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6042.- MALI. L’ONU fugge dal Paese abbandonando mezzi e attrezzature per milioni di dollari

L’ONU è totalmente incapace. MINUSMA in Mali, come MINUSCA nella Repubblica Centrafricana, si sono rivelate missioni di pace solo di nome, incapaci di fatto di garantire la sicurezza e qualunque protezione ai civili. Così, mentre le milizie armate ex anti-Balaka e Seleka uccidono la gente, i soldati ONU, anche se vicini, semplicemente non intervengono. Invece, appena possibile, si dedicano agli stupri e ai traffici con i trafficanti delle ricchezze naturali di questi paesi ricchissimi e altrettanto poveri. Le milizie affiliate allo Stato Islamico del Grande Sahara hanno gioco facile nell’espandere la loro influenza nel Sahel, conquistando territori nel nord-est del Mali per puntare, poi, al Niger e al Burkina Faso. C’è chi dice che la predazione che questi paesi vanno subendo fa rimpiangere l’era coloniale. Tempi difficili per l’Italia e per il suo Nuovo Piano Mattei.

Il tritacarne del Centrafrica, tra gruppi armati e missioni Onu inefficaci   

La missione United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali, MINUSMA, è stata decisa con la Risoluzione 2100 del 25 aprile 2013 dal Consiglio di Sicurezza per sostenere il processo politico di transizione e aiutare la stabilizzazione del Mali. La risoluzione 2364 del 2017 ha esteso la missione fino al 30 giugno 2018.

Il Consiglio ha deciso che la missione si dedicasse a garantire la sicurezza, la stabilizzazione e la protezione dei civili; a sostenere il dialogo politico e la riconciliazione nazionale; ad assistere il ristabilimento dell’autorità statale, la ricostruzione del settore della sicurezza, e la promozione e protezione dei diritti umani nel paese.

Dal 25 aprile 2013, MINUSMA è subentrata alla missione Africana di supporto al Mali (AFISMA).

MINUSMA ha una forza militare autorizzata di oltre 13.000 uomini di 57 Paesi. La compongono osservatori militari, funzionari di staff e il personale schierato nelle principali citta’ maliane tra cui Kidal, Gao, Tomboctu, Mopti.

Articolo di redazione Pagine Esteri, del 3 novembre 2023.

MALI. L’ONU fugge dal Paese abbandonando mezzi e attrezzature per milioni di dollari

La missione delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA) avrebbe dovuto lasciare la base di KIDAL, nel nord del Paese, a metà novembre.

A giugno la giunta militare al potere in Mali ha ordinato ai rappresentanti ONU di lasciare il prima possibile il Paese. In questi mesi i combattimenti e gli scontri tra i ribelli e le forze governative che si contendono il controllo si sono moltiplicati e sono diventati più violenti.

Alla notizia che le truppe ribelli si stavano avvicinando alla base di KIDAL, il personale ONU si è preparato a lasciare in fretta e furia il Paese, abbandonando tutta l’attrezzatura presente e distruggendo il materiale e gli oggetti “sensibili” che i ribelli avrebbero potuto utilizzare per propri fini. Secondo il portavoce della MINUSMA, nella fuga sono andati perduti milioni di dollari di materiale ONU, finiti nelle mani dei ribelli che hanno preso il controllo della base.

Convogli e personale ONU sono stati bersaglio, in questi mesi, di ripetuti attacchi e attentati.

5899.- Repubblica Centrafricana: il gruppo Wagner si è indebolito dopo la morte di Prigozhin.

Ecco che per chi attribuisce a una vendetta di Putin la morte di Prigozhin, i conti non tornano. E la parola di Putin è una sola.

I mercenari di Mosca avrebbero subito perdite significative nei combattimenti ingaggiati nelle ultime settimane contro i gruppi armati locali.

Da Agenzia Nova, 14 Settembre 2023 – Riproduzione riservata

wagner

Il gruppo paramilitare russo Wagner ha subito perdite significative nei combattimenti ingaggiati nelle ultime settimane in Repubblica Centrafricana contro i gruppi armati locali. Lo riferisce il sito di informazione “Middle East Eye”, citando immagini e video raccolte dai suoi giornalisti. Secondo le fonti, il gruppo di mercenari si è indebolito dopo la morte del fondatore Evgenij Prigozhin, e i suoi uomini sarebbero stati ridistribuiti e sostituiti in parte da effettivi ruandesi. Nelle ultime settimane i combattimenti si sono estesi a est, nord e ovest dell’Rca – Paese dove i Wagner operano dal 2018 – con scontri in cui i gruppi ribelli sono riusciti a guadagnare terreno in particolare intorno alla città nordorientale di Ndele e in altre aree note per le loro miniere di oro e diamanti, che sono protette dai contractor Wagner. Secondo le testimonianze raccolte dai giornalisti, il gruppo avrebbe provveduto ad evacuare fuori dal Paese i cadaveri dei suoi uomini caduti in battaglia.

Secondo quanto riferito a “Mee”, Wagner starebbe in questo momento addirittura lottando per mantenere la sua presenza in Repubblica Centrafricana, Paese dove i contractor russi intervennero nel 2018 a sostegno del presidente Faustin-Archange Touadera, secondo i termini di un accordo di difesa con la Russia. Alla fine del 2020, con Touadera minacciato da un’offensiva ribelle sulla capitale Bangui, altre centinaia di mercenari hanno rafforzato la presenza centrafricana del gruppo, al punto che il presidente divenne noto con il soprannome di “presidente Wagner”, sebbene fonti stampa citate da “Africa Confidential” riferiscano che il suo rapporto con Mosca si è di recente indebolito.

Dopo anni di tensione tra la Repubblica Centrafricana e l’ex potenza coloniale francese, Touadera ha incontrato mercoledì scorso il presidente francese Emmanuel Macron, nell’ambito di quella che Parigi ha definito una “ripresa del dialogo e di dinamiche positive nelle relazioni bilaterali”. Nell’incontro, Touadera ha tuttavia precisato a Macron che la sua partnership con la Russia proseguirà, sul filo del risultato del referendum tenuto a luglio che gli ha assicurato il diritto di ricandidarsi per un terzo mandato presidenziale.

5864.- Gabon. Colpo di Stato contro la Dinastia Bongo e il neocolonialismo. La Francia di Macron nel panico (F.B.)

Un altro colpo duro alla Françafrique. Vedremo quanto vale il Governo Meloni se riuscirà a sopperire ai disastri della Françafrique, restando a braccetto con Macron e Von der Leyen. Nè con questa Unione europea né con la Francia, il nostro Nuovo Piano Mattei prenderà forma e sostanza e, nemmeno, obbedendo ai diktat di Washington. Non dovranno essere Cina e Russia a dettare i tempi.

Dal FarodiRoma, 30/08/2023

Alti ufficiali della Guardia Repubblicana, Gendarmeria ed Esercito Nazionale alle prime ore di oggi, mercoledì 30 agosto hanno annunciato alla televisione nazionale di aver “posto fine alla Dinastia Bongo”, che dura dal 1967 con Bongo Padre: Omar Bongo Ondimba che nel 2009 passò il “regno” al figlio Ali Bong Obdimba. Questi alti ufficiali, informano che hanno creato un governo transitorio: il Comitato per la Transizione e il Ripristino delle Istituzioni – CTRI. La famiglia Bongo è lo strumento della Francia per governare il ricco e strategico Paese dell’Africa Occidentale. La storia dei Bongo è costernata di colossali furti, corruzione, brutali violazioni dei diritti umani e grandi affari con gli imprenditori francesi. Il Gabon era il giardino dietro casa di Parigi.

Cosa è veramente successo in Gabon? Come è possibile che una Dinastia con pieno appoggio militare, economico e politico della Francia, possa crollare in meno di 24 ore dopo 56 anni di brutale e incontrastato regno? Le scarne e parziali notizie scritte dai “bianchi” e forniteci dai media occidentali non offrono risposte adeguate a queste cruciali domande. Quindi rivolgiamo l’attenzione ai media africani, soprattutto a quelli gabonesi.

Gabon Info341 ci informa che il golpe è avvenuto tra la notte del 29 e 30 agosto subito dopo l’annuncio della Commissione Elettorale della vittoria di Ali Bongo alle presidenziali svoltesi sabato 26 agosto. Secondo la Commissione Bongo aveva ricevuto il 64,27% dei voti contro il 30,77% del suo principale rivale Albert Ondo Ossa. I risultati ufficiali sono stati dati nel cuore della notte, alle 3.30 (2.30 GMT), dalla televisione di Stato senza che fosse stato fatto alcun annuncio in anticipo dell’evento.

A seguito delle denunce da parte del leader dell’opposizione Ondo Ossa di pesanti frodi elettorali la Dinastia Bongo aveva decretato il coprifuoco e bloccate la connessione internet e linee telefoniche, per scongiurare la diffusione di “notizie false” e di “violenze”. Da sabato sera a martedì la Direzione Generale della Contro Insorgenza e della Sicurezza Militare – DGCISM (la guardia pretoriana della Famiglia Bongo formata da elementi dell’etnia dei Bongo) aveva arrestato oltre 150 leader e simpatizzanti dell’opposizione tra cui il porta parola della piattaforma Alternance2023, Francky Meboon.

E’ parere condiviso da tutti i media gabonesi che il golpe sia stato il frutto di un accordo tra gli ufficiali delle Forze Armate e il leader dell’opposizione Albert Ondo Ossa (che avrebbe riportato la vittoria nelle elezioni, negata dalla Dinastia Bongo). Ondo Ossaa aveva denunciato “una frode orchestrata dal campo Bongo” due ore prima della chiusura delle votazioni di sabato, rivendicando la vittoria. Lunedì il suo schieramento aveva esortato il dittatore Ali Bongo ad “organizzare, senza spargimento di sangue, il trasferimento del potere”.

Gabon Media Time e Gabon24 TV illustrano in modo chiaro le prime decisioni del Comitato per la Transizione e il Ripristino delle Istituzioni – CTRI. Frontiere chiuse fino a nuovo avviso. Elezioni annullate. Scioglimento di tutte le istituzioni della Repubblica. Gabon 1ere TV (la rete nazionale gabonese) e il quotidiano GabonActu stamattina alle ore 10:30 (09:30 GMT) annunciano l’irreversibilità del colpo di Stato affermando che il dittatore Ali Bongo è stato arrestato e posto su residenza sorvegliata.

Le reazioni della Francia e della NATO 

Al momento l’Eliseo (impegnato nel braccio di ferro con il nuovo governo del Niger) non si è ancora ufficialmente espresso, ma i principali media francesi pongono l’accento sulla vittoria elettorale di Ali Bongo senza accennare alle palesi frodi compiute. Una tattica mediatica per raffigurare il dittatore come un “legittimo e democratico” Capo di Stato. Evitano accuratamente di trasmettere le immagini del sostegno di massa ai golpisti da parte della popolazione gabonese che ha organizzato decine di manifestazioni di gioia nella capitale e nelle principali città del Paese.

I gabonesi sono con i golpisti, l’Unione europea è con la Francia e questa è con la Dinastia Bongo. Putin ha gioco facile. Foto da IlFarodiRoma del 31 agosto 2023.

La NATO e i ministri della difesa della UE si riuniranno in emergenza per discutere della situazione in Gabon, riferisce il capo della politica estera dell’Unione Europea, Josep Borrell, noto per il suo incondizionato appoggio al regime neonazista ucraino.

“Se il golpe in Gabon fosse confermato, si tratterebbe di un altro colpo di stato militare che aumenterebbe l’instabilità nell’intera regione. L’intera area, a cominciare dalla Repubblica Centrafricana, poi dal Mali, poi dal Burkina Faso, ora dal Niger, forse dal Gabon, si trova in una situazione molto difficile e certamente i ministri devono riflettere profondamente su cosa sta succedendo lì e su come possiamo migliorare la nostra politica nei confronti di questi paesi”, ha detto Borrell parlando ad una riunione dei ministri della Difesa dell’UE a Toledo, in Spagna.

Quali conseguenze per la Francia? Il Colpo di Stato in Gabon, avviene un mese dopo quello in Niger. Considerando che il Ciad sta addottando una politica ambigua che tende a sganciarsi dalla sfera di influenza francese, il golpe del Gabon rappresenta un grave avvenimento che può spingere altre colonie francesi a ribellarsi: Benin, Costa d’Avorio, Mauritania, Senegal, Togo. 

Nel caso specifico del Gabon la Francia da 56 anni detiene il controllo assoluto dell’economia del Paese tramite la Dinastia Bongo. La Total controlla la maggioranza della produzione petrolifera che rappresenta il 53% del PIL, 79% dei proventi delle esportazioni; risorse minerarie, magnesio in testa, sono gestite dalla società Comilog, controllata al 66% dalla società francese Rougier; la multinazionale francese della logistica, Ballorè gestisce i principali porti gabonesi.

Come in Niger e in altre colonia africane, anche in Gabon, il colonialismo francese ha effetti nefasti sulla popolazione e sullo sviluppo nazionale. Il Paese è vittima degli effetti perversi dei proventi petroliferi e minerari che sono ad esclusivo vantaggio della Famiglia Bongo e della Francia. Questo impedisce che le immense riserve petrolifere e minerarie siano usate per sviluppare il Paese, migliorare l’istruzione, la sanità, creare un tessuto industriale autoctono. Con una popolazione di 2,25 milioni di persone il Il 30% dei gabonesi vive sotto la soglia della povertà mentre il 40% della popolazione di età compresa tra 15 e 24 anni è senza lavoro. il Gabon è un Paese povero, tragicamente privo di manodopera qualificato e con una palese carenza di sovranità.

Al momento è ancora presto per comprendere le conseguenze di questo golpe sulla Francia e sui suoi “possedimenti africani d’oltre mare”. Si può solo notare che Ballorè ha sospeso le sue operazioni presso il principale porto del Gabon a Libreville e che la la società mineraria francese Eramet ha annunciato la sospensione delle operazioni in Gabon.

L’esercito aveva tentato di rovesciare il dittatore Ali Bongo nel 2009 tramite un tentativo di colpo di Stato che fu sventato grazie ai servizi di Intelligence della Francia. Quattro Generali golpisti furono arrestati mentre un quinto riuscì a scappare all’estero. Il Golpe di ieri sera ha colto di sopresa sia la Famiglia Bongo che la Francia.

Ecco la traduzione integrale del comunicato dei Generali golpisti gabonesi trasmesso sulla TV nazionale e da AGP (Agenzia di Stampa Gabonese).

“Il nostro bellissimo paese, il Gabon, è sempre stato un’oasi di pace. Oggi questo paese attraversa una grave crisi istituzionale, politica, economica e sociale.
Inoltre le elezioni generali del 26 agosto 2023, non hanno soddisfatto le condizioni per uno scrutinio trasparente, credibile e inclusivo tanto sperato dai gabonesi e dai gabonesi. A ciò si aggiunge una governance irresponsabile e imprevedibile che si traduce in un continuo deterioramento della coesione sociale che rischia di portare il Paese al caos.

Oggi, 30 agosto 2023, le forze di difesa e di sicurezza, riunite nel Comitato per la transizione e il ripristino delle istituzioni (CTRI), a nome del popolo gabonese e garante della protezione delle istituzioni, hanno deciso di difendere la pace ponendo fine al regime in vigore. A tal fine, le elezioni generali del 26 agosto 2023 e i relativi risultati vengono annullati. Le frontiere sono chiuse fino a nuovo avviso. Vengono sciolte tutte le istituzioni della Repubblica, in particolare il governo, il Senato, l’Assemblea nazionale, la Corte costituzionale, il Consiglio economico, sociale e ambientale (CESE), il Centro elettorale gabonese (CGE).
Invitiamo la popolazione, le comunità dei paesi fratelli insediatisi in Gabon e i gabonesi della diaspora alla calma e alla serenità.
Riaffermiamo il nostro attaccamento al rispetto degli impegni del Gabon nei confronti della comunità nazionale e internazionale.
Popolo del Gabon, è finalmente (iniziato) il nostro volo verso la felicità.
Possano Dio e i fantasmi dei nostri antenati benedire il Gabon. Onore e fedeltà alla patria. Vi ringrazio”.

La giunta militare conferma inoltre che il dittatore Ali Bongo è agli arresti domiciliari assieme alla sua famiglia e in compagnia del suo medico personale.
Informa inoltre che sono stati spiccati mandati di arrestri contro vari membri della famiglia Bongo, del governo e del Parlamento accusati di: alto tradimento contro le istituzione dello Stato; furto organizzato e sistematico del denaro pubblico; malveversazione finanziaria internazionale; falso e uso di falso, falsificazione della firma del Presidente della Repubblica; corruzione attiva; traffico di droga…

Fulvio Beltrami 

Nella foto: la popolazione in giubilio saluta i reparti militari dei golpisti che hanno destituito il dittatore Ali Bongo.

5861.- Africa: É la volta del Gabon, ma chi è Ali Bongo?

Fronte all’Africa. Mentre in Nigeria il presidente Bola Tinubu ha ricevuto il miliardario statunitense Bill Gates e l’imprenditore nigeriano Aliko Dangote – l’uomo più ricco d’Africa -, ecco un altro golpe di militari che concretizza una cintura di golpe pro russi che va dal Mar Rosso all’Oceano Atlantico. Crolla un altro bastione del neocolonialismo francese e sorge un dubbio: “Chi ha abbattuto Prigozhin?”

Siamo nell’Africa Centrale, sulla costa atlantica del Golfo di Guinea, fra la Guinea Equatoriale e il Congo. Il presidente Ali Bongo Ondimba, è stato deposto , 5 giorni fa, appena proclamata la rielezione con il 64,27% dei voti, ma con molte contestazioni. Bongo sarebbe al terzo mandato ed è al potere da 14 anni. La famiglia Bongo detiene il potere da 50 anni e il sessantaquattrenne presidente deposto, figlio di presidente, viene descritto come un donnaiolo. I golpisti parlano di un uomo imprevedile, pericoloso addirittura perché irresponsabile e l’hanno accusato di alto tradimento. I golpisti hanno formato un Comitato per la transizione e la restaurazione delle istituzioni presieduto dal generale Oligui Nguema Brice, comandante della Guardia repubblicana del Gabon. Secondo il comunicato, Brice è stato acclamato all’unanimità presidente e presidente della transizione” da un gran numero di ufficiali superiori e generali che rappresentano tutti i corpi dell’armata gabonese. La durata della transizione non è stata specificata. Già nel 2019, assente per la convalescenza di un infarto il presidente Ali Bongo, un gruppo di militari aveva annunciato alla radio pubblica la creazione di un “Consiglio nazionale di restaurazione”, ma era intervenuta la Guardia repubblicana e il golpe si era concluso con l’arresto o la fuga.

Da RaiNews, leggiamo che il generale Nguema ha detto: “Bongo, attualmente agli arresti domiciliari, “è in pensione, gode di tutti i suoi diritti. È un gabonese normale, come tutti gli altri”, ha dichiarato il generale. “Non aveva il diritto di restare in carica per un terzo mandato, la Costituzione è stata violata, il metodo elettorale in sè non era buono. Allora l’esercito ha deciso di voltare pagina, di assumersi le proprie responsabilità”.  

Le frontiere del Gabon sono chiuse fino a nuovo ordine”, il presidente è agli arresti domiciliari e vige il coprifuoco “fino a nuovo avviso”. I golpisti hanno ripristinato le trasmissioni dei media francesi, già sospese.

L’Ambasciatore italiano a Libreville Gabriele di Muzio a Rainews24: “Destituendo il presidente l’esercito ha evitato il peggio”

A Rainews24 è intervenuto l’Ambasciatore italiano a Libreville, in Gabon Gabriele di Muzio.

“Chiarissimo! “Abbiamo cominciato a sentire degli spari verso le 5 di questa mattina e poi abbiamo visto e sentito il messaggio dell’esercito che annunciava il colpe di Stato e abbiamo rilevato che Internet era stato ripristinato dopo che era stato bloccato durante il voto per le ultime presidenziali”, ha detto Di Muzio. “Da quel che sappiamo non ci sono state vittime e gli oltre 150 italiani sono al sicuro, non c’è pericolo, anche se l’atmosfera è tesa ed è quindi prudente restare a casa”. 
Secondo l’ambasciatore italiano la popolazione, circa 2 milioni di abitanti, ha accolto la deposizione di Ali Bongo con favore anche perchè ha avvertito un rischio brogli concreto durante le ultime elezioni anche a causa del blocco di internet. La famiglia Bongo – sottolinea Di Muzio – è al governo del Paese dal 1973 e “la popolazione è stanca di questi lunghi anni di potere”. Quindi destituendo il presidente Bongo “L’esercito ha certamente voluto evitare il peggio, ovvero una guerra civile sanguinosa, che sarebbe seguita alle elezioni”.”

L’appello di Ali Bongo alla comunità internazionale: “Fatevi sentire, fate rumore, vi imploro”. E’ il toccante video-messaggio in inglese del presidente.

Da Rabat, il Marocco chiama alla stabilità. Ed è la presa di posizione più importante.

Washington “segue la situazione” e l’ONU – solito pesce in barile! – condanna “fermamente” il golpe e chiede di garantire la sicurezza del presidente deposto.

Da Parigi, Marine Le Pen chiama in causa e sollecita il ministro degli Esteri Catherine Colonna a chiarire la “dottrina della  Francia nelle relazioni con il Gabon”, avanza dubbi sulla “coerenza della politica africana” che giudica incompetente. Chiede se esiste un accordo che impegni la Francia a intervenire a sostegno del governo del Gabon?”. Secondo Le Pen, “è un imperativo riorientare la politica africana della Francia verso una cooperazione rispettosa dei popoli e delle sovranità nell’interesse dei nostri continenti”. Torniamo a ricordare le parole del presidente del Congo, a Kinshasa.

Da Berlino, un monito: “Anche se ci sono critiche sulla trasparenza delle elezioni, non spetta ai militari intervenire con la forza”

L’Unione europea valuta sanzioni. Questa palla al piede dell’Italia di meglio non sa fare.

Crosetto intervenendo alla riunione informale dei Ministri della Difesa dell’Unione Europea che si è tenuta a Toledo e che è stata dedicata ai principali temi dello scenario internazionale, tra i quali anche Africa, Mediterraneo allargato, Libano. a Toledo, dichiara, fiducioso: “L’Unione Europea deve diventare un protagonista politico per affrontare molti dei problemi che adesso non sembrano toccare i cittadini europei, ma che in breve tempo possono diventare decisivi. Quanto sta accadendo in Africa impone un impegno e un approccio diverso. Sempre più urgente si rivela la necessità di costruire una politica comune che favorisca una vera crescita economica, che costruisca percorsi democratici e le migliori condizioni affinché i popoli africani non debbano più scappare dalla povertà, dalle fame, dalle guerre”. “Su questi grandi obiettivi internazionali”, ha ribadito il ministro nella nota, “come Europa dobbiamo imparare a muoverci tutti insieme. Occorrerà del tempo, ma un passo alla volta tutti questi obiettivi si possono raggiungere”. Viva l’ottimismo o, forse, non possiamo essere portatori di una nostra politica per l’Africa, visto che l’abbiamo in casa?

Un altro golpe: il presidente del Gabon deposto dai militari. Il caso al centro del vertice Ue

Da Il Secolo d’Italia, 30 Ago 2023, di Sveva Ferri

golpe gabon

Un altro golpe si registra in un Paese africano, stavolta si tratta del Gabon, dove stamattina un gruppo di militari ha deposto il presidente appena rieletto per il terzo mandato, Ali Bongo Ondimba, mettendolo agli arresti domiciliari, dove si troverebbe insieme “alla sua famiglia e ai suoi medici”. I militari, dando l’annuncio dell’arresto attraverso la tv pubblica Gabon 24, hanno proclamato l’annullamento delle elezioni celebrate il 26 agosto. “Stiamo mettendo fine al regime in vigore”, è stato il loro messaggio, nel quale hanno aggiunto che “le frontiere sono state chiuse”, così come il porto della capitale Libreville. Uno dei figli del presidente è stato arrestato per “alto tradimento”. La comunità internazionale segue la vicenda con “la massima attenzione”.

Tajani: “I 150 italiani nel Paese sono al sicuro. Unità di crisi attiva”

In Gabon vivono oltre 150 italiani. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha fatto sapere che “sono al sicuro”, invitandoli “alla massima prudenza e a rimanere a casa”. Il ministero, ha aggiunto Tajani, “con l’unità di crisi e con l’ambasciata a Libreville sta seguendo l’evolversi della situazione”, spiegando che “oggi e domani si parlerà della situazione in Gabon e nel resto dell’Africa durante la riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione europea”.

Chi è il presidente Ali Bongo Ondimba

Bongo alle ultime elezioni ha ottenuto il 64,27% dei voti. Il risultato è stato fortemente contestato con l’accusa di brogli elettorali e di contro il governo ha imposto il coprifuoco e il blocco di internet, ora rimossi dai militari. Lo stesso Bongo è considerato figura controversa, a partire dal fatto che ha sostanzialmente “ereditato” il potere dal padre, che fu a sua volta presidente, intestando così alla sua famiglia 53 anni di potere alla guida del Paese. Altri, invece, lo considerano un riformista.

Le immagini di festeggiamenti in strada

Secondo quanto riferito dalla Bbc Afrique, dopo l’annuncio del golpe, la popolazione è scesa per le strade di Libreville e della capitale economica Port-Gentil per festeggiare. Il capo della guardia repubblicana Brice Oligui Nguema inoltre è stato portato in trionfo da un gruppo di soldati al grido “presidente, presidente”. A Le Monde Oligui Nguema, considerato il più accreditato possibile nuovo leader, ha spiegato che le decisioni su chi guiderà il Paese saranno assunte “con l’insieme dei generali”. I cittadini avrebbero intonato insieme ai soldati l’inno nazionale e detto ”grazie esercito, aspettavamo questo momento da molto tempo”. Le immagini sono state trasmesse dalla tv di Stato e rilanciate dalle agenzie di stampa internazionali. I militari avrebbero poi chiesto alla folla di rientrare nelle proprie case e di allontanarsi da zone strategiche.

La preoccupazione della comunità internazionale

Il golpe in Gabon, che arriva a un mese da quello in Niger, porta a dieci il numero di colpi di stato registrati in Africa dal 2019. “Se dovesse essere confermato il colpo di Stato militare non farebbe altro che aumentare l’instabilità della regione”, ha detto l’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell. “L’intera area, a cominciare dalla Repubblica Centrafricana, poi il Mali, poi il Burkina Faso, ora il Niger, forse il Gabon, si trova in una situazione molto difficile e certamente i ministri devono riflettere profondamente su ciò che sta succedendo lì e come possiamo migliorare la nostra politica nei confronti di questi Paesi”, ha aggiunto Borrell, riferendosi al vertice Ue. Messaggi di preoccupazione e richiesta di stabilità sono arrivati anche dalla Russia e dalla Cina, che ha chiesto anche di garantire la “sicurezza personale” di Bongo.

Sveva Ferri

5765.- Cinquecento mercenari della “Wagner” avrebbero lasciato la Repubblica Centrafricana per la Bielorussia, via Libia

Bangui, 7 luglio 2023. Tratto da agenzianova.com

Il gruppo Wagner potrebbe lasciare la Repubblica Centrafricana per dirigersi in Libia

La Wagner è presente nella Repubblica Centrafricana con circa 1.500 uomini in 47 siti e vi gestisce lucrose attività. Sembra che sia in corso il trasferimento per via aerea di almeno 500 mercenari verso la Libia, per raggiungere , poi, la Bielorussia. Non è noto se si tratta di un avvicendamento, di un movimento temporaneo, se la Wagner manterrà la sua presenza nel paese o se sarà soppiantata da unità regolari russe o di sicurezza cinesi. Il ministro degli esteri Lavrov aveva dichiarato che la Wagner avrebbe proseguito le sue attività in Africa, vale a dire, in 13 paesi.

In Libia, il gruppo paramilitare russo Wagner è presente a Al Jufra, una base aerea della Libia centrale. La notizia è confermata da testimoni oculari e da “Agenzia Nova” tramite Jalel Harchaoui, associate fellow presso il Royal United Services Institute. Questi, commentando le indiscrezioni del quotidiano “Ean Libya” afferma che sarebbero in corso dei negoziati per il ritiro dei combattenti russi dall’area di Al Jufra, ritenuta di importanza strategica. Queste notizie datano la fine di marzo e, apparentemente, sembrano molto rassicuranti, ma sfortunatamente sono prive di qualsiasi prova.

mig29libia
fonte foto: شعبة الإعلام الحربي

Un MiG-29 delle forze dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) presso la base aerea di Al Jufra.

Lo scorso novembre, peraltro, le forze di Haftar avevano pubblicato, per la prima volta, alcune fotografie dei caccia russi MiG-29 di stanza presso la base aerea di Al Jufra, nella Libia centrale. Le immagini, pubblicate dalla Divisione informazioni del Comando generale dell’Lna sulla sua pagina Facebook ufficiale, mostravano alcuni alti ufficiali della coalizione militare basata nell’est del Paese mentre ispezionavano i caccia di fabbricazione russa nell’ambito “della preparazione militare dei caccia dell’Aeronautica per la visita a Jufra del comandante generale, maresciallo di campo (massimo rango degli ufficiali generali, ndr) Khalifa Haftar”. Nelle foto pubblicate online apparivano anche Saddam e Khaled, due dei figli di Haftar, e i leader di altre brigate militari.“ Le immagini mostravano, inoltre, caccia MiG-21 e Mig-22, elicotteri da trasporto e velivoli da addestramento, nonché gli equipaggi e il personale di stanza presso la base aerea situata lungo la “linea fortificata” che da Jufra risale verso la costa fino ad arrivare nella città di Sirte. E’ stata la prima volta che le forze di Haftar hanno fatto sfoggio dei Mig-29. Secondo il Comando Usa per l’Africa (Africom), i velivoli sono giunti in Libia nella primavera del 2020 da una base aerea in Russia, dopo aver transitato in Siria dove sono stati ridipinti per mascherarne l’origine russa. Washinton ha più volte accusato la Federazione russa di aver fornito aerei da combattimento, veicoli corazzati militari e sistemi di difesa aerea al gruppo Wagner in Libia, alleato dell’Lna, in violazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu 1970 e dell’embargo sulle armi. Da parte sua, Mosca ha sempre negato le accuse. Intanto, in una dichiarazione rilasciata all’agenzia di stampa russa “Tass” il viceministro degli Esteri e rappresentante speciale del presidente russo per il Medio Oriente e l’Africa, Mikhail Bogdanov, ha dichiarato che Mosca “riaprirà a pieno regime” la sua missione diplomatica a Tripoli, precisando che il nuovo ambasciatore di Russia in Libia, Aydar Aganin, è in viaggio. Secondo Bogdanov, le garanzie di sicurezza per la sua missione diplomatica in Libia rimangono una priorità per la Russia.

Agenzia Nova. – I mercenari russi del gruppo Wagner si starebbero apprestando a lasciare – almeno parzialmente, quanto non si sa, – la Repubblica Centrafricana, Paese nel quale sono presenti almeno fin dal 2018. A rivelarlo è il portale locale “Obangui Medias”, secondo cui le partenze sono iniziate lunedì 3 luglio e sono proseguite nel corso degli ultimi giorni. Gli uomini di Evgenij Prigozhin, fondatore del gruppo, avrebbero lasciato diverse località nel nord del Paese, in particolare Moyenne-Sido, città al confine con il Ciad. Il sito d’informazione non offre una stima del numero di paramilitari già partiti, ma cita fonti occidentali secondo cui almeno 500 uomini hanno lasciato la Repubblica Centrafricana per volare in Libia, tappa intermedia prima di raggiungere infine la Bielorussia. La stessa fonte stima in circa un migliaio i mercenari di Wagner ancora presenti nel Paese dell’Africa sub-sahariana, dove secondo il quotidiano francese “Le Monde” il gruppo avrebbe occupato in questi mesi non meno di 47 avamposti militari.

Le partenze dalla Repubblica Centrafricana giungono dopo la crisi che a giugno ha opposto gli uomini di Prigozhin alle forze armate regolari della Russia, con un potenziale colpo di Stato evitato all’ultimo da un accordo mediato dal presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko, che prevede tra le altre cose l’integrazione dei mercenari nei ranghi dell’esercito di Mosca. Gli ultimi sviluppi in Repubblica Centrafricana sembrerebbero dimostrare che, alla luce di quanto avvenuto a Mosca nelle ultime settimane, qualcosa sia destinato a cambiare anche nella strategia russa nel Sahel. Questo nonostante il 26 giugno scorso il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, abbia assicurato che Wagner continuerà ad operare in Mali e nella Repubblica Centrafricana, dove i paramilitari russi hanno la funzione ufficiale di addestratori. Ormai inglobati nell’orbita russa, i due Paesi africani rischiano ora di pagare un prezzo ulteriore, legato non più solo alla presenza dei Wagner ma alla lotta di potere aperta dal suo fondatore Prigozhin con il presidente russo Vladimir Putin dopo la fallita ribellione dello scorso 24 giugno.

Come rivelato di recente dal “Wall Street Journal”, Putin avrebbe avviato un’inevitabile operazione di “pulizia” nei ranghi della milizia, strumento determinante e a basso costo per espandere l’influenza russa in Africa ed in Medio Oriente. Con il chiaro obiettivo di riprendere il controllo delle attività del gruppo paramilitare, il presidente russo ha inviato un preciso messaggio ai leader di Siria, Repubblica Centrafricana e Mali – dove la presenza di Wagner è ormai accertata – assicurando che la contenuta insurrezione non arresterà la loro espansione in Africa, ma che le loro attività non saranno più autonome. Secondo il quotidiano statunitense, che cita funzionari anonimi e “disertori” della milizia russa, fin dalle ore successive alla rivolta di Prigozhin il viceministro degli Esteri russo, Andrej Rudenko, è volato a Damasco per consegnare personalmente il messaggio al presidente siriano Bashar al Assad, mentre la stessa direttiva è stata comunicata per via telefonica da Mosca al presidente centrafricano Faustin-Archange Touadera, la cui guardia del corpo include anche mercenari della Wagner.

Nelle scorse settimane – prosegue il “Wall Street Journal” – aerei governativi del ministero delle Situazioni di emergenza russo hanno fatto la spola dalla Siria al Mali, un altro degli avamposti internazionali chiave della milizia Wagner. Secondo il quotidiano, il vortice di attività diplomatica riflette il tentativo del presidente russo di sminuire l’entità della crisi interna, e rassicurare i partner di Mosca in merito alla prosecuzione delle attività globali del gruppo Wagner. La Russia, che per anni ha ufficialmente negato ogni associazione con il gruppo paramilitare, starebbe ora tentando di rilevare e amministrare direttamente la sua vasta rete di risorse e attività marginalizzando al contempo Prigozhin, sebbene su questo punto non sia ancora del tutto chiaro se e come potrà farlo.

wagner

Secondo il sito web di approfondimento sul Medio Oriente “Al Monitor”, con sede a Washington, le unità Wagner sono per lo più presenti nella regione orientale, in particolare nella base aerea di Al Khadim, vicino alla città di Al Marj, nella città di Sirte e nella regione centrale di Al Jufra. Qui si ritiene che si trovino la maggior parte dei cacciabombardieri e delle risorse più preziose di Wagner, inclusi i suoi avanzati sistemi di difesa aerea e velivoli da combattimento. Fonti libiche riferiscono ad “Agenzia Nova” che il generale Haftar “non è contrario al ritiro dei mercenari russi, a patto però che si mantengano gli equilibri nel Paese. Per la partenza di Wagner chiede garanzie, vuole capire cosa faranno i gruppi armati dell’ovest e come si comporterà la Turchia. A questo va aggiunto che il gruppo russo, da parte sua, non ha alcun interesse a lasciare le sue posizioni nella Libia centrale, nel Fezzan e nel Sahel. Parlare di ritiro è ancora prematuro”. In assenza di una chiara politica occidentale per l’Africa, ogni arretramento della Russia nel continente, lascia la porta aperta alla penetrazione sia turca sia cinese. Infatti, oltre a Mosca, anche Pechino sfrutta le proprie Private Military Companies, compagnie di sicurezza, per estendere la sua influenza sul continente africano. Ma le metodologie cinesi differiscono da quelle della Wagner e con la Cina possono lavorare solo cinesi.

Immagini satellitari del 30 giugno mostrano un raid aereo contro un Il-76 del gruppo Wagner nell’est della Libia

Il bombardamento sarebbe stato effettuato contro un aereo da trasporto Il-76 di fabbricazione russa. Le immagini satellitari analizzate dalla piattaforma di intelligence open-source “Eekad”, con sede negli Stati Uniti, avrebbero confermato il raid aereo del 30 giugno nella Libia orientale contro una base aerea del gruppo Wagner. Lo ha riferito la stessa “Eekad” in un’analisi approfondita sul suo profilo ufficiale Twitter, secondo cui il bombardamento sarebbe stato effettuato contro un aereo da trasporto Il-76, di fabbricazione russa, che il gruppo paramilitare russo Wagner “utilizza in Libia e nel continente africano”. La base aerea in questione sarebbe quella di Al Khadim, vicino alla città di Al Marj, nota per la presenza delle unità Wagner. Le immagini satellitari esclusive a cui la piattaforma open-source ha potuto accedere, pubblicate su Twitter, sono state scattate il 30 giugno dai satelliti della costellazione Pleiades Neo, di proprietà di Airbus. Secondo “Eekad”, le immagini mostrano tracce di un incendio sulla pista principale della base aerea di Al Khadim e l’attacco aereo sarebbe stato effettuato “da un missile proveniente dal lato sud-ovest della base”. Una seconda immagine satellitare scattata il primo luglio ha mostrato la presenza di detriti di aereo sparsi sulla pista principale. Inoltre, il 28 giugno scorso, l’account Twitter di analisi militare Gerjon aveva avvistato un aereo Il-76 ed “è probabile che questo aereo sia un sostituto dell’aereo TL-KBR che Washington aveva preso di mira nella base di Al Khadim”, secondo la piattaforma open-source. “Si tratta di un tentativo di espellere le forze Wagner che operano in Libia dall’aprile 2019, quando Khalifa Haftar le ha fatte entrare per partecipare all’attacco di Tripoli”, secondo “Eekad”. Si è parlato anche di un presunto attacco con droni, di chi non si sa, su basi militari nella Libia orientale. 

5737.- La Wagner in Africa.

Anzitutto cosa rappresenta per la Russia la Compagnia Wagner.

Quanto danno abbia portato il tradimento di Prigozhin lo vedremo, come anche vedremo quanti lo avessero appoggiato. Per ora, è stato annunciato l’arresto del gen. Surovikin e sappiamo che l’aereo di Yevgeny Prigozhin ha lasciato l’aeroporto di Machulishchy per Mosca e, poi, per San Pietroburgo. In effetti, Prigozhin potrebbe ancora negoziare e tradendo i suoi adepti potrebbe aver salva la vita. Potrebbe, ma, nello stile di Putin, non si concede una seconda opportunità ai traditori.

Sono decine di migliaia i mercenari che continueranno a essere impiegati in Africa,  dove la compagnia svolge attività in tredici diversi paesi, retribuita con risorse naturali come oro e pietre preziose. Per esempio, il Mali paga alla Wagner il corrispettivo di 10 milioni di dollari al mese. In Sudan,  nel settore delle risorse minerarie, la Wagner agisce attraverso la società M Invest di Yevgeny Prigojine e la sua controllata Meroe Gold, che si è trasferita in Sudan nel 2017 e lavora con Aswar, una società controllata dall’intelligence militare sudanese.  In Sudan, è esentata dal 2018 dalla tassa del 30% imposta dalla legge sudanese alle società aurifere. Nella Repubblica Centrafricana, ancora per esempio, Wagner è un partner privilegiato con 13 basi militari. Sua la difesa del governo del presidente Faustin-Archange Touderà, minacciato dai ribelli e da una guerra civile. Il contraccambio ha un accesso privilegiato alle miniere d’oro e di diamanti. Per la miniera di Ndassima il governo centrafricano ha istituito addirittura il divieto di sorvolo per i droni. Alcuni ministeri centrafricani sono controllati dalla Wagner. La Wagner è in Libia, Eritrea, Sudan, Algeria, Mali, Burkina Faso, Camerun, Sud Sudan, Guinea equatoriale, Repubblica Centrafricana, Madagascar, Mozambico e Zimbabwe.

La presenza radicata della Wagner in Africa è importante per Mosca e il ministro Lavrov si è affrettato a confermarla. Anche questo ha motivato Putin nell’accettare la trattativa fra Lukascenko e Prigozhin ed è e sarà, certamente, un problema per l’Italia, per l’Europa, in particolare, per il controllo del Mediterraneo allargato e per il Piano Mattei. In Russia, Prigozhin dovrà confrontarsi anche con il Consiglio del comandante di Wagner. Più analizziamo le situazioni, più ci chiediamo se la decisione di tenere la Russia fuori dalla NATO sia stata una scelta infelice.

5726.- Il disastro lasciato dai mercenari della Wagner in Centrafrica

Bangui, Repubblica Centrafricana, 1 maggio 2019. Un soldato addestrato dalla Wagner alla parata per celebrare la festa del lavoro. (Ashley Gilbertson, VII per The New York Times/Contrasto)

La compagnia militare privata Wagner si è conquistata un giudizio positivo nei teatri in cui opera e, sicuramente, con Prigozhin o no, continuerà ad operare. Lavrov ha fatto capire che è diventata un importante strumento della politica estera del Cremlino. La Repubblica Centrafricana è uno dei paesi più poveri della Terra, con un indice di sviluppo umano tra i più bassi. La regione centrafricana è instabile e, qui, la Wagner ha mostrato la sua natura di compagnia mercenaria, senza legge e senza paura.

Neil Munshi, Max Seddon, Financial Times, Internazionale.it, 28  ottobre 2021

Quando ad Alindao, nel sud della Repubblica Centrafricana, sono arrivati i combattenti russi pieni di tatuaggi, i ribelli si sono dati alla fuga e la popolazione ha potuto finalmente festeggiare. “Erano bianchi. Erano enormi”, racconta Fatima, 32 anni. “I russi avevano un aspetto strano, e tatuaggi ovunque: serpenti, teschi, teste umane… Ma erano lì per aiutarci”. 

Presto, però, dai villaggi vicini sono arrivate storie di saccheggi e torture, uccisioni e stupri commessi dai presunti salvatori. Un giorno di settembre di quest’anno il fratello di Fatima è stato prelevato da casa con la forza. Poi è toccato a lei: l’hanno portata in una base militare dove, racconta, l’hanno stuprata in tre fino a farle perdere conoscenza. “Facevano paura. Eravamo tutti terrorizzati”, racconta Fatima. “Pensavamo fossero venuti a riportare la pace. Ora vorrei che non fossero mai arrivati”. 

I mercenari che hanno attaccato Alindao lavorano per una rete di compagnie legate al Cremlino, il gruppo Wagner, che ha aiutato il presidente centrafricano Faustin-Archange Touadéra a respingere l’avanzata dei ribelli e a salvare il suo governo. Lo affermano fonti diplomatiche, interne ai servizi di sicurezza, a organizzazioni umanitarie e dell’opposizione centrafricana. Gli Stati Uniti sostengono che Evgenij Prigožin, noto come lo “chef” del presidente russo Vladimir Putin, finanzi la Wagner, un’accusa che lui respinge. Secondo alcune fonti il gruppo ha tremila combattenti nel paese africano. La Russia ammette solo di aver inviato 1.100 addestratori militari non armati, in base a un accordo tra Mosca e Bangui firmato nel 2018. 

Grazie a questo spiegamento di forze, la Russia ha trovato un punto d’appoggio nella regione, approfittando del risentimento diffuso verso la Francia, l’ex potenza coloniale. Vorrebbe fare lo stesso in altri paesi africani, come il Mali, che è altrettanto irrequieto. Allo stesso tempo, però, Mosca si è attirata accuse di violazioni dei diritti umani in sede di consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. In ogni caso, la mancanza di legami ufficiali tra il governo russo e il gruppo Wagner permette al Cremlino di negare l’evidenza. 

Un laboratorio
Con la sua lunga storia di instabilità, colpi di stato e ribellioni armate, la Repubblica Centrafricana è, per usare le parole di un diplomatico di Bangui, un “laboratorio perfetto” per il gruppo Wagner. Lì può “mostrare quello che è in grado di fare per vendere i suoi servizi in altri paesi” che vogliono annientare delle insurrezioni interne. Secondo alcuni esperti, Mosca potrebbe anche riconquistare parte di quell’influenza che esercitava in Africa ai tempi della guerra fredda, proponendosi come antagonista dell’occidente a costi finanziari e politici molto bassi. 

Nel corso delle loro operazioni i mercenari della Wagner sono riusciti a prendere il controllo di aree dove si trovano miniere d’oro e di diamanti, hanno preso di mira le minoranze musulmane e di etnia peul, e si sono scontrati più volte con la Minusca, la missione delle Nazioni Unite formata da quindicimila caschi blu. “Hanno cambiato del tutto la situazione sul campo”, ha affermato a Bangui una persona che lavora nel settore della sicurezza. “È un ambiente ideale per operare: lo stato è assente e un governo debole, che stava cercando una via d’uscita, l’ha trovata in questi mercenari”. 

Rispondendo per iscritto alle domande che il Financial Times aveva inviato alla società di catering di Prigožin, Alexander Ivanov, direttore dell’Unione degli ufficiali per la sicurezza internazionale, ha affermato che nella Repubblica Centrafricana “non c’è un gran numero di mercenari russi” e che gli istruttori russi che il Cremlino dice di aver inviato non sono stati coinvolti nei combattimenti né in attività commerciali. 

Le autorità maliane temono che il ritiro francese potrebbe rendere il paese più insicuro e quindi cercano altri partner

Il gruppo Wagner ha trovato clienti in tutta l’Africa, dal Mozambico al Madagascar, dal Sudan alla Libia, dove le Nazioni Unite hanno accusato il gruppo di possibili crimini di guerra. Il prossimo cliente potrebbe essere il Mali, un’altra ex colonia francese, la cui giunta militare vorrebbe avere a disposizione mille paramilitari della Wagner, dopo che la Francia avrà ritirato la metà dei cinquemila soldati impegnati contro l’insurrezione jihadista nel Sahel. Le autorità maliane temono che il ridimensionamento della presenza francese potrebbe rendere l’area più insicura e quindi cercano “altri partner”. 

L’esperienza della Repubblica Centrafricana fu simile: Bangui si rivolse alla Russia quando la Francia ritirò le sue truppe dopo una missione triennale che non era riuscita a fermare una sanguinosa guerra civile. La reputazione francese nella Repubblica Centrafricana – e nelle altre ex colonie tra cui il Mali – è così bassa che perfino chi condanna la presenza dei russi riesce a vedere dei lati positivi. “Sono felice che l’influenza francese si sia ridimensionata e stia diminuendo ancora di più”, afferma Gervais Lakasso, un artista e attivista di Bangui. “È una delle cose che hanno reso più popolare il presidente Touadéra”. 

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La presenza russa è ben visibile a Bangui, dove uomini in uniforme vanno in giro a bordo di veicoli militari corazzati. Questi combattenti sono incaricati della sicurezza personale del presidente, che da tempo ha preso come consulente Valerij Zakharov, ex funzionario dei servizi segreti russi. Eppure il primo ministro Henri-Marie Dondra nega la presenza di mercenari. “Non abbiamo firmato contratti con compagnie private, abbiamo un contratto con la Russia”, ha dichiarato. “È un accordo di cooperazione bilaterale molto chiaro”. A quanto ne sa, “non ci sono altre forze presenti” oltre a quelle russe, a quelle dell’Onu e a quelle ruandesi, anch’esse presenti nel paese in base a un accordo bilaterale. 

Il ministero degli esteri di Mosca ha dichiarato che i suoi istruttori stanno operando legalmente nella Repubblica Centrafricana e hanno contribuito a un “significativo aumento della capacità bellica dell’esercito nazionale, che risulta evidente dalle numerose perdite inflitte ai gruppi armati”. Tuttavia Sorcha MacLeod, che fa parte del gruppo di lavoro sui mercenari del consiglio per i diritti umani dell’Onu, sostiene che i russi e altri stranieri a loro affiliati “siano coinvolti in violazioni dei diritti umani e forse in crimini di guerra”. 

“Ovunque ci siano stati abusi, non appena il governo ne viene a conoscenza, avvia un’indagine”, ha affermato Dondra, precisando che nella maggior parte dei casi i colpevoli sono i gruppi armati. A settembre il suo governo ha ammesso per la prima volta che gli istruttori russi avevano commesso delle violazioni dei diritti umani. Ma il ministero degli esteri russo nega: “Se le insinuazioni sulle atrocità commesse avessero un fondamento e la popolazione locale stesse protestando, difficilmente i leader centrafricani avrebbero richiesto l’invio di altre unità di specialisti dalla Russia”. 

Secondo funzionari stranieri, esponenti dell’opposizione e della società civile, il governo di Bangui è, per un verso o per l’altro, ostaggio del gruppo Wagner, da cui dipende per mantenere la sicurezza e il potere. “Il governo ha fatto un accordo e ora non sa più come gestirlo”, spiega un funzionario straniero a Bangui. “Non riesce a controllarli”. Non è chiaro neanche come i russi siano retribuiti per i loro servizi. 

Alcune imprese legate al gruppo Wagner, tra cui la Lobaye Invest, sottoposta a sanzioni dagli Stati Uniti, hanno preso d’assalto il settore minerario della Repubblica Centrafricana. Secondo alcuni esponenti dell’opposizione e funzionari stranieri, è uno dei modi che Bangui usa per ricompensarli. Poiché i donatori internazionali, guidati dall’Unione europea e dalla Banca mondiale, forniscono più o meno la metà del budget annuale complessivo di 400 milioni di dollari del paese, “non possiamo escludere che parte dei contributi internazionali sia usata per pagare queste persone”, osserva un funzionario straniero di Bangui. “In un certo senso l’Unione e la Banca mondiale pagano i mercenari: una posizione piuttosto scomoda”, commenta un altro diplomatico. 

A detta di Ivanov, gli istruttori russi non “c’entrano niente con il controllo delle miniere di oro e diamanti”. Secondo i mezzi d’informazione del gruppo Patriot, che fa capo a Prigožin, la Lobaye Invest lavora legalmente nella Repubblica Centrafricana e chi insinua che le forze russe siano pagate con i soldi dei donatori occidentali “dovrebbe essere denunciato per diffamazione ed espulso dalla Repubblica Centrafricana”. 

Senza legge
Il 30 maggio 2021 Denise Brown, la numero due della Minusca, voleva visitare un’area vicino al confine con il Ciad per indagare su presunte violazioni dei diritti umani compiute dall’esercito centrafricano. In un rapporto dell’Onu si legge che “forze di sicurezza di entrambi gli schieramenti e altre unità hanno impedito l’accesso alla delegazione di Brown”. Quattro fonti a conoscenza dei fatti hanno raccontato che quando la squadra di Brown è atterrata con l’elicottero i paramilitari russi gli hanno puntato contro i loro Ak-47, a riprova dell’impunità con cui operano nel paese. “È un’indecenza”, afferma un funzionario esperto di sicurezza di Bangui. “Non ci sono regole. Quello che avviene qui non succede da nessun’altra parte”. 

Ivanov risponde di non sapere nulla dell’incidente, ma suggerisce che Brown forse non aveva informato il ministero della difesa “a causa della sua ignoranza” delle leggi del posto e che “il volo non autorizzato poteva essere interpretato come una minaccia mortale” dalle truppe sul terreno. Diplomatici e operatori umanitari a Bangui sostengono che è solo questione di tempo prima che le schermaglie tra i russi e la Minusca si trasformino in violenze vere e proprie. 

Nel frattempo i civili pagano il prezzo più alto. A Pk5, il quartiere musulmano di Bangui, non è raro trovare vittime della brutalità dei russi. Ogni giorno ne arrivano di nuove da altre parti del paese. “Abbiamo vissuto ribellioni di ogni genere, per mano di diversi gruppi armati, ma dopo l’arrivo dei russi le cose sono peggiorate”, racconta un imam di 66 anni originario di Bria. “È un caos totale, non avevamo altra scelta che scappare”. 

I mercenari gli hanno rubato i 6 milioni di franchi cfa (9.100 euro) che aveva messo da parte e hanno preso tutto ciò su cui riuscivano a mettere le mani: abiti usati, taniche, bottiglie d’acqua e oggetti di proprietà di alcune tra le persone più povere della terra. “A cosa gli serviranno i nostri vecchi pantaloni?”, si chiede l’imam. 

“Quando sono arrivati ero molto felice, lo eravamo tutti. Finalmente le sofferenze che ci avevano inflitto i ribelli stavano per finire, perché i russi erano venuti ad aiutare il governo e a salvarci”, ammette. “Alla fine però abbiamo capito cosa stavano facendo davvero… E siamo scappati per salvarci la vita”. 

(Traduzione di Giusy Muzzopappa

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