Archivio mensile:ottobre 2023

6033.- Israele è entrato a Gaza. Duri combattimenti fra l’esercito e Hamas. Distrutto il campo profughi di Jabalia, almeno 50 i morti.

E’ una pulizia etnica. Ministero Sanità di Hamas, a Gaza 8.525 morti. C’è una catena degli eventi che spaventa. Fatah proclama il giorno di rabbia. Allarme razzi in Israele. Che farà Erdoğan? e l’Iran? Crosetto: Serve uno sforzo corale.

Campo profughi di Jabalia

Israele, ci sono 40 dispersi di cui non sappiamo più nulla

 Le autorità temono che il destino di molti israeliani classificati come dispersi rimarrà sconosciuto anche dopo la guerra: 40 sono ancora le persone di cui non si sa più nulla. Lo scrive Haaretz riferendo le stime dei funzionari della Difesa. Al momento le autorità non hanno potuto determinare se le persone che mancano all’appello siano state rapite o uccise dai terroristi. I funzionari ritengono che molti dei dispersi siano stati assassinati.

Israele, infrastrutture terroristiche sotto edifici civili

 ”A Yihia Sinwar (il leader di Hamas a Gaza, ndr) non importa della popolazione della Striscia. Lui ha costruito intenzionalmente infrastrutture terroristiche sotto abitazioni civili, per farsene scudo”: lo ha affermato il portavoce militare Daniel Hagari. Riferendosi all’attacco a Jabalia, ”in cui l’esercito ha conquistato una roccaforte di Hamas”, l’attacco all’edificio del comandante locale ”ha provocato un crollo di edifici civili sotto ai quali si trovava una grande infrastruttura di Hamas”. Hagari ha consigliato a quanti sono nel nord della Striscia di passare al più presto nel settore meridionale, per la loro sicurezza. 

Hamas: ‘Falso che ci fosse uno dei nostri leader a Jabalya’ 

“E’ falsa” l’affermazione dell’esercito israeliano secondo cui Ibrahim Biari, comandante del Battaglione centrale di Jabalya, si trovava al campo profughi. Lo riferisce Hamas in un comunicato su Telegram. “Il discorso del nemico terrorista sionista sulla presenza di uno dei leader del movimento Hamas nel campo di Jabalya, luogo del massacro criminale avvenuto oggi, è un’affermazione falsa e non ha alcun fondamento nella verità”, hanno riportato. Hamas sostiene che il governo israeliano stia cercando “di giustificare il suo crimine atroce contro civili, bambini e donne al sicuro nel campo di Jabalya”. 

Se parlassero i morti! 

Gaza, devastazione nel campo profughi di Jabalia dopo attacco israeliano. Decine di morti, almeno 50 e centinaia di feriti

31 ottobre 2023, 16:55, Redazione ANSA

Esercito, a Jabalia colpita infrastruttura terroristica 

Nel campo profughi di Jabalya Israele ha condotto oggi un attacco su vasta scala ”contro una infrastruttura terroristica che apparteneva al Battaglione centrale” di Hamas, impadronitisi di edifici civili.. ”Un grande numero di terroristi sono rimasti uccisi. Fra questi, Ibrahim Biari, comandante del Battaglione centrale di Jabalya, responsabile della unita’ ‘Nukhba” che ha condotto l’attacco omicida del 7 ottobre, in Israele. Lo afferma il portavoce militare israeliano in un comunicato. 

Dieci morti in bombardamento campo profughi al Shati 

Almeno 10 persone sono state uccise ed altre sono rimaste ferite in un bombardamento israeliano sul campo profughi di al-Shati, anche noto come Beach Camp, lungo la costa di Gaza City. Lo riferisce l’agenzia palestinese Wafa, secondo cui nell’attacco è stata colpita in particolare una casa in cui si trovavano diverse persone. Il Beach Camp è il terzo più grande degli otto campi profughi della Striscia di Gaza e uno dei più affollati, scrive nel suo sito l’Unrwa, precisando che vi sono registrati 90.173 rifugiati palestinesi.

L’ONU è alla frutta. Guterres: a Gaza rispettare diritto internazionale umanitario. Dignità suggerirebbe le dimissioni.

“Sono profondamente allarmato dall’intensificarsi del conflitto tra Israele e Hamas a Gaza. La protezione dei civili da entrambe le parti è fondamentale. Il diritto internazionale umanitario stabilisce regole chiare che non possono essere ignorate, tutti devono rispettarlo”. Lo ha detto il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres. “Ribadisco la mia totale condanna degli atti terroristici di Hamas e condanno l’uccisione di civili a Gaza”, ha aggiunto, rilanciando l’appello per un “cessate il fuoco umanitario immediato”. 

6032.- Perché tanta insistenza sul MES?

Chiedere aiuto al Fondo significa ammettere che quel Paese non riesce più a finanziarsi sul mercato: un segnale di debolezza che potrebbe scatenare la speculazione”.

Il Mes: aumenta il rischio di una crisi finanziaria che ci costringa a una pesante “ristrutturazione del debito”.

Uno per tutti: salvataggi banche ma previa tosatura dei clienti.

MAR 22, 2023Giorgia Meloni

Quando ricorrervi per uno Stato significa ammettere la propria debolezza ed esporsi a speculazioni?

La Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, ha recentemente ribadito, in risposta al question time alla Camera dei Deputati, che l’Italia, sotto la guida del suo governo “non potrebbe mai accedere al MES” – Meccanismo Europeo di Stabilità, lasciando intendere di non volerne ratificare la riforma, nonostante il pressing subito dagli organi della UE. In particolare, in queste ultime settimane in persona del Presidente dell’Eurogruppo (l’organo informale che comprende tutti i 20 Ministri finanziari dei Paesi europei dell’Eurozona, cioè a moneta euro),  l’irlandese Pascal Donohe, e del Direttore generale dello stesso MES, il neonominato già Ministro delle Finanze del Lussemburgo Pierre Gramegna, i quali stanno insistendo perché l’Italia vi provveda, essendo rimasto l’unico Stato a non averlo, appunto, ratificato, in ciò supportati dall’opposizione, segnatamente dal PD – Partito Democratico, il cui esponente, Ministro per gli Affari Europei nella precedente legislatura, Enzo Amendola, ha preteso la calendarizzazione della relativa discussione in Commissione Esteri perché sia il Parlamento, cui spetta l’ultima parola, a pronunciarsi in materia.

Ma perché vi è così tanta pressione per la ratifica ed altrettale resistenza da parte della maggioranza che sostiene il nuovo Governo Meloni?

Richiamati i rilievi già svolti con il precedente intervento , proviamo a soffermarci sulle criticità proprie dello strumento e della riforma dello stesso, che appaiono meno evidenti delle magnifiche e progressive sorti che discenderebbero dalla sua adozione.

 Il MES è frutto di un accordo intergovernativo nel 2012 per contrastare la crisi dei debiti sovrani e consentire accesso ai mercati finanziari a tassi agevolati agli Stati Euro in difficoltà, quindi non direttamente riferibile agli organi della UE né, soprattutto, controllato dal Parlamento europeo, con funzioni però significativamente sovrapponibili a quella della stessa Commissione: ex art. 3, la valutazione della sostenibilità dei debiti pubblici dell’eurozona in funzione dell’analisi della loro situazione macroeconomica e finanziaria, per cui “a tale scopo, il Direttore Generale (del MES) collaborerà con la Commissione UE e con la BCE per assicurare piena consistenza al lavoro propedeutico al coordinamento di politica economica previsto dal TFUE – Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea”.

Dunque, si accentua la deriva centrifuga rispetto al controllo comunitario che era già iniziata nel 2012, con la consacrazione del MES non come Fondo Monetario Europeo, soggetto ai vincoli e controlli della UE, bensì come strumento agganciato unicamente alle esigenze di stabilizzazione finanziaria dei Paesi dell’area Euro. 

 In quanto, poi, finalizzato a finanziare chi tra gli Stati membri dell’Eurozona dovesse farne richiesta perché in difficoltà, il primo problema a riguardo è stato lucidamente posto dal bocconiano prof. Francesco Giavazzi, già consigliere del premier Mario Draghi: “chiedere aiuto al Fondo significa ammettere che quel Paese non riesce più a finanziarsi sul mercato: un segnale di debolezza che potrebbe scatenare la speculazione”.

Tale rischio è ancor più evidente per Paesi come l’Italia, ad alto debito pubblico, che non potrebbero accedere alla linea cd. ‘precauzionale’ del MES, fruibile solo dagli Stati con i ‘fondamentali’ di finanza pubblica in ordine in quanto rispettosi dei parametri di Maastricht (rapporto non superiore al 3% fra PIL e debito pubblico) e del fiscal compact (obbligo di parità di bilancio, procedura di infrazione europea in caso di mancato rispetto, obbligo di abbassare la percentuale di debito pubblico al 60%, pianificazione preventiva di rientro del debito) –seppure non necessariamente anche di quelli del PSE – Procedura per Squilibri Eccessivi, tra cui l’eccesso di surplus commerciale, in cui ‘eccellono’ ordinariamente i ‘frugali’ olandesi e la ‘locomotiva’ tedesca!-; ma solo alla linea cd. ‘rafforzata’, che viene fornita soltanto all’esito della sottoscrizione di un MoU – Memorandum of Undestanding, con cui il Paese richiedente accetta le linee di aggiustamento macroeconomico imposte dalla ‘trojka’ (FMI, BCE e Commissione UE).

Agli inizi di quest’anno, un nutrito gruppo di una trentina di economisti, non tacciabile –almeno in linea di principio- di foga sovranista, ha pubblicato un appello, rilanciato sul blog de ‘La Fionda’, sui rischi del MES, in particolare lamentando il carattere privatistico dell’istituto, di diritto lussemburghese ed al di fuori del quadro giuridico istituzionale comunitario, funzionale al perseguimento dell’interesse dei creditori e non a criteri di politica generale degli Stati, i quali saranno ordinariamente sottoposti a condizionalità macroeconomiche per potere accedere ai prestiti del MES (sotto forma di acquisto di titoli di debito sovrano dello Stato richiedente sui mercati finanziari primari e secondari ovvero vere e proprie linee di credito), imposte da soggetti non rappresentativi di alcuna investitura popolare, neppure di secondo grado, che stabiliranno, di fatto, le linee di politica economica e di bilancio dello Stato membro in luogo dei suoi organi rappresentativi.

Era quest’ultima, peraltro, la censura costituzionale posta all’attenzione della Corte di Karlsruhe, la quale aveva ritardato la ratifica da parte della Germania, infine sopravvenuta dopo il via libera della Corte costituzionale tedesca che ha ritenuto che tale condizionalità economica non lede le prerogative di rappresentatività degli organi parlamentari domestici nella misura in cui i Governatori ed i Direttori generali del MES in rappresentanza dei singoli Stati risponderebbero direttamente, in termini di responsabilità politica, ai rispettivi Parlamenti nazionali, che mantengono nei loro confronti poteri di indirizzo vincolanti quanto alle loro decisioni all’interno del MES stesso. Valutazione, invero, contraddetta quantomeno dalla circostanza della formale indipendenza, ex art. 7, del Direttore Generale del MES, “responsabile solo nei confronti del MES”, e dai suoi rafforzati compiti –anche di affiancamento alla Commissione- ma che, in quanto eleggibile solo con la maggioranza del 80% dei voti, non potrebbe evidentemente mai essere sgradito alla Germania!

Quanto tale pronuncia della Corte delle Leggi germanica dipenda da esigenze di realpolitik è questione che rimanda ad altro aspetto di rilievo, probabilmente a fondamento dell’interesse pressante degli euroburocrati, cioè il progetto di unione bancaria: il backstop introdotto con la riforma del giugno 2019 a beneficio delle banche europee.

Con la riforma del MES, infatti, quest’ultimo potrà finanziare anche il SRF – Single Resolution Fund, istituito con Regolamento UE nel quadro della cd. ‘unione bancaria’ per la risoluzione di banche in fallimento, per il caso in cui gli investitori privati che ne sono i finanziatori ordinari non siano in grado di dotarlo di risorse sufficienti, con obbligo di restituzione entro tre anni che potrebbe però non essere di facile assolvimento nel caso di fallimento non di singolo istituto di credito bensì di crisi sistemica bancaria, tale da trasferire i relativi oneri di copertura a carico delle finanze pubbliche di tutti gli Stati membri.

In tale contesto, le banche italiane, per quanto protette da coefficienti di patrimonialità adeguati e, spesso, migliori di molte della Sparkasse dei Lander tedeschi (a voler tacere della Commerzbank), verrebbero maggiormente esposte al rischio di default a causa della loro esposizone in titoli di Stato italiani, più facilmente oggetto di perdita di appeal sul mercato e di conseguente maggiore spread rispetto ai Bund tedeschi per le ragioni sopra indicate, come anche a causa dell’ulteriore clausola, prevista dalla riforma del MES, cd. single-limb collective action clause, che dovrà essere apposta alla nuova emissione di titoli di Stato nazionali ai fini della loro più rapida ristrutturazione in caso di crisi del debito sovrano, che ovviamente si rifletterà negativamente sulle dinamiche finanziarie di mercato per le obbligazioni degli Stati più in difficoltà.

Ciò, a voler tacere della riforma, pur essa parte del progetto di Unione Bancaria, di Assicurazione Europea sui Depositi, la quale, secondo i desiderata teutonici dovrebbe essere basata su criteri di calcolo del valore a portafoglio delle banche, dei titoli di Stato nazionali, basati sul loro rating, con inevitabile ulteriore deprezzamento dei BOT – Buoni Ordinari delTesoro a vantaggio dei Bund tedeschi e finale danneggiamento dei nostri istituti di credito e della finanza pubblica italiana.

Ulteriore anomalia del sistema è, infine, che il prestatore di ultima istanza è la stessa BCE – Banca Centrale Europea, poiché i prestiti –o comunque l’intervento finanziario- è in euro, moneta che viene battuta da tale organo comunitario che è però privo di responsabilità democratica, nel senso che i componenti del suo direttivo sono scelti fra i governatori delle banche dei singoli Stati dell’eurozona (Bankitalia per l’Italia), a loro volta istituzionalmente sganciati da mandati elettivi per preservare l’indipendenza degli istituti di credito su cui sono chiamati a vigilare.

   Il FMI – Fondo Monetario Internazionale, alle cui funzioni il MES è ispirato, presta invece agli Stati che ne fanno richiesta di intervento finanziario, in valuta estera (precisamente in SDR – Special Drawing Rights, un paniere di più valute che esprime un vaore sintetico di riferimento) e non nazionale dello Stato richiedente, il quale potrebbe altrimenti emettere la propria moneta a debito senza limite, attraverso la propria banca nazionale di emissione, cosa che, appunto, i singoli Stati dell’Eurozona non possono fare perché il potere di battere la moneta ‘euro’ è solo in capo alla BCE medesima, che anzi si fa pagare dagli stessi una commissione di emissione.

  Fino a che l’Unione rimane tale e non evolva in organismo federale, le politiche di bilancio dei singoli Paesi membri saranno sempre soggette alla dialettica distorcente di avere adottato quale corso legale una moneta che viene emessa da un soggetto terzo, più simile ad una valuta estera su cui essi non hanno controllo: il MES aggrava ulteriormente questo dinamismo intestino.

Parla il prof. Mulè

4 mesi fa: 28 giu 2023, (Agenzia Vista) “Il Mes è un meccanismo acefalo. Così com’è è potenzialmente pericoloso perché non risponde a nessuno. Bisogna modificarlo. La ratifica e il regolamento possono andare in parallelo ed essere momenti diversi. Ora vediamo di discuterlo bene in Parlamento”, le parole di Giorgio Mulè, Forza Italia. Fonte: Agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev

Borghi: 10 motivi per cui NON dobbiamo ratificare la riforma del MES

Da ImolaOggi  

Il senatore Claudio Borghi (Lega) scrive su Twitter

1) Ratificare la riforma significa APPROVARE SPECIFICAMENTE TUTTO IL TRATTATO, comprese le sue parti più assurde, fatte votare da Monti a un distratto Parlamento nell’estate del 2012

2) La riforma del MES PEGGIORA uno strumento già famigerato perché figlio degli interventi di austerità contro la Grecia. I paesi UE vengono divisi fra “buoni” e “cattivi”. L’Italia è, guarda caso, fra i cattivi.

3) Il MES potrà intervenire nei salvataggi delle banche (nota bene, non dei risparmiatori perché PRIMA va fatto il bail-in) e non si può DECIDERE di non farlo. Se una grande banca tedesca o francese va in crisi il MES interviene e i soldi degli italiani verranno usati per pagare i suoi creditori.

4) Il nuovo trattato MES scrive chiaramente che in caso di intervento sarà possibile prevedere un taglio del valore dei titoli di Stato in mano ai risparmiatori.

5) Il nuovo trattato MES obbliga ad inserire nei titoli di Stato delle clausole (cosiddette CACS) che ne rendano più facile il taglio del valore.

6) Se il MES fosse operativo, in caso di crisi sui mercati, vedi ad esempio durante la pandemia, la BCE non interverrebbe più lasciando invece azionare il MES con tutte le conseguenze del caso.

7) Il MES diventerebbe una specie di “agenzia di rating” con il potere di decidere sulla sostenibilità o meno del debito. In pratica potrebbe CAUSARE una crisi dichiarando a suo piacimento che un debito è insostenibile.

8) I dirigenti del MES, a fronte di questi poteri enormi (il direttore potrebbe chiederci il versamento del capitale impegnato, oltre CENTODIECI MILIARDI ENTRO UNA SETTIMANA), sono ESENTI DA QUALSIASI GIURISDIZIONE (davvero, c’è scritto proprio così). Non gli si potrà far causa, non dovranno rendere conto a nessuno delle loro azioni, nessuna autorità può violare gli uffici del MES, i loro stipendi sono esentasse.

9) La soglia della maggioranza qualificata, 80%, usata per numerose situazioni, è calibrata in modo da lasciare fuori l’Italia (che “pesa” il 17% mentre Germania (27%) e Francia (21% 🙄) guarda caso hanno quote sufficienti per diritto di veto assoluto.

10) Non è vero che si può ratificare ma non usare il MES. Una volta attivate le modifiche esse diventano direttamente impegnative, vedi salvataggi banche, e se l’Italia perdesse l’accesso ai mercati non ci sarebbe nessuna scelta possibile se non farne uso.

In sostanza il MES è uno strumento di dominio e di sottomissione, non porta NESSUN VANTAGGIO per l’Italia, meno che mai nella nuova versione.
Non va ratificato perché non è nell’interesse dell’Italia e la ratifica non è assolutamente un atto dovuto bensì un fondamentale passaggio nell’accettazione di un trattato.

Chi dice: Il Mes è sbagliato, ma lo si deve ratificare

Da Italia Oggi, di Marcello Gualtieri

Il Mes è uno strumento sbagliato, anche nella sua versione modificata (benché migliorativa). Ma questo non vuol dire che esista un modello migliore a cui fare riferimento. Vediamo perché. Il meccanismo dovrebbe garantire un prestito ad uno Stato aderente che si trova in difficoltà finanziarie.

Ma, ovviamente chi presta i soldi allo Stato in crisi, come ogni creditore che aiuta un debitore sull’orlo del default, vuole essere sicuro di rientrare della somma versata. E qui i nodi vengono al pettine, perché se manca questa condizione nessuno è disponibile a utilizzare le tasse dei cittadini dello Stato A per fare beneficenza allo Stato B.

Come uscire, dunque, da questo vicolo cieco? La soluzione è solo una: “prevenire” con largo anticipo la crisi, perché dopo il default (o in sua prossimità) non c’è niente che possa spezzare il circolo vizioso sopra descritto. E, difatti, non è disponibile nessuno strumento migliore o più efficace: le cronache degli ultimi decenni sono piene di crisi di Stati sovrani, con il successivo intervento di un prestatore di ultima istanza (in genere il Fmi) che non ha mai risolto nessun problema strutturale, anzi, ne ha aggiunti altri subordinando l’erogazione del prestito all’adozione di fallimentari pacchetti di riforme standard (il cd Washington consensus).

Perché è indispensabile ratificare la modifica del Trattato. Per due motivi (sorvoliamo sulla figuraccia internazionale).

Il primo è che se non si ratifica la modifica rimane in vigore il vecchio Trattato, che ripropone in maniera ancora più marcata gli errori e le condizionalità dei vecchi interventi.

Il secondo. Può essere utile una cosiddetta “prova di resistenza”, conducendo la posizione del Governo sino alle estreme conseguenze.

L’Italia non ratifica la modifica del Trattato, e per ipotesi (teorica, ma fino ad un certo punto) gli altri Stati aderenti (che hanno già tutti ratificato) potrebbero dire: se l’Italia non ratifica esce dal Mes, si riprende i 14 miliardi che ha versato (sembrano tanti, ma sono circa due mesi di interessi passivi sul debito) e noi andiamo avanti. Cosa succederebbe a questo punto del nostro debito pubblico?

Ps: ma, in fondo, la proposta del Governo, qual è?

6031.- Netanyahu umilia la Francia : meschina, ma non sbaglia, purtroppo

Quanto incidono le religioni sulla Guerra di Gaza e quanto è auspicabile una reciproca tolleranza fra le tre religioni monoteiste. L’articolo 19 della Costituzione italiana riconosce il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa e praticarne il culto, tranne ‘riti contrari al buon costume’, e vieta limitazioni normative nei confronti degli enti ecclesiastici, che possono organizzarsi secondo propri statuti. Netanyahu parla delle periferie di Parigi e delle enclavi terroristiche, e lancia un avvertimento alla Francia: “Hamas non si trova a migliaia di chilometri dalla Francia”.. e gli attentatori passano più o meno tutti da Lampedusa. Gli italiani temono un Natale di sangue? La questione è politica. Possiamo dire che sono più tranquilli i parigini a Parigi dei romani a Roma.

Da Boulevard Voltaire, di Arnaud Florac, 25 octobre 2023

Si è discusso molto, anche nelle colonne di BV, su quanto poco ci fosse da aspettarsi dal viaggio di Macron in Israele. Autoproclamato pacificatore, grande prestigiatore, il Presidente della Repubblica è stato probabilmente l’unico a credere nelle sue capacità negoziali e l’unico a pensare che potesse esserci qualcuno diverso dal capo del protocollo per l’accoglienza in fondo alla la rampa del Falcon. Abbiamo parlato molto, ma alla fine forse ci siamo sbagliati, perché la conferenza stampa di Emmanuel Macron e Benyamin Netanyahu ha riservato una grande sorpresa.

Infatti, quando Netanyahu ha parlato della pericolosità di Hamas, aveva bisogno di qualcosa di concreto affinché il messaggio potesse arrivare fino alla Francia. Anche se i media francesi sono tutti dalla parte di Israele, anche se cominciamo ad avere una comprensione corretta delle atrocità commesse da Hamas (per coloro che ancora dubitavano del suo status di gruppo terroristico), ciò non bastava. Questo è, in ogni caso, ciò che deve aver stimato il primo ministro israeliano. Così, dopo aver ricordato che anche la Francia è stata segnata nella carne dagli attentati, a Nizza in particolare, “Bibi” ha detto la verità. Una verità che stupirà solo i nostri concittadini più ciechi. “Hamas non è a migliaia di chilometri in Europa, Hamas è come Daesh nella periferia di Parigi. A Parigi guidi per venti minuti e arrivi in ​​una periferia ritenuta Daesh. Non possiamo vivere così. »
Netanyahu parla delle periferie di Parigi e delle enclavi terroristiche, e lancia un avvertimento alla Francia: “Hamas non si trova a migliaia di chilometri dalla Francia. Hamas è Daesh nella periferia di Parigi”.
L’ennesimo schiaffo somministrato senza slancio al presidente francese, questa volta dal leader di questo “popolo d’élite, sicuro di sé e dominante”, come ha detto il generale de Gaulle. “Non possiamo vivere così”, ha detto Netanyahu. Certamente. Lo capiamo. Fategli sapere – ma probabilmente lo sa – che anche noi non possiamo, non possiamo più vivere così, ma che alle autorità pubbliche non interessa affatto. Michel Onfray ha parlato di “guerra civile tranquilla” sul suolo francese: forse sarebbe più preciso parlare di una guerra civile nascosta, come gli scioperi della SNCF. Non è una guerra tutti i giorni, ma è regolare. È un 7 ottobre sparso: qui, lo stupro di una giovane donna francese da parte di un immigrato clandestino sotto OQTF; poi l’omicidio di un professore francese da parte di un dossier Singouche; poi ancora uno stupro di due novantenni francesi da parte di un lavoratore illegale ai sensi dell’OQTF; all’inizio dell’anno, stupro e omicidio di una ragazzina di 12 anni da parte di una donna algerina sotto l’OQTF; omicidio di un uomo coraggioso alle feste di Bayonne da parte di un uomo già condannato al carcere per stupro, rilasciato dopo due anni; un pensionato picchiato a morte da tre minatori stranieri… e parliamo solo dei fatti più pubblicizzati. Quindi no, non capita tutti i giorni, e non è sempre in nome dell’Islam, ma è sempre una guerra di stranieri contro i francesi, su una terra che ci appartiene e sulla quale chiediamo solo il diritto di restare in vita. Uccidere qualcuno per quello che è è la definizione di genocidio. In questo senso, il termine “francocidio” inventato da Éric Zemmour è lungi dall’essere scandaloso.

Netanyahu è un ex tenente del Sayeret Matkal, le forze speciali dell’IDF. Ha perso suo fratello in guerra. Sa quanto costa la lotta per la sopravvivenza del suo popolo. La sua frase, probabilmente pensata a lungo, è ingiuriosa, meschina, che dir si voglia… ma tragicamente vera. E non faremo nulla.

Parigi: la polizia ferisce gravemente una donna minacciosa e completamente velata

Velo islámico: diferencias entre hiyab, burka, niqab y chador

31 ottobre

Martedì mattina, a Parigi, si è svolto un episodio di intolleranza religiosa che ha visto protagonista una donna musulmana. Secondo CNews, la polizia di Parigi ha aperto il fuoco su una donna completamente velata che faceva commenti minacciosi sui trasporti pubblici, alla stazione della RER Biblioteca François Mitterrand. Questa donna sarebbe gravemente ferita.

L’episodio è avvenuto su un treno della RER C. Secondo l’accusa, i testimoni hanno riportato che la donna avrebbe gridato al loro indirizzi minacce di morte inframmezzandole al grido di “Allah Akbar”. Le chiamate di soccorso dei passeggeri menzionavano una donna “completamente velata” che “pronunciava minacce” ad alta voce. La polizia è riuscita a isolarla, ma lei “ha rifiutato di obbedire agli ordini della polizia”, ha detto a CNews una fonte che si è trovata vicina al caso. Secondo l’accusa la donna avrebbe minacciato di farsi esplodere. A questo punto, “temendo per la propria incolumità”, la polizia “ha usato la propria arma”, ha aggiunto questa fonte.

6030.- Cosa sono gli insediamenti israeliani in Cisgiordania e perché sono illegali

La colonizzazione e la politica imperialista ed espansionista di Israele hanno creato le premesse per questo clima di odio che regna in Palestina.

Da Wired, 27 ottobre 2023, di Kevin Carboni

Scontro tra coloni israeliani e forze di polizia di Gerusalemme dopo che le autorità cittadine hanno dichiarato illegale...


Scontro tra coloni israeliani e forze di polizia di Gerusalemme dopo che le autorità cittadine hanno dichiarato illegale un nuovo insediamento nella West BankYOAV LEMMER/GETTY IMAGES

Cosa sono gli insediamenti israeliani in Cisgiordania e perché sono illegali

Sono il frutto di una politica imperialista ed espansionista e di un lungo processo di colonizzazione. Sono stati condannati dalle Nazioni Unite e sono illegali secondo il diritto internazionale umanitario

Quando si parla di coloni e insediamenti israeliani della Cisgiordania, o West Bank, si intendono le comunità formate da cittadini di Israele nei territori occupati della Palestina sulla sponda occidentale del fiume Giordano dopo la Guerra dei sei giorni del 1967. La loro nascita deriva da un processo di colonizzazione illegale e violento, cresciuto sotto la spinta del partito nazionalista di destra Likud.

Gli attacchi missilistici di Israele sulla Striscia di Gaza

Dove nasce il conflitto tra Israele e Palestina

Gli eventi spaventosi dell’ultima settimana in Medio Oriente sono il culmine di scontri vecchi da decenni. E che affondano le radici nella storia del paese

Cosa sono gli insediamenti israeliani in Cisgiordania

La vittoria del 1967, contro la coalizione panaraba di Egitto, Siria e Giordania, venne interpretata dagli ambienti israeliani in un’ottica teologica, come l’opportunità per realizzare la Eretz israel, la Terra d’Israele. Con questo controverso termine si indica la regione che sarebbe stata promessa ai discendenti di Abramo per volontà divina, secondo il Tanakh e la Bibbia.

La prima spinta a realizzare Eretz Israel fu data dal movimento Gush Emunim, Blocco dei fedeli, nel 1974. Guidati dal rabbino Zvi Yehuda Kook, gli israeliani cominciarono moltiplicare gli insediamenti, concentrandoli però nelle aree più densamente popolate da palestinesi e attorno alle poche risorse naturali della zona, così da spingere gli arabi verso le aree più aride e impedire qualunque tipo di ritorno ai confini precedenti alla vittoria del 1967.

L’idea di imporre agli altri popoli vicini il diritto di Tel Aviv a controllare l’intera Israele biblica, divenne centrale per la politica del Likud, il partito che è ancora oggi alla guida dle paese con Benjamin Netanyahu. Così, con l’affermarsi dei governi di destra, i 40 insediamenti iniziali diventarono 210 in meno di 10 anni e i coloni passarono da 5 mila a 55 mila, negli anni Novanta i coloni aumentarono a 136 mila e oggi più di 630 mila israeliani risiedono negli insediamenti della Cisgiordania.

Un soldato palestinese, non di Hamas, cammina tra le rovine di un edificio della West Bank dopo un attacco israeliano contro un campo profughi

Cos’è la West Bank e perché rischia di aprire un nuovo fronte per Israele

È il territorio della Cisgiordania a ovest del fiume Giordano. È controllata dai principali rivali politici di Hamas, il partito Fatah. Ma è anche il teatro di decenni di violenze dei coloni israeliani contro i palestinesi

La spinta ai coloni

La colonizzazione assunse diverse forme. I primi coloni furono i creatori dei kibbutz, forme associative volontarie basate sui valori di proprietà collettiva ed eguaglianza. Poi arrivarono i fondamentalisti di Gush Emunim e infine, tramite riforme e investimenti pubblici, trasferirsi nei territori occupati divenne economicamente vantaggioso e igoverni di destra cominciarono a offrire case, istruzioni, servizi e meno tasse a chiunque volesse diventare un colono.

Questi cambiamenti furono accompagnati da una nuova visione politica e gli insediamenti divennero una missione nazionale, un mezzo per formare un’identità e una nazione esclusivamente israeliana e portare la Palestina, considerata come terra sottosviluppata e instabile, sotto il totale dominio di Israele. Questa visione politica prende il nome di sionismo e a farne le spese furono proprio i palestinesi.

Gli insediamenti, diventati preso villaggi e città, si svilupparono attorno alle uniche risorse naturali della Cisgiordania, per monopolizzare le fonti d’acqua e i territori fertili. E nonostante l’area sia sotto il controllo amministrativo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), l’unica istituzione governativa palestinese riconosciuta a livello internazionale e principale rivale politico di Hamas, gli insediamenti non hanno mai riconoscono l’Anp, ma sono totalmente assimilati all’economia, alla politica e all’autorità di Israele. Negli ultimi anni, Tel Aviv ha addirittura annesso una parte della Cisgiordania altamente popolata da israeliani alla municipalità di Gerusalemme.

Un soldato israeliano in un kibbutz

Che cosa sono i kibbutz di Israele?

Le comunità agricole ebraiche sono nate all’inizio del Novecento. Democrazia diretta e condivisione dei beni sono alla base del loro funzionamento. Sono state tra gli obiettivi degli attacchi di Hamas

Perché sono illegali

Gli insediamenti sono quindi il frutto di una politica imperialista ed espansionista e di un lungo processo di colonizzazione. Le violenze e le violazioni dei diritti umani compiute nel processo coloniale, che dura ancora oggi, sono state condannate anche dall’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhcr) e vengono riconosciute come una delle ragioni che hanno portato alla radicalizzazione dei miliziani di Hamas, come sostenuto dal segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.

Inoltre, la loro creazione è completamente illegale, perché in diretta violazione delle disposizioni del diritto internazionale. L’articolo 49 comma 6 della quarta Convenzione di Ginevra, ratificata da Israele, sancisce che “la potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua popolazione civile nel territorio da essa occupato”. A questa si aggiunge la risoluzione 446 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 1979, che ne ha esplicitamente riconosciuto l’illegalità.

Su WIRED ascolterete da un video “6 cose che dovete sapere su Hamas”.

6029.- Errori, sorpresa, dove sarà la verità?

Chi può credere che Israele ha abbassato la guardia proprio mentre il suo capo del governo va conducendo una politica imperialista ed espansionista, proseguendo un lungo processo di colonizzazione nei territori dei palestinesi? Che i potenti servizi di intelligence Shin Bet, Aman, Mossad abbiano interrotto la raccolta di informazioni mediante l’intercettazione e analisi di segnali, emessi tra persone nella striscia? Lʼattacco di Hamas risponde alla strategia dellʼIran. Nell’ipotesi più limitata, il 7 ottobre ben può essere stato uno strumento, così forte da consentire di chiudere i conti.

Può ancora accadere di tutto, ma proprio per questo e analizzando le dichiarazioni di questi giorni dei governanti, Biden, Erdogan, Netanyahu, sembra che il 7 ottobre finirà presto e in Palestina.

Errori e sottovalutazioni, perchè gli 007 di Israele sono stati sorpresi da Hamas

Il New York Times spiega come si è arrivati all’attacco della milizia islamista del 7 ottobre scorso che ha trovato impreparati i servizi di sicurezza dello Stato Ebraico.

Da Startmag, 30 ottobre 2023, di Federico Guiglia; aggiornato il 30 ottobre 2023

Errori sottovalutazioni perchè 007 Israele sorpresi da hamas
© MAHMUD HAMS/AFP – Decine di razzi sparati da Gaza verso Israele nell’attacco del 7 ottobre scorso

AGI – L’intelligence israeliana aveva smesso di ascoltare le comunicazioni radio di Hamas e questo errore potrebbe essere stato fatale nel valutare gli eventi che portarono all’attacco del 7 ottobre. Lo afferma il New York Times, secondo cui a lungo il capo del servizio di sicurezza interna israeliano non riuscì a capire se la milizia islamista a Gaza fosse impegnata nell’ennesima esercitazione militare o si stesse preparando a qualcosa di grosso.

Nel quartier generale dello Shin Bet, i funzionari avevano trascorso ore a monitorare l’attività di Hamas nella Striscia di Gaza, che era insolitamente vivace nel cuore della notte. Gli uomini dell’intelligence israeliana e della sicurezza nazionale, convinti che Hamas non avesse alcun interesse a entrare in guerra, inizialmente presumevano che si trattasse solo di un’esercitazione notturna.

Errori sottovalutazioni perchè 007 Israele sorpresi da hamas
© AFPRazzi di Hamas intercettati da Iron Dome

Il loro giudizio quella notte avrebbe potuto essere diverso se avessero ascoltato il traffico dai walkie-talkie dei miliziani di Hamas. Ma l’Unità 8200, l’agenzia israeliana di intelligence che si occupa delle comunicazioni radio nemiche, aveva smesso di intercettare quelle di Hamas un anno prima perché lo considerava uno spreco di sforzi.

Secondo tre funzionari della difesa israeliani, fino quasi all’inizio dell’attacco, nessuno credeva che la situazione fosse abbastanza grave da svegliare il primo ministro Benjamin Netanyahu.

Nel giro di poche ore, le truppe di Tequila, – un gruppo di forze d’élite antiterrorismo schierate per precauzione al confine meridionale di Israele – si sarebbero trovate nel mezzo di una battaglia con migliaia di uomini armati di Hamas che avevano sfondato la tanto celebrata recinzione di Israele, sfrecciando con camion e motociclette nel sud di Israele e attaccando villaggi e basi militari.

La forza militare più potente del Medio Oriente non solo aveva completamente sottovalutato la portata dell’attacco, ma aveva completamente fallito nei suoi sforzi di raccolta di informazioni,soprattutto a causa dell’errata convinzione che Hamas fosse una minaccia contenuta.

Nonostante la sofisticata abilità tecnologica di Israele nello spionaggio, scrive il Nyt, gli uomini armati di Hamas erano stati sottoposti ad un approfondito addestramento per l’assalto, praticamente inosservati per almeno un anno. I combattenti, divisi in diverse unità con obiettivi specifici, disponevano di informazioni meticolose sulle basi militari israeliane e sulla disposizione dei kibbutz.

I funzionari israeliani hanno promesso un’indagine approfondita per capire cosa è andato storto, sul modello di quella condotta sugli errori dell’intelligence statunitense prima dell’11 settembre 2001.

Ma è già chiaro che gli attacchi sono stati possibili a causa di una serie di errori non di ore, giorni o settimane, ma di anni.Un’analisi del New York Times, basata su dozzine di interviste con funzionari israeliani, arabi, europei e americani, nonché su un esame dei documenti del governo israeliano e delle prove raccolte dopo il raid del 7 ottobre, mostra che la sicurezza israeliana ha passato mesi cercando di avvertire Netanyahu che i disordini politici causati dalle sue politiche interne stavano indebolendo la sicurezza del Paese e incoraggiando i nemici di Israele.

In un giorno di luglio, il premier si rifiutò persino di incontrare un generale che era venuto a consegnare un rapporto allarmante basato su informazioni riservate.

I funzionari israeliani hanno valutato male la minacciarappresentata da Hamas per anni, e in modo ancora più critico nel periodo precedente l’attacco. La valutazione ufficiale dell’intelligence militare israeliana e del Consiglio di sicurezza nazionale dal maggio 2021 era che Hamas non aveva interesse a lanciare un attacco da Gaza che potesse provocare una risposta devastante da parte di Israele.

Invece, l’intelligence israeliana ha valutato che Hamas stesse cercando di fomentare la violenza contro gli israeliani in Cisgiordania, che è controllata dalla forza politica sua rivale, l’Autorità Palestinese.

La convinzione di Netanyahu e dei massimi funzionari della sicurezza israeliani che l’Iran e Hezbollah, la sua più potente forza per procura, rappresentassero la minaccia più grave per Israele, ha distolto l’attenzione e le risorse dal contrastare Hamas.

Alla fine di settembre, alti funzionari israeliani hanno dichiarato al Times di essere preoccupati che Israele possa essere attaccato nelle prossime settimane o mesi su diversi fronti da gruppi di milizie appoggiate dall’Iran, ma non hanno fatto menzione dell’avvio di una guerra da parte di Hamas con Israele dalla Striscia di Gaza.

Negli ultimi anni le agenzie di spionaggio americane avevano in gran parte smesso di raccogliere informazioni su Hamas e i suoi piani, ritenendo che il gruppo rappresentasse una minaccia regionale che Israele era in grado di gestire.La riproduzione è espressamente riservata © Agi 2023

6028.- La morte della diplomazia

Diplomazia

Da Startmag, 30 Ottobre 2023, di Federico Guiglia

Siamo nell’ora più buia anche per la diplomazia internazionale e la strategia politica occidentale e araba, non all’altezza della situazione. Il taccuino di Guiglia.

La bella assente nello scenario mondiale è la diplomazia, ma non per sua colpa. Il fatto è che il Nuovo Ordine Mondiale avanza e non la prevede.

Può sembrare una follia, temere che il peggio in Medio Oriente debba ancora arrivare, dopo che Hamas ha decapitato persino bambini nella strage degli innocenti, il 7 ottobre scorso: si può forse immaginare qualcosa di più orribile?

LA NUOVA FASE DELLA GUERRA A GAZA

Purtroppo il mondo è costretto a farlo, ora che Israele, nella caccia agli assassini dei suoi figli, ha inaugurato la soprannominata nuova fase, cioè l’ingresso di soldati e carri armati a Gaza per colpire i responsabili delle mostruosità commesse dai terroristi di ispirazione islamica nello Stato ebraico. E per cercare di liberare i 229 ostaggi privi di qualsivoglia colpa. Se non quella, agli occhi insanguinati dei terroristi, di essere ebrei. E forse oggetto di trattativa: liberi tutti -dice Hamas- in cambio di tutti i detenuti palestinesi.

“Distruggeremo Hamas, Israele combatte per l’umanità”, annuncia il premier, Benjamin Netanyahu. Che avverte: sarà una guerra dura e lunga.

NON ESISTONO GUERRE CHIRURGICHE

È evidente che quanto più il conflitto scatenato dall’antisemitismo di Hamas si espanderà, tanto maggiore sarà il pericolo – anzi, la realtà già vista – che ai bambini israeliani ammazzati si aggiungeranno gli altrettanto innocenti bambini palestinesi uccisi. Drammatici “effetti collaterali”, come si dice con ributtante cinismo in questi casi?
Effetti di sicuro non voluti da Israele, Paese democratico e sotto assedio che fa il possibile, a differenza di Hamas a parti invertite, per non colpire gli innocenti dell’altra parte. Anche con gli appelli ai palestinesi ad abbandonare il nord della Striscia.

Ma quando una così imponente operazione militare comincia anche da terra, e non più solo dal cielo e dal mare dov’era già in pesante corso, nessuno sa quanta gente che non c’entra coi terroristi di Hamas finirà vittima degli scontri. Non esistono “guerre chirurgiche” capaci di separare il male dal bene, Hamas dal popolo palestinese, gli artefici del massacro in Israele dagli incolpevoli palestinesi, donne, bambini o civili adulti.

L’ORA PIÙ BUIA DELLA DIPLOMAZIA MONDIALE

Siamo nell’ora più buia anche per una diplomazia internazionale e una strategia politica sia occidentale, sia araba che, per ragioni e con obiettivi diversi, non si stanno dimostrando all’altezza della grave situazione. A partire dall’Unione europea, l’istituzione più interessata a spegnere l’incendio prima che divampi. Ma che ben poco riesce a combinare, se non a polemizzare (succede anche in Italia) su quale testo approvare o no nella risoluzione dell’Onu. O quali slogan urlare nelle manifestazioni italiane pro Palestina. Che si moltiplicano in tutto il continente, a fronte del nessun corteo pro Israele di cui si abbia avuto notizia all’indomani della decapitazione dei bambini ebrei.

Siamo, dunque, davanti alla più drammatica crisi geopolitica degli ultimi decenni. Per gli israeliani un secondo Olocausto, per i palestinesi senza patria e senza pace la fine di un sogno, per il mondo l’inizio di un incubo dagli imprevedibili risvolti.

Che almeno Dio ci aiuti, visto che dagli uomini e da terroristi che uomini non sono, abbiamo, almeno finora, ben poco in cui sperare.

(Pubblicato su L’Arena di Verona e Bresciaoggi)

6027.- La guerra segreta dei tunnel di Gaza, il labirinto di Hamas a 80 metri di profondità con 500 Km di gallerie

Da Il Secolo d’Italia del 29 Ott 2023. Di Martino Della Costa

È un intricato labirinto di cunicoli la rete di tunnel sotterranei che attraversa Gaza e offre un riparo e una copertura militare ad Hamas. Ed è lì, in quella fitta tela di ragno composta da gallerie che arrivano fino a 80 metri di profondità e corrono per 500 chilometri, che ora potrebbe spostarsi la guerra, che concentra strateghi e militari su una battaglia che molto probabilmente dispiegherà soldati alla ricerca e alla bonifica di quei meandri nascosti. Covi dove jihadisti e miliziani palestinesi potrebbero aver segregato ostaggi e nascosto armi ed esplosivi. Un’architettura complessa, con ingressi in verticale, di cui studiare percorsi elaborati e al cui interno individuare apparati di comunicazione. O anche, scoprire dormitori e anfratti in cui la guerriglia si è annidata.

tunnel Gaza

Quei tunnel sotterranei che attraversano Gaza dove si celano le principali insidie per i soldati dell’Idf

Una rete – spiega il sito dell’Ansa in un servizio che ne ricostruisce mappa e diramazioni – «che si articolerebbe per oltre 500 chilometri, anche se è difficile stabilirne l’estensione in modo accurato. «Hanno iniziato a dire di aver distrutto 100 km di gallerie di Hamas. Vi dico che i tunnel che abbiamo nella Striscia superano i 500 km», spiegò nel 2021 Yahya Sinwar, leader della milizia a Gaza e ricercato numero uno. Un’informazione confermata anche dall’esercito israeliano». Una bocca di lupo, una tana, quella della rete di tunnel sotterranei di Gaza, che Hamas ha trasformato nel tempo in un presidio di guerra. Con entrate vicine a edifici civili. Case. E scuole. Lì sotto, analizza sempre l’Ansa, «i cunicoli sono apparsi molto prima che la milizia palestinese prendesse il potere nella Striscia dopo la guerra intestina con Fatah, finita nel 2007. Servivano principalmente per il contrabbando con l’Egitto».

Il labirinto di Hamas: tunnel a 80 metri di profondità, che corrono per 500 Km sotto Gaza

Poi, con la caduta dei Fratelli musulmani, molti accessi sono stati chiusi. O è stata cambiata la destinazione d’uso dei tunnel. Resta il fatto che sono comunque oltre mille, dichiarava la milizia qualche anno fa. Poi, dopo la presa della Striscia da parte di Hamas, e il conseguente rafforzamento dello stato d’assedio israeliano, le gallerie sono diventate il rifugio e il quartier generale delle milizie palestinesi: specie del braccio violento delle brigate al Qassam. Un avamposto militare, quello della rete di tunnel sotterranei che attraversa Gaza, che per quanto modificato negli anni, consente a tutt’oggi di fare incursioni nel territorio dello Stato ebraico. E di piazzare esplosivi sotto le posizioni israeliane.

Tunnel segreti di Gaza, tra radar e ricognizioni aeree, non si escludono raid sotterranei

Oggi le forza di difesa israeliane (Idf) bombardano la Striscia nel tentativo di neutralizzarle. E non mancano neppure incursioni terrestri mirate a decodificarne i segreti e bonificarne gli anfratti. Ed è così che, tra radar, raid sotterranei e ricognizioni aeree, le forze israeliane – sottolinea l’Ansa– «avrebbero scovato il comando centrale dell’organizzazione sotto lo Shifa, il principale ospedale di Gaza City, e il più grande della Striscia». Quello che le Idf sostengono venga usato da Hamas per nascondersi e usare i civili come scudi umani. Un’accusa che i miliziani palestinesi si sono limitati a bollare come una “menzogna”. Adesso, quindi, per espugnare e districare quel coacervo di cunicoli e nascondigli dell’avamposto militare di jihadisti e terroristi, sembra sempre più impellente infilarsi dentro e perlustrare de visu quelle decine e decine e decine di chilometri da espugnare come una trincea in primo piano.

I tunnel sotto Gaza, da covi segreti a nascondigli di armi e ostaggi

E allora, riporta anche il Corriere della sera sul punto, la fase bellica non può prescindere da incursioni mirate in quei tunnel su cui, nel 2021, Bassem Naim, dirigente di Hamas protagonista della recente missione a Mosca, diceva: «Come difenderci e dove averli è una nostra scelta». Una «replica ai sospetti di gallerie tra i palazzi di Gaza», scrive il quotidiano di Via Solferino. E aggiunge: «Ora Gerusalemme ha rilanciato. Hanno nascosto il comando sotto l’ospedale al Shifa. Uno snodo con spazi protetti, comunicazioni, ambienti sicuri dove accogliere alcuni degli ufficiali, compresi quelli che coordinano il lancio di razzi. Sopra di loro, civili a fare da scudi umani».

Una ragnatela divenuta cruciale nel conflitto

Una battaglia di accuse e contro-accuse che torna a far puntare i riflettori su quel sistema architettonico di difesa (prima) e di attacco (oggi), da cui uscire allo scoperto e attaccare il nemico nel cuore dei suoi presidi. Una postazione profonda e che si estende anche in lunghezza, da dove infiltrarsi in Israele. Compiere raid. Uccidere e prendere ostaggi. Sì, gli ostaggi: protagonisti (loro malgrado) e vittime di una battaglia negoziale parallela a quella militare, che in queste ore infiamma entrambi i fronti coinvolti nel conflitto.

6026.- Erdogan, escalation di minacce a Israele: “Pronti a entrare di notte…”

Il presidente turco continua a soffiare sul fuoco di Gaza e condannare apertamente lo Stato ebraico. Ma i rapporti tra i due Paesi sono molto più complessi. E il Sultano ha diversi obiettivi regionali

Da Il Giornale.it, 29 Ottobre 2023, di Lorenzo Vita

Erdogan, escalation di minacce a Israele: "Pronti a entrare di notte..."

Cosa spinge il presidente turco Recep Tayyip Erdogan a infiammare le piazze anatoliche sostenendo la causa di Gaza e attaccando a testa bassa Israele? Nel centenario della Repubblica turca, momento epocale della storia di Ankara ma soprattutto della lunga stagione al potere di Erdogan, la crisi mediorientale e la guerra tra Israele e Hamas ha fornito un fondamentale strumento di propaganda nella macchina del “Sultano”.

L’ultimo comizio a Istanbul, davanti a una folla riunita per sostenere i palestinesi, ha visto la partecipazione di un Erdogan che ha svestito in poco tempo i panni del leader più affine all’Occidente del periodo elettorale, per vestire quelli del leader mediorientale, “neo-ottomano”, dove la parola d’ordine era il sostegno senza mezzi termini ad Hamas e l’attacco allo Stato ebraico. “Siamo pronti a difendere la patria, possiamo venire in qualsiasi notte inaspettatamente”, ha detto Erdogan facendo un parallelismo con gli abitanti di Gaza. E sono in molti a chiedersi quali siano gli obiettivi del presidente turco.

Dalla svolta moderata alla svolta radicale

Una scelta non nuova certo, ma curiosa se si pensa al fatto che Erdogan aveva solo pochi giorni fa avallato l’ingresso della Svezia nell’Alleanza atlantica, dando quindi l’immagine di un riavvicinamento con il blocco occidentaleche era stato del resto palesato anche con il cambiamento nelle relazioni con la Grecia, da qualche mese votato al dialogo e non allo scontro frontale come negli anni precedenti.

Cosa bolle dunque nella politica turca? La risposta è, come in molti casi, complessa. E come spesso accade nel Levante più profonda e meno palese di quanto si possa credere. Per capirlo bisogna partire dalla grande dicotomia turca e della stessa leadership del “Sultano”, che negli anni ha subito una complicata evoluzione.

“Una notte possiamo arrivare all’improvviso!”

One night we can come suddenly!” Perhaps the most striking part of Erdogan’s speech at a large rally in support of the Gaza Strip and Palestine at Istanbul’s Atatürk Airport.

Forse la parte più sorprendente del discorso di Erdogan alla grande manifestazione a sostegno della Striscia di Gaza e della Palestina all’aeroporto Atatürk di Istanbul.

Il sogno di Erdogan sulla leadership regionale

Erdogan non ha mai nascosto una sua particolare aspirazione di leadership mediorientale e del mondo musulmano. La sua propaganda si è spesso incentrata su temi legati alla religione, ha cambiato la pelle della Turchia anche contraddicendo i dettami laicisti di Ataturk, e ha riportato in auge un’appartenenza islamica che nel Novecento appariva completamente estranea alla nuova repubblica turca. Questo si è realizzato nel tempo sia puntando alla “pancia” del Paese, alla Turchia profonda e sicuramente meno affine all’Occidente rispetto alle grandi città mediterranee, sia sfruttandolo per costruirsi una rete di alleanze e di influenze che vanno dal Sahel all’Asia centrale, passando per il Golfo Persico e per quell’asse con il Qatar che si era cristallizzata nella vicinanza alla Fratellanza Musulmana.

Dalla Freedom Flotilla a Gerusalemme e Gaza

La causa palestinese offriva (e offre) a Erdogan assist formidabili, dal momento che su questo fronte è palese la comunanza di idee di tutta la comunità musulmana. Lo fece capire nel noto caso della Freedom Flotilla per Gaza, lo ribadì con la querelle sullo status di Gerusalemme, a sua volta al centro delle dichiarazioni del leader turco soprattutto quando Donald Trump la riconobbe come capitale dello Stato di Israele. E adesso, il gioco del Sultano non può che essere quello di soffiare su questa brace ardente anche ribadendo una delle sue principali linee narrative e strategiche: la riaffermazione di una logica neo-ottomana imponendo l’influenza turca sui luoghi dove l’Impero è stata l’unica autorità per molti secoli.

Questo era già avvenuto prima dell’attacco di sabato. Già in altre dichiarazioni Erdogan aveva sottolineato, a volte anche solo come piccoli incisi, del ruolo dell’Impero ottomano come garante della pace nella regione e del suo dissolvimento come causa di caos. E questo, se è stato usato anche in altri contesti (basti pensare alla Siria), è utile ancora di più per un tema caldissimo come quello della Terra Santa.

Tra propaganda e realismo

Solo propaganda e sogni neo-ottomani? Non proprio. Perché Erdogan è anche leader di una nazione che si caratterizza per tre grandi punti: l’essenza non araba, la presenza di un nazionalismo fortemente laico e il desiderio di potenza che è radicato in un pensiero strategico raffinato e comune a tutte le componenti politiche anatoliche. Questo implica diverse conseguenze, a partire proprio dai rapporti con Israele, con cui la Turchia ha grandi dossier aperti e spesso mostrato rivalità ma anche affinità strategiche.

La Turchia non è araba

Il fatto che la Turchia sia una nazione sì mediorientale, sì a maggioranza musulmana ma una nazione non araba conferma che sia più facile parlare tra Ankara e i governi israeliani rispetto alle altre forze regionali. La Turchia non ha un contenzioso aperto con lo Stato ebraico, non ha partecipato a guerre contro Israele dalla sua nascita e la laicità ha reso possibile un dialogo molto più facile rispetto ad altre potenze fortemente ancorate alla fusione di religione e politica. Inoltre, la Turchia rispetto ad altre potenze locali non ha né una forte componente di rifugiati palestinesi, né ha avuto per decenni l’aspirazione a proteggere i luoghi santi dell’Islam. Questo lo si evince anche dal fatto che il mondo nazionalista turco di stampo kemalista non ha mai aperto con Israele questioni di natura culturale e religiosa, bensì ne ha parlato in logiche di sfida tra potenze e dialogo tra Stati che hanno interessi divergenti così come comuni. Per esempio per evitare un eccesso di influenza araba sulla questione palestinese. E va ricordato che questa componente è una forte minoranza dell’elettorato turco.

Incroci di alleanze

Infine, i rapporti tra Israele e Turchia sono molto più complessi di quanto si possa credere. Giocare sul tema di Gaza e su altre questioni legate alla Palestina può quindi servire a Erdogan per strappare accordi di varia natura. I due Paesi, per esempio, sono entrambi alleati dell’Azerbaigian: Ankara sostiene apertamente Baku nella sua sfida all’Armenia, ma non va dimenticato che quest’ultima ha ricevuto sostegno militare dalle aziende israeliane e ha con lo Stato ebraico ottimi rapporti in materia energetica. Tutto questo si è rafforzato soprattutto grazie al lavoro del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

La partita del gas

Altro tema di interesse comune è il gas del Mediterraneo orientale. Erdogan ha come obiettivo quello di far transitare il gas dei giacimenti israeliani del Levante in territorio turco, evitando che questo vada a finire in Europa attraverso altre rotte, a partire dal gasdotto Eastmed. Il fronte marittimo è essenziale, visto che la strategia marittima turca, passata alla storia come Mavi Vatan, passa anche attraverso i rapporti con Israele e il riconoscimento delle rispettive zone economiche esclusive. Un riconoscimento che serve anche a limitare le ambizioni cipriote (e quindi greche) nell’area.

Equilibri geostrategici

Inoltre, tra i due Paesi esiste anche un elemento poco noto ma interessante data l’estrema rilevanza che esso ha per Erdogan: la questione curda. Israele negli anni ha sempre avuto un occhio di riguardo per la causa curda. Una logica nata soprattutto quando Israele puntava al consolidamento dei rapporti con tutte le forze non arabe (e motivo per il quale era nata addirittura l’alleanza delle periferie tra Israele e Iran al tempo in cui esso era governato dallo scià).

Non è da escludere che Erdogan, che in questa fase ha blindato la sua influenza sul Caucaso e che vuole colpire il Pkk curdo oltre i suoi confini, abbia deciso di sfruttare Gaza anche in un’ottica di equilibri geopolitici con lo Stato ebraico. Oltre la propaganda, la strategia mostra che Erdogan abbia sepre al centro obiettivi ben più prosaici: espansione dell’influenza, indebolimento dei nemici, accordi sull’energia.

Ipotesi di una missione internazionale?

Non è da escludere inoltre che Erdogan punti ad altro oltre che alla leadership regionale. E cioè la leadership di una ipotetica missione internazionale, magari di stampo umanitario, per la popolazione di Gaza e per il futuro della Striscia post Hamas. Una volta tagliati i ponti con la leadership dell’organizzazione islamista ma confermato la sua piena adesione alle logiche dei miliziani e dei palestinesi tutti, Erdogan, quale leader di una potenza non confinante, non araba e appartenente alla Nato potrebbe essere intenzionato a intraprendere la strada (difficilissima) di una lead in chiave di coalizione internazionale. Ipotesi al momento remota.. ma le forze turche sono già presenti a Cipro nord, mentre l’aeronautica di Ankara ha già mostrato di voler sostenere la popolazione con carichi di aiuti

6025.- Il col. Macgregor a Tucker: l’amministrazione Biden sta spingendo gli Stati Uniti verso una guerra “Armageddon” in Medio Oriente

L’opinione che esprimiamo di seguito tende a sviluppare un civile confronto volto a comprendere la realtà.

La caduta della leadership del dollaro non è frutto soltanto di una politica finanziaria e del passaggio da un mondo bipolare a uno multipolare. Joe Biden più non sembra, ma è una controfigura con l’ordine di portare l’Occidente a una guerra nucleare, che farebbe salvi soltanto chi comanda negli Stati Uniti. I governi europei, cooptati o scelti per l’obbedienza, sono tragiche marionette.

É pur vero che la storia non ci mostra casi di integrazione fra popoli musulmani e cristiani, ma, senza il supporto interessato, non solo militare, degli anglosassoni, prima di tutto degli Stati Uniti, Israele e il mondo arabo avrebbero raggiunto una pacifica e fruttuosa convivenza.

Come in Ucraina, il conflitto fra israeliani e palestinesi non sarà mai risolto dalle armi, ma è ormai evidente che le operazioni militari di questo presidente degli Stati Uniti mirano a una guerra nucleare. La Turchia, come l’Italia, avrebbe tutto da perdere cosicché il presidente Recep Tayyip Erdoğan non ha avuto remore ad accusare di ipocrisia l’Occidente per la posizione presa rispetto al conflitto in corso tra Hamas e Israele; ha legittimato Hamas definendolo un esercito di liberazione e chiamato gli israeliani con l’appellativo di criminali di guerra. 

L’Italia punta(va) alla cooperazione con i Paesi arabi che ora sono con Hamas, ma, a comando, si è schierata con Israele, vittima di questo attacco. Ora si trova: contrapposta ai Paesi del Magreb, cui ha proposto la sua solidarietà attiva e che la riforniscono del gas invece della Russia; a dover seguire un’Alleanza Atlantica, che la occupa militarmente, ma che è giunta al capolinea; a dover seguire un’Unione europea priva di sovranità e di una sua politica estera e che non ha fatto né fa i suoi interessi. Di più! l’Italia di Meloni è a un passo dal cedere la sua sovranità all’OMS. Come sempre, cari italiani, si semina a caro prezzo, e, se va bene, per non raccogliere.

L’articolo in titolo, scritto da Steve Jalsevac, è stato pubblicato su Lifesitenews e tradotto da Sabino Paciolla per il suo sito La Nuova Bussola Quotidiana. 

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portaerei Usa Ronald Reagan

Il colonnello Douglas Macgregor, veterano di guerra decorato, ha avvertito che i funzionari dell’amministrazione Biden stanno spingendo gli Stati Uniti verso una guerra “Armageddon” che rischia una conflagrazione militare con l’Iran, la Turchia, la Russia e altri per difendere e contribuire a facilitare un crimine di guerra israeliano che è inaccettabile per il mondo e per la maggior parte degli americani.

“Sembra che la destinazione prescelta sia proprio l’Armageddon”, ha dichiarato lo studioso e autore militare a Tucker Carlson nel suo ultimo programma Twitter/X.

L’ex conduttore di Fox News ha aperto l’intervista con un recente filmato televisivo in cui il senatore repubblicano Lindsey Graham, della Carolina del Sud, minacciava l’Iran di bombardare le sue raffinerie di petrolio se il gruppo militante alleato in Libano, Hezbollah, avesse “lanciato un attacco massiccio contro Israele” dal nord, in risposta all’assalto più feroce di sempre di Israele contro la popolosa Striscia di Gaza.

“L’Iran, se intensifichi questa guerra, verremo a prenderti”, ha affermato Graham.

Il continuo bombardamento dell’enclave da parte di Israele è la risposta all’attacco senza precedenti del 7 ottobre da parte del gruppo militante islamista Hamas, che governa la Striscia ed è designato come organizzazione terroristica da Israele, Stati Uniti, Unione Europea, Canada, Regno Unito, Australia, Giappone, Egitto e Paraguay.

Secondo le autorità israeliane, i militanti hanno ucciso 1.400 persone, tra cui civili e bambini; Human Rights Watch ha verificato i video che rivelano omicidi freddi e deliberati (crimini di guerra) durante l’attacco. I cittadini israeliani continuano a subire bombardamenti missilistici e sono terrorizzati dal fatto che il conflitto possa peggiorare e che alcune forze islamiche radicali più grandi possano unirsi ad Hamas nel tentativo di distruggere la loro nazione.

In un’altra intervista a London Real, Macgregor ha chiarito di condividere l’opinione che Hamas sia un’organizzazione terroristica che deve essere eliminata.

“Tutti coloro che hanno esaminato ciò che ha fatto Hamas concordano sul fatto che Hamas deve essere sradicato. Non ho incontrato nessuno che non fosse d’accordo. Questo include, ad esempio, il re Abdullah di Giordania. Il generale Sisi in Egitto la pensa allo stesso modo, e anche il signor Erdoğan, che ha cambiato opinione, inizialmente si era espresso contro Hamas. Credo che nessuno lo contesti”, ha detto Macgregor.

Tuttavia, ha aggiunto, “il problema è che la campagna per sradicare Hamas si è rapidamente trasformata in una campagna per sradicare effettivamente l’intera popolazione di Gaza e questo non sta andando bene nel resto della regione… quindi qualsiasi terreno morale gli israeliani abbiano si sta erodendo rapidamente”.

Macgregor ha indicato che le sue critiche includono una seria preoccupazione per ciò che accadrà a Israele come risultato della risposta degli Stati Uniti e di Israele all’attacco di Hamas. Nell’intervista al London Real ha dichiarato: “La mia più grande preoccupazione in questa fase è che Israele venga distrutto”.

Ed è anche la nostra. ndr.

Per quanto riguarda Gaza, le autorità del ministero della Sanità di Hamas hanno riferito di un numero molto maggiore di 7.028 persone uccise dagli attacchi aerei militari israeliani dal 7 ottobre, tra cui 2.913 bambini e 1.709 donne. Inoltre, l’OCHA ha riferito di circa 1.600 persone disperse e presumibilmente intrappolate o morte sotto le macerie, mentre 1,4 milioni di persone sono state sfollate all’interno della regione isolata di 141 miglia quadrate, sottoposta a un blocco israeliano più rigido dal 2007.

Mentre i palestinesi in Cisgiordania protestano contro i bombardamenti su Gaza, i soldati israeliani hanno dichiarato di aver ucciso 102 persone e di averne ferite 1.889. Israele riferisce di due morti e 14 feriti tra il proprio personale in questi due territori occupati.

Il 9 ottobre, Israele ha tagliato acqua, cibo, carburante e altre risorse a questa popolazione confinata di oltre 2 milioni di persone, dichiarando che queste misure sarebbero rimaste in vigore fino alla restituzione dei circa 200 ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre. Esperti di diritti umani e militari hanno affermato che queste azioni di Israele, insieme ai bombardamenti sulle aree civili di Gaza, sono classificate come “punizioni collettive”, un crimine di guerra secondo il diritto internazionale. Altri commentatori, come Jewish Voice for Peace, definiscono queste misure un genocidio.

Macgregor ha spiegato che se lo scenario minacciato da Graham dovesse realizzarsi, con ogni probabilità ci troveremmo di fronte a una “guerra globale”. Se gli Stati Uniti dovessero entrare in questo conflitto come “co-belligerante” con Israele, “sarà molto difficile per la Russia e la Turchia non entrare in questa lotta contro di noi, perché non tollereranno il tipo di punizione collettiva che Israele progetta per Gaza”.

Inoltre, il veterano della prima guerra in Iraq ha spiegato che il Segretario di Stato Antony Blinken e gli altri responsabili delle decisioni ai vertici del governo statunitense sembrano avere l’errata convinzione che la disparità tra le capacità militari americane e quelle dei loro potenziali avversari sia simile a quella dei primi anni Novanta.

“Non siamo la potenza che eravamo nel 1991”, ha valutato Macgregor. Inoltre, “bisogna considerare l’arsenale di missili che l’Iran possiede, e che possono raggiungere 1.200 miglia con grande precisione, [consegnando] testate convenzionali ad altissimo esplosivo che farebbero danni enormi, distruggendo interi isolati di città in luoghi come Haifa [e] Tel Aviv”.

Se gli Stati Uniti bombardassero l’Iran, Macgregor ha detto che “tutte le basi che abbiamo in Iraq e in Siria… verrebbero prese di mira e questa volta lo farebbero con precisione e la distruzione sarebbe totale”.

Ha anche avvertito che potrebbero manifestarsi attacchi terroristici in patria “potenzialmente peggiori dell’11 settembre”, affermando che ci sono “molti agenti di Hezbollah all’interno degli Stati Uniti”.

Inoltre, se gli israeliani entrano a Gaza e Hezbollah interviene nel nord, scatenando un attacco americano all’Iran, “finiremo in una lotta con la Russia. La Russia non se ne starà tranquilla a guardare l’Iran distrutto dalla potenza aerea e navale degli Stati Uniti nella regione”, ha affermato.

Questo renderebbe le portaerei americane e le altre navi da guerra nel Mediterraneo orientale, che trasportano molte migliaia di soldati statunitensi, “vulnerabili ai missili Kinzhal e ad altri missili, missili da crociera e missili ipersonici che i russi hanno”.

“E dubito seriamente che a quel punto i turchi sarebbero in grado di starne fuori”, ha proseguito Macgregor. I turchi sono “i leader de facto del mondo musulmano sunnita. Hanno le più grandi forze armate della regione. Sono vicini a Israele. Potrebbero spostare le forze a sud attraverso la Siria molto rapidamente” e senza ostacoli.

Macgregor: “Incoraggio gli americani di tutto il mondo ad ascoltare il discorso di Re Abdullah di Giordania”.

Ciò che è fondamentale qui, ancora una volta, è “la questione della punizione collettiva”, ha ribadito il colonnello in pensione. Ha criticato Blinken per aver dichiarato che Israele e gli Stati Uniti avrebbero fatto “tutto il necessario” per distruggere Hamas, in evidente disprezzo del diritto internazionale che richiede la protezione dei civili innocenti nei conflitti armati. Comprendendo la probabile risposta delle nazioni vicine, questa politica dell’amministrazione Biden, dominata dai neoconservatori, indica la chiara intenzione di scatenare una guerra regionale e persino globale.

Macgregor ha proseguito “incoraggiando gli americani di tutto il mondo ad ascoltare il discorso di Re Abdullah di Giordania al Cairo di alcuni giorni fa”. Pur condannando la violenza contro tutti i civili a Gaza, in Cisgiordania e in Israele, il monarca “sottolinea che la punizione collettiva inflitta a 2 milioni di persone è inaccettabile, sia per il diritto internazionale che per ragioni umanitarie. Questo è il problema”.

Parlando della crisi, Abdullah ha detto specificamente: “Sono indignato e addolorato per gli atti di violenza perpetrati contro civili innocenti a Gaza, in Cisgiordania e in Israele. L’implacabile campagna di bombardamenti in corso a Gaza, mentre parliamo, è crudele e inconcepibile a tutti i livelli. È una punizione collettiva di un popolo assediato e indifeso. È una flagrante violazione del diritto umanitario internazionale. È un crimine di guerra”.

“Eppure, più la crisi si fa profonda, crudele, meno il mondo sembra preoccuparsene. Chiunque altro attaccasse infrastrutture civili e affamasse deliberatamente un’intera popolazione di cibo, acqua, elettricità e beni di prima necessità verrebbe condannato. Le responsabilità sarebbero applicate immediatamente, in modo inequivocabile”, ha proposto. “Ma non a Gaza”.

Ha poi messo in guardia dai pericoli “catastrofici” dell’applicazione selettiva del diritto internazionale, che considera la vita di alcuni esseri umani più preziosa di altri, in base alla razza, alla religione e ai confini. Ha poi indicato le priorità del Vertice di pace per porre fine alle ostilità, fornire aiuti umanitari ai civili di Gaza e affermare il “rifiuto inequivocabile” dello sfollamento forzato o interno dei palestinesi, che secondo lui è un crimine di guerra e “una linea rossa per tutti noi”.

“Oggi Israele sta letteralmente affamando i civili di Gaza”, ha detto Abdullah. “Ma per decenni i palestinesi sono stati affamati di speranza, di libertà e di futuro, perché quando le bombe smettono di cadere, Israele non viene mai ritenuto responsabile. Le ingiustizie dell’occupazione continuano, e il mondo se ne va” (trascrizione integrale).

Macgregor ha detto a Carlson che nello “sforzo dell’America di stare al fianco di Israele e di aiutare a proteggerlo, abbiamo preso una strada diversa e abbiamo messo da parte la turpitudine morale”.

“Come si fa ad aiutare uno [Israele] senza commettere un crimine di guerra contro l’altro [i palestinesi]? Questo è il problema della punizione collettiva. Questo è il problema dell’annientamento di Gaza e del tentativo di spazzare via la sua popolazione”, ha affermato. “È inaccettabile per noi americani”.

Israele che commette punizioni collettive “inaccettabili” per gli americani; la guerra che ne deriverebbe potrebbe minacciare l’esistenza dello Stato ebraico

Inoltre, poiché i leader israeliani nel corso degli anni hanno generalmente avuto come obiettivo l’espansione dei loro confini “a tutta la Palestina”, che comporta “l’evacuazione generale” della popolazione araba, anche sotto “brutale costrizione”, Macgregor ha ricordato a Carlson che “gli israeliani vorrebbero spingere la popolazione [di Gaza] fuori” in Egitto, il che rimane un crimine di guerra.

“E quando gli americani vedranno più distruzione, e sempre più filmati e fotografie usciranno da Gaza mostrando bambini, donne, anziani che muoiono e vengono uccisi, il sostegno a Israele si eroderà”, ha avvertito il colonnello in pensione. “E allo stesso tempo, la rabbia e l’odio all’interno della regione, che già non ama Israele, diventeranno fenomenali”.

Queste dinamiche stanno già prendendo piede, come dimostra il governo egiziano che, pur essendo un importante beneficiario degli aiuti esteri americani, “è stato un buon partner strategico per Israele”. Ma a causa delle proteste dell’opinione pubblica nazionale per i bombardamenti su Gaza, “almeno 100.000 truppe egiziane sono state spostate verso il confine con Gaza”, riconoscendo che “potrebbero essere costrette a ingaggiare gli israeliani”, dal momento che nessun altro proteggerà gli oltre 2 milioni di civili dell’enclave.

Se ciò dovesse accadere, con l’Egitto che attacca da sud e Hezbollah da nord, attirando tutte le altre potenze, compresi gli Stati Uniti, questa guerra regionale inizierà non solo danneggiando l’America economicamente e fisicamente, “ma potrebbe minacciare l’esistenza stessa di Israele”.

Sebbene gli Stati Uniti vogliano proteggere Israele, “potremmo non essere in grado di farlo se questa guerra sfugge al controllo”. E siamo sinceri: storicamente, le guerre sfuggono al controllo. Si muovono in direzioni mai previste. Quindi se pensate di poter tracciare questo percorso, come pensa Lindsey Graham, siete pazzi. Una volta che si scatena, non è più gestibile”, ha detto Macgregor.

Il conflitto potrebbe portare alla Terza Guerra Mondiale, con una Russia rafforzata che non teme di impegnare gli Stati Uniti indeboliti.

Macgregor ha anche osservato che, contrariamente a quanto riportato dai media, “l’opinione in Israele è divisa. Chiunque pensi che tutti in Israele siano d’accordo si sbaglia. Ci sono persone disposte a mediare. Ci sono persone che coopereranno con loro in queste circostanze all’interno del mondo musulmano/arabo”.

Richiamando la cruda realtà della situazione attuale, ha aggiunto: “Sai, a un certo punto qualcuno in Israele deve dire che se non possiamo uccidere tutti, dobbiamo convivere con tutti, che ci piaccia o no”.

Invitando a un “periodo di raffreddamento” del conflitto nel tentativo di portare la pace, Macgregor si è detto incoraggiato dall’offerta fatta all’inizio di questa settimana dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan di mediare la disputa tra Israele e Hamas.

“La sua disponibilità a mediare è una luce brillante in un cielo altrimenti molto scuro. E dovremmo guardare a questo perché non vogliamo una guerra regionale. Ci distruggerebbe economicamente”, ha detto. “La Russia è più potente militarmente di quanto non lo sia mai stata dagli anni ’80 ed è pronta ad entrare a fianco dell’Iran. Dovremmo tutti pensarci seriamente”.

E chiunque pensi che [i decisori stranieri] diranno: “Oh, no, abbiamo paura dell’America, non rischieremo”, si sbaglia. Non hanno paura di rischiare di attaccare Israele per paura di scontrarsi con noi. Non siamo la potenza che eravamo nel 1991, e loro lo sanno. Ed economicamente la nostra posizione è molto fragile”.

Steve Jalsevac

6024.- ONU parla. Guterres, ‘sorpreso dall’escalation a Gaza senza precedenti’

Mentre, distratti, cominciamo a sentire l’odore della guerra, mentre temiamo il velario funebre sul Santo Natale, a Gaza, donne e bambini, a migliaia, vengono sterminati nelle loro case. Sull’onda di una falsa sorpresa, nel nome della vendetta, Israele distrugge il suo e il nostro futuro. Bombardamenti USA accendono le esche in Siria, razzi dal Libano, dallo Yemen verso Israele; minacce di guerra all’Iran, alle milizie filo iraniane in Irak. Muoiono i palestinesi come le mosche e l’orrore non basta perché queste sono battaglie prodromiche al dominio sull’umanità di chi non ha bandiere; quelli che Erdoğan ha chiamato i poteri su cui Israele fa affidamento oggi. Non ne usciremo indenni né noi né gli americani!

KATHMANDU, 29 ottobre 2023. Ansa,it

© ANSA/EPA

Antonio Guterres: “Incoraggiato da quello che sembrava essere un crescente consenso sulla necessità di almeno una pausa umanitaria in Medio Oriente, sono rimasto invece sorpreso da un’escalation di bombardamenti senza precedenti, che minano gli obiettivi umanitari”.

“Situazione sempre più disperata di ora in ora. Serve cessate fuoco per porre fine a questo incubo”

Qui, è’ il tweet del segretario generale Onu Antonio Guterres. 
    “Ribadisco il mio appello per un immediato cessate il fuoco umanitario, insieme al rilascio incondizionato degli ostaggi e alla consegna di aiuti di livello corrispondente ai drammatici bisogni della popolazione di Gaza, dove una catastrofe umanitaria si sta consumando davanti ai nostri occhi”, aggiunge Guterres.

“La situazione a Gaza sta diventando sempre più disperata di ora in ora”: lo ha detto il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, durante una visita a Kathmandu, capitale del Nepal.

Guterres ha ripetuto gli appelli disperati per un cessate il fuoco per porre fine all'”incubo” dello spargimento di sangue. 
    “Mi rammarico che invece di una pausa umanitaria estremamente necessaria, sostenuta dalla comunità internazionale, Israele abbia intensificato le sue operazioni militari”, ha aggiunto. 

Erdoğan attacca l’Onu:”Impotente” 

Erdogan strizza l'occhio ad Hamas e si scontra con Israele ...

RAI News24. “Riguardo agli attacchi israeliani a Gaza, Erdoğan chiarisce: “Non abbiamo mai approvato le atrocità commesse da Israele e il modo in cui agisce come organizzazione piuttosto che come Stato, e non lo faremo”. Poi precisa: “Quasi la metà delle persone uccise negli attacchi israeliani a Gaza sono bambini. Dimostrazione che l’obiettivo è la brutalità premeditata per commettere crimini contro l’umanità”. Poi attacca l’Onu. “Nessuno prende a cuore una struttura che ignora la brutale uccisione dei bambini, siamo profondamente rattristati dallo stato di impotenza in cui le Nazioni Unite sono decadute”. Infine il leader turco lancia un appello: “Chiedo a tutti i Paesi con mente e coscienza di fare pressione sul governo di Netanyahu affinché lo Stato di Israele abbia un po’ di buon senso” dichiara Erdoğan, come riporta la presidenza della Repubblica di Ankara.  

“Combattono per la loro terra”, sostiene il leader turco che chiede il cessate il fuoco immediato a Gaza e annuncia che non andrà più in Israele.

Hamas non è un’organizzazione terroristica, ma un gruppo di combattenti che agisce per la difesa e la liberazione del proprio popolo e della propria terra”. Lo dichiara il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan accusando di ipocrisia l’Occidente per la posizione presa rispetto al conflitto in corso tra Hamas e Israele.” 

Cancellato viaggio in Israele

Erdoğan ha anche annunciato la cancellazione del suo viaggio in Israele. “Avevamo buone intenzioni, ma sono state tutte mandate in malora”. Poi continua: “Avevamo un progetto per andare in Israele, è stato annullato, non andremo”. Infine aggiunge: “Quando domani i poteri su cui fa affidamento oggi non ci saranno più, il primo posto in cui il popolo israeliano cercherà fiducia e misericordia sarà la Turchia, proprio come 500 anni fa”.

Sono trascorsi 5 anni e a regnare è sempre la morte

Mi chiedevo quale scopo avesse la decapitazione dei bambini da parte di Hamas. Come a Pearl Harbour, come con le Torri gemelle (che dovevano essere demolite, ma come?) certi atti servono a destare l’opinione pubblica, ma in Palestina non c’è un singolo evento. C’è una storia cominciata con la fondazione di Israele in Palestina, senza alcuna politica di integrazione. Torno indietro di 5 anni: Era il 2018, c’era stata l’inattesa apertura dell’ambasciata Usa a Gerusalemme e dopo i 60 morti al confine tra Israele e Gaza a seguito delle proteste, la Turchia aveva espulso l’ambasciatore di Israele. Ignaro come i più, chiedevo il perché dell’apertura dell’ambasciata Usa a Gerusalemme. Poi, seguirono le parole del presidente turco Recep Tayyip Erdogan rivolte a Netanyahu: “… È il primo ministro di uno Stato che pratica l’apartheid e ha le mani sporche del sangue dei palestinesi». Poche ore dopo anche Israele espulse il console generale turco. Sembrava una storia senza senso, senza futuro. Il braccio e la mente: Ankara accusa gli Stati Uniti di «corresponsabilità» con Israele, ma chi è la mente?