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6153.- La morsa pm-cronisti soffoca l’Italia.

Diciamo, ridiciamo, sempre la stessa cosa: La vera riforma, la madre delle riforme è quella sul Capo dello Stato e Presidente del C.S.M.. Chi non la farà, sarà perché è parte del sistema. E citiamo il mancato scioglimento del C.S.M., preteso, invece, dall’art. 31 della Legge 24 marzo 1958, n. 195. In sintesi, il C.S.M. è organo super partes deputato a garantire l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura, sopratutto, dalla politica. Se non è super partes – Palamara dixit – , non garantisce nemmeno la separazione dei poteri, quindi, la democrazia e va sciolto. Fossi Presidente, darei le dimissioni…darei le dimissioni!

Maurizio Belpietro, 9 marzo 2014 – Inchiesta dossieraggio.

La ricostruzione della «Verità» sul caso Perugia mette a nudo un sistema che condiziona pesantemente la vita pubblica e la stessa libertà di stampa, che viene invece sbandierata per perpetuare il verminaio. Occorre che si intervenga per smontarlo. E in fretta.

Stanno provando a buttarla in vacca, a fare finta che sotto attacco ci sia la libertà di stampa e che i cronisti facciano semplicemente il loro mestiere, che è quello di scovare notizie e scoperchiare segreti. Ma la storia – anzi, le storie – dimostrano che così non è. La lunga ricostruzione fatta ieri da Giacomo Amadori a proposito degli accessi abusivi compiuti da un cancelliere in servizio nella città umbra rivelano ciò che abbiamo sempre sospettato, ovvero un sistema che lega magistrati e giornalisti, un patto neanche troppo segreto che per anni ha consentito fughe di notizie su inchieste in corso, ma, soprattutto, pesanti condizionamenti della vita pubblica. … Dalla prima pagina del “La Verità” del 9 marzo 2024.

6095.- Mattarella esaudito: in Bicamerale Covid indagini a metà

La Commissione bicamerale sulla gestione della Pandemia, con tutti i suoi morti, in buona parte procurati, rischia di coinvolgere il Capo dello Stato, ma tutti – anche il papa – possono sbagliare. Figuriamoci quante volte può accadere nei 14 anni dei 2 mandati.

Nella riforma costituzionale di Giorgia Meloni è fondamentale inserire un articolo a tutela del Capo dello Stato che detti più o meno così:

“ Il deposito di intercettazioni che contengono conversazioni del Capo dello Stato e la verifica e la valutazione da parte delle Commissioni bicamerali della costituzionalità di atti sottoposti al segreto viola le prerogative presidenziali. 

Il Capo dello Stato può a sua insindacabile discrezione, ordinare la cancellazione delle registrazioni.

In deroga all’articolo 82, la commissione che indagherà su materie di pubblico interesse e sulla costituzionalità di atti promulgati dal Capo dello Stato potrà formulare soltanto un giudizio politico e non dovrà attribuirsi compiti propri della magistratura.“

Torna attuale l’articolo di Andrea Zambrano: “Mattarella esaudito: in Bicamerale Covid indagini a metà.”

In Senato il testo della Commissione di inchiesta sul covid, dopo le osservazioni del Capo dello Stato. Escluse verifiche sulla costituzionalità dei Dpcm: su lockdown e green pass ci sarà solo un giudizio politico. Salve le indagini su reazioni avverse e mancate cure. Intanto in Rai fa più scandalo un medico no vax che un pornodivo.

Da La Nuova Bussola Quotidiana di settembre, di Andrea Zambrano, 20_09_2023

Con l’elezione del senatore di FdI Gianni Berrino a relatore avvenuta ieri, l’iter parlamentare della legge che istituisce la Commissione Covid raggiunge l’esame dell’aula del Senato. La Commissione X Sanità, Affari sociali e Lavoro presieduta da Franco Zaffini, ha dato il via libera al testo analizzato in Commissione e modificato dopo le osservazioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Ora, il percorso della legge dovrebbe essere in discesa. «I tempi di calendarizzazione in Senato – spiega alla Bussola il neo eletto relatore Berrino – saranno abbastanza celeri. Poi, come noto, servirà un terzo e ultimo passaggio alla Camera, ma sui tempi non posso sbilanciarmi».

Quel che però è certo è che gli ostacoli che la Commissione si era trovata davanti dopo l’approvazione alla Camera dovrebbero essere stati superati. Il Quirinale, con un intervento di Mattarella in occasione della Cerimonia del ventaglio, aveva mandato un messaggio neanche tanto sibillino ai senatori in procinto di accogliere il testo a Palazzo Madama. Per il Colle, la commissione che indagherà sulla gestione della pandemia non doveva attribuirsi compiti propri della magistratura. Sotto accusa, anche alcune espressioni sulla costituzionalità di alcuni provvedimenti presi dai governi Conte II e Draghi durante lo Stato di emergenza.

Ebbene, da un’analisi degli emendamenti approvati dalla Commissione che ha licenziato il nuovo testo, sembra proprio che i rilievi di Mattarella siano stati tutti accolti.

Come? Cancellando le parti “sgradite” al Colle. 

A cominciare dai limiti e dai poteri in fase inquirente. «L’acquisizione di atti e documenti, che è uno dei compiti della commissione covid, è limitata a quegli atti che giacciono presso gli inquirenti, se non coperti da indagine», ha spiegato Berrino. In poche parole: la Commissione può chiedere alla magistratura atti oggetto di indagine, inerenti alla stagione pandemica e la sua gestione, purché non siano coperti da segreto, in questo caso non potranno essere acquisiti dalla Bicamerale in quanto coperti da indagine.

Ma è con l’eliminazione di due punti in particolare che si può vedere l’intervento più significativo per andare incontro ai desiderata di Mattarella.

Tramite due emendamenti dello stesso Berrino, sono stati tolti infatti due passaggi inerenti alla legittimità costituzionale di alcuni provvedimenti. Il primo si trovava nel testo licenziato alla Camera all’articolo 3 comma 1 lettera t e recitava così: “Verificare e valutare le misure di contenimento adottate dal Governo nelle fasi iniziali e successive della pandemia, individuando eventuali obblighi e restrizioni carenti di giustificazione in base ai criteri della ragionevolezza, della proporzionalità e dell’efficacia, contraddittori o contrastanti con i princìpi costituzionali e valutando se tali misure fossero fornite di adeguato fondamento scientifico, anche eventualmente attraverso la valutazione comparativa con la condotta seguita da altri Stati europei e con i risultati da essi conseguiti».

Nella nuova versione è stato cancellato proprio l’aspetto sul rispetto dei principi costituzionali (che abbiamo sottolineato in grassetto ndr), quindi, la legittimità costituzionale delle misure contenitive non sarà indagata, evidentemente perché quei provvedimenti erano già passati alla valutazione del capo dello Stato. Ciò non toglie che si potrà comunque indagare sulla proporzionalità della risposta politica di fronte alla diffusione e al contenimento del virus, ma il giudizio che ne uscirà sarà solo politico.

La seconda lettera tolta, questa volta integralmente è la “v” che recitava così:“Verificare e valutare la legittimità della dichiarazione dello stato di emergenza e delle relative proroghe nonché dell’utilizzo dello strumento della decretazione d’urgenza”.

Non potremo dunque assistere a indagini sui contestati Dpcm di Conte, che sono stati lo strumento principale con il quale sono stati imposti i lockdown, il green pass, la DaD e poi con Draghi la campagna vaccinale di massa. Tutti provvedimenti imposti in ragione dell’emergenza e che hanno limitato fortemente e compromesso in alcuni casi la libertà dei cittadini. Su questo la Commissione non potrà dunque esprimersi.

Il resto degli emendamenti approvati non costituisce particolari stravolgimentidel testo originario, mentre va registrato che nel corso delle votazioni sono stati respinti tutti gli emendamenti presentati dall’opposizione. Volevano coinvolgere nell’inchiesta anche le Regioni, ma il voto a maggioranza li ha cassati.

Dunque, con l’esclusione delle Regioni e dei paletti fissati dal Colle, il raggio d’azione della Commissione si restringe alla sola attività dei Governi e del ministero della Salute in particolare.

Sono però salvaguardate le indagini sulla campagna vaccinale e sulle mancate cure, nell’ambito del protocollo Tachipirina & vigile attesa. Se da un lato la commissione restringe il suo campo d’azione, dall’altro, potrà concentrarsi meglio sulle due grandi problematiche nazionali mai ancora pienamente accertate: le reazioni avverse da vaccino che sono state minimizzate se non proprio nascoste e le morti in ospedale di pazienti curati troppo tardi sui quali si poteva intervenire in tempo con cure tempestive. Su questi due aspetti la Maggioranza si gioca molto della sua credibilità.

Ma il clima resta ancora quello della caccia alle streghe. Quanto successo ieri a Marcello Foa (in foto), rappresenta un campanello d’allarme, che mostra come l’unica versione che si vuole affermare è quella pandemista, mentre si silenzia il pensiero difforme. Il giornalista, già presidente della Rai, è finito nell’occhio del ciclone per aver invitato nella sua trasmissione radiofonica Giù la Maschera, Massimo Citro della Riva, psicoterapeuta sospeso dall’Ordine perché critico sui vaccini.

Dopo la puntata di ieri, molti esponenti della Sinistra, tra cui Fratoianni, hanno chiesto scandalizzati l’intervento della Vigilanza Rai. La stessa vigilanza Rai che non è intervenuta quando la Rai ha regalato un’ora di diretta al pornoattore Rocco Siffredi. Ma evidentemente per la televisione pubblica di oggi, diffondere un’idea di una pornografia buona è meglio che sollevare dubbi sui vaccini. 

6094.- Chi soffia per spegnere Aifa leaks e inchiesta Speranza

O’ pisce fèta da ‘a capa! È tutto quello che sappiamo.

La grande stampa ignora del tutto l’indagine della magistratura su Speranza. Dal Colle ai media fino ai partiti di sinistra: tutti gli ostacoli di un’inchiesta che potrebbe aprire un capitolo nuovo nel giudicare gli errori e gli orrori della campagna vaccinale.

Da La Nuova Bussola Quotidiana, di Andrea Zambrano, 24_11_2023

Il fatto che nessuno dei giornali ieri in edicola (tranne la Verità) avesse in prima pagina la notizia che l’ex ministro della Salute Roberto Speranza è indagato dalla Procura di Roma nella gestione della campagna vaccinale, è un chiaro segnale di indirizzo che il Procuratore di Roma Francesco Lo Voi non avrà l’appoggio della grande stampa italiana nel caso in cui dovessero emergere responsabilità accertate.

Del resto, la campagna vaccinale per l’ennesima dose di vaccino anti covid è in corso, con risultati disastrosi, e i media mainstream, dal Corriere a Repubblica in giù si stanno spellando le mani per convincere gli italiani riottosi che il vaccino non crea nessun effetto avverso e se li crea – come le stesse case farmaceutiche e l’Ema sono costrette ad ammettere – è roba di poco conto quando addirittura inventata. «Le miocarditi? Frutto di diagnosi sbagliate dei cardiologi», si è provato persino a dire senza temere di essere spernacchiati a dovere. Di mal di vaccino non si deve parlare.

La saldatura tra il potere politico che ha imposto un vaccino sperimentale pena la perdita dei diritti civili e quello mediatico che ha veicolato questa imposizione spacciandola per dovere civico è ancora più forte che mai e non rischia di essere scalfita. Del resto, come potrebbe essere altrimenti se non più tardi di ieri mattina l’Ansa – dicasi l’Ansa! – poteva permettersi di dare la notizia che Speranza, tramite il suo legale, chiederà alla Procura l’archiviazione, senza però aver mai dato precedentemente la notizia della sua iscrizione – e di quella di Nicola Magrini, ex dg Aifa – nel registro degli indagati per svariati reati, tra cui l’omicidio plurimo.

Scene che si vedono solo in certe democrazie guaste del Latinoamerica, quelle dove la stampa è così asservita al potere da non ritenere nemmeno degna di una riga in cronaca una notizia di un ex ministro indagato per omicidio plurimo dalla più importante Procura d’Italia.

Va detto che la remissività vile del sistema mediatico nostrano di fronte alle migliaia di danneggiati da vaccino – stiamo parlando di invalidi e di morti che non trovano un riconoscimento -, trova come sua unica eccezione il coraggio di una sola trasmissione tv che si staglia nel panorama nazionale come mosca bianca in mezzo a tanti talk show urlati e accomodati e che non solo ha avuto il merito di portare all’attenzione della Magistratura l’indagine sugli Aifa leaks, ossia i silenzi e le censure dell’ente del farmaco circa reazioni avverse durante la campagna vaccinale, ma ha tenuto l’osso senza temere intimidazioni, come deve fare un cane da guardia e non un cane da riporto.

La determinazione e la solitudine con la quale i giornalisti Mediaset Mario Giordano e Marianna Canè hanno condotto l’inchiesta sugli Aifa leaks dovrebbero essere studiate nelle scuole di giornalismo e far gridare tutti gli altri giornali per lo meno per spirito di corporazione; invece, è stata coperta dal chiassoso vociare di un mainstream stancamente asservito a un potere sempre più autoreferenziale.

Perché se non è una notizia il fatto che quello che è stato propagandato come un vaccino sicuro, efficace e panacea di tutti i mali, in realtà non lo era e questo era risaputo e taciuto dalle istituzioni sanitarie, allora che cosa è una notizia degna di tal nome?

Ma se il Procuratore di Roma non avrà il fiato sul collo della grande stampa, avrà invece – si perdoni il gioco di parole – il “fiato del Colle”. Un’inchiesta del genere è destinata a scontrarsi con un dogma che abbiamo visto imporsi in tutti i modi: «Il vaccino ci ha salvato, chi dice che ha fatto male a qualcuno mente e non segue la scienza». A garanzia di questa narrazione bugiarda – oggi lo possiamo dire per almeno un centinaio di ragioni scientifiche – c’è sempre stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che anche nella limitazione degli ambiti di indagine della Commissione bicamerale Covid, ha mostrato come si possa azzoppare qualunque attività ispettiva rischi di mettere in discussione questo costrutto.   

Dal Quirinale ai partiti di Sinistra passando per i media: chi soffia contro questa inchiesta, minimizzandola o censurandola, è lo stesso, dunque che cercherà di rendere infruttuosi il lavoro della Bicamerale Covid.

Non è affatto scontato poi, che il Tribunale dei ministri darà il via libera per indagare su Speranza, oppure che non si vada oltre la fase istruttoria. Di sicuro questa indagine può aprire un nuovo capitolo oppure chiuderlo per sempre: i danneggiati da vaccino hanno avuto se non altro la dignità di essere considerati da un potere dello Stato – quello giudiziario – che finora era stato silente sul loro dramma. Chiaramente non si sta dicendo che la Procura accusi chicchessia, ma almeno si può affermare che le accuse contro Speranza e Magrini sono ritenute credibili e meritorie di essere approfondite.

Mentre la medicina di Stato e la politica, in tutte le sue forme, è ancora colpevolmente assente dall’ascolto di quello che la presidente di Ascoltami ha definito “il nostro inferno”, un Procuratore, come alto rappresentante di un potere dello Stato riconosce che quell’inferno potrebbe esistere e qualcuno potrebbe anche esserne responsabile. Gli errori e gli orrori della vaccinazione coatta potrebbero venire alla luce aprendo un nuovo capitolo nel giudicare quella stagione. 

Certo non sarà facile perché il difficile viene adesso. Infatti, c’è anche chi, ieri mattina, tra i corridoi del Senato commentava con disincanto questa decisione clamorosa. Come noto la Bicamerale Covid, che sarà chiamata a dare un giudizio politico sulle decisioni prese in pandemia dai due governi che l’hanno gestita, dovrà ascoltare anche l’ex ministro Speranza su varie questioni, compresi gli effetti avversi. Ma se l’esponente del Pd ed ex ministro è indagato dalla Procura di Roma, allora, com’è nel regolamento, potrebbe avvalersi della facoltà di non rispondere proprio perché sottoposto a indagine della Magistratura. Se poi l’inchiesta di Roma dovesse concludersi con un’archiviazione, ecco che Speranza la “farebbe franca” sia sul versante politico che su quello giudiziario e nessuno potrà chiamarlo a rendere conto della gestione sciagurata della campagna vaccinale, così come del folle protocollo Tachipirina e vigile attesa.

Uno scenario sconfortante, ma che va tenuto in conto. È bene però tenere sempre di fronte un orizzonte concreto. E questo è rappresentato dagli oltre 4200 danneggiati riunito nel Comitato Ascoltami che sono rimasti feriti sul campo e che chiedono cure, un ambulatorio dedicato e un codice esentivo per visite ed esami. Pochi o tanti che siano, per loro almeno siamo sicuramente in grado di poter affermare che “i benefici non hanno superato i rischi”, come recitava un altro mantra imposto sciaguratamente in campagna vaccinale secondo una logica eugenetica. È a loro e non ad altri, i quali dal vaccino non hanno avuto conseguenza alcuna, che si devono le risposte sull’eventuale dolo di chi li ha trascinati in questo vortice.

6077.- Ex direttore Aifa: Sapevano che infettavano, ma hanno comunque messo il Green pass “sospendendo la democrazia, facendo perdere lavoro e dignità a migliaia di persone”

Un buon motivo perché il due volte presidente Mattarella, instancabile sostenitore dei cosiddetti vaccini, ostacoli la istituzione della Commissione parlamentare d’inchiesta, ex art. 82 Costituzione, sulla pandemia, paventandone l’incostituzionalità. Ma quale?

Articolo 82

Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse.

A tale scopo nomina fra i propri componenti una Commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La Commissione d’inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria.

Finirà che ci teniamo i morti, i vaccini e il presidente, mentre qualcuno si terrà pacchi di soldi.

L’articolo della Redazione del Blog di Sabino Paciolla, 18 novembre 2023: Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo pubblicato su DC NEWS. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. 

Milano no green pass

Il dottor Luca Li Bassi, medico chirurgo specializzato in Salute pubblica, è stato direttore generale dell’Aifa tra il 2018 e il 2019, fino a poco prima, cioè, che scoppiasse l’inferno Covid. Il medico ha rilasciato un’intervista bomba (pubblicata da LaVerità), e di vitale importanza, a Marianna Canè di “Fuori dal Coro“. Dice Li Bassi: “Non può essere considerata una motivazione valida la preoccupazione di mandare la gente nel panico e nascondere i dati”. La trasparenza, dunque, sempre al primo posto. Il suo è un chiaro riferimento alle ultime inchieste, proprio della trasmissione di Rete4, che hanno dimostrato come Aifa nascondesse i dati sui vaccini, per paura – come scrivevano i dirigenti nella mail interne – di “uccidere il vaccino”. Ma lancia anche una vera bordata contro il Green pass.

Spiega infatti a proposito Luca Li Bassi: “Se si fosse valutato a inizio campagna vaccinale che servivano più dati per garantire efficacia e sicurezza in un gruppo specifico, come ad esempio quello dei fragili, non si sarebbe mica provocato un disastro. Per me essere trasparenti significa che all’inizio della campagna vaccinale dovevano essere detti apertamente tutti i punti di forza e di debolezza dello studio di Pfizer, per esempio. Dovevano essere spiegati, e non certo nascosti. Non si può esaltare i primi e far finta che non ci siano i secondi. E anche se questo può portare a qualche preoccupazione iniziale, l’aspetto positivo è che nella gente aumenta la fiducia“. Un netto attacco alla gestione dell’Aifa in era Covid. Poi, il passaggio chiave sul Green pass. Perché si arrivò a metterlo?

Altro punto importante, denuncia Luca Li Bassi, è il modo in cui si è arrivati a imporre il Green pass. “Già nell’estate 2021, quindi non molto tempo dopo la partenza della campagna vaccinale, anche se non si conoscevano le cause, era evidente che i vaccinati potevano trasmettere l’infezione”. Ma il governo impose comunque il lasciapassare verde, sospendendo la democrazia, facendo perdere lavoro e dignità a migliaia di persone. “Quello che posso dire è che nella letteratura scientifica c’era già a distanza di pochi mesi dall’inizio della vaccinazione di massa, se non una certezza, un forte sospetto che il vaccino non prevenisse totalmente la diffusione”.

Seguire attentamente lo svolgimento con la farmacovigilanza “in modo da evidenziare tempestivamente degli eventuali segnali di sicurezza”. Altra cosa che in Italia non è stata fatta per mettere tutto a tacere e tutelare gli interessi di Big Pharma. Poi Li Bassi dà la stoccata sulla gestione italiana del Covid e dei vaccini: “Non mi sarei mai aspettato quello che è successo: non si può rinunciare alla trasparenza perché si teme di mandare la gente nel panico. Non si avvia la macchina e poi si chiudono gli occhi e si vaccinano tutti. Non funziona così”. Ma allora perché nascondere i dati? Perché Aifa ha agito così? Risponde Li Bassi: “Quando vi sono aree di conoscenza poco chiare, allora intervengono influenze di vario tipo, come socio-politico-economiche”.

Luca Li Bassi: “Aifa deve lavorare solo per la gente”

Conclude Luca Li Bassi: “Aifa è un’istituzione pubblica e questo significa che è di proprietà della gente e deve fare solo gli interessi della gente, non di altri. Poi però il fatto che stiamo vivendo un momento che si discosta da questo, io non me lo sarei mai aspettato. Ma il corretto funzionamento è quello basato sulla trasparenza e sull’obiettivo della salute pubblica, senza considerare qualcosa di diverso. Questo è il mio punto di vista sia umano che professionale“.

6017.- Nuova scoperta terribile 48 ore dopo la vaccinazione con mRNA

Le verità continuano a venire a galla, ma in Italia è sceso il silenzio! Chi è competente a valutare l’ostacolo posto alla formazione di una Commissione d’inchiesta parlamentare sulla pandemia?

Pfizer e Moderna vaccini covid

È difficile commettere un genocidio se devi dare la caccia alle persone e radunarle. È molto più semplice se riesci a convincerli ad allinearsi volentieri e a rimboccarsi le maniche.
Anche portando con sé i loro amici e la famiglia.
Non ci sono coincidenze. È tutto connesso.
Non è una teoria del complotto se è vera.

I vaccini COVID mRNA formano proteine ​​spike nelle cellule cardiache, ma causano anomalie diverse: articolo di ricerca

Sono grato al mio “senso dello spiy” e di non aver preso questo veleno.

How the COVID Vaccine Could Harm Your Gut, Leading to Brain Fog and Autoimmune Disease

Il vaccino anti-COVID potrebbe danneggiare l’intestino, causando confusione mentale e malattie autoimmuni.

A Deeper Dive Into Role of Spike Protein in Myocarditis, Blood Clotting After COVID-19 Vaccination(Naeblys/Shutterstock)

Un approfondimento sul ruolo delle proteine Spike nella miocardite e nella coagulazione del sangue dopo il COVID-19

Una nuova ricerca che osserva le cellule del cuore umano e dei ratti mostra che, entro 48 ore dalla vaccinazione, i vaccini mRNA COVID-19 formano proteine ​​spike.

Pfizer e Moderna sapevano ENTRAMBI che questi problemi erano causati dai loro “vaccini” anti-Covid… ma hanno deciso di tenerlo nascosto e di insistere comunque,
perché si trattava solo di fare soldi. Le grandi aziende e, quindi, anche quelle farmaceutiche hanno di mira il profitto; non hanno integrità morale o veri standard etici. Questi cosiddetti vaccini non hanno impedito a nessuno di prendere il covid, hanno causato la morte di migliaia di persone a causa di attacchi di cuore o problemi cardiaci. Le aziende farmaceutiche non hanno mai fatto studi sufficientemente lunghi per descrivere gli effetti a lungo termine delle loro inoculazioni e hanno ingannato il pubblico facendogli credere che se avessero ricevuto le iniezioni e i richiami sarebbero stati al sicuro dal covid. Questa convinzione faceva sentire i vaccinati immuni dalle infezioni e faceva sì che avessero un falso senso di immunità. La verità, invece, era nota fin dall’inizio del Covid, ma è stata censurata dal governo, dai media e dai social media. Ora i dettagli vengono svelati. La verità vera è che molte persone sono state esposte alla disinformazione intenzionale e al genocidio pianificato.Per questo, tutte le aziende farmaceutiche si sono assicurate di ottenere l’immunità da ogni responsabilità, proteggendosi da ogni azione legale ancor prima che venisse somministrata la prima iniezione.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sta impedendo la formazione di una Commissione d’inchiesta parlamentare sulla pandemia. Le istituzioni e la Costituzione sono prone al suo volere. Le commissioni d’inchiesta sono regolate dall’articolo 82 della costituzione italiana e possono essere create ad hoc per svolgere indagini e ricerche su materie e argomenti di interesse pubblico, con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria

Concludendo, il fatto grave è che questi vaccini, vere e proprie armi biologiche, sono ancora sul mercato e sono sostenuti dai governi e dal governo degli Stati Uniti per tutti.

La nuova scoperta terribile

mRNA COVID Vaccines Form Spike Protein in Heart Cells, but Cause Different Anomalies: Research Article

Da The Epoch Times, di  Marina Zhang, 22 ottobre 2023. Traduzione libera.

Una nuova ricerca condotta in Germania, osservando cellule cardiache umane e di ratto, mostra che entro 48 ore dalla vaccinazione, i vaccini mRNA COVID-19 formano proteine ​​spike.

Le proteine ​​spike, prodotte dalle istruzioni dell’mRNA all’interno dei vaccini, sono state rilevate nelle cellule cardiache. Sebbene sia il vaccino Pfizer che quello Moderna abbiano causato anomalie cellulari, i due hanno indotto anomalie diverse.

Le diverse risposte che le cellule hanno avuto ai due vaccini mRNA suggeriscono una reazione di tossicità dell’mRNA in queste cellule, secondo il dottor Peter McCullough, internista, cardiologo ed epidemiologo leader che ha pubblicato oltre 1.000 rapporti di ricerca ed è l’autore principale di uno dei i primi regimi terapeutici ampiamente utilizzati per i pazienti affetti da SARS-CoV-2. Ha aggiunto che 48 ore erano un breve lasso di tempo per osservare questo.

“I risultati supportano sia la diagnosi che il trattamento degli eventi cardiaci successivi alla vaccinazione COVID basata su mRNA”, hanno scritto gli autori, aggiungendo che i risultati possono spiegare i sintomi cardiaci persistenti tra i pazienti con COVID da lungo tempo.
Un articolo come questo è un documento di comunicazione rapida, il che significa che è un articolo scientifico più breve pubblicato più rapidamente di un articolo di ricerca standard. Gli scienziati tendono a utilizzare questo formato quando hanno risultati che devono essere condivisi immediatamente con la comunità accademica.
Presentazioni non classiche di miocardite

Gli autori dell’articolo hanno introdotto le vaccinazioni a base di mRNA in colture cellulari ottenute da cellule di ratto e cuore umano.
I vaccini Moderna e Pfizer hanno ciascuno dosi diverse di mRNA, con Moderna che ha una dose maggiore di 100 microgrammi rispetto ai 30 microgrammi di Pfizer. Pertanto, i ricercatori hanno somministrato 100 microgrammi di mRNA ad entrambi i gruppi.

Within 48 hours, researchers detected spike proteins in both cell cultures and noticed abnormalities in heart contractions.

The researchers recorded heart contractions in a supplementary video, comparing normal contractions in an unvaccinated rat heart cell (1A) with vaccinated cells.

Pfizer-vaccinated cells displayed stronger, sustained contractions (1B) due to increased protein kinase A (PKA) activity. PKA levels are linked to heart performance; the higher the PKA level, the stronger the heart contractions.

Moderna-vaccinated cells developed irregular heart contractions and disrupted calcium regulation. The authors attributed the change in cell activity to disturbances in RyR2 receptors. These receptors play a key role in coordinating heart contractions using calcium.

Some of the heart muscles administered Moderna vaccines developed irregular and peristaltic contractions (1C and 1D), whereas others had irregular and arrhythmic contractions (1E and 1F).

Spike proteins were also detected within 48 hours in the cell culture of human cells.

The authors concluded that at the cellular level, the effects of the COVID-19 vaccines seemed to align closer with cardiomyopathy than with myocarditis. Cardiomyopathy is a condition where heart muscles become both structurally and functionally abnormal in the absence of other heart diseases. This differs from myocarditis and pericarditis, which occur when heart muscles become inflamed and damaged.

Prior work by Dr. James Gill, who led autopsies on two boys who died in their sleep after administration of the COVID-19 Pfizer vaccines, concluded that the boys did not suffer from typical myocarditis but rather something that resembled cardiomyopathy caused by toxic stress.

A diagnosis of myocarditis and pericarditis indicates inflammation and damage to heart muscle cells, yet doctors may fail to find signs of damage and inflammation in blood and imaging tests.

“Myocarditis will present with a dilated heart and patients having trouble breathing and heart failure,” Dr. McCullough said. “What we’re seeing with vaccines is not heart failure. It’s actually cardiac arrest, which is primarily an electrical [signaling] problem.”

Potential Link to Cardiac Arrest

Mentre già nella fase di studio si evidenziavano anomalie, soprattutto nelle cellule animali, ora, i risultati suggeriscono fortemente la cardiotossicità del vaccino.

“Gli attuali dati preclinici sulla sicurezza cardiaca indicano la necessità di una rivalutazione del rapporto rischio-beneficio dei vaccini SARS-Cov-2 basati su RNA, data l’indicazione della loro cardiotossicità”, hanno scritto gli autori.

Le anomalie cardiache presenti nelle cellule, probabilmente causate dall’interruzione di RyR2 e dall’aumento dei livelli di proteina PKA, “sono fattori di rischio per morte cardiaca improvvisa, tachiaritmie ventricolari e disfunzione contrattile”, hanno aggiunto.

“È molto preoccupante”, soprattutto perché le interruzioni del recettore RyR2 sono direttamente collegate alla morte cardiaca improvvisa, ha affermato il dottor McCullough. “Lo schema che stiamo vedendo è che le persone prendono il vaccino e muoiono durante l’esercizio fisico, oppure muoiono tra le 3 e le 6 del mattino, ancora una volta, quando c’è un’ondata di catecolamine o stress nel corpo.”

Perché i vaccini mRNA inducono ciascuno anomalie diverse

Il dottor McCullough ha aggiunto che i diversi percorsi influenzati dai due vaccini suggeriscono una certa tossicità cellulare sottostante ai codici mRNA poiché i vaccini Moderna e Pfizer hanno codici mRNA diversi, ma entrambi producono la stessa proteina spike.
Se i due vaccini provocassero una risposta simile, ciò potrebbe suggerire che la maggior parte degli eventi avversi siano stati guidati dalle proteine ​​spike prodotte dalle istruzioni dell’mRNA. Tuttavia, i vaccini Moderna e Pfizer che inducono distintamente diverse anomalie cardiache possono suggerire una tossicità dell’mRNA stesso.

“Potrebbe essere semplicemente il meccanismo che costringe le cellule del muscolo cardiaco a produrre una proteina anomala che sta cambiando la funzione delle cellule del muscolo cardiaco, e la mia preoccupazione è che se lo fa con questi vaccini a RNA messaggero, è molto probabile che l’mRNA dell’influenza vaccini e RSV e gli altri in fase di sviluppo: [tutti] avranno tossicità cardiaca”, ha detto il dottor McCullough.
Altri studi che indicano la tossicità dell’mRNA di COVID-19

L’articolo è uno dei tanti che hanno messo in luce gli effetti cardiotossici dei vaccini a mRNA.
Uno studio giapponese pubblicato a settembre ha esaminato le scansioni PET di 1.000 persone che necessitavano di imaging medico per un motivo non correlato alla miocardite. Gli autori hanno confrontato 303 persone non vaccinate con 700 vaccinate asintomatiche.
Nel complesso, le persone vaccinate hanno notato un cambiamento nel metabolismo, suggerendo una funzione cardiaca anormale. In genere, le cellule del muscolo cardiaco fanno affidamento sul grasso come combustibile, ma i cuori delle persone vaccinate hanno mostrato una dipendenza più sostanziale dal 18 fluorodeossiglucosio, un tipo di glucosio.

L’uso di 18 fluorodesossiglucosio è legato al basso livello di ossigeno nel sangue.
Uno studio di Harvard pubblicato da npj Vaccines ha trovato anche l’mRNA del COVID-19 nel cuore di persone morte entro 30 giorni dall’assunzione del vaccino COVID-19.

Marina Zhang è una scrittrice sanitaria per The Epoch Times, con sede a New York. Si occupa principalmente di storie su COVID-19 e sul sistema sanitario e ha una laurea in biomedicina presso l’Università di Melbourne. Contattatela a marina.zhang@epochtimes.com.

Questo cucciolo non è più con noi.

5984.- Mantovano avverte le toghe: giudici applichino le leggi.

Mantovano avverte le toghe: giudici applichino le leggi

Storia di redazione romana • da Avvenire

«La cosa di cui tutti dovremmo preoccuparci è che la gestione di un fenomeno così complesso e delicato come l’immigrazione non può passare per la via giudiziaria e non può accadere, forse questa è la cosa più grave di tutte, con la distorsione del sistema asilo». Alfredo Mantovano insiste e spiega: «Se un migrante intende entrare regolarmente in Italia c’è il decreto flussi, 400mila unità sono arrivate, non stiamo parlando di residui. Se fugge da una persecuzione ha titolo per ottenere lo status di rifugiato ma non esiste che lo strumento dell’asilo venga dilatato per far entrare in Italia chiunque arrivi irregolarmente: la distorsione delle norme sull’asilo fa male agli stessi richiedenti». Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio non vuole legare il suo ragionamento al caso della giudice Apostolico. «Non è mai opportuno personalizzare le questioni anche se sono rivelative», dice Mantovano che arriva al punto: «C’é una sorta di egemonia culturale all’interno della magistratura italiana per cui se c’è un vuoto normativo il giudice lo colma e se c’è una legge che non piace il giudice la disapplica». E allora? «Il giudice ha lo strumento dell’eccezione di legittimità costituzionale. E in caso di norma comunitaria anche il ricorso alla Corte. La disapplicazione in presenza di una fonte comunitaria è sempre un caso estremo, quando una norma è evidentemente illegittima ma il capo dello Stato non firma norme illegittime». Mantovano poi lega jihadismo e migranti. «Dal primo gennaio a oggi sono arrivati 180mila migranti in modo irregolare… Non credo che il cambiamento climatico si sia concentrato nel giro di pochi mesi su Mali, Camerun e Burkina Faso. Cosa è successo quindi? L’incentivazione degli effetti migratori diventa uno strumento di pressione da parte del jihadismo nei confronti dell’Europa, poi l’Italia è la più vicina e la gran parte arriva qua». Secondo Mantovano, «un flusso così consistente consegna all’Italia una massa di soggetti che entrando in modo irregolare vengano attratti da suggestioni criminali ma anche potenzialmente terroristiche dall’altro verso». Ecco l’allarme. «Oggi la dimensione dell’attacco è, ancora più che nel passato, più complicata da prevenire perché la minaccia può venire da singoli che non frequentano moschee ma si indottrinano online e poi decidono di passare all’azione… In Italia tutto questo viene monitorato. Ci sono articolazioni del sistema sicurezza che seguono l’apologia online del terrorismo; però tutti noi comprendiamo che si tratta di un lavoro difficile perché non si affronta un fiume in piena ma mille rivoli d’acqua e qualcuno può anche sfuggire. È un lavoro complesso che oggi vede ancora più concentrate le forze di polizia e l’intelligence su questo obiettivo». Il sottosegretario si concentra sulla guerra Hamas-Israele. «L’attacco terroristico sferrato da Hamas non ha come obiettivo soltanto Israele, che già è una cosa grossa. La posta in gioco è più elevata: essere apripista del jihadismo», dice Mantovano che spiega: «L’errore è stato quello di ritenere che dopo la sconfitta dell’Isis, nel 2017, la partita fosse finita. Ecco perché non possiamo avere l’atteggiamento di chi dice “non sono fatti miei”. Se vuoi il monopolio del jihadismo fai un appello che non conosce confini. La solidarietà a Israele è qualcosa che va oltre la vicinanza. La guerra si combatte su confini molto più ampi». Secondo Mantovano, lo sforzo per difendere Israele, quindi, ci riguarda molto da vicino. Ma c’erano avvisaglie rispetto a quello che Israele stava per subire? «Errori ce ne sono stati tanti. Ci siamo dimenticati del jihadismo fino a una settimana fa. C’è stato un colpevole silenzio. Di solito il silenzio si accompagna al sonno delle opinioni pubbliche. Ora il risveglio è stato molto brusco, ma l’auspicio è che sia un risveglio completo. L’attacco non è come tutti gli altri, ha una matrice religiosa. Forse varrebbe la pena recuperare quella lezione che Benedetto XVI tenne a Ratisbona: ha ancora tanto da dirci». E qual era il messaggio cardine di quella lezione? «Che non esistono steccati invalicabili, si può trovare un radice comune nella ragionevolezza. La fede non si impone con la spada. Molti dei paesi che oggi hanno una prevalenza di confessione islamica non sono distanti da questa prospettiva, Tutto questo va coltivato».

5981.- LE ORDINANZE DEL TRIBUNALE DI CATANIA SUI “MIGRANTI TUNISINI”: UN’ANALISI CRITICA

Resta il fatto che non potremo ritenerci una democrazia improntata alla divisione dei poteri fino a quando nella magistratura saranno ammesse le correnti di stampo politico.

Dal Centro Studi Livatino, 13 ottobre 2023. Alcuni passaggi sono evidenziati per facilitare la lettura.Migranti tunisini incarcerati

Molto si è discusso su chi le ha adottate; poco si è parlato del contenuto, che presenta molte ombre.

1.  Nel vasto e pressoché generalizzato consenso che hanno trovato, nei mezzi d’informazione, le ordinanze del Tribunale di Catania con le quali, com’è noto, nei giorni passati è stata negata la convalida del “trattenimento” di taluni migranti irregolari provenienti dalla Tunisia e sbarcati nell’isola di Lampedusa, è pressochè impossibile trovare un minimo di approfondimento critico circa la validità o meno delle motivazioni poste a base di dette ordinanze. Il che, se può, in una qualche misura, giustificarsi quando i “laudatores” siano esponenti del mondo “lato sensu” politico, di orientamento opposto a quello del Governo, lo è un po’ meno quando si tratti di studiosi di diritto, dai quali sarebbe lecito aspettarsi un approccio più distaccato e prudente, pur quando l’esito sia comunque quello di una adesione ai provvedimenti in questione. E, d’altra parte, vi è anche da notare che neppure da parte di coloro che (provenienti, per lo più, dal mondo della politica o del giornalismo) hanno contestato la validità dei detti provvedimenti, si è avvertita la necessità di un qualsivoglia approfondimento critico del loro specifico contenuto, essendosi preferito mettere in luce la vera o presunta prevenzione ideologica da cui sarebbero stati mossi i magistrati che ne erano stati autori.  Di qui l’ispirazione del presente scritto, volta a colmare, almeno in parte, nei limiti delle modeste possibilità del suo autore, la suddetta lacuna.

 2. Cominciamo quindi col dire che i provvedimenti di trattenimento erano stati adottati sulla base dell’art.6 bis del D. L.vo n. 142/2015, inserito dal D.L. n.20/2023 (c.d. “decreto Cutro”) conv. con modif. in legge n. 50/2023. In esso, per quanto al momento interessa, è stabilito che lo straniero richiedente asilo al quale sia applicabile la c.d. “procedura di frontiera” prevista dall’art. 28 bis del D.L.vo n. 25/2008 può essere trattenuto durante lo svolgimento di tale procedura, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare  nel  territorio  dello Stato”, qualora non abbia consegnato il passaporto o  altro  documento equipollente in corso di validita’, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria”; condizioni, queste, che, entrambe, nei casi in questione, erano pacificamente sussistenti.

  Ciò premesso, può osservarsi che nelle ordinanze in questione, nel presupposto che la norma anzidetta sia in contrasto con le direttive europee che dettano le procedure da seguire in materia di riconoscimento dello “status” di rifugiato, si invoca, anzitutto, il principio della prevalenza del diritto europeo su quello statale, per cui la norma statale andrebbe disapplicata in favore di quella europea, se non conforme a quest’ultima. Ciò sulla scorta, in particolare, di quanto si dice affermato nell’appositamente richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 389 del 1989. Si dimentica, però, che (come puntualizzato in questa stessa sentenza) il principio anzidetto vale soltanto quando la norma europea sia tra quelle “immediatamente applicabili” nell’ordinamento interno. E tali non sono (a differenza, ed esempio, dei Regolamenti), le Direttive non self executing, che acquistano efficacia solo a seguito della trasfusione in provvedimenti interni da parte di ogni singolo Stato. Ne consegue che, qualora una norma interna, pur se adottata in attuazione di una direttiva europea, appaia in contrasto con quest’ultima, il rimedio, in sede giudiziaria, può essere costituito soltanto dalla proposizione di una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117 Cost., nella parte in cui impone al Legislatore il rispetto dei “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”.

 3. Ma, a prescindere da ciò, il denunciato contrasto non sembra, poi, neppure ravvisabile, potendosi, anzi, ritenere che la norma introdotta con il citato D.L. “Cutro” trovi conforto proprio nelle stesse Direttive europee alle quali si fa riferimento nelle ordinanze in questione; vale a dire quelle nn. 32 e 33 del 2013. Di esse assumono rilievo, in particolare:

  • l’art. 33, comma 2, lett. c) della Direttiva n. 32/2013, in cui è previsto che una domanda di protezione internazionale possa essere giudicata “inammissibile” se presentata da soggetto proveniente da un paese “sicuro” quale, nella specie, costituito dalla Tunisia; circostanza, questa, con riguardo alla quale non risulta avanzata, da parte del tribunale di Catania, la benché minima obiezione o riserva.
  • l’art. 8, comma 3, lett.c) della Direttiva n. 33/2013, in cui è previsto che il trattenimento possa essere disposto anche “per decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel territorio”.

   Ora, non sembrerebbe revocabile in dubbio che una domanda di protezione internazionale da ritenersi, per espressa disposizione normativa, fino a prova contraria, “inammissibile”, non può, all’evidenza, conferire il diritto di entrare nel territorio di uno stato. Quando, però, l’ingresso sia comunque irregolarmente avvenuto e la domanda sia stata avanzata (come nei casi in questione), su quella domanda deve comunque aprirsi un “procedimento”, volto appunto a verificare che essa sia effettivamente inammissibile, senza che, nel frattempo (come appare ovvio) il richiedente possa essere materialmente allontanato dal territorio dello Stato. Di qui, allora, la piena applicabilità del disposto di cui al citato art. 8, comma 2, lett.c) della Direttiva n. 32/2015, in cui, non a caso, viene precisato che il trattenimento può avvenire “nel contesto di un procedimento” che, nel nostro caso, proprio in quanto avente ad oggetto una domanda di protezione internazionale da presumersi, in partenza, “inammissibile”, comporta, in caso di conferma di tale presunzione, l’esclusione, ora per allora, del “diritto del richiedente di entrare nel territorio”. Significativo, del resto, appare, a tale ultimo riguardo, il fatto che l’art. 35 bis, comma 3, lett. b), del D.L.vo n. 25/2008 include tra i provvedimenti per i quali, in caso di impugnazione, non opera la regola generale dell’efficacia sospensiva,  quello “che dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento della protezione internazionale”. Analoga eccezione, peraltro, è contenuta, nello stesso comma 3 del citato art. 35 bis, alle lett. c) e d), per il caso di provvedimenti di rigetto, per “manifesta infondatezza” delle domande di protezione internazionale avanzate da soggetti provenienti da paesi classificati come “sicuri”.

   Del resto, che le cose stiano, sostanzialmente, in questi termini, appare implicitamente riconosciuto nel fondamentale passaggio motivazionale contenuto nelle prime ordinanze dello stesso tribunale di Catania, emesse il 29 settembre 2023 (cui fecero seguito quelle di analogo contenuto ma, in parte, diversamente motivate, emesse l’8 ottobre 2023), nelle quali ci si richiama all’ormai familiare art. 8, comma 2, lett. c), della Direttiva n. 33/2013, per dire che esso, in effetti,  giustifica il trattenimento del richiedente asilo quando il suo fine sia quello di verificare, prima di riconoscergli il diritto di entrare nel territorio, che “la sua domanda non sia inammissibile, ai sensi dell’art. 33 della direttiva 2013/32”. Il tribunale, però, obietta, al riguardo, che sarebbe mancato, nella specie, l’indispensabile provvedimento del presidente della competente Commissione territoriale che determinasse la procedura da seguire affinchè, sulla base di essa, potesse essere legittimamente disposto il trattenimento. Se ben s’intende, posto che la norma introdotta dal c.d. “D.L.  Cutro” presuppone che sia stata instaurata la “procedura di frontiera” di cui all’art. 28 bis del D.L.vo n. 25/2008 e che, a tal fine, sarebbe stato necessario, ai sensi dell’art. 28 del medesimo D.L.vo, un apposito provvedimento del presidente della Commissione territoriale, ne deriverebbe, secondo il tribunale,  che la mancanza di tale provvedimento escluderebbe in radice la legittimità del trattenimento disposto dal Questore. Si tratta di una conclusione che, in linea di principio, potrebbe anche condividersi, dovendosi però osservare, allora, che essa, lungi dal fondarsi sulla pur denunciata contrarietà del D.L. “Cutro” alle Direttive europee, trova invece il suo fondamento soltanto nella ritenuta inosservanza, nel caso specifico, di quanto in esso previsto circa la necessaria, previa instaurazione della “procedura di frontiera”. Il che ridimensionerebbe non poco la rilevanza, come precedente per futuri casi analoghi, della decisione in questione e renderebbe ben poco giustificato il clamore mediatico che, “hinc et inde”, è stato intorno ad essa sollevato.

   Devesi inoltre aggiungere che nelle successive ordinanze dell’8 ottobre 2023 risulta espressamente attestato che vi era invece stato, nei casi che ne formavano oggetto, il provvedimento del presidente della Commissione territoriale che disponeva la “procedura di frontiera”; il che non ha impedito, tuttavia, il rigetto, anche in quei casi, della richiesta di convalida del trattenimento. Ciò sulla base, essenzialmente, della ritenuta violazione dell’art. 43 della Direttiva n. 32/2013 nella parte in cui, disciplinando le “procedure di frontiera”, prevede, al par. 1,  che esse possano attuarsi solo “alla frontiera o nelle zone di transito”, laddove, nei casi sottoposti al giudizio del tribunale, era stato disposto il trattenimento in località diverse, pur avendo l’interessato manifestato validamente la volontà di chiedere la protezione internazionale fin dal suo sbarco a Lampedusa e a nulla rilevando che la richiesta fosse stata poi rinnovata a Ragusa, con la sottoscrizione di un modulo denominato “C/3”. Ad avviso del tribunale, inoltre, non poteva neppure ravvisarsi l’operatività della deroga prevista dal comma 3 del citato art. 43 per il caso di presentazione di domande di protezione internazionale da parte di “un gran numero” di soggetti, essendosi il questore limitato a segnalare, nel proprio provvedimento, che “l’elevato numero di richieste di protezione internazionale rende difficoltosa la trattazione della domanda del richiedente nel luogo di arrivo”. Ciò in quanto – si afferma – “la deroga è prevista solo per l’ipotesi di impossibilità di applicare la procedura direttamente alla frontiera di arrivo, laddove il provvedimento del Questore fa riferimento solo a difficoltà di trattazione della domanda”. Argomentazione, questa, che appare, in realtà, alquanto sofistica e pretestuosa, dal momento che, non contestandosi la effettiva sussistenza della segnalata “difficoltà di trattazione” ed essendo questa espressamente posta in relazione all’ “elevato numero di richieste di protezione internazionale”, appare del tutto evidente che essa è stata assunta a giustificazione della mancata effettuazione della procedura direttamente alla frontiera di arrivo. Se, quindi, si voleva contestare, sotto il profilo in discorso, la legittimità della procedura in questione, si sarebbe dovuta semmai censurare – ma non è stato fatto – la mancata dimostrazione di una effettiva “difficoltà di trattazione” e/o della sua riconducibilità all’”elevato numero di richieste”. E vale, comunque, anche in questo caso, “mutatis mutandis”, quanto si è in precedenza osservato a proposito della mancata, previa instaurazione della “procedura di frontiera”, dal momento che, a tutto concedere, si sarebbe in presenza non di un contrasto tra la norma interna, che si è inteso applicare, e la norma europea, ma soltanto di una inosservanza di quest’ultima nell’applicazione della norma interna che, di per sé, quell’inosservanza non avrebbe richiesto.

  E’ poi appena il caso di accennare, da ultimo, per esaurire il discorso relativo alle norme europee di cui si è fatta menzione all’inizio, che non sembra possa riconoscersi fondamento alcuno a quanto affermato nelle ordinanze del 29 settembre circa la pretesa inapplicabilità dell’art. 8, comma 3, lett. c), della Direttiva n. 33/2013 nel caso – ricorrente nella specie – di stranieri soccorsi in mare, poiché a costoro il diritto di ingresso nel territorio nazionale sarebbe garantito in partenza dalla “normativa interna e internazionale”, costituita, in particolare, dall’art. 10 ter del D.L.vo n. 286/1998 (T.U. sull’immigrazione) e dal punto 3.1.9 della Convenzione di Amburgo del 1979, quale emendata a seguito della risoluzione del Maritime Safety Committee dell’Omi. Basti osservare, a confutazione di tale assunto, che un conto è il “diritto all’ingresso” di chiunque, “migrante” o non migrante, sia  stato soccorso in mare, la cui finalità si esaurisce nella prestazione della necessaria, immediata assistenza di cui egli abbia bisogno; altro conto è il “diritto all’ingresso” – al quale si riferisce appunto la citata norma della Direttiva europea – che si assuma derivante dalla proposizione di una valida domanda di protezione internazionale da parte di chiunque sia giunto, in qualsiasi modo, a toccare il territorio dello Stato.

4. Va ora preso in esame un ulteriore motivo di ritenuta illegittimità del trattenimento dei “migranti”, che   è quello concernente il mancato versamento della somma richiesta come garanzia finanziaria, a proposito del quale si è sostenuto, in sintesi, da parte del tribunale:

a) che la suddetta garanzia si configurerebbe non come “misura alternativa al trattenimento” – quale, in effetti, prevista dall’art. 8, comma 4, della Direttiva n. 33/2013 –  ma come “ requisito amministrativo imposto al richiedente prima di riconoscere i diritti conferiti dalla direttiva 2013/33/UE, per il solo fatto che chiede protezione internazionale”;

b) che l’avvenuta fissazione del suo importo, ai sensi del DM 14 settembre 2023, nella misura ritenuta idonea a garantire allo straniero, “per il periodo massimo di trattenimento, pari a quattro settimane (ventotto giorni), la disponibilità di un alloggio adeguato sul territorio nazionale, della somma occorrente al rimpatrio e di mezzi di sussistenza minimi necessari”, sarebbe in contrasto con gli artt. 8 e 9 della Direttiva n. 33/2013, quali interpretati dalla Corte di giustizia europea con la sentenza 14 maggio 2020 nelle cause riunite C-924/19 PPU e C-925/19 PPU.

   Ora, con riguardo alla prima di dette osservazioni, la stessa appare di non facile comprensione giacchè, non sostenendosi che, in concreto, sia stata negata al migrante la possibilità di prestare, qualora lo avesse voluto e ne avesse avuto i mezzi, la garanzia finanziaria prevista dalla legge, grazie alla quale avrebbe potuto evitare il trattenimento, non si vede come e perché la detta garanzia non fosse qualificabile, nella specie, come “misura alternativa al trattenimento” ma piuttosto – se ben s’intende – come precondizione indebitamente richiesta per poter fruire dei non meglio precisati diritti conferiti dalla direttiva n. 33/2013. Affermazione, questa, a sostegno della quale non è neppure dato comprendere quale rilievo possa avere – come invece sostenuto, in particolare nelle ordinanze dell’8 ottobre 2023 – il fatto che l’art. 14, comma 1 bis,  del D.L.vo n. 286/1998 (T.U. sull’immigrazione) preveda come misure alternative al trattenimento in vista dell’esecuzione dell’espulsione soltanto quelle costituite dalla consegna del passaporto, dall’obbligo di dimora e dall’obbligo di presentazione periodica  ad un ufficio della forza pubblica; come pure il fatto che l’art. 6 bis, comma 4, del D.L.vo n. 142/2015 (quello appunto introdotto dal D.L. “Cutro”) preveda l’applicabilità, “in quanto compatibile”, dell’art. 6, comma 5, del D.L.vo n. 142/2015, il quale, nel dettare le modalità di adozione dei provvedimenti di trattenimento in genere, richiama a sua volta “per quanto compatibile”, il citato art. 14 del D.L.vo n. 286/1998, ivi comprese, espressamente, anche le suddette misure alternative. Appare comunque sufficiente osservare, al riguardo, che ogni ipotetico contrasto fra le disposizioni ora menzionate e la norma che ha inteso prevedere, come “misura alternativa” al trattenimento, la prestazione della garanzia finanziaria, trova la sua chiara e semplice soluzione nella riserva costituita dall’espresso limite (come si è appena visto) della “compatibilità” delle prime rispetto alla seconda; limite tanto più significativo in quanto l’applicazione delle misure alternative previste dall’art. 14 del D.L.vo n. 286/1998 dipende soltanto da una scelta discrezionale in tal senso da parte del Questore, mentre la prestazione della garanzia finanziaria può essere frutto soltanto della libera decisione dell’interessato, a fronte della quale il questore altro non può fare se non prenderne atto e rinunciare, quindi, a disporre il trattenimento.

   Passando quindi all’esame della pretesa contrarietà dei criteri sulla base dei quali è stato fissato l’importo della garanzia finanziaria rispetto all’interpretazione che degli artt. 8 e 9 della Direttiva n. 33/2013 risulta fornita dalla richiamata sentenza della Corte europea di giustizia (come sostenuto, in particolare, nelle ordinanze del 29 settembre 2023), vale osservare che il principio affermato  in detta sentenza e riportato dal tribunale, secondo cui, nella parte che qui più interessa, gli articoli summenzionati debbono essere interpretati “nel senso che ostano, in primo luogo, a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità”, fu formulato (come risulta dalla lettura integrale della pronuncia in discorso, reperibile sul sito internet della Corte), in risposta ad uno specifico quesito, che era del seguente, testuale tenore: “Se sia conforme all’articolo 8 della [direttiva 2013/33], applicabile in forza dell’articolo 26 della [direttiva 2013/32], il fatto che si procede al trattenimento del richiedente per un periodo superiore alle quattro settimane, previsto all’articolo 43 della [direttiva 2013/32], solo perché lo stesso non può soddisfare le proprie necessità (in termini di vitto e di alloggio) in mancanza dei mezzi di sussistenza a tal fine”. Appare quindi evidente che il principio in questione non si attaglia per nulla alle fattispecie di cui il tribunale di Catania è stato chiamato ad occuparsi, giacchè in esse non si faceva questione alcuna circa la possibile durata del trattenimento oltre i limiti consentiti, ma solo ed esclusivamente circa la legittimità della sua applicazione, in assenza di garanzia finanziaria. Il fatto, quindi, che l’importo di quest’ultima sia stato fissato dal richiamato DM 14 settembre 2023 sulla base dei criteri precedentemente indicati, oltre a non presentare, in sé e per sé, alcun profilo di intrinseca irragionevolezza (di cui, peraltro, anche il tribunale non fa il benchè minimo cenno), non può neppure dirsi in alcun modo contrastante con il “dictum” della Corte europea di giustizia.

5. Rimarrebbe ora da esaminare soltanto un ultimo motivo di asserita illegittimità del disposto trattenimento dei “migranti” costituito, secondo quanto sostenuto in particolare nelle ordinanze del 29 settembre, dal difetto di motivazione circa le “esigenze di protezione manifestate” e circa la “necessità e proporzionalità della misura in relazione alla possibilità di applicare misure meno coercitive”. Si tratta, però, come appare evidente, di questione essenzialmente di fatto, in relazione alla quale non si prospettano problematiche attinenti alla legittimità della norma di cui è stata fatta applicazione ovvero ai criteri sulla base dei quali essa dovrebbe essere interpretata. Di tale questione non metterebbe conto, quindi, occuparsi, se non fosse per segnalare soltanto quanto disposto da due norme delle quali il tribunale avrebbe forse fatto bene, per quanto valesse, a ricordare l’esistenza. Si tratta dell’art. 28 ter, comma 1, lett. b), e dell’art. 9, comma 2 bis, del D.l.vo n. 25/2008. La prima di esse stabilisce che la domanda di protezione internazionale è già di per sé da considerare “manifestamente infondata”, se il richiedente proviene da un paese considerato “sicuro”. La seconda afferma che a legittimare il rigetto di una tale domanda non è necessaria alcuna specifica motivazione, essendo sufficiente che si dia atto “esclusivamente che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza  di  gravi  motivi  per  ritenere  non  sicuro  il  Paese designato di origine sicuro in relazione alla situazione  particolare del richiedente stessoE vale la pena di ricordare anche, a questo punto, che, ai sensi dell’art. 2 bis, comma 2, del D.L.vo n. 25/2008,  è necessario e sufficiente,  perché un paese possa dirsi “sicuro”, che, “sulla base del suo ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale”, possa darsi per dimostrato che “in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione quali definiti dall’articolo 7 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ne’ tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, ne’ pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

   Ora, dalle tre ordinanze del tribunale di Catania del 29 settembre 2023, risulta che in una delle richieste di protezione internazionale si sosteneva che il richiedente era “perseguitato per caratteristiche fisiche che i cercatori d’oro del suo Paese, secondo credenze locali, ritengono favorevoli nello svolgimento della loro attività (particolari linee della mano, ecc.)”. In un’altra si rappresentava che i tre figli messi al mondo dalla moglie del richiedente erano tutti deceduti in tenera età per la mancanza di adeguate cure, essendo queste ottenibili, in Tunisia, solo a pagamento. Nella terza si indicava come motivo dell’allontanamento del richiedente dal suo paese quello costituito da “minacce” che egli avrebbe subito ad opera di suoi creditori. Appare, quindi, “ictu oculi” evidente che in nessuno di tali casi, potesse darsi, neppure lontanamente, per dimostrata la sussistenza di una condizione di “insicurezza” nella quale il richiedente si fosse venuto a trovare nel suo paese per la sua “situazione particolare”, dovendo questa comunque riferirsi al pericolo di “atti di persecuzione” o a taluno fra gli altri pericoli specificamente indicati nel citato art. 2 bis, comma 2, del D.L.vo n. 25/2008. E tanto bastava, alla stregua della normativa sopra richiamata, ad escludere la necessità di una specifica motivazione a sostegno della inammissibilità delle richieste in discorso.

                                                                                                                            Pietro Dubolino

5968.- Il nostro Paese a rischio infiltrazioni. E i magistrati fanno finta di non vedere

Dice qualcuno … “Perché sono imbeccati e protetti”.

Storia di Augusto Minzolini, da Il Giornale

Di fronte alla tragedia e ai pericoli incombenti che il famigerato attacco di Hamas ad Israele pone, probabilmente è una questione di poco conto ma descrive in maniera appropriata come mentre il mondo cambia c’è chi resta indietro. È il caso di quei magistrati (Catania e Firenze) che continuano a negare la permanenza degli immigrati clandestini nei centri di accoglienza per delegittimare l’ultimo decreto del governo. Uno può metterla come vuole, ma è evidente – sempre che non ci sia l’ambizione di imitare gli struzzi mettendo la testa sotto la sabbia – che d’ora in avanti aumenterà di molto il rischio di infiltrazioni terroristiche nel nostro territorio attraverso le rotte dell’immigrazione illegale. Non bisogna essere delle aquile per comprenderlo: per cui al tema dei clandestini in Italia si aggiunge fatalmente anche quello della sicurezza. Non per nulla la nostra intelligence da sabato scorso ha aumentato i livelli di allerta anti-terrorismo.

Invece per le toghe di casa nostra ubriache di ideologia, a quanto pare, nulla è cambiato (l’ultima ordinanza che contraddice il provvedimento del governo è dell’altro ieri). E stesso discorso vale per quella sinistra che li plaude non riuscendo a guardare oltre il proprio naso. Eppure questa crisi durerà per molto tempo per il solo fatto che dopo l’azione di Hamas il mondo non sarà più come prima. Lo scacchiere medio-orientale e quello mediterraneo sono, infatti, diventati altri due teatri prospicienti in cui si misureranno i nuovi equilibri mondiali visto che il dramma di sabato scorso non ha come protagonisti solo Hamas ed Israele. Tutt’altro. Le folli congetture di un certo pacifismo hanno coniato un termine, «guerra per procura», applicato all’Ucraina che in questa surreale visione combatteva la Russia per conto degli Stati Uniti: in realtà Kiev difendeva solo la propria indipendenza.

La negazione della verità è sì surreale.

Per Hamas, invece, che ha indossato i panni dell’aggressore, l’immagine della guerra per procura su mandato dell’Iran calza a pennello. Neppure Teheran la smentisce: l’uso del terrorismo palestinese per far saltare gli accordi di Abramo tra Israele e Arabia Saudita è nelle cose. Ma se vogliamo ragionare sul risiko mondiale, se vogliamo pensare male visto che spesso ci si azzecca, ci sono altri attori non solo l’Iran interessati alla destabilizzazione del medio-oriente. La Russia di Putin che vede nel nuovo conflitto uno strumento per sviare l’attenzione internazionale dall’Ucraina e per aprire un altro fronte su cui l’Occidente dovrà impegnarsi con gli aiuti militari sottraendoli a Kiev. E la Cina che vede in tutti questi conflitti un modo per far abbassare l’attenzione dell’Occidente su quello che è il suo chiodo fisso: Taiwan. Insomma sono tutti «pezzi» di quella Terza guerra mondiale di cui parla Papa Francesco, che vede fronteggiarsi l’Occidente e uno schieramento anti-occidentale, anti-Nato che con il trascorrere dei mesi diventa sempre più nitido e a cui Putin ha dato un’accelerazione come risposta all’appoggio degli Stati Uniti a Kiev.

Basta pensare che quest’anno l’Iran nel giro di due mesi è entrata a far parte delle due organizzazioni che rappresentano il nerbo dello schieramento anti-occidentale nate su iniziativa della Russia e della Cina: il 4 luglio scorso gli ayatollah sono entrati a far parte dell’organizzazione per la cooperazione di Shanghai (S.C.O.) e il 24 agosto dei Brics. Insomma, è in atto una ridefinizione della geopolitica di vaste proporzioni. Con uno schema triangolare che vede la Russia, l’Iran e la Cina giocare la stessa partita come l’«Asse» (magari il paragone è ardito) nella seconda guerra mondiale. L’Italia farebbe bene a rendersi conto del terremoto politico globale al più presto. Anche perché mentre per la guerra in Ucraina il nostro Paese è nelle retrovie, nelle vicende medio-orientali noi siamo sulla linea del fronte, probabile primo obiettivo del terrorismo islamico e della pressione migratoria usata come arma verso l’Europa. È da facili profeti, infatti, prevedere che la destabilizzazione del medio-oriente determinerà nuove ondate di profughi.

5948.- Nordio:

 “Sul caso Catania in sintonia con Meloni. Impugneremo il provvedimento del giudice”

I 14 lunghi anni di due mandati non possono consentire una gestione sempre super partes ed equivalgono alla negazione della democrazia. Figuriamoci i 28 anni di due presidenti provenienti dal medesimo partito.

Senatore Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea Costituente.

Un capolavoro di saggezza

Il Guardasigilli Nordio va diritto, rifiuta l’alterco senza fine e passa la palla alla Suprema Corte di Cassazione, perciò, affronta la magistratura riottosa, cosiddetta “democratica”, negando l’esistenza di conflitti con l’esecutivo, affermandone tuttora l’Autonomia e l’Indipendenza e senza nominare o coinvolgere il capo dello Stato. Un capolavoro di saggezza, atteso che, come detto e ribadito, il Presidente Sergio Mattarella, non obbedendo alla legge sul funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura, non ha attivato, né, tuttora, mostra di volerne attivare, lo scioglimento previsto in caso di impossibilità di funzionamento. Poché sfido chiunque a sostenere che un organo super partes possa funzionare dopo che un suo rappresentante, di primaria importanza, ha dichiarato urbi et orbi che il C.S.M. è politicizzato e che, in questo, seguiva gli indirizzi del presidente della Repubblica Napolitano. La riforma, o meglio, la rifondazione della Giustizia è ardua. Non sarà mai completamente possibile fino a quando non sarà riformata l’istituzione del Presidente della Repubblica e del C.S.M.. Un compito arduo quello del Governo perché, come votarono i padri costituenti e il loro Presidente Umberto Terracini, i 14 lunghi anni di due mandati non possono consentire e, infatti, non consentono, una gestione super partes ed equivalgono alla negazione della democrazia. Figuriamoci se diventano 7+7 e, ancora, 7+7 = 28 anni di presidenti provenienti da un solo partito, pure minoritario. Il Duce Mussolini resse il governo per 21 anni e obbediva a un re.

Nordio Catania

“Impugneremo il provvedimento del giudice”

Da Il Secolo d’Italia del 4 ottobre 2023. Di  Gabriele Alberti

“Non c’è nessuno scontro tra politica e magistratura”: nel Question Time di mercoledì alla Camera, in diretta televisiva dall’Aula di Montecitorio, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha risposto a una interrogazione sulla riforma della giustizia e sui rapporti tra esecutivo e magistratura. Soprattutto  alla luce delle dichiarazioni relative alla recente decisione del tribunale di Catania di rilasciare un migrante sottoposto a fermo. Le polemiche sulla giudice Apostolato, che ha sconfessato le norme del governo; le parole del premier (“Basita“); lo scontro nel Csm tra le toghe che non hanno votato la richiesta di tutela” della giudice fanno da cornice a un’audizione particolarmente attesa in Aula.

Caso Catania, Nordio: “Nessuno scontro con i magistrati”

Sul caso del provvedimento del tribunale di Catania, chiarisce subito, “questo ministro è in perfetta sintonia con l’indirizzo del presidente del Consiglio. Perfettamente in linea con quanto ha detto Meloni”.  Nel provvedimento, specifica, “abbiamo trovato criticità nell’interpretazione di alcune norme”. E “il ministero dell’Interno proporrà di concerto con noi ilricorso in Cassazione”. Entrando nel merito della decisione chiarisce: “Si tratta di un approfondimento tecnico la cui risoluzione devolveremo alla corte suprema di Cassazione. Abbiamo esaminato questo provvedimento con attenzione: abbiamo trovato criticità soprattutto nell’interpretazione di alcune norme che sono complesse: perché la disapplicazione dell’atto amministrativo da parte del giudice risiede addirittura in una norma del 1865: la famosa abolizione del contenzioso amministrativo”.

Caso Catania, Nordio: “Anche la magistratura ha usato espressioni non proprio pacifiste”

Pertanto, spiega il ministro della Giustizia, “vi è tutta una serie di distonie di ordine tecnico che noi stiamo già valutando insieme al ministero degli Interni. Quindi è un problema squisitamente tecnico. Che non mette minimamente in discussione l’autonomia e l’indipendenza della magistratura”. E aggiunge: “Nessuno vuole ripetere gli anni quasi ‘di piombo’ dei conflitti tra magistratura e politica. Non mi pare nemmeno peraltro che sia in atto uno scontro istituzionale, o che le espressioni della presidente del Consiglio abbiano come oggetto uno scontro istituzionale”. Così Nordio, rispondendo, a a un’interrogazione di +Europa. “La magistratura è un ordine autonomo e indipendente come statuito dalla Costituzione. Nessuno vuole mettere in discussione il patrimonio irrinunciabile della sua autonoma e indipendenza”. E conclude con una precisazione: “Anche la magistratura ha usato nei confronti del governo e del Parlamento di recente espressioni non propriamente pacifiste”.

5841.- La lotta politica attraverso i magistrati e i social, ovvero, la delegittimazione della magistratura e la fine della democrazia.

“Un’altra falsa incriminazione contro di me … un Paese in declino”.

Gli elettori democratici americani hanno innestato la marcia indietro della civiltà. Il loro programma è antidemocratico in radice perché fa uso dei magistrati locali per influenzare le decisioni su quali candidature ammettere e quali no alla presidenza, compreso il Capo dello Stato. Se pensiamo allo sbarramento che la Costituzione della Repubblica ha posto a difesa del Presidente, c’è di che riflettere.

Gli Stati uniti lasciano ai social, società private, il compito di fare da guardiani della piazza, con il potere di chiudere gli account dei candidati, eventualmente sgraditi. Nessun cittadino, nessun eletto può rivendicare il potere di sbattere la porta in faccia al proprio capo dello Stato. Questo potere non si esercita alla luce del sole, né in modo diretto, ma ha un impatto incompatibile con la democrazia e in tutto il mondo. Possiamo dire che la facoltà riconosciuta negli Stati Uniti ai Big Tech di consentire o negare l’accesso alle piattaforme che modellano la conversazione pubblica rappresenta un potere enorme nei confronti di ogni cittadino, americano e non, comunque, antidemocratico.

Assalto al Congresso

L’assalto al Congresso (keystone)

Ecco il tribunale della corte federale del District of Columbia incriminare il presidente Donald Trump, con 4 capi d’accusa, sostanzialmente per aver tentato, con argomentazioni false, di sovvertire la democrazia e di non cedere il potere. Si parla di cospirazione e Trump ha denunciato una “strumentalizzazione della giustizia”. Sul suo social network “Truth” (Verità) ha scritto: “Vogliono un’altra falsa incriminazione contro di me … un Paese in declino”..

Il Gran giurì lo accusa di aver provocato come conseguenza l’assalto del 6 gennaio 2021 al Congresso degli Stati Uniti. “Nonostante la sconfitta” l’ex presidente “era determinato a restare al potere”: “ha diffuso bugie”, si legge nelle accuse dove si fa riferimento a sei persone che hanno cospirato con Trump; si parla degli ex avvocati di Trump, Rudolph Giuliani e Sidney Powell, che, per ora, non vengono nominati.

Il procuratore speciale Jack Smith

Il procuratore speciale Jack Smith (keystone)

A seguire, il procuratore dello stato della Georgia accuserà  l’ex presidente di aver cercato di alterare il risultato delle elezioni presidenziali del 2020 nello stato del sud, ma ricordiamo bene che i dubbi di Trump, in particolare sui voti per corrispondenza, erano fondati.