Archivi categoria: Crisi del Governo Conte

5435.- Frosinone – «Dpcm anti-covid illegittimi». La sentenza del Tribunale.

e il Commento dell’Indipendente

Da Teleuniverso, rilanciatoo da Sabino Paciolla. 13 Ottobre 2022. Aggiornato 17 Ottobre 2022.

Le restrizioni alle libertà personali subite durante la pandemia sono illegittime e i DPCM sono contra legem e contro la Costituzione.  Perché si tratta di atti normativi e, pertanto, non hanno forza di legge. Lo dice la sentenza d’Appello del Tribunale di Frosinone che si è pronunciato contro il ricorso presentato dalla Prefettura. In pratica: un automobilista era stato multato perché circolava nonostante i divieti anti covid: aveva impugnato la multa ed il Giudice di Pace gli aveva dato ragione. La prefettura allora, a sua volta, ha impugnato quella sentenza.

Il punto centrale del ricorso: la Prefettura ha sostenuto che il Giudice di Pace in pratica aveva disapplicato il DPCM del premier Conte per l’emergenza Covid: ma per la Prefettura, non era competenza del Giudice di Pace disapplicare quel Dpcm. Sarebbe stato compito del ricorrente impugnarlo nelle sedi e nei modi opportuni.

Invece ora il Giudice del tribunale di Frosinone ha detto anzitutto che la Prefettura aveva tutta la competenza ed era giusto che fosse chiamata in causa: perché la multa è una sanzione di tipo amministrativo, irrogata dallo stesso Prefetto che si avvale delle forze di polizia.

            Il Tribunale di Frosinone specifica, infatti, che  i Dpcm non sono legge, ma meramente un atto amministrativo.

Detto e ridetto, ma la corruzione è sistemica, ad ogni livello, ogni…! e si coniuga perfettamente con la generale ignoranza dei cittadini. Infatti, per non escludere dal novero gli elettori, Conte è stato eletto al Parlamento! Tutto ciò accadeva regnante Sergio Mattarella, che potrà assicurare una presidenza super partes per quattordici anni… e c’è chi parla ancora di democrazia. ndr

            Soprattutto, il tribunale Civile di Frosinone dice che Giuseppe Conte è andato oltre i suoi poteri. Nella Costituzione, inoltre, non  c’è alcuna disposizione che conferisca poteri speciali al Governo se non in caso di Guerra deliberato dalle Camere.

            Per il Giudice lo stato di emergenza dichiarato dal Governo e poi prorogato, appare illegittimo perché non ci sono i presupposti legislativi. In pratica il Consiglio dei Ministri non può dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario.

            Per questo –  continua il Tribunale nella sentenza  – trattandosi di atti amministrativi  e non legislativi, una volta accertata  la illegittimità per contrasto alla Costituzione, il Giudice deve procedere alla loro disapplicazione.

            Per questo il ricorso della Prefettura è stato respinto. Esulta l’avvocato Giuseppe Cosimato, che ha seguito in prima persona il caso. Questa sentenza d’appello – secondo il legale – apre le porte alle azioni di risarcimento per le limitazioni e l’impossibilità di recarsi al lavoro per i non vaccinati.

Il Commento dell’Indipendente

Il Tribunale di Frosinone ha stabilito che “L’istituzione del Dpcm durante la pandemia di Covid è da ritenersi illegittima”. La sentenza 842 del 2022, firmata dal giudice Luigi Petraccone, potrebbe entrare nella storia della giurisdizione italiana.

La vicenda ha inizio il 4 aprile 2020, in pieno lockdown (il primo), quando un giovane frusinate venne fermato dalla polizia stradale mentre si trovava alla guida della sua auto. Il Dpcm allora in vigore prevedeva il divieto di allontanamento dal Comune di residenza e l’automobilista, non adducendo giustificati motivi agli agenti, venne sanzionato con una multa di 400 euro. Così l’uomo, assistito dall’avvocato Giuseppe Cosimato, presentò ricorso al giudice di pace che il 15 luglio 2020 lo accolse. Tale sentenza, però, venne impugnata dalla Prefettura di Frosinone, la quale richiamò il rispetto del Dpcm in vigore. La vicenda sembra avere un lieto fine solo due anni dopo. In data 6 ottobre 2022, infatti, il Tribunale di Frosinone ha respinto il ricorso, dichiarando illegittimo il Dpcm e mettendo la parola fine al giudizio di secondo grado e al travaglio del giovane frusinate.

Il passaggio chiave di tutto questo, come riportato dal Messaggero, sarebbe “l’inviolabilità di un diritto inviolabile quale la circolazione – per l’appunto – provvedimenti restrittivi di questo tipo sono da ritenersi anti costituzionali anche se emanati a difesa di un altrettanto diritto inviolabile quale quello della difesa della salute pubblica. Disposizioni così limitanti per la libertà possono essere emanate solo davanti ad eventi di calamità naturale per definiti periodi di tempo mentre, come si legge dal disposto del Tribunale, situazioni di rischio sanitario non sono inclusi in questa previsione. A questo punto non vi è alcun presupposto legislativo su cui fondare la deliberazione del Consiglio dei Ministri.”

Altro passaggio chiave della sentenza, sempre riportato dal Messaggero, sarebbe poi quello in cui si afferma “che la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 è da ritenersi illegittima per essere stata emessa in assenza dei presupposti legislativi, in quanto non è rinvenibile alcuna fonte avente forza di legge che attribuisca al Consiglio dei Ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario”. Sarebbero quindi ritenuti illegittimi anche tutti i seguenti Dpcm.

Non è la prima volta che un Tribunale mette in dubbio la legittimità di molti dei provvedimenti presi dal Governo durante la pandemia, ma negli ultimi mesi sono state diverse le sentenze che sono andate in questa direzione.

Tra la gioia dell’avvocato Cosimato e del proprio cliente, si apre ora un nuovo scenario per i tanti cittadini che nel periodo buio del lockdown sono stati penalizzati da queste misure. Per non parlare delle attività costrette a chiudere.

Tuttavia non va dimenticato, che la sentenza del Tribunale di Frosinone rappresenta un caso specifico e in quanto tale non fa giurisprudenza; non si può escludere, quindi, che altri Tribunali agiscano con valutazioni differenti. Di certo però, si tratta di una sentenza rilevante che mette in dubbio la legittimità dei provvedimenti presi dai Governi Conte e Draghi nella gestione della pandemia.

[di Iris Paganessi]

4203.- Così il green pass viola le regole europee.

Articolo 7.3.1 i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno è politicamente, socialmente o altrimenti sottoposto a pressioni per farsi vaccinare, se non lo desiderano farlo da soli”, 

Articolo 7.3.2. i Paesi membri devono “garantire che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato, a causa di possibili rischi per la salute o per non voler essere vaccinato”.

di Redazione3 Agosto 2021

green pass

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma

Il Consiglio d’Europa (CdE) non è una istituzione dell’Unione europea, ma una organizzazione internazionale che promuove la democrazia, i diritti umani, il primato del diritto e l’identità culturale europea. Istituito nel 1949, ha sede a Strasburgo ed è composto da 47 Stati, tra cui tutti i 27 Paesi della Ue, più altri Stati come ad esempio il Regno Unito, la Svizzera, l’Albania e la Russia.

Il Consiglio, e più precisamente la sua Assemblea, adotta risoluzioni parlamentariche ogni Stato membro è poi libero di recepire attraverso gli strumenti previsti dagli ordinamenti costituzionali di ciascuno. Da ultimo, e più precisamente il 26 febbraio 2021, l’Assemblea parlamentare del Consiglio ha adottato la Risoluzione n. 2361 in tema di vaccini anti-Covid19.

I punti salienti della Risoluzione che qui ci interessano sono sostanzialmente due: gli articol7.3.1 e 7.3.2. Il primo statuisce che gli Stati devono “assicurarsi che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno è politicamente, socialmente o altrimenti sottoposto a pressioni per farsi vaccinare, se non lo desiderano farlo da soli”, mentre il secondo raccomanda ai Paesi membri di “garantire che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato, a causa di possibili rischi per la salute o per non voler essere vaccinato”. Si tratta di due temi fondamentali su cui tuttavia è caduto nel dibattito pubblico il silenzio tombale: 1. il divieto dell’obbligo vaccinale e delle pressioni per spingere i cittadini a vaccinarsi; 2. il divieto di discriminazioni nei confronti di chi non intende sottoporsi a vaccinazione.

A questo punto ci chiediamo come possano essere compatibili le norme della Risoluzione del Consiglio d’Europa con l’obbligo introdotto dal governo italianocon decreto-legge n. 105/2021, a partire dal 6 agosto, di possedere il cosiddetto “green pass” – valido 9 mesi – addirittura per sedersi all’interno di un bar, di un ristorante o di un cinema. Beninteso, non si tratta di un obbligo vaccinale in senso stretto (tanto è vero che per ottenere un green pass di 48 ore è sufficiente sottoporsi a tampone), ma esercita una forte pressione psicologica ed emotiva sui cittadini (espressamente vietata dall’art. 7.3.1. della Risoluzione) a sottoporsi a vaccinazione per non essere esclusi dall’esercizio dei più elementari diritti di cittadinanza (si pensi ad esempio al divieto di partecipare ai concorsi pubblici se non si è in possesso del green pass).

Si dirà che una semplice Risoluzione del Consiglio d’Europa non è vincolante per nessuno degli Stati che vi fanno parte, a meno che qualcuno non decida di recepirla attraverso gli strumenti previsti dai propri meccanismi costituzionali. Vero. L’Italia potrebbe recepire la Risoluzione, e attribuirne eventualmente forza di legge, attraverso una legge ordinaria adottata dal Parlamento (art. 80 della Costituzione), oppure attraverso un semplice ordine del giorno votato dalle Camere che però avrebbe un valore molto contenuto, quello di mero indirizzo politico nei confronti del Governo. Insomma, gli strumenti per recepire il Regolamento non mancano.

Al momento la Risoluzione è stata assegnata – sin da marzo – in ben tre Commissioni del Senato (affari esteri, politiche Ue e igiene e sanità), ma lì è rimasta, e nessun gruppo parlamentare si è mosso per accelerare l’iter di recepimento. Ovvio che manca la volontà politica. A questo punto Lega e Fratelli d’Italia – il primo scettico e il secondo contrario al green pass – potrebbero giocare d’anticipo e chiedere agli altri gruppi parlamentari di portare avanti e concludere l’iter di recepimento della Risoluzione prima del 21 settembre, ultimo giorno utile in cui le Camere possono convertire in legge (con o senza modificazioni) il decreto-legge n. 105 del 23 luglio 2021.

Probabilmente non se ne farà nulla e non vi sarà alcun recepimento (Pd, M5s e LeU non sono minimamente intenzionati a recepire un atto del genere), ma quantomeno si aprirebbe un dibattito nel Paese. Tanto più che l’art. 7.5.2 della Risoluzione raccomanda gli Stati ad “utilizzare i certificati di vaccinazione solo per lo scopo designato di monitorare l’efficacia del vaccino, i potenziali effetti collaterali e gli eventi avversi”, non per discriminare i vaccinati dai non vaccinati.

Il Consiglio d’Europa, come si è detto, non è un organo della Ue, ma certamente è un’organizzazione internazionale di cui fanno parte tutti i paesi dell’Unione. Non è cosa da poco. Vogliamo proprio fare finta di niente, e con il silenzio di tutti i partiti neppure tentare di recepire questa Risoluzione?

4115.- Conte, altri guai: il Tribunale di Pisa dichiara illegali i suoi Dpcm

Da Affari italiani.it, Mercoledì, 30 giugno 2021

L’opinione di Paolo Becchi e Giuseppe Palma

Conte, altri guai: il Tribunale di Pisa dichiara illegali i suoi Dpcm

Siamo stati i primi a dirlo e a scriverlo già a marzo dello scorso anno, poi lo abbiamo argomentato anche in Democrazia in quarantena. Ora un giudice ci dà ragione. I Dpcm di Conte erano illegali.  

 Con sentenza n. 419 del 17 marzo 2021, il Tribunale di Pisa in composizione monocratica (nella persona della dott.ssa Lina Manuali) ha assolto un imputato dal reato di cui all’art. 650 del codice penale (inosservanza dei provvedimenti dell’autorità), “perché violava l’ordine imposto con Dpcm dell’8/3/2020 per ragioni di igiene e sicurezza pubblica, di non uscire se non per ragioni di lavoro, salute o necessità”. L’assoluzione pronunciata dal Tribunale è con formula piena, cioè quella prevista dal primo comma dell’art. 530 del codice di procedura penale (perché il fatto non sussiste).

Interessanti le motivazioni offerte dal giudice ordinario, che scrive: “solo un atto avente forza di legge e non un atto amministrativo, come è il Dpcm, può porre limitazioni a diritti e libertà costituzionalmente garantiti”. Oltre ad elencare le libertà fondamentali illegittimamente compresse (tra le quali quella personale, di circolazione, di riunione, di associazione, religiosa etc), il Tribunale pone a fondamento della propria sentenza di assoluzione il mancato rispetto della riserva di legge assoluta, di quella giurisdizionale e dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 13 della Costituzione in materia di libertà personale.

Nello specifico, in relazione al Dpcm dell’8 marzo 2020 e a quelli successivi, il giudice rileva l’importanza della inviolabilità della libertà personale sancita dal primo comma dell’art. 13 della Costituzione, evidenziando che la sua limitazione può essere consentita nei soli casi tassativamente previsti dalla legge (dunque da un atto avente forza di legge e non da un atto amministrativo, peraltro sottratto al controllo della Consulta) e solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria.

Scrive nello specifico il giudice: “Orbene, nel nostro ordinamento giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare configura una fattispecie restrittiva della libertà personale e, in quanto tale, può essere irrogata solo dal Giudice con atto motivato nei confronti di uno specifico soggetto, sempre in forza di una legge che preveda casi e modi”. A tal riguardo, al fine di suffragare la propria decisione, il Tribunale cita la sentenza della Corte costituzionale n. 11 del 19 giugno 1956: “In nessun caso l’uomo potrà essere privato o limitato nella sua libertà se questa privazione o restrizione non risulti astrattamente prevista dalla legge, se un regolare giudizio non sia a tal fine instaurato, se non vi sia provvedimento dell’autorità giudiziaria che ne dia le ragioni”.

In altre parole Conte ci ha reclusi in casa, la prima volta per quasi due mesi (8 marzo – 4 maggio 2020), la seconda a macchia di leopardo (6 novembre – 11 dicembre 2020), violando palesemente il dettato costituzionale. 

L’uso degli atti amministrativi denominati Dpcm – coi quali furono solo sommariamente individuati i casi, i termini e i modi di restrizione delle libertà fondamentali – non solo è da considerarsi illegittimo per via del mancato rispetto della riserva di legge assoluta, ma addirittura illegale per espressa violazione della riserva di giurisdizione e dell’obbligo di motivazione da parte dell’Autorità Giudiziaria. Neppure durante il fascismo si era arrivato a tanto: coprifuoco e limitazioni alle libertà fondamentali furono imposte soltanto in tempo di guerra e solo dopo l’occupazione tedesca. 

Ma c’è di più. Il Tribunale di Pisa rileva altresì il mancato rispetto dell’obbligo di motivazione cui è soggetto l’atto amministrativo ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 241/1990: “La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”.

Pur riconoscendo la validità della motivazione per relationem offerta nell’ambito degli atti amministrativi (in pratica il semplice richiamo ad altri atti), il Tribunale ha rilevato che il Dpcm dell’8 e quello del 9 marzo 2020 mancano di idonea motivazione in quanto essi facevano generico riferimento ai verbali del Comitato tecnico-scientifico (Cts), verbali che il governo stesso ha classificato come “riservati” o “secretati”. Scrive il Tribunale: “In sostanza, è stata posta in essere tutta una situazione che di fatto non ha consentito la disponibilità stessa degli atti di riferimento, posti a base del provvedimento, con consequenziale invalidità dello stesso provvedimento”, richiamando a tal proposito l’art. 21 septies della Legge n. 241/1990: “E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali”, in questo caso la motivazione.

L’imputato, assolto per il reato di cui all’art. 650 c.p., è stato invece condannato a quattro mesi di reclusione – con sospensione condizionale della pena – per il reato di cui all’art. 337 c.p. (per non essersi fermato all’intimazione dell’Alt dei Carabinieri). Il Tribunale ha indicato in giorni 90 il termine per il deposito delle motivazioni (già depositate), quindi il termine per l’impugnazione scade il 30 luglio 2021. Il Pm, da parte sua, non potrà impugnare l’assoluzione per il reato di cui all’art. 650 c.p. in quanto egli stesso aveva chiesto l’assoluzione perché il fatto non è più punibile a norma di quell’articolo, ma potrà invece impugnare la pena dei 4 mesi di reclusione in quanto lui ne aveva chiesti 6 (circostanza altamente improbabile). È invece molto probabile che sia la difesa ad impugnare la condanna ai 4 mesi di reclusione per il reato di cui all’art. 337 c.p., in modo tale che sull’assoluzione per il reato di cui all’art. 650 c.p. cada il giudicato penale già il 31 luglio 2021, mentre sull’altro reato si applichi il principio generale del divieto di reformatio in peius.

Nel nostro ordinamento giuridico, che è di civil law e non di common law, non esiste il criterio di giudizio sulla base del “precedente”, salvo che non si tratti di sentenze emanate dalla Corte di Cassazione a sezioni unite (e anche qui il giudice può sempre regolarsi secondo il suo libero convincimento). Tuttavia, una volta caduto il giudicato penale sull’assoluzione di cui all’art. 650 c.p., tutti coloro che si trovassero imputati del medesimo reato e con capi di imputazione similari, potranno chiedere all’autorità giudiziaria di pronunciare sentenza di assoluzione al fine di evitare difformità tra giudicati penali per casi analoghi. Poca roba rispetto a quello che Conte & Company ci hanno fatto, ma quantomeno possiamo dire “che c’è un giudice a Berlino”.

E non è tutto: L’autocertificazione falsa non è reato: un giudice ha dichiarato illegittimi i Dpcm

ROMA – Nel pieno della prima ondata della pandemia, a dispetto dei rigidi divieti governativi, un uomo e una donna di Correggio (Reggio Emilia) escono di casa. E’ il 13 marzo del 2020. E quando i Carabinieri li fermano, i due presentano una autocertificazione fasulla. C’è scritto che sono usciti perché la donna deve fare delle analisi e vuole essere accompagnata, ma non è così.

I Carabinieri accertano che la donna non ha fatto tappa in ospedale, quel giorno, come ha giurato ai militari. A quel punto la coppia viene denunciata e finisce sotto processo. Pochi giorni fa, a gennaio del 2021, il Tribunale di Reggio Emilia li ha assolti entrambi “perché il fatto non costituisce reato”.

Non solo. Il giudice di Reggio Emilia sancisce anche l’illegittimità del DPCM dell’8 marzo del 2020 che autorizzava le persone a uscire di casa solo “per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, spostamenti per motivi di salute”. Ne scrive oggi il sito Cassazione.net.

Spiega il giudice di Reggio Emilia che il DPCM non può imporre l’obbligo di permanenza domiciliare, neanche in presenza di un’emergenza sanitaria. L’obbligo di permanenza domiciliare è – viceversa – una sanzione penale che può essere decisa dal magistrato per singole persone “per alcuni reati, e soltanto all’esito del giudizio”.

Sempre il giudice di Reggio Emilia ricorda che la Corte Costituzionale stabilisce delle garanzie molto forti, a protezione del nostro diritto a uscire di casa quando vogliamo e di andare dove crediamo.

Quando ad esempio le forze dell’ordine chiedono il Daspo per un tifoso violento – che dunque resterà in casa durante le partite – deve subito intervenire un giudice per vautare se la richiesta è proporzionata alla condotta dell’ultrà. Solo se le sue azioni sono state davvero violente e illegittime, allora il giudice gli impedirà di andare allo stadio.

Ancora il giudice chiarisce che un DPCM, un decreto del Presidente del Consiglio, è un semplice atto “regolamentare”, che dunque manca della forza normativa per costringere qualcuno a restare in casa.

Certo, un DPCM probabilmente può imporre a qualcuno di non andare in zone infette, dove sono esplosi dei focolai mentre un divieto generalizzato – per tutti e in ogni luogo – è inaccettabile.

La sentenza del Tribunale di Reggio Emilia ritiene nullo l’obbligo delle persone di compilare la autocertificazione per giustificare la loro uscita di casa. Dunque decade anche il presunto reato di falso ideologico che commettiamo quando autocertifichiamo il falso.

3763.- Dietro il sipario di Rousseau

Voci da dietro il sipario: “L’attesa per il voto su questo software, per giunta già definito insicuro, ma non per i suoi vertici, è dipesa da Sergio Mattarella, non da Mario Draghi.

La Costituzione, revisionata secondo il suo nuovo padre costituente (per conto di chi?), supera le possibilità di semplice riforma previste dal suo articolo 138 per adeguarla ai tempi.

Abbiamo visto sostituire la ricerca della Libertà, della Dignità dei cittadini, attraverso il Lavoro, con la ricerca della loro crisi economica per poter realizzare quell’anomalia costituzionale anti statuale chiamata Unione europea. Dalla follia di un dittatore, alla follia di una democrazia! e paga sempre il popolo.

DIEGO FUSARO: Ultim’ora! La piattaforma Rousseau ha scelto: il Movimento 5Stelle dice sì a Draghi!

Commenti:

Quando mai la piattaforma Rousseau ha contraddetto la volontà dei capi…?

L’esito di questa pseudo votazione dovrebbe provocare una riflessione sulla facile manipolabilità dei sistemi di voto informatico. Come le “slot machines” essi sono programmati apposta per produrre sempre il risultato più favorevole a Lorsignori. Simile all’ipnosi del ludopatico, il condizionamento psicologico della popolazione è ormai talmente alto che non si riconoscono nemmeno le truffe più grossolane e si commentano come veri e reali risultati farlocchi.

L’invenzione della piattaforma nasce dalla presa d’atto che i cittadini non si sentono rappresentati dai partiti e dalla politica. Rousseau è stata una farsa preceduta dall’osanna alla democrazia diretta che tanto ha fatto blaterare i nascenti grillini. La piattaforma, da loro stessi accusata di essere pilotatile pilotata dalla Casaleggio&C. ha, di fatto, negato ai grillini il loro diritto di partecipazione politica. Il viulnus di questa democrazia è nell’articolo 49 della Costituzione, un mero intento programmatico:“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. L’art. 49 della Costituzione parla di “diritto” dei cittadini a decidere della politica del paese, e individua nei partiti lo strumento attraverso il quale quel diritto viene esercitato, ma non dice come e non sacramenta una serie di principi costituzionali cui siano tenuti a ispirare la loro organizzazione e le loro attività. Meglio dei Costituenti, fecero Platone e Aristotle e, allora, sorge legittimo un dubbio: Fu vera dimenticanza? O non fu uno strumento programmatico per non dare voce al popolo sovrano; ma sovrano di che? Questo inganno fa il paio con quello del Presidente della Repubblica garante della Costituzione e con la procedura campata in aria per la sua messa in stato d’accusa. Quindi? La Costituzione, ampiamente violata e privata della connessione fra i principi fondamentali e la sua parte economica, necessaria alla loro attuazione, è perciò da riscrivere. Da riscrivere, o, sarebbe meglio, da scrivere un capo dedicato ai partiti, perché l’idea di una politica senza partiti, non solo è un’idea sbagliata (e priva infatti di esempi nel mondo democratico), ma è un’idea che toglie a tutti noi lo strumento di esercizio dei diritti democratici che la Costituzione ci assicura. 

“Purtroppo una cultura – una subcultura, sarebbe meglio dire – alimentata dagli scandali che hanno colpito i partiti negli anni di Tangentopoli ha eliminato negli italiani la consapevolezza del fatto che la politica qualcuno la deve fare e che qualcuno deve essere formato, istruito, selezionato, inserito in un sistema di informazione, dibattito, scelta delle linee e delle politiche. Altrimenti la politica si riduce a quello che vediamo oggi: persone che emergono non si sa come, occupano uno spazio televisivo, sviluppano idee per lo più banali e prive di approfondimento, abbassando il dibattito politico ad uno scambio di slogan e insulti. Da questa subcultura è necessario uscire”

Piattaforma Rousseau

Una vecchia questione: la democrazia nei partiti

Scritto da Fabio Ferrari su La Costituzione info.

Il fatto che la possibilità di formare un nuovo Esecutivo sia dipesa dal voto online di qualche migliaia di iscritti al M5S non merita troppi commenti:
se non ci fosse di mezzo una questione capitale come il proseguimento della legislatura, sarebbe stato quasi da augurarsi un esito negativo della votazione.

Ciò avrebbe – forse – messo gli esponenti del Movimento di fronte alle loro responsabilità istituzionali, inducendoli ad un ripensamento del ruolo che la cosiddetta democrazia diretta può assumere in contesti come questi. I rappresentanti del popolo – la tanto bistrattata ‘casta’ – sono pagati per assumere con competenza e responsabilità decisioni nevralgiche per il Paese: rimbalzarle su uno sparuto numero di elettori, fuori da qualunque forma di controllo pubblico, e dopo aver già messo in moto le debite procedure costituzionali (che coinvolgono anche il Capo dello Stato), è semplicemente disdicevole. Come è inquietante che nessuno dei big del movimento abbia avuto la forza e l’autorevolezza politica per predicare l’inopportunità della votazione online.

Ma la cronaca ci porta a riflettere su un altro avvenimento, che coinvolge ancora in pieno il tema della democrazia interna dei partiti. Tutti sanno che la crisi di Governo è da addebitare a Matteo Salvini: è da sottolineare, però, che il Segretario della Lega sembra aver assunto la decisione di togliere la fiducia all’Esecutivo in piena autonomia, senza passare dalle procedure e dagli organi che lo stesso Statuto del suo partito imporrebbe. Si legge infatti all’art. 11 che: «Il Consiglio Federale (composto, tra gli altri, dal Segretario, dall’Amministratore e dal Responsabile Federale) determina l’azione generale della Lega per Salvini Premier, in attuazione della linea politica e programmatica stabilita dal Congresso Federale»

Pare che nessun Consiglio si sia riunito, nessun documento sia stato approvato, nessun dialogo ufficiale tra i soggetti del partito vi sia stato: Salvini – il cosiddetto ‘Capitano’ (e già questo appellativo dovrebbe far tristemente riflettere) – ha deciso di staccare la spina, senza alcun confronto interno al partito. Salvini non è il padrone della Lega, ne è solo il leader politico; ma un partito, per dirsi tale ed operare con il metodo democratico prescritto dalla Costituzione, dovrebbe caratterizzarsi da procedure formali che coinvolgano tutte le voci ‘dirigenziali’ che lo animano, soprattutto quando si tratta di assumere scelte fondamentali per la vita sua e del Paese. Se la Lega avesse rispettato il suo Statuto forse Salvini avrebbe agito con maggior prudenza: avrebbe ascoltato opinioni diverse dalle sue, sarebbe stato consigliato o comunque messo davanti ai rischi – politici e istituzionali – di una tale scelta; qualcuno avrebbe perfino potuto ricordargli il funzionamento di una Repubblica parlamentare.

Chiunque detenga il potere, ammoniva Montesquieu, prima o poi è portato ad abusarne: la democrazia interna ai partiti dovrebbe servire proprio a questo, a sottoporre ad un primo vaglio critico le scelte dei leaders, i quali dovrebbero essere contenti di circondarsi di persone competenti e anche critiche nei loro confronti, così da essere sempre controllati e mai tentati di andare fuori misura.

La responsabilità di quel che è successo è dunque tutta di Salvini, ma pure la classe dirigente del suo partito ha non poche colpe, avendo consentito all’uomo solo al comando – tanto caro all’animo anarchico di noi italiani – di regnare da monarca assoluto, salvo poi dover raccogliere i cocci dell’Esecutivo che fu.

Certo, la democrazia di un partito non può risolversi nelle continue risse interne a cui ci ha spesso abituato, per esempio, il PD (lo ricordava Bin qualche giorno fa): un conto è «la lotta tra galli nel pollaio», altro il leale e doveroso confronto che porta però ad una decisione definitiva e condivisa.

Viene in mente, e capita spesso a chi scrive, Montanelli: con una metafora un tantino eloquente, più volte si lamentò di un Italia che oscillava tra una destra che ricordava il «manganello», e una sinistra che evocava il «bordello». Chissà cosa direbbe oggi il vecchio Indro se sapesse che la terza via – in tema di democrazia interna – tra questi due estremi è la consultazione online sulla mitologica piattaforma Rousseau. Dopo tutto, forse è meglio non saperlo.

Fabio Ferrari, 2019

I media della RAI “riprogrammati” o “clonati” dal PD

“Buongiorno e benvenuti ad Agorà. Arrivato il sì degli iscritti del M5S al sostegno al governo Draghi: non certo plebiscitario, e con no anche importanti che pesano, come Di Battista che si fa da parte. Ora può nascere il nuovo esecutivo”.

“Ora può nascere il nuovo esecutivo?” Ma cosa va dicendo Luisella?????? Faccia uno stop and Go! e torni sulla terra! Ma, con tutti i caxxi che abbiamo, “che ce frega a noi” della piattaforma Rousseau e dell’attesa per la decisione dei grillini? In quale articolo della Costituzione è scritta questa bufala, che loro stessi hanno accusato di brogli e imbrogli? Chi è e perché Grillo viene consultato?

3760.- Mario Draghi incontra le parti sociali. Dal blocco dei licenziamenti al Recovery Plan.

Consultazioni chiuse. Ogni leader che usciva dallo studio di Draghi può aver pensato che Draghi si fosse convertito al suo partito. Credo sia normale andare incontro a tutti, ma il problema inizierà quando si dovranno mettere d’accordo tutti questi illusi. Oggi, ha ascoltato tutti i sindacati, dimostrando di essere interessato a capire quelle che loro sono le priorità e le emergenze da affrontare attraverso una concertazione vera, utile al futuro del paese. Ora è pronto per lo scioglimento della riserva di fronte a Mattarella e poi per presentarsi al Parlamento, ma si blocca l’Italia e va in onda lo psicodramma M5s. Il fido alleato del PD è talmente fidato da essere incapace di proferire un sì od un no. Erano in molti ad aspettarsi la votazione sulla piattaforma Rousseau. Dicono che Draghi abbia convinto Grillo a rinunciare al voto sulla piattaforma; ma è ovvio che, se ancora non si conosce il programma di Draghi, non ha alcun senso pronunciarsi. Cosa si dovrebbe votare? Ma non è qui il problema. Grillo non vuole la Lega e Salvini non vuole i 5stelle. Riassumiamo queste consultazioni? Grillo: “Draghi si è detto d’accordo con me” Salvini: “Draghi si è detto d’accordo con me” Zingaretti: “Draghi si è detto d’accordo con me” Speranza: “Draghi si è detto d’accordo con me” Berlusconi: “Draghi si è detto d’accordo con me” Bonino: “Draghi si è detto d’accordo con me. parlano i numeri e il sì di Salvini basta e avanza anche senza 5stelle. Quale compito sarà così importante, da tenere una persona come Mario Draghi di fronte a ‘sì tanti birilli! Cosa hai fatto Mattarella?

MARIO DRAGHI
Il presidente del Consiglio incaricato apre un confronto ampio prima di comunicare, probabilmente nella giornata di domani, la sua decisione sull’incarico assegnatogli da Mattarella.

Da Redazione Dire, 10 Febbraio 2021

ROMA – Nuova giornata di incontri per il premier incaricato Mario Draghi. Dopo i faccia a faccia dei giorni scorsi con le forze politiche, infatti, Draghi ha convocato oggi alla Camera le parti sociali. Sindacati, associazioni datoriali, ma anche comuni, regioni e banche: il premier apre un confronto ampio prima di comunicare, probabilmente nella giornata di domani, la sua decisione sull’incarico assegnatogli da Mattarella.

LANDINI: CONFRONTO CON PARTI SOCIALI DEVE PROSEGUIRE

“Il primo tema che abbiamo indicato e’ la novita’ che anche le parti sociali siano coinvolte nella fase di istituzione di un nuovo governo, non capitava da molto tempo, abbiamo sottolineato che questo sia un segno che questo confronto debba proseguire nei prossimi mesi per affrontare in modo nuovo i problemi che abbiamo di fronte”. Cosi’ il leader della Cgil, Maurizio Landini, dopo l’incontro alla Camera con il premier incaricato Draghi. Il sindacalista riferisce che da parte di Draghi c’e’ stata rassicurazione sul fatto che “c’e’ disponibilita’ al confronto”.

FURLAN: SERVE PROROGA BLOCCO LICENZIAMENTI E TASSE SU RENDITE

C’e’ la “straordinaria possibilita’ attraverso il Recovery plan di dare un futuro migliore al nostro Paese. Abbiamo sottolineato l’importanza del piano vaccinale e la disponibilita’ di contribuire con protocolli di intesa esattamente come fatto un anno fa per rendere piu’ sicuri i luoghi di lavoro”. Lo ha detto la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, parlando a Montecitorio dopo le cosnultazioni con il presidente incaricato Mario Draghi. Poi, rafforzare “il sistema sanitario e il tema del lavoro”. “Abbiamo chiesto che il blocco dei licenziamenti e la proroga della cassa Covid siano confermati, cosi’ come i sostegni alle nostre imprese. Non deve essere un tempo indeterminato, ma ci vogliono i tempi giusti per riformare gli ammortizzatori sociali”, ha sottolineato. E’ “per noi fondamentale spostare il peso del fisco dalle buste paga dei lavoratori alle rendite”, ha concluso.

BOMBARDIERI: BLOCCO LICENZIAMENTI E LOTTA A EVASIONE

“Concertazione, condivisione” e “coesione sociale”. Solo le parole chiave che il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, ha sottolineato a Montecitorio dopo le consultazioni con il presidente incaricato Mario Draghi. La Uil ha poi chiesto “la proroga del blocco dei licenziamenti e della cassa covid” e di affrontare quella “vergogna nazionale” che e’ l’evasione fiscale.

BONOMI: TANTI TEMI IRRISOLTI, SERVE ALLEANZA PUBBLICO-PRIVATO

“Abbiamo informato il presidente del Consiglio incaricato della posizione di Confindustria su tutti i maggiori temi che rimangono irrisolti: il Pnrr, il piano vaccinale, la riforma delle politiche attive e degli ammortizzatori, della Pa, la necessita’ di una grande alleanza pubblico-privato per moltiplicare investimenti e concentrarli laddove piu’ servono alla ripresa del Paese tenendo in considerazione il peso del debito emergenziale che le imprese hanno contratto”. Lo ha detto Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, dopo aver incontrato il presidente incaricato Mario Draghi a Montecitorio. Tra i temi indicati da Bonomi anche “la riforma del fisco e la sostenibilita’ generale della finanza pubblica visto l’andamento debito pubblico”, ha concluso.

DECARO: CHIESTO UN UNICO RIFERIMENTO PER IL RECOVERY

“Abbiamo chiesto un unico interlocutore sul Recovery plan per permettere al sistema delle autonomie locali di partecipare a questa grande sfida e far ripartire il Paese”. Cosi’ il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, parlando a Montecitorio dopo le consultazioni con il presidente incaricato, Mario Draghi. “Gia’ ad agosto avevamo fatto una proposta al governo uscente per i fondi del recovery”, ricorda. “La nostra capacita’ di mediazione, di dare risposte a bisogni e aspirazioni dei cittadini credo possa essere utile anche al governo”. Il piano dei sindaci verte in 10 punti: “Si chiama ‘Citta’ Italia’, un titolo evocativo perche’ pensiamo che nella ripartenza dai momenti difficili i comuni sono sempre stati il motore della ripresa”.

BONACCINI: PRIORITÀ LOTTA A PANDEMIA E RISORSE UE IMPERDIBILI

Le regioni pongono al nuovo governo “due priorita’ assolute. La prima e’ la lotta alla pandemia con uno strumento nuovo e decisivo, il vaccino, e quindi l’offerta di collaborazione affinche’ sia la piu’ rapida e incisiva possibile”. Cosi’ il presidente della conferenza delle regioni, Stefano Bonaccini dopo l’incontro con il premier incaricato Draghi. Il governatore dell’Emilia-Romagna sottolinea che “piu’ persone si vaccineranno, piu’ velocemente si potra’ passare a una fase di maggiore tranquillita’ per tutti”. La seconda priorita’ e’ il recovery e le risorse europee con “una quantita’ di risorse, un fatto storico imperdibile e mai visto. Abbiamo chiesto un incontro urgente con il presidente perche’ su questo non siamo riusciti a incontrare Conte”. Infine Bonaccini avverte che “nessun governo senza la compartecipazione degli enti locali puo’ mettere a terra oltre 200 miliardi di euro” e per far questo “serve una robusta semplificazione delle norme”.

DE PASCALE (UPI): SCUOLE, PONTI E RIFORMA DEGLI ENTI LOCALI

Il Recovery plan e’ “l’occasione per dire che non ci sara’ mai piu’ una scuola non a norma dal punto di vista sismico e che gli istituti diventeranno luoghi innovativi per il risparmio energetico”. Lo dice Michele De Pascale, presidente del’Upi (e presidente della Provincia di Ravenna), dopo le consultazioni a Montecitorio con il presidente incaricato. Il modello Genova? “Noi vorremmo evitare che casi come quello si verifichino ancora”, il Recovery e’ proprio “l’occasione per mettere a posto le infrastrutture a rischio”. L’ultimo punto che le province hanno sottoposto a Draghi riguarda la riforma degli enti locali gia’ avviata: “E’ un passaggio molto importante, speriamo che ci sia continuita’ e che si arrivi al completamento entro la fine della legislatura”.

FARINA (ANIA): INCONTRO CORDIALE, A DRAGHI PROPOSTE NOSTRE IDEE

“E’ stato un incontro positivo, cordiale nel quale abbiamo presentato al Presidente del Consiglio incaricato, Mario Draghi, il contributo che il settore assicurativo puo’ dare al necessario piano di rilancio del Paese. Contributo che puo’ poggiare sui due assi portanti dell’industria assicurativa: da un lato la protezione dei cittadini e delle imprese in una logica di partnership pubblico-privato, dall’altro gli investimenti di medio/lungo termine nell’economia reale che pero’ richiede riforme non piu’ rinviabili. Restiamo disponibili a dare il nostro contributo in questa difficile ma storica operazione di rilancio”. Lo dice il Presidente ANIA, Maria Bianca Farina, che ha incontrato questa mattina il presidente del Consiglio incaricato, Mario Draghi, nell’ambito delle consultazioni.

ABI: DRAGHI CONSAPEVOLE RISCHI DEI CREDITI DETERIORATI

“Draghi si e’ dimostrato molto consapevole dei rischi dai crediti deteriorati e ‘deteriorandi’”. Cosi’ il presidente di Abi, Antonio Patuelli, dopo l’incontro con il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi. L’Abi ha chiesto che “i prestiti garantiti e le moratorie non vengano interrotti anzitempo, ma che abbiano una durata più lunga della pandemia e che vengano ridotti gradualmente, senza immediatezza, senza integralismi e automatismi”.

3758.- L’ansia accompagna la fiducia a Mario Draghi; ma si guardi bene le spalle.

La Congiura dei Pazzi, l’attentato contro Lorenzo e Giuliano de’ Medici,  fu l’ evento che cambiò per sempre il volto di Firenze e dell’Italia.

Cesare Sacchetti è fra le poche menti libere cui dedico il mio tempo. Nel suo blog, “La cruna dell’ago”, trovo il modo per confrontarmi. Ecco, dunque, che la sua voce si leva in contrasto con il peana che sta sollevando in trionfo Mario Draghi, com’è d’uso in Italia, da tempo immemorabile. Ad oggi, le azioni di Draghi lo indicano favorito dal 70% degli italiani e ciò non desta alcuna meraviglia, atteso che è la prima persona di qualità che si propone a rivestire il ruolo di presidente del Consiglio dei ministri – che non è un premier! – da lungo tempo. Avevamo previsto anche noi questa soluzione, fin dalla ammucchiata giallo – verde con i voti del Centro-Destra e, poi, dalla sua illogica conclusione.

Ai beceri che urlano “Mai con Draghi!” rivolgo un pietoso e amaro sorriso. Conosciamo tutte le loro obiezioni sul passato di questo numero uno e sul pericolo che egli sia il liquidatore mandato dall’Unione europea, ma è semplicemente grottesco che questa accozzaglia dei palazzi levi le sue grida oggi, che siamo stati avvolti nella tela del ragno, senza che si levasse contro il tessitore, unico, quando furono firmati trattati capestro senza e, addirittura, contro la volontà del Parlamento o quando un Governo di avventurieri dilapidava 170 miliardi in affari poco limpidi, svendite, nomine di boiardi di Stato e mance indecorose, costringendo agli arresti e a pane e acqua intere categorie di lavoratori. Tutto tacque o si risolse in sterili deliri di impotenza di chi ancora ama questo popolo sciagurato.

Non sorprende questo innalzamento di Mario Draghi. Sorprende, piuttosto la sua follia di accettare un tale incarico, a meno di non condividere le analisi di Cesare Sacchetti. Impossibile non apprezzare la coerenza sofferta di chi, unica nel panorama dei servi, ha preso le distanze da questo accorrere a giurare fedeltà o meglio, sottomissione all’incaricato tardivo da Mattarella. Tardivo, se, proprio, non vogliamo dubitare della sincerità della sua decisione, perché, fino all’ultimo, ha proposto e ordito per un terzo governo scelleratamente dannoso di Giuseppe Conte e, non solo, ha tentato, ma persevera in questa linea, se ha pensato di imporre a un uomo di questa statura politica i ministri del governo fallito. Si aggiunga che, non richiesto, ha raccontato malamente di non poter mandare al voto i suoi cittadini.

Sì, sapevamo che Mario Draghi sarebbe potuto essere l’ultimo step verso le fauci del mostro e si pensò, che, se questo era il destino che ci siamo costruiti, meglio sarebbe stato un bravo dottore. È una visione pessimistica che non fa i conti con l’uomo e con gli obbiettivi che vorrà riservare a un popolo di ignoranti, ma anche di geni. Ansiosi, staremo ad attendere i frutti della sua politica perché anche lui è un genio.

L’Occidente non ha ancora archiviato il presidente Trump e potrà avere bisogno di una Europa unita, forte e coesa. Se l’Italia sarà uno strumento di questo passaggio dell’Unione, da anomalia istituzionale a Stato dei popoli, ebbene, si compia il destino.

Un rimprovero va al Capo dello Stato, se questo scenario, infine positivo, si realizzerà: Ha consegnato un simile leader a un Parlamento debole e, fin d’ora e come già ieri, litigioso. Perché le riforme e le leggi di Mario Draghi dovranno approvarle gli scappati da casa, ad oggi, abusivamente maggioranza, per decisione del presidente di non usare della facoltà di sciogliere le Camere, malgrado ne ricorressero i presupposti. “La maggioranza del “tutti dentro”, che si sta formando, non potrà condividere i programmi ed essere a un tempo fedele ai suoi principi.” Quando questo accade, significa che al capo nominato, sono state messe le pastoie. Significa anche che dovrà guardarsi molto bene le spalle.

L’operazione Draghi è l’ultimo attacco del mondialismo contro l’Italia

  di Cesare Sacchetti 

Alla fine dunque il momento è giunto. Solo pochi giorni separano Draghi da palazzo Chigi quando le consultazioni stanno volgendo al termine in queste ore.

Su questo blog si era prevista la venuta dell’ex governatore della Bce come prossimo presidente del Consiglio già nei mesi scorsi.

Non perché si sia in possesso di sconosciute doti divinatorie, ma piuttosto perché si erano rilevati i segnali evidenti di un meccanismo che si era messo in moto proprio agli inizi dell’operazione terroristica del coronavirus.

La venuta di Draghi in realtà era stata già decisa verso la scadenza del suo mandato da governatore della Bce.

Era già da allora che nelle stanze di Bruxelles e negli ambienti della finanza anglosassone di Londra si iniziava a fare il nome dell’uomo di Goldman Sachs come prossimo premier per l’Italia.

L’operazione Draghi era già in preparazione dalla seconda metà del 2019 e per comprendere che cosa ha portato alla sua piena riuscita, occorre tornare per un istante a quel periodo quando Salvini fece cadere, secondo molti inspiegabilmente, l’allora governo gialloverde.

La caduta di quel governo è stata semplicemente decisiva per iniziare a preparare il terreno a Draghi.

La marcia di avvicinamento dell’ex governatore della Bce è stata ampiamente favorita proprio da Matteo Salvini.

Non appena il segretario della Lega ha fatto harakiri e ha permesso al PD di tornare al potere assieme al M5S, ha iniziato a formare un asse con Renzi.

Questo asse ha praticamente lavorato in sinergia sin da allora per spianare la strada a Mario Draghi.

Non è certamente un caso che dal mese di novembre del 2019 ci sia stata la prima apertura di Salvini al nome di Draghi al Quirinale, quando il segretario leghista pronunciò l’ormai famoso “why not quando gli fu chiesto se pensava che l’uomo di Goldman Sachs sarebbe potuto diventare il prossimo presidente della Repubblica.

In quei mesi, la Lega di Salvini aveva già iniziato lo smantellamento di tutta la linea sovranista, o almeno la facciata di una linea sovranista, a partire dal caso dell’Ilva di Taranto, sparito da tempo dall’agenda dei media.

In quell’occasione, il leader del carroccio si schierò a favore del gruppo franco-indiano arrivando persino a dire che era necessario chiedere scusa agli imprenditori stranieri che stavano arrecando un danno strategico vitale alla produzione d’acciaio nazionale.

Nel mese successivo, succede un altro evento inaspettato. Salvini smette di chiedere le elezioni anticipate e arriva a invocare apertamente la soluzione del governo di unità nazionale.

A distanza di poco tempo, l’eminenza grigia della Lega, Giancarlo Giorgetti, l’interlocutore privilegiato del partito per l’establishment europeo e mondialista, rilascia un’intervista al Corriere nella quale inizia a scoprire le carte e a fare il nome di Draghi per unire le forze politiche in un esecutivo di larghe intese.

Questi passaggi sono da tenere a mente perché senza di questi non si comprende il meccanismo che ha portato al progressivo avvicinamento di Draghi a palazzo Chigi.

La Lega che prometteva l’uscita dall’euro in un fine-settimana è stata difatti la forza politica, assistita dalla sponda di Matteo Renzi, che si è rivelata decisiva per permettere la riuscita dell’operazione Draghi.

La crisi artificiale da Covid è servita a preparare il terreno al falso messia

Perché tutto andasse a buon fine però servivano soprattutto due cose.

La prima era la costruzione di una crisi artificiale così devastante e catartica da poter costruire il clima necessario per preparare la venuta del falso messia.

La seconda era quella di preparare una massiccia campagna di disinformazione tale da far credere che il messia sotto le mentite spoglie di Draghi fosse andato incontro ad una sorta di misteriosa e inaspettata conversione così da potersi in qualche modo guadagnare le simpatie o l’approvazione dell’elettorato leghista.

La prima condizione si è verificata a livello mondiale perché l’operazione terroristica del coronavirus è sicuramente un disegno di respiro globale per poter preparare la strada al futuro governo unico mondiale.

Le caratteristiche di questa crisi assomigliano molto a quella di cui parlava David Rockefeller nel 1994 in un consesso delle Nazioni Unite, davanti al quale il magnate americano sosteneva che il Nuovo Ordine Mondiale era praticamente alle porte.

Tutto ciò di cui c’era bisogno non era altro che una crisi così devastante e profonda da indurre le nazioni a rinunciare alla loro sovranità per lasciare spazio alla dittatura globale desiderata dalle grandi élite mondialiste.

Quella crisi è arrivata con le fattezze del coronavirus, ma a questo punto si deve notare un fatto.

Il sistema ha fatto di tutto per accentuarla in maniera spasmodica soprattutto in Italia. Quando a marzo venivano fatte delle chiusure totali e venivano vietati gli spostamenti persino oltre il proprio quartiere, l’Italia è divenuta di fatto la dittatura più repressiva al mondo.

L’eccessivo e totalmente anomalo numero di persone decedute a Bergamo è stato praticamente un caso unico a livello mondiale.

Nessuno riusciva a spiegarsi cosa lo avesse determinato, e i parenti delle vittime hanno continuato a chiedere chiarezza sulle terapie che sono state somministrate ai loro cari.

Mesi dopo sono iniziate ad emergere delle raccapriccianti verità su quello che potrebbe essere accaduto a Bergamo.

A Brescia, altra città dove c’è stata un’elevata anomalia di morti, è venuto fuori che un medico ordinava l’uccisione dei propri pazienti Covid attraverso la somministrazione di farmaci che si rivelavano letali per i pazienti.

L’Italia dunque è stata un caso unico al mondo perché questa strage è accaduta solo in alcune città ma non si è verificata altrove.

Sembra esserci anche una stretta correlazione tra questo numero di decessi e le terapie sbagliate che nonostante tutto sono state seguite quando diversi medici sapevano che avrebbero ucciso i propri pazienti.

La causa della strage di Bergamo va ricercata qui, e la magistratura, come al solito, non sta facendo luce sui protocolli sanitari che avrebbero causato l’eccidio.

Mentre l’Italia veniva investita da una campagna di terrorismo sanitario senza precedenti, le opposizioni non hanno fatto nulla per cercare di smorzare la falsa emergenza e scongiurare le chiusure.

Al contrario, Salvini in primis soffiava sul fuoco della crisi quando chiedeva di chiudere tutto, e di tracciare persino i cellulari dei positivi.

Il ruolo della Lega e delle opposizioni non era dunque quello di spegnere la falsa emergenza che il sistema stava alimentando.

Era quello di amplificarla. Se il governo Conte è riuscito a fare tutto ciò che ha fatto è proprio grazie alle false opposizioni che invece di opporsi, sostenevano e sostengono la dittatura sanitaria.

Una circostanza che gli smemorati elettori leghisti sembrano aver già dimenticato.

La campagna di disinformazione sulla falsa conversione di Draghi

Ad ogni modo, c’è una ragione che può spiegare perché il sistema aveva bisogno di alimentare all’inverosimile l’operazione terroristica del Covid in Italia, e la si vedrà a breve.

Nel mezzo della crisi, quando i media continuavano a diffondere terrorismo e informazioni false sulla letalità del virus, giunge Mario Draghi con il suo ormai leggendario articolo sul Financial Times.

Questo passaggio è fondamentale perché per la prima volta il sistema mostra apertamente sulla scena chi sarà il “messia” che dovrà tirare fuori l’Italia dalle terribili spirali della cosiddetta “pandemia”.

Draghi scrive un articolo piuttosto generico nel quale si parla di una espansione del debito pubblico, che è certamente auspicabile, ma che da solo certamente non basta per assicurare la crescita e la stabilità economica di un Paese.

Per potersi permettere l’espansione del debito pubblico sono necessarie due condizioni imprescindibili; la prima è una banca centrale che garantisce in maniera illimitata il debito sui mercati; la seconda è una valuta sovrana che serve a modificare il tasso di cambio qualora l’aumento della spesa comporti dei naturali e conseguenziali squilibri sulla bilancia dei pagamenti.

Draghi non ha menzionato né l’una né l’altra e pertanto il caso della sua presunta riconversione alla scuola del suo antico maestro, il compianto professor Federico Caffè, si può considerare già chiuso qui.

Non è mai esistita alcuna conversione. Draghi è sempre rimasto quello di prima.

Ad ogni modo, non appena questo articolo è uscito, chi è stato il primo a gioirne entusiasta? È stato proprio “casualmente” Matteo Salvini che fino a tre anni prima accusava, giustamente, Draghi di distruggere l’economia italiana, tenendo in vita l’euro, e che invece ora chiama Draghi presidente dandogli il benvenuto.

Ecco a cosa è servito il pezzo di Draghi. Serviva a dare una cartina di tornasole alla Lega e a Salvini per iniziare a diffondere la falsa teoria dell’uomo di Goldman Sachs convertito sulla via di Damasco.

Se c’è qualcuno che si è convertito in questa storia quello è proprio Salvini, non di certo Draghi.

A questo punto però per poter dare ulteriore forza a questa campagna di disinformazione occorreva un evento shock.

Occorreva rappresentare Draghi agli elettori sovranisti come un uomo che adesso era in qualche modo “minacciato” dal sistema, e qui si arriva conseguentemente all’incendio della sua casa a Città della Pieve.

L’unica foto esistente di questo incendio è quella che si vede qui sotto.

Va a fuoco la casa di Mario Draghi. Casualità o attentato ...

La prima cosa che salta all’occhio è che questa foto è completamente sgranata.

Non si vede praticamente nulla e non si capisce minimamente quello che sta succedendo nella foto.

Appare davvero singolare che nell’epoca degli smartphone ad alta risoluzione digitale l’unica foto disponibile sia quella di un telefonino che sembra avere una risoluzione di un vecchio telefono dei primi anni 2000.

Tutta questa campagna comunque aveva ed ha uno scopo preciso come già accennato prima. La Lega non poteva presentarsi davanti ai propri elettori facendo il nome di Draghi.

Doveva prima far credere che l’ex governatore della Bce era un altro, che in lui c’era stato un genuino cambiamento tale da far sì che ora si aveva di fronte un altro uomo.

La storia che si sta cercando di far credere è che il premier incaricato ad essere andato incontro alle posizioni della Lega e non il contrario.

È qui che nasce la menzogna del Draghi keynesiano pentito che ora vestirebbe i panni di San Francesco per poter fare inspiegabilmente gli interessi del suo Paese che mai ha fatto nella sua carriera.

Un articolo vuoto del Financial Times, e il lavaggio del cervello che stanno facendo gli ambienti vicini alla Lega alle masse di adepti sembra quasi aver cancellato nella mente di molti chi è l’uomo Mario Draghi.

Si sta cercando disperatamente di “sanificare” la memoria di quest’uomo per far dimenticare come negli ultimi trent’anni sia stato proprio lui a smantellare pezzo per pezzo quella che era la quarta economia del mondo.

In un Paese senza memoria, dunque è meglio ricordare. Sono le azioni che qualificano una persona, non di certo alcune dichiarazioni, tra l’altro nemmeno sostanziali.

Mario Draghi è stato il più micidiale sicario economico dell’Italia

Mario Draghi è stato infatti l’uomo che probabilmente ha fatto più danni in assoluto all’Italia nella sua storia recente.

Fu Draghi nel 1992, quando era allora direttore generale del Tesoro, a riunirsi a bordo del panfilo Britannia e a consegnare tutta l’intera industria pubblica italiana a prezzi di saldo alla finanza anglosassone di Goldman Sachs e Morgan Stanley.

Fu sempre lui negli anni successivi a far sottoscrivere all’Italia dei derivati che sarebbero costati almeno otto miliardi di euro alle casse dello Stato.

I media in questi giorni stanno ripetendo come un mantra tutto il curriculum di Draghi, ma nulla dicono che quel curriculum è il risultato di una guerra economica che Draghi ha condotto contro il suo stesso Paese.

Più danni venivano fatti all’Italia, più in alto andava Mario Draghi fino a quando non ha toccato le sfere dell’Eurotower di Francoforte quando divenne presidente in pectore nel 2011 e vergò la lettera indirizzata al governo Berlusconi.

Draghi ingeriva per conto di una istituzione sovranazionale nella sovranità del suo stesso Paese ordinando delle riforme strutturali, quali tagli ai salari e tasse alle pensioni, che sarebbero poi state applicate da Monti.

L’ex governatore della Bce durante il suo mandato è stato ciò che ha permesso all’euro di restare in vita, ma il prezzo lo hanno pagato tutti i popoli europei, soprattutto quello greco ridotto in miseria e alla fame dalla Troika di cui faceva e fa parte la Bce.

L’euro è infatti un formidabile e terribilmente efficace strumento di disciplina della classe lavoratrice.

La sua ratio, da un lato, è quella di togliere la possibilità di fase spesa pubblica autonomamente agli Stati che non possono stampare questa moneta, e dall’altro è quella di sottrare agli stessi Stati la possibilità di svalutare il cambio della propria moneta.

Senza la possibilità di intervenire sul cambio, per assicurare la competitività del Paese sui mercati internazionali non resta che svalutare i salari dei lavoratori, sulle cui spalle grava tutto il peso di questa moneta.

Mario Draghi ha lavorato in maniera scientifica per assicurare l’esistenza di questa moneta che è stata pensata espressamente per assicurare al meglio gli interessi delle grandi élite finanziarie a discapito dei lavoratori.

Ora la campagna di lavaggio del cervello sta cercando di cancellare tutto questo per poter far bere ai seguaci della setta di Borghi e Bagnai la storia del suo improvviso interesse per le sorti del Paese.

È forse la menzogna più indecente e scandalosa che sia mai stata concepita nella politica italiana da molti anni a questa parte, ma ormai nell’epoca dei santoni e del settarismo politico la massa è disposta ad obbedire e credere ciecamente agli ordini che arrivano dall’alto, anche i più folli e insensati.

La missione di Draghi è dare il colpo di grazia all’Italia

A questo punto occorre tornare all’inizio di questa analisi quando il sistema ha esasperato la crisi terroristica da Covid proprio in Italia.

C’è una ragione per questo, e il fatto è che il mondialismo vuole portare a termine il progetto della falsa Europa di Kalergi, ovvero gli Stati Uniti d’Europa.

Per poter arrivare a questo disegno però occorre distruggere del tutto economicamente e spiritualmente la nazione che rappresenta la vera Europa cristiana e romana, l’Italia.

Per questo viene Draghi. L’ex governatore è stato scelto perché è un liquidatore formidabile. È uno specialista delle messe all’asta e delle svendite a prezzi di saldo.

In altre parole, l’uomo scelto dalla finanza internazionale deve portare a termine il lavoro iniziato a bordo del panfilo Britannia nel lontano 1992.

Draghi dovrà intavolare una trattativa con il blocco del Nord-Europa, Germania e Olanda, e offrire in cambio loro una patrimoniale, oppure l’attivazione del MES, per arrivare al superstato europeo che le élite mercantiliste tedesche non vogliono se questo non riflette fedelmente i loro interessi.

Qualora la trattativa fallisse, l’uscita dall’euro è certamente contemplata ma con Draghi verrebbe fatta in condizioni devastanti.

È questa l’atroce verità che non si sta raccontando a coloro che si definiscono “sovranisti”.

Lo stesso giornalista inglese Ambrose Pritchard in un articolo sul Telegraph ha scritto che Draghi potrebbe portare fuori l’Italia dall’euro ma non comunque prima di aver attivato il MES.

Questo strumento finanziario, come spiegato precedentemente, raderebbe al suolo l’intera economia italiana perché porterebbe ad una ristrutturazione del debito pubblico italiano.

Fallirebbero moltissime banche che detengono questi titoli e migliaia di imprese già duramente provate dalle misure della dittatura sanitaria.

In altre parole, Draghi darebbe vita ad una sorta di riedizione del lontano 1992 quando l’Italia governata da Amato abbandonò lo SME, l’antenato dell’euro, ma stavolta gli effetti sarebbero enormemente più devastanti.

In ogni caso, Draghi non riveste il ruolo di “salvatore”. Draghi ha ricevuto un mandato specifico dalle élite e a quello si atterrà.

Per l’Italia dunque si sta chiudendo un ciclo. È l’ultimo atto di una guerra economica e spirituale che poteri come il club di Roma, finanziato dalla famiglia Rockefeller, hanno dichiarato a questa nazione, così importante nei piani del mondialismo.

Che le élite globaliste che odiano l’Italia gioiscano di tutto questo è perfettamente naturale.

Che lo siano coloro che si definiscono “sovranisti” non lo è affatto.

Questo è stato il più grande capolavoro della dittatura mondialista. Hanno portato le masse che credono di essere antisistema a gioire della vittoria del sistema stesso.

La situazione dell’Italia è comunque ancora oggi rimessa nelle mani di ciò che accadrà negli USA.

Donald Trump sta vincendo le cause contro le frodi elettorali, e la corte Suprema sta per discutere i ricorsi degli avvocati Sidney Powell e Lin Wood vicini proprio al presidente.

Se l’amministrazione fantoccio di Biden dovesse venire giù, verrà giù a cascata anche inevitabilmente il deep state europeo e italiano.

Questo potrebbe essere stato l’ultimo tradimento di una classe dirigente marcia e corrotta. L’ultimo colpo di coda dei passacarte della massoneria e dei circoli mondialisti che hanno lavorato solo alla distruzione del Paese.

Forse era proprio scritto che dovesse finire così. Quest’ultimo calvario potrebbe essere necessario per poi poter ricominciare e iniziare a ricostruire tutto quello che il mondialismo e i suoi servi in Italia hanno distrutto negli ultimi quarant’anni.

3757.- “Voci dal territorio”: Vincenzo Marinese.

Iniziamo questa rubrica con Vincenzo Marinese presidente di Confindustria Venezia Area Metropolitana di Venezia e Rovigo ascoltato, oggi 8 febbraio, su Antenna 3 insieme a Elisabetta Gardini dell’esecutivo di Fratelli d’Italia. La diretta, piacevolmente condotta, ha mostrato una visione comune di analisi e obbiettivi, volti a fare dell’Italia un Paese competitivo e attraente. Con Elisabetta Gardini, Fratelli d’Italia conferma la sua linea politica al servizio della partecipazione dei cittadini e delle imprese. Due obbiettivi che si possono realizzare, il primo, attraverso un Parlamento la cui maggioranza corrisponda a quella attuale dei cittadini e, il secondo, attraverso gli investimenti che saranno consentiti dai Fondi di recupero o Recovery Fund, previa, però, la riscrittura completa del Piano, che tutti giudicano sbagliato, ma di cui nessuno si assume la responsabilità. Qui, su questa responsabilità della politica, Gardini ha correttamente preso le distanza da chi, ormai dal 2011, governa l’Italia, senza tenere in alcun conto, anzi bocciando proditoriamente, opinioni e proposte della minoranza parlamentare. La nota è stata importante e, forse, contenuta, perché il governo uscente, con i suoi appelli “a carità” non ha mostrato e, tuttora, non mostra di essere consapevole dei disastri prodotti, anzi, chiede al suo sponsor di continuare.

Vincenzo Marinese ha sottolineato che con questi Fondi di Recupero e con il piano di investimenti “ci giochiamo il futuro del nostro Paese”. La voce di Confindustria Venezia ha indicato le sue priorità: Infrastrutture materiali e immateriali, colmando il divario Nord-Sud per dare più credibilità e peso all’Italia; una politica a favore dei porti, in particolare per il porto di Venezia, quindi, citiamo lo scavo del canale Malamocco-Marghera, approvato definitivamente a fine novembre, dopo anni e l’idrovia Venezia-Padova. Sulla politica dei porti c’è piena condivisione fra Fratelli d’Italia e Confindustria Venezia e si noti che questa visione propositiva del futuro del territorio veneto viene da un palermitano. Un altro tema toccato da Miranese è l’implementazione del digitale, della banda larga. È noto come Mario Draghi punti alla digitalizzazione, come gestione completa e finalizzata di tutti i dati e di tutti i processi. Su questo programma, l’Italia molto potrà fare quale presidente attuale del G20. Ancora, appaiono condivisi i temi della maternità, del calo demografico, dell’istruzione e della formazione dei giovani, della riforma della burocrazia e, correttamente, sono stati citati i DPCM di 300 pagine che pochi hanno letto. Infine, la riforma della Giustizia, dei suoi tempi, ma, come da tempo andiamo protestando, della sua rifondazione quale funzione giurisdizionale autonoma e indipendente. Noto che il presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, politicamente infetta, è proprio il presidente della Repubblica.

Tutti questi obbiettivi avranno bisogno di un governo sorretto da un Parlamento che abbandoni la divisività e non sia a favore di una sola parte. Come Elisabetta Gardini aveva detto a RAI3 questa mattina, gli interessi della politica del palazzo vengono dopo gli interessi degli italiani. Gardini ha ribadito che questo è il compito che Fratelli d’Italia si propone e si proporrà, a prescindere che entri o non a far parte del governo. Sappiamo che per Fratelli d’Italia è importante che Draghi stabilisca la data di un appuntamento elettorale. Siamo tutti convinti che la democrazia parlamentare trae la sua forza dal voto. A conclusione della diretta, Confindustria Venezia sa di poter contare su una visione programmatica condivisa con Fratelli d’Italia. Mario Draghi dovrebbe tenerne conto.

A seguire, un’intervista di La Voce nuova di Rovigo a Vincenzo Marinese del 4 febbraio scorso.

“Con Draghi ora abbiamo credibilità e fiducia”

04/02/2021 – 18:07

Marinese: “Stabilità sui mercati, riforme e un piano per rilanciare l’economia. Con Draghi si può fare”

04/02/2021

“Con Draghi l’Italia può ritrovare credibilità internazionale, stabilità sui mercati finanziari e prospettive di ricostruzione economica”. In estrema sintesi sono i motivi per cui, secondo Vincenzo Marinese, l’occasione di un premier Mario Draghi, per il governo, non deve essere lasciata cadere. Nella visione di Marinese, presidente di Confindustria Venezia Rovigo, l’occasione di un governo Draghi potrà essere la rampa di lancio per accompagnare il Paese fuori dalla pandemia “dare strategia di crescita al sistema delle imprese e al mondo economico e portare avanti davvero quell’insieme di riforme che servono al Paese, da quella della giustizia, a quella digitale, dalla pubblica amministrazione a un vero piano sulle infrastrutture”.PUBBLICITÀ

Ma non si rischia di mettere troppa carne al fuoco? “Occorre volare alto – scandisce Marinese – e lo dico proprio citando l’ex premier Conte, che ha sostenuto che in questa fase serve un governo che sappia volare alto. E non lo dico con sarcasmo dato che ora Conte è decaduto”. Eppure Confindustria, a livello nazionale, è sempre stata critica col governo appena tramontato. “Guardiamo avanti – rimarca Marinese – L’incarico di formare un governo ora è stato conferito ad un uomo il cui curriculum non ha bisogno di presentazioni. Se fossimo nel calcio staremo parlando di un Messi, di un Maradona. La credibilità a livello internazionale è già balzata in alto, ne hanno già guadagnato i mercati con la discesa dello spread. Ora l’auspicio è che le forze politiche, finita l’ultima fase allucinante, possano davvero voltare pagina e mettersi a fare quello che serve”. In caso contrario? “Si andrebbe al voto, con tutti i pericoli e le controindicazioni che il presidente della Repubblica ha spiegato con chiarezza e lucidità. In questo caso però si rischierebbe davvero di andare a sbattere e, con più amarezza, sarebbe l’ultima dimostrazione di un Paese insalvabile”.

Per il numero uno di Confindustria, insomma, è già tempo di cambiare registro, e soprattutto di cambiare passo: “Le capacità, le competenze, le relazioni industriali di Mario Draghi sono indiscutibili. Ora il sistema Paese deve essere capace di attuare una strategia per uscire dall’emergenza, questa resta la priorità, e contemporaneamente, ricostruire e rilanciare, Ci sono le riforme fiscale, della giustizia, della pubblica amministrazione da mettere in pista. Ora è il momento di farlo, con Draghi avremo un credito di fiducia a livello internazionale, potremo così diventare un Paese competitivo, e grazie a queste riforme, essere un Paese attraente dal punto di vista produttivo ed economico e così convincere molte aziende che hanno delocalizzato all’estero a ritornare”.

Parlando di economia e visione strategica non si può non parlare di Recovery plan: “Io – rimarca Marinese – al Mes non ci rinuncerei, anche perché accedere a questi fondi permetterebbe di liberarne altrettanti destinati alla sanità. Non dimentichiamo che dei 209 miliardi del Recovery 67 sono già destinati a progetti in essere. Per quelli nuovi quindi restano 145 miliardi. Ecco liberando i fondi del Mes, questi potrebbero essere impiegati per aumentare gli investimenti in ricerca, innovazione, istruzione”. E poi le infrastrutture, vera chiave di volta per il “rinascimento economico” dell’Italia “Servono quelle immateriali, ossia il digitale, che quelle materiali, per interconnettere le varie aree del Paese, collegare i porti alla logistica e alle vie di comunicazioni internazionali, la più volte citata Via della seta. Insomma nuova credibilità, nuova stabilità e puntare non su reddito di cittadinanza o sussidi, ma su investimenti per far crescere il sistema produttivo, per creare e fare”.

Parlando di Draghi non si può evitare un riferimento al sistema del credito: “Io ho già detto più volte che è necessario rivedere i tempi di restituzione dei crediti. Abbiamo una rete di piccole e medie imprese che negli ultimi mesi ha fatto ricorso al credito. I continui lockdown però hanno nettamente tagliato la possibilità di sviluppo economico e quindi di rientrare agevolmente. Per questo corre spostare da 5 a 15 anni i tempi di ammortamento. E poi occorrono linee di credito per permettere alle aziende di lavorare, perché non ci sono solo progetti a lungo termine, servono a anche quelli a medio e breve”. E non è tutto perché nel piano di rilancio immaginato da Marinese le riforme e il consolidamento del credito per le imprese oltre a dare stabilità e fiducia internazionale, “possono anche contribuire a chiedere una revisione di alcune norme legate al credito a livello europeo, parlo della regole di Basilea, che necessitano di un tagliando. Gli indici di patrimonializzazione delle nostre imprese, ad esempio, sono diversi da quelli in Germania. occorre intervenire anche in questo senso, altrimenti il sistema non regge”. L’agenda del nuovo governo, in campo economico, quindi si presenta già bella fitta. Le cose da fare non mancano.

3754.- Perché l’Unione europea deve diventare Stati Uniti d’Europa.

É evidente, sotto gli occhi di tutti, che la politica del presidente della Repubblica, dei governi di sua matrice e di chi lo ha preceduto, ci ha consegnato all’Unione europea. Malgrado la disponibilità delle risorse del risparmio privato, sotto valorizzato a tassi d’interesse del meno di zero, siamo e saremo sempre più indebitati verso la Banca Centrale Europea e verso i suoi meccanismi di pagamento, come il Target2. Tutto questo costituisce, per molti versi, un cammino realizzato in violazione della Costituzione, per due motivi che ritengo principali, per il suo metodo e per il suo fine ultimo.

In primis, il popolo italiano, sovrano, non è stato mai chiamato ad esprimere con il voto la sua volontà di cedere la propria sovranità all’Unione europea. In secundis, anche se fosse e se i cittadini lo volessero, la cessione sarebbe irrealizzabile, atteso che l’Unione non è uno Stato sovrano, non ha una costituzione, ma è un’anomalia dal punto di vista istituzionale e la sua Banca Centrale è privata.

Circa il metodo, Mario Monti affermò che l’Europa ha bisogno della crisi economica, unico modo per costringere le popolazioni riluttanti a cedere la propria sovranità e per fare le riforme al ribasso che l’Unione ci chiede. Siamo europei e europeisti per crescere, non per vedere svanire ciò che abbiamo costruito. Quanto al fine ultimo, non sembra che, dal punto di vista istituzionale e del benessere dei cittadini, da questo procedere possa scaturire una Europa unita capace di stare sulla scena mondiale quale elemento equilibratore di quel futuribile e irrinunciabile Occidente cha vada dagli Urali, agli Urali, dall’Alaska, all’Alaska.

Per questi motivi, auspichiamo che il prossimo presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi, se sarà confermato, si renda promotore di una assemblea costituente degli europei, che ne valorizzi le diversità e nel radici cristiane.

Con questi presupposti, l’articolo sia pur datato dell’avvocato Marco Mori, che ebbimo modo di conoscere anni or sono, rappresenta un utile strumento di riflessione.

Mario Draghi chiede di cedere la sovranità nazionale!

  • By Marco Mori in Diritto penale, Euro ed Unione europea
20140807-193212-70332531.jpg

In data 7 agosto Mario Draghi, il Governatore della banca centrale europea, ha pronunciato una dichiarazione a dir poco surreale. Draghi, cittadino italiano e come tale soggetto al rispetto delle leggi di questa nazione e soprattutto alla sua Costituzione, ha espressamente invitato i paesi UE a cedere la loro sovranità per le riforme strutturali.

Ora come noto l’art. 11 Cost. recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”

Pertanto la cessione di sovranità (sovranità che ex art. 1 Cost. appartiene ovviamente al popolo), al contrario della mera limitazione, e’ un fatto palesemente illecito. Ma non solo, e’ un atto ostile contro la personalità dello Stato e dunque un reato.

L’art. 243 c.p. punisce: “Chiunque tiene intelligenze con lo straniero affinché uno Stato estero muova guerra o compia atti di ostilità contro lo Stato italiano, ovvero commette altri fatti diretti allo stesso scopo, è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni. Se la guerra segue, si applica la pena di morte; se le ostilità si verificano, si applica l’ergastolo”. Trattasi di disposizione normativa che mira a tutelare l’interesse del mantenimento della pace e dell’esclusione, nello svolgimento delle relazioni internazionali, di interferenze da parte di soggetti non autorizzati (ad esempio Mario Draghi), conniventi con lo straniero, capaci di compromettere i rapporti e la pacifica convivenza tra i popoli.

Il verificarsi dell’evento bellico non è elemento necessariamente richiesto per la consumazione del reato in parola per il quale è sufficiente l’avvenuta intelligenza con lo straniero anche al mero fine di compiere altri atti altrimenti ostili alla nazione che è proprio ciò che interessa in questa sede. Tenere “intelligenze” significa semplicemente stringere un accordo con lo straniero (ovvero ciò che Draghi ha chiesto di fare oggi), accordo che ai fini del reato in parola può anche essere assolutamente palese e non già occulto.

La stipula di un trattato o un qualsiasi accordo internazionale è pacificamente un atto d’intelligenza con lo straniero.  La qualificazione giuridica meno immediata è invece quella che definisce appunto il concetto di “atto ostile”. Atti di ostilità sono tutte le azioni d’inimicizia diverse dalla guerra stessa che risultino dannose per la personalità giuridica del paese, anche qualora non coercitivi o non violenti.

L’ordinamento democratico della Repubblica Italiana si basa ovviamente sulla nostra Costituzione che all’articolo 1 attribuisce espressamente la sovranità al popolo. Tale passaggio costituisce l’essenza di una democrazia nel senso proprio del termine.
Un atto d’intelligenza con lo straniero che comporta la sottrazione della sovranità e dell’indipendenza nazionale in violazione degli artt. 1 e 11 Cost. deve necessariamente qualificarsi come atto ostile a quel bene giuridico che si può definire personalità dello Stato Italiano.

Non vi è infatti azione più ostile nei confronti di una nazione di quella diretta a cancellarne la sovranità o a menomarne l’indipendenza. Ogni evento bellico è per sua definizione il tentativo di sottomettere un altro Stato menomandone proprio la sua sovranità e la sua indipendenza.

La cessione di sovranità dell’Italia in favore di organismi stranieri rappresenta indiscutibilmente la fine dell’Italia quale nazione libera ed indipendente, ciò è esattamente quello che accadrebbe in caso di occupazione militare del paese. Siamo in presenza di un atto oggettivamente ostile alla personalità dello Stato. Se si parla di interessi nazionali la valutazione dovrà quindi essere esclusivamente giuridica e non di mera opportunità.

Anche se si ritenesse che la cancellazione dell’Italia come Stato possa essere atto compiuto nell’interesse del popolo italiano stesso ciò non toglierebbe la qualifica di atto ostile ad un trattato che disponga suddetta cancellazione.
Ergo il carattere ostile di un atto è in re ipsa nella cessione di sovranità compiuta in violazione di principi fondamentali della nostra costituzione indipendentemente dal fatto che si possa pensare o meno che tale cessione migliorerà la qualità della vita nel nostro paese.

Dunque un discorso come quello di Mario Draghi di cui si è già detto ove si enfatizza il disegno di cedere la sovranità nazionale in favore dell’Europa dei mercati non può lasciare francamente indifferenti.

A questo punto e’ doveroso chiedere alla Procura di Roma quali siano le loro intenzioni perché l’inerzia stavolta sarebbe davvero inaccettabile anche alla luce del fatto che Matteo Renzi (ovvero il Presidente del Consiglio) si e’ detto d’accordo nel procedere con le cessioni di sovranità. Mandare Draghi al Quirinale sarebbe come eleggere Toto Riina nuovo Pontefice.

Vi segnalo infine un video che e’ bene riguardare: “Draghi un vile affarista”. Ricordate chi parlò così di lui rincarando con un eloquente e’ “il liquidatore, dopo la famosa crociera sul Britannia, dell’industria pubblica italiana”? Francesco Cossiga. Apriamo gli occhi prima che sia tardi. Vanno fermati.

Marco Mori

3751.- Meloni: «Non voterò per Draghi: Salvini? Anche lui escludeva il sì»

L’unica voce che vuole il Governo Draghi sostenuto dal consenso popolare anziché dall’obbedienza.

dal Corriere della Sera:

Meloni: «Non voterò per Draghi: Salvini? Anche lui escludeva il sì»

Intervista alla leader di Fratelli d’Italia: «Sarà la sentinella del governo. Sarebbe stato più facile entrare al governo: ma come potrebbe poi un elettore fidarsi di me?»

di Paola DI Caro

Meloni: «Non voterò per Draghi: Salvini? Anche lui escludeva il sì»

shadow 

ROMA — Giorgia Meloni, non è un po’ pentita?
«No, perché?». 

Il suo «mai» a Draghi non è stato troppo precipitoso? Si può decidere tutto sulla base della «coerenza» e non della situazione? 
«Ma questo non è uno scenario che si modifica e al quale bisogna adattarsi. Si tratterebbe di tradire quello che siamo, fin dalla nostra nascita. Fratelli d’Italia fu fondato in polemica con il Pdl per l’appoggio al governo Monti. Sulla base di convinzioni profonde: non posso governare con il Pd e il M5S, dal quale mi divide tutto. E non voglio far passare per inevitabili troppe cose che non lo sono». 

Quali?
«Non è vero che non è possibile andare a votare, non è vero che governando con gente con cui non si condivide nulla si possa fare bene, non è vero che un esecutivo tecnico, seppur autorevolissimo, faccia per forza meglio di uno che nasce con un mandato popolare, come la storia degli ultimi anni ci ha insegnato. La nostra non è solo una posizione di principio, è una salda convinzione». 

Lei sa che restare soli all’opposizione può essere un vantaggio per intercettare la protesta, ma rischia l’isolamento, la perdita del ruolo centrale nella coalizione, forse anche della leadership.
«So benissimo quali possono essere i pro e i contro, ma so anche altre cose. Primo, che FdI non è abituata a prendere decisioni sulla base della convenienza. Secondo, che è sempre bene che esista un’opposizione in una democrazia. Lo è perfino per chi governa, e l’ho detto anche al presidente incaricato. È bene avere una sentinella, una voce libera, qualcuno che non deve seguire una linea per forza, in un senso o nell’altro. A Draghi ho assicurato che se un provvedimento ci convince ci saremo, anche se si tratterà di votare in passaggi difficili per altri. E lo faremo senza chiedere nulla in cambio».

Era così difficile appoggiare il governo? 
«Sarebbe stato più facile per noi entrare al governo, nessuno avrebbe potuto rimproverarci nulla, saremmo stati tutti nella stessa situazione, nessuno avrebbe potuto fare le pulci all’altro. Ma se io faccio una cosa di cui non sono minimamente convinta, contraria a quello che ho sempre sostenuto, come potrebbe domani un elettore fidarsi ancora di me? Io credo nel legame tra eletto ed elettore, non nella politica in cui si dice tutto e il suo contrario. La gente adesso sa che quello che sostengo faccio, nel bene e nel male. Sa che esiste una forza che fa quello che dice. Credo sia merce rara, oggi». 

Ha deciso se votare no o astenersi? 
«Non voteremo per il governo, poi il tipo di opposizione dipenderà dal quadro generale, dalla squadra, dal programma, dalla discontinuità con il governo precedente. Mi stupisce non poco che tutti gli altri dicano entusiasticamente, ed acriticamente, sì senza sapere nulla sul programma o sulla squadra: un uomo solo, seppur di grande valore, può fare molta differenza nel contesto giusto, meno in quello sbagliato». https://video.corriere.it/video-embed/b77876b0-67c7-11eb-92aa-881f0caf741f?playerType=article&autoPlay=false

Ma la discontinuità non l’avrebbe data un centrodestra unito dentro il governo, anziché diviso?
«No, perché anche uniti noi non saremmo stati maggioranza. Con la nostra esigua pattuglia non saremmo stati decisivi per il governo, ma potremmo esserlo dall’opposizione per il centrodestra e per gli italiani». 

Però il centrodestra diviso è un fatto importante. Vi siete sentiti in queste ore?
«No, ma lo faremo, sarà utile fare un punto tra di noi prima del secondo giro di consultazioni. Sulle divisioni poi: di là si detestano e stanno insieme per necessità, noi siamo sempre stati insieme per scelta. Io penso ancora che presto andremo al governo insieme». 

Se lo aspettava che Berlusconi e Salvini avrebbero detto sì a Draghi?
«Da Berlusconi me lo aspettavo, lo aveva lasciato intendere. Dalla Lega meno, lo avevano escluso, sempre che poi finisca così come sembra in queste ore…». 

Salvini dice che vorrebbe «tutti» al governo.
«Eh, io invece volevo un governo con la Lega e FI…». 

Non sarà che sia FI sia la Lega hanno dovuto rispondere alla propria base, partite Iva, imprenditori?
«Non giudico, so bene che esiste una spinta del Paese perché si risolvano i problemi, c’è il rischio che molte aziende chiudano, lo abbiamo perfettamente presente. Ma non crediamo che un governo con forze dalle idee opposte possa dare le risposte che il Paese chiede. Abbiamo comunque detto a Draghi che le nostre proposte in materia di contenimento del virus, sul Recovery, sulla salvaguardia dei posti di lavoro, sono a sua disposizione. E sono proposte che vengono da quei mondi, dell’impresa, del lavoro». 

Crede che quello di Draghi sia un governo a tempo?
«L’impressione è che la volontà sia quella di un governo di legislatura. E non è la nostra». 

Ma alla fine, c’è qualcosa che condivide con Draghi? 
«Ma sì, l’idea della spesa buona, degli investimenti per la crescita, temi sui quali ci troverà attenti, disponibili e responsabili. Mi auguro che su questo convinca anche Pd e M5S, che finora hanno fatto l’esatto contrario».

3750.- TRA VACCHE E SOMARI IL MERCATO VA AVANTI. PER L’ITALIA!

Grillo: un PRIVATO non eletto tratta con Draghi la Sorte degli italiani. 
O siete sotto incantesimo o siete del tutto spappolati nel cervello

Draghi, bontà sua o follia, farà il presidente del Consiglio dei Ministri. Le consultazioni, mettono a nudo l’assurdità del sistema politico fondato sull’arbitrio dei partiti e sull’inutilità del voto degli elettori. A nulla vale avere eletto a garante della sovranità del popolo il presidente della Repubblica, eletto, a sua volta, dai partiti. Addirittura, siamo giunti alla rieleggibilità del garante da parte di quelli da cui dovrebbe garantirci. Nemmeno un santo sarebbe immune dalle tentazioni, specie se fosse convinto della irrinunciabilità del suo operato. La divinazione di sé stesso è il primo segnale che il santo sarebbe maturo per il patibolo. Peccato! Non si usa più, ma piaceva alla folla e piacque a Pio IX. Così, il voto degli elettori esprime un Parlamento che è già figlio del mercanteggiamento, che chiamano politica, ma che vede i capoccia delle consorterie dei partiti e i portatori di voti accordarsi sulle spartizioni “delle vacche e dei somari”: assessori, consiglieri regionali, presidenti di partecipate, e su, fino a sindaci, deputati, senatori e, infine, il gotha della politica: quello dove la modestia cambia pelle, pettinature, abiti e odore.

Lo sputtanamento del Centro Destra si è consumato sull’utilità, rectius, sull’inutilità del voto degli elettori. Del resto, il sistema figlio dell’art. 49 della Costituzione (più che un articolo, è un appunto di programma) non ha stabilito a quali principi devono uniformarsi i partiti per consentire ai cittadini di partecipare alla vita politica della Nazione. Si aggiunga l’interpretazione non regolamentata del suffragio universale e sarà facile giungere alle consorterie locali, dove prevale chi può contare su amici e parenti e dove i migliori devono cedere ai numeri degli ignoranti. È questa la vera lotta di classe in Italia. La massa riconosce il migliore con l’olfatto. È un concorrente pericoloso. Bene o male i cittadini votano i candidati selezionati dai partiti, dalle liste, votano le coalizioni e si forma un Parlamento, simbolo della democrazia. La democrazia, se mai è nata, qui, muore. Dopo le elezioni, non solo si possono formare maggioranze composite dello stesso sentire, ma hanno inventato le maggioranze aritmetiche, che rendono inutile il voto consegnato dagli elettori e i partiti stessi. Tanto inutile che l’unica forza politica che si onora di rifiutare i compromessi e che vuole un Governo, sia di chi sia, Mario Draghi o un altro se c’è, ma governo forte e autorevole, in Italia come in Europa e altrove, come soltanto dalle elezioni può scaturire, ebbene, quella forza politica e la sua Pulzella rappresentano l’ultimo baluardo di una finta democrazia e se, da una parte, raccoglierà i delusi dai leader cagoia o traballanti, dall’altra, si troverà sola contro tutti. Il proverbio è lì pronto: “Meglio soli che male accompagnati.” 

Le opinioni nel partito Fratelli d’Italia sono contrastanti, ma restano opinioni. Diverso è il caso della Lega, dove l’effetto Giorgetti ha fatto correre Salvini a giurare fedeltà a Mario Draghi, ingoiando una Lamorgese bis agli interni ed enumerando pure tutte le possibili opere pubbliche che seguiranno, meno, però, quelle che potrebbero realizzare veramente l’autonomia di fatto del Nord-Est. 

Prima l’Italia! E chi lo negherebbe? Ma un conclave tra i tanto conclamati leader del Centro-Destra, ben poteva starci prima del ”giuramento”, almeno per salvare la faccia. E, invece, no, perché la competitività fra i tre partiti è alta e tre leader sono veramente troppi. Da tempo, sono tra quelli che auspicano un congresso del popolo del Centro-Destra. Anche qui, le elezioni farebbero giustizia; ma sono un valore per la democrazia, anzi lo erano. Vorrei sperare che Draghi compattasse la politica, impegnandosi a portarci al voto entro settembre. Lui può.