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6015.- Svezia, Hamas-Israele e Azerbaigian. Cosa c’è dietro le ultime di Erdoĝan

Una premessa

Cosa c’è dietro la politica di Erdoĝan è semplice da comprendere: Vuole che la Turchia torni a contare nel mondo arabo, nei Balcani, in Medio Oriente, in Libia e nella regione Transcaucasica. Non è in grado di soverchiare Israele, ma il mondo arabo è con i Palestinesi. Porta avanti queste politiche in ogni occasione, con un attivismo senza pari, sfruttando abilmente la posizione strategica della Turchia e la deriva multipolare.

La situazione economica della Turchia limiterebbe le possibilità strategiche di Erdoĝan, ma i frequenti successi in politica estera gli garantiscono il supporto della popolazione turca. Lo strumento con cui Erdoĝan ambisce a sostenere economicamente le sue ambizioni di potenza globale è la diplomazia energetica. Con questa, mira a fare della Turchia un hub regionale di transito del gas.

Per l’Italia, vincolata a Washington e condizionata dall’Ue, la Turchia, dal punto di vista della politica estera, sopratutto nei Balcani (di cui è parte), nell’Africa Settentrionale e riguardo agli obiettivi di solidarietà attiva del Nuovo Piano Mattei, si pone come un competitore, un alleato scomodo, quando, addirittura, veste i panni dell’avversario. La debolezza politica dei governi italiani agevola l’attivismo di Erdoĝan. Così è stato in Libia, con il sostegno militare a Tripoli durante l’offensiva di Haftar e così in Kosovo. Dal punto di vista economico, è sempre stata un mercato utile.

Da Formiche.net, l’articolo di Emanuele Rossi, 24/10/2023

Svezia, Hamas-Israele e Azerbaigian. Cosa c’è dietro le ultime di Erdogan

Erdoĝan studia la situazione attorno a Gaza. Il raffreddamento dei rapporti con Hamas è momentaneo, la linea in difesa della causa palestinese è tattica, il dialogo con Israele è strategico (pensando a Nato, Usa, Ue)

Sin dall’inizio di questa nuova, vecchia crisi mediorientale, con l’attacco sanguinario di Hamas contro Israele, la Turchia ha cercato di gestire la propria posizione. Da un lato restando un Paese sostenitore della causa palestinese — argomento dove si muove negli ultimi anni anche in contrasto con i regni sunniti del Golfo che nella narrazione intra-islamica avrebbero marginalizzato la questione per normalizzare i rapporti con Gerusalemme. Da un altro lato, Ankara ha cercato di non perdere contatto con Israele — con cui ha raggiunto una fase di equilibrio anche legata al contrasto a un nemico, comune, l’Iran, sostenitore armeno contro l’Azerbaigian, parte degli Stati Uniti del Mondo Turco, e ottimo cliente militare israeliano.

La crisi ha colpito in un momento in cui il presidente turco, Recep Tayyip Erdoĝan, sta perseguendo la normalizzazione con le potenze regionali (tra cui Israele). Dopo anni di battibecchi bilaterali, Erdoĝan ha incontrato il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il mese scorso e lo ha invitato a visitare Ankara. Netanyahu, prima del massacro del 7 ottobre, era impegnato in attività diplomatiche per distendere i rapporti tra il suo Paese e i vicini. Questi impegni, nonostante un’apparente pausa tattica, è destinato a continuare vista l’importanza strategica.

Allontanare Hamas (per ora)

Una nuova apertura verso Israele dovrebbe permettere ad Ankara, che ha rapporti storici con Hamas, di non essere isolata. Erdoĝan ha percepito le priorità, e non a caso il suo governo avrebbe chiesto al leader del gruppo palestinese responsabile dell’attacco a Israele, Ismail Haniyeh, e ad altri alti funzionari (tra cui il suo vice Saleh al Arouri), di lasciare il Paese con discrezione. Le autorità turche avrebbero invitato i palestinesi ad “allontanarsi gentilmente”, scrive il sempre informato Al Monitor. Haniyeh — che nei giorni scorsi ha avuto un colloquio telefonico con Erdogan — vive protetto tra Turchia e Qatar. Ma il fatto che fosse a Istanbul proprio il 7 ottobre è stato considerato imbarazzante dai turchi — tanto più dopo che sono circolate sui social network le sue “preghiere di gratitudine” davanti alle immagini del massacro.

Dietro la sollecitazione potrebbe esserci anche la pressione statunitense, che Ankara in questo momento starebbe accettando anche nell’ottica del perseverare i propri interessi. C’è una partita doppia in corso, con cui la Turchia mira al rimodellamento degli equilibri tra Azerbaigian e Armenia (dopo la vittoria pan-turca nel Nagorno-Karabakh) e alle operazione di sicurezza al confine siriano (contro i curdi).

La danza diplomatica

Per Washington, Ankara offre la possibilità di muoversi tra tavoli diversi, da quello che sblocca l’ingresso della Svezia nella Nato, a quello di dialogo tra Iran e Russia sulla crisi mediorientale — i ministri degli Esteri dei tre Paesi, insieme a quelli di Armenia e Azerbaigian, “si sono scambiati opinioni sulla situazione a Gaza” durante il secondo vertice sul Caucaso a Teheran e “hanno sottolineato la necessità di porre immediatamente fine agli attacchi contro i civili innocenti”. Per tutto questo, gli Usa ci tengono a tenere Ankara agganciata (anche se non pubblicamente).

In un’intervista con Haberturk TV la scorsa settimana, Khaled Mashal, un’altra figura di alto livello di Hamas, si è lamentato perché il gruppo si aspettava un sostegno più forte da Ankara: “Ho un grande rispetto per la Turchia. “La Turchia dovrebbe dire ‘stop’ a Israele”, ha detto. Mashal è stato protagonista di un’apparizione televisiva su al Arabiya che probabilmente Riad e Abu Dhabi hanno usato per marcare la proprio posizione — di distacco — da Hamas.

Lo spazio turco

Sebbene per i leader di Hamas la scelta turca di raffreddare i rapporti è problematica — perché marca un ulteriore isolamento del gruppo — Ankara potrebbe non vedere la decisione come irreversibile. È una mossa tattica. D’altronde, dichiarazioni come quella del ministro degli Esteri Hakan Fidan — “Poiché gli occidentali definiscono Hamas come un’organizzazione terroristica, valutano tutte le sue attività nel quadro del terrorismo. Noi, da parte nostra, diciamo che nessun parte dovrebbe prendere di mira i civili” — servono a mantenere i collegamenti e a differenziare la propria posizione.

Anche nell’ottica di giocare un ruolo di mediazione. Il Qatar potrebbe presto incassare il risultato delle negoziazioni per il rilascio di 50 prigionieri con doppia cittadinanza rapiti nell’attacco dal gruppo palestinese. L’Egitto sta mediando con la Comunità internazionale l’arrivo degli aiuti umanitari a Gaza assediata. È anche davanti a questo che la Turchia vuole un ruolo, che a quanto pare si sta giocando nelle comunicazioni con l’Iran — playerproblematico sulla questione azero-armena — e con il Libano, per scongiurare contagi regionali della crisi. Il presidente e il ministro degli Esteri turco hanno parlato al telefono con le loro controparti iraniane e Fidan ha tenuto colloqui in Libano martedì scorso.

La lezione ucraina

Come nella guerra russa contro l’Ucraina e nella crisi del corridoio del grano collegato, Erdoĝan ha abilmente usato i contesti per proiettare un’immagine da leader diplomatico nell’arena internazionale e aumentare la standing del suo Paese. Parlando ai giornalisti all’inizio di questa settimana, Fidan ha addirittura proposto Ankara alla guida di un sistema di garanti su una pacificazione israelo-palestinese (per quanto per ora improbabile). La Turchia sarebbe mallevadore della parte palestinese, vantando rapporti con Israele che in questo momento sono migliorati soprattutto sul piano della sicurezza (nell’ottica comune del contenimento iraniano).

La linea del governo Erdoĝan riguardo alla questione palestinese può essere attribuita a diverse ragioni. Prima di tutto, c’è stata una diminuzione del valore politico interno della “causa”, perché è aumentata la contrarietà popolare verso gruppi islamisti, in parte a causa dei conflitti in Siria e Iraq. Poi c’è la necessità di essere parte della geopolitica energetica nel Mediterraneo orientale, dove si richiedono relazioni positive con Israele. Inoltre, l’atteggiamento della Turchia nei Paesi arabi è cambiato drasticamente, e le divisioni sono state ormai riconciliate — sotto la necessità di avere sponde per far ripartire l’economia. Infine, la decisione strategica di ristabilire rapporti con gli Stati Uniti e l’Unione Europea richiede una riconsiderazione dell’atteggiamento turco nel Medio Oriente. La Turchia cerca di sfruttare il ruolo di mediatore, imparando anche dalle lezioni apprese dalla guerra in Ucraina.

5989.- La vendetta di Israele può scatenare una nuova crisi in Siria: tutti i rischi per il Medio Oriente

Da Insideover, di Chiara Marcassa , 16 ottobre 2023

Il conflitto israelo-palestinese sta assumendo dimensioni temibili per la geopolitica regionale, che proprio quest’anno – tra la normalizzazione dei rapporti tra sauditi e iraniani, il ritorno della Siria nella Lega Araba e il possibile allargamento degli Accordi di Abramo – aveva dato una parvenza di stabilizzazione. Ora però l’attacco di Hamas ha infiammato una guerra che potrebbe far vacillare ognuno di questi progressi. Tra le vittime potrebbe esserci l’idea di Siria di Bashar al-Assad

La Siria ribolle

Il conflitto che affligge il Paese dal lontano 2011 si è riattivato già prima dell’assalto di Hamas in Israele. Il fronte settentrionale si è mostrato particolarmente caldo: l’eterno scontro tra i curdi siriani e il governo di Ankara si è ripresentato all’inizio del mese, quando un attentato kamikaze ha colpito il ministero dell’Interno turco ferendo membri del personale. L’aggressione è presto stata rivendicata dal PKK, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, riconosciuto come organizzazione terroristica non solo dalla Turchia ma anche da Unione Europea e Stati Uniti. L’intelligence turca ha ritenuto che gli attentatori fossero penetrati dalla Siria e le forze aeree turche hanno bombardato le posizioni dei curdi siriani nel nord-est del Paese, ma lì hanno commesso un errore grossolano.

La politica bellicosa della Turchia è un problema per la NATO. Il portavoce del Pentagono, il generale di brigata Pat Ryder, ha dichiarato che giovedì mattina 5 ottobre, nella regione di Hasaka, a Nord-Est della Siria, un caccia F-35A del 421° Fighter Squadron dell’USAF ha abbattuto un drone turco Anka-S armato con un missile aria-aria AIM-120 AMRAAM. I drone stavano bombardando miliziani curdi vicino ad una delle tre basi militari illegali che gli Stati Uniti hanno in Siria per proteggere il colossale furto americano del 80% del greggio siriano. Il drone abbattuto stava bombardando le Unità di protezione del popolo (YPG) curde, spina dorsale della coalizione guidata dagli Stati Uniti contro lo Stato islamico, cosiddetto Daesh. Giunto il drone a mezzo chilometro dagli americani, è divenuto una minaccia. Inutilmente, l’esercito americano ha tentato di contattare i turchi “una dozzina di volte” prima di ordinare l’abbattimento del drone.

È la prima volta che Washington abbatte un aereo di un alleato NATO. La Turchia ha tentato di disconoscere i drone attaccanti, ma, alla sera, la stessa squadriglia turca di 15 drone ha distrutto 30 obiettivi militari curdi nel nord della Siria, tra cui un pozzo petrolifero, un deposito e alcuni rifugi, “neutralizzando” molti militanti. Nel 2019, truppe statunitensi sono state colpite dall’artiglieria turca nel Nord della Siria. La Turchia ha invitato le forze di Paesi terzi a stare lontane dai luoghi controllati dal PKK e dall’YPG. Ndr.

Da Redazione del FarodiRoma del 7 ottobre 2023.

“Il Generale Brigadiere Patrick Ryder lo ha definito un “incidente deplorevole” e ha affermato che le truppe statunitensi sono state in un primo momento costrette a rifugiarsi nei bunker per sicurezza mentre la Turchia bombardava obiettivi nelle vicinanze e successivamente a far decollare un F-35 per abbattere il drone e sospendere l’attacco aereo. 
Il Ministero della Difesa turco ha cercato di offrire una versione alternativa e mitigata, confermando l’abbattimento del drone da parte del F-35 americano ma affermando che il drone non apparteneva alle forze armate turche, senza però menzionare a chi appartenesse. Gli osservatori militari regionali pensano che questa confusa dichiarazione sia motiva dalla gravità dell’incidente in quanto Stati Uniti e la Turchia sono i principali eserciti membri della North Atlantic Treaty Organization: NATO. 
La notizia dello scontro tra le due aeronautiche militari è stata diffusa dai principali media turchi, arabi, asiatici, greci e bulgari. Secondo fonti turche il drone abbattuto faceva parte di una squadriglia di UCAV (velivoli da combattimento senza pilota) che stavano conducendo raid aerei contro le milizie curde del Partiya Karkerên Kurdistan/ Partiya Yekîtiya Demokra (PKK/YPG) sostenute dagli Stati Uniti. 
Nel raid aereo di ieri i i droni turchi hanno colpito un accampagmento militare curdo nella regione di Kuwadieh distruggendolo e uccidendo almeno 9 miliziani. Nella località di Ain al-Arab i droni turchi hanno distrutto un’officina di riparazione mezzi militari delle milizie curde. Nella località di Misherge i raid turchi hanno colpito una base militare del PKK/YPG che è ubicata nelle strette vicinanze della base militare americana. Un veicolo che trasportava miliziani curdi è stato attaccato e distrutto a 700 metri dalla base americana dove era diretto per cercare rifugio. Secondo queste fonti la US Air Force avrebbero attaccato il drone a Misherge. Come risposta altri droni turchi avrebbero attaccato le stazioni petrolifere americane che stanno illegalmente estraendo il petrolio siriano per rubarlo e portarlo nel vicino Iraq dove viene ripulito ed immesso nel mercato internazionale spacciandolo come “greggio iracheno”.”

Intorno alla città di Hasaka è di stanza un contingente di circa mille soldati americani che al fianco delle Forze democratiche siriane combattono le rimanenze dell’Isis. Il 5 ottobre, le forze turche hanno attaccato le basi che ospitano circa 2500 soldati americani che collaborano con le forze governative e con i Peshmerga per contrastare un rilancio dell’Isis – e, come in Siria, per limitare l’ingerenza iraniana.

Il rafforzamento dell’opposizione 

L’incidente del drone e più in generale il tentativo turco di colpire forze alleate Usa ha messo in contrapposizione Ankara e Washington destabilizzando il fragile equilibrio siriano, in cui il presidente Bashar al-Assad detiene il potere a Damasco ma dipende fortemente dal sostegno iraniano e russo – e quest’ultimo rischia di venir meno. In questo momento, Mosca necessita delle proprie forze armate (in particolare di quelle aeree) sul fronte ucraino, e per questo motivo ha cominciato a smobilitare i contingenti che manteneva in Siria. Il progressivo ricollocamento delle forze russe ha indebolito il regime di Assad e ha incoraggiato la sua opposizione, sia interna che esterna, a perseguire i propri interessi in Siria più liberamente. 

Con tutta probabilità è stato questo il caso per un altro incidente che ha avuto luogo sempre il 5 ottobre: a Homs, a nord di Damasco e nel pieno del territorio controllato dalle forze governative, un drone armato ha colpito la cerimonia di diploma di un’accademia militare, causando oltre 100 vittime tra cadetti e familiari. All’evento era presente anche il ministro della Difesa siriano, che però al momento del bombardamento aveva da poco lasciato l’accademia. L’attacco non è stato rivendicato, e il governo lo ha attribuito all’opposizione islamista e secolare che ha la sua roccaforte a Idlib: l’enclave ribelle è stata bombardata il 7 ottobre. 

La mano libera di Israele

Chi, di fronte alla contrazione dell’opposizione russa, si sente molto più libero di perseguire i propri obiettivi sul territorio siriano è senza dubbio Israele, determinato a far saltare tutti i ponti che potrebbero aver contribuito ad armare i miliziani di Hamas. Dopo l’offensiva lanciata dai gruppi armati palestinesi, le forze armate israeliane intensificheranno la propria azione contro i gruppi iraniani e filo-iraniani presenti in Siria, accusati di aver sfruttato le vie terrestri del Paese per equipaggiare Hezbollah in Libano e i combattenti palestinesi. Per cominciare, il 12 ottobre dei missili israeliani si sono abbattuti contemporaneamente sui due principali aeroporti internazionali della Siria, Damasco e Aleppo, mettendoli fuori uso. Quegli stessi aeroporti dovevano vedere in questi giorni l’arrivo del ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian, che in un primo momento ha cancellato la tappa siriana del suo tour regionale per mobilitare il sostegno per Hamas. Alla fine, Amir-Abdollahian ha scelto comunque di far visita ad Assad il giorno dopo i bombardamenti per discutere dell’escalation israeliana.

Assad smentito 

L’attivismo dei miliziani curdi, l’incidente di Homs e l’attacco israeliano contro gli aeroporti confutano la narrativa vittoriosa con cui il presidente Assad e i suoi alleati esterni affermano di essere riusciti a sconfiggere gli oppositori e a riappacificare il Paese, che invece è in guerra su molteplici fronti, compreso quello domestico dato che per mesi le proteste contro il regime sono cresciute nel sud del Paese. Questa serie di episodi delegittima anche quanto dichiarato da Assad sul ritorno nella Lega Araba: a suo dire, la normalizzazione delle relazioni con molti Paesi arabi avrebbe inaugurato una stagione di sostanziale ricostruzionedella Siria della sua economia. In realtà, il suo governo appare indebolito e la veemenza con cui Israele sembra voler vendicare l’attacco subito fa ipotizzare il rilancio di una fase ad alta intensità del conflitto siriano. Al contrario di quanto afferma, Assad potrebbe non essere mai stato così lontano dalla pacificazione del Paese.  

5950.- Turchia e Azerbaigian vogliono un pezzo di Armenia

L’Europa, serva di Washington, non esiste; la Federazione Russa, impegnata dalla NATO in Ucraina, ne ha che basta; l’instabilità dell’Asia Centrale fa gioco agli USA, ma temono un cambio di alleanze, anche ondivago, dei turchi. Erdogan ne profitta e, un pezzo alla volta, ritaglia per sé un impero impossibile. Curdi e Armeni, popoli meravigliosi, sono vittime di questo rigurgito imperialista. Chiamatelo come volete, ma nulla di quello che si sta costruendo ad Ankara sarà duraturo. Le conseguenze si riverbereranno nel Caucaso, in Mediterraneo e, ancora una volta, solo la Francia avrà una mano libera.

Da Pagine esteri, di Marco Santopadre | 5 Ott 2023 

Turchia e Azerbaigian vogliono un pezzo di Armenia

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 5 ottobre 2023 – Russia e occidente continuano a rimpallarsi le responsabilità per l’ennesima tragedia nel Caucaso. Per Mosca, la colpa della disfatta armena sarebbe da addebitare al governo guidato da Nikol Pashinyan, che avrebbe tradito la Russia per cercare il sostegno di Nato e UE, che ovviamente non è arrivato. Gli USA nella regione non hanno voce in capitolo, e gli europei sono troppo interessati al gas azero per fare la voce grossa con il dittatore Ilham Aliyev.

É vero che Erevan si è avvicinata all’Alleanza Atlantica e a Bruxelles, ma non solo in ossequio all’orientamento filoccidentale del primo ministro eletto dopo la “rivoluzione di velluto” del 2018. Se Pashinyan ha cercato nuove sponde – a occidente, ma anche in Iran ed India – è anche perché era ormai chiaro che Mosca non aveva alcuna intenzione di spendersi per difendere gli armeni. Nonostante un patto di mutua assistenza militare con Erevan, Putin non si è mosso neanche quando gli azeri hanno aggredito lo stato sovrano armeno nel settembre 2022, e non più solo l’autoproclamata – ma non riconosciuta da nessuno – Repubblica di Artsakh creata dagli armeni dell’Azerbaigian nel 1991.

Specularmente, per europei e statunitensi la responsabile unica della catastrofe sarebbe Mosca, che cinicamente ha mollato gli armeni per proteggere le consistenti relazioni avviate con il regime di Baku e soprattutto con la Turchia, che importa ingenti quantità di petrolio e gas dalla Russia e si è distanziata dagli interessi di Washington, anche se non certo per compiacere Mosca.

La Repubblica dell’Artsakh non esiste più
In realtà sono vere entrambe le versioni: tutte le potenze attive nel Caucaso, seppur per motivi diversi, hanno lasciato mano libera all’esercito azero, provocando una catastrofe umanitaria e culturale la cui gravità, forse, la comunità internazionale comprenderà solo nei prossimi anni.
In due settimane, man mano che le truppe azere prendevano possesso del territorio dell’Artsakh, più di centomila armeni – più del 90% della popolazione dell’enclave – hanno abbandonato le loro case e le loro terre per rifugiarsi in Armenia, incolonnandosi per giorni su quel “corridoio di Lachin” che i 2000 peacekeeper russi schierati nel 2020 avrebbero dovuto difendere e che invece militari e funzionari azeri, travestiti da attivisti ecologisti, hanno bloccato per 10 mesi dando vita ad un assedio medievale.
Al termine dell’assedio – che ha causato fame ed estrema penuria di medicine e carburante – la comunità armena del Nagorno-Karabakh era così stremata che quando a settembre le truppe azere hanno sferrato l’ennesimo attacco, il governo di Stepanakert ha resistito poche ore, dichiarando poi la resa totale.
Il 28 settembre il presidente dell’Artsakh Samvel Sergeyi Shahramanyan ha firmato il decreto che pone fine all’esistenza dell’entità dal primo gennaio 2024. Le strade e le case di Stepanakert e delle altre città dell’enclave sono già deserte e presto la patria ancestrale degli armeni verrà ripopolata da profughi azeri (cacciati dagli armeni negli anni ’90) e da nuovi coloni inviati da Baku per assimilare le province riconquistate.

La Turchia approfitta della miopia di Mosca 
I peacekeeper russi non sono intervenuti e neanche le truppe di Mosca di stanza nella base che la Federazione possiede in Armenia. «Putin non poteva certo rischiare di entrare in conflitto con l’Azerbaigian e la Turchia per difendere un paese il cui governo flirta con la Nato», ripetono i media controllati dal Cremlino. In realtà se fosse intervenuta per bloccare l’aggressione azera all’Armenia del 2022 e per evitare il blocco del corridoio di Lachin, Mosca avrebbe potuto, senza sparare un colpo, utilizzare la sua influenza e il suo peso militare e politico per convincere Aliyev a non forzare la mano. Anche solo cristallizzando lo status quo venutosi a creare dopo l’aggressione azera del 2020, grazie alla quale Baku ha recuperato le 7 province contigue all’Artsakh occupate dagli armeni durante la guerra che ha insanguinato la regione dopo la dissoluzione dell’URSS negli anni ’90, Putin avrebbe evitato il precipitare degli eventi senza inimicarsi né Erevan né Baku.

Ma a furia di tollerare l’iniziativa dell’asse azero-turco, la presa di Mosca sull’area è notevolmente diminuita e si è affermata l’egemonia turca.
La Nato sfrutta la disillusione armena nei confronti della Russia per stringere accordi militari, economici e politici con Erevan, al solo scopo di indebolire il ruolo russo nel Caucaso. Martedì il parlamento armeno ha approvato l’adesione del paese alla Corte Penale dell’Aja; la mossa ha enormemente contrariato il Cremlino, sul cui inquilino pesa un mandato internazionale di cattura per crimini di guerra in Ucraina. D’altronde, i partiti filorussi dell’Armenia – protagonisti insieme ad altre forze di grandi manifestazioni per le dimissioni di Pashinyan, reo di aver abbandonato gli armeni dell’Artsakh – hanno perso ogni credibilità di fronte all’opinione pubblica che considera Mosca non meno colpevole della catastrofe dell’occidente. Le minacce russe di un regime change a Erevan per togliere di mezzo Pashinyan (ma queste cose non le faceva solo il perfido occidente?) non aiutano.

All’UE interessa il gas azero
Anche le promesse di sostegno da parte dei paesi europei e di Washington si sono rivelate inconsistenti. Qualche mese prima dell’aggressione sul confine armeno era arrivata una pattuglia di impotenti inviati dell’Unione Europea. Durante lo scorso fine settimana, poi – quando l’Artsakh si era ormai svuotato dei suoi abitanti in fuga dalla repressione e dall’assimilazione azera – le Nazioni Unite hanno inviato una missione per “valutare le necessità umanitarie” nella regione interdetta da Baku ai giornalisti stranieri, mentre decine di leader politici e militari dell’enclave venivano arrestati dagli occupanti.

Delle sanzioni all’Azerbaigian richieste da una sessantina di euro-parlamentari – Baku è governata da un regime autocratico spietato – neanche a parlarne: il gas e il petrolio estratti nel Mar Caspio sono troppo preziosi per l’UE, e soprattutto per Roma, alla ricerca di fonti alternative con cui rimpiazzare le forniture russe boicottate dopo l’invasione dell’Ucraina. Per non parlare dei miliardi in gioco nella ricostruzione delle province azere ripulite dagli armeni, molti dei quali finiscono nelle casse di aziende italiane ed europee.

Lo schiaffo dell’Azerbaigian a Russia e Ue
Ma il vile comportamento delle varie potenze nei confronti degli armeni non è dettato esclusivamente dal cinismo.
La verità è che tanto a occidente quanto a Mosca i diversi governi hanno subito l’ennesima offensiva dell’asse azero-turco dimostrando una consistente miopia e una scarsa lungimiranza.

Ieri l’edizione europea del giornale “Politico” ha informato che alcuni rappresentanti diplomatici di Stati Uniti, UE e Russia si sono incontrati a metà settembre in Turchia per una riunione diretta a sventare un peggioramento della situazione in Nagorno-Karabakh. L’incontro si sarebbe svolto il 17 settembre a Istanbul con la partecipazione di Louis Bono, consigliere senior di Washington per i negoziati nel Caucaso, di Toivo Klaar, rappresentante speciale dell’UE per la regione, e di Igor Khovaev, inviato speciale di Putin in Armenia e Azerbaigian. I tre paesi avrebbero teoricamente ottenuto da Baku un allentamento dell’assedio agli armeni dell’Artsakh e la promessa di un rilancio dei colloqui di pace con Erevan. Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, si è più volte vantato dei presunti risultati ottenuti grazie alle pressioni europee sull’Azerbaigian.

Solo due giorni dopo l’incontro di Istanbul, il 19 settembre, le forze armate di Baku hanno attaccato i 10 mila miliziani dell’Artsakh, male armati e deperiti, in barba alle rassicurazioni offerte poche ore prima ai rappresentanti delle grandi potenze. Il regime azero ha giustificato “l’operazione antiterrorismo” come la necessaria risposta ad un’imboscata armena ai propri militari, ma da settimane Baku stava ammassando truppe ai confini dell’Artsakh all’interno di un piano d’invasione evidentemente preordinato.

Durante l’offensiva le truppe azere hanno preso di mira una pattuglia di militari di Mosca, uccidendone 5, compreso il vicecomandante del contingente russo Ivan Kovgan, e hanno bersagliato varie postazioni dei peacekeeper. Solo degli errori, si sono giustificati a Baku; il segnale che i soldati azeri si sentono padroni del Caucaso e non temono neanche il gigante russo, affermano altri.

Sulla base della stessa sensazione di onnipotenza, ieri Aliyev ha respinto l’invito a partecipare ad un incontro previsto per oggi a Granada, in Spagna, con i rappresentanti di Armenia, UE, Francia e Germania, per discutere il futuro della regione di cui Baku è rientrata in possesso dopo 30 anni e siglare un trattato di pace. Gli emissari di Aliyev hanno chiesto che alla riunione prendesse parte anche la Turchia, condizione respinta dai promotori dell’incontro, ed espresso forti riserve sulla partecipazione francese. Ripreso l’Artsakh, Baku non ha alcuna reale necessità di negoziare con Erevan e anzi punta a nuove vittorie.

Le aspirazioni egemoniche della Turchia, le rivendicazioni azere e il ruolo di Israele
È evidente sin dall’inizio della crisi che dietro le pretese dell’Azerbaigian – ormai potenza energetica di primo livello – c’è proprio la Turchia. Ankara considera la repubblica turcofona parte del grande popolo turco (“un popolo, due stati”) ma anche uno strumento per far valere le proprie aspirazioni da grande potenza in Asia centrale. Per questo Erdogan ha armato, addestrato e sostenuto con consiglieri e mercenari le truppe di Baku che contemporaneamente hanno potuto contare sul pieno sostegno di Israele. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, tra il 2016 e il 2020 il 70% delle armi acquistate dall’Azerbaigian grazie ai proventi dell’industria petrolifera provenivano proprio dallo “stato ebraico”, incuneatosi così in un’area dove non aveva alcuna influenza. Anche pochi giorni prima dell’ultimo blitz contro l’Artsakh di settembre a Baku sarebbero atterrati vari cargo pieni di armi israeliane.

Forse Mosca e le cancellerie europee pensavano di contenere le ambizioni azere e turche tollerando la riconquista dell’Artsakh da parte di Baku, ma appare evidente che Azerbaigian e Turchia nutrono ben altre aspirazioni.
A pochi giorni dalla fulminante vittoria azera in Artsakh, Aliyev ha incontrato l’omologo turco Erdogan nella Repubblica del Nakhchivan, una exclave azera separata dal resto del paese da una regione dell’Armenia meridionale. Baku pretende la realizzazione di un corridoio stradale e ferroviario in territorio armeno che colleghi le due parti del paese, esistente fino all’inizio degli anni ’90 e poi saltato dopo l’inizio del conflitto tra le due ex repubbliche sovietiche. Per Erdogan il progetto è ancora più rilevante, perché concederebbe all’economia e alle aspirazioni imperiali turche una proiezione verso l’Asia centrale, le altre repubbliche turcofone ex sovietiche e la Cina, aggirando Russia e Iran.

Lunedì Erdogan e Aliyev hanno già inaugurato i lavori di realizzazione di un nuovo gasdotto che collegherà il Nakhchivan con la regione turca di Igdir, in attesa di poterlo prolungare fino a Baku passando nel corridoio di Zangezur.

Aliyev ha spesso chiarito che se non dovesse ottenere il corridoio di Zangezur con le buone – sul confine meridionale armeno e alle porte dell’Iran, che osserva con preoccupazione il precipitare della situazione a nord della sua frontiera e su è detto disponibile a inviare osservatori al confine tra Armenia e Azerbaigian – lo farebbe con la forza, prendendosi anche i territori dell’Armenia meridionale che d’altronde il “presidente a vita” azero ha definito ancora recentemente “Azerbaigian occidentale”. Senza un consistente sostegno esterno, economico e militare, l’Armenia non avrebbe alcuna chance di fermare le truppe azere e di impedire l’occupazione della provincia di Syunik, dove tra l’altro si trovano importanti giacimenti di rame e molibdeno.

A quel punto la Russia, il cui ruolo di paciere è già compromesso, si troverebbe a fronteggiare uno scenario alquanto spiacevole, dovendo scegliere tra fronteggiare anche militarmente l’iniziativa turco-azera, con tutte le conseguenze del caso, o tollerare un ulteriore rafforzamento di Ankara in un quadrante tradizionalmente di sua competenza.

La Francia offre protezione a Erevan
La difficoltà di Mosca nel Caucaso è tale che nei giorni scorsi la Francia – tradizionale protettore degli armeni e potenza energetica nucleare assai meno dipendente dal gas azero rispetto ai partner europei – ha deciso di entrare in scena con maggiore determinazione.
In visita a Erevan la Ministra degli Esteri di Parigi, Catherine Colonna, ha informato che Parigi ha accettato di consegnare non meglio precisati equipaggiamenti militari alla piccola nazione del Caucaso meridionale per garantire una migliore difesa del paese. Segno che l’ipotesi di un’aggressione militare azera all’Armenia è tutt’altro che remota.
Nel frattempo la moneta armena si è svalutata del 15% in un solo giorno e il piccolo e povero paese deve sistemare i 100 mila profughi dell’Artsakh che nei giorni scorsi hanno varcato la sua frontiera. – Pagine Esteri

5208.- La NATO crea nuovi obiettivi in Italia e in Germania. Erdogan: mano libera sul popolo Curdo

Aggiornato 30 giugno 2022.

Insieme ai tedeschi, saremo il primo obiettivo russo della guerra nucleare voluta da Biden. Ripeto: Insieme ai tedeschi, saremo il primo obiettivo russo della guerra nucleare voluta da Biden.

Al summit NATO, Draghi a coperto con una dichiarazione sciocca sui curdi la delicatezza degli argomenti guerreschi di Biden e Stoltenberg!

Lo schieramento di armi nucleari, ipersoniche, a medio raggio americane fa dell’Italia un bersaglio atomico, obbligato e prioritario per la Russia e deve essere approvato con referendum e dal Parlamento.

Turchia, Svezia e Finlandia hanno firmato un memorandum d’intesa sulla pelle del popolo curdo. Lo riferisce l’agenzia turca Anadolu.

Un popolo senza diritti e senza patria. Il suo motto: Non abbiamo altri amici che le nostre montagne.

Questa NATO è orrida. Con Biden, è venuta meno la simpatia fraterna che ci ha legato agli Stati Uniti. La Svezia per entrare nel business NATO rimanda ai turchi i profughi curdi che aveva accolto. La condizione di Erdogan per l’ingresso della Svezia nella Nato era riconoscere che i curdi sono terroristi e estradarli In Turchia, accettando di fatto una persecuzione etnica. I curdi sono quelle persone per loe quali battevano i cuori dell’l’Occidente, a partire dagli Stati Uniti e noi con loro. Ricordate le donne combattenti di Kobane? Ottenuto il prezzo del ricatto, la Turchia ha ritirato il veto all’ ingresso nella NATO di Svezia e Finlandia. Ora, Erdogan potrà far massacrare o, più probabilmente, gassare, i curdi come ha sempre desiderato. Pur di riuscire a controllare la Federazione Russa i paladini dei diritti umani sbandierati dall’ Occidente rinunciano al loro e al nostro onore. Avanti così Biden e avanti Erdogan! ma l’orrore non finisce qui: Il presidente del Consiglio Draghi appoggia l’ingresso nella NATO di Svezia e Finlandia, approvando la consegna del popolo curdo (I curdi, sì, che hanno combattuto per la ns LIBERTÀ, non l’Ucraina). Draghi s’inchina al Sultano Erdogan, che lui stesso aveva chiamato dittatore e che, da oggi, è diventato statista; ma, ammettiamolo: L’avessimo noi un Erdogan!

Biden al summit Nato annuncia più truppe anche in Italia, e dove? a Pisa? Cade il veto turco a Svezia e Finlandia.

Ci occupano; ma non ci avevano liberato?

Pisa. 70 ettari di bosco che a breve saranno sacrificati per una base militare pro USA. Non siamo in Corea, ma IN TOSCANA NEL 2022, NEL “PARCO DI SAN ROSSORE”. La base militare sarà realizzata con i fondi del PNRR dopo l’ok del presidente Mario Draghi. E qui che faranno base i sistemi mobili lanciamissili ipersonici della Lockheed Martin?

Un bosco patrimonio della Regione Toscana tra i più belli d’Italia trasformato in base militare del Patto Atlantico o Patto Leonino.

San Rossore. Sarà questa la nuova base dei missili ipersonici nucleari con lancio da piattaforme terrestri mobili, prodotti dalla Lockheed Martin; missili con gittata tra 500 e 5500 km: un vero pericolo per la Russia!

mercoledì 29 Giugno 11:17 – di Vittorio Giovenale

summit Usa, Biden

Gli Stati Uniti dispiegheranno “difese aree aggiuntive e altre capacità in Germania e Italia”. Lo ha annunciato il presidente americano Joe Biden, parlando del rafforzamento della presenza militare statunitense in Europa in un breve incontro con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, prima dell’inizio del summit di Madrid. “Oggi annuncio che gli Stati Uniti miglioreranno la loro postura di difesa in Europa per rafforzare la nostra sicurezza e rispondere alle sfide”, ha detto il presidente americano. Nel concreto, dagli Usa arriveranno altre truppe e mezzi nel continente.

“Qui in Spagna lavoreremo con il nostro alleato per aumentare i cacciatorpediniere che abbiamo nella base navale di Rota, che passeranno da quattro a sei – ha annunciato Biden – In Polonia creeremo una sede per rafforzare la nostra collaborazione con la Nato. Avremo una brigata a rotazione di tremila soldati e altri tremila anche in Romania, manderemo due squadroni nel Regno Unito e difese aree addizionali e altre capacità in Germania e Italia”. Traduciamo il messaggio volutamente ermetico. Per difese aree addizionali possiamo intendere batterie di missili PATRIOT a difesa delle armi nucleari USA, per esempio, delle basi di Ghedi e Aviano, mentre per altre capacità possiamo intendere i nuovi sistemi missilistici ipersonici a raggio intermedio,  guidati dai sistemi satellitari della Forza Spaziale degli Stati Uniti annunciato dal C.S.M. dell’US ARMY generale McConville.

Lo schieramento di queste armi nucleari, ipersoniche, a medio raggio fa dell’Italia un bersaglio atomico obbligato e prioritario per la Russia e deve essere approvato con referendum e dal Parlamento.

Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito e l’Agenzia di ricerca del Pentagono avevano già annunciato della decisione degli Stati Uniti (non dell’Italia) di schierare in Europa (si parlava di una probabile prima base in Polonia o Romania) missili ipersonici armati di «vari carichi bellici», ossia di testate nucleari e convenzionali. Si tratta di missili con lancio da piattaforme terrestri mobili, prodotti dalla Lockheed Martin, ossia missili con gittata tra 500 e 5500 km della categoria che era stata proibita dal Trattato sulle forze nucleari intermedie firmato nel 1987 dai presidenti Gorbaciov e Reagan, stracciato dal presidente Trump nel 2019.

Certamente, secondo le specifiche tecniche fornite dalla Darpa, “questo nuovo sistema” permette ad armi ipersoniche plananti, con propulsione a razzo e velocità di 10.000 km/h, di colpire con rapidità e precisione bersagli di importanza critica e prioritaria, penetrando moderne difese aeree nemiche, dove, per nemiche, Biden e Stoltenberg intendono i russi. 

Al summit Nato l’annuncio dell’ingresso di Svezia e Finlandia

“I leader oggi prenderanno anche la storica decisione di invitare Finlandia e Svezia a diventare membri della Nato, sulla base dell’accordo raggiunto ieri tra Finlandia, Svezia e Turchia: si tratta di un accordo positivo per la Finlandia, la Svezia, la Turchia e per tutti noi”. Lo ha detto il segretario della Nato Jens Stoltenberg arrivando al summit organizzato nella periferia di Madrid.

La mediazione in extremis di Stoltenberg ha infatti convinto Erdogan a ritirare il veto all’ingresso di Svezia e Finlandia, dopo settimane d’impasse. I tre Paesi hanno firmato un memorandum d’intesa sulle richieste turche e Ankara può davvero dirsi soddisfatta: “Abbiamo avuto quello che chiedevamo, piena cooperazione” contro i curdi del PKK e i loro alleati, ha fatto sapere la presidenza turca. “Con l’ingresso di Stoccolma e Helsinki nell’Alleanza saremo tutti più sicuri”, ha esultato Stoltenberg. Non solo. Il presidente americano Joe Biden è arrivato nella capitale spagnola annunciando un nuovo sforzo per la sicurezza euroatlantica: un rafforzamento “a lungo termine” dell’impegno militare Usa nel vecchio mondo, in particolare “nei Paesi Baltici, nei Balcani” e in generale “sul fianco orientale dell’Alleanza”.

Gli annunci nel dettaglio arriveranno nel corso del vertice ma appare chiaro che un blocco importante di quei 260mila effettivi in più a disposizione del comando supremo saranno degli Usa. Un inasprimento della tensione con Mosca (e in parte anche con Pechino).

Lo spessore di uno statista:

Non è uno sciocco! Contento di sviare il discorso dai missili in Italia… dite se sbaglio?
Giornalista: “L’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato vale la consegna dei Curdi -che ci hanno aiutato a combattere Isis- al ‘dittatore’ Erdogan, come lei stesso lo aveva definito?” Draghi prima gira sui tacchi poi risponde: “È un argomento importante. Fate questa domanda a Svezia e Finlandia“.

Vertice Nato, Stoltenberg

“Abbiamo appena completato un summit che ha portato a decisioni profonde”, ha detto Stoltenberg

Dal fianco sud rischi per tutti gli alleati “Questa mattina abbiamo affrontato le questioni di sicurezza in Medio Oriente, Nord Africa e Sahel: i rischi che provengono da quest’area hanno un impatto su tutti gli alleati. Abbiamo inoltre ribadito che il terrorismo è una delle minacce principali alla nostra sicurezza. Inoltre per la prima volta abbiamo approvato un pacchetto di aiuti alla Mauritania e alla Tunisia”. Lo ha detto Jens Stoltenberg, il segretario generale della Nato, al termine del summit di Madrid. 

Supporto a lungo termine per l’Ucraina. Altri 800 milioni di armi per la guerra alla Russia.. la guerra in Europa!

A Madrid nasce ufficialmente il fondo per l’innovazione della Nato. Con un miliardo di euro di capitalizzazione, servirà a finanziare start-up e PMI ad alto contenuto tecnologico sul territorio dell’Alleanza. “È il primo fondo di venture capital al mondo di questo tipo”, ha detto il segretario Jens Stoltenberg. “Dobbiamo mantenere la nostra spinta tecnologica, ora che Cina e Russia ci sfidano in questo settore chiave”, ha precisato. Il fondo è sostenuto da 22 Paesi Nato, tra cui l’Italia, che è stata rappresentata alla cerimonia di firma dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini.

Osserviamo:

Da una parte, il presidente statunitense assicura: “Sosterremo l’Ucraina per tutto il tempo che serve”, cioè, finanzia la guerra; da un’altra, con la sua politica ha favorito la concentrazione dei BRICS contro il dollaro; meglio tardi che mai, denuncia la crescita del terrorismo in Nord Africa e nel Sahel, infine, in un clima di inflazione senza freni e di rallentamento della crescita, che vede a rischio gli utili e i multipli societari, finanzia la crescita di start-up e PMI. C’è un pò di confusione a Washington.

Le basi Nato in Italia

Sarebbero circa 111 le Basi USA o mantenute attive per gli USA e circa 135 le testate nucleari, dopo il trasferimento in Italia di quelle della base di Incirlik, in Turchia, voluto da Erdogan. Può darsi che l’accordo sulla pelle dei curdi abbia rivisto queste posizioni del governo turco.

Gli USA hanno potuto stabilire le loro Basi, in Italia – e continuano indisturbati a mantenerle e ad aumentarle – sulla base di: 1) Le clausole segrete della «Convenzione d’Armistizio» del 3 Settembre 1943; 2) Le clausole segrete del «Trattato di pace» imposto all’Italia, il 10 Febbraio del 1947 (Parigi); 3) Il «Trattato NATO» firmato a Washington il 4 Aprile 1949, entrato in vigore il 1 Agosto 1949; 4) L’«Accordo segreto USA-Italia» del 20 ottobre 1954 (Accordo firmato esclusivamente dai rappresentanti del Governo di allora e mai sottoposto alla verifica, né alla ratifica del Parlamento); 5) Il «Memorandum d’intesa USA-Italia» o «Shell Agreement» del 2 Fe

Le basi militari degli o per gli Stati Uniti d’America in Europa, Mediterraneo e Medioriente, con o senza copertura NATO (elenco indicativo, aggiornato al 2005)

a cura di Alberto B. Mariantoni (**)

Nelle pagine che seguono sono elencati gli stabilimenti e le basi militari operative o a disposizione degli Stati Uniti d’America (1) insediati nel Continente europeo, nel Bacino Mediterraneo e nell’Area mediorientale, con o senza copertura NATO.

Basi USA in Europa (2)

Da Nord a Sud, tra le più importanti:

  • ISLANDA: NAS Keflavik (Reykjanes – US-Navy – US-Air Force).
  • Estonia, LETTONIA, Lituania: attualmente sono in costruzione almeno 22 Basi militari e 6 Basi navali NATO (3), su controllo statunitense (Mare Baltico – US-Air Force; US-Navy; US-Army; NSA (4)).
  • NORVEGIA: Sola Sea Air Base (US-Air Force); Stavanger Air Base (US-Air Force); Flesland Air Base (Bergen – US-Air Force).
  • GRAN BRETAGNA: (all’incirca 30 basi – US-Air-Force, US-Navy, US-Army) – nome della base: Lakenheath (località: Lakenheath; provincia o regione: Suffolk – US-Air Force); Mildenhall (Mildenhall, Suffolk – US-Air Force); Alcombury (Huntingdon, Cambridgeshire – US-Air Force); Molesworth (Huntingdon, Cambridgeshire – US-Air Force); Thrapston (Huntingdon, Cambridgeshire – US-Air Force); Upwood (Ramsey, Cambridgeshire – US-Air Force); Fairford (Fairford, Gloucestershire – US-Air Force); Feltwell (Thetford, Norfolk – US-Air Force); Croughton (Croughton, Northamptonshire – US-Air Force); senza contare le Basi di supporto logistico di: Barford St John (US-Air Force); Bicester (US-Air Force); Chelveston/Rushden (US-Air Force); Eriswell (US-Air Force); Ipswich (US-Air Force);Newbury (US-Air Force); Newmarket (US-Air Force); Stanton (US-Air Force);Thetford (US-Air Force);Yildenhall (US-Air Force); London (US-Navy); St. Mawgan (US-Navy); Hythe (US-Army).
  • OLANDA: Soesterberg Air Base (US-Air Force); Eygelshoven (US-Army); Brunssum (US-Army); Schinnen(US-Army); Vriezenveen (US-Army); Rotterdam (US-Navy – US-Army); più altri 4 insediamenti (5).
  • BELGIO: Bruxelles (Comando Nato); Mons (SHAPE Headquarters – Forze alleate in Europa – US-Army); Chievres (80º Air Support Group – US-Air Force); Brasschaat (Brasschaat – US-Air Force); Gendebien (US-Army); Kleine Brogel Air Base (US-Air Force); Florennes Air Base (US-Air Force); Anversa (US-Navy); più una decina di altri insediamenti.
  • LUSSEMBURGO: Sanem(Esch-Alzette – US-Army); Bettembourg (Luxemburg – US-Army).
  • DANIMARCA: Thule Air Base (Thule, Groenlandia); Karup Air Base (Karup – US-Air Force).
  • GERMANIA: (all’incirca 70 basi – Air-Force, US-Navy, US-Army – con una presenza di all’incirca 60.000 militari) – La maggior parte delle Basi USA sono concentrate nelle regioni di: Baden-Wuerttemberg, Renania-Palatinato, Assia e Baviera. Tra le sedi dei Comandi più importanti figurano:
    • Ramstein (6) (Ramstein, Rheinland-Pfalz – US-Air Force): da questo Comando dipendono i Sub-comandi di: Brasschaat (Mannheim-Sandhofen, Baden-Wuerttemberg); Patton Barracks (7) (Heidelberg, Baden-Wuerttemberg); Stuttgart (Stuttgart-Echterdingen, Baden-Wuerttemberg); Giebelstadt (Giebelstadt-Wuerzburg, Bayern); Grafenwoehr (Grafenwoehr, Bayern); Hohenfels-CMTC (Hohenfels-Regensburg, Bayern); Katterbach Barracks (Ansbach, Bayern); Storck Barracks (Illesheim, Bayern); Schweinfurt-Conn Barracks (Schweinfurt, Bayern); Armstrong Army Heliport (Buedingen, Hessen); Hanau-Fliegerhorst (Hanau, Hessen); Wiesbaden (Wiesbaden-Erbenheim, Hessen); Rhein-Main (Frankfurt/Main, Hessen); Geilenkirchen (Teveren, Nordrhein-Westfalen); Ramstein (Ramstein, Rheinland-Pfalz); Sembach (Kaiserslautern, Rheinland-Pfalz); Einsiedlerhof (Kaiserslautern, Rheinland-Pfalz); nonché le Basi aere di: Ramstein-Landstuhl (Ramstein, Rheinland-Pfalz); Rhein-Main Frankfurt, Spangdahlem (Spangdahlem, Rheinland-Pfalz), Büchel e Siegenburg-Mühlausen;
    • Heidelberg (8) (località: Heidelberg; regione: Baden-Wuerttemberg – US-Army) – Divisioni: 1st Armored Division, Weisbaden; 1st Infantry Division, Wurzburg; 2nd Brigade, 1st Armored Division, Buamholder; 7th Army Reserve Command (ARCOM), Schwetzingen; Corpi d’Armata: Vº Corps, Heidelberg; Comandi: U.S. Army Europe (USAREUR); Combat Maneuver Training CenterLandstuhl Regional Medical Center; nonché le caserme: Hammonds BarracksCampbell BarraksTompkins BarracksStem BarracksHammond Barracks – più 10 altri insediamenti della US-Army;
    • Brasschaat (9) (Mannheim-Sandhofen, Baden-Wuerttemberg), con le seguenti caserme: Coleman BarracksSpinelli BarracksTurley BarracksSullivan BarracksFunari Barracks – più altri 11 insediamenti US-Army nella stessa regione;
    • Stuttgart (Stuttgart-Echterdingen, Baden-Wuerttemberg – US-Army), con le seguenti caserme: Kelley BarracksRobinson BarracksPatch Barracks– più altri 13 insediamenti US-Army;
    • Hanau (Hanau, Hessen – US-Army), con le seguenti caserme: Argonen BarracksFliegerhorst BarracksPionier BarracksUtier BarracksWolfgang BarracksYorkhof Barracks – più altri 6 insediamenti US-Army;
    • Wiesbaden (Wiesbaden-Erbenheim, Hessen), Comando Intelligence Militare – più altri 9 insediamenti US-Army;
    • Rhein-Main (Frankfurt/Main, Hessen) – almeno 2 insediamenti US-Army e 2 US-Air Force;
    • Einsiedlerhof (Kaiserslautern, Rheinland-Pfalz) con le seguenti caserme: la GE-642 Armoured-Forces BarracksDanner BarracksPulaski BarracksRhine BarracksKleber Barracks – più altri 8 insediamenti US-Army e 4 US-Air Force;Inoltre i Distaccamenti: Pendleton Barracks di Giessen (US-Army); Sheridan Barracks di Garmisch (US-Army); Larson Barracks di Kitzingen (US-Army); Johnson Barracks di Nürnberg (US-Army); Rose Barracks di Bad Kreuznach (US-Army); Pond Barracks di Amberg (US-Army); Warner Barracks di Bamberg (US-Army); Storck Barracks di Windsheim (US-Army); Smith Barracks di Baumholder (US-Army); McCully Barracks di Mainz (US-Army); Ledward Barracks di Schweinfurt (US-Army); Amstrong Barracks di Dexheim (US-Army); Anderson Barracks di Büdingen (US-Army); l‘Eliporto di Landstuhl (US-Army), ecc.
  • POLONIA: Krzesiny Air base (regione di Poznan – US-Air Force); Gdansk (facilità portuali – US-Navy).
  • FRANCIA (10): Istres Air Base (Marsiglia – Base logistica e di rifornimento US-Air Force), nonché Marsiglia e Tolone (facilità portuali – US-Navy).
  • UNGHERIA: Taszár Air Base (Pecs/Paych – US-Air Force); Kaposvar Air Field (UH-60 Black Hawk helicopters e 127º Aviation Support Battalion – US-Army).
  • ITALIA: circa 111 Basi USA (11) (US-Air Force, US-Navy, US-Army, NSA) e NATO. Alcune tra le basi USA o italiane a disposizione degli USA, da Nord a Sud della Penisola:
    • Cima Gallina (BZ): Stazione telecomunicazioni e radar dell’US-Air Force (USAF).
    • Aviano Air Base (Pordenone, Friuli – US-Air Force): la 16ma Forza Aerea ed il 31º Gruppo da caccia dell’Aviazione U.S.A. e dei Marines.
    • Roveredo in Piano (PN): Deposito armi e munizioni USA ed istallazione US-Air Force.
    • Monte Paganella (TN): Stazione telecomunicazioni USAF.
    • Maniago (UD): Poligono di tiro a disposizione dell’US-Air-Force (USAF).
    • S. Bernardo (UD): Deposito munizioni dell’US-Army.
    • Ciano(TV): Centro telecomunicazioni e radar USA.
    • Solbiate Olona (MI – Comando NATO Forze di pronto intervento – US-Army).
    • Ghedi (BS): Base dell’US-Air-Force (USAF).
    • Montichiari (BS): Base aerea (USAF).
    • Remondò (nel Pavese): Base US-Army.
    • Vicenza: Comando SETAF, Sud Europe Task Force; Quinta Forza aerea tattica (USAF); Deposito di testate nucleari.
    • Camp Ederle (provincia di Vicenza): Q.G. NATO; Comando SETAF dell’US-Army; un Btg. di obici ed Gruppo tattico di paracadutisti USA.
    • Tormeno (San Giovanni a Monte, Vicenza): depositi di armi e munizioni.
    • Longare (Vicenza): importante deposito d’armamenti.
    • VeronaAir Operations Center (USAF). e Base NATO delle Forze di Terra del Sud Europa; Centro di telecomunicazioni (USAF).
    • Affi(VR): Centro telecomunicazioni USA.
    • Lunghezzano (VR): Centro radar USA.
    • Erbezzo (VR): Antenna radar NSA.
    • Conselve (PD): Base radar USA.
    • San Anna di Alfaedo (VE): Base radar USA.
    • San Gottardo, Boscomantico (VE): Centro telecomunicazioni USA.
    • Candela-Masazza (Vercelli): Base d’addestramento dell’US-Air-Force e dell’US-Army, con copertura NATO.
    • Finale Ligure (SV): Stazione di telecomunicazioni dell’US-Army.
    • Monte Cimone (MO): Stazione telecomunicazioni USA con copertura NATO.
    • Parma: Deposito dell’USAF con copertura NATO.
    • Bologna: Stazione di telecomunicazioni del Dipartimento di Stato Americano.
    • Rimini: Gruppo logistico USA per l’attivazione di bombe nucleari.
    • Rimini-Miramare: Centro telecomunicazioni USA.
    • Potenza Picena (MC): Centro radar USA con copertura NATO.
    • La Spezia: Centro antisommergibili di Saclant.
    • San Bartolomeo (SP): Centro ricerche per la guerra guerra sottomarina.
    • Camp Darby (tra Livorno e Pisa): 8º Gruppo di supporto USA e Base dell’US Army per l’appoggio alle Forze statunitensi al Sud del Po, nel Mediterraneo e nell’Africa del Nord.
    • Coltano (PI): importante base USA/NSA per le telecomunicazioni; Deposito munizioni US-Army; Base NSA.
    • Pisa(aeroporto militare): Base saltuaria dell’USAF.
    • Monte Giogo (MS): Centro di telecomunicazioni USA con copertura NATO.
    • Talamone (GR): Base saltuaria dell’US-Navy.
    • La Maddalena-Santo Stefano (Sassari): Base atomica USA, Base di sommergibili, Squadra navale di supporto alla portaerei americana «Simon Lake».
    • Monte Limbara (tra Oschiri e Tempio, Sassari, in Sardegna): Base missilistica USA.
    • Sinis di Cabras (SS).: Centro elaborazioni dati (NSA).
    • Isola di Tavolara (SS): Stazione radiotelegrafica di supporto ai sommergibili della US Navy.
    • Torre Grande di Oristano: Base radar NSA.
    • Monte Arci (OR): Stazione di telecomunicazioni USA con copertura NATO.
    • Capo Frasca (OR): eliporto ed impianto radar USA.
    • Santulussurgiu (OR): Stazione telecomunicazioni USAF con copertura Nato.
    • Perdas de Fogu (NU): base missilistica sperimentale.
    • Capo Teulada (CA): da Capo Teulada (CA) a Capo Frasca (OR): all’incirca 100 km di costa, 7.200 ettari di terreno e più di 70.000 ettari di zone Off Limits: poligono di tiro per esercitazioni aeree ed aeronavali della US NAVY e della Nato.
    • Decimomannu (CA): aeroporto Usa con copertura Nato.
    • Salto di Quirra (CA): poligoni missilistici.
    • Capo San Loremo (CA): zona di addestramento per la Sesta flotta USA.
    • Monte Urpino (CA): Depositi munizioni USA e NATO.
    • Rocca di Papa (Roma): Stazione telecomunicazioni USA con copertura NATO.
    • Monte Romano (VT): Poligono saltuario di tiro dell’US-Army.
    • Gaeta (LT): Base permanente della Sesta Flotta USA e della Squadra navale di scorta alla portaerei «La Salle».
    • Casale delle Palme (LT): Scuola telecomuncicazioni NATO su controllo USA.
    • Napoli: Comando del Security Force del corpo dei Marines; Base di sommergibili USA; Comando delle Forze Aeree USA per il Mediterraneo.
    • Napoli-Capodichino: Base aerea dell’US-Air-Force.
    • Monte Camaldoli (NA): Stazione di telecomunicazioni USA.
    • Ischia(NA): Antenna di telecomunicazioni USA con copertura Nato.
    • Nisida: Base US-Army.
    • Bagnoli: Centro controllo telecomunicazioni Usa per il Mediterraneo.
    • Agnano (nelle vicinanze del famoso ippodromo): Base dell’US-Army.
    • Cirigliano.(NA): Comando delle Forze Navali USA in Europa.
    • Licola(NA): Antenna di telecomunicazioni USA.
    • Lago Patria (CE): Stazione telecomunicazioni USA.
    • Giugliano (vicinanze del lago Patria, Caserta): Comando STATCOM.
    • Grazzanise (CE): Base utilizzabile dall’USAF.
    • Mondragone (CE): Centro di Comando USA e NATO sotterraneo antiatomico.
    • Montevergine (AV): Stazione di comunicazioni USA.
    • Pietraficcata (MT): Centro telecomunicazioni USA/NATO.
    • Gioia del Colle (BA): Base aerea USA di supporto tecnico.
    • Punta della Contessa (BR): Poligono di tiro USA/NATO.
    • San Vito dei Normanni (BR): Base del 499º Expeditionary Squadron; Base dei Servizi Segreti: Electronics Security Group (NSA).
    • Monte Iacotenente (FG): Base del complesso radar Nadge.
    • Brindisi: Base navale USA.
    • Otranto: Stazione radar USA.
    • Taranto: Base navale USA; Comando COMITMARFOR; Deposito USA/NATO.
    • Martina Franca (TA): Base radar USA.
    • Crotone: Stazione di telecomunicazioni e radar USA/NATO.
    • Monte Mancuso (CZ): Stazione di telecomunicazioni USA.
    • Sellia Marina (CZ): Centro telecomunicazioni USA con copertura NATO.
    • Sigonella (CT): importante Base aeronavale USA (oltre ad unità della US-Navy, ospita diversi squadroni tattici dell’US-Air-Force: droni GlobalHawk, elicotteri del tipo HC-4, caccia F18 e A6 Intruder, nonché alcuni gruppi di F-16 e F-35 equipaggiati con bombe nucleari del tipo B-43, da più di 100 kilotoni l’una!).
    • Motta S. Anastasia (CT): Stazione di telecomunicazioni USA.
    • Caltagirone (CT): Stazione di telecomunicazioni USA.
    • Vizzini (CT): Diversi depositi USA.
    • Isola delle Femmine (PA): Deposito munizioni USA/NATO.
    • Punta Raisi (Aeroporto): Base saltuaria dell’USAF.
    • Comiso (Ragusa – insediamento US-Air Force).
    • Marina di Marza (RG): Stazione di telecomunicazioni USA.
    • Monte Lauro (SR): Stazione di telecomunicazioni USA.
    • Sorico: Antenna NSA.
    • Centuripe (EN): Stazione di telecomunicazioni USA.
    • Niscemi (Sicilia): Base del NavComTelSta (stazione di comunicazione US-Navy).
    • Trapani: Base italiana, USAF/US NAVY con copertura NATO.
    • Pantelleria: Centro telecomunicazioni US-Navy e Base aerea e radar NATO.
    • Lampedusa: Base della Guardia costiera USA; Centro d’ascolto e di comunicazioni NSA.
  • SPAGNA: NAS Rota (Rota, Cadice – US-Navy – US-Army); Moron Air Base (Moron de la Frontiera, Siviglia – US-Air Forces); Torrejon Air Base (US-Air Force); Zaragoza Air Base (US-Air Force); San Vito (US-Air Force); nonché le Basi navali di appoggio e di facilità portuarie di: AlicanteBarcellonaBenidormCartagenaMalagaPalma de Maiorca (US-Navy).
  • PORTOGALLO: Horta (Falai Island, Azores – US-Navy); Lajes Field Air Base (Terceira Island, Azores – US-Air Force); San Miguel (Azores – US-Air Force); Villa Nova (Azores – US-Air Force); Santa Maria (Azores – US-Air Force); Praia Da Victoria (Azores – US-Air Force); San Jorge (US-Navy); più una decina di distaccamenti della US-Navy e della US-Army (Azores).
  • BOSNIA ERZEGOVINA: Camp Comanche (Tuzla – US-Army); Camp Eagle (Tuzla – US-Army); Camp Dobol (US-Army); Camp McGovern (Brcko – US-Army).
  • KOSSOVO: Camp Bondsteel (Urosevac – US-Army).
  • MONTENEGRO: Camp Monteith (Gnjilane – US-Army).
  • MACEDONIA: Camp Able Sentry (Skopje – US-Army).
  • ROMANIA: Costanza (Mar Nero – US-Navy – US-Air Force); Mihail Kogalniceanu Air Base (US-Air Force); Agigea (in costruzione – US-Navy); Babadag (in costruzione – US-Army).
  • BULGARIA: Sarafovo Air Base (Burgas – Gruppo del 49º Expeditionary Corp – US-Air Force); Camp Sarafovo (US-Army); Bezmer e Novo Selo (due basi in costruzione – US-Army).
  • GEORGIA: Base navale (informale) di Supsa (Mar Nero – US-Navy).
  • GRECIA: Iraklion/Eleusis(Atene – US-Navy); Hellenikon Air Base (nei pressi di Atene – US-Air Force); Aktion (Costa ionica – US-Air Force); Souda Bay (Chania, Creta – US-Navy); nonché le Basi appoggio e di facilità portuaria di Corfù e Rodi (US-Navy).
  • CIPRO GRECA: Nicosia (base logistica saltuaria – US-Air Force); Larnaca (facilità portuarie – US-Navy).

Occorre aggiungere le facilitazioni di attraversamento dello spazio aereo, di atterraggio, di rifornimento e di supporto logistico accordate – de iure o de facto – agli aerei ed agli elicotteri militari dell’US-Air Force (com’è accaduto nel corso della guerra di aggressione all’Iraq nel 2003), dalla Svizzera, dall’Irlanda, dall’Austria, dalla Slovacchia, dalla Repubblica Ceca, dalla Slovenia, dalla Croazia, dalla Georgia, ecc. (e le facilità d’ormeggio e di rifornimento permanenti o saltuarie concesse all’US-Navy da Marocco, Tunisia, Gibilterra e Malta).

Basi USA nel Vicino Oriente ed Oceano Indiano

  • TURCHIA: Ankara (Comando US-Air Force); Batman Air Base (US-Air Force); Buyuk-Cigli Air Base (US-Air Force); Incirlick-Adana (39º Air Expeditionary Wing – US-Air Force); nonché le Basi aeree di IzmirCorluKonyaDiyarbakir eMus (US-Air Force) ele Basi di appoggio e di facilità portuaria di IstambulIzmirMersin e Iskenderun (US-Navy) – più una decina di altri insediamenti US-Army.
  • CIPRO TURCA: Famagosta (US-Navy); Rizocarpaso (NSA)
  • EGITTO: Cairo (3º NavMedRschu – US-Navy); Alessandria (US-Navy); Hurgada (Mar Rosso – US-Navy);
  • ISRAELE: Haifa (US-Navy).
  • Inoltre, tra le più importanti:
  • IRAQ: 14 Basi permanenti («enduring» military bases – con la presenza di all’incirca 110.000 uomini – US-Army); Baghdad Air Base (US-Air Force); più le Speciali Basi di: Bashur(Kurdistan – US-Army); Talil (nei pressi dell’Aeroporto di Baghdad – US-Air Force); Base H-1 (deserto occidentale iracheno – US-Army); Nassiriya (Sud del paese – US-Army).
  • GIORDANIA: Muafaq Salti (US-Army);
  • Kuwait: Ahmed al-Jaber Air Base (US-Air Force); Ali Al Salem Air Base (US-Air Force); Camp Doha (US-Air Force); Camp Udairi (Kuwait-City – US-Army); Camp Doha (Ad-Dawhah – Quartier Generale della 3ª Armata – US-Army), Ali al-Salem (US-Army);
  • Arabia Saudita: Prince Sultan Air Base (alla periferia di Riad – US-Air Force); King Abdul Aziz Air Base (Dhahran – US-Air Force); Eskan Village Air Base (US-Air Force); King Fahd (Taif – US-Air Force); King Khaled (Khamis Mushayt – US-Air Force); Al-Kharj (US-Air Force); Exmouth(US-Navy); più 5 istallazioni US-Army.
  • Emirati Arabi Uniti: Al Dhafra/Sharjah (763º Squadrone dell’Expeditionary Air Refueling – US-Air Force); Al Dhafra Air Base (Abu Dhabi – US Air Force).
  • Qatar: Al Udeid (US-Air Force); Al-Sayliyah (US-Air Force);
  • Oman: Thumrait (305º Squadrone dell’Air Expeditionary Force – US-Air Force); Dhuwwah/Masirah Island (US-Air Force); Seeb (US-Air Force); Salalah (US-Air Force);
  • Bahrein: Sheik Isa (Sitrah, Golfo Arabo-Persico – US-Air Force); Muharraq Air Field (US-Air Force); Juffar (Quartier Generale della Vª Flotta americana – US-Navy).
  • YEMEN: B ase navale di Aden (US-Navy).
  • Gibuti: (Corno d’Africa): Le Monier Barracks (US-Air Force); Gibuti/Le Monier (US-Navy).
  • Azerbaigian: KurdamirNasosnayaGuyullah (3 Basi aeree in corso di ammodernamento/realizzazione – US-Air Force).
  • Kirghizistan: Manas/Ganci (regione di Bishkek – US-Air Force); Qarshi Hanabad (86ª Rapid Deployment Unit – US-Army)
  • Uzbekistan: Kandabad Air Base (Karshi – US-Air Force); Karshi Barracks (10ª Divisione di montagna – US-Army).
  • Tagikistan: Tagikistan Air Base (US-Air Force); KhojandKulyabTurgan-Tiube (3 Basi US-Air Force e US-Army, in trattativa per la loro costruzione).
  • Afghanistan; Mazar-e-Sharif Air Base (US-Air Force); Pul-i-Kandahar (Kandahar Air Field – US-Air Force), Shindand Air Base (Heart – US-Air Force); Khost Air Base (Paktia – US-Air Force); Bagram (Charikar, Parvan – BAF – US-Air Force); Kandahar (101ª Airborne Division – US-Army); Asadabad (US-Army); Heart (US-Army); Gardez (Paktia – US-Army); Mazar-e-Sharif (Task Force 121 – US-Army); Nimrouz (US-Army – in costruzione); Helmand (US-Army – in costruzione) – nonché le Basi di OrgunShkin e Sharan (provincia di Paktika – US-Army).
  • Pakistan: Dalbandin Air Base (US-Air Force); Jacobabad Air Base (US-Air Force); Pasni (US-Air Force); Shahbaz Air Base (US-Air Force); Jacobabad Camp (US-Army); Khowst (US-Army).
  • Diego Garcia: (Oceano Indiano): Diego Garcia Air Base (US-Air Force); Diego Garcia (Naval base and support facilities – US-Navy).

Basi «Echélon» in Europa, Mediterraneo e Vicino Oriente

Gestite e coordinate dal Comando generale statunitense della NSA (National Security Agency) di Fort Meade (nel Maryland), organizzate in cooperazione con i servizi segreti britannici GCHQ (Government Communications Head Quarters), canadesi CSE (Communications Security Establishment), australiani DSD (Defence Signals Directorate) e neo-zelandesi GCSB (Government Communications Security Bureau), e spesso mimetizzate sotto le mentite spoglie di banali imprese di telecomunicazioni private, le Basi d’ascolto, di spionaggio elettronico e d’elaborazione dati del programma Echélon (che già dispone – oltre alle usuali “stazioni” di spionaggio che sono integrate nella normale rete diplomatica e consolare statunitense nel mondo – di una ventina di satelliti spia della National Reconaissance Office – del tipo KeyholeMercurySigintParsaeComintOrion/VortexMentorTrompet, ecc. – e di una trentina di Boeing RC-135 che giorno e notte – da centinaia di chilometri, nel cielo – sono in grado di intercettare, registrare e controllare qualsiasi comunicazione radio, telefonica, fax, cellulare ed internet, e persino fotografare e decifrare, con altissima risoluzione – come nel caso dei satelliti «Advanced KH-11» e «KH-12» – persino l’indirizzo di una cartolina postale) coprono praticamente l’intero pianeta, con all’incirca 4.000 ‘antenne’ disseminate nei diversi paesi del mondo. In Europa, le principali Basi del programma Echélon – che agiscono sotto l’egida dei Comandi regionali USA di Morenstow e di Menmith Hill, in Gran Bretagna, e di Bad Aibling, in Germania (Baviera) – sono installate nelle seguenti località (da Nord a Sud): in Islanda: Keflavik; in Lituania: Vilnius; in Estonia: Tallinn; in Lettonia (Latvia): Ventspils; in Finlandia: Santahamina; in Svezia: Karlskrona, Muskö e Lovön; in Norvegia: Borhaug, Jessheim, Fauske/Vetan, Randaberg, Kirkenes, Skage/Namdalen, Vardo e Vadso; in Gran Bretagna: Belfast (Irlanda du Nord), Brora e Hawklaw (Scozia), Chicksands, Culm Head, Cheltenham, Digby, Menwith Hill, Irton Moor, Molesworth, Morwenstow, Londra (Palmer Street); in Danimarca: Aflandshage, Almindingen, Dueodde-Bornholm, Gedser, Hjorring, Logumkloster; in Olanda: Amsterdam e Viksjofellet; in Germania: Frankfurt, Bad Aibling, Ahrweiler, Hof, Achern, Bad Münstereifel, Darmstadt, Braunschweig, Husum, Monschau, Mainz, Rheinhausen, Stockdorf, Pullach, Vogelweh; in Francia: Parigi (GIX: Global Internet Exchange), Strassburgo e Grenoble; in Austria: Neulengbach e Konigswarte; in Svizzera: Merishausen e Rüthi; in Croazia: isola di Brac ed aeroporto di Zagreb-Lucko; in Bosnia-Erzegovina: Tuzla; in Spagna: Playa de Pals, Pico de las Nieves (Grande Canaria), Manzanares e Rota; in Portogallo: Terceira Island (isole Azores); a Gibilterra (Gibraltar); in Albania: Tirana, Durazzo (Durrës) e Shkodër; in Grecia: Iráklion (Creta); nell’isola di Cipro: Ayios Nikolaos; in Turchia: Istanbul, Izmir, Adana, Agri, Antalya, Diyarbakir, Edirne, Belbasi, Sinop, Strait, Samsun; in Israele: Herzliyya (Q.G. dell’Unità 8200), Mitzpah Ramon, Monte Hermon, Golan Heights Monte Meiron; nel Pakistan: Parachinar; nel Kuwait: Kuwait-City e l’isola di Faylaka; in Arabia Saudita: Araz, Khafji; negli Emirati Arabi Uniti: Az-Zarqa, Dalma, Ras al-Khaimah e sull’isola di Sir Abu Nuayr; nell’Oman: Abut, Khasab, isole di Goat e di Masirah, penisola di Musandam; nello Yemen: isola di Socotra.


Note

*. Il testo è ricavato dal saggio “Dal ‘Mare Nostrum’ al ‘Gallinarium Americanum’. Basi USA in Europa, Mediterraneo e Vicino Oriente”, apparso nella rivista di studi geopolitici Eurasia, diretta da Tiberio Graziani, alle pp. 81-94 del fascicolo 3 del 2005.

**. Alberto Bernardino Mariantoni, politologo, scrittore e giornalista, è specialista in economia politica, islamologia e religioni del Medio Oriente. È stato collaboratore di Panorama e corrispondente permanente presso le Nazioni Unite di Ginevra.

1. Elenco aggiornato a giugno 2005.

2. Come riporta il sito web Kelebek in un articolo intitolato Hiroshima, Italia. Le nostre armi di distruzione di massa, Hans Kristensen, uno specialista del Natural Resources Defense Council (NRDC) ed autore di un rapporto sulle armi atomiche in Europa, ha rivelato al quotidiano «L’Unità» (10.02.2005) che sul nostro Continente ci sarebbero attualmente “ben 481 bombe nucleari, dislocate in Germania, Gran Bretagna, Italia, Belgio, Olanda e Turchia. In Italia ve ne sono 50 nella base di Aviano e altre 40 in quella di Ghedi Torre, in provincia di Brescia”.

3North Atlantic Treaty Organization.

4National Security Agency

5. Per «insediamenti», bisogna intendere: medi e piccoli acquartieramenti militari, basi per il lancio di missili, depositi (per carri armati, automezzi, artiglieria, munizioni e pezzi di ricambio), stazioni d’ascolto e/o radio, nonché villaggi, ospedali, centri di riposo e di svago per il personale civile e militare statunitense che è permanentemente basato nel paese.

6. Sede del Quartier Generale della US-Air Force.

7. Caserma o acquartieramento importante (in inglese: «Barracks»).

8. Sede del Quartier Generale dello US-Army.

9. Quando è citato soltanto il nome della città, in neretto, trattasi di sede di Comando regionale.

10. Nonostante che la Francia, dal 7 Agosto 1966, rifiuti ufficialmente di ospitare Basi USA o NATO.

5080.- La Turchia lancia una nuova offensiva militare nel Nord dell’Iraq

Mentre gli occhi del mondo guardano all’Ucraina; mentre Washington trama contro Europa e Russia, la Cina si installa nelle Isole Salomone e controlla il Pacifico e il Kurdistan iracheno è di nuovo sotto attacco da parte dei turchi. E, se i turchi sono parte della NATO, sta nascendo un asse Cina – Islam e Erdogan vuole esserne parte. Biden fa acqua da tutte le parti e l’Unione europea non conta nulla! Draghi, da casa, con l’influenza, butta soldi sull’Ucraina, ma Zelensky, al Fondo Monetario Internazionale ha detto che per sostenere l’Ucraina dobbiamo dargli 7 miliardi al mese.

By Joshua Askew  with AP  •  18/04/2022

Turkish Defense Minister Hulusi Akar, fright wearing a face mask to protect against coronavirus, visits Turkish troops at the border with Iraq, in Hakkari province, Turkey.

Il ministro della Difesa turco Hulusi Akar, appare spaventato con una maschera per proteggersi dal coronavirus, visita le truppe turche al confine con l’Iraq, nella provincia di Hakkari, in Turchia. – Copyright AP/Ministero della Difesa Turco

La Turchia ha lanciato una nuova offensiva terrestre e aerea contro i militanti curdi in Iraq, ha annunciato lunedì il ministro della Difesa turco.
Aerei da guerra, artiglieria e truppe turche hanno attaccato obiettivi appartenenti al Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) nel nord dell’Iraq, dai campi ai depositi di munizioni.

L’operazione militare – denominata “Operazione Claw Lock” – faceva parte di una lunga campagna turca in Iraq e Siria contro i militanti del PKK e le YPG curde siriane, che Ankara considera gruppi terroristici.
Jet e artiglieria hanno colpito rifugi, bunker, grotte, tunnel, depositi di munizioni e quartier generali del PKK, ha affermato il ministro della Difesa turco Hulusi Akar in un video pubblicato lunedì sul sito web del ministero.

I commando turchi – con il supporto di elicotteri e droni – hanno poi attraversato l’area via terra o sono stati trasportati in aereo da elicotteri.

“La nostra operazione sta proseguendo con successo come previsto”, ha affermato l’agenzia di stampa statale Anadolu, citando Akar. “Gli obiettivi identificati nella prima fase sono stati raggiunti”.
Non sono state fornite informazioni sulle vittime o sul numero di truppe e aerei da guerra che hanno partecipato all’azione.

La Turchia ha condotto numerose operazioni aeree e di terra transfrontaliere contro il PKK negli ultimi decenni, con l’ultima offensiva avvenuta nelle regioni di Metina, Zap e Avashin-Basyan.

La Turchia afferma che le basi del PKK nel nord dell’Iraq sono utilizzate per inscenare attacchi sul suolo turco e ha lanciato l’operazione lunedì a seguito di una valutazione secondo cui il PKK stava pianificando un attacco su larga scala, ha aggiunto il ministero.

Il PKK, che è stato anche designato organizzazione terroristica da Stati Uniti e Unione Europea, ha preso le armi contro lo Stato turco nel 1984. Più di 40.000 persone sono state uccise nel conflitto, che in passato si è concentrato principalmente nel sud-est della Turchia “Siamo determinati a salvare la nostra nobile nazione dalla sfortuna del terrore che ha afflitto il nostro paese per 40 anni”, ha detto Akar. “

La nostra lotta continuerà fino a quando l’ultimo terrorista non sarà neutralizzato”. Non ci sono state dichiarazioni immediate da parte del gruppo curdo.

3802.-I militanti delle SDF, sostenuti dagli Stati Uniti, rubano 140.000 barili al giorno di petrolio siriano ad Hasakah: rapporto

News Desk by News Desk 2021-02-22 in Syria

TEHRAN (FNA)-

I militanti delle forze democratiche siriane (SDF), sostenute da Washington, rubano ogni giorno 140.000 barili di greggio dai giacimenti petroliferi nella provincia nord-orientale di Hasakah, in Siria, secondo un rapporto.

Ghassan Halim Khalil, governatore di Hasakah, ha annunciato la triste notizia in un’intervista al quotidiano libanese al-Akhbar sabato, aggiungendo che i militanti delle SDF stanno saccheggiando il petrolio siriano in vari modi, il tutto con la partecipazione e il sostegno delle forze americane schierate nel regione.
Ha sottolineato che le informazioni precise raccolte e ricevute mostrano che i militanti sostenuti dagli Stati Uniti utilizzano camion cisterna dell’area di Taramish nel Tigri e al-Malikiyah per contrabbandare il petrolio siriano nel vicino Iraq.

Khalil ha inoltre osservato che molte autocisterne passano ogni giorno attraverso l’attraversamento illegale di al-Mahmoudiyah in Iraq, aggiungendo che i militanti delle SDF inviano regolarmente anche montagne di petrolio rubato nelle loro aree controllate in Siria.
Il governatore siriano ha anche rivelato che le forze Usa avevano ordinato ai militanti delle SDF di non consentire alle aree controllate da Damasco di ricevere petrolio.

Khalil ha detto che mentre il popolo siriano soffre il freddo e la fame, questi militanti sostenuti dagli Stati Uniti saccheggiano le risorse petrolifere nazionali della Siria.
Il saccheggio del petrolio siriano da parte degli Stati Uniti è stato confermato per la prima volta durante uno scambio di audizioni al Senato tra il senatore repubblicano della Carolina del Sud Lindsey Graham e l’allora segretario di Stato americano Mike Pompeo lo scorso luglio.

Durante la sua testimonianza al Comitato per le relazioni estere del Senato, Pompeo ha confermato per la prima volta che una compagnia petrolifera americana inizierebbe a lavorare nella Siria nord-orientale, controllata dalle SDF, che è un’alleanza di militanti curdi che operano contro Damasco e che attualmente controlla le aree della Siria settentrionale e orientale.

Il governo siriano all’epoca ha denunciato con la massima fermezza l’accordo siglato per saccheggiare le risorse naturali del Paese, inclusi petrolio e gas siriani, con il patrocinio e il sostegno dell’amministrazione dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Dalla fine di ottobre 2019, gli Stati Uniti hanno ridistribuito i soldati nei giacimenti petroliferi controllati dalle SDF nella Siria orientale in un’inversione del precedente ordine di Trump di ritirare tutte le truppe dal paese dilaniato dalla guerra.
Il Pentagono afferma che la mossa mira a “proteggere” i campi e le strutture da possibili attacchi dei terroristi Takfiri Daesh (noto anche come ISIL o ISIS).
Allo stesso tempo, Trump ha notoriamente affermato che gli Stati Uniti cercano interessi economici nel controllo dei giacimenti petroliferi.
Una coalizione militare guidata dagli Stati Uniti ha martellato quelle che affermava essere le posizioni di Daesh all’interno della Siria dal settembre 2014 senza alcuna autorizzazione da parte del governo di Damasco o un mandato delle Nazioni Unite. In molte occasioni, gli attacchi hanno provocato vittime civili e non hanno rispettato obiettivo della lotta al terrorismo.

3556.- Siria, pesante intervento dell’aviazione russa contro l’Isis a Est di Deir Ezzor. Le battaglie per Manbij.

4 Dicembre 2020, Francesco Bussoletti per Difesa e Sicurezza.

Massiccio intervento della Russia contro Isis a est di Deir Ezzor. Oltre 40 strike dei caccia di Mosca su postazioni IS per interrompere la catena di imboscate al SAA e alle milizie a Badia

Questa settimana, la Russia è intervenuta pesantemente a sostegno dell’esercito siriano (SAA) pressato da Isis a est di Deir Ezzor. Nelle scorse 72 ore i caccia russi e siriani hanno effettuato, rispettivamente, oltre 30 e 10 attacchi su postazioni Isis nel deserto di Badia al-Sham al confine tra Homs, Raqqa e Deir Ezzor. Obiettivo: ridurre la capacità operativa dei jihadisti, che continuano a tendere imboscate al SAA e alle milizie alleate nel quadrante. L’ultima ha visto sette membri della Brigata Al-Quds, incluso un comandante, essere uccisi dai terroristi sulla strada tra Mayadeen e Fayda Ibn Moweni’e.

La maggior parte degli attacchi aerei russi e siriani si è concentrata nel distretto di Al-Sa’an di Hama, dove lo Stato islamico ha cercato di ritagliarsi una presenza permanente dall’inizio del 2020.

L’attacco su larga scala coincide anche con il recente assalto dello Stato Islamico alle forze dell’Esercito arabo siriano (SAA) e Liwaa Al-Quds (formazione paramilitare palestinese) in questa parte rurale del Governatorato di Hama. L’ISIS continua a lanciare potenti attacchi nella parte orientale Hama in quella che sembra essere un importante svolta nelle attività terroristiche al confine di Deir Ezzor-Homs.

In precedenza, l’ISIS ha devastato le campagne di Homs orientale e occidentale di Deir Ezzor; tuttavia, dopo i bombardamenti russi e siriani su vasta scala della scorsa estate, il gruppo terroristico ha spostato le proprie operazioni nella Siria centrale per riprendere gli attacchi contro le forze governative.

Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (SOHR), dal 24 marzo dell’anno scorso sono morti nell’area 1.027 tra soldati di Damasco e alleati, 140 miliziani pro-Iran e due militari russi. Periodicamente ci sono rastrellamenti e raid, ma finora nessuno di questi è riuscito a neutralizzare la grande sacca di resistenza dei fondamentalisti, che si muove nel Sud-Est del paese.

Mentre la Turchia continua la sua invasione della Siria, ieri l’altro, una cellula dormiente curda ha colpito una base militare turca nel nord della Siria.

L’esercito turco ha lanciato attacchi quotidiani su tre grandi città in tre diversi governatorati nel nord della Siria questa settimana, suscitando i timori di una nuova offensiva che sarà guidata dalle forze irregolari agli ordini di Ankara a Est dell’Eufrate.

Secondo un giornalista sul campo del Governatorato di Aleppo, la recente serie di attacchi dell’esercito turco a Manbij (Aleppo), ‘Ain’ Issa (Al-Raqqa) e Tal Tamr (Al-Hasakah) non sono una coincidenza perché l’obiettivo di Ankara è portare queste tre città a far parte del cosiddetto “corridoio di sicurezza” nel Nord della Siria. Con l’imperialismo di Erdogan, la Turchia ha perso la faccia; il Medio Oriente ha perso la pace.

Fra l’altro, queste tre città hanno una grande presenza di truppe delle Forze Democratiche Siriane (SDF), che Ankara, per suo comodo, considera essere un ramo del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) fuorilegge, che non è siriano ed è stato in guerra contro l’esercito turco per diversi anni nel Sud-Est della Turchia.

Analogamente alla loro operazione nel settembre 2019, i militari turchi e i loro militanti alleati hanno lanciato pesanti attacchi contro le posizioni delle SDF a Manbij, “Ain” Issa e Tal Tamr, con occasionali attacchi alle truppe dell’Esercito arabo siriano (SAA) nelle vicinanze.

La Turchia, intanto, continua a inviare forze a sud di Idlib. A Kafr Loosin è attivo un nuovo punto di controllo, mentre le TAF cominciano a schierarsi sulla M4 in direzione di Latakia

Intanto, la Turchia continua a rafforzare la sua presenza militare a sud di Idlib, nell’area di Zawiya e sulla M4. Un nuovo convoglio delle TAF di una ventina di mezzi ha appena attraversato il valico di Kafr Loosing per dirigersi verso i nuovi observation point nella provincia siriana. Inoltre, Ankara ha schierato alcuni assetti lungo l’autostrada, presumibilmente per effettuare rastrellamenti e metterla in sicurezza. Ciò fa presagire che a breve ci sarà un’altra attività di pattugliamento in direzione di Latakia e forse una ricognizione per creare un ulteriore observation point. Ciò allo scopo di blindare il quadrante e complicare l’offensiva del SAA verso Barah. Questa, infatti, continua anche se a distanza con l’artiglieria, in previsione di una futura invasione di terra, che però è complicata dalla sempre più massiccia presenza di soldati turchi.

Parliamo dell’autostrada M4

L’ autostrada M4 è, a un tempo, la rotta commerciale forse più importante della Siria, soprattutto dall’inizio della guerra civile nel Paese e un’arteria strategicamente rilevante anche per i curdi. Infatti, il suo controllo condiziona il commercio con il vicino Iraq e in generale con l’estero, mentre, attraversando il territorio più a nord del Rojava, consentiva il collegamento tra le città sotto il controllo dell’Amministrazione autonoma e delle Sdf.

 

Vediamo che la M4, dal confine con l’Iraq, passa per la città di Manbij fino ad arrivare a Idlib e a Latakia, nei cui pressi sorge la base aerea russa di Hmeimim, passando per Aleppo.

La M4 è sempre stata un obiettivo del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, per garantirsi la cosiddetta fascia di sicurezza, ma, non solo. Non bastassero le ampie regioni spopolate della Turchia orientale, l’obiettivo vero di Erdogan è riprendersi nuovamente quella fascia di territorio siriano, che la Turchia dovette abbandonare 9 anni fa e scacciarne i Curdi per sempre.

Sotto il nome di fascia di sicurezza, va un territorio di più di 30 km di profondità, che da Kobane, nel Nord-Ovest dalla Siria, arriva fino al confine con l’Iraq, passando per la città cristiana di Qamishlo.

La mappa mostra la linea rossa del confine pensato da Erdogan, che corre lungo la M4, dal confine con l’Iraq passando per la città di Manbij fino ad arrivare a Idlib e, quindi, a Latakia. Parliamo quindi di un’autostrada che è strategica per gli obiettivi di tutti gli attori del conflitto siriano: per Bashar al Assad, per i curdi, per Vladimir Putin e per lo stesso presidente Erdogan.

L’importanza di Manbij

Secondo il censimento del 2004, Manbij è una città di 100.000 abitanti a maggioranza araba, con minoranze di curdi, circassi e ceceni. Sorge lungo la M4, a 30 chilometri a Ovest dell’Eufrate e nelle vicinanze del cantone di Afrin, nel Nord-Est del Governatorato di Aleppo, nel Nord della Siria. È di fondamentale importanza per la Turchia: una volta stabilito il controllo sull’area che da Serekanyie (leggi Til Temir) fino ad Ain Issa, sarebbe nell’interesse di Ankara arrivare fino a Manbij e da lì fino a Idlib, costeggiando anche il cantone di Afrin. Così facendo la Turchia riuscirebbe a unire i territori sotto il suo controllo – diretto e indiretto – garantendosi quella fascia di sicurezza la cui istituzione è stata l’obiettivo primario dell’operazione Sorgente di pace.

Finché durerà il conflitto siriano, Manbij sarà nelle mire della Turchia, così come in quelle di Damasco. È stata controllata dal 2016 dalle Sdf che l’hanno liberata dall’Isis che l’aveva occupata nel 2014, sottraendola, nel 2012, ai ribelli anti-Assad. Nel 2012, le azioni dell’aviazione siriana contro i ribelli provocarono 60 morti e 100 feriti davanti a un panificio.

Nel 2016, le Sdf hanno messo termine a due anni di occupazione da parte dell’Isis. I terroristi fecero largo uso di mine sulle strade principali. Nel gennaio dell’anno prima, Kobane era stata strappata al controllo dell’Isis, sempre dalle forze a guida curda 2015, dopo un’estenuante battaglia durata quattro mesi, condotta da almeno 8.000 guerrieri curdi. Gran parte di Kobane è ancora in rovina e le immagini di combattenti curdi – sia donne che uomini – che sono stati uccisi compaiono nel festone di combattimento degli edifici distrutti.

Sono stati centinaia i civili che sono fuggiti dalle loro case all’inizio dei combattimenti.

Ancora a luglio di quattro anni fa, i terroristi dell’Isis difendevano Manbij con ogni mezzo perché era il loro ultimo collegamento con la Turchia, da cui passavano sia i foreign fighter in arrivo sia gli aspiranti attentatori in Europa, come era accaduto con quelli del Bataclan. Noi dobbiamo ringraziare i caduti, i mutilati miliziani curdo siriani delle Ypg; loro devono ringraziare Erdogan.

Erdogan non smetterà il suo progetto di realizzare un protettorato turco nel Nord Ovest della Siria. Recep Tayyp Erdogan lo ha iniziato a edificare ad Afrin, e poi nel Rojava, invadendo con le sue armate un territorio controllato dalle milizie curde siriane dell’Ypg. . Lo ha fatto con il via libera di Trump, con la silente complicità dell’Europa, e con un mezzo via libera da parte russa.

La sorte di Manbij e la presenza delle truppe curde saranno decise più sul piano diplomatico che non su quello militare e una delle ipotesi è che Damasco (e Mosca) costringa le Sdf a lasciare la città per evitare l’avanzata turca. In questo modo Assad potrebbe mettere definitivamente le mani su un ulteriore porzione di territorio siriano perso ben sette anni fa sottraendolo ai curdi.

In pieno bombardamento dell’artiglieria turca, il 14 ottobre 2019 l’esercito siriano entrò a Manbij, assediata dai reparti irregolari turchi e difesa dai curdi dell’Unità di Protezione Popolare, comunemente conosciuta col solo acronimo di YPG. La milizia è presente nelle regioni a maggioranza curda nel nord della Siria ed è una delle componenti delle forze armate del territorio autonomo de facto del Rojava. L’esercito siriano ha occupato anche le basi abbandonate volontariamente dagli americani nella zona di Dadat, a nord ovest di Manbij, e di Umm Miyal. “La polizia militare russa ha continuato a pattugliare il confine nordoccidentale di Manbij, lungo la linea di contatto fra le forze siriane e turche”, si dice, con il consenso degli americani. Ricordiamo che i miliziani curdi siriani delle Ypg, sono considerati “terroristi” del “Pkk/Pyd-Ypg” dal governo turco e milizia ausiliaria dal governo legittimo della Siria. Invece, i reparti irregolari turchi, comandati dallo stato maggiore dell’esercito turco, hanno dato prova di inquadrare veri terroristi.

 Oggi, a Manbij c’è un nuovo nemico, ma la gente è abituata ai nemici: “Si ha la sensazione che il coronavirus non sia una minaccia. Nessuno usa una maschera, anche alcuni operatori sanitari non la indossano. Un medico del Manbij National Hospital ha detto che non c’è corona perché Allah li protegge “.Non ci sono casi ufficiali di coronavirus a Manbij, ma le autorità sanitarie hanno effettuato solo 15 test PCR – tutti negativi – negli ultimi mesi. Piuttosto, i funzionari fanno affidamento su test di sputi imprecisi pesantemente criticati dalle Nazioni Unite e dalle ONG sanitarie. Questo e il fatto che molti muoiono in casa, spiega il basso numero di casi.

Hama | L’esercito arabo siriano schiera nuovi rinforzi militari nelle posizioni di Sahl Al-Ghab

La fonte di questa notizia è l’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR), un gruppo di attivisti con sede a Coventry, nel Regno Unito.

Oggi, 5 dicembre 2020

Aggiornamento flash dai fronti siriani.

La regione siriana di Sahl al-Ghab è di importanza strategica per le fazioni dell’opposizione siriana che hanno cercato di indebolire il regime di Assad, il cui più grande gruppo di sostenitori ha sede lì. La pianura di Ghab (in arabo: سهل الغاب, letteralmente: pianura forestale) è una fertile depressione situata principalmente nel distretto di Al-Suqaylabiyah nel nord-ovest della Siria. Il fiume Oronte, che scorre a nord, entra nella pianura vicino a Muhradah, a circa 25 km a nord-ovest di Hama.

Fonti affidabili hanno riferito all’Osservatorio siriano per i diritti umani, SOHR che l’esercito arabo siriano ha portato ingenti rinforzi militari nelle posizioni di Sahl Al-Ghab, nella campagna nord-occidentale di Hama. Veicoli militari che trasportavano grandi rifornimenti militari e logistici e soldati sono stati visti arrivare ad Al-Amaqiyyah e Tanjarah a Sahl Al-Ghab.

Fonti del SOHR hanno appena riferito che le forze del regime hanno iniziato un nuovo round di bombardamenti d’artiglieria, sin dalle prime ore di questo sabato, prendendo di mira le posizioni a Kansafra, Al-Bara, Al-Fterah, Sfuhen, Fulayfel e Bayanin a Jabal Al-Zawiyah nella campagna meridionale di Idlib. Nel frattempo, le forze del regime e le fazioni dell’opposizione si sono scambiate il fuoco sulle linee del fronte dell’area di Sheikh Salman, nella campagna occidentale di Aleppo. Inoltre, le forze del regime hanno preso di mira le posizioni in prima linea di Al-Ankawi nella campagna nord-occidentale di Hama con mitragliatrici pesanti.

A metà settembre, fonti del SOHR hanno riferito dell’arrivo di rinforzi militari delle forze del regime e dei lealisti in diverse aree nelle zone rurali di Khan Sheikhoun e Ma’rat al-Numan nel sud di Idlib. Il rinforzo comprendeva materiale militare, veicoli da trasporto per il personale “veicoli Zil”, armi pesanti e autobus militari, e sono stati dispiegati nei campi trincerati delle forze del regime nella zona.

Attualmente però il progetto di Erdogan sembra destinato a restare un sogno di gloria difficilmente realizzabile. Le aree intorno a Manbij (e Kobane) sono pattugliate dalle truppe di Damasco con l’ausilio della Russia, secondo quanto stabilito dall’accordo raggiunto tra le Sdf e Assad a seguito dell’offensiva turca, per tanto non sembrano esserci margini di manovra per l’esercito di Ankara.

3534.-Lo stesso Erdoğan che proclama la Turchia parte dell’Europa, stringe accordi con l’Eurasia, attacca i curdi in Siria e arresta 44 militari presunti oppositori

La Turchia si vede come parte dell’Europa: Erdoğan, la settimana scorsa.

2020-11-22

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan durante una manifestazione per il suo partito politico AKP.

Il presidente della Repubblica turco Recep Tayyip Erdoğan ha detto lo scorso fine settimana che il suo Paese si considera parte dell’Europa e, allo stesso tempo, cerca di rafforzare le relazioni con gli Stati Uniti su questioni regionali e internazionali. Sabato, Erdogan ha detto, in un discorso tenuto durante una videochiamata alla conferenza del Partito turco per la giustizia e lo sviluppo (AKP) negli stati di Kutahya, Afyon Karahisar, Batman e Sarat: “Ci vediamo in Europa e non altrove, e miriamo a costruire qui il nostro futuro”. Tradotto, significa che la islamizzazione dell’Europa cristiana è un programma della Repubblica della Turchia.

Il presidente turco ha espresso il desiderio di Ankara di “investire fortemente nella sua stretta alleanza con gli Stati Uniti al fine di risolvere tutte le questioni regionali e globali”, aggiungendo: “Vogliamo raggiungere uno stato di cooperazione più forte con i nostri amici e alleati”. I commenti di Erdogan arrivano in un momento di grande attrito con diversi Stati europei, tra cui Francia, Cipro e Grecia. Più di recente, la Turchia ha annunciato la ripresa della sua attività di rilevamento sismico e delle esplosioni sottomarine alla ricerca del petrolio, provocando una forte condanna da parte di Grecia e Cipro. Infine, i commenti di Erdogan sulla necessità che il mondo riconosca Cipro Nord come nazione indipendente, hanno suscitato una forte condanna da parte di Grecia e Cipro.

Il ministro della Difesa turco Hulusi Akar si e’ recato in Kırghizistan per discutere delle questioni relative all’implementazione degli accordi di cooperazione militare raggiunti in precedenza “, ha detto Akar

26.10.2020 ~ 27.11.2020 

Il ministro della Difesa Hulusi Akar si e’ recato in Kırghizistan
Il ministro della Difesa Hulusi Akar si e’ recato in Kırghizistan

“Abbiamo discusso di questioni relative all’ulteriore espansione della cooperazione nel campo della difesa tra i nostri paesi. Poiché esiste un dialogo e una cooperazione molto stretti tra i capi dei nostri Stati a livello presidenziale, il nostro lavoro è stato abbastanza facile. Abbiamo discusso le questioni relative all’implementazione degli accordi raggiunti in precedenza “, ha detto Akar in un briefing dopo i negoziati.

ll ministro turco ha anche incontrato il ministro dell’Industria e dello Sviluppo delle Infrastrutture del Kazakistan Beibut Atamkulov per discutere la cooperazione nel campo dell’industria della difesa. Yermekbayev ha osservato che i risultati della visita del ministro della Difesa turco in Kazakistan daranno un nuovo impulso alla cooperazione bilaterale in ambito militare e tecnico-militare e serviranno gli interessi della sicurezza.

Kazakistan
Un immenso territorio dell’Asia Centrale: ecco cos’è il Qazaqstan, questa la precisa traslitterazione dal cirillico di quello che chiamiamo il Kazakistan, ampio 2.717.300 km2 ma con appena 17 milioni di abitanti.. Attraversandolo, si va dagli Urali fino al lago d’Aral e al mar Caspio e qui, sull’opposta sponda reoviamo l’Azerbaijan e, poi, l’Armenia. Tutto chiaro?

La politica di Erdoğan intende porre la Turchia come snodo nevralgico della via attraverso l’Eurasia, che vuole essere alternativa alla via atlantica.

Il Kazakistan, Paese dell’Asia centrale, si estende dal Mar Caspio, a ovest, fino ai Monti Altai a est, al confine con Cina e Russia. In quanto ex repubblica sovietica, al pari dell’Azerbaijan, appartiene alla sfera della Federazione Russa. L’Asia Centrale, è una regione strategicamente fondamentale per il progetto cinese verso l’Occidente, precisamente, il Kazakistan, stepposo crocevia euroasiatico, confina a Est con la Cina e già oggi illuso centro di smistamento ferroviario rappresenta il transito obbligato per le merci che da Pechino arrivano in Europa via terra. La prima tappa della “One Belt One Road Initiative” è infatti proprio sul valico di frontiera sino-kazako di Korghos, nella zona sud-orientale di un Paese grande quasi quanto l’Europa.  il progetto geopolitico della Via della Seta è stato presentato proprio in Kazakistan nel settembre 2013, dal Presidente cinese Xi Jinping.

Ricordiamo la stazione di Altynkol, scalo logistico lungo il tragitto che trasporta la merce dalle città cinesi al confine kazako, nonchè il porto “secco” terrestre “Kzte- Khorgos Gateway”, imponente struttura utilizzata al fine di processare velocemente le merci, trasferirle dalle locomotive cinesi a quelle kazake che, provenendo dalla tradizione sovietica hanno delle esigenze strutturali diverse dovute al diverso scartamento dei binari. Il processamento, la catalogazione ed il viaggio delle merci cinesi ha inizio proprio qui, per poi raggiungere centri europei come Mosca, Lodz e Duisburg, terminale mitteleuropeo del progetto cinese. La centralità del porto di Khorgos fa si che il suo porto secco sia infrastruttura cruciale per le tre “vie” implementate da Pechino colleganti il sito industriale di Lianyungang a San Pietroburgo (tramite rete autostradale), a Duisburg e ad Istanbul (tramite rete ferroviaria). La zona di libero scambio sita sul confine sino-kazako dista poche ore di auto da Almaty, 5 giorni di treno sia da Lianyungang che da Mosca (ergo, centro logistico perfetto tra Cina e Russia), nonché 10 giorni di treno dal centro di smistamento tedesco di Duisburg. In soli otto anni, i container che giungono in Europa tramite il Kazakistan via terra, hanno già raggiunto quota 1,7 milioni.

Tra un accordo diplomatico e uno militare, la Turchia non dimentica i Curdi e lancia nuovi attacchi nel Nord della Siria

2020-11-28

«Quasi mezzo milione di militari, di cui 80mila di carriera e 410mila di leva, per un totale di circa 700mila uomini, a cui si aggiungono circa 185mila riservisti e le brigate di irregolari armati, addestrati e agli ordini dello Stato Maggiore turco. Sono questi i numeri attuali delle forze armate della Turchia. L’esercito turco possiede quasi 12mila mezzi corazzati, fra cui carri armati da battaglia MBT (Main Battle Tanks), divisi soprattutto tra Leopard I, pochi Leopard II ed M60 di fabbricazione americana e altri 1.000 MBT di tipo Altay, di progettazione e fabbricazione turca. 

Il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ha annunciato sabato che le forze armate turche hanno continuato la loro campagna contro le forze democratiche siriane (SDF) venerdì notte, poiché hanno preso di mira, bombardando pesantemente le posizioni di queste ultime nella campagna di Al-Raqqa. Al-Raqqa o, semplicemente, Raqqa è una città della Siria, capoluogo del governatorato omonimo. È stata quartier generale nonché capitale dell’autoproclamato Stato Islamico dal gennaio 2014 al 17 ottobre 2017. Le forze armate turche stanno bombardando una città della Siria.

Secondo un rapporto sul campo del Governatorato di Al-Raqqa, l’esercito turco e i suoi reparti irregolari di terroristi del cosiddetto Esercito siriano libero (FSA) hanno preso di mira le posizioni delle forze democratiche siriane vicino alla città chiave di “Ain” Issa. Il rapporto afferma che l’esercito turco e i suoi reparti irregolari hanno preso di mira le posizioni delle SDF bombardandole per oltre un’ora, provocando un breve scontro a fuoco venerdì sera. È bene ricordare che i reparti irregolari di terroristi del cosiddetto Esercito siriano libero (FSA) sono diretti dalla Stato Maggiore turco, nonché NATO.

Quest’ultimo attacco da parte dell’esercito turco e dei suoi reparti irregolari arriva pochi giorni dopo che era stata introdotta una tregua temporanea, per dare modo che queste ultime forze potessero raccogliere i loro morti dal campo di battaglia a nord di “Ain” Issa. Diversi militanti irregolari turchi sono tornati dal conflitto del Karabakh, dove hanno combattuto a fianco dell’Azerbaigian contro le forze armene e sono stati ridistribuiti a Est dell’Eufrate.

La massiccia presenza a nord di “Ain” Issa, dimostra che i reparti irregolari della Turchia si stanno preparando per una futura offensiva contro le forze democratiche siriane, nonostante l’accordo del cessate il fuoco entrato in vigore nell’ottobre del 2019.

La Turchia non ha fatto mistero del desiderio di eliminare i “gruppi terroristici” dal loro confine, con il particolare che fa riferimento alle Forze democratiche curdo siriane SSD, che accusano di essere una propaggine del fuorilegge Kurdistan Workers Party (PKK), mentre i veri terroristi dell’ISIS sono stati sostenuti dalla Turchia.

Le forze di polizia turche arrestano 44 soldati, in operazioni condotte a livello nazionale

2020-11-27

Le forze di polizia turche hanno iniziato all’alba di venerdì, un’operazione di sicurezza per arrestare 44 militari in servizio e non, sospettati di appartenere all’organizzazione Gulen che sembra esista all’interno delle forze armate. L’operazione è partita in 14 diversi stati, dopo che i mandati di arresto erano stati emessi nei loro confronti, secondo quanto riferito da fonti della sicurezza allo Stato, come l’agenzia Anadolu. I mandati di arresto sono stati emessi dalla Procura generale di Istanbul.

Immediatamente dopo l’emissione dei mandati di arresto, le squadre antiterrorismo della Direzione della sicurezza generale di Istanbul hanno avviato un processo simultaneo per arrestare le persone ricercate, ed erano già riuscite ad arrestarne un certo numero, mentre il resto sarebbe stato arrestato. Questi arresti rientrano nel quadro delle indagini condotte dalle autorità giudiziarie turche sull’organizzazione Gulen all’interno dell’esercito o, come più probabile, motivate dal timore che le difficoltà del regime favoriscano la creazione di cellule ribelli.

Il governo turco accusa il predicatore turco, Fethullah Gulen, che vive negli Stati Uniti, e i suoi sostenitori di essere l’artefice del fallito colpo di stato nel 2016, e ha arrestato molti di loro e, si dice che si trovino in prigione, se sono ancora vivi. Ankara chiede a Washington di consegnaregli Gulen, ma, finora, i suoi tentativi sono falliti e Washington persiste nel rifiuto di consegnarlo alle autorità turche.

La Marina egiziana ha completato le sue prime manovre navali in assoluto nel Mar Nero

Il tipo FREMM delle fregate cedute dall’Italia all’Egitto.

Le forze armate egiziane hanno annunciato la conclusione dell’esercitazione navale congiunta “Ponte dell’amicizia – 3”, che si è svolta insieme alle forze navali russe nel Mar Nero. L’addestramento includeva la difesa contro le minacce aeree e di superficie atipiche, il controllo marittimo su un’area specifica e garantire una nave di particolare importanza, fornendole assistenza per il rimorchio. L’esercito egiziano ha dichiarato che una serie di attacchi sono stati effettuati contro un certo numero di aerei e obiettivi di superficie, che hanno dimostrato la prontezza operativa delle forze impiegate.

3533.- DOPO ERDOĞAN, I TURCHI, I CURDI E GLI ARMENI VIVRANNO IN PACE. ERDOĞAN CONTRO TUTTI.

Dal genocidio degli Armeni, alla diaspora dei Curdi e ancora, i Turchi rimangono prigionieri della barbarie e, per chi conosce l’interno desolato della Turchia, dell’ignoranza e della povertà. È un peccato che le abbastanza scarse risorse del popolo turco vengano dissipate in armamenti e guerre, ma se la posta in gioco è il controllo dell’energia in Mediterraneo e l’essere il tramite dell’interscambio cinese con l’Europa, tuttavia, i panni del conducator senza paura, del sultano, come gli piace vedersi, sono quelli che consentono a Erdoğan e al suo partito di restare in sella. Quindi, guerra in Siria, in Mediterraneo, per l’energia, a Cipro e in Egeo, in Libia, in Azerbaijan, sfruttando ogni occasione utile della competizione fra Russia e Stati Uniti, fra arabi e ebrei e la più grande di tutte: la Nuova Via della Seta. Le sostiene con l’arsenale vetusto del secondo esercito, per numeri, della NATO, addestrando, armando e comandando le milizie dei terroristi, sfruttando la riscoperta americana della Compagnia delle Indie di Sua Maestà britannica e con dei bei droni ai quali, però, gli austriaci faranno mancare gli indispensabili motori Rotax. Fumo, fumo e poco arrosto, diremmo, perché la Turchia non è, non può essere né diventerà una vera potenza.

Il vero risultato di questo presidente della Repubblica della Turchia, dal 2018 repubblica presidenziale e non più parlamentare, sta nell’arresto e arretramento della democrazia, nella sottomissione del popolo turco, aggravato da una corruzione della quale è risultato partecipe. Ricordiamo lo scandalo da 100 miliardi di dollari: bazzecole! Nella Turchia di Erdoğan è impossibile parlare di libertà di opinione, di libertà di stampa. Dal 2013, contro il dissenso, la censura si applica ovunque e, in particolare sui social media, operando blocchi su siti come YouTube, Twitter e Wikipedia. Gli piace apparire come il rappresentante del fondamentalismo islamico ed è al primo posto nella classifica dei “500 musulmani più influenti del mondo” stilata nel 2019 dal “Royal Islamic Strategic Studies Centre” che ha la sede in Giordania. Di questo, abbiamo avuto conferma dalle posizione assunte in seguito al contrasto dei francesi e di Macron verso il fondamentalismo e agli attentati che vi hanno fatto seguito. Benché vada affermando che la Turchia è già Europa, a motivo della forte presenza turca in Germania, riteniamo assolutamente bloccati i negoziati per l’entrata della Turchia nell’Unione europea. Quanto durerà questa retromarcia della Turchia? Quanto guadagneranno i turchi dai conflitti in atto, che abbiamo citato?  Ma quanto ancora durerà Erdoğan? Il tentato colpo di stato in Turchia del 2016, seguito dallo stato di emergenza mantenuto per quasi due anni e la ripetuta sconfitta elettorale del suo partito AKP ad Ankara e a Istanbul nel 2019, fanno pensare a un tempo limitato. Dipenderà dalla leadership del Partito Popolare Repubblicano, CHP, il più antico partito politico della Turchia. Erede di Mustafa Kemal, l’Atatürk, il padre della Turchia moderna. A Erdoğan, invece, piace essere il Sultano, ma non propriamente e soltanto per una reviviscenza storica, quanto per un tentativo, condotto alla maniera turca, di cogliere tutte le opportunità che crea il passaggio attraverso il Medio Oriente della Nuova Via della Seta, prendendo il controllo dei paesi vicini. In tutto questo, Ankara mira a impedire un congiungimento dei territori controllati dai curdi siriani dell’YPG con quelli in possesso, nel sud della Turchia, del PKK. Per Armeni e Curdi, il turco resta sempre il turco.

Erdoğan si firma su un drone  d’attacco multiruolo turco Bayraktar TB2

C’è una notizia. La marina egiziana ha attraversato le acque turche per la prima volta in assoluto

Una nave da guerra egiziana attraversa il Bosforo diretta in Mar Nero.

La pagina ufficiale del portavoce militare dello Stato Maggiore egiziano ha pubblicato un video clip che monitora il momento in cui le navi della marina egiziana partecipanti all’esercitazione congiunta egiziano-russo “Ponte dell’amicizia – 3” hanno attraversato il Bosforo.

L’esercitazione Friendship Bridge-3 è una delle più importanti della cooperazione fra Egitto e Russia, perché contribuisce al trasferimento e allo scambio di esperienze tra le forze armate di entrambi i paesi e rientra nel quadro del piano di formazione congiunta con paesi alleati, con vincoli, addirittura, fraterni.

La politica della Turchia nei confronti dell’Egitto deve tenerne conto. Erdoğan contro tutti, significa contro nessuno.

Siria, lo stato maggiore turco sposta le sue truppe verso il kurdistan.

Le forze turche hanno lasciato la città strategica di Saraqib nel Governatorato di Aleppo

2020-11-26

Un posto di osservazione turco abbandonato nell’area di Saraqib

Tra il 24 e il 26 novembre, le forze armate turche hanno iniziato a ritirare le loro truppe da due importanti aree della Siria nordoccidentale.

Secondo un nuovo rapporto emanato dal Governatorato di Aleppo, le forze armate turche hanno iniziato a ritirare le loro truppe e attrezzature dall’area di Saraqib, ponendo fine alla loro presenza che avrebbe dovuto fermare l’esercito arabo siriano nella sua avanzata verso il Governatorato di Idlib.

Cosa sta cambiando nella strategia della Turchia a Idlib?

24-27 Novembre 2020, Francesco Bussoletti, su Difesa e Sicurezza

Ankara ha inviato un maxi contingente di oltre cento mezzi corazzati e 50 carri armati a Idlib. I rinforzi si sono schierati a Bennesh e a Zawiya, lontano solo due chilometri dall’esercito siriano (SAA), dove sta nascendo un nuovo observation point

Qualcosa sta cambiando nella strategia della Turchia in Siria. Ankara ha improvvisamente inviato a Idlib un grande contingente di rinforzi.  Si parla di cento mezzi corazzati, 50 carri armati, prefabbricati e materiale logistico. Il maxi convoglio delle TAF è entrato da Kafr Loosin e si è diretto verso il punto di osservazione militare vicino a Bennesh. Parte dei mezzi, però, hanno deviato per puntare verso la montagna di Zawiya, vicino alla prima linea (circa due chilometri) dell’esercito di Damasco (SAA). Qui, infatti, sembra che sia in costruzione un nuovo observation point nell’area tra Ruwaiha e Sarjah. Le attività erano state precedute da una ricognizione dei soldati turchi, insieme a elementi del National Front for Liberation (NFL). La base, peraltro, si aggiunge a quella di Baloun, sita nello stesso quadrante e allestita nei giorni scorsi.

L’improvviso build up è solo un’azione di disturbo contro il SAA a Idlib oppure è una tappa intermedia per trasferire i rinforzi verso il Kurdistan?

Dopo l’abbandono dei presidi nella zona di Aleppo, lo stato maggiore dell’esercito turco e NATO punta al Kurdistan. L’improvviso rafforzamento della Turchia a Idlib lascia pensare che le TAF vogliano ostacolare l’avanzata del SAA verso Barah. Soprattutto dopo che i soldati siriani hanno cominciato a ottenere progressi, seppur molto lenti, contro le milizie locali. Gli analisti, però, pensano che dietro ci sia qualcosa di più che una semplice un’azione di disturbo verso e truppe di Damasco. Soprattutto per la quantità e la qualità dei rinforzi inviati a Zawiya. Le ipotesi sono due: Da una parte Ankara potrebbe temere che il nemico conquisti Barah e si avvicini troppo alla M4, assestando un duro colpo agli alleati locali. Di conseguenza, ha deciso di intervenire per rallentarlo e allo stesso tempo fornire supporto ai partner. Dall’altra, l’invio del maxi contingente verso il confine con Aleppo è solo una tappa intermedia, mascherata da altro. La destinazione finale dei soldati, infatti, sarebbe il Kurdistan, dove c’è già un build up militare in corso.

In Siria, a Idlib, la Turchia alza il tiro. Cerca di provocare Damasco?

La Turchia alza il tiro a Idlib. Sta cercando di provocare Damasco? Pattuglia a sorpresa a sud della M4 fino a nord di Latakia. Intanto, continuano i bombardamenti su Ain Issa in Kurdistan

La Turchia alza ancora il tiro a Idlib per provocare Damasco? Dopo aver ricevuto ingenti rinforzi a Zawiya, le TAF hanno effettuato un pattugliamento sul tratto di M4 a sud della provincia. Il convoglio è partito da villaggio di Trenbah, vicino Saraqeb, e si è diretto verso la regione di Ain Hour a nord di Latakia. Il tragitto passa nei pressi di Barah, città su cui è in corso un’offensiva dell’esercito siriano (SAA), ma al momento non si registrano notizie di incidenti. Poche ore prima della partenza dei soldati, invece, c’era stata un’esplosione sull’autostrada, che aveva danneggiato il ponte Nahel (alias Khashab). Le truppe di Ankara, però, hanno deciso ugualmente di portare avanti l’attività, inviando preventivamente assetti specialistici per rilevare eventuali minacce. Parallelamente, le TAF e le milizie alleate hanno cominciato a bombardare nuovamente l’area di Ain Issa in Kurdistan e in particolare i villaggi di Dibis, Hoshan e al-Khalidiye.

È di 48 ore fa l’ingresso in Siria di una nuova brigata corazzata dell’esercito turco. La Turchia continua a rafforzare la presenza militare a Idlib.

Mentre le SDF curdo-siriane combattono l’ISIS a Barah, Erdoğan avvicina le sue truppe al Kurdistan lungo la M4.

La Turchia continua a rafforzare la presenza militare a Idlib. Nuovo convoglio con mezzi ed equipaggiamenti, diretto in varie località della provincia siriana. Tra queste c’è Zawiya. Obiettivi: disturbare l’offensiva del SAA a Barah e avvicinarsi al Kurdistan

26 novembre. La Turchia continua a rafforzare la presenza militare a Idlib, mentre alleggerisce quella ad Aleppo. Nelle scorse ore è arrivato nella provincia siriana un nuovo convoglio, che segue di pochi giorni quello maxi appena schieratosi nell’area. Questa volta si parla di una settantina di veicoli corazzati, armi, munizioni e materiale logistico. Il punto d’entrata è come sempre Kafr Loosin e le destinazioni Baloun, Ruwaiha, Qoqfin e Deir Sunbul sulla montagna di Zawiya a pochi chilometri di distanza dalla prima linea dell’esercito di Damasco (SAA). L’obiettivo di Ankara è duplice: da una parte disturbare l’offensiva del SAA per conquistare Barah. Soprattutto nel momento in cui l’esercito si prepara a lanciare un’invasione sul terreno. Dall’altra è avvicinare le truppe al Kurdistan, in previsione di futuri spostamenti per andare a rafforzare i presidi a Est lungo la M4.

Intanto, le milizie pro-Ankara aumentano le incursioni in Kurdistan. L’ultima è stata fermata dalle SDF vicino ad Ain Issa.

La situazione in Kurdistan, infatti, si sta scaldando velocemente. La Turchia sta rafforzando ogni giorno la presenza militare, specialmente a ovest di Tal Tamr. Inoltre, i gruppi pro-Ankara hanno incrementato gli attacchi contro i curdi e i tentativi di infiltrazione nella regione siriana. L’ultimo è stato sventato nelle scorse ore vicino ad Ain Issa e ha visto oltre 30 miliziani uccisi o feriti dalle SDF. Questi hanno subito un’imboscata delle forze curde quando si sono apprestati a entrare nel villaggio di Mu’allaq. Peraltro, tra le vittime sembra ci sia anche un loro leader: Ismail Al-Eido, già emiro dell’Isis negli anni passati. Le stesse SDF, infine, confermano che i raid dei jihadisti hanno avuto un boom negli ultimi giorni. Non a caso da Deir Ezzor e Hasaka sono stati inviati rinforzi.

Putin ha fermato la strage di Armeni, ma continua la strage dei curdi. Il Kurdistan, o terra dei curdi, è una vasta regione posta nel cuore del medio- oriente fra Iran, Iraq, Siria e Turchia, proclamata stato indipendente al termine della seconda Guerra Mondiale.

Contemporaneamente, l’ISIS lancia un pesante attacco alle truppe dell’esercito siriano vicino all’autostrada strategica

2020-11-26

Lo Stato Islamico (ISIS / ISIL / IS / Daesh, come vi pare) ha continuato la sua campagna nel territorio orientale di Hama, mentre i suoi combattenti hanno preso di mira le posizioni dell’Esercito arabo siriano (SAA) vicino al bivio di Ithriya.

Secondo i rapporti sul campo, mercoledì 25, lo Stato islamico ha attaccato un’unità dell’esercito siriano nella parte orientale di Hama, provocando un numero di vittime all’interno del reparto. Non molto tempo dopo che lo Stato islamico aveva lanciato l’attacco, l’esercito arabo siriano e le forze di difesa nazionale (NDF) hanno inviato rinforzi sul fronte orientale di Hama per respingere i terroristi. I rinforzi hanno consentito alle truppe assediate di respingere i terroristi dello Stato islamico dall’area di Ithriya.

Il giorno successivo, lo Stato islamico ha nuovamente lanciato attacchi nella parte orientale di Hama e Homs, costringendo l’esercito arabo siriano a imbastire un potente contrattacco per respingere i terroristi e impedire l’occupazione di territorio. A seguito degli scontri di mercoledì e giovedì, lo Stato Islamico ha subito un gran numero di vittime e diversi membri morti del gruppo terroristico sono stati abbandonati sul terreno.

Dall’inizio del 2020, lo Stato Islamico ha spostato la propria area di operazioni dalla parte orientale della regione di Badiya Al-Sham ai governatorati di Hama e Al-Raqqa, poiché queste zone non erano fortificate e mancavano delle forze necessarie per proteggerle.

3526.- Nervosismo dei militari russi. “Chi sarà il successore di Vladimir Putin?”

In aggiornamento

“Chi sarà il successore di Vladimir Putin?”. 

Questo il titolo sorprendente   a un  articolo su Strategika 51.

Il quale, essendo Strategika in qualche modo una voce “vicina”, se non  “interna” al  potere di Mosca e alle sue stanze di elaborazione strategica  – o che tale vuole apparire  –  apparentemente in consonanza ai  centri militari,    che si dice   nata “nel 2011 durante il caos ingegnerizzato delle guerre ibride di seconda generazione che hanno colpito alcuni paesi nella regione centrale del mondo”, vuol dire che la questione della successione  a  Putin, di cui si è vociferato recentemente,  è effettivamente su tavolo negli ambienti che contano a Mosca. Ma non è il mormorio di una fronda  dissidente.  Anzi.

Leggiamo subito che “due nomi stanno cominciando a circolare in alcuni circoli del potere russo e non da ultimo. Il primo è Ramzan Ahmadovich Kadyrov, l’attuale presidente della Cecenia; il secondo è Sergey Kujugetovich Shoïgu, ufficiale generale degli eserciti russi e ministro della Difesa; due uomini che godono dell’assoluta fiducia di Vladimir Putin, anche se Kadyrov è abbastanza controverso perché la sua possibile accessione alla presidenza della Federazione Russa costituirebbe un precedente storico: quello del primo leader di una terra russa di fede musulmana dai tempi della conversione dell’ “Orda d’oro” (1242-1502), da sciamana a musulmana. L’improbabilità  che la scelta cada su  Kadirov , l’utile alleato che tiene la Cecenia sotto il pugno di ferro, indica un qualche tentativo promozionale  dello stesso: il pezzo ha due  foto del ceceno che Putin guarda con (diremmo) esagerata simpatia…

Ma questo importa meno: si vuol dire  che – secondo Strategika  –  è Putin che sta gestendo la sua eventuale successione. E  il motivo è  che:

“Vladimir Putin vuole assicurarsi che la Russia non ritorni mai all’era disastrosa di Boris Eltsin e degli oligarchi che l’hanno fatta a pezzi e spogliata, trasformando una grande potenza in uno stato fallito. La Russia non solo ha fatto molta strada, ma è stata in grado di realizzare tutti i suoi antichi  sogni geostrategici come l’accesso ai mari caldi, la santuarizzazione  senza precedenti del suo immenso territorio, un posto privilegiato nella vendita di armamenti, una politica influente in Medio Oriente,  Oriente e Africa, una nuova dottrina nell’Oceano Artico, un’alleanza strategica con la Cina e, infine, un ruolo diplomatico di grande potenza. Dotato di una visione fredda, Vladimir Putin non vorrebbe che questi progressi vadano persi per colpa di una nuova generazione di tecnocrati russi, deboli di carattere e ossessionati dalle illusioni di un Occidente in stato di morte clinica, ma che vuole tornare alla ribalta  mantenendo la menzogna universale, questa volta tramite i giganti nuovi di Internet”.

E’  così lumeggiato l’ambiente avversario interno:  tecnocrati deboli di carattere e illusi dalle sirene dell’Occidente.

“Il successore di Vladimir Putin dovrà essere un uomo forte e non un servile tecnocrate incapace di governare un enorme paese delle dimensioni della Russia”.

Il criterio di preferenza  per la scelta del successore è dunque: il carattere. La forza del carattere.  Il motivo:

“Queste due preferenze avanzate da Vladimir Putin ai suoi strateghi  sono illuminanti circa la valutazione russa dell’evoluzione della situazione mondiale a breve termine e non soffre di ambiguità: il mondo si avvia verso un confronto in modalità  dura,  ed è fuori questione di consegnare la Russia a burocrati o politici di bassa levatura” [ancora un’allusione ai nemici interni, evidentemente in grado di preoccupare]

Continua Strategika, con una informazione: “ Putin ha riattivato il governo di emergenza post-apocalittico, una sorta di equivalente del Governo del  Giudizio”: Doomsday  Governement, così  si chiamano  l’insieme di procedure, rifugi, comunicazioni sicure, che devono garantire  che l’esecutivo USA  continui a funzionare anche in caso di guerra atomica. “Però in una versione più adatta alle realtà geostrategiche russe  –   e sui venticinque scenari post-Putin, ventiquattro prevedono un conflitto che coinvolge attacchi nucleari tattici e guerre su almeno tre differenti teatri regionali. In questo caso, è totalmente deplorevole lasciare le sorti del paese a un eventuale secondo Eltsin e a un’orda di oligarchi voraci  al servizio della finanza predatrice transnazionale”.

Decisamente, da queste parole,   “un secondo Eltsin”  come successore di Vladimir sembra   abbastanza concreta all’autore di Strategika, se ritiene di doverla esorcizzare di nuovo, con tanta foga.

Tanto più che, prosegue, “la sola questione è sapere se una parte dei  russi sono occidentalizzati nella loro mentalità e quindi permeabili alla cosiddetta ideologia “liberale” promossa dai media, dal cinema, dalle serie tv, dall’entertainment  e dai social  globali, al  punto di creare zombie standardizzati ai quattro angoli del pianeta applaudendo  dopo il ritorno del finto Obama e del loro surrogato alla Casa Bianca, accetterà un uomo forte come Kadyrov o Choïgu i cui principi sono in contrasto con la sottocultura globalista decrepita e debilitante”.

Qui si esprime chiaramente il dubbio che  l’elettorato russo, “corrotto”  dall’occidentalizzazione, rifiuterà gli uomini forti all’altezza di una stagione “di conflitto con attacchi nucleari tattici  e su tre differenti teatri”.  Del resto è sintomatico che dei due che Strategika ritiene ideali successori di Putin, uno sia un ceceno e l’altro un mongolo dell’Altai, e nessun russo bianco.

Il pezzo va letto, almeno, come segno dell’aria che tira in certi ambienti (militari?)  russi assediati e  allarmati dalle continue provocazioni americane, e dall’instabile Erdogan.

Un elenco nemmeno completo delle ultime provocazioni è di per sé impressionante:

USS John S. McCain, DDG56

Solo martedì 24 , davanti a Vladivostok, Mar del Giappone, “Il cacciatorpediniere anti-sommergibili  Ammiraglio Vinogradov”  ha dovuto minacciare di speronamento il cacciatorpediniere USS John S. McCain, DDG56,  perché  era entrato nelle acque territoriali russe per due miglia “e il suo equipaggio si è rifiutato di obbedire alle richieste delle forze armate russe”, dichiarando di non riconoscere i confini russi e che avrebbe continuato ad operare nell’area, in conformità ai propri interessi.

 Nonostante il comando navale russo parli di test già programmati dell'armamento della corvetta,il missile ha raggiunto la posizione in cui si trovava poco prima la nave da guerra americana, il che, ovviamente, indica l' intenzione del Comando in Capo della Военно-морской флот, ВМФ, di dimostrare agli Stati Uniti la sua intenzione di attaccare eventuali navi che portino anche una minima minaccia nelle acque territoriali russe. Durante il lancio, la corvetta era assistita da circa 10 altre navi, oltre che da aerei dell'aviazione navale della flotta del Pacifico,che hanno monitorato l'area e i risultati dell’”esercitazione", come, diplomaticamente, osserva il quotidiano russo Rossiyskaya Gazeta.
RFS Aldar Tsydenzhapov (339). Corvetta classe Steregushchy di base a Vladivostok
La zona dell’incidente.

Poche ore dopo, nel Mar Nero, il cacciatorpediniere americano Donald Cook, DDG75, ha violato scientemente le acque territoriali russe davanti alla Crimea (di cui non riconosce l’annessione);  per l’agenzia Avia Pro, che echeggia sicuramente le preoccupazioni dei militari, “Gli americani, francamente, hanno corso un rischio molto serio: La marina russa poteva, dopo i primi due avvertimenti, semplicemente distruggere il cacciatorpediniere con un missile anti-nave, ma per qualche motivo sconosciuto ha permesso alla nave da guerra americana di avvicinarsi ancora di più. …  visto che anche nel  del Mar del Giappone erano stati violati i confini russi, è molto probabile il fatto che la flotta americana stia preparando una svolta attraverso lo stretto di  Kerc.

Il cacciatorpediniere americano Donald Cook, DDG75

Dopo che il comando della US Navy ha annunciato di non riconoscere i confini russi nel Mar del Giappone, c’era la probabilità che il Donald Cook, fosse entrato nello stretto di Kerch e che volesse ripetere nelle acque del Mar Nero, la sfida di entrare nelle acque territoriali russe.

È possibile che la stessa provocazione possa costituire l’obbiettivo della missione del cacciatorpediniere americano Donald Cook, conferma, sottolineando, lo specialista.

Al momento, è noto che navi da guerra russe stanno scortando il Donald Cook nel Mar Nero. La sua destinazione potrebbe essere una base della marina militare della Romania.

Un drone d’attacco turco provoca la difesa aerea russa in Crimea

Il drone turco decollato dall’Ucraina per “testare” gli apparati di sorveglianza russi in Crimea. È equipaggiato di una stazione di controllo a terra con pilota ed osservatore, terminale dati a terra, terminale display remoto, base avanzata con moduli generatore e rimorchio.

Un drone  d’attacco multiruolo turco Bayraktar TB2, decollato da una delle basi militari in Ucraina, è volato fino ai confini settentrionali della Crimea. Secondo le fonti, il drone è stato avvistato nell’area di Kherson, tuttavia in seguito ha smesso di essere tracciato dai sistemi di monitoraggio notoriamente disponibili, il che non esclude la possibilità che l’UAV possa avvicinarsi ai confini russi a una distanza di diverse decine di chilometri. Non è noto se questo drone appartenga alle Forze Armate dell’Ucraina e venga assistito dalla Turchia o se sia stato utilizzato direttamente dalla Turchia. Il coinvolgimento turco è possibile perché  “La Turchia non solo non riconosce il ritorno della Crimea alla Federazione Russa, ma dichiara anche che la Crimea è sempre stata una parte della Turchia. È possibile che Ankara cerchi di sfidare la Russia agendo attraverso il territorio dell’Ucraina “, sottolina l’esperto (L’esperto  innominato  è   la figura tipicamente usata da Avia.Pro).

La rotta seguita dal drone

Va notato che durante gli ultimi conflitti in cui sono stati impiegati, gli UAV turchi Bayraktar TB2 hanno dimostrato di poter sfuggire con successo alle capacità di detenzione di moderni sistemi di difesa aerea, come il sistema missilistico di difesa aerea Tor, S-300.

Il 24 novembre, all’una di notte, “Israele ha sferrato un attacco aereo in Siria

I cacciabombardieri israeliani hanno colpito l’area di Damasco.  E’ il secondo attacco che avviene in una settimana. L’esercito siriano ha dichiarato che gli aerei israeliani sono partiti dalle alture del Golan, territorio della Siria preteso da Israele. Il raid ha arrecato solo danni materiali.

Gli anziani F-15 israeliani nel ruolo di cacciabombardieri portano 10.500 kg di carico bellico, contro le 8.000 degli F-35I, perciò e anche per il loro notevole raggio d’azione, rimarranno ancora in linea per molto tempo. Inoltre, nel contesto siriano, denso di sistemi missilistici superficie-aria russi (S-300, S-400, Pantsir), le capacità stealth dell’F-35, non sempre ne garantiscono la furtività.

L’attacco turco respinto e le brame di Erdogan.

Sempre in Siria,  nella notte “ è stato effettuato un potente attacco nell’area dell’insediamento di Al-Malikiya utilizzando cacciabombardieri, lanciarazzi  multipli e cannoni antiaerei. Secondo le forze democratiche siriane (i  Rojava), l’attacco è stato respinto con enormi perdite per gli aggressori  –  che si sono rivelati essere jihadisti turchi. Successivamente, una pattuglia militare russa è stata inviata, con urgenza, nell’area, e, secondo le forze democratiche siriane, ha consegnato diverse dozzine di corpi alla parte turca, il che indica che si tratta non solo di jihadisti, ma anche di militari turchi”: Il motivo dell’attacco: “in precedenza la parte turca aveva rivendicato alla Russia  quest’area come territorio in cui le era  necessario condurre un’operazione antiterrorismo contro i curdi. L’antiterrorismo contro i curdi di Erdogan si chiama pulizia etnica.

In Nagiorno-Karabakh, dove le truppe russe s fanno da interposizione a garanzia del cessate il fuoco, la Turchia ha preteso di  allestire propri posti  di osservazione; al rifiuto della  Russia, Ankara ha annunciato che altrimenti avrebbero agito nella regione in modo indipendente, indipendentemente dalla posizione del Cremlino. Per il Cremlino, sia l’Armenia, sia l’Azerbaijan sono ex repubbliche sovietiche che devono prosperare e non saranno mai sotto il tallone turco. Lo dimostra l’alleanza militare difensiva tra Russia e Armenia, che Putin non ha fatto scattare. In particolare, Putin non autorizzò l’impiego dei missili balistici a corta gittata 9M72 Iskander in dotazione agli armeni, ma controllati da personale russo. Erdogan vuole far valere il suo ruolo nella vittoria militare degli azeri, ma l’accordo di pace nel Nagorno-Karabakh è stato voluto da Putin.

In Libia, si sono rivisti due bombardieri SU24 dell’aviazione russa appena camuffati, a sostegno di Haftar, come segnala un “osservatore” sionista:

I comandi russi  sono continuamente, per così dire, con  il dito  sul grilletto su tutti  teatri   – il loro nervosismo, se appena diventa dubbia la stabilità del  potere di Putin, è molto comprensibile.

Maurizio Blondet, 25 novembre 2020

Sukhoi Su-24