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6173.- Inferno nel Sudan, la peggior crisi umanitaria della storia recente

9 milioni di disperati.

La guerra civile del Sudan, scoppiata a seguito del colpo di Stato del generale Hemedti, è diventata la peggiore crisi umanitaria della storia recente, con 9 milioni di profughi.

Da La Nuova bussola Quotidiana, di Anna Bono,  22_03_2024Campo profughi in Chad

Il delirio di onnipotenza, l’ambizione sfrenata, l’insaziabile avidità di due uomini, due generali, hanno sprofondato il Sudan nella peggiore crisi umanitaria del mondo. Il generale Abdel Fattah al-Burhan è il comandante delle forze armate e il presidente del Consiglio superiore che ha assunto il potere dopo il colpo di stato militare del 2021. Ai suoi ordini ha 120mila militari. Il suo avversario è il generale Mohamed Hamdan Dagalo, più noto come Hemedti, che fino all’anno scorso era il suo vice. È il leader delle Forze di supporto rapido (FSR), un organismo paramilitare composto da circa 100mila combattenti. Lo scorso aprile le crescenti tensioni tra di due generali sono degenerate in conflitto armato. I combattimenti sono iniziati nella capitale Khartoum e nello stato occidentale del Darfur. Nei mesi successivi si sono estesi ad altre regioni.

Le conseguenze della guerra sono di portata apocalittica. Le perdite civili si contano ormai a decine di migliaia. I profughi sono almeno nove milioni, circa 1,7 milioni dei quali rifugiati nei paesi vicini, soprattutto in Ciad e nel Sudan del Sud. Circa 25 milioni di persone, più di metà della popolazione, hanno bisogno di assistenza. Già lo scorso febbraio la situazione era stata definita prossima al punto di non ritorno. “La guerra – aveva ammonito Martin Griffiths, sottosegretario generale Onu per gli affari umanitari e coordinatore dei soccorsi – ha privato gli abitanti del paese quasi di tutto, la loro sicurezza, le loro case e i loro mezzi di sussistenza. Hanno bisogno di aiuto subito, con estrema urgenza o sarà una catastrofe”. Invece gli aiuti hanno tardato ad arrivare, fermati da continui ostacoli, e ancora non hanno raggiunto diverse parti del paese. Le agenzie internazionali e le organizzazioni non governative hanno dovuto lottare con i funzionari di Port Sudan per ottenere i permessi di transito e soccorrere gli sfollati rifugiati nelle regioni per ora risparmiate dalla guerra. Solo da qualche giorno il governo ha consentito l’uso di tre aeroporti per far atterrare aerei carichi di aiuti e l’ingresso di soccorsi dal Ciad e dal Sudan del Sud. Aveva bloccato quelli dal Ciad sostenendo che gli Emirati Arabi Uniti si servivano dei convogli umanitari per fornire armi alle FSR. Questo ha lasciato senza assistenza gli abitanti del Darfur dove i combattimenti sono più intensi, milioni di persone. Come se non bastasse, a peggiorare la situazione contribuiscono i continui attacchi agli operatori e ai convogli per saccheggiarne i carichi.

All’inizio di marzo la situazione è precipitata. A causa della guerra la produzione agricola è crollata, milioni di persone sono senza raccolti e hanno perso tutto il bestiame. A questo si aggiungono i gravi danni alle infrastrutture, l’interruzione dei flussi commerciali, il vertiginoso aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. La prospettiva è la fame per milioni di persone: cinque milioni per il momento, ma il numero è destinato ad aumentare.

“Ormai siamo di fronte a uno dei peggiori disastri umanitari della storia recente” ha dichiarato il direttore delle operazioni e della difesa dell’OCHA, Edem Wosornu, parlando al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 20 marzo. Ma i contendenti non mostrano nessuna pietà per questa umanità esausta, disperata, tanto spietati da usare la fame come arma di guerra negando l’accesso agli aiuti. Nel corso dei mesi si è delineato un quadro raccapricciante di violenze inflitte senza risparmiare nessuno: torture, stupri di gruppo, attacchi indiscriminati in aree densamente abitate con conseguenti, inevitabili vittime civili e tutti gli altri orrori che caratterizzano le guerre in cui le violenze sui civili sono deliberate e non effetti collaterali dei combattimenti. Nel maggio del 2023 in una sola città, El Geneina, nel Darfur occidentale, da 10mila a 15mila persone di etnia Masalit sono state uccise dalle FSR. Sia i militari governativi che quelli delle FSR sono accusati di crimini di guerra e le FSR si ritiene siano responsabili anche di crimini contro l’umanità e pulizia etnica nel Darfur. 

Per dare sollievo alla popolazione, l’8 marzo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione proposta dalla Gran Bretagna che chiedeva ai contendenti di sospendere i combattimenti nel mese di Ramadan, che quest’anno è iniziato il 10 marzo. Sia al-Burham che Hemedti si sono dichiarati favorevoli a una tregua, ma in realtà finora non hanno deposto le armi neanche per un giorno e tutto fa pensare che non accetteranno presto di sedersi al tavolo delle trattative al quale da mesi si tenta di portarli. Del tutto indifferenti alle sofferenze e ai danni immensi provocati dalla loro guerra, non danno il minimo segnale di voler mettere fine alle ostilità se non con la completa sconfitta dell’avversario.   

Sembra che i soldati dell’esercito governativo per mesi non siano stati pagati, che molti, di entrambi i fronti, combattano in sandali, senza uniformi, il che provoca frequenti perdite da fuoco amico. Può darsi, ma le forze armate sudanesi sono uno degli eserciti africani più forti e le FSR sono ben armate e addestrate. Entrambi i generali inoltre continuano ad arruolare e addestrare nuove reclute e sembra che lo facciano su base etnica, una scelta molto allarmante perché la tribalizzazione dei conflitti in Africa accresce sempre la violenza degli scontri e rende più difficile raggiungere accordi di pace definitivi. Altrettanto preoccupanti, per l’esito della guerra, sono le interferenze esterne. La risoluzione adottata dal Consiglio di Sicurezza conteneva anche la raccomandazione ai governi di tutti i paesi di “astenersi da interferenze che cercano di fomentare lo scontro e di sostenere invece l’impegno per una pace duratura”.

La richiesta era rivolta agli Stati che stanno sostenendo i due generali e che in effetti, con i loro aiuti militari, deliberatamente contribuiscono a far sì che la guerra continui con conseguenze sempre più dolorose. I più potenti sostenitori del generale Hemedti sono gli Emirati Arabi Uniti e la Russia. Inoltre ha al suo fianco i mercenari russi della compagnia Wagner ai quali, in cambio, consente di sfruttare le miniere d’oro che controlla. L’alleato più forte del generale al-Burhan è l’Egitto. Di recente può contare anche sull’Iran che gli ha fornito armi e servizi di intelligence grazie ai quali ha lanciato una controffensiva dopo settimane di sconfitte e ha riconquistato la città gemella della capitale, Omdurman. Inoltre ha chiesto e ottenuto aiuto dall’Ucraina. I primi militari ucraini, principalmente dell’unità Tymur, sono arrivati in Sudan lo scorso anno in tempo per aiutarlo a lasciare la capitale, ormai circondata dalle FSR, e riparare a Port Sudan. 

A differenza di altri contesti, nei quali dei paesi stranieri, seppure motivati dall’interesse di stabilire rapporti economici e politici proficui, sono intervenuti a sostegno di governi e popoli africani minacciati da gruppi ribelli o jihadisti, in Sudan i militari russi e ucraini e gli Stati schierati su fronti opposti – Egitto, Yemen, Iran, Arabia Saudita, Qatar… – alimentano con il loro sostegno e le loro ingerenze una guerra voluta da due militari al solo scopo di sopraffare l’avversario. Ne approfittano, disposti a prolungarla e a renderla più cruenta – perché questo è il risultato – se serve a conquistare posizioni nel continente africano, incuranti delle conseguenze tanto quanto i generali Hemedti e al-Burhan.

5911.- La guerriglia dei Tuareg nel Mali

Sembrava che la firma del nuovo quadro strategico permanente per la Pace, la sicurezza e lo sviluppo (Csp-Psd), avrebbe costituito un passo avanti verso la pace nel nord del mali, dando cosi seguito agli impegni presi con la firma dell’Accordo di Principio di Roma, sancito nel febbraio 2022 con la mediazione di Ara Pacis Iniatiatives for Peace“. Ara Pacis Initiatives for Peace è un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro con sede a Roma dedicata alla dimensione umana della Pace. Non si esclude che la nascita di quella che è stata chiamata la NATO africana o del Sahel, fra Niger, Mali e Burkina Faso, abbia riacceso le dispute.

Quattro giorni or sono, un comunicato diffuso sui social network, autenticato da un portavoce degli ex ribelli all’agenzia France Presse, aveva dichiarato di essere in “tempo di guerra” con la giunta golpista al potere a Bamako e invitato “tutti gli abitanti di Azawad a scendere in campo per contribuire allo sforzo bellico”. Gli ex ribelli, si riconoscono nel Coordinamento dei movimenti Azawad(Cma), un’alleanza composta principalmente da gruppi tuareg.

Aree dove vivono i Tuareg

È dal 2012 che i tuareg rivendicano questi territori del Nord del Mali. I ribelli tuareg del Coordinamento dei Movimenti Azawad, hanno combattuto lo Stato centrale prima di firmare un accordo di pace nel 2015, rivendicando l’indipendenza di quel territorio. Gli scontri si moltiplicano e da mesi le tensioni tra la Cma e la giunta militare continuano a crescere, facendo temere la fine del cosiddetto accordo di pace di Algeri e la ripresa delle ostilità iniziate nel 2012. “La situazione della sicurezza ha portato a una crisi umanitaria senza precedenti e non sono garantite la sicurezza delle persone e dei loro beni che sono stati vittime della barbarie senza precedenti delle forze del male“.

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Soldati in Mali

L’escalation di attacchi armati nella regione aveva spinto le autorità di Timbuctù, nel nord del Paese, a dichiarare un coprifuoco notturno (dalle 20 alle 6 del mattino), come misura di sicurezza

Bamako, 18 Settembre 2023. Da Agenzia Nova – Riproduzione riservata

I combattenti Tuareg si sono ritirati dalla città di Leré, nel Mali centrale..

I combattenti del Quadro strategico permanente (Csp), l’alleanza tuareg maliana in guerra con le Forze armate maliane (Fama), si sono ritirati dalla città di Leré, nel Mali centrale, dopo averne preso il controllo per alcune ore. Lo riferiscono fonti vicine ai tuareg citate dall’emittente “Rfi”, secondo cui il ritiro è avvenuto tra le 2 e le 3 di questa mattina allo scopo di evitare possibili bombardamenti da parte dell’esercito maliano.

Il ritiro dei combattenti del Csp dalla città di Leré è confermato da diverse fonti civili locali. Nessuna conferma è per ora giunta né dal Csp né dall’esercito maliano. Ieri pomeriggio la coalizione di gruppi armati dell’Azawad (la regione settentrionale del Mali, rivendicata dai tuareg) ha attaccato Leré, situata nella regione di Timbuctu, e ha preso il controllo dell’accampamento militare della città dopo due ore di combattimento, rivendicando anche l’abbattimento di un aereo dell’aeronautica maliana. Lo scorso 12 settembre i tuareg hanno strappato alle Forze armate maliane (Fama) il controllo di Bourem, città dove le Forze armate maliane sono affiancate dai contractor russi del gruppo paramilitare Wagner.

La località è situata fra Gao e Timbuctu e ritenuta strategica perché all’intersezione di strade che portano – oltre che verso la capitale Bamako – da un lato verso il Niger, dall’altro all’Algeria. L’esercito ha tuttavia annunciato solo poche ore dopo di aver ripreso il controllo della città grazie all’intervento aereo dell’aeronautica maliana. In una dichiarazione, lo Stato maggiore delle Fama ha rivendicato l’uccisione di 46 combattenti tuareg e ha ammesso l’uccisione di dieci suoi militari nella battaglia per il controllo di Bourem. Il Cma, da parte sua, ha dichiarato di aver perso nove combattenti e di aver ucciso 97 soldati maliani, oltre ad aver requisito veicoli, armi e munizioni.

Poco prima dell’offensiva su Bourem, lo stesso Cma aveva dichiarato in un comunicato di essere ormai “in tempo di guerra” con la giunta militare al potere a Bamako. In un comunicato diffuso sui social nella tarda serata di lunedì 11 settembre, il Cma aveva inoltre esortato “tutti gli abitanti dell’Azawad” a “scendere in campo per contribuire allo sforzo bellico con l’obiettivo di difendere e proteggere la patria e riprendere così il controllo dell’intero territorio nazionale azawadiano”. Il Cma aveva quindi invitato i civili a stare lontani dalle posizioni dei “terroristi Fama/Wagner”. Il Cma, a ben vedere, si era guardato bene dal parlare di una dichiarazione di guerra da parte sua, evocando piuttosto una “risposta di legittima difesa” a quella che è stata ritenuta “un’aggressione” dell’esercito nazionale maliano e dei mercenari Wagner. La coalizione tuareg – che dal dicembre scorso è riunita nel Quadro strategico permanente per la pace, la sicurezza e lo sviluppo (Csp-Psd), nata con il dichiarato obiettivo di difendere il territorio dell’Azawad dalla crescente minaccia jihadista – è impegnata da tempo nel contrasto ai gruppi affiliati allo Stato islamico e ad al Qaeda che da un anno a questa parte si stanno spartendo le zone del Paese rimaste scoperte dopo il ritiro delle forze internazionali voluto dalla giunta golpista, completato a giugno del 2022.

L’escalation di attacchi armati nella regione aveva spinto le autorità di Timbuctù, nel nord del Mali, a dichiarare un coprifuoco notturno (dalle 20 alle 6 del mattino), come misura di sicurezza. Rivolgendosi ai media locali, il governatore della città, Bakoun Kanté, aveva precisato che la misura resterà in vigore per un mese – fino al 9 ottobre – su tutta la regione omonima e potrà essere rinnovata. La decisione segue quella, analoga, annunciata in precedenza dalle autorità della regione centrale di Gao: qui, oltre al coprifuoco notturno, il governatore militare Moussa Traoré ha vietato la circolazione nella zona di veicoli Land Cruiser, di frequente usati dai jihadisti per effettuare sanguinosi attacchi armati. Timbuctù è stata conquistata dai jihadisti del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Jnim) – affiliato ad al Qaeda – a fine agosto, dopo che il comandante dello Jnim per la regione, Talha Abou Hind, ha dichiarato “guerra totale” allo Stato maliano. I miliziani dello Jnim hanno imposto un blocco alla città e hanno di fatto “sequestrato” gli abitanti, vietando inoltre l’ingresso in città – considerata la “perla del deserto” saheliana – ai camion merci provenienti dall’Algeria, dalla Mauritania e dalla regione meridionale maliana di Mema. Nei giorni scorsi, inoltre, due razzi sono stati lanciati verso l’aeroporto della città mentre stava per atterrare un volo della compagnia di bandiera SkyMali.

5899.- Repubblica Centrafricana: il gruppo Wagner si è indebolito dopo la morte di Prigozhin.

Ecco che per chi attribuisce a una vendetta di Putin la morte di Prigozhin, i conti non tornano. E la parola di Putin è una sola.

I mercenari di Mosca avrebbero subito perdite significative nei combattimenti ingaggiati nelle ultime settimane contro i gruppi armati locali.

Da Agenzia Nova, 14 Settembre 2023 – Riproduzione riservata

wagner

Il gruppo paramilitare russo Wagner ha subito perdite significative nei combattimenti ingaggiati nelle ultime settimane in Repubblica Centrafricana contro i gruppi armati locali. Lo riferisce il sito di informazione “Middle East Eye”, citando immagini e video raccolte dai suoi giornalisti. Secondo le fonti, il gruppo di mercenari si è indebolito dopo la morte del fondatore Evgenij Prigozhin, e i suoi uomini sarebbero stati ridistribuiti e sostituiti in parte da effettivi ruandesi. Nelle ultime settimane i combattimenti si sono estesi a est, nord e ovest dell’Rca – Paese dove i Wagner operano dal 2018 – con scontri in cui i gruppi ribelli sono riusciti a guadagnare terreno in particolare intorno alla città nordorientale di Ndele e in altre aree note per le loro miniere di oro e diamanti, che sono protette dai contractor Wagner. Secondo le testimonianze raccolte dai giornalisti, il gruppo avrebbe provveduto ad evacuare fuori dal Paese i cadaveri dei suoi uomini caduti in battaglia.

Secondo quanto riferito a “Mee”, Wagner starebbe in questo momento addirittura lottando per mantenere la sua presenza in Repubblica Centrafricana, Paese dove i contractor russi intervennero nel 2018 a sostegno del presidente Faustin-Archange Touadera, secondo i termini di un accordo di difesa con la Russia. Alla fine del 2020, con Touadera minacciato da un’offensiva ribelle sulla capitale Bangui, altre centinaia di mercenari hanno rafforzato la presenza centrafricana del gruppo, al punto che il presidente divenne noto con il soprannome di “presidente Wagner”, sebbene fonti stampa citate da “Africa Confidential” riferiscano che il suo rapporto con Mosca si è di recente indebolito.

Dopo anni di tensione tra la Repubblica Centrafricana e l’ex potenza coloniale francese, Touadera ha incontrato mercoledì scorso il presidente francese Emmanuel Macron, nell’ambito di quella che Parigi ha definito una “ripresa del dialogo e di dinamiche positive nelle relazioni bilaterali”. Nell’incontro, Touadera ha tuttavia precisato a Macron che la sua partnership con la Russia proseguirà, sul filo del risultato del referendum tenuto a luglio che gli ha assicurato il diritto di ricandidarsi per un terzo mandato presidenziale.

5892.- Come fare la guerra all’Europa col culo degli altri.

É accertato che, dal 2005 ad oggi, gli Stati Uniti hanno addestrato circa 50 mila militari africani. Leggete e capite perché il Nuovo Piano Mattei deve passare per Washington.

Il Comando Operazioni Speciali degli Stati Uniti in Africa condurrà la sua operazione annuale di addestramento militare, denominata Flintlock 2023 in Ghana e Costa d’Avorio dal 1° al 15 marzo 2023.

Flintlock, è rivolta alle truppe dei paesi africani. L’obiettivo è quello del contenimento della crescente minaccia jihadista nel Sahel e in altre aree del continente e, naturalmente, il rafforzamento del parternariato degli Stati aderenti con il governo di Washington. I militari coinvolti nelle operazioni di addestramento in Ghana e Costa d’Avorio sono circa 1.300 e provengono da 29 paesi. Flintlock rafforzerà la capacità dei principali paesi partner della regione di contrastare le organizzazioni estremiste violente, collaborare oltre confine e garantire sicurezza alla propria popolazione, rispettando i diritti umani e costruendo la fiducia con le popolazioni civili. La forte partecipazione dei partner africani e internazionali riflette un impegno reciproco nel contrastare le attività maligne e l’estremismo violento in tutta la regione del Sahel e dell’Africa occidentale.

Le forze statunitensi hanno storicamente collaborato con il Ghana e la Costa d’Avorio attraverso molteplici scambi di affari militari e civili. L’anno scorso, la Costa d’Avorio ha ospitato Flintlock 2022, con più di 400 partecipanti provenienti da dieci nazioni. L’iterazione di quest’anno mira a continuare a rafforzare la capacità collettiva delle nazioni alleate e partner di affrontare le principali sfide alla sicurezza.

Flintlock – la principale e più grande esercitazione annuale di operazioni speciali dell’U.S. Africa Command – si svolge ogni anno dal 2005 nella regione africana del Sahel tra le nazioni che partecipano al partenariato antiterrorismo trans-sahariano e è pianificata dalle forze per le operazioni speciali dei paesi partner africani, dalle forze speciali Operations Command – Africa e il Dipartimento di Stato americano per sviluppare la capacità e la collaborazione tra le forze di sicurezza africane per proteggere le popolazioni civili.

U.S. Africa Command è uno degli undici comandi combattenti unificati controllati dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ed è responsabile per le relazioni e le operazioni militari statunitensi che si svolgono in tutto il continente africano, ad esclusione del solo Egitto, che è di competenza del Central Command.

Ma quale Wagner? Molti militari golpisti africani sono legati agli Stati Uniti che li hanno addestrati.

Da Analisi Difesa, di Giampaolo Cadalanu, 9 Settembre 2023. Foto: truppe africane addestrate da militari statunitensi – US Africa Command

La sequenza di colpi di Stato tentati o portati a termine in questi anni nei paesi dell’Africa subsahariana sembra una conferma dei luoghi comuni sull’instabilità quasi fisiologica del continente. Solo gli analisti più acuti azzardano un’ipotesi meno superficiale: la “fine dei sogni dell’indipendenza” per gli stati post coloniali creati su modello europeo con tanto di welfare. Oggi questi paesi sono del tutto impoveriti, fra interessi privati, pressioni clientelari e privatizzazioni richieste dalle istituzioni finanziarie internazionali e cavalcate senza scrupolo dalle aziende multinazionali già negli anni ’90. Da qui lo spazio per il modello di “ordine” populista proposto dai generali e naturalmente corredato dei sempre efficaci richiami nazionalisti.

Ma al di là del quadro generale, nelle ultime settimane sono spuntati fuori elementi nuovi, con sfumature inquietanti. Forse la narrazione che vede i rivolgimenti politici nati, cresciuti e messi in pratica in modo del tutto spontaneo deve essere rivista. Per aprire la strada al dubbio basta mettere in fila le notizie sul ruolo di altri paesi nell’addestramento dei militari coinvolti, o nella presenza di forze straniere clandestine. Mentre della compagnia militare privata russa Wagner e della sua influenza in Africa si è parlato molto, solo ora filtrano rivelazioni sul coinvolgimento di militari addestrati in Occidente.

Secondo un’indagine di Responsible Statecraft, almeno 15 gli ufficiali addestrati negli Stati Uniti e con stretti rapporti con Washington sono coinvolti nei 12 colpi di Stato in Africa occidentale e nel Sahel dall’inizio dell’intervento statunitense in Africa per combattere le milizie jihadiste nel 2002. Oltre al golpe abortito del Gambia nel 2014, ci sono state quattro diverse occasioni nel Burkina Faso (2014, 2015 e due volte nel 2022), in Ciad (nel 2022), in Guinea Bissau (2021), tre occasioni in Mali (2012, 2020 e 2021), in Mauritania (nel 2008) e nel luglio di quest’anno in Niger. Quest’ultimo rivolgimento ha portato al potere una giunta militare di cui fanno parte almeno cinque ufficiali addestrati negli Stati Uniti. Lo stesso leader dei golpisti Abdourahmane Tchiani ha frequentato la National Defense University dal 2009 al 2010, e così pure il generale Moussa Salaou Barmou, ex comandante delle Forze speciali e ora responsabile della Difesa.

L’ultimo golpe africano, in ordine di tempo, è arrivato a fine agosto in Gabon, dove Ali Bongo Ondimba è stato esautorato da un gruppo di militari guidati da Brice Oligui Nguema. Per ora di questo generale si sa solo che ha frequentato scuole militari in Marocco e Senegal, e i suoi collegamenti con l’Occidente si limitano, secondo la stampa locale, all’acquisto in contanti di proprietà immobiliari per almeno un milione di dollari a Hyattsville e Silver Spring, in Maryland (USA).

La storia dei rapporti fra militari golpisti e Occidente è lunga. Appena nel 2016 una corte del Minnesota ha condannato a lievi pene detentive quattro cittadini americani che due anni prima avevano partecipato al tentativo – fallito – di rovesciare il governo del Gambia. Volevano deporre il presidente Yahya Jammeh per mettere al suo posto Cherno Momodou Njie, un imprenditore immobiliare nato nel paese africano ma emigrato a 25 anni nel Texas. La legge americana denominata Neutrality Act vieta le azioni armate di privati in altri paesi, ma per dirla con il legale che ha difeso gli imputati “se il golpe avesse avuto successo, il governo statunitense li avrebbe considerati eroi”.

L’altra faccia delle guerre. I Neutrality Act furono una serie di leggi approvate dal Congresso degli Stati Uniti negli anni trenta (specificatamente nel 1935, nel 1936, nel 1937 e nel 1939) in risposta alla crescente minaccia e alle guerre che alla fine portarono alla seconda guerra mondiale. Esse vennero stimolate dalla crescita nell’isolazionismo e nel non interventismo negli Stati Uniti successivo alla costosa partecipazione nella prima guerra mondiale e cercarono di assicurare che gli Stati Uniti non si sarebbero di nuovo invischiati in conflitti stranieri.

Ciò non impedì a circa 150 imprese, cooperazioni americane di prendere parte al riarmo tedesco (Henry Ford, GM, Prescott Bush, Fritz Tyssen, Du Pont, ITT, IBM, Standard Oil, alcune delle quali erano società di copertura MEFO istituite dallo stato tedesco) tramite joint venture, accordi di cooperazione e proprietà incrociate con società tedesche e le loro sussidiarie) fornendo alle aziende tedesche di tutto, dalle materie prime alla tecnologia e alla conoscenza dei brevetti. Ad esempio, la DuPont possedeva azioni della IG Farben e della Degussa AG, che controllavano la Degesch, il produttore dello Zyklon B (agente tossico usato nelle camere a gas) e Irénée du Pont, direttrice ed ex presidente di DuPont, era una sostenitrice della teoria razziale nazista e sostenitrice dell’eugenetica. Così, gli USA contribuirono al piano di Hjamar Schacht, l’economista di Hitler, per finanziare il riarmo del Terzo Reich, motorizzando la Wermacht, già allora, in chiave anti sovietica.

A capo dei rivoltosi c’era il tenente colonnello Lamin Sanneh, rimasto ucciso nello scontro: Sanneh aveva ricevuto un addestramento militare nel Regno Unito, all’accademia di Sandhurst, e negli USA, alla National Defense University del Pentagono, per diventare comandante della guardia presidenziale e aver poi lasciato il Gambia per chiedere asilo negli USA e coordinare da lontano l’opposizione a Jammeh. Ad aggiungere spunti di riflessione è il fatto che anche quest’ultimo, l’ “uomo forte” del Gambia, arrivato al potere con un colpo di Stato nel 1994, era stato addestrato negli Stati Uniti.

Il Dipartimento di Stato statunitense nega ogni coinvolgimento nelle azioni dei golpisti e anzi sostiene – per la verità in modo poco convincente – di non essere in grado di seguire all’estero i militari che hanno frequentato scuole e corsi d’addestramento negli USA. Al sito di giornalismo investigativo The Intercept che chiedeva informazioni sul Niger, un portavoce del Dipartimento di Stato ha dichiarato che il governo americano “non addestra la guardia presidenziale” ma secondo lo stesso sito questa dichiarazione è smentita dagli stessi documenti interni sull’addestramento del personale straniero.

Secondo The Intercept gli Stati Uniti affidano a una vasta costellazione di agenzie, enti e società l’addestramento del personale militare straniero, che accoglie ogni anno oltre 200 mila fra militari e forze dell’ordine di paesi considerati alleati o non ostili. Il training si svolge in almeno 471 sedi di 120 paesi, in tutti i continenti tranne l’Antartide e coinvolge almeno 150 fra agenzie della Difesa, agenzie civili, scuole militari, compagnie militari private (PMC), organizzazioni non governative, oltre alla Guardia nazionale di cinque Stati.

La tentazione di individuare in questo denominatore comune dei diversi golpe una strategia complessiva americana è probabilmente azzardata. Washington vuole coltivare gli ovvi collegamenti con l’élite militare dei paesi coinvolti, affiancata sempre dal “soft power”, cioè da un potere culturale pervasivo. Ed è senz’altro soddisfatta di vedere che i golpe nell’Africa francofona stanno indebolendo l’influenza europea.

Il progressivo tramonto del vecchio continente, lo sfilacciarsi dei legami con le ex colonie e probabilmente anche i problemi per Emmanuel Macron, voce spesso critica sulla conduzione unilaterale della NATO, sono uno scenario sicuramente non sgradito e anche direttamente ricercato dai diversi governi USA. Ma il tramonto dell’egemonia europea sta lasciando sempre più spazio ad altri attori, Russia (anche attraverso la Wagner) e Cina in primis.

A confermare che con tutta probabilità il ruolo americano nell’instabilità africana è legato più alla confusione fra i diversi attori e alla mancanza di una visione geopolitica chiara che a una raffinata regia da remoto basta un severo articolo del New York Times, in prima pagina nell’edizione del 7 settembre, che racconta le difficoltà all’interno del governo Biden nel trattare il colpo di Stato in Niger. L’amministrazione democratica sta facendo i salti mortali per non chiamare “golpe” (coup) la presa di potere da parte dei militari a Niamey con l’estromissione e l’incarcerazione del presidente eletto Mohamed Bazoum. Gli scrupoli formali ricordano quelli di Bill Clinton, che decise di chiamare “atti di genocidio” e non “genocidio” tout court il massacro dei tutsi in Ruanda nel 1994 per evitare l’obbligo di intervenire.

Chiamare un colpo di Stato con il suo nome vorrebbe dire per la Casa Bianca dover interrompere ogni aiuto economico e militare con il paese coinvolto, con conseguenze geopolitiche sgradite, dallo spazio offerto a russi e cinesi alla minor presenza in chiave anti-jihadisti. Ma difficilmente il governo Biden potrà mantenere un atteggiamento di distacco diplomatico, tanto più dopo lo schiaffo subito da Victoria Nuland a Niamey. La sottosegretaria di Stato è arrivata d’urgenza nella capitale nigerina, ma nonostante le insistenze non ha avuto la possibilità di incontrare il capo della giunta militare Tchiani, né il presidente deposto e relegato nella sua residenza Bazoum.

Questa ambiguità nel negare a parole e poi concedere nei fatti l’assistenza ai paesi con un esecutivo golpista è stata segnalata dalla stessa stampa americana per il Mali, governato da Assimi Goïta, militare addestrato in Florida con le Forze Speciali statunitensi, protagonista di due putsch successivi. E vale anche per il Burkina Faso, stravolto da due colpi di Stato nel gennaio e settembre 2022. Nel primo, a prendere il potere fu il tenente colonnello Paul-Henri Damiba, addestrato negli Stati Uniti secondo i portavoce dello US Africa Command (AFRICOM). Gli stessi portavoce hanno preferito ricorrere al silenzio, senza confermare né smentire, sul protagonista del secondo golpe, Ibrahim Traoré, che in passato aveva fatto parte dei peacekeeper dell’ONU nella missione MINUSMA in Mali.

BREAKING: The leader of U.S. military’s Africa Command states our government shares “core values” with military coup leaders. 

These SAME coup leaders were trained by our own Armed Forces! pic.twitter.com/boGYfQ6csb

— Rep. Matt Gaetz (@RepMattGaetz) March 23, 2023

Nel complesso, l’approccio americano verso i militari africani potrebbe essere sintetizzato dalle dichiarazioni del generale Mike Langley, comandante di AFRICOM (a questo link l’audizione completa) che ha rivelato davanti alla Commissione Forze armate della Camera che gli Stati Uniti hanno addestrato circa 50 mila militari africani ammettendo, incalzato dal deputato repubblicano Matt Gaetz (a questo link), la “condivisione di valori fondamentali” con leader golpisti addestrati negli Stati Uniti.

5879.- Il punto sul golpe in Niger

Alla luce dei recenti golpe, messa da parte la Francia, il contrasto al terrorismo nel Sahel mette in campo, prima di tutti, la Wagner. Una ragione, per molti, sufficiente a eliminare il suo vertice .

Niger, i golpisti hanno chiesto aiuto alla Wagner. L’intelligence francese sapeva del golpe sapeva del putsch ma non è intervenuto

Niger, i golpisti chiedono aiuto alla Wagner. Eliseo sapeva del putsch ma non è intervenuto

AFP, Niger, festa dell’indipendenza a Niamey

L’attesa deposizione del dittatore di fatto del Niger Mohamed Bazoum da parte dell’esercito e della Guardia presidenziale e il sostegno che questo, o meglio, questa famiglia, al potere da 53 anni, continua a ricevere dai governi europei, hanno avuto l’effetto di un collante per i gruppi rivali qaedisti e dello Stato Islamico nella regione. Per contro, l’esercito nigerino viene ora a trovarsi impegnato su due fronti: da una parte, quello dell’Ecowas, della Francia e dell’Unione europea e, dall’altra, quello dei gruppi terroristici, da subito, attivi. Una situazione che mette in luce, una volta di più, l’insufficienza, la cecità della politica estera europea e che complica e rischia di compromettere l’attuazione del nostro Nuovo Piano Mattei. Sorge sempre la domanda, se l’Italia non starebbe meglio proiettandosi di più nel suo mare, magari affiancandosi alla Turchia, piuttosto che subire i vincoli e gli sbandamenti dell’Unione – di nome – europea. Riflettendo, la divisività imposta da una minoranza politica battuta, cosiddetta di sinistra, gioca a favore di chi si oppone alle politiche di solidarietà attiva del Governo Meloni e vuole, a un tempo, tenere bassa la testa agli europei e sfruttare le ricchezze dell’Africa. In altre epoche, la Serenissima avrebbe proposta Giorgia Meloni in sposa a Recep Tayyip Erdoğan.

Da Redazione associazioneeuropalibera, 5 settembre 2023

Nell’analisi delle varie cause che hanno concorso a questo colpo di stato, oltre al sentimento anti-francese e al ruolo non trascurabile di Mosca attraverso la propaganda e disinformazione, vi sono alcuni passaggi interni che non vanno sottovalutati, legati al terrorismo e alle violenze jihadiste.

Il golpe in Niger apre nuove possibilità al terrorismo nel Sahel

Da Affari Internazionali, di Dario Cristiani, 4 Settembre 2023

Il sorprendente colpo di stato del 26 luglio che ha destituito il presidente della Repubblica del Niger Mohamed Bazoum, eletto nel 2021, seguito dall’insediamento della giunta militare al potere, ha aperto una nuova fase nelle dinamiche regionali nel Sahel.

Nell’analisi delle varie cause che hanno concorso a questo colpo di stato, oltre al sentimento anti-francese e al ruolo non trascurabile di Mosca attraverso la propaganda e disinformazione, vi sono alcuni passaggi interni che non vanno sottovalutati, legati al terrorismo e alle violenze jihadiste.

Il ruolo del terrorismo jihadista

Nonostante il Niger non abbia sofferto la spirale di violenza che Mali e Burkina Faso hanno conosciuto negli ultimi cinque anni a causa degli attacchi terroristici e delle infiltrazioni jihadiste, la “percezione” di insicurezza della  popolazione civile varia da comunità da comunità: i villaggi e i gruppi nell’area nigerina della cosiddetta “Tripla Frontiera” (la zona di Liptako-Gourma) all’intersezione di Mali, Burkina Faso e Niger, hanno chiaramente una percezione diversa rispetto a comunità meno colpite dal jihadismo.

Ad ogni modo, la possibilità di un intervento militare della  Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale – (Cedeao o Ecowas) si fa sempre meno probabile, anche perché determinate azioni di specifici attori internazionali, si pensi agli Stati Uniti, fanno pensare che l’appetito per un intervento militare per riportare Bazoum al potere o, quanto meno, un governo civile non sia poi così significativo.

Una delle questioni più importanti sul tavolo riguarda le prospettive dei gruppi jihadisti in Niger, e come questo colpo di stato possa influenzare le strategie di contro-terrorismo nigerino, che – nonostante difficoltà strutturali e mezzi limitatissimi – sono riuscite ad ottenere risultati relativamente sorprendenti nella lotta al terrorismo.

Alcuni giorni dopo il colpo di stato, sui canali Telegram legati alla propaganda dei gruppi qaedisti operanti nel Sahel sotto la sigla di Jama’at Nusrat al-Islam wal Muslimeen [il Gruppo per il supporto dell’Islam e dei Musulmani – JNIM], tale sviluppo era stato considerato quasi come una sorta di “opportunità d’oro” per poter rafforzare la propria presenza in Niger. I gruppi qaedisti hanno individuato l’opportunità di sfruttare tale situazione di instabilità lanciando attacchi contro basi militari occidentali presenti nel paese e le ambasciate, bloccando la produzione di oro e uranio da parte delle aziende straniere, cercando di rapire occidentali da fare ostaggio, e colpire l’esercito nigerino per sequestrare armi e munizioni.

La risposta dei golpisti, le opportunità per i gruppi jihadisti

Alcune settimane dopo il putsch, il Niger ha sofferto un attacco particolarmente significativo. Il 15 agosto, un distaccamento delle forze speciali nigerine è stato attaccato sulla strada che collega le città di Boni e Torodi, nel distretto di Tillabéri, circa 60 km a ovest di Niamey, in direzione del confine con il Burkina Faso. Stando a fonti del Ministero della Difesa, almeno 17 soldati sono stati uccisi e 20 feriti, in quello che è stato l’attacco più letale degli ultimi sei mesi. Qualche giorno prima, sei soldati della Guardia Nazionale erano stati uccisi in questo distretto, la principale zona di insurrezione locale nella già citata regione della “tripla frontiera.”

Nei giorni seguenti, le autorità nigerine hanno reagito. Stando a quanto riportato dall’ agenzia di stampa statale Agence Nigérienne de Presse (ANP), il 22 agosto l’esercito ha ucciso un numero imprecisato di militanti sempre nel distretto di Tillabéri, inclusi diversi noti leader dello Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS), distruggendo altresì circa 200 moto e cinque veicoli usati dai militanti. Stabilire un collegamento diretto tra l’attacco di metà agosto e il colpo di stato è probabilmente eccessivo.

Considerando queste premesse, il colpo di stato e il relativo periodo di assestamento – la cui durata è chiaramente da definire – rappresenta un’opportunità per i gruppi jihadisti operanti in Niger e più in generale nel Sahel per rivedere le proprie opzioni e sfruttare tale finestra di relativa incertezza per rafforzare le proprie posizioni sul terreno. Le implicazioni sono varie, in tal senso. In primis, ad esempio, qualora ci dovesse essere realmente un intervento armato regionale per ristabilire l’ordine costituzionale in Niger, le forze armate nigerine si concerterebbero necessariamente sul conflitto, lasciando ulteriore spazio alle forze jihadiste per rafforzarsi nel paese.

Va sottolineato come la rivalità tra i gruppi qaedisti e dello Stato Islamico porta entrambe le fazioni a vedere nel colpo di stato un’opportunità per riportare anche qualche vittoria sui propri rivali.

In tal senso, c’è una dinamica paradossale: questa rivalità crea insicurezza, perché porta questi gruppi a combattere tra di loro coinvolgendo i civili; ma al tempo stesso riduce la portata sistemica della minaccia jihadista, che sarebbe ben più significativa se le varie sigle locali lavorassero insieme.

Il golpe servirà da collante tra i vari gruppi del jihad?

Alcuni militanti jihadisti sono consci di quanto queste divisioni rappresentino un elemento di debolezza. Infatti, non è un caso che – nelle settimane successive al colpo di stato – nel Sahel siano iniziati a circolare audio che suggerivano la nascita di un nuovo gruppo jihadista, frutto di una scissione all’interno di JNIM – Jama’at Wahdat Muslimeen (Gruppo dell’Unità dei Musulmani). Questi sviluppi hanno richiamato le fazioni locali all’unità e alla fine delle ostilità tra le forze di al-Qaeda e quelle dello Stato Islamico, sostenendo che ciò servirebbe sia a “preservare il sangue dei musulamni, particolarmene di quelli ordinari, uccisi giorno e notte senza colpa alcuna” e di unire le forze per “salvarli” e combattere contro i governi locali che usano le milizie Dozo, dei Volontaires pour la défense de la patrie e Wagner.”

Sebbene la portata di questi messaggi e di queste dinamiche resti in larga parte ancora da definire, il fatto che movimenti di questo tipo realizzino appelli specifici all’unità delle forze jihadiste locali, suggerisce che il colpo di stato in Niger ha – quantomeno – rappresentato un momento per questi gruppi di riflessione strategica e di riassestamento tattico.  Se queste forze  riusciranno a compattare il fronte delle fazioni jihadiste, si rischierà di entrare in una fase dove, nel Sahel, questi gruppi possono diventare una minaccia nettamente più strutturata, e strutturale, di quanto essi non siano da divisi.

Niger: dopo il golpe a Niamey l’ipotesi di un ritiro dei militari francesi si fa sempre più probabile

Il “braccio di ferro” dura ormai da più di un mese e si è cristallizzato nel rifiuto francese di ritirare l’ambasciatore Sylvain Itté

Niamey, 4 Settembre 2023, © Agenzia Nova – Riproduzione riservata

La crisi che si sta consumando fra Parigi e la giunta golpista salita al potere in Niger lo scorso 26 luglio rende ancora più concreta la possibilità di un ritiro delle truppe francesi anche dal Paese saheliano, ultimo baluardo della strategia antijihadista francese in Africa. Il “braccio di ferro” dura ormai da più di un mese e si è cristallizzato nel rifiuto francese di ritirare l’ambasciatore Sylvain Itté, disconoscendo di fatto l’autorità golpista. Lo scontro è reso palese anche dalle ripetute e partecipate proteste con cui centinaia di sostenitori del golpe hanno prima assaltato l’ambasciata francese, quindi chiesto a gran voce lo smantellamento delle basi francesi (e statunitensi) presenti nel Paese per porre fine a quella che viene considerata come un’ingerenza nei fatti interni nigerini. Gli sviluppi del post-golpe in Niger seguono, del resto, un copione ormai noto dopo i colpi di Stato avvenuti di recente in Guinea, in Mali e in Burkina Faso, come dimostra anche l’interdizione delle attività delle Ong francesi ed internazionali nelle aree ritenute “operative” dal punto di vista militare nel contrasto al terrorismo.

L’ipotesi di un ritiro dei circa 1.500 uomini presenti a Niamey sembra dunque farsi di giorno in giorno sempre più probabile, specialmente dopo l’intervista rilasciata nel fine settimana al quotidiano “Le Monde” dalla ministra degli Esteri francese, Catherine Colonna, la quale ha evocato l’impossibilità per Parigi di mantenere – nelle condizioni attuali – il suo supporto militare al Niger in termini di lotta al terrorismo e di addestramento dei militari locali. “Queste truppe sono lì su richiesta delle autorità (democraticamente elette) del Niger, per sostenerle nella lotta contro i gruppi terroristici armati e per svolgere attività di addestramento. Oggi questa missione non può più essere garantita poiché non abbiamo più, di fatto, operazioni condotte congiuntamente con le forze armate nigerine”, ha dichiarato Colonna al quotidiano francese. Negli ultimi tre anni, del resto, il confronto con le nuove giunte militari di Guinea, Mali e Burkina Faso ha costretto tre anni la Francia ad operare una significativa riduzione della sua presenza militare nel Sahel e a ritirare completamente gli effettivi dell’operazione Barkhane e della missione Takuba da Bamako e Ouagadougou, oltre che a ridurre significativamente quelli presenti a Conakry.

Uno scenario che aveva già spinto molti osservatori a parlare di un tramonto definitivo della cosiddetta “Francafrique”, oggi reso ancora più evidente con gli ultimi sviluppi in Niger. Interpellata al riguardo, la ministra Colonna ha tuttavia tenuto a precisare che “la Francafrique è morta da molto tempo”. “Non è la Francia che fa e disfà le elezioni, sceglie i presidenti africani o conduce colpi di Stato”, ha detto la ministra, che in merito alla presenza del gruppo di mercenari russi Wagner nel continente ha definito la sua azione “di un’inefficacia totale nella lotta al terrorismo” e si è detta certa che la morte del fondatore, Evgenij Prigozhin, abbia provocato uno “shock considerevole” sulle sue attività. Tuttavia, ha ammesso, “è ancora presto” per sapere quali saranno le conseguenze della sua scomparsa in vista di un’eventuale riorganizzazione del gruppo. Sul rifiuto di ritirare l’ambasciatore Itté, Colonna ha ribadito la posizione inflessibile già assunta dal presidente Emmanuel Macron. “È il nostro rappresentante presso le legittime autorità del Niger, accreditate come tali, e non dobbiamo obbedire alle ingiunzioni di un ministro che non ha legittimità, né per i Paesi della subregione, né per l’Unione africana, né per per le Nazioni Unite, né per la stessa Francia. Questo spiega il mantenimento del nostro ambasciatore”, ha dichiarato ancora la ministra degli Esteri, garantendo che Parigi si sta “assicurando che (Itté) possa affrontare in sicurezza la pressione dei golpisti”.

Il Quai d’Orsay aveva già ufficialmente respinto l’ordine di espulsione dell’ambasciatore, promulgato dai militari nigerini lo scorso 25 agosto, così come aveva fatto poi lo stesso Macron, convinto che questa fosse “la scelta politica giusta”. Colonna, che a poche ore dal golpe aveva annunciato il congelamento da parte di Parigi di tutti gli aiuti allo sviluppo al Niger fino a quando Bazoum e “l’ordine costituzionale nigerino” non fossero stati ripristinati, non si è invece espressa esplicitamente sull’opzione di un intervento militare, caldeggiato dalla Comunità economica dei Paesi dell’Africa sub-sahariana (Cedeao). Sulla questione Parigi – che la ritiene un’opzione possibile in caso di fallimento diplomatico – non ha tuttavia ottenuto il sostegno sperato alla ministeriale Esteri dell’Unione europea tenuta il 31 agosto a Toledo, in Spagna, dove i ministri dei 27 si sono mostrati più propensi a predisporre un pacchetto di sanzioni mirate. La proposta avanzata dal governo dell’Algeria per un periodo di transizione di sei mesi guidato da un leader civile sembra, del resto, aver gettato acqua sul fuoco, sventando – almeno per il momento – un intervento militare.

5853.- E se fosse stata opera della CIA? Lo strano intervento di Biden.

Mosca: “Inaccettabili le parole di Biden su Prigozhin”. E intanto viene rimosso il relitto del jet su cui viaggiava il capo della Wagner

La Russia fa sapere di non aver gradito le parole del Presidente Usa sulla misteriosa morte di Prigozhin. Nel contempo, sul luogo dello schianto sono stati rimossi i resti del jet del capo della Wagner.

Da Il Riformista, Redazione — 25 Agosto 2023

Mosca: “Inaccettabili le parole di Biden su Prigozhin”. E intanto viene rimosso il relitto del jet su cui viaggiava il capo della Wagner

Il vice ministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov ha definito “inaccettabili” le parole del presidente degli Stati Uniti Joe Biden a proposito della morte del fondatore del gruppo Wagner. “Non sono sorpreso”, aveva detto Biden il giorno dello schianto dell’aereo. “Non succede molto in Russia senza che ci sia dietro Putin”, aveva aggiunto.

“Non spetta al presidente degli Stati Uniti parlare di eventi tragici di questo tipo”, ha detto Ryabkov citato dall’agenzia di stampa statale Tass, aggiungendo che un simile intervento dimostra il disprezzo di Washington per la diplomazia.

E intanto, sempre secondo fonti russe, è stato rimosso il relitto dell’aereo Embraer di proprietà di Evgenij Prigozhin, che si è schiantato mercoledì nei pressi del villaggio di Kuzhenkino, nella regione di Tver, in Russia. Lo riporta l’agenzia di stampa Ria Novosti.

5850.- morto Evgenij Prigozhin. Abbattuto!

Agenzianova.com – 23 AGOSTO 2023 -di Redazione

Evgenij Prigozhin e Dmitrij Utkin sono morti. Lo ha affermato il rappresentante dell’amministrazione della regione di Zaporizhzhia, Vladimir Rogov. “Ho appena parlato con” alcuni membri del gruppo paramilitare russo Wagner “e mi hanno confermato la morte”, ha detto Rogov parlando del fondatore e del numero due del gruppo Wagner. I due sarebbero deceduti nello schianto di un volo privato diretto da Mosca a San Pietroburgo caduto nella regione russa di Tver. Sulla scena del disastro aereo sono stati trovati i corpi di otto persone, i cadaveri sono tutti gravemente ustionati. Lo riferisce il canale Telegram “Baza”, spesso indicato come vicino ai servizi segreti russi. “Molto probabilmente sarà necessario il test del Dna per stabilirne l’identità” si legge ancora. Inoltre, secondo “Baza”, a una delle vittime è stata trovata la testa staccata dal corpo, mentre il volto di un’altra vittima risulta quasi del tutto irriconoscibile.

Ecco il momento del disastro aereo: avaria, bomba o missile?

Secondo le informazioni preliminari tutte le persone a bordo sono morte”, ha riferito il dicastero su Telegram. Rosaviatsia ha aperto un’indagine sullo schianto del velivolo.

Secondo il canale Telegram Grey Zone, vicino al gruppo paramilitare russo Wagner, il jet Embraer Legacy 600 con numero di registrazione RA-02795, che apparteneva a Prigozhin, e che si è schiantato nella regione di Tver, “è stato abbattuto dal fuoco della difesa aerea del ministero della Difesa” di Mosca. Il velivolo Embraer Legacy 600 caduto nella regione russa di Tver apparteneva alla società Mnt Aero, specializzata nel noleggio di velivoli a uso privato. Una commissione d’inchiesta ha avviato un’indagine per stabilire le cause dell’incidente.

Da Open.Online : Una serie di video che circolano su canali Twitter e Telegram mostrano chiaramente il momento in cui il veilvolo Embraer Legacy 600 perde quota nella regione di Tver, in Russia, fino a schiantarsi inesorabilmente al suolo. A bordo ci sarebbero state 10 persone, tutte morte: fra queste, secondo l’agenzia del trasporto aereo russo Rosaviatsiya, anche il capo della milizia Wagner Yevgeny Prigozhin. Secondo un canale vicino al Gruppo, Grey Zone, a provocare lo schianto sarebbero state due raffiche della contraerea russa.

Altri parlano dell’abbattimento da parte di due jet

Ma notizie certe, al momento, non ve ne sono. Che si sia trattato di colpi terra-aria, di un esplosivo collocato a bordo o ancora di un’avaria, appare chiaro tuttavia che il boss della Wagner sia morto insieme probabilmente ad alcuni suoi stretti collaboratori. Si tratterebbe della vendetta «fredda» che si prevedeva sarebbe presto o tardi arrivata di Vladimir Putin contro l’uomo che ha osato sfidarlo pubblicamente, mettendo a repentaglio lo scorso 24 giugno l’intero sistema di potere da lui costruito in 20 anni all guida della Russia. 

Il video della caduta

Il morto che cammina è morto.


Video che circolano online mostrano il momento della caduta verticale e l’esplosione del velivolo di proprietà del capo della Wagner

5834.- Il colpo di Stato in Niger: rischi e sfide per un futuro dalle molte ombre

Il Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione Africana, organismo panafricano si è riunito oggi, ufficialmente, per ricevere un aggiornamento sull’evoluzione della situazione in Niger, praticamente per discutere sugli sforzi per affrontarla, assecondando, ma fino a un certo punto, Parigi e Washington. La domanda è: “Come affronteranno la crisi nigerina senza spaccare l’Ecowas?”

Da Analisi Difesa, di Ugo Trojano, 5 Agosto 2023

In attesa di nuovi sviluppi, la crisi scatenatasi apparentemente senza preavviso in Niger fornisce fin da ora diversi elementi o meglio lezioni di realismo su cui riflettere, da non sottovalutare a prescindere dall’esito finale della vicenda. Quattro colpi di Stato dal 2020 nei Paesi Saheliani, includiamo anche la Guinea Conakry che sfiora il Sahel, dell’Africa Occidentale costituiscono un pesante fardello in primo luogo per le popolazioni locali, per le economie dei Paesi coinvolti. Rappresentano una grave battuta d’arresto nel contrasto alla penetrazione terroristica, jihadista, estranea quest’ultima, alla cultura e alle tradizioni popolari dell’area, nel contrasto ai traffici di esseri umani, infine uno smacco per gli alleati e finanziatori occidentali, Francia, Ue e USA in testa.

Mali, Guinea Conakry, Burkina Faso e dal 26 Luglio scorso il Niger, dove la situazione resta fluida, tutt’altro che stabilizzata, sempre vicini alla Francia, all’Occidente da cui hanno ricevuto ingenti aiuti allo sviluppo ma soprattutto coperture per i bilanci statali, alleggerimenti del debito pubblico, accessi privilegiati ai finanziamenti agevolati della Banca Mondiale, interventi dell’FMI per le ristrutturazioni del debito, sono gli esempi recenti e concreti di una destabilizzazione dell’area iniziata con la sciagurata aggressione alla Libia del 2011 e la morte della guida Gheddafi.

In sintesi Francia e alleati occidentali non compresero allora il gravissimo errore e perseverarono nonostante gli avvertimenti, quanto mai profetici all’epoca e poi nel 2012 e 2013, del Presidente nigerino Issoufou, predecessore del deposto, per ora, Presidente Bazoum, e dello stesso Bazoum allora ottimo ministro degli esteri. Entrambi, conoscendo naturalmente bene le dinamiche africane, pronosticarono la Libia come una nuova Somalia e rischi seri di destabilizzazione per i più deboli Paesi Saheliani. Auspicavano interventi Ue e italiani più incisivi, in particolare una maggiore cooperazione nel settore sicurezza, integrata da progetti di sviluppo a favore dell’occupazione giovanile per contrastare gli ingaggi offerti ai poveri disoccupati dai terroristi islamici e dalla criminalità organizzata.

Ne sono stato testimone diretto in quanto negli anni passati in Niger incontrai professionalmente dal 2013 al 2015 diverse volta l’allora ministro degli esteri Bazoum il quale, nutrendo simpatia per l’Italia, me lo ribadiva anche in incontri informali.

Il risultato di errate valutazioni, non volendo comprendere ne’ adeguarsi realisticamente alle nuove dinamiche sul terreno, i comportamenti a dir poco sconcertanti di taluni governanti europei, dei vertici Ue preoccupati solo di seguire principi irrealizzabili in taluni Paesi, l’ossessione per le procedure burocratiche, hanno alfine inciso pesantemente favorendo una costante perdita di credibilità europea. E’ stata consentita di conseguenza la penetrazione significativa di nuovi attori, Russia, Turchia, Cina, ben più concreti, solidi, poco votati ad impartire lezioni agli africani piuttosto inclini ad ottenere risultati per sé e, nel breve periodo, per i nuovi committenti africani.

Tutto si è accelerato in pochi anni modificando concetti, procedure e modelli operativi divenuti obsoleti, addirittura controproducenti, allorché Paesi rivali possono decidere con rapidità, senza fronzoli puntando al conseguimento dell’obiettivo prefissato e soddisfacendo al tempo stesso il committente con minori condizionamenti.

Ben prima della guerra russo ucraina l’influenza occidentale sui Paesi nord africani e saheliani venne progressivamente erosa da potenze non proprio amiche. Ad esse vanno aggiunte la Turchia ed alcuni Paesi del Golfo, Qatar in particolare. Questi ultimi due perseguendo i propri interessi, pur non essendo apertamente ostili all’Occidente, hanno svolto un ruolo ambiguo di penetrazione conquistando spazi ed influenze a discapito di Francia, Italia e Paesi Ue.

Emblematico il ruolo della Turchia in Libia. In pochi mesi attraverso fornitura di droni e armi, impiego massiccio di consiglieri militari nel momento del bisogno, ovvero quando Tripoli, governo riconosciuto dalla Comunità internazionale, si trovava sotto assedio e stava per capitolare, la Turchia rispose fattivamente agli appelli lanciati invano in primo luogo al nostro Paese. L’influenza italiana in Tripolitania fu così erosa drasticamente e rimpiazzata da quella turca.

Ancor peggio andò in Somalia dove i turchi la fanno da padroni, con il consenso del regime locale beninteso. In Africa occidentale sulle orme di russi e cinesi, i turchi, grazie anche ai finanziamenti del Qatar, sono riusciti in meno di un decennio ad incrementare finanziamenti, presenza di aziende, vendita di armi, influenza politica e strategica.

La recente guerra russo ucraina non ha fatto che rendere più concreti, evidenti processi già in atto in Africa da anni. Ritengo si sia proceduto lucidamente al ricambio delle sfere di influenza per fasi successive, inizialmente verificando la consistenza delle risposte da parte degli Stati africani mirati, da parte di Francia, Ue, Usa ad atti e campagne comunicative ostili, anti francesi in prima battuta poi anti occidentali. Più facile risultò attaccare l’Onu e le sue missioni di stabilizzazione dispendiose, inefficaci, persino contro producenti quando si è trattato di difendere con le armi e non con le indennità di missione villaggi e popolazioni vittime di attacchi terroristici crudeli, impietosi.

Constatata la debolezza delle risposte, la mancanza di pragmatismo, l’incomprensione da parte di Onu, Ue, Francia della realtà del terreno mutata negli anni, alcuni Stati africani alleati tradizionali di Francia e occidente, fiaccati dalle azioni terroristiche mai completamente debellate, dalle pressioni di popolazioni sempre più impoverite, hanno ceduto alle lusinghe russe, ai risolutori della Wagner, alle elargizioni cinesi, ai turchi, musulmani ben più comprensivi. Il disimpegno francese in Mali, Burkina Faso, Repubblica Centro Africana, Guinea ha contribuito infine ad accentuare le crisi con il rischio di provocare un effetto domino imprevedibile.

Nulla sarà più come prima  Alla luce di eventi disastrosi in primo luogo per le stesse popolazioni africane coinvolte, per le loro fragili economie, per la loro stabilità, in seconda battuta per gli interessi e la sicurezza europea, occorrerà forse ragionare e agire pragmaticamente per riconquistare credibilità e rispetto nelle aree di crisi. Le nuove sfide porterebbero ad accantonare comportamenti, condizionalità eccessive considerati intimamente dagli stessi beneficiari africani arroganti e demagogici, irrispettosi delle tradizioni e culture locali.

Realtà da affrontare sul terreno, constatazioni, lezioni apprese.

L’anomalo colpo di Stato in Niger ha sorpreso e spiazzato. Ha rivelato quasi brutalmente una spaccatura, colpevolmente imprevista, tra le forze di difesa e sicurezza nigerine e gli alleati occidentali, formatori di ufficiali superiori, corpi di élite, gendarmeria, polizia, guarda nazionale, giudici e magistrati. In altri tempi, anche recenti, in un Paese stretto alleato della Francia e dell’occidente, sarebbero stati captati “spifferi”, ricevute informazioni riservate su quanto si stava tramando.

Non avendo fiutato nulla, a quanto è dato sapere, i servizi di intelligence collegati e gli stessi formatori europei e americani, hanno semplicemente subito uno smacco impensabile causato più che probabilmente da una perdita di fiducia reciproca. Forze non proprio amiche sono riuscite a incrinare impunemente alleanze militari e civili consolidate.

In Paesi sotto attacco terroristico da anni, instabili, in fase pre-conflittuale, conflittuale o post conflittuale non appare opportuno né tantomeno realistico rispondere a richieste di aiuto, forniture militari, di cooperazione civile anteponendo veti, condizionalità eccessive su diritti, ambiente, parità di generi ecc. facendo finta di ignorare le tradizioni culturali, religiose e di vita locali.

Una democrazia, per quanto imperfetta, esisteva in Niger. Il paragone con altri Stati africani limitrofi sarebbe stato improponibile e sarebbe risultato sempre favorevole al Niger. Elezioni, parlamento funzionante, partiti politici di opposizione, stampa e media governativi e di opposizione, pur se con alcune limitazioni. Realisticamente non si dovrebbe pretendere un regime esattamente modellato sulle più avanzate democrazie europee. Non verrebbe accettato dalle stesse popolazioni per indole e tradizioni diverse.

Eppure il grave errore di voler insegnare e far sì che Paesi di un altro continente pensino e agiscano come la Ue vorrebbe che facessero si è protratto nel tempo causando appunto perdita di fiducia, di credibilità. Un Paese saheliano si trova dunque fra l’incudine dell’arroganza dei francesi percepita come tale e il martello di insegnamenti, eccessiva burocrazia e pretese spesso inattuabili da parte dell’Ue.

Nonostante ingenti finanziamenti, aiuti ai bilanci statali, cooperazione per la sicurezza e allo sviluppo appare paradossale che alcuni Paesi preferiscano cedere alle lusinghe russe, cinesi, turche ecc sapendo che la mole di aiuti, a parte quelli militari e quelli destinati ai movimenti di protesta e alla comunicazione anti governativa e anti occidentale, non potranno mai raggiungere il livello di quelli forniti da Francia, Ue, Usa. Evidentemente la guerra al terrorismo islamico e la ricerca di stabilità richiedono maggiore flessibilità, rapidità di decisioni, procedure semplificate, minor demagogia.

Risposte adeguate ad azioni ostili e campagne di disinformazione

A fronte di una sfida divenuta globale fra blocchi di alleati, acuitasi con la guerra russo ucraina, gli africani coinvolti hanno probabilmente percepito una mancanza di risposte adeguate e forti da parte dei tradizionali alleati occidentali nei confronti di azioni ostili terroristiche in primo luogo e a seguire nei confronti della Wagner e dei suoi sponsor.

Debole e quasi fallimentare l’esperienza del G5 Sahel voluta fortemente da francesi e Ue ma mai decollata pienamente. Un altro aspetto ha colpito chi ha operato a lungo in Africa e ha avuto contatti regolari con media e stampa locali. La scarsa attenzione rivolta al settore da parte dei francesi (che comunque possono contare su importanti fonti comunicative proiettate sull’area africana quali Radio France Internationale e France 24), della Ue, degli Stati europei e degli americani.

Per rispondere a campagne di disinformazione anti francesi e anti occidentali ben orchestrate, finanziate dalla Wagner e sponsor vari, probabilmente anche da turchi e cinesi, sarebbe stato indispensabile poter contare su stampa e media locali non ostili. Non sembra sia stata colta l’importanza dei media soprattutto delle radio locali che in tutti i Paesi a maggior ragione in Niger, dove da anni esiste una stampa di opposizione, raggiungono i villaggi più sperduti contribuendo a creare opinioni e simpatie.

Di questo aspetto non secondario posso fornire testimonianza diretta (nella foto a lato l’‘autore dell’articolo a Niamey nel 2014).

In Niger sono stato portavoce e capo della comunicazione di una missione civile Ue di sostegno alle forze di difesa e sicurezza nigerine nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. La missione ha formato migliaia di elementi e fornito materiali e attrezzature di supporto.

Dal mio arrivo ho attivato i contatti con giornalisti di stampa e media locali andando a visitare anche le più sperdute redazioni locali di Niamey e Agadez quasi sempre con autista e senza scorta. Questi semplici gesti di attenzione hanno facilitato grandemente il mio lavoro, prodotto promozione e larga diffusione mediatica delle attività di formazione della missione attraverso decine di articoli e servizi radio Tv, ma soprattutto rispetto nei miei confronti al punto che dopo pochi mesi mi è stato concesso l’onore, da straniero, di fondare il circolo della stampa di Niamey.

Hanno aderito giornalisti filo governativi e di opposizione, nessuna esclusione, con assidua partecipazione alle cene mensili in cui si discuteva liberamente della situazione politica del Paese, della regione, si discuteva informalmente con un invitato d’onore fra ambasciatori, capi delle missioni internazionali presenti sul posto o ospiti di rilievo in missione a Niamey.

Infine con un piccolo budget annuale a mia disposizione ho fatto realizzare due sale stampa per lo Stato maggiore della difesa e per il Comando generale della Polizia, un video sulla missione da una televisione locale, e a nome del Club de la Presse de Niamey una conferenza internazionale di 2 giorni sulla sicurezza della regione invitando, con la co-partecipazione finanziaria dell’Ambasciata Usa, inviati speciali francesi, italiani, inglesi della Reuters da Dakar, professori americani, giornalisti africani dai Paesi limitrofi.

Fu un grande successo che mi permise di stabilire, oltre alla stampa, ottimi rapporti, anche personali, con ministri e alti funzionari governativi, ufficiali superiori, di muovermi a mio agio nella società locale. Alla fine i risultati per la Missione Ue di cui facevo parte andarono oltre le aspettative. Le informazioni riservate, gli “spifferi” giungevano da più parti, avevamo in anticipo il polso della situazione addirittura nel mio caso anche informazioni più che sensibili fornite sulla base della fiducia reciproca. Personalmente la soddisfazione maggiore, come accadde in Senegal, è stata quella di essere definito “l’africano”, l’amico sincero degli africani.

La digressione è forse utile per comprendere quanto siano importanti in determinati contesti il fattore umano, l’esperienza del terreno, la voglia di conoscenza, la flessibilità mentale. Fattori evidentemente trascurati da quanti non hanno previsto i cambiamenti perseverando in atteggiamenti e insegnamenti sempre meno tollerati.

La Comunità Economica degli Stati dell’Africa occidentale perde pezzi

A seguito delle crisi già evocate, dei colpi di stato, della presenza sempre più aggressiva del terrorismo, della instabilità diffusa, della progressiva perdita di credibilità della Ue e della Francia, alcuni Stati membri attivi della Cedeao o Ecowas hanno richiesto sostegno a nuove entità straniere in funzione anti francese e occidentale.

Ciò ha comportato il disimpegno francese, la cessazione della cooperazione militare con i regimi di Guinea, Mali, Burkina Faso. RCA ed ora anche Niger, la sospensione di finanziamenti e altre sanzioni economiche applicate anche dalla Ue e dalla Cedeao.

Inevitabile una spaccatura interna nella Cedeao. Quattro Stati su 15 sono sospesi e sanzionati pesantemente a livello bancario e finanziario con minacce di espulsione dall’Organizzazione. E’ palese che dietro gli eventi succedutesi dal 2019 in poi vi sia stata una strategia funzionale al Caos, alla ulteriore instabilità dei Paesi saheliani ad uno scossone anti occidentale da cui trarre benefici strategici ed economici, riempendo i vuoti ed estendendo influenze politiche e militari.

La Cedeao con una riforma del suo Statuto ha previsto anni addietro, oltre alle sanzioni bancarie, finanziarie ed economiche anche la possibilità di interventi militari concordati per riportare stabilità nei Paesi vittime di colpi di Stato a seguito di elezioni considerate regolari. Il ripristino della autorevolezza della Cedeao e della sua compattezza sarà un fattore determinante per un futuro prossimo dalle molte ombre.

Parimenti grave sarebbe un ulteriore disimpegno o peggio un ritiro dei contingenti militari europei e americani di stanza nel Sahel. Una realtà scevra da demagogie indicherebbe che se ciò avvenisse vi sarebbe il collasso della Cedeao e la consegna di interi Paesi a entità anti occidentali. Queste ultime puntano fra l’altro allo stretto controllo delle risorse minerarie, energetiche, delle terre rare, i cui sfruttamenti sono stati peraltro già assicurati in Mali, Burkina Faso, RCA certamente non a miglior beneficio dei committenti africani.

Vi sarebbe anche un aspetto rilevante per il sud Europa, l’Italia in particolare. Russia, Wagner e altri associati, pur non essendo per ora apparentemente coinvolti, non si opporrebbero certo ad un traffico di migranti illegali accresciuto, già da tempo utilizzato anche per fini di destabilizzazione dei Paesi del sud Europa.

Il ruolo italiano

Nel Mediterraneo allargato, area che comprende l’instabile Sahel, l’Italia ha mostrato negli anni di possedere grandi potenzialità di penetrazione quasi sempre accompagnate da un giusto, apprezzato approccio verso governi e popolazioni locali. E

’ uno dei motivi della rivalità con la Francia la quale ha reagito spesso con azioni dissuasive culminate con dispetti fragorosi quali l’inconsulta azione in Libia per spodestare la guida Gheddafi e in tempi più recenti le pressioni sul Niger per ritardare, scoraggiare l’invio del contingente militare italiano nel Paese saheliano.

Tutto iniziò negli anni 80 allorché l’allora Presidente del consiglio Bettino Craxi rese operativa e prioritaria una strategia italiana verso il Sahel allora area non di particolare interesse per noi. Sono trascorsi decenni da allora, la mancanza di finanziamenti, una certa superficialità non permisero di assicurare la continuità di una politica lungimirante.

Va reso merito al nostro Paese di aver finalmente rielaborato, rendendola operativa, una visione strategica bilaterale verso l’Africa in generale, nord Africa e Sahel in particolare. I tempi sono cambiati ma non sono cambiati, per nostra fortuna, i buoni ricordi, l’accoglienza favorevole degli africani nei nostri confronti. Potremmo, come facemmo per un breve periodo, addirittura rivaleggiare con i francesi accrescendo sostanzialmente la nostra influenza.

Tuttavia terrorismo, crisi migratorie, guerre regionali asimmetriche, guerra russo-ucraina suggerirebbero compattezza e coordinamento delle azioni fra alleati non più rivali. Il dato da considerare pragmaticamente sarebbe che a fronte della aggressività delle forze anti occidentali, di un’azione comune di difesa e sicurezza europea insufficiente e poco credibile, si renderebbe opportuno consolidare le azioni di Paesi alleati, gli interventi bilaterali.

Eventuali azioni militari coperte o meno dovrebbero essere integrate necessariamente da programmi visibili e concreti di cooperazione a favore delle popolazioni.

Ben venga quindi il Piano Mattei in attesa di un corposo Piano Marshall africano sbandierato da anni dalla Ue, ma mai nemmeno impostato seriamente. Ne scrivemmo anni fa su Analisi Difesa sottolineandone anche gli aspetti di prevenzione delle crisi, dei Colpi di Stato, dell’impatto positivo sulla stabilità dei Paesi. Da allora purtroppo parole e retorica non hanno portato risultati contribuendo piuttosto alla pericolosa perdita di credibilità europea.

In conclusione auspicando di mantenere i contingenti militari italiani e parallelamente di incrementare sostanzialmente le attività bilaterali di cooperazione allo sviluppo, andrebbe forse ribadita la questione delle risorse umane. Questione più che sensibile anche a livello Ue.

In un contesto di crisi accertate e acclarate, sarebbe forse giunto il momento di ricorrere a persone di grande esperienza del terreno, di conoscenza di usi, costumi e tradizioni locali, perfino in grado di porsi e parlare in un certo modo con le autorità e le popolazioni locali.

Una risposta seria alle azioni ostili anti occidentali passa anche per la scelta di nuove figure professionali, negoziatori al di fuori dei canali esclusivamente ufficiali e formali ad esempio, un Inviato per il Sahel che possa essere più libero, almeno parzialmente svincolato dai più rigidi aspetti burocratici e rispondere alla Presidenza del Consiglio pur coordinandosi con esteri, difesa e interni. La nazionalità italiana aiuta assieme alla creatività e al forse necessario cambiamento di mentalità e procedure divenute obsolete per il contrasto a forze più pragmatiche, decisioniste, disinvolte, con pochi scrupoli e demagogie da vendere.

Foto: CEDEAO, Gianandrea Gaiani, Difesa.it, Twitter, Ministero Difesa Francese, Peoples Dispatch e Governo del Niger

5832.- Crisi in Niger: la situazione e le opzioni sul tavolo. Una nostra opinione

Niger
  • Foto da Redazione Start Magazine

Il destino dell’Eurafrica si compirà in Niger? Che cosa succederà in Niger, cosa dovrebbe fare l’Italia e perché la Francia sbrocca. Pace all’anima Tua, Muʿammar Muḥammad Abū Minyar ʿAbd al-Salām al-Qadhdhafi, معمر محمد أبو منيار عبدالسلام القذافي.

Da Analisi Difesa sul “Golpe in Niger: il Sahel ci presenta il conto per la guerra alla Libia del 2011.” Mohamed Bazoum, il presidente del Niger deposto dichiarò nel giugno del 2014:

“Noi valutiamo la guerra libica una minaccia per il nostro Paese e per la regione che si prolungherà negli anni a venire…..Avevamo messo in guardia l’Occidente dal distruggere lo Stato libico… Avevamo detto all’Occidente di non perdere di vista la realtà e di tenere conto della società libica. L’Unione Africana aveva proposto una soluzione che facesse uscire di scena Gheddafi preservando lo Stato e l’unità nazionale ma non siamo stati ascoltati anche se l’Italia ci è sembrata più sensibile a questa proposta.

 Incontrai in giugno 2011 il ministro degli esteri, Franco Frattini e gli dissi che voi italiani, che conoscete bene la situazione libica, dovevate giocare un ruolo più deciso, più positivo,  evitando di seguire la corrente. Noi ci siamo battuti ma non siamo stati ascoltati. E oggi la Libia è come la Somalia, come aveva previsto l’Unione Africana.

Il 26 maggio 2011 il presidente nigerino Mahamadou Issofou, invitato al summit di Deauville, è stato l’unico a dire ai leader occidentali che l’intervento in Libia avrebbe trasformato il Paese in un’altra Somalia offendo un’incredibile finestra di opportunità all’islamismo radicale. I fatti ci hanno dato ragione”.

Come scrive Gianandrea Gaiani su Analisi Difesa, Mohamed Bazoum, il presidente del Niger rimosso da un golpe militare il 27 luglio, rilasciò queste dichiarazioni nel corso di una lunga intervista ad Analisi Difesa a Niamey nel giugno 2014, quando ricopriva l’incarico di ministro degli Esteri.

Nove anni dopo anche Bazoum è stato travolto dalle conseguenze dell’ondata di destabilizzazione, in gran parte di matrice islamista, generata da quella sciagurata guerra con cui Occidente e NATO hanno gettato l’intero Sahel nel caos minando anche gli interessi dell’Italia e dell’Europa.

L’errore compiuto nel 2011 e la successiva incapacità occidentale di sanare i guai combinati e stroncare le insurrezioni islamiste, ci viene fatto pagare oggi con la progressiva instaurazione in Africa sub sahariana di governi e giunte militari che guardano con sospetto e a volte ostilità all’Occidente e orientate a puntare sui BRICS, in particolare su Russia e Cina, per garantirsi sviluppo e sicurezza.

Uno scenario simile a quello che si registra nel mondo arabo dove oggi è marcato, soprattutto tra le monarchie del Golfo, il distacco dagli USA protagonisti con l’Amministrazione Obama del sostegno alle cosiddette “primavere arabe” che destabilizzarono o tentarono di destabilizzare i regimi arabi tra i quali molti governi amici dell’Occidente.

Il generale Tchiani e il CNSP

Il 28 luglio il generale Abdourahamane Tchiani, capo della Guardia Presidenziale, è stato proclamato nuovo leader del Niger secondo quanto affermato dalla televisione nazionale che ha confermato la destituzione del presidente Bazoum.

Tchiani (nella foto sotto) ha assunto la presidenza del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP) lamentando le mancate misure per fronteggiare la crisi economica e “il deterioramento della situazione della sicurezza” nel Paese minato dalla violenza dei gruppi jihadisti, accusando Bazoum di aver “cercato di convincere la gente che tutto sta andando bene, la dura realtà è un mucchio di morti, sfollati, umiliazioni e frustrazioni. L’approccio di oggi non ha portato sicurezza nonostante i pesanti sacrifici”.

“Chiedo ai partner tecnici e finanziari amici del Niger di comprendere la situazione specifica del nostro Paese per fornirgli tutto il sostegno necessario per consentirgli di affrontare le sfide” ha detto il generale tendendo apparentemente una mano alle forze straniere presenti in Niger (1.500 militari francesi, 1.100 statunitensi e oltre 300 italiani).

Il nuovo organo di governo CNSP è stato istituito il 27 luglio con un proclama che ha stabilito la chiusura delle frontiere terrestri, dello spazio aereo e la proclamazione del coprifuoco notturno dalle 22 alle 5.

Le forze armate del Niger hanno annunciato di aver rovesciato le istituzioni nazionali a seguito del “continuo degrado della situazione di sicurezza e della cattiva gestione economica e sociale” si legge nel comunicato letto dalla televisione nigerina e firmato dal generale Salifou Mody, in cui si annuncia la costituzione del CNSP che ha ribadito il “rispetto di tutti gli impegni sottoscritti dal Niger”.

Mody, 64 anni  è l’ex capo di stato maggiore della Difesa rimosso dal presidente Bazoum nell’aprile scorso dopo una visita nel marzo scorso in Mali evidentemente non autorizzata o non gradita al governo e alla Francia  Il Mali è retto da una giunta militare che ha allontanato dal paese le forze francesi, della Ue e dell’ONU ottenendo aiuti militari dalla Russia (armi, consiglieri militari e contractors del Gruppo Wagner) per combattere l’insurrezione jihadista.

Lo stesso percorso compiuto dal vicino Burkina Faso che con Mali e Niger condivide le difficoltà nella repressione degli insorti jihadisti sia legati ad al-Qaeda (il Gruppo per il Sostegno dell’Islam e dei Musulmani – JNIM), sia quelli fedeli allo Stato Islamico (Stato Islamico nel Grande Sahara).

“Noi, le forze di difesa e di sicurezza, riunite all’interno del CNSP, abbiamo deciso di porre fine al regime che conoscete”, ha dichiarato il colonnello Amadou Abdramane (già direttore dell’i formazione del governo civile deposto) circondato da altri nove ufficiali.

Ufficiali ben noti ai comandi militari francesi e italiani a Niamey, che hanno addestrato in questi anni le forze nigerine.

Il ruolo del generale Mody

Tchiani, che secondo alcune voci Bazoum pare volesse rimuovere e che ha preso il 26 luglio il controllo del palazzo presidenziale e di altre sedi istituzionali della capitale Niamey, sembrava nelle prime fasi del golpe non aver trovato appoggi tra le forze armate e la Guardia Nazionale che, anzi, avevano intimato alla Guardia Presidenziale di liberare Bazoum e desistere dal tentativo di golpe.

Nel compattare le forze militari e di sicurezza a supporto del colpo di stato potrebbe aver avuto un ruolo di rilievo proprio il generale Mody (nella foto a lato) sollevato dall’incarico dopo la visita in Mali (certo malvista da francesi, europei e americani) e nominato nel giugno scorso ambasciatore negli Emirati Arabi Uniti senza che tuttavia avesse finora assunto l’incarico, come evidenzia la sempre ben documentata Agenzia Nova.

Nella situazione ancora caotica in Niger Mody il ministro degli Esteri, Hassoumi Massoudou, il 27 luglio si è autoproclamato primo ministro ad interim precisando che nonostante il “tentativo” di golpe al momento “l’unico potere legittimo e legale” riconosciuto è quello esercitato “dal presidente democraticamente eletto”, Mohamed Bazoum.

In una dichiarazione concessa a “France 24”, Massoudou ha ribadito che il tentativo di golpe “non è concluso”, confermando l’esistenza di tentativi di mediazione regionali in corso che coinvolgono il presidente del Benin, Patrice Talon, incaricato di mediare nella crisi in corso a nome della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDEAO o ECOWAS) – e precisando al tempo stesso che i defezionisti non sono sostenuti da tutto l’esercito ne’ dal capo delle Forze armate, il generale Abdou Sidikou Issa che ha sostituito Mody lo scorso aprile.

Pressioni e mediazioni

Le valutazioni di Massoudou sono state però smentite dallo stesso generale Issa che ha annunciato l’adesione delle forze armate alla dichiarazione di destituzione del presidente Bazoum al fine di evitare uno “scontro mortale” che potrebbe causare un “bagno di sangue” e mettere a rischio l’incolumità della popolazione, oltre che per preservare la coesione nell’ambito delle Forze armate.

“Qualsiasi intervento militare esterno, di qualsiasi provenienza, rischierebbe di avere conseguenze disastrose e incontrollabili per le nostre popolazioni e (di seminare) il caos nel nostro Paese”, si legge nella nota, in cui lo Stato maggiore “ricorda che il nostro Paese è ancora afflitto dall’insicurezza imposta dai gruppi armati terroristici e da altri gruppi di criminalità organizzata” ed invita “tutte le Forze di difesa e sicurezza a rimanere concentrate sulle loro missioni”.

Anche i francesi sembravano nutrire ancora dubbi (e aspettative) circa l’esito del golpe militare. Il presidente Emmanuel Macron ha detto il 28 luglio di aver parlato più volte con Bazoum (nella foto a lato) che gli ha detto di essere “in buona salute” mentre il ministro degli Esteri, Catherine Colonna, ha sostenuto che la Francia non considera “definitivo” il “tentato” colpo di stato del 26 luglio pur anticipando che Parigi sosterrà eventuali sanzioni alla nuova giunta militare nigerina che venissero decise dalla CEDEA, simili a quelle già affibbiate a Mali e Burkina Faso.

La Francia ha inoltre annunciato la sospensione degli aiuti allo sviluppo al Niger pari l’anno scorso a 120 milioni di euro e previsti in leggero rialzo quest’anno.

L’Unione Europea non riconosce e non riconoscerà le autorità scaturite dal golpe” ha dichiarato oggi l’Alto rappresentante per la politica Estera e la sicurezza, Josep Borrell. “Il presidente Bazoum è stato eletto democraticamente, è e rimane quindi l’unico presidente legittimo del Niger – rimarca Borrell -. Il suo rilascio deve essere incondizionato e senza indugio. L’Ue ritiene i golpisti responsabili della sua sicurezza e di quella della sua famiglia. E siamo pronti a sostenere le future decisioni dell’Ecowas, inclusa l’adozione di sanzioni”.

Borrell ha poi annunciato l’immediata sospensione con effetto immediato del budget per gli aiuti e la cooperazione nel campo della sicurezza col Niger.

L’Unione Africana ha dato 15 giorni di tempo ai golpisti perché ripristinino l’ordine costituzionale nel paese. L’Unione Africana intima ai soldati coinvolti nel colpo di stato a far ritorno alle loro caserme “senza condizioni”. E avverte che il Consiglio di Sicurezza dell’Ua adotterà contro i golpisti “tutti i mezzi necessari, anche di carattere punitivo” se non verranno rispettati i diritti fondamentali di Bazoum. Il comunicato condanna il golpe “nei più forti termini possibili”.

Negli Stati Uniti il segretario di Stato americano Antony Blinken ha avuto colloqui telefonici con il presidente nigerino, Mohamed Bazoum, detenuto nella residenza presidenziale, e con l’ex presidente Mahamadou Issoufou. “Il segretario ha ribadito al presidente Bazoum il costante sostegno degli Stati Uniti e ha sottolineato l’importanza che rimanga alla guida a Niamey – ha riferito il portavoce del dipartimento di Stato, Matthew Miller.

Blinken ha sottolineato che “quanti detengono Bazoum stanno minacciando anni di cooperazione di successo e centinaia di milioni di dollari di assistenza a sostegno del popolo nigerino“, chiedendo quindi all’ex presidente Issoufou “di proseguire gli sforzi per risolvere la situazione a favore del governo democraticamente eletto a guida civile”. 

Il flop dell’intelligence, ennesima sconfitta francese nel Sahel

L’aspetto più curioso del golpe è che in apparenza i servizi segreti occidentali e in particolare delle nazioni che hanno truppe schierate in Niger e stretti rapporti con i locali comandi militari non abbiano né previsto né avuto sentore del pronunciamiento della Guardia Presidenziale poi seguita da tutte le forze armate.

Neppure la DGSE e l’intelligence militare francese che a Niamey sono da sempre di casa. Basti pensare che l’ambasciata di Parigi nella capitale nigerina si trova a poca distanza dal palazzo presidenziale sulla Avenue de la Republique, quasi a testimoniare visivamente il “tutoraggio” francese sulla sua ex colonia a 63 anni dall’indipendenza del Niger, nel 1960.

Per la Francia la perdita del controllo sul Niger avrebbe effetti disastrosi non solo perché si aggiungerebbe all’espulsione dei propri militari e dei propri interessi da Mali, Burkina Faso e Repubblica Centrafricana (a vantaggio della Russia) ma soprattutto perché il Niger fornisce a Parigi a prezzi contenutissimi circa il 30 per cento dell’uranio utilizzato per alimentare le centrali nucleari francesi. Uranio che fino al 2014 la Francia ha prelevato gratuitamente.

Il Niger è stato finora il bastione della presenza militare occidentale nel Sahel a contrasto dei movimenti jihadisti e dopo le defezioni di Mali e Burkina Faso e la difficile situazione in Ciad ha assunto un ruolo ancora più rilevante ricevendo forniture militari italianeeuropeefrancesistatunitensiegiziane e turche.

Difficile comprendere gli umori popolari in una nazione tra le più povere del mondo, grande oltre 4 volte l’Italia e con poco meno di 30 milioni di abitanti.

La mano di Mosca? 

La sera del 26 luglio a Niamey alcuni sostenitori del presidente Bazoum le del Partito Nigerino per la Democrazia e il Socialismo (PNDFS) hanno manifestato chiedendo la liberazione del presidente venendo dispersi da colpi esplosi in aria dalla Guardia Presidenziale. Il giorno successivo si sono registrate invece manifestazioni a favore del golpe e per il ritiro delle forze francesi dal Paese tra lo sventolio di bandiere russe e il saccheggio della sede del PNDS.

Elementi comuni con quanto accaduto negli ultimi anni in altri paesi dell’Africa Centrale e Sahel che hanno indotto molti osservatori a ipotizzare il ruolo di Mosca nel golpe militare.

Come ha ricordato Fausto Biloslavo sul Giornale, “a Niamey, dallo scorso settembre, è apparso il Movimento62, che si propone di cacciare i francesi e le altre truppe straniere dal paese. In piazza sventolano bandiera russe e cartelli con scritto «abbasso la Francia» oppure «I love Putin». Il loro leader, Abdoulaye Seydou, è stato arrestato in febbraio, ma il sentimento anti francese farebbe proseliti anche fra i militari”.

Per il momento non vi sono elementi a sostegno del ruolo di Mosca nel golpe se si escludono le dichiarazioni del capo della Wagner, Evgheny Prigozhin (nella foto sotto a San Pietroburgo con l’ambasciatore della Repubblica Centrafricana), che plaude all’emancipazione africana dal neocolonialismo occidentali.

“Quello che è successo in Niger è una lotta del popolo contro i colonizzatori che hanno imposto le loro regole di vita, le loro condizioni e li tengono in una condizione che era nell’Africa di centinaia di anni fa. Oggi il Niger sta effettivamente guadagnando l’indipendenza liberandosi dei colonizzatori” ha detto Prigozhin a margine del Summit Russia-Africa che ha riunito a San Pietroburgo 49 delegazioni africane (su 54 nazioni) di cui ben 16 a livello di capo di stato.

Come ha sottolineato sul Washington Post il ricercatore John Lechner, specializzato sulla presenza della Wagner in Africa, non ci sono prove che la Russia o il gruppo Wagner siano direttamente coinvolti nel golpe in Niger e del resto Mosca ha chiesto come il resto della comunità internazionale la liberazione di Bazoum. Tuttavia, ha sottolineato Lechner, sia le forze filorusse, sia quelle anti Mosca sfrutteranno la situazione per portare avanti le proprie agende.

A questo proposito, al vertice Russia-Africa di San Pietroburgo, Mosca ha annunciato un piano di aiuti alimentari che vedrà sei nazioni africane (Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, Repubblica Centrafricana ed Eritrea) ricevere nei prossimi tre mesi fino a 50.000 tonnellate di grano ciascuno a titolo gratuito. Il Mali, retto dalla giunta militare filo-russa, otterrà da Mosca anche forniture di cibo, investimenti, sviluppo delle relazioni commerciali e incremento della quota di studenti maliani ammessi con borsa di studio nelle università russe da 35 a 290.

Europa e USA si sono già espressi a favore del reintegro di Bazoum ma non c’è dubbio che il modello occidentale in Africa è posto in seria crisi dalla penetrazione russa (e cinese) che offre aiuti militari ed economici non condizionati da “riforme” e adesioni a modelli culturali diversi da quelli locali.

Sul piano militare anni di presenza militare occidentale non hanno sconfitto il jihadismo e non è certo un caso che siano state le élite militari a rovesciare i governi in Mali, Burkina Faso e Niger. L’ostilità manifesta ai golpisti sta già provocando qualche tensione con la Francia, accusata dalla giunta militare di aver violato lo spazio aereo facendo atterrare all’aeroporto di Niamey (nella foto sotto) un suo aereo da trasporto militare A400M.

La giunta militare non ha invece denunciato l’atterraggio a Niamey di un aereo da trasporto VIP Gulfstream 4 appartenente alla compagnia turca AhlatcÄ Holding (società attiva in diversi settori inclusi finanza, miniere d’oro ed energia) proveniente da Istanbul. E’ presto per ipotizzare un ruolo russo nel golpe così come un ruolo della Turchia che pure negli ultimi tempi ha stretto forti rapporti militari con Niamey fornendo veicoli, aerei e droni.

Il supporto della giunta militare del Burkina Faso 

Benché la giunta golpista abbia annunciato il rispetto degli accordi internazionali in vigore, inclusi quindi quelli che assicurano la presenza militare occidentale in Niger, non tranquillizza le cancellerie europee l’iniziativa della giunta militare al potere in Burkina Faso che ha chiesto una “cooperazione più stretta” con la nuova giunta nigerina.

Il ministro della Comunicazione, Rimtalba Jean Emmanuel Ouédraogo, ha dichiarato alla televisione pubblica che “il nostro auspicio è che insieme si possano stringere partenariati e cooperazioni più strette, e soprattutto che insieme si possa riprendere questa storica lotta contro i gruppi terroristici armati e ripristinare la dignità dei nostri popoli in modo sovrano”. La zona di confine tra Niger, Burkina Faso e Mali è la più calda di tutta l’Africa per l’insurrezione jihadista.

La presenza italiana

L’Italia schiera 300 militari in Niger per lo più impegnati nell’addestramento delle forze locali nell’ambito di una missione europea e di una nazionale anche se per Roma il paese del Sahel ha un ampio rilievo nella gestione dei flussi migratori illegali diretti in Libia e poi in Italia.

“Sembra che dietro questo golpe ci sia ancora una volta la Russia” ha dichiarato ieri il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli. “In questo scenario in cui le dittature del mondo, con in testa la Russia, diventano sempre più pericolose, per noi è un dolore quello che è accaduto. Il presidente Mohammed Bazoum era una speranza per quella terra tanto martoriata. Speriamo che il popolo sappia reagire e che non tutti i militari seguano questa scelta scellerata del gruppo della Guardia presidenziale”.

Dichiarazioni affrettate (il ruolo di Mosca non trova per ora conferme) e al tempo stesso tardive (i militari appaiono tutti schierati coi golpisti) che difficilmente contribuiranno a mantenere gli interessi e le prerogative italiane in Niger se la giunta militare a Niamey dovesse confermarsi pienamente in carica.

Del resto in tutta l’Africa e soprattutto nella cosiddetta “Françafrique” l’Italia ha avuto in questi anni (e forse avrebbe anche ora) molte occasioni di affermarsi come partner di riferimento per molte nazioni africane ma dovrebbe presentarsi come alternativa alla Francia (la cui influenza è sempre più avvertita con insofferenza come neocoloniale), non come partner subordinato a Parigi o alla Ue.

Quando nei mesi scorsi la giunta militare del Mali ha cacciato le truppe francesi dell’Operazione Barkhane se ne sono andati anche i contingenti europei inclusi i 200 militari italiani assegnati alla Task Force Takuba.

Se davvero Roma vuole sviluppare un “Piano Mattei” deve prepararsi a mettere in campo una vera e propria politica africana, autonoma e determinata, pronta a fornire aiuti economici e militari diretti e ad avviare salde cooperazioni bilaterali con i governi che guidano le nazioni africane (non solo con quelli che vorremmo le governassero) fondamentali per i nostri interessi nazionali.

D’altra parte se la risposta dell’Europa ai cambiamenti in atto in Africa sarà basata su sanzioni e blocco degli aiuti economici e militari, il risultato inevitabile sarà da un lato di far crescere la determinazione delle nazioni africane a smarcarsi dal “neocolonialismo” occidentale e dall’altro di lasciare campo libero alla penetrazione russa, turca e cinese.

@GianandreaGaian

Foto: Difesa.it, Twitter, Ministero Difesa Francese, Governo del Niger, Facebook, Air Info Agadez e EPA

Prima di tutto, una nostra opinione

Mentre Parigi, esecrata dai nigerini, è attendista e seguirà le sanzioni che l’Unione europea applicherà anche al Niger, Mosca fa passi avanti e l’Italia scalpita a rimorchio di Bruxelles. In questo tempo, né a Bruxelles, a Parigi, a Washington siedono persone all’altezza della solidarietà attivamente cooperativa che informa il Nuovo Piano Mattei. Forse, a Londra, ad Ankara, ma non è sufficiente. Tramonteremo in Africa con tutto l’Occidente? Sarebbe un tramonto anche per il Sahel, soggetto a un nuovo neo-colonialismo. Per meglio comprenderci, a fronte delle sanzioni allo studio dell’Unione europea, dei tagli agli aiuti della Francia, ripetiamo le parole del presidente del Congo Félix Tshisekedi, che disse:

“Volevo essere molto preciso nel dirlo. Deve cambiare il modo di cooperare con la Francia e con l’Europa. Guardarci in modo diverso, rispettandoci l’un l’altro, considerandoci dei veri partner e non sempre con uno sguardo paternalistico.”

Viene da dire e vale anche per l’Ecowas, che mobiliterà 25.000 uomini di Nigeria, Senegal, Benin, Costa d’Avorio: Lasciamo che il Niger trovi la sua via e facciamo fronte a russi, cinesi e turchi con la solidarietà attiva e compartecipativa. Saranno i nigerini, quelli che oggi gridano ““Macron assassino, Putin in soccorso” , a decidere il loro futuro e saranno i governi dell’Ecowas a ragionare sui rischi della loro attuale frattura.

Le posizioni dei vari paesi sul Niger e le possibili evoluzioni della crisi. L’approfondimento di Analisi Difesa.

Analisi Difesa, 10 Agosto 2023, di Marco Leofrigio, aggiornato il 13 Agosto 2023 alle ore 23.50.

Il golpe militare in Niger del 26 luglio rischia di destabilizzare l’intera regione del Sahel mettendo in difficoltà in primis la Francia e a seguire l’Unione Europea, come  riportato nei giorni scorsi su Analisi Difesa nei commenti del direttore Gaiani, di Ugo Trojano e di Giuseppe Cucchi. Parigi soprattutto vede in corso di cancellazione la sua influenza post-coloniale sulla “Françafrique”, minata dall’infausta guerra del 2011, voluta anche da Parigi, contro la Libia di Muammar Gheddafi.

E in seguito altri errori sono stati fatti in Niger e nell’intera regione. Come ha scritto Trojano, ”non volendo comprendere ne’ adeguarsi realisticamente alle nuove dinamiche sul terreno, i comportamenti sconcertanti di taluni governanti europei, dei vertici Ue preoccupati solo di seguire principi irrealizzabili in taluni Paesi, l’ossessione per le procedure burocratiche, hanno inciso pesantemente favorendo una costante perdita di credibilità europea. E’ stata consentita di conseguenza la penetrazione significativa di nuovi attori, Russia, Turchia, Cina, ben più concreti, solidi, poco votati ad impartire lezioni agli africani piuttosto inclini ad ottenere risultati per sé e, nel breve periodo, per i nuovi committenti africani.”

Le reazioni dei 15 paesi della ECOWAS/CEDEAO (Economic Community of West African States/Communauté économique des États de l’Afrique de l’Ouest), della Francia e della UE sono state immediate. Ugualmente molto preoccupati si sono detti gli Stati Uniti, che hanno un contingente di oltre 1.100 soldati, avendo fatto del Niger una base importante per il contrasto alle varie formazioni jihadiste purtroppo sempre attivissime nel Sahel.

Ad oggi nessuna azione di forza si è verificata dopo la scadenza dell’ultimatum dichiarato dalla ECOWAS/CEDEAO per dare modo alla giunta golpista di fare marcia indietro sulla rimozione del presidente Mohamed Bazoum.

Il ruolo della Nigeria

Nelle prossime ore l’ECOWAS discuterà quali misure adottare e per ora la via del negoziato resta la favorita con l’invio a Niamey dell’ex emiro nigeriano della città’ settentrionale di Kano Sanusi Lamido Sanusi come negoziatore anche se lui stesso nega essere un emissario del governo di Abuja. “Siamo venuti sperando che il nostro arrivo apra la strada a discussioni reali tra i leader del Niger e quelli della Nigeria”, ha detto Sanusi.

In precedenza il 4 agosto, il presidente nigeriano e presidente in carica di ECOWAS/CEDEAO Bola Tinubu (molto legato a Sanusi) aveva ipotizzato, nonostante l’ostilità del Senato nigeriano l’uso della forza, approvato da Costa d’Avorio, Ghana e Senegal, mentre il Ciad ha comunicato di non voler parteciparvi. Il grosso delle forze, in caso di intervento armato, sarò presumibilmente messo in campo dalla Nigeria mentre gli altri paesi invieranno contingenti minori.

Tinubu ha intanto disposto alla Banca Centrale della Nigeria (CBN) di attuare una serie di nuove sanzioni finanziarie nei confronti di entità e individui collegati o coinvolti con la giunta militare della Repubblica del Niger. La Nigeria ha già interrotto la trasmissione di energia elettrica che assicurava il 70% del fabbisogno nigerino.

Braccio di ferro con la Francia

A Niamey Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria, costituito dai golpisti ha chiuso lo spazio aereo paese adducendo “la minaccia di intervento armato dall’esterno” e deciso l’invio di unità dell’esercito a rinforzo dei reparti già presenti nella capitale e lungo il confine con Nigeria e Benin,

Il leader golpista Abdourahamane Tchiani, già comandante della Guardia Presidenziale, conosce gli avversari della giunta militare nigerina (era stato comandante di un battaglione della ECOWAS nel 2003 in Costa d’Avorio, che intervenne come forza di pacificazione dopo la firma del cessate-il-fuoco tra governo e forze ribelli) ed è consapevole che il Niger non è isolato.

Mali, Burkina Faso e Guinea appoggiano il golpe del 26 luglio mentre l’Algeria, colosso economico e militare, si oppone a un intervento militare: forte di questa consapevolezza e del ruolo cruciale di Russia, Turchia e Cina (potenze sempre più influenti in Africa), la giunta al potere a Niamey ha respinto “le ingerenze dei paesi occidentali” dopo aver intimato a Parigi il ritiro entro un mese dei 1.500 militari schierati in Niger.

Parigi ha risposto con durezza replicando che solo le «legittime autorità» del Niger possono cambiare i trattati bilaterali in vigore ma ieri la giunta di Niamey ha denunciato la violazione dello spazio aereo nigerino da parte di un aereo da trasporto militare francese A400M decollati dal Ciad e accusato Parigi di aver liberato 14 miliziani jihadisti e di avere un “piano di destabilizzazione” del Niger.

Inoltre il CNSP ha accusato “la Francia ed i suoi complici” per un attacco avvenuto ieri mattina contro una postazione della Guardia Nazionale a Bourkou Bourkou, vicino alla miniera d’oro di Samira. Parigi ha respinto le accuse confermando che “il volo effettuato questa mattina è stato autorizzato e coordinato con l’esercito nigerino”.

L’America temporeggia

Gli Stati Uniti si sono detti “molto preoccupati per la salute e la sicurezza personale” di Bazoum in isolamento con la famiglia dal 26 luglio, timore espresso anche dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres che chiede con urgenza il loro rilascio incondizionato e il rigoroso rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti umani del Niger”.

Benché la visita del sottosegretario Victoria Nuland non abbia sortito alcun risultato la diplomazia statunitense sembra puntare ancora sul dialogo, forte anche del fatto che per ora i golpisti non hanno chiesto il ritiro delle truppe americane (né di quelle italiane e tedesche) in Niger, che restano acquartierate nelle loro basi.

L’ambasciata degli Stati Uniti a Niamey ha esortato con un comunicato gli americani che ancora si trovano nella capitale a “rimanere al riparo, limitare i movimenti non necessari nella città e continuare ad evitare il centro e l’area del palazzo presidenziale” aggiungendo che “vi potrebbe essere un aumento della presenza di forze di sicurezza nella zona del centro (per monitorare dimostrazioni) quindi è importante essere cauti, limitare i movimenti ed evitare ogni protesta. L’ambasciata è al corrente delle notizie di mancanza di contanti e di alcuni beni”, ha concluso la nota.

L’Europa guarda alle sanzioni

Gli europei sembrano invece apprestarsi a imporre sanzioni ai membri della giunta militare nigerina, come hanno riferito alla Reuters fonti della Ue secondo le quali la Commissione Europea ha avviato la discussione sui criteri per l’adozione delle misure. Per imporre le sanzioni è necessario l’accordo di tutti i 27 Stati membri dell’Unione ma è chiaro che l’adozione di simili misure porterebbe con ogni probabilità all’espulsione anche dei contingenti italiano e tedesco presenti in Niger.

“La Ue è pronta a sostenere le decisioni dell’ECOWAS, compresa l’adozione di sanzioni”, ha detto il portavoce Peter Stano mentre i ministri degli Esteri europei discuteranno la situazione del Niger non prima del vertice di Toledo del 31 agosto.

L’impressione è che Ue ed ECOWAS intendano testare la compattezza della giunta militare puntando anche su contestazioni interne. Ieri un appello alla “mobilitazione nazionale” su tutto il territorio nazionale per salvare Bazoum, è stato lanciato dal Partito Nigerino per la Democrazia e il Socialismo che fa capo al presidente deposto.

Inoltre è stata annunciata la costituzione del Consiglio di Resistenza per la Repubblica” (CRR) che punta a reinsediare Bazoum “con tutti i mezzi necessari”: il suo leader è il touareg Rhissa Ag Boula, e membro del governo deposto. Un membro del CRR, riporta Trtafrika, ha affermato che diversi politici nigerini si sono uniti al gruppo ma non hanno potuto rendere pubblica la loro posizione per motivi di sicurezza.

A Niamey il generale Abdurahman Tchiani, ha firmato oggi un decreto che istituisce il nuovo governo composto da 21 membri, il primo ministro Ali Mahaman Lamine Zeine e 20 ministri. I dicasteri di Difesa e Interno sono stati assegnati a due generali membri del Consiglio nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP): si tratta rispettivamente dell’ex capo di stato maggiore della Difesa Salifou Mody e l’ex capo di stato maggiore dell’esercito Mohamed Toumba.

Al vertice dell’ECOWEAS invece il Niger è rappresentato dal ministro degli Esteri del governo deposto dai golpisti, Hassoumi Massaoudou.

Le opzioni sul tavolo 

Gli sviluppi della crisi nigerina dipenderanno dalle opzioni attualmente sul tavolo.

  • Mantenere il negoziato aperto senza esasperare la crisi con la giunta di Niamey ridurrebbe il rischio di escalation e di un conflitto regionale che potrebbe destabilizzare tutta l’Africa Occidentale/Sahel ma rafforzerebbe la giunta golpista nigerina. Uno sviluppo probabilmente non accettabile per la Francia.
  • Limitare il contrasto al CNSP a sanzioni economiche sempre più forti eviterebbe un conflitto aperto, provocherebbe forse danni alla già debole economia nigerina anche se la vastità dei confini nigerini attraversati da tempo da traffici illegali potrebbe vanificare o ridurre l’impatto delle sanzioni. Di certo tali misure accentuerebbero la spaccatura all’interno dell’ECOWAS allontanando definitivamente il Niger dall’influenza occidentale.
  • Attuare un vasto intervento militare richiederebbe tempo e determinerebbe un conflitto di durata indefinita e fuori controllo, che potrebbe allargarsi ad altre nazioni e che favorirebbe i movimenti jihadisti attivi nella regione (nel 2022 il Niger ha subito 114 attacchi di matrice jihadista contro i circa 2mila di Mali e Burkina Faso). Occorrerebbe poi mettere a punto piani e attività d’intelligence, riunire e supportare logisticamente ingenti forze (molti più militari dei 7mila messi in campo dall’ECOWAS nel 2017 per l’intervento nel minuscolo Gambia) con mezzi terrestri e aerei per uno sforzo bellico dalla tempistica potenzialmente prolungata, con ampi costi finanziari e con la prospettiva di dover dispiegare truppe non solo a Niamey ma in tutto il Niger, grande oltre volte l’Italia. L’esercito nigeriano, che porterebbe il peso più rilevante in caso di interventi dell’ECOWAS, ha già molti impegni interni da affrontare contro i movimenti jihadisti (Boko Haram e i miliziani jihadisti dell’Islamic State West Africa Province legati allo Stato Islamico) e i separatisti del Biafra. Inoltre il successo militare contro la giunta militare del Niger non è scontato non solo per il supporto che verrebbe offerto da Mali e Burkina Faso ma anche perché la penetrazione di truppe nigeriane a Niamey non sarebbe gradito all’Algeria. Le truppe nigeriane e gli alleati di Costa d’Avorio e Senegal dovrebbero confrontarsi con le forze nigerine potenziate in questi anni dagli aiuti e dalle forniture occidentali, turche ed egiziane senza contare che un eventuale ruolo attivo delle forze francesi potrebbe venire interpretato in tutta l’Africa come un’operazione neo coloniale favorendo così la penetrazione (anche militare) russa, turca e cinese. Parigi dovrebbe poi tenere in conto il rischio che un’altra “campagna d’Africa” possa infiammare nuovamente l’insurrezione interna in molte banlieues che aprirebbe un rilevante fronte interno.
  • Condurre un’azione mirata a liberare Bazoum, con forze speciali presumibilmente francesi (già presenti a Niamey), determinerebbe in ogni caso uno stato di guerra che comprometterebbe i rapporti e gli interessi di Parigi e occidentali in Niger senza però garantire sviluppi negativi per la giunta militare di Niamey. Ogni azione militare contro il CNSP potrebbe inoltre offrire il destro per interventi esterni a sostegno dei golpisti come quello dei contractors russi della PMC Wagner. Il suo leader, Yevgeny Prigozhin, si è già reso disponibile a inviare i suoi uomini a Niamey anche se Mosca finora si è espressa a favore del ripristino del governo legittimo pur senza emettere condanne o minacciare sanzioni nei confronti della giunta golpista.
  • Puntare su un contro-golpe interno non offrirebbe attualmente garanzie di successo poiché non vi sono elementi che inducano a ritenere che ampie fasce della popolazione siano pronte a sollevarsi contro il CNSP né che una parte consistente delle forze militari e di sicurezza nigerine siano pronte a insorgere contro i golpisti.

La crisi nigerina resta quindi troppo complessa per poter sperare in soluzioni rapide, efficaci ma soprattutto che non ne comportino l’ulteriore aggravamento.

ULTIM’ORA – L’ECOWAS attiva la Standby Force 

I leader della Comunità Economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDEAO o ECOWAS) riuniti oggi ad Abuja (Nigeria) per il vertice straordinario chiamato a concordare le azioni da intraprendere dopo il colpo di Stato in Niger dello scorso 26 luglio, hanno ribadito la loro ferma condanna del golpe e la detenzione illegale del presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum riaffermando la determinazione a mantenere sul tavolo tutte le opzioni per la risoluzione pacifica della crisi.

L’ECOWAS ha autorizzato l’attivazione di una Forza militare d’intervento (Standby Force) per ripristinare l’ordine costituzionale in Niger ordinando al Comitato dei capi di Stato maggiore della Difesa degli stati membri di attivare immediatamente tale forza militare e dispiegarla.

Nel comunicato finale del vertice la CEDEAO/ECOWAS conferma tutte le misure annunciate in occasione del precedente vertice straordinario tenutosi lo scorso 30 luglio sempre ad Abuja, e in particolare “la chiusura delle frontiere e il divieto di viaggio e il congelamento dei beni di tutte le persone o gruppi di individui i cui le azioni ostacolano tutti gli sforzi pacifici volti a garantire il ripristino armonioso e completo dell’ordine costituzionale”.

Il comunicato, inoltre, “mette in guardia gli Stati membri che, con direttamente o indirettamente, ostacolano la soluzione pacifica della crisi in Niger sulle conseguenze della loro azione dinanzi alla Comunità” (un riferimento diretto a Guinea, Mali e Burkina Faso) e invita l’Unione Africana ad approvare tutte le decisioni.

Il documento rinnova l’invito a tutti i Paesi e le istituzioni partner, comprese le Nazioni Unite, a sostenere la CEDEAO nei suoi sforzi per garantire un rapido ripristino dell’ordine costituzionale in Niger. “I Capi di Stato Maggiore avranno altre conferenze per finalizzare la missione ma hanno l’accordo della Conferenza dei Capi di Stato per iniziare l’operazione il prima possibile”, ha dichiarato Alassane Ouattara, presidente della Costa d’Avorio che metterà a disposizione un contingente di 850/1.100 uomini.

“I golpisti possono decidere di andarsene domani mattina e non ci sarà alcun intervento militare, dipende da loro” – ha aggiunto Ouattara – “Siamo determinati a reintegrare il presidente Bazoum al suo posto”. Al termine del vertice di Abuja, il presidente della Commissione ECOWAS, Omar Touray, ha ribadito “il continuo impegno per il ripristino dell’ordine costituzionale, attraverso mezzi pacifici”.

L’agenzia di stampa statunitense Associated Press, citando due funzionari occidentali, ha reso noto che i golpisti avrebbero detto a un alto diplomatico statunitense che ucciderà il presidente deposto Mohamed Bazoum se i Paesi vicini tenteranno qualsiasi intervento militare per ripristinare il suo governo. Secondo l’Ap, uno dei funzionari ha affermato che i golpisti hanno riferito al sottosegretario di Stato americano Victoria Nuland della minaccia a Bazoum durante la sua visita nel Paese nei giorni scorsi. Un altro funzionario Usa ha confermato questa versione, parlando a condizione di anonimato. Nessuna fonte ha però confermato questa minaccia né vi sono state dichiarazioni in tal senso da parte del CNSP, l’organismo che rappresenta la giunta militare di Niamey.

Foto: US DoD/Africom, TV Niger, Twitter, Ministero Difesa Francese e Peoples Dispatch

5831.- Tocca all’Italia sistemare i disastri francesi in Africa?

Rassegna ragionata dal web su: il golpe in Niger e i malumori sempre più diffusi nelle ex colonie di Parigi, il pericolo di una guerra nel continente, il ruolo di pontiere che può avere il nostro paese e i pericoli di un intervento militare.

Da Tempi, articolo di Lodovico Festa, 11/08/2023

Niger, sostenitori dell'esercito maledicono la Francia e la Cedeao
Niger, sostenitori dell’esercito maledicono la Francia e la Cedeao (foto Ansa)

Su Linkiesta Carlo Panella scrive: «Evgenij Prigozhin tre, Emmanuel Macronzero. Tre colpi di Stato a favore della Wagner in tre anni hanno espulso la Francia da tre paesi africani chiave: Mali, Burkina Faso e Niger. A questi si aggiungono due golpe antioccidentali di cui ha approfittato fortemente la Wagner in Sudan e in Guinea, e il forte e determinante impianto delle armate di Prigozhin in Libia oltre che nella Repubblica Centrafricana. Di fatto, il radicamento della Wagner nel Sahel e in Africa appare inarrestabile, sia sotto il profilo politico – tutti questi golpe guardano alla Russia come alleata – che militare, in una cintura dei golpe pro russi che va dal Mar Rosso all’Oceano Atlantico. Si vedrà come si evolverà il golpe in Niger, circondato come è dalla fortissima pressione economica e militare a favore di Mohammed Bazoum, il presidente democratico deposto, da parte dei nove paesi confinanti del Cedeao, l’alleanza economico militare dell’Africa occidentale. Paesi che sono peraltro spalleggiati dalla Francia e dalla Unione Europea nella loro azione contro il golpista nigerino, il generale capo della guardia presidenziale Abdourahman Tiani, al quale hanno dato sette giorni per rimettere al potere il presidente deposto sotto minaccia di un loro intervento militare. Futuro incerto quindi: Mali e Burkina Faso hanno replicato che interverranno a favore dei golpisti del Niger se verranno attaccati dalla Cedeao, ma intanto si tratta, con discrezione».

Panella descrive con precisione la débâcle francese in Africa. Dopo che Jacques Chirac ostacolò il tentativo di George Bush di creare nuovi equilibri in Africa e Medio Oriente con la guerra in Iraq, Barack Obama puntò su Nicolas Sarkozy e Recep Erdogan per stabilizzare quella stessa area, partendo dall’intervento in Libia. I risultati dell’iniziativa obamiana sono stati disastrosi, peggiorati oggi dall’arroganza di Emmanuel Macron, che probabilmente pagherà in patria il prezzo dei suoi fallimenti, per esempio grazie a un Vincent Bolloré, che, costretto ad abbandonare le sue intraprese africane, investe sempre più in media tesi a saldare la destra moderata e quella radicale francesi.

Sulla Nuova Bussola quotidiana Gianandrea Gaiani scrive: «Per il ministro degli Esteri algerino, Ahmed Attaf, “un intervento militare in Niger aggraverebbe la situazione, rendendola più complicata e più pericolosa per il paese e per l’intera regione”. Algeri condanna il colpo di Stato contro il legittimo presidente e ne chiede il ritorno in carica, ma non intende né partecipare né avallare un’azione militare contro Niamey. “Un intervento militare potrebbe incendiare l’intera regione del Sahel e l’Algeria non userà la forza con i suoi vicini”, ha detto il presidente algerino, Abdelmadjid Tebboune».

Non è impossibile che scoppi una guerra interafricana, come annunciano le decisioni – pur ancora prudenti – dell’organizzazione interstatale dell’Africa occidentale (l’Ecowas o Cedeao). Non è facile prevedere quali saranno le conseguenze di un eventuale conflitto sia nelle zone dove è solida l’influenza russo-cinese sia in quelle dove esiste ancora una forte presenza di islamisti radicali. Intanto si incrementano i malumori in tutte le aree tradizionalmente d’influenza francese, dall’Algeria al Senegal.

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Su Startmag Marco Orioles scrive: «Parigi deve fare tuttavia i conti con la posizione della Germania, che ora dichiara di seguire prioritariamente la linea diplomatica. “Sosteniamo l’Ecowas nelle trattative”, ha sottolineato a Berlino il portavoce degli Esteri, per il quale “Ecowas ha più volte detto che considera la violenza militare come ultimo strumento”».

Berlino si mostra molto prudente nell’appoggiare le posizioni francesi.

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Sul Sussidiario Marco Pugliese scrive: «Gli Usa hanno garantito appoggio all’Italia come nuovo partner nella regione. L’Italia infatti non ha uno “status coloniale” dal 1945 e soprattutto in Africa sta tentando di costruire le basi per il “Piano Mattei” che verrà presentato a ottobre. Mosca, che è dietro alle mosse nigerine, preferirebbe riallacciare i rapporti con l’Italia, uno Stato pontiere, e garante degli equilibri nell’area. Una soluzione che a Washington non dispiace (fonti fanno sapere che la Meloni ha parlato con Biden anche di questo scenario)»

Mentre gli americani riscoprono il ruolo italiano, che funzionò in Africa (al di là di diversi contrasti con Washington) già durante la Prima Repubblica, il partito francese in Italia, che si era già messo in movimento per ostacolare le mosse di Giorgia Meloni in Tunisia, pare non aver più quella capacità di manovra che gli consentì di subordinare Roma agli interessi di Parigi innanzi tutto nella partita libica: in questo senso gli amichetti di Macron sentono molto la mancanza di un abile e seduttivo manovratore come Giorgio Napolitano.

La Cedeao mobilita le truppe.

Ma un intervento multinazionale porterebbe solo vantaggi ai gruppi jihadisti pronti a espandersi nel Sahel e riprendersi il controllo del nord della Nigeria. Tutte le ragioni per scongiurare la prospettiva della guerra.

Niger

“Col comunicato finale del summit della Cedeao (o Ecowas) del 10 agosto l’Africa occidentale muove un altro passo nella direzione della catastrofe. Capi di Stato e di governo riuniti ad Abuja hanno approvato una serie di risoluzioni che prevedono fra le altre cose il dispiegamento di una forza militare multinazionale promossa dall’organizzazione con l’incarico di «ristabilire l’ordine costituzionale» in Niger, la quale resterà «in attesa» che le sia dato l’ordine di eseguire l’operazione militare, nel caso che non si trovi una soluzione diplomatica alla crisi creata dal colpo di Stato che il 26 luglio ha deposto il presidente Mohamed Bazoum e ha consegnato il potere a una Giunta militare capeggiata dal comandante della Guardia presidenziale, il generale Abdourahamane Tiani”. Rodolfo Casadei (segue su Tempi).

Qualunque intervento militare della Cedeao o multinazionale porterebbe vantaggi ai gruppi jihadisti pronti a espandersi nel Sahel e riprendere il controllo del Nord Nigeria e andrebbe incontro ai piani della Wagner, già annunciata dalle bandiere russe sventolate dai dimostranti. Le sanzioni dell’Ue ostacoleranno il clima di solidarietà attiva alla base del Nuovo Piano Mattei e l’Ue si dimostra ancora una volta un’ostacolo per le politiche del Governo italiane. Politiche che, finalmente, tornano a incontrare l’approvazione della Casa Bianca. La parola spetta ai nigerini. Ha ragione il presidente del Congo. Mario Donnini