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3190.- Zee, che cosa hanno deciso Italia e Grecia

di Marco Dell’Aguzzo

Zee turco-libica

L’articolo di Marco Dell’Aguzzo sull’accordo fra Italia e Grecia per la delimitazione dei confini marittimi, le Zee (Zone economiche esclusive)

… è stata una giornata storica, ha detto il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias per commentare la firma – insieme al suo omologo italiano Luigi Di Maio – dell’accordo fra Roma e Atene per la delimitazione dei confini marittimi. L’accordo amplia l’intesa del 1977 e risolve alcune dispute sui diritti di pesca nel mar Ionio, ma possiede in realtà un significato ben maggiore. Va ad inserirsi, infatti, in un quadro geopolitico particolarmente rilevante per gli interessi italiani: il Mediterraneo orientale, sede di grandi giacimenti di gas, rappresenta un’opportunità di sviluppo economico e politico per il nostro Paese. Ma le ambizioni italiane si scontrano con quelle della Turchia, che rivendica come propri alcuni tratti di mare in questa regione e che non vuole perdere la propria centralità energetica.

L’ACCORDO TRA ITALIA GRECIA E LE CONSEGUENZE REGIONALI

Siglato durante una visita ad Atene di Di Maio – ma lui e Dendias si erano già incontrati a Roma a febbraio per discutere di come approfondire la collaborazione energetica –, l’accordo di lunedì delimita le zone economiche esclusive (ZEE) di Italia e Grecia, ossia le aree marittime sulle quali ciascuna nazione possiede i diritti di esplorazione e sfruttamento delle risorse contenutevi.

L’intesa è importante per la Grecia perché rappresenta una risposta al trattato sulle ZEE firmato alla fine di novembre fra la Turchia e il governo libico di Fayez al-Sarraj. Un trattato che secondo Atene viola il diritto del mare – e che anche Roma ha definito inaccettabile – perché le rivendicazioni marittime turche si sovrappongono a quelle greche. Che il patto con l’Italia contenga anche un messaggio ad Ankara è evidente: il ministro Dendias lo ha esplicitamente paragonato all’accordo turco-libico che, al contrario di quello italo-ellenico, sarebbe stato raggiunto con metodi non validi.

Dendias ha anche dichiarato che la Grecia ha intenzione di raggiungere accordi per la delimitazione dei confini marittimi con tutti i suoi vicini; un articolo di Ekathimerini sostiene che il trattato con l’Italia apra la porta ad uno simile con l’Albania. Intanto, il 18 giugno Dendias andrà in visita al Cairo proprio per riprendere i negoziati sulle ZEE con l’Egitto.

LA QUESTIONE EASTMED

Italia, Grecia, Egitto e Turchia – ma anche Israele e Cipro – sono tutti legati nel grande gioco energetico che prosegue da anni nel Mediterraneo orientale, dove sono stati scoperti importanti giacimenti di gas. Considerata la vicinanza tra questi depositi e la loro ricchezza, si è da subito iniziato a discutere di come gestire l’esportazione del gas estratto verso l’Europa.

Una delle ipotesi prese in considerazione è quella del gasdotto EastMed. L’opzione, benché costosa, piace all’Unione europea perché le consentirebbe di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico e ridurre così la dipendenza dal gas russo. E piace, all’incirca per lo stesso motivo, anche agli Stati Uniti: l’EastMed diminuirebbe l’influenza di Mosca sul Vecchio continente (al contrario del Nord Stream 2 tra Russia e Germania, al quale Washington infatti si oppone).

EastMed non piace invece alla Turchia, che non vuole cedere ad Italia e Grecia il ruolo di hub energetico, di “intermediario” fra il Medio Oriente (dove si produce il gas) e l’Europa (dove lo si consuma). L’accordo sulla ridefinizione delle ZEE con la Libia serve allora al governo di Recep Tayyip Erdogan per rallentare l’avanzata del progetto, che dovrebbe passare per tratti di mare rivendicati da Ankara.

Oltre a questo, la Turchia non vuole venire esclusa dallo sfruttamento degli idrocarburi nelle acque del Mediterraneo orientale: una questione che si collega alle dispute territoriali fra la Turchia da un lato; Cipro, la Grecia e l’Egitto dall’altro.

Nonostante possieda un valore geopolitico per Bruxelles, l’EastMed si è rivelato un progetto costoso e potrebbe per questo venire accantonato in favore di opzioni più convenienti. Come ad esempio il trasporto del gas dalle coste israeliane a quelle egiziane, dove verrebbe liquefatto ed esportato via metaniere: un’opzione che potrebbe comunque soddisfare l’Italia, visto che l’impianto nella città di Damietta è di proprietà, in parte, di Eni.

Tripoli si è alleata saldamente con Ankara con un accordo che minaccia la stabilità in tutto il Mediterraneo orientale e coinvolge Grecia, Cipro, Egitto e Israele.
In dispregio all’Alleanza Atlantica, la politica espansiva di Erdogan vorrebbe fare della Turchia una grande potenza, che assolutamente non è. Dal suo canto, l’Italia, in Mediterraneo, non è rappresentata al livello che le compete, ma c’è ancora l’ENI.

1679.- Cipro, Eni rinuncia: la nave Saipem fa dietrofront. Media greci: “I turchi hanno minacciato di speronarla”

Ennio Remondino, dal suo blog, annuncia: “..La prova di forza di Erdogan è soltanto il segnale più evidente di una partita energetica strategica che coinvolge tutti i Paese di Mediterraneo orientale.” Per noi, Gentiloni non è stato in grado di mediare e l’ENI ne paga il prezzo.
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In un crescendo di pressioni, il Sultano cerca da cinque anni di bloccare le trivellazioni dell’Eni a Cipro

Che cos’altro deve accadere perché noi europei ci si renda conto che non viviamo fuori dalla storia, in un giardino dell’Eden dove armoniosamente coltiviamo i nostri valori (quali?), retto dal diritto internazionale e dalle regole del buon vicinato? A ricordarcelo dovrebbe bastare il clima di scontro permanente e astioso che si è creato fra i principali paesi europei, Italia compresa, e la Turchia del presidente/sultano Recep Tayyip Erdogan. Bisogna spalancare la cartina geografica, seguire le tracce dei tubi con il dito, per capire come l’ambizione italiana di diventare lo snodo europeo del gas si scontri sempre più con le mire di Recep Erdogan. È la sua Turchia il crocevia da cui oggi passano alcune delle principali rotte del metano verso l’Unione. Sempre lui, attorno alla questione siriana, ha saldato un legame con Putin basato anche su nuovi gasdotti alimentati dalla Russia che approderanno in Anatolia. La Saipem 12000 per la trivellazione era stata fermata a sud della zona Economica Esclusiva di Cipro, a circa 30 miglia dal giacimento da perforare. Ankara ha minacciato di speronarla in acque internazionali, perché il “Giacimento è nostro”. Alcune delle aree marittime in cui sono previste trivellazioni, come il blocco 3 delle acque esclusive di Cipro, sono infatti reclamate dalla Turchia attraverso lo Stato turco-cipriota, che ne rivendica diverse porzioni. E le perforazioni Eni diventano ‘una minaccia per Cipro nord’.

Eni e Saipem non sono la prima prova di forza turca. Oltre a criticare le esplorazioni straniere e rivendicare una porzione dei giacimenti al largo delle coste cipriote, la Turchia aveva già compiuto azioni di disturbo in acque cipriote affidate alla marina militare. Nel 2014, tocca ad una nave di ricerca norvegese nelle acque cipriote, e pochi mesi dopo la nave turca Barbaros entra come fosse a casa sua nelle acque esclusive di Cipro.

La Turchia muscolare di Erdogan

“Non solo Eni e non solo Italia, dunque. Nelle scorse ore, la tensione si è estesa anche più a nord, nel mar Egeo, dove due motovedette delle guardie costiere di Grecia e Turchia si sono scontrate nei dintorni di Kardak, una coppia di piccoli isolotti disabitati nel Mar Egeo rivendicati da entrambe le nazioni. Secondo alcune ricostruzioni, la motovedetta turca avrebbe speronato quella greca, scatenando l’indignazione e la protesta di Atene.

Russian spy ship Liman collides with a freighter off Turkey's coast

Quasi a voler confermare la portata del proprio interesse per i giacimenti di gas, scrive Riccardo Intini su EstWest.eu, la Turchia ha recentemente annunciato l’acquisto della Deepsea Metro II, una nave di perforazione pagata 210 milioni di dollari e attualmente attraccata a Istanbul. Considerando le ambizioni turche nel Mediterraneo orientale, si tratta certamente di un’operazione significativa, specialmente alla luce di quanto accaduto.

Quel petrolio che manca alla Turchia

L’interesse nei confronti del gas cipriota è facilmente spiegabile: una parte del gas estratto potrebbe essere convogliata dall’EastMed, una delle infrastrutture energetiche più imponenti e ambiziose dell’Europa meridionale. Il gasdotto -la costruzione dovrebbe iniziare nel 2021- ha l’obiettivo di connettere i giacimenti israeliani e ciprioti alla Grecia e all’Italia, collegamento tra il Mediterraneo orientale e la rete energetica Europa.

Ma il gasdotto, costo oltre i 6 miliardi di euro, aggirerebbe la Turchia. Problemi energetici e di ‘potenza’ e Ankara in tensione con mezzo mondo. Da Cipro all’Egitto, che vanta un accordo per l’esplorazione delle acque cipriote. Con Israele, che dovrà decidere se indirizzare le proprie esportazioni energetiche verso la Turchia o verso l’Egitto, al largo del quale si trova il colossale giacimento Zohr, altra scoperta Eni.”

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A nulla è valsa la protesta all’Ue, né la voce alta di Tajani. Ancora meno è valso mobilitare la Marina con le fregate Zeffiro ed Euro, che, nella migliore tradizione, hanno girato subito la poppa. L’Euro, sempre rapidamente, ha fatto rotta verso la Spagna e Cartagena per unirsi a chi? alla NATO. Il Mediterraneo è uno scenario in cui l’Italia di napolitano, Mattarella e Gentiloni è sempre meno protagonista.

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Bloccata da giorni per le pressioni di Ankara che le hanno impedito di raggiungere la zona di trivellazione concordata con le autorità dell’isola. Ora fa rotta verso il Marocco

La nave per ricerche petrolifere ‘Saipem 12000’ ha abbandonato l’area di mare a Sud Est di Cipro dove era stata bloccata dalla marina militare turca e si prepara a spostarsi verso il Marocco. Fra l’altro secondo i media greci e greco-ciprioti, questa mattina i turchi avrebbero costretto la ‘Saipem 12000’ a cambiare rotta dopo averla minacciata di speronamento. Secondo questa versione il comandante della ‘Saipem 12000’, in un ultimo tentativo di raggiungere la zona di esplorazione a lui assegnata, avrebbe messo i motori al massimo e provato ad aggirare il blocco di 5 unità militari turche. Ma una motovedetta turca ha iniziato ad avvicinarsi alla Saipem. Secondo la versione del Ministero della Difesa italiano non ci sarebbe stato tentativo di speronamento: la fregata Zeffiro della Marina Militare era in zona ed ha seguito gli eventi.

A questo punto la Saipem, dopo alcuni scambi via radio con i turchi, ha cambiato la sua rotta, dirigendosi verso il porto cipriota di Limassol per rifornimento, in vista di un possibile trasferimento per altre operazioni in Marocco. Proprio ieri l’amministratore delegato di Eni Claudio De Scalzi aveva ventilato la possibilità di utilizzare la nave in Marocco, ma aveva anche detto “non ci ritiriamo da Cipro, siamo abituati ad avere possibili contenziosi. Dipende ora dalle decisioni che verranno prese da Cipro Nord e Cipro Sud. Abbiamo dei permessi che durano moltissimi anni”.

Secondo il ministro dell’energia di Cipro Giorgios Lakkotrypis (il cui governo ha dato i permessi di esplorazione all’Eni), era stato concordato con l’Eni un ultimo tentativo di raggiungere la zona di esplorazione, ed evidentemente stamattina queste sono state le direttive date al comandante. La Saipem era ancorata a circa 30 miglia dall’area di ricerca petrolifera in cui i turchi le hanno vietato l’ingresso il 9 febbraio, minacciando l’uso della forza. Da allora sono partiti
negoziati politici con la Turchia, mediati dall’Unione Europea, e Cipro aveva allertato anche la Nato, di cui la Turchia stessa è Paese membro.

LA GUERRA DEL GAS NEL MEDITERRANEO

La zona delle acque di Cipro dove è andata a trivellare il gas la Saipem 12000, la nave piattaforma dell’Eni ora bloccata dalla Marina militare turca, è territorialmente contesa da anni. Il contratto è stato firmato dall’azienda italiana con la Repubblica di Cipro (greca). Ma l’area è ad alta appetibilità per le risorse naturali recentemente scoperte. Il clima con la Turchia è di scontro permanente. Ridurre tutto alla personalità di Erdogan sarebbe fuorviante.

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La nave Saipem 12000, capace di perforare fondali marini da 4mila metri con scarti di soli 25 centimetri, è un gioiellino invidiatoci da tutte le grandi compagnie petrolifere. Ma i gioiellini costano. E questo spiegano all’Eni divora dai 500mila ai 600mila dollari al giorno. Così lo scherzetto del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che sabato ha mandato una fregata a bloccare la nave da ricerca al largo di Cipro, è già costato all’Eni oltre due milioni di euro. E altri ne andranno in fumo visto che le diplomazie non sembrano esattamente in frenetica attività.
L’Unione Europea, in attesa del risveglio di una Federica Mogherini in altre faccende affaccendata fa parlare i suoi portavoce. «È necessario che la Turchia mantenga relazioni di buon vicinato ed eviti qualsiasi genere di azione, frizione, minaccia o azioni dirette contro uno stato membro», faceva sapere lunedì la Commissione Europea. Parole a cui un Erdogan, abituato a ben altro, ha subito risposto con nuove minacce a Nicosia e – indirettamente – all’Eni e all’Italia: «Gli opportunistici tentativi riguardo alle esplorazioni di gas al largo di Cipro – sbraita – non ci sfuggono. Chi fa male i propri calcoli e si spinge al di là del consentito è avvisato». Per il Sultano la questione è semplice. A sentir lui gli eventuali giacimenti di gas scoperti nella cosiddetta «Zona Economica Esclusiva» concordata da Nicosia con Onu e Ue vanno divisi con il governo fantoccio mantenuto in piedi da Ankara nel nord dell’isola. In verità quel gas servirebbe a Erdogan per soddisfare le esigenze energetiche di una Turchia costretta, vista la dipendenza dal gas russo, a subire i diktat di Vladimir Putin. E così in questo gioco di rappresaglie incrociate Italia, Eni ed Europa si ritrovano a sottostare ai ricatti del Sultano. Ricatti particolarmente oltraggiosi per un’Italia che solo dieci giorni fa lo ha accolto con tutti gli onori. Onori non certo ricambiati, visto che il presidente turco non ha atteso neppure il rientro ad Ankara per rivelare come il solo e unico obbiettivo del viaggio fosse quello d’intimidire il nostro governo per convincerlo a bloccare le prospezioni dell’Eni. Operazione evidentemente riuscita visto il tono – sommesso e sottomesso – mantenuto dal nostro governo anche dopo l’arrembaggio della marina di Ankara. L’auspicio di una «soluzione condivisa» è stato il massimo dell’autorevolezza espressa dal ministro degli esteri Angelino Alfano (!) nel corso di un incontro in Kuwait con il suo omologo turco Mevlut Cavusoglu.