando la competenza e l’obbligo è, come detto, dello Stato della Bandiera.

5. Da ultimo è emerso che due navi battenti Bandiera olandese e con il solito carico di merce umana, non si connettano giuridicamente al Regno di Olanda e né figurino su quei registri navali, come dichiarato dalle Autorità olandesi.

Allora, giuridicamente, si tratta di “navi pirata”, le quali non sono solo quelle che battono la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate (come nei romanzi di Emilio Salgari).

6. Ne deriva il diritto/dovere di ogni Stato di impedirne la libera navigazione, il sequestro della nave e l’arresto del Comandante e dell’equipaggio.

*Molti dei cosiddetti “profughi” cominciano a protestare pubblicamente denunciando di essere stati deportati in Italia contro la loro volontà.* Si è in presenza, dunque, di una *nuova e inedita tratta di schiavi*, di un disgustoso e veramente vomitevole schiavismo consumato anche con la complicità della UE, che offende la coscienza umana e che va combattuto con ogni mezzo.

2428.-Sea watch. Ong: “Basta aspettare”. Salvini: “Equipaggio va arrestato”.

Il ridicolo e la beffa. 27 giugno: L’ONG sporge denuncia contro le autorità alla Procura di Agrigento. Voti Salvini e trovi Patronaggio.

ITALIA. Ieri, a poche miglia da Lampedusa, la Guardia di Finanza ha intimato di spengere i motori, è salita a bordo e ha acquisito dati, documenti, le generalità del comandante Carola Rackete e dell’equipaggi. Toninelli: “Intervengano i Paesi interessati”. Avramopoulos: “Senza Unione non si può andare avanti” –

Matteo Salvini ✔ @matteosalvinimi  · Chi forza un posto di blocco in macchina, viene fermato. Spero che in queste ore ci sarà un giudice ad affermare che all’interno di quella nave ci sono dei fuorilegge, prima fra tutti la comandante.

Matteo Salvini ✔ @matteosalvinimi Se la nave verrà sequestrata e l’equipaggio arrestato non potrò che essere contento. 2.284 09:29 – 27 giu 2019 – S

Salvini: “Equipaggio va arrestato” Ieri la Guardia di Finanza è salita a bordo e ha acquisito dei documenti, preso le generalità della comandante Carola Rackete e dell’equipaggio, e acquisito dei dati ma al momento le Fiamme gialle non hanno ancora contestato nulla alla ‘Capitana’ tedesca. Toninelli: “Intervengano i Paesi interessati”. Avramopoulos: “Senza Unione non si può andare avanti” Tweet Sea Watch davanti al porto di Lampedusa, stallo sullo sbarco Sea Watch davanti al porto di Lampedusa, attracco previsto in serata ​Sea Watch, Corte europea dei Diritti dell’uomo non chiede sbarco migranti Migranti, appello dei naufraghi sulla Sea Watch: “Siamo esausti, fateci scendere”.

27 giugno 2019 La nave  Sea Watch ha provato ad entrare nel porto di Lampedusa ma è stata bloccata dalle autorità italiane, che le hanno intimato di spegnere i motori.  Gli uomini della Guardia di finanza si trovano ancora sulla nave per eseguire i controlli dopo di forzare l’ingresso al porto. L’imbarcazione è ora ferma ad un miglio dall’isola. “Questa mattina, intorno alle 10, la nave ha mandato una comunicazione alle autorità, informandole del fatto che siano ormai trascorse 24 ore dalla dichiarazione dello stato di necessità che ha costretto l’ingresso nelle acque territoriali. Alle 14.16, non avendo avuto ricevuto alcuna comunicazione e assistenza, ha dichiarato di procedere verso il porto. A circa un miglio dall’ingresso del porto le è stato intimato di spegnere i motori e la nave si trova ora ferma a un miglio dall’ingresso del porto di Lampedusa”. Lo comunica la portavoce di Sea Watch Italy, Giogia Linardi, in un video pubblicato sui social network della ong, dando un aggiornamento sulla visita della Guardia di Finanza a bordo dell’imbarcazione. Deputati e giornalisti a bordo Una delegazione di deputati del Partito democratico è appena salita a bordo della nave Sea Watch. Si tratta dei parlamentari Matteo Orfini, Graziano Delrio, Davide Faraone. Presenti anche il deputato di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni e di +Europa Riccardo Magi.  Saliti anche giornalisti, cameramen e fotografi. I parlamentari hanno spiegato di volere “esercitare” le loro “prerogative ispettive”.  La ong ha presentato un esposto alla procura di Agrigento “Buongiorno Ue. Ieri, a causa di un’emergenza, siamo entrati nelle acque italiane. La guardia costiera e la Guardia di finanza sono stati a bordo. Abbiamo aspettato una notte, non possiamo più aspettare. La disperazione delle persone non è qualcosa con cui giocare”, aveva scritto in precedenza la ong tedesca Sea Watch in un tweet, mentre la nave è ferma da ieri appena fuori dal porto di Lampedusa col divieto di sbarcare. In queste ore la Ong ha presentato un esposto alla Procura di Agrigento.  “Vogliamo portare all’attenzione dei magistrati – spiegano gli avvocati della Organizzazione non governativa – i tratti essenziali della vicenda, relativa alla presenza, davanti al porto di Lampedusa, della nave ‘Sea Watch 3′”, con a bordo, oltre all’equipaggio, 42 persone, tra le quali tre minori non accompagnati, soccorsi il 12 giugno in acque internazionali, a circa 47 miglia dalle coste libiche.   I difensori chiedono di valutare la “sussistenza di eventuali condotte di rilevanza penale, poste in essere dalle autorità marittime e portuali preposte alla gestione delle attività di soccorso, nonchè demandare alla valutazione dell’autorità giudiziaria l’adozione di tutte le misure necessarie a porre fine alla situazione di gravissimo disagio a cui sono attualmente esposte le persone a bordo della nave”.  

Prosegue dunque lo stallo dell’imbarcazione a poche miglia dall’isola. Attesa la svolta sull’eventuale sbarco. Ieri la Guardia di Finanza è salita a bordo della nave e ha acquisito dei documenti, preso le generalità della comandante Carola Rackete e dell’equipaggio, e acquisito dei dati ma al momento le Fiamme gialle non hanno ancora contestato nulla alla ‘Capitana’ tedesca. Non appena la Guardia di Finanza avrà l’ok per lo sbarco dei 42 migranti, potrà essere contestato il reato alla comandante tedesca che ieri ha forzato il blocco. Carola Rackete rischia una sanzione che varia da 10.000 a 50.000 euro (già raccolti 65.000 €. ndr). A emettere le multe è il prefetto territorialmente competente, quindi, nel caso della Sea-Watch 3, quello di Agrigento. Salvini: “L’equipaggio va arrestato” Non si placa intanto l’ira del ministro dell’Interno, nonché vicepremier, Matteo Salvini che ancora questa mattina – intervenendo ad una trasmissione radiofonica – ha ribadito:  “La legge prevede che bisogna essere autorizzati per poter attraccare, non possiamo far arrivare in Italia chiunque, le regole di un Paese sono una cosa seria. Le persone sulla Sea Watch non sono naufraghi, ma uomini e donne che pagano 3.000 dollari per  andar via dal proprio Paese. In Italia stanno arrivando, in aereo, migliaia di migranti certificate che scappano dalla guerra. Spero che nelle ultime ore ci sia un Giudice che affermi che all’interno di quella nave ci sono dei fuorilegge, prima fra tutti la Capitana. Se la nave viene sequestrata e l’equipaggio arrestato io sono contento”.

Conte: “Condotta inaudita. Bisogna rispettare regole” Sul caso della Sea Watch “mi sembra che le cose siano molto chiare: c’è una comandante che si è assunta una grave responsabilità e si è posta volontariamente in una situazione di grave necessità”. Lo sottolinea il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, incontrando la stampa al suo arrivo in Giappone ricordando che da parte Italiana è stato “emesso un provvedimento che vieta l’ingresso, la sosta e l’approdo nelle nostre acque”. Eppure, aggiunge il premier, “dopo questo divieto la comandante ha continuato a insistere ritenendo che solo l’Italia sarebbe un approdo . Una condotta che ritengo di una gravità inaudita”. Ora, ricorda, “la questione non è tanto nelle mani del governo ma della magistratura italiana , fermo restando che abbiamo già assunto iniziative formali sul piano diplomatico”. Moavero: “Su Sea Watch dovrà essere applicata legge” Sulla vicenda è intervenuto anche il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi: “La legge dovrà essere applicata”, anche se “non è con soluzioni episodiche che si potranno affrontare fenomeni di questa portata”. Per trovare un soluzione alla vicenda Sea Watch “dobbiamo continuare a parlare con il governo del Paesi Bassi e a lavorare a collaborazione bilaterale, ed eventualmente trilaterale dato che l’equipaggio è tedesco, perchè una soluzione europea non esiste – prosegue il ministro – Se si creano le condizioni ci sarà una soluzione bilaterale o trilaterale, altrimenti la soluzione dovrà essere trovata dal governo italiano”.

Toninelli (svicolando. ndr):: “Devono intervenire i Paesi interessati” “Devono intervenire i Paesi direttamente interessati” dice il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli sul caso Sea Watch. E aggiunge: “Devono prendere un impegno formale”.  Ue. Avramopoulus: “Senza Unione non si può andare avanti. Stati mostrino solidarietà” “Rivolgo un appello agli Stati membri a mostrare solidarietà. Continueremo a restare al fianco dell’Italia e a tutti gli Stati membri sotto pressione”.

Così il commissario europeo alla Migrazione Dimitris Avramopoulos intervenendo sulla vicenda della Sea Watch, che ribadisce: “E’ solo attraverso un approccio europeo congiunto, mano nella mano” con i Paesi Terzi, “che saremo capaci di trovare soluzioni reali”.   Una Portavoce dell’Unione Europea inoltre – dopo le parole pronunciate dal Ministro Salvini  – replica che senza registrare i migranti si rischia la procedura perché la legge prevede “che a tutti i nuovi arrivati su territorio europeo devono essere prese le impronte  digitali, non ci sono eccezioni.   Faraone: “La disumanità del ministro della paura non vincerà” Critici nei confronti della linea del governo, dettata da Salvini, le opposizioni. “Al porto di Lampedusa con Graziano Delrio e Giuditta Pini. Sea Whatch3 laggiù in fondo. Siamo qui da ieri sera, abbiamo espresso solidarietà a don Carmelo La Magra, siamo stati in capitaneria di porto, siamo in contatto con il prefetto. Naturalmente siamo in contatto con la capitana, daremo una mano per far sbarcare tutti, (e gonfiando il petto) costi quel che costi. La disumanità del ministro della paura non vincerà. Lo scrive su facebook Davide Faraone.  Forza Italia: “Migranti in sicurezza e sequestrare nave” “Nessuno è al di sopra delle leggi e del diritto internazionale. Nemmeno la Sea Watch e il suo equipaggio”. Così la presidente del gruppo Forza Italia alla Camera, Mariastella Gelmini. “I migranti – riprende – vengano messi prontamente in sicurezza, siano presi in carico quanto prima dai Paesi Ue e l’imbarcazione sia sequestrata dalle autorità italiane. La sicurezza dei confini non può essere messa a repentaglio da simili prove di forza che non fanno altro che aggravare una situazione gia’ estremamente delicata. Forza Italia su questo punto è molto chiara: bisogna sempre coniugare rigore, rispetto delle leggi e umanità”. Direttore Famiglia Cristiana: “Bisogna andare sui tavoli europei” “Bisogna andare sui tavoli europei e dire come stanno le cose, il nostro ministro dell’Interno ci è andato una volta. Le ong sono quelle che insieme alla Chiesa danno una mano ai Paesi africani a fare quello che viene detto: aiutarli a casa loro”. Su Facebook già raccolti 65 mila euro per spese legali In meno di 24 ore sono stati raccolti oltre 65mila euro di fondi per sostenere le spese legali della nave Sea Watch e del suo comandante Carola Rackete. L’iniziativa è stata lanciata su Facebook subito dopo la decisione di Rackete di entrare nelle acque territoriali italiane. A promuovere la raccolta fondi e’ stato un utente del social, Franco Matteotti (spero ne risponda) , e attraverso il  passaparola digitale e’ arrivata a coinvolgere finora 3.533 persone, coprendo ben piu’ della meta’ dei 100 mila euro che si era data come obiettivo. Secondo quanto previsto dal decreto sicurezza bis, in caso di violazione del divieto notificato al comandante (come accaduto nel caso della Sea Watch) “si applica a ciascuno di essi la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000 a euro 50.000”. In caso di reiterazione, scatta “la sanzione accessoria della confisca della nave,  procedendo immediatamente a sequestro cautelare”. Qualora non fosse necessario usare i soldi donati, si legge sulla pagina Facebook della raccolta fondi, “questi rimarranno a disposizione della Sea Watch per la prossima missione”. 

da RAInews

Questa si chiama eversione, ma non è il solo caso.

2426.- Sea Watch, esposto in procura “I migranti privati della libertà”

“Quella é il capitano della @SeaWatchItaly che pensa di forzare le acque territoriali meritando, se lo facesse, una reazione di forza. Quello accanto è un clandestino che soffre con barba e capelli curati occhiali da sole candido e profumato come una rosellina, “in condizioni di vulnerabilità a causa della sua età o delle sue condizioni di salute”

Sea Watch3, La Corte europea dei diritti umani, Cedu, ha respinto il ricorso: negato lo sbarco in Italia. “Dare comunque assistenza necessaria alle persone che si trovano a bordo della nave in condizioni di vulnerabilità a causa della loro età o delle loro condizioni di salute”. Immediatamente, il Garante nazionale per i diritti dei detenuti, nominato da… ha presentato un esposto alla Procura di Roma sul caso della Sea Watch

Angelo Scarano – Mar, 25/06/2019 commenta così:

Nemmeno un istante dopo il respingimento del ricorso alla Cedu, si apre un altro fronte sulla Sea Watch. Il garante, senza forse, ha un po’ confuso la situazione. Parla, a schiovere, di fare cessare molto eventuali violazioni della libertà personale da parte di chi? Al capitano era stato detto di non sbarcare a Lampedusa. E’ la signorina Carola Rackete, comandante, che li ha tenuti in ostaggio, sempre ammesso che lo siano e che a loro non piaccia così. Si fosse preoccupata delle persone, le avrebbe sbarcate a Malta, in Francia, in Tunisia o in Spagna. E invece no. ha navigato per 800 miglia, a lento moto: 4 nodi, intorno a Lampedusa. Ma quanti GARANTI ci sono in Italia!! Comandano e aprono bocca in troppi. La figura dei garanti nasce dalle divisioni della politica, che, infiltrando la Pubblica Amministrazione, vi si ripercuotono al punto da rendere opportuna l’istituzione di queste bis-figure istituzionali, figlie del partito al potere di turno, che, poi, rappresentano. ma già la loro istituzione è sintomo di inefficienza dello Stato. Non un di più, quindi, ma un minus.

A entrare sul campo di “battaglia” è il Garante dei detenuti, Mauro Palma. Il Garante, infatti, ha presentato un esposto alla Procura di Roma. Il Garante, di fatto, non interviene sulle scelte politiche in merito al “blocco” sullo sbarco imposto dal Viminale, però, punta il dito contro “la privazione della libertà personale”. Palma fa sapere che “non può nè intende intervenire su scelte politiche che esulano dalla propria stretta competenza. Tuttavia, è suo dovere agire per fare cessare eventuali violazioni della libertà personale, incompatibili con i diritti garantiti dalla nostra Carta, e che potrebbero fare incorrere il Paese in sanzioni in sede internazionale. In particolare, ribadisce che le persone e loro vite non possono mai divenire strumento di pressione in trattative e confronti tra Stati. Ritiene inoltre che la situazione in essere richieda la necessità di verificare se lo Stato italiano, attraverso le sue Autorità competenti, stia integrando una violazione dei diritti delle persone trattenute a bordo della nave”. Il Garante ha poi aggiunto: “L’esercizio della giurisdizione italiana sull’imbarcazione sembra, inoltre, confermato dalla valutazione delle vulnerabilità delle persone a bordo a cui è stato permesso lo sbarco: non può essere, però, questa la sola via d’uscita dalla situazione presente che, a parere del Garante, sta degenerando”.

Il Garante infine mette nel mirino il divieto imposto dal Viminale sull’ingrasso della Sea Watch nelle acque territoriali italiane. Su questo punto il Garante nazionale si interroga se “nel caso della Sea Watch 3, sia proprio il pur legittimo esercizio della sovranità da parte del nostro Paese a determinare giurisdizione e responsabilità nei confronti delle persone, incluso almeno un minore non accompagnato, bloccate in condizioni sempre più gravi al confine delle sue acque. Del resto, l’esercizio stesso del divieto e la sua attuazione implicano che il Paese garantisca l’effettività dei diritti derivanti dagli obblighi internazionali alle persone bloccate: di non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti; di non essere rinviati in Paesi dove ciò possa avvenire; di avere la possibilità di ricorrere contro l’attuale situazione di fatto di non libertà davanti all’autorità giudiziaria; di richiedere protezione internazionale”.

Oggi, 26 giugno, la Seawatch3 è entrata alle 12,26Z, 14,26 Locali, nelle acque territoriali italiane. Dalla nave, con tanto di videoappello di immigrato africano, è stata lanciata una raccolta fondi per pagare le multe, ma ha fruttato soltanto 899 $ da 37 fan dell’ONG. Il ministro dell’Interno Salvini ieri sera ha ribadito che se la nave decidera’ di violare il divieto di ingresso ed entrare in porto verra’ multata per 50.000 euro e confiscata e comandante ed equipaggio denunciati. A Lampedusa le motovedette italiane, pronte all’intervento da ieri, si sono accorte solo all’ultimo momento dell’ennesimo barchino che, beffando tutti persino in un momento di grande allerta, ha sbarcato altri otto migranti, tutti tunisini. Siamo al ridicolo più ridicolo che ci sia.