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5865.- Gabon. Chi è Oligui Nguema, ex aiutante di campo che ha rovesciato Bongo, con proprietà negli USA

La Francia si auto esclude e ci danneggia

Ex colonia francese, governata dai Bongo dal 1967, il Gabon è un Paese produttore di petrolio, con la Total in prima fila. Tra le sue ricchezze anche il manganese, estratto dal gruppo parigino Eramet. Nel corso degli anni, la Francia ha sostenuto politicamente sia Omar Bongo che il figlio Ali . Il potere era gestito come un affare di famiglia e il malcontento della popolazione non era un mistero. Bongo avrebbe vinto in tre province su nove, quelle orientali, mentre nelle altre sei ha prevalso lo sfidante Albert Ondo Ossa. Per questo era prevedibile ciò che è successo. Un altra ribellione al sistema di potere neocolonialista di Parigi, che per questi popoli che vivono al di sotto della soglia di povertà si confonde con tutta l’Europa. Chi rivolge le sue preoccupazioni al futuro di Ali Bongo fa un favore a Putin.

Il Gabon è legato alle influenze cinesi nell’Africa Centrale e, infatti – cosa rara -, il governo cinese ha chiesto immediatamente ai golpisti di reintegrare Ali Bongo alla presidenza: “La Cina segue da vicino gli ultimi sviluppi in Gabon, invitiamo tutte le parti in Gabon di agire secondo gli interessi fondamentali del Paese e della gente, di risolvere le differenze attraverso il dialogo e ripristinare l’ordine normale il prima possibile e di garantire la sicurezza personale del presidente Bongo, al fine di sostenere la pace e la stabilità nazionali”.

Dopo il golpe, naturalmente antifrancese, il Gruppo Bollorè e il Gruppo parigino Eramet hanno sospeso le loro attività e decine di cargo, portaconteiner e petroliere sono all’ancora di fronte a Port-Gentil, principale porto del paese perché non possono attraccare. La Francia sta perdendo i suoi contatti, non mostra di voler passare il testimone, ma questo colpo di Stato militare è il quinto in tre anni nella regione. Come quello del Niger, destabilizza ancor più una regione dove gli interessi europei e di altre potenze la fanno da padrone su una popolazione estremamente povera e dove solo pochi detengono la maggioranza della ricchezza nazionale.

Chiunque sia a capo dell’immigrazione, è evidente che agli africani non basta emigrare. I governi e le organizzazioni internazionali hanno di fronte la folla e la sua festa, le sue grida di giubilo per la conquistata libertà da un regime che sembrava inossidabile, anche se a rovesciarlo sono stati la potente guardia presidenziale e l’esercito, quell che di fatto lo sostenevano.

Macron condanna il colpo di Stato, ma l’opposizione francese risponde: «Supporto incondizionato della Francia a un regime insopportabile: gli africani hanno voltato pagina»

francese, la missione in Gabon conta al momento 370 soldati dispiegati in modo permanente. Gli interessi economici, del resto, sono tanti ed evidenti. In Gabon opera, ad esempio, il gruppo minerario francese Eramet, attivo nell’estrazione del manganese (minerale essenziale, ad esempio, per la produzione di acciaio inossidabile). Il gigante, che ha sede a Parigi, ha dovuto annunciare nelle scorse ore uno stop delle operazioni: «In seguito agli ultimi avvenimenti in corso», il gruppo ha «messo fine» alle sue attività in Gabon e «monitora» la situazione per «proteggere la sicurezza del personale e l’integrità delle strutture», ha fatto sapere Eramet, che in Gabon conta 8 mila dipendenti. L’annuncio ha fatto crollare le azioni Eramet alla Borsa di Parigi, con un calo del 18,83% a 61,85 euro intorno alle 9.55.

Ma il Gabon basa la propria economia soprattutto sull’esportazione di prodotti fossili, dal gas naturale al petrolio, passando anche per il carbone. E qui, ancora, la Francia conta ancora diversi investimenti. TotalEnergies, compagnia petrolifera francese con sede a Parigi, è il principale distributore di prodotti petroliferi del Gabon, con 45 impianti e 350 dipendenti. Nelle ore seguenti il golpe, Total ha affermato di aver preso provvedimenti per garantire la sicurezza dei propri dipendenti e delle sue operazioni in Gabon. 

Chi è Oligui Nguema, ex aiutante di campo che ha rovesciato Bongo, con proprietà negli USA

Da RAINews del 31 agosto 2023

Già “aiutante di campo” dell’ex presidente Omar Bongo, poi nominato dal figlio Ali capo d’intelligence della Garde républicaine, un corpo militare di elite: questo il curriculum essenziale del generale Brice Oligui Nguema, alla guida della giunta che ha preso il potere in Gabon. Dopo il golpe di ieri, l’ufficiale è stato portato in trionfo dalle truppe nella capitale Libreville

Il generale era stato molto vicino a Omar Bongo tra il 2004 e il 2009, l’anno della morte del presidente e dell’ascesa al potere del figlio. Secondo una ricostruzione dell’emittente radio France International, in quella fase di transizione Nguema era stato accusato di aver appoggiato un fallito tentativo di golpe contro Ali. Nel corso del processo, però, non era emersa alcuna responsabilità specifica. Nel 2020 il generale era stato invece toccato da un’inchiesta condotta dal gruppo Organized Crime and Corruption Reporting Project: stando all’indagine, l’ufficiale avrebbe diverse proprietà negli Stati Uniti, per un valore totale di un milione di dollari. Nel 2018, sempre secondo l’inchiesta, avrebbe pagato 447mila dollari in contanti per acquistare una proprietà nella città di Silver Spring, nel Maryland. A chi gli aveva chiesto l’origine di quei fondi, il generale aveva risposto: “Credo che anche in Francia o negli Stati Uniti la vita personale sia vita personale e dovrebbe essere rispettata”. 

Chi è Oligui Nguema, ex aiutante di campo che ha rovesciato Bongo, con proprietà negli Usa
Già “aiutante di campo” dell’ex presidente Omar Bongo, poi nominato dal figlio ali capo d’intelligence della Garde républicaine, un corpo militare di elite: questo il curriculum essenziale del generale Brice Oligui Nguema, alla guida della giunta che ha preso il potere in Gabon. Dopo il golpe di ieri, l’ufficiale è stato portato in trionfo dalle truppe nella capitale Libreville.

Il generale era stato molto vicino a Omar Bongo tra il 2004 e il 2009, l’anno della morte del presidente e dell’ascesa al potere del figlio. Secondo una ricostruzione dell’emittente radio France International, in quella fase di transizione Nguema era stato accusato di aver appoggiato un fallito tentativo di golpe contro Ali. Nel corso del processo, però, non era emersa alcuna responsabilità specifica. Nel 2020 il generale era stato invece toccato da un’inchiesta condotta dal gruppo Organized Crime and Corruption Reporting Project: stando all’indagine, l’ufficiale avrebbe diverse proprietà negli Stati Uniti, per un valore totale di un milione di dollari. Nel 2018, sempre secondo l’inchiesta, avrebbe pagato 447mila dollari in contanti per acquistare una proprietà nella città di Silver Spring, nel Maryland. A chi gli aveva chiesto l’origine di quei fondi, il generale aveva risposto: “Credo che anche in Francia o negli Stati Uniti la vita personale sia vita personale e dovrebbe essere rispettata”.

L’Unione africana sospende il Gabon

Il Consiglio di pace e sicurezza dell’Unione africana (Ua) si è riunito ieri per “esaminare la situazione in Gabon” e Il presidente della commissione Moussa Faki Mahamat ha annunciato di aver “sospeso immediatamente” il Gabon in seguito al colpo di stato militare. L’organismo (fondato il 9 luglio 2002 da Muammar al-Qaddafi) ha affermato su X che “condanna fermamente la presa del potere militare nella Repubblica del Gabon, che ha deposto il presidente Ali Bongo il 30 agosto 2023, e decide di sospendere immediatamente la partecipazione del Gabon a tutte le attività dell’Ua, dei suoi organi e istituzioni”. L’Unione Africana ha deciso di confermare le sanzioni ai danni di Sudan, Mali, Burkina Faso, Guinea e Niger, sospesi momentaneamente dell’Unione in quanto attanagliati dalle conseguenze dei colpi di stato messi in atto da giunte militari.

Mentre la Russia appoggia la missione militare della compagnia mercenaria Wagner in Mali, le bandiere russe sventolano nel Niger, l’Ue, con Borrell respinge qualsiasi presa di potere con la forza e l’Unione africana sospende il Gabon, come già il Mali, il Burkina Faso, il Sudan e il Niger; ma, in Gabon la folla esulta dopo il colpo di Stato che ha deposto il presidente eletto Ali Bongo

Golpe in Gabon, il generale Nguema giurerà lunedì, l'opposizione: "concludere spoglio dei voti"

Di fatto, dopo il Niger anche il Gabon “caccia” la Francia dal Paese, ex colonia francese. 

Ecowas preoccupata per il golpe: “Contagio autocratico”, ha condannato il golpe in Gabon esprimendo ”profonda preoccupazione per la stabilità sociopolitica  del Paese” e per il ”contagio autocratico che sembra diffondersi in diverse regioni del nostro amato continente”. Così il presidente della Nigeria Bola Ahmed Tinubu, attuale leader di Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale.

Bene Tajani: in Africa Ue lavori a diplomazia, no a uso armi 

“In Niger a in Gabon c’è una situazione di instabilità con una serie di golpe militari con un effetto domino. Chiediamo sempre una soluzione diplomatica in cui l’Europa sia presente ma mai dia l’idea di essere una nuova colonizzatrice. Abbiamo apprezzato le proposte di mediazione algerina. Un intervento militare creerebbe nuove complicazioni e aumenterebbe i flussi migratori. Sulle sanzioni in niger valuteremo ma serve una soluzione diplomatica che non appaia una scelta anti africana, serve sempre grande prudenza”. Lo afferma il ministro degli esteri, Antonio Tajani, arrivando alla riunione informale dei ministri degli esteri Ue. 

5864.- Gabon. Colpo di Stato contro la Dinastia Bongo e il neocolonialismo. La Francia di Macron nel panico (F.B.)

Un altro colpo duro alla Françafrique. Vedremo quanto vale il Governo Meloni se riuscirà a sopperire ai disastri della Françafrique, restando a braccetto con Macron e Von der Leyen. Nè con questa Unione europea né con la Francia, il nostro Nuovo Piano Mattei prenderà forma e sostanza e, nemmeno, obbedendo ai diktat di Washington. Non dovranno essere Cina e Russia a dettare i tempi.

Dal FarodiRoma, 30/08/2023

Alti ufficiali della Guardia Repubblicana, Gendarmeria ed Esercito Nazionale alle prime ore di oggi, mercoledì 30 agosto hanno annunciato alla televisione nazionale di aver “posto fine alla Dinastia Bongo”, che dura dal 1967 con Bongo Padre: Omar Bongo Ondimba che nel 2009 passò il “regno” al figlio Ali Bong Obdimba. Questi alti ufficiali, informano che hanno creato un governo transitorio: il Comitato per la Transizione e il Ripristino delle Istituzioni – CTRI. La famiglia Bongo è lo strumento della Francia per governare il ricco e strategico Paese dell’Africa Occidentale. La storia dei Bongo è costernata di colossali furti, corruzione, brutali violazioni dei diritti umani e grandi affari con gli imprenditori francesi. Il Gabon era il giardino dietro casa di Parigi.

Cosa è veramente successo in Gabon? Come è possibile che una Dinastia con pieno appoggio militare, economico e politico della Francia, possa crollare in meno di 24 ore dopo 56 anni di brutale e incontrastato regno? Le scarne e parziali notizie scritte dai “bianchi” e forniteci dai media occidentali non offrono risposte adeguate a queste cruciali domande. Quindi rivolgiamo l’attenzione ai media africani, soprattutto a quelli gabonesi.

Gabon Info341 ci informa che il golpe è avvenuto tra la notte del 29 e 30 agosto subito dopo l’annuncio della Commissione Elettorale della vittoria di Ali Bongo alle presidenziali svoltesi sabato 26 agosto. Secondo la Commissione Bongo aveva ricevuto il 64,27% dei voti contro il 30,77% del suo principale rivale Albert Ondo Ossa. I risultati ufficiali sono stati dati nel cuore della notte, alle 3.30 (2.30 GMT), dalla televisione di Stato senza che fosse stato fatto alcun annuncio in anticipo dell’evento.

A seguito delle denunce da parte del leader dell’opposizione Ondo Ossa di pesanti frodi elettorali la Dinastia Bongo aveva decretato il coprifuoco e bloccate la connessione internet e linee telefoniche, per scongiurare la diffusione di “notizie false” e di “violenze”. Da sabato sera a martedì la Direzione Generale della Contro Insorgenza e della Sicurezza Militare – DGCISM (la guardia pretoriana della Famiglia Bongo formata da elementi dell’etnia dei Bongo) aveva arrestato oltre 150 leader e simpatizzanti dell’opposizione tra cui il porta parola della piattaforma Alternance2023, Francky Meboon.

E’ parere condiviso da tutti i media gabonesi che il golpe sia stato il frutto di un accordo tra gli ufficiali delle Forze Armate e il leader dell’opposizione Albert Ondo Ossa (che avrebbe riportato la vittoria nelle elezioni, negata dalla Dinastia Bongo). Ondo Ossaa aveva denunciato “una frode orchestrata dal campo Bongo” due ore prima della chiusura delle votazioni di sabato, rivendicando la vittoria. Lunedì il suo schieramento aveva esortato il dittatore Ali Bongo ad “organizzare, senza spargimento di sangue, il trasferimento del potere”.

Gabon Media Time e Gabon24 TV illustrano in modo chiaro le prime decisioni del Comitato per la Transizione e il Ripristino delle Istituzioni – CTRI. Frontiere chiuse fino a nuovo avviso. Elezioni annullate. Scioglimento di tutte le istituzioni della Repubblica. Gabon 1ere TV (la rete nazionale gabonese) e il quotidiano GabonActu stamattina alle ore 10:30 (09:30 GMT) annunciano l’irreversibilità del colpo di Stato affermando che il dittatore Ali Bongo è stato arrestato e posto su residenza sorvegliata.

Le reazioni della Francia e della NATO 

Al momento l’Eliseo (impegnato nel braccio di ferro con il nuovo governo del Niger) non si è ancora ufficialmente espresso, ma i principali media francesi pongono l’accento sulla vittoria elettorale di Ali Bongo senza accennare alle palesi frodi compiute. Una tattica mediatica per raffigurare il dittatore come un “legittimo e democratico” Capo di Stato. Evitano accuratamente di trasmettere le immagini del sostegno di massa ai golpisti da parte della popolazione gabonese che ha organizzato decine di manifestazioni di gioia nella capitale e nelle principali città del Paese.

I gabonesi sono con i golpisti, l’Unione europea è con la Francia e questa è con la Dinastia Bongo. Putin ha gioco facile. Foto da IlFarodiRoma del 31 agosto 2023.

La NATO e i ministri della difesa della UE si riuniranno in emergenza per discutere della situazione in Gabon, riferisce il capo della politica estera dell’Unione Europea, Josep Borrell, noto per il suo incondizionato appoggio al regime neonazista ucraino.

“Se il golpe in Gabon fosse confermato, si tratterebbe di un altro colpo di stato militare che aumenterebbe l’instabilità nell’intera regione. L’intera area, a cominciare dalla Repubblica Centrafricana, poi dal Mali, poi dal Burkina Faso, ora dal Niger, forse dal Gabon, si trova in una situazione molto difficile e certamente i ministri devono riflettere profondamente su cosa sta succedendo lì e su come possiamo migliorare la nostra politica nei confronti di questi paesi”, ha detto Borrell parlando ad una riunione dei ministri della Difesa dell’UE a Toledo, in Spagna.

Quali conseguenze per la Francia? Il Colpo di Stato in Gabon, avviene un mese dopo quello in Niger. Considerando che il Ciad sta addottando una politica ambigua che tende a sganciarsi dalla sfera di influenza francese, il golpe del Gabon rappresenta un grave avvenimento che può spingere altre colonie francesi a ribellarsi: Benin, Costa d’Avorio, Mauritania, Senegal, Togo. 

Nel caso specifico del Gabon la Francia da 56 anni detiene il controllo assoluto dell’economia del Paese tramite la Dinastia Bongo. La Total controlla la maggioranza della produzione petrolifera che rappresenta il 53% del PIL, 79% dei proventi delle esportazioni; risorse minerarie, magnesio in testa, sono gestite dalla società Comilog, controllata al 66% dalla società francese Rougier; la multinazionale francese della logistica, Ballorè gestisce i principali porti gabonesi.

Come in Niger e in altre colonia africane, anche in Gabon, il colonialismo francese ha effetti nefasti sulla popolazione e sullo sviluppo nazionale. Il Paese è vittima degli effetti perversi dei proventi petroliferi e minerari che sono ad esclusivo vantaggio della Famiglia Bongo e della Francia. Questo impedisce che le immense riserve petrolifere e minerarie siano usate per sviluppare il Paese, migliorare l’istruzione, la sanità, creare un tessuto industriale autoctono. Con una popolazione di 2,25 milioni di persone il Il 30% dei gabonesi vive sotto la soglia della povertà mentre il 40% della popolazione di età compresa tra 15 e 24 anni è senza lavoro. il Gabon è un Paese povero, tragicamente privo di manodopera qualificato e con una palese carenza di sovranità.

Al momento è ancora presto per comprendere le conseguenze di questo golpe sulla Francia e sui suoi “possedimenti africani d’oltre mare”. Si può solo notare che Ballorè ha sospeso le sue operazioni presso il principale porto del Gabon a Libreville e che la la società mineraria francese Eramet ha annunciato la sospensione delle operazioni in Gabon.

L’esercito aveva tentato di rovesciare il dittatore Ali Bongo nel 2009 tramite un tentativo di colpo di Stato che fu sventato grazie ai servizi di Intelligence della Francia. Quattro Generali golpisti furono arrestati mentre un quinto riuscì a scappare all’estero. Il Golpe di ieri sera ha colto di sopresa sia la Famiglia Bongo che la Francia.

Ecco la traduzione integrale del comunicato dei Generali golpisti gabonesi trasmesso sulla TV nazionale e da AGP (Agenzia di Stampa Gabonese).

“Il nostro bellissimo paese, il Gabon, è sempre stato un’oasi di pace. Oggi questo paese attraversa una grave crisi istituzionale, politica, economica e sociale.
Inoltre le elezioni generali del 26 agosto 2023, non hanno soddisfatto le condizioni per uno scrutinio trasparente, credibile e inclusivo tanto sperato dai gabonesi e dai gabonesi. A ciò si aggiunge una governance irresponsabile e imprevedibile che si traduce in un continuo deterioramento della coesione sociale che rischia di portare il Paese al caos.

Oggi, 30 agosto 2023, le forze di difesa e di sicurezza, riunite nel Comitato per la transizione e il ripristino delle istituzioni (CTRI), a nome del popolo gabonese e garante della protezione delle istituzioni, hanno deciso di difendere la pace ponendo fine al regime in vigore. A tal fine, le elezioni generali del 26 agosto 2023 e i relativi risultati vengono annullati. Le frontiere sono chiuse fino a nuovo avviso. Vengono sciolte tutte le istituzioni della Repubblica, in particolare il governo, il Senato, l’Assemblea nazionale, la Corte costituzionale, il Consiglio economico, sociale e ambientale (CESE), il Centro elettorale gabonese (CGE).
Invitiamo la popolazione, le comunità dei paesi fratelli insediatisi in Gabon e i gabonesi della diaspora alla calma e alla serenità.
Riaffermiamo il nostro attaccamento al rispetto degli impegni del Gabon nei confronti della comunità nazionale e internazionale.
Popolo del Gabon, è finalmente (iniziato) il nostro volo verso la felicità.
Possano Dio e i fantasmi dei nostri antenati benedire il Gabon. Onore e fedeltà alla patria. Vi ringrazio”.

La giunta militare conferma inoltre che il dittatore Ali Bongo è agli arresti domiciliari assieme alla sua famiglia e in compagnia del suo medico personale.
Informa inoltre che sono stati spiccati mandati di arrestri contro vari membri della famiglia Bongo, del governo e del Parlamento accusati di: alto tradimento contro le istituzione dello Stato; furto organizzato e sistematico del denaro pubblico; malveversazione finanziaria internazionale; falso e uso di falso, falsificazione della firma del Presidente della Repubblica; corruzione attiva; traffico di droga…

Fulvio Beltrami 

Nella foto: la popolazione in giubilio saluta i reparti militari dei golpisti che hanno destituito il dittatore Ali Bongo.

5828.- Niger. Cosa farà la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentali?

Alcune considerazioni

Mentre Nigeria, Benin, Costa d’Avorio premono per l’azione militare “il prima possibile”, il presidente della Commissione della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, Ecowas, Omar Touray, ha ribadito “il continuo impegno per il ripristino dell’ordine costituzionale, attraverso mezzi pacifici”.  I toni forti di Nigeria, Benin, Costa d’Avorio e l’assurda minaccia dei golpisti di sopprimere il presidente Bazoum. La mobilitazione della forza d’intervento della Cedeao richiede tempo, che lascia spazio ai negoziati e questo tempo ha fatto parlare di approvazione da parte del capo della diplomazia Usa, Antony Blinken, secondo il quale gli Stati Uniti sosterrebbero l’azione della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) nei confronti del Niger, ma Blinken non ha approvato esplicitamente l’opzione militare. La situazione è fluida e foriera di gravi sviluppi, anzitutto, per tutto il Sahel, che rischia di cadere nell’orbita della Federazione Russa. La Wagner è sempre attiva. Con il presidente Bazoum, il Niger era assunto al rango di partner militare dell’Unione Europea e degli Stati Uniti nel Sahel. La tentazione dell’Unione Europea di intervenire negli affari interni del Niger in nome della cosiddetta democrazia, dimostra insicurezza e non tiene conto del fatto che alcuni Stati membri della Cedeao, vale a dire il Mali, il Burkina Faso e la Guinea, sono governati da regimi militari instauratisi tramite colpi di Stato, né più né meno come quello avvenuto il 26 luglio in Niger. Il possibile intervento militare di Nigeria, Benin, Costa d’Avorio, che ristabilisse lo status quo ante a Niamey, metterebbe a rischio la loro legittimità; infatti, Mali e Burkina Faso, hanno dichiarato che in caso di attacco essi si schiereranno in difesa dell’attuale governo nigerino. Si spiega così “il prima possibile” dichiarato dal presidente della Costa d’Avorio Alassane Ouattara al termine del summit straordinario di Abuja sulla crisi nel Niger. Molte di queste considerazioni non sembrano essere condivise dai funzionari dell’Unione europea, che preferiscono prendere partito e sostenere il presidente deposto e hanno iniziato a ragionare di sanzioni da imporre ai membri della giunta militare che ha preso il potere. Non sembra opportuno non avere conto delle dimostrazioni a favore del colpo di stato e anche le loro bandiere russe devono avere un significato. Sarebbe interessante sentire il parere del comandante del nostro contingente in Niger. La strada del Nuovo Piano Mattei si annuncia in salita.

Niger, l’Ecowas dà il via libera all’azione militare | I golpisti: “Se intervenite, uccidiamo il presidente”

TGCOM24,11 agosto 2023

Intanto i militari che hanno preso il potere formano un governo con 21 ministri, molti dei quali sono generali che hanno partecipato al colpo di Stato. L’Ue prepara sanzioni

Niger, l'Ecowas dà il via libera all'azione militare | I golpisti: "Se intervenite, uccidiamo il presidente" - foto 1
Afp

La giunta militare golpista in Niger ha formato un governo

Lo ha reso noto il leader dei golpisti, il generale Abdourahamane Tiani. L’esecutivo, composto di 21 membri, è guidato dal primo ministro Ali Mahaman Lamine Zeine. Poche ore dopo l’annuncio, si è tenuto ad Abuja il vertice della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), che, dopo aver detto di voler cercare il dialogo, ha dato il via libera a un’azione militare “il prima possibile”. I golpisti avvertono: “Se l’Ecowas interviene militarmente uccideremo il presidente”.

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Ventun ministri nel nuovo governo

 La giunta militare che ha preso il potere in Niger il 26 luglio ha formato un nuovo governo composto da 21 ministri: il primo ministro è Ali Mahaman Lamine Zeine e Difesa e Interno sono stati assegnati a generali che hanno partecipato al golpe. Lo riferisce La Libre Belgique, citando un decreto firmato dal nuovo uomo forte di Niamey, il generale Abdourahamane Tiani.

Il documento è stato letto dalla tv nazionale nella notte, a poche ore dal nuovo vertice dei Paesi della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) convocato ad Abuja sulla situazione in Niger.

Ecowas dà il via libera all’operazione militare

 Ad annunciarlo è stato il presidente della Costa d’Avorio Alassane Ouattara al termine del summit straordinario di Abuja convocato sulla crisi nel Paese governato dai golpisti. “I capi di stato maggiore faranno altre riunioni per finalizzare le cose ma hanno l’accordo della conferenza dei capi di Stato affinché l’operazione inizi il prima possibile”, ha detto. Ouattara ha indicato che la Costa d’Avorio fornirà “un battaglione” da 850 a 1.100 uomini, insieme a Nigeria e Benin in particolare, e che “altri paesi” si uniranno a loro. “I golpisti possono decidere di partire domani mattina e non ci sarà nessun intervento militare, tutto dipende da loro”, ha insistito, aggiungendo: “Siamo determinati a reinstallare nelle sue funzioni il presidente Bazoum”. Indicazioni più sfumate sono invece arrivate dal presidente della Commissione Ecowas, Omar Touray, che ha ribadito “il continuo impegno per il ripristino dell’ordine costituzionale, attraverso mezzi pacifici”. 

Blinken: Usa appoggiano decisione Ecowas

 Il capo della diplomazia Usa, Antony Blinken, ha dichiarato che il suo Paese sostiene l’azione della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) nei confronti del Niger, senza però approvare esplicitamente la
decisione di dispiegare la sua forza. “L’Ecowas, un’organizzazione che riunisce i paesi dell’Africa occidentale, svolge un ruolo fondamentale nel dimostrare la necessità di un ritorno all’ordine costituzionale e sosteniamo la leadership e il lavoro dell’Ecowas in questo settore”, ha affermato Blinken.

Onu: preoccupati per le condizioni del presidente Bazoum e della famiglia

 Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è detto “molto preoccupato per le deplorevoli condizioni in cui, secondo quanto riferito, vivono il presidente Bazoum e la sua famiglia mentre continuano a essere detenuti arbitrariamente da membri della guardia presidenziale in Niger”. Il segretario generale ribadisce la sua preoccupazione per la salute e la sicurezza del presidente, deposto il 26 luglio, e della sua famiglia e chiede ancora una volta il suo rilascio immediato e incondizionato e la sua reintegrazione come capo dello Stato. Lo riporta un portavoce Onu in una nota aggiungendo che “il segretario generale è anche allarmato per le continue notizie sull’arresto di diversi membri del governo. E “chiede con urgenza il loro rilascio incondizionato e il rigoroso rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti umani del Niger”.

La minaccia dei golpisti

 Da parte sua, la giunta golpista del Niger ha minacciato di uccidere il presidente deposto se i Paesi vicini della regione dovessero intervenire militarmente per ripristinare il governo dello stesso Bazoum. Lo riferiscono due funzionari occidentali ad Associated Press. Secondo quanto riferito da un funzionario militare occidentale, rappresentanti della giunta avrebbero informato la sottosegretaria di Stato Usa Victoria Nuland durante la sua visita nel Paese. Un funzionario statunitense ha inoltre confermato questo resoconto, parlando sempre a condizione di mantenere l’anonimato.

 Ue inizia a preparare le sanzioni contro la giunta

 I paesi dell’Unione Europea hanno iniziato a gettare le basi per imporre le sanzioni ai membri della giunta militare che ha preso il potere in Niger il 26 luglio scorso. Lo hanno detto alla Reuters fonti europee. Un funzionario dell’Ue coinvolto nel lavoro sulle sanzioni e un diplomatico dell’Ue hanno affermato che l’Ue ha avviato la discussione sui criteri per l’adozione delle misure. Il funzionario ha spiegato che tra i criteri rientrerebbe “l’indebolimento della democrazia” in Niger. “Il passo successivo sarebbero le sanzioni contro i singoli membri della giunta”, ha aggiunto il diplomatico.


5822.- Stallo alla nigerina. Ecco perché nel Sahel tutto tace

Da Formiche.net, di Lorenzo Piccioli | 08/08/2023 

Stallo alla nigerina. Ecco perché nel Sahel tutto tace

Nonostante la scadenza dell’ultimatum, l’Ecowas non ha ancora attuato nessuna azione militare nei confronti dei golpisti che hanno preso il potere a Niamey. E una serie di motivazioni interne e internazionali lasciano pensare che difficilmente lo faranno. Lasciando che sia la diplomazia a ricoprire il ruolo da protagonista

Allo scoccare della mezzanotte tra domenica 6 e lunedì 7 agosto è scaduto l’ultimatum lanciato dall’Ecowas, la comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, nei confronti dei militari che tramite un golpe hanno preso il potere in Niger. Ma, a quarantotto ore di distanza, nessun’azione è stata intrapresa dai Paesi membri dell’organizzazione africana nei confronti degli autori del putsch. Dietro a questo stallo si nascondono non solo una certa debolezza interna dell’Ecowas stesso, ma anche la complessità delle dinamiche e l’instabilità securitaria tanto della regione quanto del Niger stesso.

Innanzitutto vi è la questione della presa sul potere da parte dei golpisti: il governo del Consiglio Nazionale di Salvezza della Patria (così si sono nominati i fedeli del ribelle Omar Tchiani) gode del supporto della Guardia Presidenziale (guidata fino a pochi giorni fa da Tchiani stesso) e dei vertici delle forze di sicurezza nazionali, che nonostante nelle prime ore del coup d’etat avessero minacciato un intervento violento per ristabilire l’ordine hanno in seguito deciso di appoggiare la transizione e di unirsi all’esecutivo; inoltre, una parte della popolazione si è dimostrata favorevole al nuovo esecutivo, come dimostrato dalle manifestazioni nazionaliste e anti-occidentali che hanno avuto luogo nei giorni scorsi. I cittadini che hanno protestato contro la deposizione del presidente eletto Mohamed Bazoum e l’instaurazione del regime militare sono decisamente di meno di quelli del campo avverso, ma hanno comunque dimostrato di esserci. Inoltre, sebbene le gerarchie militari abbiano preso posizione a favore del golpe, non è ancora chiaro se lo stesso sentimento dei vertici sia condiviso anche dai 30.000 soldati che compongono l’apparato di sicurezza nigerino, soldati che sono peraltro stati addestrati da parte delle forze armate italiane e che quindi potrebbero essere in qualche modo più sensibili ai valori liberali.

Nella situazione sociale interna vi è dunque la possibilità di un ritorno alla democrazia senza interferenze esterne. Anzi, un intervento militare rischierebbe soltanto di peggiorare la situazione, risvegliando l’animo nazionalista della popolazione che si schiererebbe a quadrato intorno all’attuale esecutivo. E, anche in caso di successo, la legittimità di un presidente reinstallato al vertice dello Stato da potenze straniere, per quanto precedentemente eletto democraticamente, sarebbe fortemente questionabile. Un fattore, questo, che scoraggia ulteriormente l’Ecowas dal ricorrere all’uso della forza.

A cui se ne aggiungo altri, di carattere più ampio. Come ad esempio la grave situazione securitaria del Paese: il Niger è un Paese afflitto dall’estremismo jihadista, con gruppi che operano sia al confine con la Nigeria che nell’area vicino alla frontiera con il Mali. Un’eventuale offensiva contro il Niger e contro le sue strutture militari offrirebbe a queste organizzazioni terroristiche immense opportunità di proliferazione, creando così una minaccia altrettanto grande (se non di più) rispetto a quella che si cercherebbe di combattere.

A scoraggiare ulteriormente la minacciata operazione militare è la frattura esistente all’interno dell’Ecowas stessa. Una parte dei suoi Stati membri che comprende il Mali, il Burkina Faso e la Guinea, è retta da regimi militari instauratisi tramite colpo di Stato esattamente come quello avvenuto in Niger, e un intervento militare per ristabilire lo status quo ante a Niamey sarebbe soltanto dannoso per la loro legittimità: per questo motivo due degli stati già menzionati in precedenza, ovvero Mali e Burkina Faso, hanno dichiarato che in caso di attacco essi si schiereranno in difesa dell’attuale governo nigerino. Ma anche nei paesi-membri a guida democratica le pressioni interne sono forti: Senegal, Costa d’Avorio e Nigeria (che in questo momento è al suo turno di guida dell’Ecowas) stanno affrontando forti opposizioni interne e disordini come risposta all’aver ventilato l’opzione militare in Niger.

Una situazione cristallizzata dunque, che lascia pochi margini per una soluzione di stampo militare. Ma che offre alcuni spiragli per l’azione diplomatica, purché condotta dai giusti attori. I tentativi di negoziazione portati avanti dall’Ecowas all’indomani del golpe hanno avuto un esito fallimentare, con i membri della giunta militare che si sono rifiutati di incontrare i rappresentanti dell’organizzazione. Non però è da escludere che ulteriori tentativi di contatto possano invece concretizzarsi.

Cosa che invece difficilmente potrebbe accadere con la Francia, considerando come si sono degradati i rapporti tra Niamey e l’ex-potenza coloniale dalla salita al potere dei militari: le accuse reciproche, con Parigi che incolpava Niamey di promuovere le manifestazioni anti-francesi e Niamey che invece tacciava Parigi di voler bombardare il palazzo presidenziale, sono culminate nella denuncia da parte del Consiglio nazionale di salvezza della Patria dell’accordo di cooperazione militare tra Francia e Niger. Un duro colpo per i francesi, che nel 2022 avevano trasformato il Niger nel fulcro del suo sistema di sicurezza nel Sahel in seguito all’evolversi del contesto in Mali e Burkina Faso. Alla luce di ciò, l’Eliseo non rappresenta certo un interlocutore privilegiato.

Al momento, le sponde di contatto che i golpisti sembrano preferire sono Roma e Washington. Tramite un tweet, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha confermato l’esistenza di contatti tra rappresentanti militari italiani ed esponenti della giunta nigerina, suggerendo tra le righe un certo ottimismo nei confronti di questo dialogo. E anche Victoria Nuland, sottosegretario di Stato per gli affari politici nell’amministrazione guidata da Joe Biden, ha avuto un incontro con alcuni rappresentanti dell’esecutivo nigerino in carica, senza però riuscire ad arrivare ad un compromesso. Timidi segnali di un possibile negoziato, che risulterebbe di interesse per tutte le parti coinvolte.

Tanto Niamey che l’Ecowas ed anche i principali attori internazionali sono interessati a mantenere la stabilità nel paese e nella regione. Ma, allo stesso tempo, la permanenza del regime democratico in Niger non può essere in alcun modo oggetto di compromesso, come sottolinea Nuland stessa. Se l’attuale giunta militare si rivelasse disposta ad accettare una transizione democratica garantita da enti terzi (siano essi organizzazioni internazionali o singoli Stati), non è da escludere che l’attuale crisi possa venire risolta con una soluzione negoziale. Che rappresenterebbe probabilmente l’opzione più viabile per uscire da questo impasse.