Archivi categoria: Potere Marittimo

6163.- La NATO e i governi del Mediterraneo dovranno mettere i punti sulle “i” con Ankara

La Gran Bretagna ha trasferito due navi cacciamine della classe Sandown, che aveva in disarmo (nella foto sotto), alla Marina Ucraina (AFU), nell’ambito di una nuova fornitura militare. L’Italia non partecipa a questa “ricostruzione”, ma aveva addestrato personale della Marina Ucraina e si ventilava la possibilità di cedere a Kiev alcune nostre navi anch’esse in disarmo, ma che è possibile riarmare, come le fregate classe Maestrale, i pattugliatori classe Cassiopea e, sopratutto, i cacciamine classe Lerici. Le unità della Royal Navy verrebbero impiegate per bonificare i fondali davanti a Odessa dalle mine posizionate dai russi, ma la Turchia sta negando loro l’accesso al Mar Nero in base all’articolo 19 della Convenzione di Montreux sul regime degli Stretti, che vieta il passaggio alle navi da guerra delle parti in conflitto”.

La Turchia chiude gli stretti ai cacciamine britannici donati all’Ucraina

Da Redazione Analisi Difesa, 3 gennaio 2024

Due cacciamine inglesi della classe Sandown, l’HMS Grinsby e l’HMS Shoream, ambedue in riserva, forniranno supporto alle forze navali ucraine che, oggi, dispongono solo di motovedette veloci avute dagli USA. Foto Royal Navy

La Turchia ha fatto sapere che non consentirà il passaggio nelle sue acque, gli stretti del Bosforo e Dardanelli, ai due cacciamine ex Royal Navy che Londra ha ceduto alla Marina Ucraina per aiutarne la ricostituzione dopo che le unità navali di Kiev sono state distrutte dai russi.

La nota del Centro per la lotta alla disinformazione della Direzione delle comunicazioni della presidenza turca precisa che “non sono vere le affermazioni da parte di alcuni media secondo cui a dragamine donati all’Ucraina dal Regno Unito è stato autorizzato il passaggio negli stretti Turchi verso il Mar Nero.  La Turchia ha subito classificato l’operazione militare speciale della Russia contro l’Ucraina come una guerra e, in base all’articolo 19 della Convenzione di Montreux riguardo il regime degli Stretti, ha chiuso gli Stretti alle navi da guerra delle parti in conflitto”.

Ankara rivendica di aver attuato “in modo imparziale e diligente dal 1936 la Convenzione di Montreux” e di voler “evitare un’escalation di tensioni nel Mar Nero”. “I nostri alleati sono stati informati che ai dragamine donati all’Ucraina dal Regno Unito non sarà consentito il passaggio dagli Stretti Turchi verso il Mar Nero fin quando continuerà la guerra”, conclude il messaggio.

Come Analisi Difesa aveva segnalato, Il Regno Unito ha annunciato l’11 dicembre il trasferimento di due navi cacciamine della classe Sandown alla Marina Ucraina come parte di una coalizione anglo-norvegese tesa a fornire ulteriore supporto militare a Kiev, incluse unità navali ed equipaggiamenti per ricostituire le forze navali ucraine che oggi dispongono solo di motovedette veloci di fornitura statunitense da quando nel maggio scorso l’ultima unità operativa (un mezzo da sbarco LST) era stata distrutta dai missili russi nel porto di Odessa.

I cacciamine della classe Sandown sono in fase di radiazione dai ranghi della Royal Navy: due sole unità in servizio (HMS Penzance e HMS Bangor) mentre altre 9 unità sono state accantonate (3) o cedute alle Marine di Romania (3) ed Estonia (3). Altri 3 cacciamine vennero costruiti negli amni ’90 per la Marina Saudita. La Marina Ucraina riceverà  i cacciamine Chemihiv (ex Grimsby) e Cerkasy (ex Shoream) .

Il trasferimento dei cacciamine avverrà mentre Londra sta lanciando la sua nuova coalizione sulle capacità marittime con Oslo, aveva aggiunto il governo britannico. “La nuova coalizione sulle capacità marittime rafforzerà il sostegno che il Regno Unito, la Norvegia e altri stanno fornendo all’Ucraina. Questo sarà a lungo termine per aiutare l’Ucraina a trasformare la sua Marina, rendendola più compatibile con gli alleati occidentali, più interoperabile con la NATO e rafforzando la sicurezza nel Mar Nero”, si leggeva nella nota.

Le capacità russe di colpire nuove eventuali unità navali ucraine avrebbe potuto scoraggiare l’invio di navi prima delle cessazione delle ostilità ma la decisione resa nota da Ankara di fatto impedisce a Kiev di ricevere unità navali che non siano piccole motovedette trasportabili via terra, finché il conflitto con la Russia sarà in corso.

Foto Marina Ucraina

Nulla da eccepire. Per quanto riguarda il caso dei cacciamine, la legge del potere marittimo non avrebbe lasciato il Bosforo nelle mani di un autocrate e, comunque, di un singolo stato, ma c’è il trattato di Montreux. Più in generale, ai confini della Turchia c’è una potenza globale, la politica di Ankara deve seguire i propri interessi e la sua alleanza è certa fin dove questa non li contrasta. In realtà, per la sua posizione strategica, per la sua sicurezza e per i suoi obiettivi, Erdoĝan non può rinunciare né alla NATO né all’amicizia di Mosca; inoltre, non dimentichiamo la sua partecipazione all’integralismo islamico. Partendo da questi assunti, chiederei a un caro amico eurodeputato se ancora se la sente di contare sulla fedeltà turca alla NATO in caso di guerra e mi risponderebbe di Sì, ma Voi?

Ecco la doppia mossa di Erdogan su Ucraina e Russia

Da Formiche.net, di Francesco De Palo, 03/01/2024 

Ecco la doppia mossa di Erdogan su Ucraina e Russia

Il presidente turco, sempre più impegnato geopoliticamente in una retorica anti-israeliana, chiude il passaggio attraverso il Bosforo. Ma dietro il Trattato di Montreux c’è il progetto di riposizionamento rispetto ai due conflitti (e al dopo)

C’è l’esigenza tattica di prepararsi ad una serie di possibili cambiamenti dietro la decisione turca di non restare passiva dinanzi a decisioni di altri paesi Nato? Il fil rouge che unisce Mosca ad Ankara, mai sopito, può essere ri-attivato periodicamente in base alle singole esigenze? E come questo comportamento di Recep Tayyip Erdogan potrà inserirsi nelle strategie dell’alleanza atlantica da un lato e dei super players come Russia e Cina dall’altro? La Gran Bretagna vuole sostenere l’Ucraina con due sminatori, ma le navi speciali per il momento non possono raggiungere il Mar Nero per il no della Turchia.

Lo stop

La cronaca racconta della decisione inglese di sostenere le difese di Kyiv tramite la consegna di due due cacciamine della Royal Navy alla Marina ucraina. Si tratta di battelli speciali che verrebbero impiegati per bonificare i fondali dalle mine posizionate dai russi, quindi una mossa che Londra ha inteso attuare nel solco della strategia occidentale di sostegno alla causa ucraina. Ma per il momento non potranno raggiungere il Mar Nero a causa dello stop imposto dalla Turchia: Erdogan ha deciso di rifiutare il passaggio attraverso il Bosforo, invocando il Trattato di Montreux. Il riferimento scelto dal governo turco è agli accordi internazionali sull’attraversamento degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, che appartengono alla Turchia, in tempo di guerra.

La strategia

Non va dimenticato che la narrazione diffusa dal presidente russo Vladimir Putin riguardo alla guerra tra Israele e Hamas è basata sul fatto che l’Occidente sarebbe il principale responsabile di questo e di altri conflitti regionali, come appunto quello in Ucraina. Mosca insiste nel puntare il dito contro Washington sia per la guerra, sia per il fallimento del processo politico tra Israele e palestinesi: passaggio, questo, che porta in grembo tutta una serie di riflessioni su chi appoggia tali tesi.

La mossa turca sulle due dragamine inglesi rappresenta un ulteriore indizio circa la postura di Erdogan verso il conflitto in corso in Ucraina, mescolate all’altro macro tema che investe la rilevanza del mondo musulmano, unificato, nel far rispettare il nuovo ordine mondiale: tavolo in cui Erdogan è seduto a pieno titolo, come obiettivo dichiarato del suo mandato. Tra l’altro l’elemento che riguarda il ruolo del mondo musulmano a cavallo tra le due guerre è stato spesso utilizzato dal Cremlino per unire idealmente Ucraina e Gaza: il conflitto tra Israele e Hamas come parte della battaglia per il nuovo ordine mondiale, discorso che idealmente potrebbe toccare anche il rapporto tra Taiwan e Cina. E la posizione anti-israeliana assunta dalla Russia dal 7 ottobre si ritrova proprio nelle parole del leader turco.

Altra retorica

Ma non è tutto, perché la retorica turca è tornata a farsi sentire nei primi giorni dell’anno per voce del ministro della Difesa, Yasar Guler, che ha visitato la fregata Gekova in servizio nel Mediterraneo orientale in occasione del nuovo anno. Rivolgendosi all’equipaggio il ministro turco si è congratulato con queste parole: “Le nostre forze navali proteggono con determinazione i nostri diritti e interessi nella nostra Patria Blu, sventolano con onore la nostra gloriosa bandiera dall’Atlantico all’Oceano Indiano e intraprendere missioni internazionali.”

Il riferimento è alla Patria Blu, definizione geografica che aveva dato adito ad una serie di frizioni con i paesi vicini, in primis la Grecia e che invece i leader dei due paesi avevano promesso di stemperare in occasione della firma di uno storico accordo di amicizia tra Ankara e Atene. Il tutto mentre resta in piedi, da un lato, la questione della vendita dei caccia F-16 alla Turchia e, dall’altro, la decisione americana di finalizzare il trasferimento degli F-35 ad Atene: uno sviluppo che potrebbe creare non poche tensioni.

@FDepalo

5694.- Tunisia, Italia le porte dell’Eurafrica

Messaggi sottovoce sulla dichiarazione congiunta tra l’Ue e la Tunisia da Cartagine: 1.- Ben fatto presidente Meloni. Con l’iniziativa, l’efficienza e l’impegno sta tenendo forte la barra del timone e stia in guardia, non la lasci. 2.- Il Potere Marittimo dice che il Canale di Sicilia deve essere posto sotto controllo totale. Non possiamo rischiare di avere russi, cinesi o turchi su una delle due sponde. Questo, l’US Navy lo sa bene e il ministro Tajani farà bene a ricordarlo. 3.- Anche alla luce di questo, il FMI proponga investimenti bipartisan a Italia e Tunisia e non prestiti alla Tunisia. La crescita non si finanzia con i prestiti. Il presidente Kais Saied lo sa e abbiamo un ottimo esempio nel campo energetico con il progetto Terna per l’interconnettore elettrico.

Prossimo passo la conferenza internazionale sulla migrazione e lo sviluppo.

Italia e Ue rimettono il sostegno dell’FMI sui giusti binari

«Riteniamo che vi sia un enorme potenziale per generare benefici tangibili per l’Ue e la Tunisia. Il partenariato globale coprirebbe le seguenti aree: rafforzamento dei legami economici e commerciali; un partenariato energetico sostenibile e competitivo; migrazione. L’Ue e la Tunisia condividono priorità strategiche e in tutti questi settori trarremo vantaggio da una collaborazione più stretta».

È quanto prevede la dichiarazione congiunta tra l’Ue e la Tunisia firmata a Cartagine dove si è svolto l’incontro tra la premier Giorgia Meloni, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il premier olandese Mark Rutte e il presidente tunisino Kais Saied.

Migranti, gettate le basi per una collaborazione futura

Sul fronte dei migranti, se il presidente tunisino ha puntualizzato di non poter svolgere il ruolo di “sceriffo” per conto della Ue, la Meloni ha detto che Roma e l’Italia saranno pronte a organizzare la conferenza internazionale sulla migrazione e lo sviluppo. “Questo è anche propedeutico per fare passi avanti nell’importante accordo tra la Tunisia e il fondo monetario internazionale”, ha aggiunto il premier italiano. “Siamo impegnati, come dimostra questa immagine” con la presidente von der Layen e con il premier olandese Rutte “a dare una risposta ai nostri vicini tunisini” ha concluso.

” Sosterremo la Tunisia, per rafforzarne l’economia. La Commissione Europea sta valutando un’assistenza macrofinanziaria, non appena sarà trovato l’accordo necessario. Siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo. E, come passo immediato, potremmo fornire altri 150 milioni di euro di sostegno al bilancio”, ha detto ancora von der Leyen. “Il secondo pilastro sono gli investimenti e il commercio. L’Ue è il principale investitore straniero e partner commerciale della Tunisia. E noi proponiamo di andare oltre: vorremmo modernizzare il nostro attuale accordo commerciale. C’è molto potenziale per creare posti di lavoro e stimolare la crescita qui in Tunisia. Un focus importante per i nostri investimenti è il settore digitale. Abbiamo già una buona base. Il nostro progetto di punta, il cavo sottomarino Medusa, collegherà le due sponde del Mediterraneo. Il cavo Medusa sta portando la banda larga ad alta velocità nella regione, un vero e proprio ponte digitale, che entro il 2025 collegherà 11 Paesi del Mediterraneo. Insieme alla Banca Europea per gli Investimenti, stiamo investendo 150 milioni di euro in questo progetto”.

5434.- Così difendiamo le infrastrutture sottomarine. Il punto dell’amm. Sanfelice di Monteforte.

Non solo gasdotti e non solo oleodotti, anche le reti e i sistemi informativi che vedete richiedono misure di prevenzione dagli atti terroristici e dai danneggiamenti dei cavi a causa della pesca a strascico e ancoraggio nelle zone vietate

Nel Potere Marittimo la sommatoria funzionale delle componenti è, come sempre, maggiore, o comunque differente, delle medesime parti prese singolarmente. La capacità di protezione delle infrastrutture sottomarine strategiche nel Mediterraneo che garantiscono il trasporto delle informazioni e l’approvvigionamento energetico italiano è una di queste componenti. L’Italia ha recepito la direttiva europea Network and Information Security, Nis, per la sicurezza delle reti e dei sistemi informativi e la Guardia Costiera e la Terna SpA hanno implementato un protocollo di collaborazione. Il controllo del Canale di Sicilia e la cooperazione con le marine della costa africana e di tutto il Mediterraneo si pongono fra i cardini del sistema difesa Italia e rappresentano un invito ulteriore a ricercare la comunanza fra i Paesi rivieraschi attraverso il mare. Il futuro dell’Italia “è” nel Mediterraneo.

Da Formiche.net, di Gaia Ravazzolo | 09/10/2022 – 

Così difendiamo le infrastrutture sottomarine. Il punto dell’amm. Sanfelice

Le Forze armate tornano a guardare al dominio marittimo e alla sua sicurezza, anche in risposta alla crescente vulnerabilità delle infrastrutture strategiche sottomarine preposte a provvedere all’approvvigionamento energetico. Per proteggere tali infrastrutture “bisognerà, in accordo con le industrie, creare via via dei sistemi di intervento rapido” secondo l’ammiraglio Sanfelice di Monteforte

L’attenzione delle Forze armate sta tornando sulla dimensione marittima e sottomarina. Dopo il danneggiamento del Nord Stream è stato lanciato un allarme globale sulla vulnerabilità delle reti energetiche subacquee, accolto anche dal nostro Paese. Proprio la scorsa settimana infatti l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo di Stato maggiore della Difesa, ha parlato di un piano lanciato in accordo con il ministro Lorenzo Guerini per aumentare le misure di tutela a protezione delle infrastrutture strategiche nel Mediterraneo che garantiscono l’approvvigionamento energetico italiano, a partire dal Canale di Sicilia. Impegno ribadito anche nei dibattiti del Trans-regional seapower symposium di Venezia. Ne abbiamo parlato con l’ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte, esperto militare e docente di Studi strategici.

Il nostro Paese riconosce il Mediterraneo allargato quale principale area di riferimento strategico. Quale ritiene dovrebbero essere le priorità nazionali per permettere all’Italia di assumere un ruolo da protagonista nella regione? 

La massima priorità, affinché il Paese conservi il proprio livello di benessere, è la salvaguardia del commercio internazionale marittimo. Insieme al commercio ci sono le infrastrutture marittime quali oleodotti, gasdotti, cavi sottomarini legati alla connettività ecc. Il desiderio italiano è di voler giocare un ruolo da protagonisti in quest’area e per farlo c’è un solo modo: adottare la strategia del “fratello maggiore”. Dunque, essere benevoli verso tutti e favorire le sinergie nella regione, come si fece una quindicina di anni fa favorendo lo scambio di informazioni virtuali per tutta l’area del Mediterraneo, organizzato proprio dalla Marina militare italiana. Ne è un esempio il caso dell’Algeria, che abbiamo supportato per anni e che ora ci sostiene a sua volta attraverso le forniture energetiche. Parallelamente a questo, vi sono le riunioni periodiche a carattere biennale del Trans-regional seapower symposium proprio per conoscere e riunire insieme i capi delle Marine militari dell’area, per cercare di instaurare nuove collaborazioni e sinergie, in un’ottica di scambio reciproco.

La centralità del Mediterraneo è un elemento strategico non solo per l’Italia, ma anche per l’Europa e la Nato. Ci sarà bisogno di implementare sinergie con gli alleati. L’Italia può ambire a una posizione di leadership di queste probabili iniziative future, e come?

Nell’ambito europeo l’Italia è già una potenza in questo senso. Mentre nella cornice Nato occupiamo una posizione più defilata. Questo perché disponiamo di un livello di forze nelle tre dimensioni – terrestre, aerea, marittima – che è considerato dai nostri alleati inferiore rispetto a quello che potremmo esprimere, non in senso qualitativo ma quantitativo. Quindi, nell’Alleanza Atlantica siamo ancora un po’ “al traino” degli altri. Mentre in Europa possiamo influenzare in modo più significativo la politica comunitaria. Ciò nonostante, vi è da fare una precisazione. Ultimamente con questa nuova attenzione al dominio marittimo prevale un sentimento di giusto orgoglio nazionale e il conseguente desiderio di avere una posizione preminente rispetto agli altri. Tuttavia, ad oggi quello che dovrebbe prevalere è il sentimento e la voglia di sopravvivenza economica, e non solo fisica.

Al recente simposio di Venezia, il capo di Stato maggiore della Marina, Enrico Credendino, ha parlato della necessità di un approccio olistico per garantire la sicurezza delle vie marittime. C’è necessità di superare una sorta di sea-blindness che colpisce il sistema Italia. Che ruolo dovranno avere le forze navali nazionali in questo senso?

Il ruolo delle forze navali nazionali è da una parte quello di prevenire le crisi e sedarle, e dall’altra proteggere sia il commercio sia le infrastrutture strategiche. Questo fa parte di un approccio olistico perché le Forze armate, e in particolare le Forze della Marina militare, non sono più occupate solo nel portare avanti battaglie navali ma sono impegnate a creare una situazione che garantisca il maggior livello di sicurezza possibile.

Quali sono gli strumenti a disposizione del nostro Paese e della Marina militare per provvedere alla protezione di cavi e pipeline in modo da continuare a garantire la connettività e l’approvvigionamento energetico?

Sono 1.500 km di cavi sottomarini che saranno sorvegliati dalla Guardia Costiera e da Terna SpA

In primo luogo è necessaria una sorveglianza particolare nelle zone di passaggio di tali infrastrutture critiche, che dovrà inevitabilmente essere ampliata e ingrandita nella sua portata. Per adesso stiamo puntando alle infrastrutture subacquee più vicine e quindi si dovrà pensare e provvedere un po’ a tutte quelle infrastrutture che esistono nell’area. In secondo luogo bisognerà, in accordo con le industrie, creare via via dei sistemi di intervento rapido. Siccome non è possibile prevenire le minacce in modo completo al 100%, si dovranno creare delle capacità di intervento rapido per fermare eventuali conseguenze e ripercussioni dovute a sabotaggi o guasti.

Di fronte alla crescente rilevanza della dimensione marittima e sottomarina, è importante puntare sull’innovazione. Che ruolo può giocare in questa dimensione la componente unmanned?

Le Marine dispongono e impiegano la componente unmanned ormai da vent’anni, non è qualcosa di nuovo. Tuttavia, solo nell’ultimo periodo si sta ampliando ed espandendo sempre di più. Innanzitutto, la componente unmanned è stata usata, e viene usata ancora oggi, per la “guerra di mine”. Così da sminare le aree di mare che sono state minate in passato. Poi vi sono degli altri sistemi subacquei, di più recente introduzione al servizio, quali i sommergibili, che possono lanciare dei droni a guida remota e non solo. In questo quadro bisogna però considerare anche i sistemi che possono agire ed essere sopra la superficie, dal momento che finalmente si stanno sviluppando i droni lanciabili e recuperabili dal mare. Dunque, la componente unmanned per la Marina non è certamente una novità, ma ricopre un ruolo molto rilevante. D’altronde è molto più pratico mandare un mezzo unmanned a sorvegliare le aree che ospitano infrastrutture critiche, piuttosto che dispiegare un elicottero con quattro persone a bordo.

5355.- Gli schiaffi cinesi sul muso di Biden nell’Indo-Pacifico.

Gli alleati AUKUS devono trovarsi un altro leader. Sembrava che la diplomazia USA avesse recuperato il suo prestigio nelle Salomone, ma così non è e comandano i cinesi. Al termine della missione di sorveglianza pesca verso le attività illegali dei cinesi nell’area, alla fregata USCGC Oliver Henry è stato negato di rifornirsi. Il trattato dello scorso aprile ha posto il regime del primo ministro delle Salomone Manasseh Sogavare definitivamente nelle mani di Pechino (vedi n. 5078). Ricordiamo che l’isola di Guadalcanal, nel Sud Pacifico, appartiene all’arcipelago delle Isole Salomone e dista circa 3.552 miglia da Pearl Harbour.

Da Scenari economici, 31 Agosto 2022, posted by Giuseppina Perlasca

MAI PIU’! Le Isole Salomone cacciano la marina americana in modo definitivo.

FFG-7 USCGC Oliver Henry

Le Isole Salomone hanno informato le autorità statunitensi che tutte le visite navali sono state sospese fino a nuovo avviso, a seguito di un precedente incidente avvenuto il 23 agosto, quando a una nave della Guardia Costiera statunitense, la Oliver Henry, è stato negato il permesso di effettuare uno scalo programmato. L’”incidente” giunge tra le crescenti preoccupazioni per l’influenza di Pechino nella regione e le mosse del primo ministro delle Salomone Manasseh Sogavare per approfondire i legami con il regime cinese e consolidare il suo potere.

La Oliver Henry avrebbe dovuto fermarsi a Honiara, nelle Isole Salomone, il 23 agosto per rifornirsi di carburante e riempire la cambusa, ma non ha ricevuto risposta dalle autorità delle Salomone. Successivamente, l’equipaggio è stato dirottato a Port Moresby, Papua Nuova Guinea.

È sconcertante che all’USCGC Oliver Henry non sia stata fornita l’autorizzazione diplomatica a sostegno della sua operazione con l’FFA“, ha dichiarato l’ambasciata statunitense.

Il leader dell’opposizione delle Salomone Matthew Wale ha criticato la decisione del governo del primo ministro Sogavare. “”Amici di tutti, nemici di nessuno” è chiaramente una battuta, il primo ministro Manasseh Sogavare tratta chiaramente gli Stati Uniti e i loro alleati come nazioni ostili. Tutti i nostri amici devono essere trattati allo stesso modo“, ha dichiarato nei commenti ottenuti da RNZ.

Secondo l’ambasciata statunitense a Canberra: “Il 29 agosto, gli Stati Uniti hanno ricevuto una notifica formale dal governo delle Isole Salomone riguardante una moratoria su tutte le visite navali, in attesa di aggiornamenti nelle procedure di protocollo“. “Continueremo a monitorare da vicino la situazione“, ha dichiarato un portavoce a The Epoch Times. Il congelamento delle visite navali arriva dopo che l’USS Oliver Henry ha concluso la sua parte nell’operazione Island Chief, volta a monitorare e prevenire le attività di pesca illegali nella regione – un problema costante con le flotte pescherecce cinesi. L’operazione Island Chief è stata condotta in collaborazione con i membri dell’Agenzia per la pesca del Forum delle isole del Pacifico (FFA), tra cui Australia, Nuova Zelanda e Figi.

Il silenzio radio delle autorità delle Salomone segue una serie di incidenti che suggeriscono che il governo del primo ministro Manasseh Sogavare non solo sta approfondendo i legami con Pechino, ma sta anche erodendo costantemente le istituzioni democratiche del Paese per rafforzare la sua posizione.

Il 18 agosto, il governo di Sogavare ha firmato un importante accordo con l’azienda cinese di telecomunicazioni Huawei per la costruzione di 161 torri di telefonia mobile nel Paese con un prestito di 448,9 milioni di yuan (66,15 milioni di dollari) da parte della Export-Import Bank of China, di proprietà statale. L’8 agosto, il team del primo ministro ha presentato al Parlamento una proposta di legge per ritardare le elezioni nazionali, che secondo alcuni esperti potrebbe essere un modo per il primo ministro di evitare una potenziale sconfitta elettorale.

Queste azioni arrivano dopo che Sogavare ha stretto un patto di sicurezza con Pechino per consentire al Partito Comunista Cinese di stazionare armi, truppe e navi militari nel Paese. In questo modo Pechino avrebbe una presenza militare vicina all’Australia, alla Nuova Zelanda e al territorio statunitense di Guam. Una posizione strategica che sia Washington sia Canberra non stanno ovviamente sottovalutando e che potrebbe portare a delle reazioni di carattere diplomatico e politico rilevanti.

4118.- La nave della protezione civile non può difendere il sistema di relazioni internazionali dell’Occidente

Nave Trieste, LHD, Landing helicopter deck, L9890, 33.000 tonn. e 215 metri di ponte di volo, presumibilmente, è atteso a Brindisi  per operare al fianco della Brigata San Marco.

Il complesso del multiruolo, meglio definito come versatilità d’impiego, metà guerresco, metà della protezione civile, si è tradotto, ancora una volta, in una portaeromobili che portaerei non è, ma è, in parte, una nave anfibia, che può trasportare mezzi da sbarco e uomini e, in parte, una nave ospedale. E, così, al LHA Garibaldi, C551, incrociatore portaeromobili ASW, antisommergibili, di 10.100 tonn (ora 14.000) e 180 m., un pò alla volta divenuto portaerei con una squadriglia di 12 AV-8B Harrier, ha fatto seguito il Cavour , C550, di 28.160 tonn e 220 m. di ponte di volo, recentemente abilitato alle operazioni con i 15 F-35B acquistati dalla Marina. 15 aeroplani che fra cicli di manutenzione e avarie non saranno mai tutti impiegabili. Quindi, il Garibaldi, di ridotte dimensioni e capacità, è stato impiegato fruttuosamente per formare una mentalità, mai posseduta, se si pensa che l’incompleta Aquila del periodo bellico, avrebbe avuto capacità operative ridotte, dovendo issare gli aeroplani. uno alla volta, a carrello retratto, su un trabaccolo catapulta da incrociatore. Ancora una volta, con il Cavour, per contenere il tonnellaggio, abbiamo mancato l’obbiettivo portaerei d’attacco, mantre, con il Trieste, grande abbastanza, abbiamo preteso un pò di tutto: dal bacino allegabile a poppa per i mezzi da sbarco, all’ospedale a prora, completo di apparati di radiodiagnostica (sempre che la TAC non sia rimasta in un corridoio) e, infine, il gruppo degli elicotteri per le operazioni di sbarco combinate. L’ipotesi di imbarcare sul Trieste gli altri 15 F-35B, attesi dall’Aeronautica Militare, realizzerebbe uno strumento operativo efficace, anche se costoso, ma richiederebbe un riallestimento importante. Quindi, 10.100, 28.160 e 33.000 tonn., una diversa dall’altra! Guardando il Trieste, notiamo che la marina egiziana schiera il Gamal Abdel Nasser, L1010 e l’ Anwar El Sadat, L1020, due unità LHA, portaelicotteri d’assalto anfibio, gemelle delle tre francesi classe Mistral, di 21.300 tonn., dotate di un ospedale, capaci anch’esse di sostenere le forze anfibie impiegate in uno sbarco o assistere le popolazioni civili. Due a uno per l’Egitto, tre a uno per la Francia.

Le due unità LHA, portaelicotteri d’assalto anfibio, egiziane, gemelle delle tre francesi classe Mistral, di 21.300 tonn

Al contrario, la Royal Navy, pur senza gareggiare con le super-portaerei nucleari dell’US.Navy, ha messo in linea due portaerei vere, da 65.000 tonn. : l’HMS Queen Elizabeth e il Prince of Wales. I 30-40 F-35B imbarcati da ciascuna le mettono in condizioni di poter svolgere operazioni sostenute. La prima è attualmente in navigazione attraverso il Mediterraneo, l’Oceano Indiano e il Mare Cinese Meridionale per sfidare la Cina a fianco dell’US Navy.  La dimostrazione che il Regno Unito non vuole rinunciare a esercitare il potere marittimo e che la sua politica estera vuole riprendere a contare sui mari. 

Il Trieste varato.

Quale sia il senso di questa nota, lo dice la missione del Gruppo d’attacco 21 del HMS Quenen Elizabeth, che dà il cambio al Gruppo d’attacco del Charles De Gaulle. Ce lo racconta Tiziano Ciocchetti. Quindi, non rimane che restare in attesa di un nuovo Programma Navale e di un’ammiraglia in grado di imbarcare tutti e 30 i costosissimi F-35B previsti dalle due Forze Armate. Anche qui, considerate le ridotte dimensioni e l’interazione dei ruoli, nello strumento militare, sembra possibile cominciare a parlare di due Forze Armate, se non, addirittura, di Forza Armata Unica e di servizi Aerei.

U.S. Navy, Royal Navy e Marine Nationale sempre più cooperanti

La portaerei nucleare Charles De Gaulle

(di Tiziano Ciocchetti)07/06/21  

Nel corso del dispiegamento operativo Clemenceau 21 (che interesserà il Mediterraneo, il Mar Rosso, il Golfo Persico e l’Oceano Indiano), la portaerei nucleare della Marine Nationale Charles de Gaulle (foto) ha svolto il ruolo di nave comando della Task Force 50 della U.S. Navy, accogliendo nella sua squadra unità della classe Burke, come il cacciatorpediniere Thomas Hudner. La de Gaulle, con le sue unità navali di scorta, ha inoltre preso parte all’esercitazione Gallic Strike nel Mar Mediterraneo, insieme alla portaerei della Royal Navy HMS Queen Elisabeth, la quale imbarcava i velivoli STOVL F-35B del Corpo dei Marine degli Stati Uniti ed era scortata da altri cacciatorpediniere della classe Burke.

Tale cooperazione dimostra quanto siano stretti i rapporti tra le tre Marine che, in campo occidentale, sono le più potenti al mondo (le cd marine da “blue water”). Infatti, ai margini dell’esercitazione Gallic Strike, è stato firmato, il 3 giugno a Tolone, un Accordo trilaterale tra la U.S. Navy, la Royal Navy e la Marine Nationale.

I rispettivi capi di stato maggiore, gli ammiragli Gilday, Radakin e Vandier, hanno riaffermato i legami che uniscono, da più di un secolo, le tre Marine, nonché il loro impegno nel difendere congiuntamente un sistema di relazioni internazionali che garantisce e sostiene la sicurezza e la prosperità degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Francia.

Nell’Accordo firmato si sottolinea come “la nostra potenza navale sia implementata dall’integrazione di marine che abbiano gli stessi obiettivi. Insieme, ci impegniamo per affrontare le sfide poste da un mondo sempre più incerto. Anche durante la pandemia, abbiamo migliorato la nostra interoperabilità […] così come la nostra conoscenza del dominio marittimo svolgendo operazioni nell’intero spettro delle funzioni navali a supporto della NATO”.

Scopo del protocollo d’intesa è quello di rafforzare la partnership tra le tre Marine al fine di “mantenere gli oceani aperti e liberi, continuando a operare insieme per espandere la portata e le capacità delle nostre Marine in tutto il mondo”.

Per l’ammiraglio Pierre Vandier, capo di stato maggiore francese, la Marine Nationale, la U.S. Navy e la Royal Navy “devono essere pronte a intervenire insieme nei conflitti di varia intensità, in tutto il mondo”, soprattutto perché “le sfide comuni comporteranno la necessità di affrontare minacce sempre più letali”. Quindi, ha continuato, “la nostra formazione e le nostre esercitazioni riflettono questa realtà e assicurano che siamo in grado di operare insieme ai massimi livelli”.