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5957.- La flotta russa del Mar Nero moltiplica le sue basi e il conflitto russo – ucraino si estende.

di redazione Pagine esteri, 5 Ott 2023. Aggiornato 8 ottobre 2023.

Mosca avrà una base navale in Abkhazia

L’Abkhazia è una delle due repubbliche separatiste della Georgia e resterà indipendente.

Mosca avrà una base navale in Abkhazia

Pagine Esteri, 5 ottobre 2023 – La Federazione Russa vuole realizzare in tempi brevi una base navale permanente sulla costa del Mar Nero nell’ex repubblica autonoma georgiana dell’Abkhazia.

L’Abkhazia è una delle due regioni separatiste della Georgia – l’altra è l’Ossezia del Sud – che Mosca ha riconosciuto come stati indipendenti nel 2008, a seguito di una breve guerra durante la quale le forze locali, sostenute dall’esercito russo, hanno sbaragliato le truppe georgiane che avevano attaccato Sukhumi dopo uno scontro tra i due schieramenti. Ma pur rimanendo ferma nel suo impegno come alleato della Russia, l’Abkhazia ha finora rifiutato l’idea di poter essere annessa alla Russia e insiste sul mantenimento della sua sovranità.

L’Abkhazia e la Russia hanno comunque già firmato un accordo e la nuova base militare russa sorgerà nel distretto di Ochamchira, ha detto Aslan Bzhania, presidente del territorio resosi indipendente da Tbilisi agli inizi degli anni ’90, in un’intervista pubblicata oggi dal quotidiano russo Izvestiya. L’annuncio è giunto dopo che nella giornata di ieri ieri Bzhania ha incontrato il leader russo Vladimir Putin.

«Tutto ciò mira ad aumentare il livello di capacità di difesa sia della Russia che dell’Abkhazia, e questo tipo di cooperazione continuerà» ha affermato Bzhania.

La notizia sulla nuova base navale arriva dopo che il Wall Street Journal ha riferito che il Cremlino ha ritirato una parte importante della sua flotta militare del Mar Nero dalla sua base principale in Crimea. Citando funzionari occidentali e immagini satellitari, il giornale ha scritto che la Russia ha spostato due sottomarini e tre fregate da Sebastopoli – presa pesantemente di mira dall’Ucraina con missili britannici che riescono a bucare le difese aeree russe nella penisola – verso altri porti che «offrono una migliore protezione».

Un missile a lungo raggio Storm shadow fissato a un aereo militare

A Sebastopoli, con 10 missili franco-britannici Storm Shadow ceduti dalla Gran Bretagna all’Ucraina, sono stati danneggiati un sommergibile e una nave anfibia. I missili sono stati lanciati da aerei Su-24M sul Mar Nero e 7 sono stati abbattuti.

Attacco a Sebastopoli. Video

Recenti attacchi ucraini hanno colpito il quartier generale della flotta del Mar Nero a Sebastopoli “, incendiato la nave anfibia Minsk , danneggiato il sottomarino d’attacco Rostov-sul-Don, entrambi ai lavori nel cantiere navale, il bacino di carenaggio di Ordzhonikidze e due dei tre moli”.

I missili Usa inviati a Kiev nel pacchetto di aiuti militari

 Il Rostov-sul-Don appartiene alla classe Kilo e sarebbe uno dei pochi mezzi rimasti nel Mar Nero a poter lanciare missili Kalibr. Molti degli altri sette missili intercettati erano probabilmente delle esche. L’ADM-160 MALD (Miniature Air-Launched Decoy) costa solo una frazione degli Storm Shadow, che costano da 2,5 a 3 milioni di dollari l’uno.


La nave da sbarco Minsk in fiamme in uno dei tre bacini di carenaggio di Sebastopoli.La nave da sbarco Minsk in fiamme in uno dei tre bacini di carenaggio di Sebastopoli.Telegram/Krymskiy Veter
Droni marini (1), missili S-200 (2) per testare le difese aeree e missili anti-radar (3) per disattivarli o disabilitarli, spianando così la strada all'attacco Storm Shadow (4), secondo Reporting from Ukraine.

Secondo Reporting from Ukraine, l’attacco a Sebastopoli è stato compiuto da Droni marini (1), missili S-200 (2) per testare le difese aeree e missili anti-radar (3) per disattivarli o disabilitarli, spianando così la strada all’attacco di 5 Su-24M con i missili Storm Shadow (4). Un attacco che ha necessitato di un coordinamento che sicuramente la sola Kiev non è in grado di gestire.

5513.- Le proteste di Tbilisi, e altri segnali, mostrano che l’Ucraina è spacciata

Quindi, anche Biden e i democratici sono vicini al capolinea. Con la riconferma di Xi Jinping siamo entrati nel vivo del confronto fra Cina e Stati Uniti. Qui, la nullità della politica estera dell’Unione europea mostra tutto il suo peso, lasciando arbitri gli americani di riproporre all’AUKUS e alla NATO schemi già visti. Avremo modo di meditare sui danni che i democratici USA hanno procurato all’Occidente.

Dal blog di Sabino Paciolla, di Mattia Spanò, 18 marzo 2023

Ci sono almeno tre fatti di notevole portata accaduti nell’ultima settimana, che fanno ritenere che ormai la coalizione occidentale dia l’Ucraina per persa.

Il primo sono le manifestazioni di protesta a Tbilisi contro la legge che mette al bando gli “agenti stranieri”, il sistema di fondazioni culturali e umanitarie che sempre più spesso vengono usate per far entrare fondi e agitatori nei punti che si intende surriscaldare in vista di obiettivi geopolitici e strategici (per non dire veri e propri colpi di stato), senza dichiararli a viso aperto. 

Il copione è sempre lo stesso: una forma di “guerra surrettizia” in Georgia come in Iran, in Ucraina nel 2014 o in Venezuela, in nome della democrazia, dei diritti e di certi valori. Quello che non trova spazio sui nostri media, è che a Tbilisi si sono tenute contro-manifestazioni di non minore entità in favore della messa al bando della legge sugli agenti stranieri.

Ad ogni modo l’entusiasmo vagamente alticcio col quale sono state accolte le bandiere dell’Europa, dell’Ucraina e americane viste in Georgia è un primo indizio di affanno. Perché i georgiani dalla sera alla mattina debbano anelare ad entrare in un’unione in crisi come la UE non è soltanto poco credibile, ma perfino poco comprensibile. Come lo è il fatto che non protestino per le pensioni, i salari, la sanità, ma per aderire all’Occidente con il suo portato di valori sghembi.

Dal punto di vista geografico la Georgia non confina con alcuno stato europeo, storicamente non ha alcun legame con l’Europa casomai, come l’Ucraina che però ha confini europei, con l’ex blocco sovietico.

È vero: la Georgia è uno Stato che ha non poche pendenze storiche e conflitti con la Russia, al punto che dall’inizio della guerra è stato indicato da vari analisti come un secondo possibile focolaio antirusso. Ma questo non sembra sufficiente.

Il “sistema di aspirazioni valoriali” sostenuto dall’Unione Europea si presenta sempre più a macchia di leopardo, in continua espansione come Unione e come NATO – di cui in fondo è l’anticamera. Somiglia sempre più ad un impeto messianico degno dei catari più accesi. Costretta ad avanzare, ad espandersi verso l’esterno mentre al suo interno è bruciata da contraddizioni ormai insanabili.

Dal punto di vista strettamente militare non ha alcun senso aprire un altro fronte in funzione antirussa, dal momento che si tratta della nazione più grande del mondo: semplicemente non accerchiabile.

Dal punto di vista militare, la Nato sta conducendo una “proxy war”, una guerra per procura: fornisce armi alla manovalanza ucraina, per di più infoiata da valori nazisti incompatibili con quelli europei e americani. Le armi e le munizioni, come avvertono gli analisti più seri, anche americani, cominciano a scarseggiare.

Questo atteggiamento è in grandissima parte riconducibile al fatto che la Nato non è in grado di condurre direttamente una guerra tradizionale: l’opinione pubblica, levigata da decenni di cultura pacifista e più ancora dal benessere, non accetterebbe mai una cosa del genere. Questo, piaccia o meno, è un limite invalicabile che azzoppa non poco tutta l’alleanza atlantica.

È probabile che in Georgia si punti a replicare il modello Euromaidan, la rivoluzione colorata che rovesciò nel sangue un governo legittimamente eletto, finanziata dagli americani attraverso Victoria Nuland, che spese la modica cifra di cinque miliardi di dollari per agitare le acque. Fu lì che i filo-nazisti presero il potere.

Questa coazione a ripetere modelli “di successo” è il secondo elemento di debolezza dell’alleanza. Proprio perché sono strategie già note agli avversari – che siano la Russia, la Cina o entrambe – con una metafora calcistica, intestardendosi in una finta è più facile perdere la palla. Si diventa prevedibili.

Gli altri due fatti che fanno capire come l’Ucraina sia ormai sconfitta e perduta sono lo straordinario aplomb col quale gli americani hanno preso l’abbattimento del loro drone sul Mar Nero, limitandosi a parlare di un “errore” da addebitarsi alla “scarsa professionalità” dei piloti russi. Ma qui non si parla di un idraulico che cambia male un rubinetto: si rischia uno scontro aperto fra le due – anzi: le tre – superpotenze, con un più che probabile ricorso alla soluzione nucleare.

Biden avrebbe informato Zelensky circa la forte opposizione repubblicana al sostegno sia finanziario che bellico all’Ucraina, il che mette a rischio il supporto americano alla guerra. Un modo gentile di dire che non c’è più trippa per gatti.

Da ultimo, i recenti crack bancari (Silicon Valley Bank, Signature, Credit Suisse, e la decisione scriteriata della banche centrali di alzare i tassi di interesse con un’inflazione stellare) non sono affatto da sottovalutare per le ricadute interne, come non lo sono le violentissime proteste francesi contro la riforma delle pensioni voluta da Macron: la forzatura fatta dal presidente francese, che intende bypassare l’Assemblea Nazionale imponendo la riforma ex autoritate (i DPCM hanno fatto scuola) rischia di scatenare il caos.

Queste congiunture mi portano a pensare che l’Ucraina sia spacciata. La Russia otterrà i suoi obiettivi pressoché indisturbata, gli Stati Uniti proveranno a stuzzicare la Cina nel Pacifico, ma l’Ucraina è distrutta, e forse nemmeno esisterà più, facendo la fine della Jugoslavia. A quella povera gente, chi penserà quando le luci si saranno spente?

4822.- Ucraina? Ci pensi l’Europa, gli Usa puntano l’Asia. Intervista a Elbridge Colby

Come riflettere su queste esternazioni, mentre la politica estera Usa e, per lei, quella britannica lanciano allarmi sulla prossima invasione russa? Dice Bechis: “Abbiamo bisogno di un più forte impegno nel contenimento cinese, di nuove risorse da investire nella competizione tra grandi potenze.”

Nemmeno una riflessione sul fatto che la Federazione Russa sarebbe ed è Occidente, ma è lì, sospesa, perché gli Stati Uniti d’America non sarebbero in grado di dominarla. Ecco una ragione a favore del globalismo.

La risposta di Putin a Biden è stata semplice e chiarissima: “Se la NATO si installa in Ucraina, ricorrerò alle armi!” Putin ha paventato “missili fuori della porta di casa” e sappiamo, ormai, che è proprio questa la strategia del Pentagono per recuperare il gap con la tecnologia russa. Mentre gli Stati Uniti soffiano sul fuoco delle tensioni armando l’Ucraina e sanzionando ulteriormente la Russia, al confine con l’Ucraina, per ora, l’esercito russo ha uno schieramento difensivo e la Ue, preoccupata, ché di più non può, non è riuscita a diventare un interlocutore diretto di Mosca.

Così, mentre Washington è proiettato nell’Indo-Pacifico, Regno Unito e Polonia investono nella spesa militare e faranno da mestatori in Europa, ma, guardando alle relazioni della Germania con la Russia, siamo proprio sicuri che Stati Uniti e Regno Unito faranno gli interessi degli europei? Li hanno mai fatti? E qual’è la posizione comune europea sull’Ucraina che hanno elaborato Macron e Scholz, a Berlino? E sulla Georgia? Dobbiamo uscire da questa anomalia istituzionale europea e diventare un vero stato.

Di Francesco Bechis | 27/01/2022 – Formiche.it, Esteri

Ucraina? Ci pensi l’Europa, gli Usa puntano l’Asia. Intervista a Elbridge Colby

Intervista all’uomo che ha firmato la Strategia per la difesa nazionale americana nell’amministrazione Trump, una vita tra intelligence e Pentagono. Ucraina? Ci pensi l’Europa, la Germania fa free riding. La nostra priorità è una sola: la Cina nell’Indo-Pacifico. Ecco cosa (non) può fare l’Italia

“Cara Europa, pensaci tu”. Nell’ultimo libro di Elbridge Colby, “Strategy of Denial” (“Strategia del rifiuto”, Yup), è riflesso il pensiero di una parte rilevante dell’establishment della politica estera e di sicurezza americana. Intervistato da Formiche.net Colby, analista di fama, architetto della Strategia per la difesa nazionale dell’amministrazione Trump del 2018 con un lungo trascorso al Pentagono e nell’intelligence, dà una lettura controcorrente. L’imminente invasione della Russia in Ucraina, dice, non deve distrarre neanche un minuto dalla competizione con l’unico, vero rivale dell’America.

Partiamo dal titolo. Cos’è la strategia del rifiuto?

Non abbiamo più il potere militare necessario per affrontare tutte le minacce del mondo contemporaneamente: dobbiamo scegliere. Il “rifiuto” di cui parlo riguarda soprattutto la strategia della difesa nazionale. Dobbiamo lavorare il più possibile con gli alleati, ma per difendere il vero interesse nazionale americano dobbiamo anzitutto impedire che una potenza straniera estenda il suo potere nella nostra vita quotidiana e metta in pericolo la nostra libertà e prosperità.

Di chi parla?

C’è solo una potenza al mondo in grado di farlo: la Cina. La centralità dell’Europa è in declino, così come la sua quota di Pil globale. Le potenziali minacce sono remote.

La Russia non sembra porre una minaccia molto remota…

La Russia è un attore pericoloso ma molto più debole della Cina. Non vuole dominare l’Europa, vuole restaurare un vecchio ordine in Europa orientale, e l’Ue la sovrasta in termini economici. Il nostro focus deve essere l’Asia, soprattutto sul fronte militare.

Perché?

Abbiamo bisogno di creare una coalizione anti-egemonica in Asia per impedire il dominio cinese insieme ai Paesi coinvolti in prima linea: India, Giappone, Australia. La Cina ne è spaventata. Ha al suo arco una serie di armi economiche, ma vanta anche una formidabile capacità militare. Che non è più solo diretta alla difesa nazionale, è sempre più una proiezione di potenza.

Qual è la strategia di Pechino?

Colpire i Paesi più deboli della coalizione per cercare di farla collassare. Gli Stati Uniti sono la pietra di volta di questo confronto in Asia. Se la Cina continuerà il pressing, alcuni alleati della regione potrebbero voler scendere a compromessi.

Dunque?

Abbiamo bisogno di costruire un’alleanza di difesa militare basata su standard militari comuni e di includervi Taiwan. Dopo il ritiro progressivo dal Medio Oriente e in parte anche dall’Europa, di fronte a noi c’è l’occasione storica di fare quel che andava fatto dieci anni fa: una grande transizione verso l’Indo-Pacifico. L’amministrazione Biden però sta remando contro. Un grave errore, perché rende la transizione più drammatica e gli alleati meno preparati.

Il famoso “Pivot-to-Asia” lanciato da Obama all’inizio della sua amministrazione. Non crede che in questo momento un’invasione russa in Ucraina ponga una più diretta minaccia all’Occidente?

Attenzione, la minaccia è diretta all’Europa. L’Occidente è un concetto culturale che ha poco a che vedere con la pianificazione militare. È vero, l’Ucraina sta attirando l’attenzione dell’amministrazione Biden. Un danno sia all’America che all’Europa.

Un danno?

Esatto. Gli alleati europei devono realizzare che in un futuro non molto lontano l’America non sarà sempre a loro disposizione. Così facendo si indebolisce in Asia, dove invece le mosse cinesi richiedono una drammatica revisione della strategia. La miglior cosa da fare dunque è mettere pressione sull’Europa per spingerla a difendersi da sola e accelerare la nostra transizione asiatica.

La copertina del libro

Mi faccia capire: invadendo l’Ucraina Putin sta facendo un favore alla Cina di Xi?

Il Cremlino ha le sue ragioni per invadere. Di certo un’invasione farebbe il gioco della Cina. Per questo, qualsiasi cosa succeda in Europa, noi dobbiamo proseguire il nostro spostamento strategico in Asia. Temo che Biden non l’abbia capito, continua a prendere tempo.

Un pronostico: la Russia invaderà?

Non posso dirlo con certezza. Certamente ne sono convinti alla Casa Bianca.

La Nato cosa dovrebbe fare?

Deve concentrarsi sulla Russia e sulla difesa del territorio europeo. E ovviamente confrontare la Cina lavorando sulla cooperazione nelle tecnologie e nella Difesa. Ma la sua missione principale è proteggere gli alleati da un’aggressione russa.

E la Difesa europea?

Deve essere il nucleo centrale di questo sforzo: l’America non ha più il potere e la forza per farlo. È giusto così: sarebbe naïve pensare di mantenere lo stesso assetto settantacinque anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando c’era Eisenhower al comando.

A suo parere l’Europa non sta facendo abbastanza?

Un passo indietro. Durante la Guerra Fredda gli europei, italiani inclusi, avevano ampie capacità militari convenzionali. Negli anni le hanno smantellate. È stata una decisione razionale, non giudico, ma il mondo dove sono gli americani a dover coprire le lacune di spesa nella Difesa europea non esiste più, non ha senso.

Biden sembra pensarla diversamente.

Si sbaglia, di grosso. Chiariamo: ci sono Stati come gli alleati scandinavi, il Regno Unito, la Polonia o la Francia che hanno aumentato le spese nella Difesa. Altri, come la Germania, che nonostante tutto continuano a fare free riding. È inaccettabile non solo per gli Stati Uniti ma soprattutto per gli alleati europei sul fronte Est che in queste ore fanno i conti con un’imminente incursione russa.

Si riferisce al Nord Stream II, il gasdotto russo in Germania?

È un tassello del quadro: semplicemente assurdo. Chiudono gli impianti di energia nucleare e si attaccano ai rubinetti del gas russo? Non bisogna sorprendersi, era prevedibile. A dispetto della retorica, la politica estera tedesca è sfacciatamente egoistica.

Torniamo all’Asia. Lei dice che gli Stati Uniti devono investire di più nella deterrenza anti-cinese. Ma quel piano c’è già: si chiama Aukus, il patto sui sottomarini a propulsione nucleare con Australia e Regno Unito. E ha già causato un terremoto con la Francia…

Disastro? Successo? Punti di vista. Il piano australiano per i sottomarini francesi non aveva senso, hanno preso la giusta decisione. Capisco che Parigi sia arrabbiata, ma diciamoci la verità: per gli Stati Uniti oggi l’Australia è un alleato molto più importante della Francia. Probabilmente il più allineato agli interessi americani e quello più esposto alla pressione cinese, mentre Macron va in giro a parlare di autonomia strategica. L’amministrazione Biden ha gestito male la partita, ha fatto marcia indietro. I benefici si vedranno nel medio lungo periodo.

Quattro anni fa ha firmato l’ultima versione della strategia per la sicurezza nazionale. Oggi cosa cambierebbe?

Abbiamo bisogno di un più forte impegno nel contenimento cinese, di nuove risorse nella da investire nella competizione tra grandi potenze. Purtroppo in questi anni l’establishment della Difesa e della politica estera americana è rimasto immutato.

Quali sono le nuove priorità?

La deterrenza nucleare contro la Cina. Il progressivo ritiro dal Medio Oriente e una maggiore responsabilizzazione degli alleati in Europa.

Il ritiro in Afghanistan è stata la mossa giusta?

Biden ha preso una decisione saggia e necessaria, l’ha gestita in modo catastrofico. La sua amministrazione non ha previsto la reazione dei talebani, non si è consultata con gli alleati europei. Ma almeno ha avuto il coraggio di uscire.

C’è ancora una missione americana in Medio Oriente?

Sì: sostenere convintamente gli accordi di Abramo. E dar vita a un’alleanza di partner regionali in chiave anti-iraniana non così diversa dalla Nato. Sauditi ed emiratini vanno aiutati insieme a Israele. Dovremmo vender loro armi, non sanzionarli.

L’Italia ha un ruolo nel Quadro strategico che ha descritto?

Sento parlare di un ruolo italiano nella crisi russa: improbabile. Un alleato come l’Italia dovrebbe piuttosto prendere le redini in Nord Africa e nel Mediterraneo orientale, da dove arrivano le vere minacce per la sua sicurezza nazionale, da un’immigrazione incontrollata al terrorismo. Dagli Stati Uniti ben venga tutto il supporto di intelligence necessario.

Nella competizione con la Cina l’Italia ha voce in capitolo?

Non ha le capacità militari necessarie per proiettarsi nell’Indo-Pacifico. Può però fronteggiare la Cina nelle sue attività economiche in Europa, mettere un freno alle mire cinesi nelle tecnologie sensibili. Questo sì sarebbe un contributo prezioso.

4723.- Ucraina, Cremlino: gli Stati Uniti non schiereranno armi in Ucraina

Maurizio Blondet  31 Dicembre 2021 

Sul “dossier Ucraina” Joe Biden punta a una soluzione diplomatica ma, nel colloquio telefonico avuto con Vladimir Putin, ha sottolineato di essere pronto a rispondere in modo risoluto “se la Russia invaderà ulteriormente l’Ucraina”. La posizione americana soddisfa al momento Mosca: il Cremlino ha fatto sapere infatti “che gli Stati Uniti non intendono schierare armi offensive” e come questo sia uno dei punti centrali per un continuare il dialogo.

Il commento dei globalisti:

What Putin Really Wants in Ukraine | Foreign Affairs

Il Council on Foreign Relations riconosce: Putin ha il coltello dalla parte del manico

Traduzione di Umberto Pascali

Mentre il 2021 volge al termine, la Russia ha presentato agli Stati Uniti una lista di richieste che, a suo dire, sono necessarie per scongiurare la possibilità di un conflitto militare su larga scala in Ucraina. In una bozza di trattato consegnata a un diplomatico americano a Mosca, il governo russo ha chiesto un arresto formale dell’allargamento a est della NATO, un congelamento permanente dell’ulteriore espansione delle infrastrutture militari dell’alleanza (come basi e sistemi di armi) nel territorio ex sovietico, la fine dell’assistenza militare occidentale all’Ucraina e un divieto di missili a raggio intermedio in Europa. Il messaggio era inequivocabile: se queste minacce non possono essere affrontate diplomaticamente, il Cremlino dovrà ricorrere all’azione militare. Queste preoccupazioni erano familiari ai politici occidentali, che per anni hanno risposto sostenendo che Mosca non ha un veto sulle decisioni della NATO e che non ha motivi per chiedere che l’Occidente smetta di inviare armi in Ucraina. Fino a poco tempo fa, Mosca ha accettato con riluttanza questi termini. Ora, tuttavia, sembra determinata a proseguire con le contromisure se non ottiene la sua strada. Questa determinazione si è riflessa nel modo in cui ha presentato il trattato proposto con gli Stati Uniti e un accordo separato con la NATO. Il tono di entrambe le missive era tagliente. All’Occidente è stato dato solo un mese per rispondere, il che ha evitato la possibilità di colloqui prolungati e inconcludenti. Ed entrambe le bozze sono state pubblicate quasi immediatamente dopo la loro consegna, una mossa che aveva lo scopo di impedire a Washington di far trapelare e far girare la proposta. Se il presidente russo Vladimir Putin si comporta come se avesse il sopravvento in questo stallo, è perché lo fa. Secondo i servizi segreti degli Stati Uniti, la Russia ha quasi 100.000 truppe e una grande quantità di armi pesanti di stanza sul confine ucraino. Gli Stati Uniti e altri paesi della NATO hanno condannato le mosse della Russia, ma contemporaneamente hanno suggerito che non difenderanno l’Ucraina, che non è un membro della NATO, e hanno limitato le loro minacce di ritorsione alle sanzioni. Ma le richieste di Mosca sono probabilmente un’offerta di apertura, non un ultimatum. Per tutta la sua insistenza su un trattato formale con gli Stati Uniti, il governo russo comprende senza dubbio che, grazie alla polarizzazione e allo stallo, la ratifica di qualsiasi trattato nel Senato degli Stati Uniti sarà quasi impossibile. Un accordo esecutivo – essenzialmente un accordo tra due governi che non deve essere ratificato e quindi non ha lo status di una legge – può quindi essere un’alternativa più realistica. È anche probabile che sotto un tale accordo, la Russia assumerebbe impegni reciproci per affrontare alcune preoccupazioni degli Stati Uniti in modo da creare quello che chiama un “equilibrio di interessi”. Se Putin si comporta come se avesse il coltello dalla parte del manico, è perché è così. In particolare, il Cremlino potrebbe essere soddisfatto se il governo degli Stati Uniti accettasse una moratoria formale a lungo termine sull’espansione della NATO e un impegno a non stazionare missili a raggio intermedio in Europa. Potrebbe anche essere rassicurato da un accordo separato tra la Russia e la NATO che limiterebbe le forze militari e l’attività dove i loro territori si incontrano, dal Baltico al Mar Nero. Naturalmente, è una questione aperta se l’amministrazione Biden è disposta a impegnarsi seriamente con la Russia. L’opposizione a qualsiasi accordo sarà alta negli Stati Uniti a causa della polarizzazione politica interna e del fatto che fare un accordo con Putin apre l’amministrazione Biden alla critica di cedere a un autocrate. L’opposizione sarà alta anche in Europa, dove i leader sentiranno che un accordo negoziato tra Washington e Mosca li lascia ai margini. Queste sono tutte questioni serie. Ma è fondamentale notare che Putin ha presieduto a quattro ondate di allargamento della NATO e ha dovuto accettare il ritiro di Washington dai trattati che regolano i missili anti-balistici, le forze nucleari a medio raggio e gli aerei da osservazione disarmati. Per lui, l’Ucraina è l’ultima spiaggia. Il comandante in capo russo è sostenuto dai suoi stabilimenti militari e di sicurezza e, nonostante la paura di una guerra da parte dell’opinione pubblica russa, non affronta alcuna opposizione interna alla sua politica estera. Soprattutto, non può permettersi di essere visto come un bluff. Biden ha fatto bene a non respingere le richieste della Russia a priori e a favorire invece l’impegno ….
Secondo Avia.Pro:

L’Estonia consegnerà i “Javelins” americani alle forze armate ucraine, che gli Stati Uniti consentono di utilizzare in Donbass

Gli USA hanno venduto all’Ucraina i sistemi missilistici anticarro di tipo Javelin ma anche missili anti-nave per la guardia costiera.

Gli Stati Uniti approvano l’uso del sistema Javelin ATGM in Donbass, che sarà trasferito dall’Estonia.

Dopo che la parte estone ha annunciato che ulteriori sistemi anticarro americani Javelin sarebbero stati trasferiti all’esercito ucraino, si è saputo che Washington non intendeva proibire a Kiev di usare queste armi nel Donbass, poiché formalmente questi complessi non sono stati trasferiti dal Pentagono , ma contro l’uso di armi di altri paesi, gli Stati Uniti non hanno obiezioni. “L’Estonia prevede di aumentare significativamente il proprio sostegno. “In linea di principio, l’Estonia ha deciso nel suo ministero della Difesa di sostenere l’Ucraina con armi e munizioni nell’attuale difficile situazione di sicurezza”, ha affermato Kaimet. L’anno scorso, l’Estonia ha inviato 2400 pistole Makarov agli ucraini. Ora stiamo parlando di armi più pesanti. “Attualmente stiamo considerando o lavorando su missili Javelin per sistemi missilistici anticarro e stiamo considerando o progettando di fornire obici da 122 mm e munizioni per loro”, ha detto Kaimet., – riporta “Postimees”.

Si noti che gli Stati Uniti devono approvare il trasferimento di quest’arma all’esercito ucraino, tuttavia, a giudicare dai dati degli analisti americani, l’adozione di tale decisione è formale – Washington non si oppone a questo.

“Gli Stati Uniti stanno cercando di dimostrare che stanno mantenendo le promesse fatte alla Russia sulla riduzione dell’escalation nel Donbass, tuttavia, di fatto, le forze armate ucraine riceveranno sistemi anticarro americani, che colpiranno le posizioni del DPR e LPR.”, – i voti degli esperti.

3204.- GLI USA, LA NATO, LA RUSSIA, LA CINA… e la GEORGIA, FRA TUTTI

La Georgia si è candidata a diventare membro della NATO e la NATO farebbe della Georgia una base USA; la Russia non accetterà mai che il Mar Nero diventi americano; la One BeltOne Road cinese, che unisce Cina e Europa, avrebbe nel porto di acque profonde georgiano un approdo per le sue navi militari. Tblisi è al centro delle politiche asiatiche, ma c’è la Russia e anche l’Iran e, infine, i Dardanelli. Mano a mano che si chiariscono gli indirizzi della politica internazionale sul Mar Nero, appare sempre più chiaro che la competizione economica USA-Russia troverebbe maggiore vantaggio in un Occidente dall’Alaska all’Alaska.

Anaklia e Taman a confronto

Anaklia e Taman, ma se gli USA si sganciassero dal progetto georgiano, il confronto sarebbe fra Cina e Russia e non è semplice decidere cosa possa meglio convenire a Washington. La parola è apparentemente alla NATO, ma la Georgia è troppo vicina alla Russia, con cui condivide metà dei propri confini. Quasi sicuramente la Russia considererebbe un’intrusione nella propria area di influenza un eventuale ingresso della Georgia in una organizzazione occidentale.

Alla fine di agosto 2019 la Russia ha deciso di velocizzare la costruzione del porto di Taman, che ha un ruolo chiave per l’economia e la sicurezza della Federazione. La finalizzazione del porto di profondità di Taman rappresenta un rafforzamento russo sullo stretto di Kerch e il Mare di Azov. Il porto di Taman si situa geograficamente all’opposto dello stretto di Kerch, permettendo una connessione diretta fra Mare di Azov e Mar Nero. Da questo vantaggio geografico si può capire la natura della competizione in atto. Il consorzio per il progetto di Taman (RMP, RosMorPort) si costituisce, in via teorica, di cinque compagnie russe: Metallo Invest, Kuzbass Razrez Ugol, Ferrovie Russe (RZD) e SUEK. Si prevede che il porto venga terminato, nel suo primo stadio, fra il 2020 e il 2021.

Questo annuncio è stato accolto con preoccupazione dagli altri due principali attori del Mar Nero: Cina e Stati Uniti. Questi due paesi, con la Russia, si contendono i punti strategici presenti nel Mar Nero, cercando di assicurarsi un polo economico e militare. D’altro canto, Stati Uniti e Cina sono impegnati sul fronte georgiano con la progettazione del porto di Anaklia, situato appunto nel Mar Nero. Nonostante questo piano non permetta il controllo nell’area di Azov, la costruzione risulta fondamentale nella corsa al Mar Nero, è comunque il primo porto di acque profonde sulle coste georgiane. I porti di acque profonde si differenziano dai normali porti commerciali in quanto permettono l’accesso e l’utilizzo di navi cargo più grandi rispetto alla norma, sfruttando una maggiore profondità marina in relazione alle dimensioni delle imbarcazioni.

Gli Stati Uniti non vedono di buon grado l’espansione russa in quelle acque, ma neppure gradiscono i movimenti cinesi. Agli atti, però, gli Stati Uniti sembrano non voler definire le loro intenzioni riguardo l’area. Con il ritiro della Conti International, un nuovo spazio si libera nel consorzio di Anaklia. Il Consorzio non fornisce tuttavia la maggior parte dei finanziamenti, i quali verranno rilasciati da: Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), l’OPIC, “Asian Development Bank” (ADB) e “Asian Infrastructure Investment Bank” (AIIB). La predominanza di fondi asiatici è spiegabile dall’interesse cinese al progetto di Anaklia, che risulterebbe porto chiave in ottica del progetto Belt Road. Visto il buco finanziario lasciato dal gruppo Conti, è presumibile che la Cina voglia colmare questa mancanza, rivendicando sempre di più la proprietà sul progetto, in quanto azionista di maggioranza. Lo stato cinese ha già marcato la sua presenza nella zona balcanica, volendo rilevare un’importante compagnia aereospaziale ucraina, la Motor Sich, e aprendo nuovi sbocchi commerciali per un virtuale asse Cina-Ucraina.

La velocizzazione della costruzione del porto di Taman porrebbe la Federazione in una condizione di completo monopolio sul Mare di Azov e, allo stesso tempo, permetterebbe alla Russia di avere un ulteriore polo commerciale sul Mar Nero. Inoltre, la Russia è in grado di influenzare le decisioni georgiane riguardo il porto di Anaklia. In questo secondo scenario, si potrebbe assistere ad una contesa russo-statunitense, tenendo conto che la Georgia si è precedentemente affidata agli Stati Uniti per la difesa dei suoi mari. Inoltre, la Russia ha dimostrato di non aver mai temuto la pratica del pugno di ferro nei confronti della Georgia. Ne è testimonianza l’invasione russa in Georgia del 2008.

Con la Russia che guadagna terreno sulla corsa al Mar Nero, avanza anche una sua possibile annessione del Mare di Azov una volta terminato il porto di Taman. 

Georgia. La costruzione del porto di Anaklia. Un progetto in contrasto con gli interessi della Russia

La Georgia, il piccolo stato caucasico a sud della Russia, ha progettato un gigantesco porto ad Anaklia, sulle coste del Mar Nero. Si estenderà su ottanta ettari e potrà accogliere navi cargo che trasportano fino a 5mila container, cosa che renderà Anaklia la principale città portuale del paese e una delle più importanti del Mar Nero. L’obiettivo è di convincere i paesi europei e la Cina a passare per il Mar Nero per commerciare e il porto è un espediente per avvicinarsi alla sfera di influenza dell’Europa occidentale.

Secondo il Segretario statunitense Mike Pompeo, troppe influenze cinesi o russe minano la riuscita del progetto Anaklia, così come stabilito.

Da notiziegeopolitiche.net. Un anno fa, Giuseppe Gagliano scriveva:

Che il Mar Nero sia uno snodo economico e militare di estrema rilevanza per gli USA, per la Russia e per la Cina è un dato di fatto, sul piano geopolitico non contestabile. La Georgia sta tuttavia cercando di accelerare la costruzione di un nuovo porto ad Anaklia, denominato Anaklia Deep Sea Port, la cui messa in opera è stata affidata ad un consorzio, la TBC Holding, composto dalla Conti International (Stati Uniti), dalla SSA Marine (Stati Uniti), dalla British Wondernet Express, che lavora in Asia centrale, e dalla G-Star Ltd. bulgara. Questo progetto ha un’importanza strategica per l’economia della Georgia come hub commerciale tra Europa e Asia. Se infatti i porti georgiani hanno attualmente la capacità di ricevere un discreto quantitativo di flotta commerciale, con quello di Anaklia la Georgia avrà la possibilità di servire le navi mercantili con una capacità di oltre 10mila Teu, incrementando in modo rilevante il suo perso economico nel Mar Nero.
Il porto di Anaklia Deep Sea sarà costruito in nove fasi, l’ultima da completare nel lontano 2069, quando il porto avrà una profondità di 20,5 metri, 32 ormeggi e una zona di libero scambio e industriale di 600 ettari. Il nuovo porto realisticamente dovrebbe essere in grado di gestire di 5 milioni di tonnellate all’anno.
Al di là del porto di Anaklia, la Georgia ha quattro porti suo Mar Nero: Poti (controllato dal gigante della logistica danese Maersk usato per container e merci), Batumi (controllato dal KazTransOil di proprietà statale del Kazakistan, usato principalmente per petrolio, ma anche per merci e container), Kulevi (controllato dalla società petrolifera statale azera SOCAR) e Supsa (controllata dalla società petrolifera britannica BP).
Tuttavia la mancanza di progressi nella costruzione del porto di Anaklia Deep Sea sono la diretta conseguenza del ruolo geopolitico della Russia e della Cina. Per quanto riguarda la Russia questa non può accettare che il porto di Anaklia possa diventare un’infrastruttura militare della Marina americana, seppure non vada dimenticato che la Georgia è un paese che aspira ad aderire alla NATO.
Non a caso la Russia ha recentemente incrementato la sua proiezione di potenza nel Mar Nero sullo stretto di Kerch e sul mare di Azov. Infatti il Consorzio Taman RMP (RosMorPort) che dovrebbe comprendere cinque compagnie quali RosMorPort, KuzbassRazrezUgol, MetaloInvest, Russian Railways (RZD) e SUEK, è destinato a costruire il “Taman Port”, che è strategicamente situato sul lato russo dello Stretto di Kerch, il quale collega il Mar Nero Nero e il Mare di Azov.
Per quanto riguarda la Cina, la recente visita del ministro degli Esteri cinese in Georgia dimostra l’interesse anche del Dragone verso questa importante infrastruttura portuale in relazione alla Nuova Via della Seta. Proprio per questo non deve dunque destare alcuna sorpresa se la Cina intenda utilizzare questa infrastruttura portuale anche da un punto di vista militare, ovviamente in funzione di contenimento anti americano. …

Il porto di Anaklia Deep Sea sarà costruito in nove fasi, l’ultima da completare nel lontano 2069, quando il porto avrà una profondità di 20,5 metri, 32 ormeggi e una zona di libero scambio e industriale di 600 ettari. Il nuovo porto realisticamente dovrebbe essere in grado di gestire di 5 milioni di tonnellate all’anno.

Ed ecco: Il porto di Anaklia non s’ha da fare (per ora)

Da East Journal; di Leonardo Zanatta 

Il 9 gennaio  il governo della Georgia ha annullato il contratto per la costruzione del porto di acque profonde di Anaklia: un’infrastruttura di dimensioni mastodontiche progettata sulle coste del Mar Nero, adatta ad accogliere le grandi navi pesanti fino a 30 piedi di profondità e destinata a rivestire un ruolo strategico nella iniziativa della One BeltOne Road cinese. Tbilisi è ora alla ricerca di un nuovo investitore che possa assumersi l’onere di un progetto da 2,5 miliardi di dollari e che è oggetto sia di controversie politiche interne che di importanti implicazioni geopolitiche

L’importanza strategica del progetto 

Il progetto del porto di Anaklia è stato pensato per soddisfare il traffico di merci dalla Cina all’Europa, e viceversa. Vi sono tre snodi commerciali che collegano queste due realtà: a nord attraverso la Russia (attualmente il più utilizzato), a sud attraverso l’Iran (su cui gravitano le sanzioni statunitensi) e attraverso il mar Caspio e il mar Nero. 

Questo corridoio di mezzo, che al momento manca delle infrastrutture adatte a soddisfare un simile flusso di merci, ingolosisce tutte e tre le parti coinvolte: realizzando il porto di Anaklia, la Georgia diventerebbe un hub commerciale di importanza strategica tra Oriente e Occidente, l’Unione Europea troverebbe una via commerciale alternativa alla russa e la Cina potrebbe consolidare la sua presenza economica in una più vasta gamma di mercati. 

Nel 2016, la costruzione dell’Anaklia Deep Sea Port è stata affidata ad un consorzio (AnakliaDevelopment Consortium), tra i cui membri rientravano TBC Holding (Georgia), Conti International e SSA Marine (Stati Uniti), Wondernet Express (Gran Bretagna) e G-Star Ltd(Bulgaria). Il progetto consisteva nel realizzare un porto commerciale destinato a raggiungere entro il 2069 la profondità di 20,5 metri, una capacità di 32 ormeggi e una zona di libero scambio e industriale di 600 ettari. Per finanziarlo, sono stati stanziati oltre 350 milioni di euro di investimenti cinesi, statunitensi e UE. Di questi fondi, il 25% è stato coperto da Pechino (mediante la Banca asiatica di sviluppo delle infrastrutture). La Commissione Europea ha allocato 233 milioni di euro per finanziare la seconda fase di costruzione del porto, mettendosi a disposizione per l’erogazione di altri 100 milioni di euro destinati all’ampliamento di strade e ferrovie che collegano il porto con il resto del paese. 

Problematiche interne 

Dopo la defezione di Conti nel 2019, il 2020 ha portato con sé la decisa frenata del progetto. Il ministro georgiano per lo Sviluppo Regionale e le Infrastrutture Maia Tskitishviliha annunciato la sospensione del contratto con il consorzio. Quest’ultimo non avrebberispettato i suoi obblighi contrattuali di raccogliere i 120 milioni di dollari di capitale necessario di concludere un accordo di prestito di 400 milioni di dollari con istituzioni di creditointernazionali. È probabile che al Consorzio verrà inoltre comminata una multa per non aver ottenuto i prestiti necessari.

La replica non si è fatta attendere; il fondatore dell’Anaklia Development Consortium, l’imprenditore Mamuka Khazaradze, ha incolpato il governo dei ritardi. Tbilisi avrebbe sabotato il progetto portuale, rifiutando di sottoscrivere prestiti da banche di investimento internazionali. Sempre secondo Khazaradze, il vero problema all’origine delmancato ottenimento dei prestiti sarebbe il suo conflitto personale con Bidzina Ivanishvili, presidente del partito al governo Sogno georgiano. Alla base della disputa vi sarebbe la sua decisione di partecipare alle prossime elezioni politiche alla guida di Lelo (uno dei partiti di opposizione). 

Un’altra gravante sul progetto Anaklia deriva dalla decisione di Tbilisi di espandere gli altri porti georgiani. La costruzione di un terminal di transito multimodale a Poti (25 km a sud di Anaklia sul mar Nero) è risultata una impresa ardua e costosa, tanto che il governo georgiano ha inoltrato l’invito a diverse compagnie straniere di presentare le loro offerte per il progetto. Tbilisi ha inoltre abbandonato l’idea di costruire un terminal aggiuntivo a Batumi. Questa strategia si è rivelata piuttosto azzardata, visto che nessuno degli altri porti è di acque profonde.

Problematiche esterne 

L’interesse di UE e USA conferisce al progetto un significato geopolitico chiaro. Il porto di Anaklia può avere un ruolo strategico nell’ottica di infrastrutture est-ovest alternative a quelle russe. Sebbene dal Cremlino siano pervenute poche dichiarazioni a riguardo, i recenti sviluppinel mar Nero lasciano presagire che Mosca viva con preoccupazione questa iniziativa.Lo dimostra la decisione di costruire a sua volta il primo porto di acque profonde nella regione, a Taman, sullo stretto di Kerch.

Non è la prima volta che il porto di Anaklia  genera controversie tra la Georgia e la Russia. Nel 2008, a seguito dello scoppio della guerra tra i due paesi, la mancanza di un porto di acque profonde per il rifornimento logistico fu un handicap non indifferente per Tbilisi. Proprio in vista di una futura adesione alla NATO, la Georgia mira ad accrescere la sua capacità commerciale e portuale. A questo proposito serviva il progetto Anaklia, insieme alla ferrovia Baku – Tbilisi – Kars.  L’alleanza sta valutando l’opportunità di espandere la propria presenza nel Mar Nero, oltre a fornire ulteriore sostegno a Georgia e Ucraina.

Secondo il ministroTskitishvili, è necessario trovare un investitore finanziariamente più forte del consorzio. La situazione si fa complicata, ma Tbilisi non vuole perdere le speranze; per questo, le autorità georgiane hanno deciso di ripuntare su Poti e sulla costruzione del suo terminal portuale (i 93 milioni di dollari richiesti per il progetto verranno investiti dall’US State Fund). Ciononostante, la faccenda del porto di Anaklia potrebbe avere un peso fondamentale in vista delle prossime elezioni (previste per ottobre 2020), nonché ripercussioni sul futuro del partito Sogno georgiano.