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2107.-Eni sbarca negli Emirati Arabi Uniti E l’Italia beffa la Francia sulla Libia

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Ultimissime dagli occhi della guerra:

L’Eni strappa con gli Emirati Arabi Uniti uno dei più importanti accordi degli ultimi anni. E con questo accordo, l’Italia non strappa soltanto un accordo fondamentale per gli idrocarburi del Golfo Persico, ma anche un accordo di fondamentale importanza nei rapporti con uno dei principali attori del Golfo Persico. E che per Roma è fondamentale anche, se non soprattutto, per ciò che riguarda la Libia.

Cosa prevede l’accordo

L’accordo sul gas fra Eni e governo emiratino è un tassello estremamente importante. Il patto, concluso fra Eni e Adnoc, il colosso mondiale del gas e del petrolio con sede ad Abu Dhabi, prevede l’acquisizioni del 25% di un’enorme concessioni off-shore nel Golfo Persico. Come scritto nel comunicato dell’azienda di San Donato, “la concessione, che ha una durata di 40 anni, consiste nei giacimenti Hail, Ghasha, Dalma e in altri campi offshore situati nella regione di Al Dhafra”.

“Il progetto produrrà più di 1,5 miliardi di piedi cubi di gas al giorno con avvio previsto verso la metà del prossimo decennio. Il gas prodotto dai giacimenti di Hail, Ghasha e Dalma potrebbe soddisfare oltre il 20% della domanda di gas degli Emirati Arabi Uniti”. Ed è questo che interessa particolarmente agli emiratini, poiché il loro primo punto in agenda è quello di scrollarsi di dosso la dipendenza dal gas del Qatar.

Un accordo fondamentale per la Libia.

Ma se il patto serve agli Emirati, serve soprattutto al governo italiano per strappare quote di mercato a britannici e francesi e per aprire un canale diretto con gli Emirati. Lo sbarco di Eni ad Abu Dhabi rappresenta una svolta fondamentale nei nostri rapporti, dal momento che gli Emirati rappresentano una potenza in ascesa in tutta la Penisola Arabica e un attore fondamentale per il presente e il futuro della Libia.

Il ragionamento è semplice. L’Italia ha bisogno di consolidare la propria posizione in Libia riuscendo a interloquire in maniera sempre più stabile con Khalifa Haftar. Ma soprattutto deve fare in modo che la Francia conti sempre di meno nel Paese nordafricano. Gli Emirati sono fra i maggiori sostenitori di Haftar insieme all’Egitto. Egitto ed Emirati, con l’ascesa di Abdel Fattah Al Sisi, sono diventati alleati. E quindi, a Roma serve avere al proprio fianco sia Abu Dhabi che Il Cairo.

Una partita difficilissima

Il governo italiano sta riuscendo a vincere questa difficilissima partita, che si gioca su un equilibrio estremamente complesso. Nel cambiamento di strategia italiana in Libia, è fondamentale questo nuovo triangolo politico fra Italia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Ed Eni è la nostra arma principale per intessere relazioni sempre migliori con questi due attori imprescindibili per il Paese nordafricano.

L’Italia, con questo nuovo governo, ma forse anche perché travolta dagli eventi, ha cambiato strategia. Non può puntare soltanto su Fayez al-Sarraj: serve anche Haftar, il generale della Cirenaica. In questo cambiamento di posizione giocano diversi fattori, in primis il nostro riavvicinamento alla Russia e la decisione di contrastare l’ascesa della Francia nelle decisioni del maresciallo di Tobruk. Ma un ruolo fondamentale lo giocano anche i rapporti con Il Cairo (ristabilito anche grazie al giacimento Zohr in cui Eni è protagonista) e con Abu Dhabi.  Ed è anche per questo motivo che si spiega il viaggio di Giuseppe Conte nel Paese del Golfo. Ma il gioco, inutile dirlo, è estremamente pericoloso. E lo dimostra il fatto che, mentre Eni firmava lo storico accordo con gli emiri, un altro emiro, quello del Qatar, arrivava a Roma, accolto con tutti gli onori dallo stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Tra Abu Dhabi e Doha le relazioni sono a dir poco complicate. L’equilibrismo, in quella regione, è difficilissimo. Le potenze si odiano fra loro e lo scontro fra EAU e Qatar, che riguarda anche la Fratellanza Musulmana, incide sulla Libia al pari dei rapporti con la Turchia.

 

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Foto La Presse

Il viaggio di Conte negli Emirati

Messo agli atti il summit di Palermo, l’Italia con Giuseppe Conte si sta muovendo con tutte le sue armi diplomatiche nel difficile contesto della Penisola arabica. E in una regione così conflittuale è molto difficile muoversi senza avere conseguenze negative nelle relazioni con altri vicini. Qui pesa la risoluzione del contratto per l’Air Force Renzi, ma il governo avrebbe raggiunto con Etihad un accordo accettando, pur di risolvere il contratto, una penale tra i 20 e il 25 milioni di euro.

L’Italia fu il primo ed è uno dei principali partner economici europei degli Emirati, con un interscambio di circa 8 miliardi di euro nel solo 2017. Un volume d’affari che è destinato ad aumentare con il piano di investimenti di 150 miliardi in 7 anni, varato dal governo di Abu Dhabi. Grazie soprattutto alla presenza sul territorio di banche quali Unicredit, Intesa San Paolo e Sace, le imprese italiane hanno trovato un valido canale di comunicazione finanziario per i progetti industriali e commerciali con gli Emirati. E attualmente si parla di almeno due grandi progetti, la seconda tratta della ferrovia nazionale (Etihad Rail II) e l’Aeroporto Al Maktoum (Dubai), futuro primo hub al mondo (si stimano 220 milioni di passeggeri annui), in cui dovrebbero essere in vantaggio aziende del nostro Paese. A questo si aggiunge anche l’industria bellica.

C’è, soprattutto, il ruolo centrale dell’Eni, fondamentale strumento della diplomazia italiana, che ha siglato un nuovo accordo con gli Emirati per una concessione nel Golfo Persico, con la quale si “potrebbe ridurre del 20% circa l’import di gas degli Emirati dal Qatar in un momento in cui le relazioni diplomatiche tra i due Paesi sono piuttosto fredde e in cui Abu Dhabi sta rilanciando i suoi investimenti per sfruttare i giacimenti di gas e petrolio”. L’Eni in Africa non è solo Egitto e Libia. La sua rete di interessi congiunge tutto il continente africano e va dal Mediterraneo a Capo di Buona Speranza. E in questa rete, entra anche il Mozambico.

L’Italia gioca fra equilibri delicati

In Libia, gli Emirati giocano un ruolo molto più influente di quanto si possa credere. Fra i maggiori sostenitori di Khalifa Haftar insieme all’Egitto, il principe ereditario ha già avuto modo di sentire telefonicamente Conte prima della conferenza di Palermo per sostenere gli sforzi dell’Italia sul fronte libico, ma soprattutto per confermare la necessità di trovare una soluzione che coinvolgesse Haftar come attore imprescindibile. Il tutto, mentre Matteo Salvini poche settimane prima si recava in Qatar, attuale avversario politico di Abu Dhabi, e in attesa dell’arrivo dell’emiro di Doha a Roma. In questa difficile ma fondamentale partita dell’Italia fra le monarchie del Golfo Persico.

Infine, la competizione economica con Francia e Germania si gioca anche qui, in Africa e, se possiamo recuperare un goal da Palermo, non è senza significato avere ospitato un summit con tanti paesi africani.

contributi di Lorenzo Vita, tratti da occhi della guerra

1733.- “La guerra in Siria è una guerra economica fra due gasdotti che si fanno la concorrenza”

Nel sangue dei curdi, abbandonati da tutti al loro destino, e dei siriani si svolgerà la spartizione delle zone d’influenza sull’ex impero ottomano. Per capire la politica degli USA, di Israele, della Russia, e di Turchia, Gran Bretagna, Francia, Arabia Saudita e Qatar, leggiamo:

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di Juan Manuel Olarieta
https://movimientopoliticoderesistencia.blogspot.it/2017/01/la-guerra-de-siria-es-una-guerra.html

In un’intervista a un quotidiano italiano, il presidente siriano Bashar al Assad ha affermato che la causa scatenante della guerra in Siria è stata il rifiuto opposto dal suo governo al passaggio di un gasdotto che doveva attraversare il paese per portare il gas del Qatar in Europa attraverso la Turchia.

Assad afferma che il piano qatariota, offerto nel 2000, era un gasdotto che doveva attraversare la Siria da nord a sud; ma c’era un altro progetto di oltre 1.500 chilometri per farlo da est a ovest e arrivare al Mediterraneo attraversando l’Iraq dall’Iran. I rispettivi patrocinatori, il Qatar e l’Iran, hanno le principali riserve mondiali di gas naturale. Il gasdotto qatariota avrebbe permesso agli emiri del Golfo sia di aumentare sia il volume delle esportazioni, sia di ridurre i costi e le limitazioni di volume imposti dal trasporto marittimo. Il Qatar ha bisogno di una flotta di 1.000 navi cargo, con costi esorbitanti.

I due progetti erano in concorrenza ma non erano sul medesimo piano perché il progetto, quello del Qatar, oltre a rappresentare una fonte di proventi per gli emiri del Golfo, aveva due funzioni strategiche ulteriori, contro due paesi antagonisti degli Stati uniti: all’Iran avrebbe tolto l’accesso al mercato europeo e quanto alla Russia, avrebbe fatto la concorrenza al suo gas da sud, mandandolo in Europa attraverso la Turchia.

Nel 2010 il governo di al-Assad optò per il secondo gasdotto, a scapito del primo. L’anno dopo, a quattro mesi dall’inizio della cosiddetta primavera araba, il governo di Damasco firmava l’accordo con l’Iran, uno degli incubi peggiori delle monarchie sunnite del Golfo e degli imperialisti. Un fatto inammissibile. La conseguenza fu appunto la guerra, scatenata nel 2011 grazie alle interferenze esterne.

Sul lato russo, il piano qatariota era un tentativo di asfissia perché l’impresa Gazprom fornisce all’Europa la quarta parte del fabbisogno in gas e gli introiti rappresentano la quinta parte del bilancio statale.

Dopo sei anni di guerra, l’esito non può essere più disastroso per l’imperialismo perché – in un sol colpo – ha perso due pedoni ed è possibile che li perda tutti. Il primo pedone è la Turchia e il secondo è il Qatar.

Come conseguenza dell’esito della guerra in Siria, la Turchia sembra volersi sottrarre dall’influenza della Nato. E, rispetto ai gasdotti, ne passerà in Turchia un terzo, che porterà il gas russo attraverso il mar Nero; inoltre, ormai, oltre alla Siria, l’Iran può contare sulla Turchia come sbocco per il suo gas.

L’altro lacchè che ha smesso di ballare al suono della musica di Washington è il Qatar, che fino a ieri era l’alleato più fidato che gli Usa avevano nella regione. Sono in Qatar due delle principali basi militari imperialiste e la sede del comando centrale degli Usa in Medioriente. Ebbene, sembra che l’abilità di Putin, con una delle sue sorprendenti manovre, abbia toccato anche il Qatar: l’agenzia petrolifera russa Rosneft, la più grande al mondo, ha venduto il 20% delle proprie azioni al Qatar. La Russia ha incassato oltre 10.000 milioni di euro con i quali pagherà la riduzione degli introiti provocata dalle sanzioni economiche degli imperialisti. Eppure, sembra che sia stata Mosca a fare un favore agli arabi.

Questa cessione non è puro e semplice business, perché Rosneft non è un’impresa privata. Si tratta qui di politica e diplomazia, un inizio di accordo fra Qatar e Russia i cui passi successivi sono imprevedibili. E’ possibile sospettare che dietro il Qatar andranno le altre monarchie del Golfo, compresa l’Arabia saudita, che già ha accettato un accordo con la Russia per stabilizzare i prezzi mondiali del petrolio. Se questo avverrà, sarà la fine dell’Accordo del Quincy (1945) e la totale scomparsa degli Stati uniti dallo scenario mediorientale.

Ma la capacità i traino del Qatar non si limita agli sceicchi del Golfo e arriva alla stessa Europa, il cui vergognoso intervento nella guerra in Siria non si spiega con l’obbedienza al diktat statunitense ma con la dipendenza finanziaria di alcuni paesi europei dal Qatar. Se gli emiri arrivano a un accordo con la Russia e, dunque, con la Siria, la Turchia e l’Iran, il loro denaro trascinerà un’Europa ridotta alla mendicità verso posizioni simili, e cioè verso un accordo con la Russia.

Per terminare, occorre aggiungere che, come ha detto Assad, i gasdotti sono “uno degli elementi” che hanno contribuito a scatenare la guerra; non l’unico. Non dimentichiamolo.

traduzione a cura di Marinella Correggia

1495.- Zero Hedge – Il Qatar confessa i segreti della guerra siriana in un’esplosiva intervista virale

Per molti le rivelazioni fatte dall’ex-primo ministro del Qatar in una recente intervista non costituiranno una sorpresa, ma le implicazioni di lungo periodo restano significative. Lette insieme ai recenti sviluppi all’interno dei governi saudita e giordano, queste rivelazioni sembrerebbero l’inizio di una stagione di resa dei conti, che presagisce un periodo di cambiamenti negli equilibri e nelle alleanze tra l’Occidente ed il Medio Oriente. Una situazione al momento alquanto delicata ed instabile, che potrebbe aprire scenari senz’altro sorprendenti.

di Tyler Durden, 29 ottobre 2017

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Un’intervista televisiva in cui un alto funzionario del Qatar svela i retroscena della guerra in Siria è presto divenuta virale nei social network arabi, in concomitanza con il disvelamento di undocumento top secret dell’NSA che conferma come l’opposizione armata in Siria fosse sotto il diretto comando dei governi esteri fin dai primi anni del conflitto.

 

Secondo un noto analista e consulente economico di affari siriani con stretti legami con il governo di Assad, questa esplosiva intervista costituisce un’”ammissione pubblica ad alto livello delle collusioni e del coordinamento tra i quattro paesi per destabilizzare uno stato indipendente, [che potrebbe implicare] un sostegno a Nusra /Al Qaeda.”  In particolare, “quest’ammissione contribuirà ad aprire un caso per quello che viene ritenuto da Damasco come un attacco alla propria sicurezza e sovranità, e che contribuirà a fornire la base per richieste di riparazioni”.

 

Conferenza stampa di Londra del 2013: lo sceicco Hamad bin Jassim bin Jabr Al Thani, primo ministro del Qatar, con il segretario di Stato americano John Kerry. Una mail di Hillary Clinton del 2014 conferma che il Qatar sponsorizzava l’ISIS in quel periodo.

 

Mentre la guerra in Siria si avvia gradualmente alla conclusione, nuove rivelazioni emergono a scadenza quasi settimanale sotto forma di testimonianze di alti funzionari coinvolti nella destabilizzazione della Siria e talvolta persino di messaggi e-mail con ulteriori dettagli su manovre segrete volte a rovesciare il governo di Assad. Sebbene gran parte di queste informazioni non faccia che confermare quanto noto già da tempo a coloro che non hanno mai accettato la propaganda semplicistica che ha dominato i media mainstream, i pezzi del puzzle continuano ad incastrarsi, fornendo agli storici del futuro un quadro più completo delle vere motivazioni dietro questa guerra.

Questo processo di chiarezza è stato facilitato, come previsto, dal continuo conflitto tra gli ex-alleati del Gulf Cooperation Council (GCC), Arabia Saudita e Qatar, i quali si lanciano entrambi accuse reciproche di aver finanziato i terroristi dello stato islamico e di al-Qaeda (il che, ironicamente, è vero in entrambi i casi). E così, davanti agli occhi di tutto il mondo vengono fuori tutti gli scheletri nell’armadio di un GCC ormai in fase di implosione, poiché per anni quasi tutte le monarchie del Golfo hanno finanziato movimenti jihadisti in paesi come Siria, Iraq e Libia.

L’alto funzionario del Qatar è l’ex-primo ministro Hamad bin Jassim bin Jaber al-Thani in persona, colui che ha supervisionato le operazioni in Siria per conto del Qatar fino al 2013 (anche in qualità di ministro degli esteri) che qui vediamo con l’allora Segretario di Stato Hillary Clinton in questa foto del gennaio 2010 (per inciso, il comitato della Coppa del Mondo del Qatar 2022 fece una donazione di 500.000 dollari alla Clinton Foundation nel 2014).

 

In un’intervista alla TV del Qatar, bin Jaber al-Thani rivela che il suo paese, al fianco dell’Arabia Saudita, della Turchia e degli Stati Uniti, ha rifornito di armi i jihadisti fin dall’inizio di questi eventi (nel 2011).

Al-Thani ha anche paragonato l’operazione segreta a “una battuta di caccia” – in cui la preda era il Presidente Assad insieme ai suoi sostenitori – una “preda” che per sua ammissione è riuscita a sfuggire (poiché Assad è ancora saldo al potere: il termine usato è “al-sayda “, che nel dialetto del Golfo Arabo generalmente serve a designare la caccia di animali o prede per sport). Per quanto Thani abbia negato ogni credibile accusa di aver personalmente appoggiato l’ISIS, le parole dell’ex-primo ministro suggeriscono che vi sia stato un sostegno diretto del Golfo e degli Stati Uniti ad Al-Qaeda in Siria (al-Nusra) fin dai primi anni della guerra, e insinuano persino che il Qatar sia in possesso di “documenti” e prove a dimostrazione che la guerra sia stata provocata per causare un cambio di regime.

In base alla traduzione di Zero Hedge, pur riconoscendo che Stati del Golfo hanno armato i jihadisti in Siria con l’approvazione e il sostegno degli Stati Uniti e della Turchia, al-Thani afferma: “Non voglio entrare nei dettagli, ma disponiamo della documentazione completa sul nostro intervento [in Siria].” Sostiene che sia il re Abdullah dell’Arabia Saudita (che ha regnato fino alla morte nel 2015) sia gli Stati Uniti hanno riservato al Qatar un ruolo di primo piano nelle operazioni segrete per condurre una guerra per procura.

I commenti dell’ex-primo ministro, per quanto molto rivelatori, sono volti a difendere e giustificare il sostegno dato dal Qatar al terrorismo, e ad accusare Stati Uniti ed Arabia Saudita di aver scaricato sul Qatar tutta la responsabilità della guerra contro Assad. Al-Thani spiega che il Qatar ha continuato a finanziare le truppe ribelli in Siria, mentre altri paesi riducevano man mano il loro sostegno su larga scala, e per questo motivo si scaglia contro gli Stati Uniti e i Sauditi, che inizialmente “erano con noi nella stessa trincea”.

In una precedente intervista alla TV statunitense cui è stata data pochissima visibilità, al-Thani ha risposto al giornalista Charlie Rose che gli chiedeva delle accuse di sostegno del terrorismo da parte di Qatar che “in Siria, tutti hanno commesso errori, incluso il vostro paese”. Ha inoltre detto che all’inizio della guerra in Siria, “tutto ciò che contava passava attraverso due centrali operative: una in Giordania e una in Turchia”.

Qui sotto la parte principale dell’intervista, tradotta e sottotitolata da @ Walid970721. Zero Hedge ha revisionato e confermato la traduzione, ma, come confermato dal primo traduttore informale, al-Thani non dice “signora”, ma “preda” [“al-sayda”] – a significare che sia Assad che i siriani erano considerati come cacciagione da questi paesi esteri.

La trascrizione parziale dell’intervista è la seguente:

“All’inizio degli eventi in Siria, mi sono recato in Arabia Saudita e ho incontrato il re Abdullah, L’ho fatto su precise istruzioni di sua altezza il principe, mio ​​padre. [Abdullah] mi ha assicurato che ci avrebbero spalleggiato, e che ci saremmo coordinati, ma che noi saremmo stati a capo dell’operazione. Non entro in dettagli, tuttavia siamo in possesso di documenti completi: tutto ciò che è stato fornito [alla Siria] passava dalla Turchia in coordinamento con le forze americane, e tutto è stato distribuito tramite i turchi e le forze statunitensi … E sia noi che tutti gli altri siamo stati coinvolti, i militari… Forse ci sono stati errori e il sostegno è stato dato alla fazione sbagliata … Forse c’era un rapporto con Nusra, è possibile, ma io stesso non ne sono a conoscenza… stavamo combattendo per la preda [“al-Sayda”] e adesso la preda ci è sfuggita e continuiamo a combattere… mentre Bashar è ancora lì. Voi [Stati Uniti e Arabia Saudita] eravate con noi nella stessa trincea … Capisco che si possa cambiare posizione se ci si accorge di essersi sbagliati, ma ritengo si debba almeno informarne i propri alleati… Si può ad esempio lasciare in pace Bashar [al-Assad] o fare questo o quello, ma la situazione che si è creata a questo punto non può più permettere alcun progresso nel GCC [Consiglio di cooperazione del Golfo] né qualsiasi progresso su qualsiasi cosa se continuiamo a combattere apertamente “.

 

Come è ormai noto, la CIA è stata direttamente coinvolta nei principali sforzi di cambio di regime in Siria con i partner del Golfo suoi alleati, come confermano informative americane trapelate e declassificate. Il governo americano ha compreso ben presto che i sofisticati armamenti forniti dai paesi del golfo e dall’Occidente stavano andando ad al-Qaeda e all’ISIS, nonostante secondo le dichiarazioni ufficiali dovessero servire ad armare i cosiddetti ribelli “moderati”. Ad esempio, in un’informativa d’intelligence fatta trapelare datata 2014 e diretta a Hillary Clinton si conferma il supporto dato da Qatar e sauditi all’ISIS.

L’email afferma in termini diretti e inequivocabili che:

“i governi del Qatar e dell’Arabia Saudita forniscono clandestinamente sostegno finanziario e logistico all’ISIL e ad altri gruppi sunniti radicali nella regione”.

Inoltre, un giorno prima dell’intervista al Primo Ministro Thani, l‘Intercept pubblicava un nuovo documento top-secret dell’NSA, emerso tra file d’intelligence divulgati da Edward Snowden, che dimostra senza ombra di dubbio che l’opposizione armata in Siria era sotto il diretto comando di governi esteri fin dai primi anni della guerra, che ha ormai causato mezzo milione di vittime.

 

 

Il documento NSA pubblicato di recente conferma che un attacco insurrezionale del 2013 con sofisticati razzi da superficie, sferrato nei quartieri civili di Damasco tra cui l’aeroporto internazionale, è stato direttamente finanziato e supervisionato dall’Arabia Saudita con la piena conoscenza dell’intelligence americana. Come adesso confermato anche dall’ex-primo ministro del Qatar, sia il governo saudita che il governo degli Stati Uniti disponevano di “sale operative” per sovrintendere a tali feroci attacchi nello stesso periodo in cui avveniva l’attentato all’aeroporto di Damasco del 2013.

Si tratta senza dubbio di un’enorme raccolta di prove documentali incriminanti che continueranno a emergere per i prossimi mesi e anni. Come minimo, la continua guerra diplomatica tra Qatar e Arabia Saudita continuerà a riservare sorprese, mentre ciascuna parte accuserà l’altra di sostenere il terrorismo. E come si può vedere da questa ultima intervista di Qatari TV, gli Stati Uniti non saranno risparmiati in questa nuova stagione che si è appena aperta in cui vecchi alleati rendono pubblici i reciproci affari sporchi.

Di Margherita Russo