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4867.- Le proteste dei camionisti canadesi si stanno allargando

Come prevedibile, i governi faticano a rientrare nella regolarità al termine dell’emergenza e i cittadini fanno sentire il malessere di un’altra emergenza: quella economica. Ma le costituzioni non sono né di sinistra né di destra, perché il sostegno viene loro soltanto dalle estreme destre? Vero o falso?

Da Post, 8 febbraio 2022

Sono arrivate anche in Europa e negli Stati Uniti, con un grande seguito online e il sostegno di varie figure di estrema destra

Da quasi due settimane a Ottawa, la capitale del Canada, sono in corso grosse e partecipate proteste dei camionisti locali contro le restrizioni introdotte dal governo per contenere i contagi da coronavirus. Le proteste si stanno allargando oltre i confini del Canada: hanno ispirato manifestazioni simili negli Stati Uniti, in Australia e anche in Europa, hanno ottenuto il sostegno di diverse figure popolari e apprezzate dai movimenti di estrema destra, tra cui l’ex presidente americano Donald Trump, e stanno avendo un enorme seguito online.

Le proteste di Ottawa – il Freedom Convoy, “Convoglio della libertà” , come si erano autodefiniti i manifestanti – erano iniziate pacificamente a gennaio, con l’introduzione dell’obbligo vaccinale per i trasportatori che arrivavano in Canada dagli Stati Uniti e si erano poi allargate fino a comprendere più in generale le restrizioni contro il coronavirus. Nei giorni successivi le proteste si sono progressivamente politicizzate, coinvolgendo anche simpatizzanti dell’estrema destra, e hanno paralizzato la città: tra le altre cose, centinaia di camionisti hanno bloccato il traffico parcheggiando in mezzo alla strada i propri veicoli e suonato i clacson per ore. Jim Watson, il sindaco di Ottawa, ha dichiarato lo stato di emergenza e ha detto che la situazione è «completamente fuori controllo» e che i poliziotti non riescono a contenere le proteste, anche perché sono numericamente inferiori ai manifestanti.

Negli ultimi giorni è diventato chiaro che la situazione non accenna a calmarsi, anche perché nel frattempo sono state organizzate manifestazioni simili anche al di fuori del Canada.

Un convoglio di camionisti ha attraversato il paese per una settimana prima di arrivare a Ottawa e bloccare la città

È successo negli Stati Uniti, dove Brian Brase, uno degli organizzatori della protesta, ha detto al New York Times che i camionisti statunitensi – in parte coinvolti nella stessa organizzazione delle proteste di Ottawa – stanno pianificando manifestazioni simili a quella canadese «dalla California a Washington». Lunedì scorso la protesta di Ottawa ne ha poi ispirata una in Australia, il cosiddetto «convoglio a Canberra», con camion, rimorchi, camper e macchine, come a Ottawa. 

Anche in Europa si stanno organizzando proteste simili: secondo Politico un po’ in tutti i paesi dell’Unione. La prima è prevista per il 14 febbraio a Bruxelles, in Belgio, dove tra l’altro nei mesi scorsi ci sono già state violente e partecipate proteste contro le restrizioni.

Le proteste di Ottawa sono state riprese e apertamente sostenute da una serie di noti personaggi pubblici molto seguiti tra gli attivisti di estrema destra. Negli Stati Uniti, tra gli altri, lo hanno fatto l’ex poliziotto e commentatore televisivo americano Dan Bongino, Michael Flynn – l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, noto anche per i suoi legami col movimento complottasti QAnon – e Ben Shapiro, noto attivista e giornalista di estrema destra. Anche lo stesso Donald Trump ha espresso il proprio sostegno alla protesta dei camionisti di Ottawa, oltre a vari politici Repubblicani, tra cui l’ex governatore dell’Arkansas Mike Huckabee.

Un’ulteriore espressione di sostegno ai manifestanti da parte di personaggi pubblici noti è arrivata quando GoFundMe, la popolare e usatissima piattaforma internazionale per le raccolte fondi, ha sospeso la raccolta precedentemente attivata per le proteste dei camionisti, con cui erano stati raccolti circa 7,8 milioni di dollari, quasi 1 milione dei quali è già stato distribuito.

La settimana scorsa GoFundMe ha deciso di chiudere la raccolta fondi per i camionisti di Ottawa dicendo che violava le proprie regole, e ha dato ai donatori due settimane per chiedere il rimborso, data dopo la quale i soldi raccolti sarebbero stati dati in beneficenza. La cosa è stata duramente criticata: tra gli altri, si sono esposti in difesa dei camionisti di Ottawa il noto imprenditore Elon Musk e due politici Repubblicani negli Stati Uniti – Ronald Dion DeSantis, governatore della Florida e Ted Cruz, senatore del Texas – che hanno accusato GoFundMe di truffa ai danni dei manifestanti.

La protesta dei camionisti di Ottawa ha avuto anche un’enorme diffusione online: l’hashtag #FreedomConvoy è arrivato a circa 1,2 milioni di condivisioni su Facebook, secondo i dati di CrowdTangle, la piattaforma di proprietà di Facebook che fornisce dati per analizzare le attività sui social network. Un altro gruppo Facebook di sostegno ai camionisti di Ottawa è arrivato in pochi giorni ad avere circa 700mila follower.

Nel frattempo in città le proteste dei camionisti continuano, fra le lamentele di molti residenti che si dicono invece favorevoli alle restrizioni e a un loro allentamento graduale. Alcuni di loro hanno anche organizzato contro-proteste per rispondere ai camionisti. Lunedì Peter Sloly, il capo della polizia di Ottawa, ha detto che continuerà a «impiegare tutti gli agenti di polizia disponibili, senza un giorno di pausa» e il ministro della Pubblica sicurezza canadese, Marco Mendicino, ha detto che il governo non ha intenzione di cedere alle richieste dei manifestanti.

2202.- PERCHÉ C’È IL SILENZIO SUI GILET JAUNES

Proteste a Parigi
Oggi, alla 11esima giornata e alla prima notte di protesta sociale, stanno partecipandoo 4.000 parigini e, in tutta la Francia, 69.000 francesi. È incredibile come a distanza di undici settimane di protesta, la gendarmeria, su ordine di Macron, continui a sparare flashball in faccia ai gilet gialli. Oggi hanno colpito proditoriamente Jerôme Rodriguez, vicino al leader Eric Drouet e sempre presente con la sua telecamera durante le manifestazioni, che ha probabilmente perso un occhio. Maxime Nicolle, uno dei leader dei gilet gialli, è stato arrestato questa notte a Bordeaux. Chi oggi va in piazza per protestare contro Macron, va in galera. Nel silenzio dell’Unione europea sulla dittatura di Emmanuel Macron, continua la mattanza del popolo francese da parte dei macellai della Police e della Gendarmerie. Stranamente, però, l’Ue attacca la Russia, il Venezuela e l’Ungheria. Non credo che voterò a maggio, ma, mi raccomando, non parlatemi di esercito europeo!


Una granata flashback, sparata in faccia e senza ragione da brevissima distanza, ha colpito Jerôme Rodriguez, che ha ripreso lui stesso l’attimo dello sparo. Qui, di seguito, l’attimo dello sparo e la fiammata:

Il fenomeno dei gilet gialli francesi, per certi osservatori e certa stampa, sembra essere quasi un meteorite misterioso, precipitato nel bel mezzo dell’Europa.

Pietro Vinci

Hanno cercato, anche goffamente e in modo sicuramente poco decoroso, di dipingere i tantissimi francesi tutt’ora in mobilitazione generale come scherati al soldo della Russia o di chissà chi: si è trattato dell’ennesimo ridicolo insulto nei confronti di una nazione con la quale sarebbe giusto, e opportuno, essere amici e soprattutto un affronto alla coscienza delle masse francesi.

Emmanuel Macron

Macron vuole approfittare delle proteste per risolvere i problemi nazionali

Non si è trattato né si tratta, dunque, di un fenomeno “misterioso”, precipitato da oscure lande inesplorate: la rabbia sociale, in Francia così come praticamente in tutta l’Europa occidentale, è qualcosa di reale, con motivazioni serie e che sarebbe stato possibile prevedere con largo anticipo. Forse si è deciso di non parlarne, di non alzare il tappeto per mostrare quanto sporco si annida nella Ue, quanta ingiustizia e malessere; si è trattato di un “regalo” magnifico per affaristi, politici europeisti e per l’establishment nel suo complesso, ma questo “silenzio” è rivoltato contro i responsabili della catastrofe socio-economica in atto.

Siamo alla presenza di una crescita economica ambigua, o definibile con maggior precisione a favore di pochi possidenti: l’economia ha un trend in crescita, così come l’occupazione, ma la povertà dei lavoratori nell’Unione europea continua a lacerarne le vite.

Il Financial Times , a dicembre, ha tracciato con precisione questo paradossale stato di cose: citando i dati statistici dell’Eurostat, si dimostra che i lavoratori in una condizione familiare al di sotto del livello di povertà sono uno ogni dieci; si tratta di dati feroci, stazionari da un paio di anni e al livello più alto mai registrato. I governi europeisti continuano a colpire a suon di tagli gli aiuti sociali, che sono in ogni caso ben poco rispetto a un sacrosanto livello di benessere generale dato da salari decenti e opportunità lavorative, le famiglie si sostengono a malapena con un solo salario al loro interno e le paghe sono misere.

L’Eurostat fornisce un quadro impietoso: riferendosi al 2017, lo spettro della povertà minaccia e colpisce sempre più persone, soprattutto i lavoratori temporanei o part-time. Aumenta questo rischio persino per gli impiegati a tempo pieno o con contratti permanenti. Si cerca disperatamente un lavoro full-time, ma queste ricerche finiscono per scontrarsi con l’assenza quasi totale di offerte di lavoro simili: il lavoro temporaneo impera, soprattutto in Italia e Spagna; le nazioni fuori da questo trend negativo risultano essere la Germania e il Regno Unito — che chissà come abbandonerà l’Unione europea.

Un aumento spropositato dei contratti di lavoro part-time si è avuto in Germania, ad esempio, a seguito delle massicce riforme legislative sul mercato del lavoro nel 2003; unendo questo dato storico con la realtà lavorativa e sociale europea, di una crescita mutilata che arricchisce i pochissimi e deprime i moltissimi, non è difficile parlare di uno status quo che ha favorito non i lavoratori ma i detentori di capitali, più ricchi inoltre. Si è trattato di scelte, in campo di leggi realizzate e di scelte economiche attuate, volute e sicuramente apprezzate da chi si sta approfittando del nuovo esercito di “working poor“. Questo è il neologismo che indica coloro che, sebbene lavorino e stringano la cinta, non riescono a elevarsi al di sopra di una mesta condizione di miseria reale.

L’irlandese Irish Examiner, sempre il mese scorso, parlava laconicamente coi dati implacabili dell’Ufficio centrale di statistica: aumentano i segni di privazioni sociali, come non poter cambiare mobili rotti, l’impossibilità di vedersi con amici per un pasto fuori o una bevuta oppure la difficoltà a tener riscaldata la propria dimora.

Angela Merkel
Merkel ricorda il ruolo del G20 nel risolvere problemi dell’economia mondiale e sviluppo.© REUTERS / VINCENT KESSLER

La radio tedesca in lingua inglese Deutsche Welle, ha analizzato il tenore dei salari minimi in Germania constatando che sono vicinissimi alla soglia della povertà. “Si considera a rischio di povertà chi ha un salario minore del 60% della media nazionale” si legge e, al contempo, si equipara quanto un lavoratore tedesco con salario minimio riesce a ricavare — successivamente anche alla falce delle tasse — 1.110 Euro mensili, se non si ha prole. Le nazioni che seguono, tragicamente, questo principio secondo il quale la retribuzione base è sin troppo vicina alla soglia della povertà sono per esempio — nell’Europa occidentale — Lussemburgo (lo avreste mai pensato?), Malta, Francia, Spagna e Belgio. Un po’ come se in queste nazioni si dicesse “Lavorate, schiavi! Dovete spezzarvi la schiena ed esser felici per le bricioline che riceverete!“.

In Italia, spaventosamente, persiste una differenza retributiva gigantesca fra il Settentrione e il Mezzogiorno: nella prima parte del Paese, dove vi è la maggior concentrazione di industrie e attività produttive, i salari sono mediamente sui 24mila Euro annui; al Sud, fra deindustrializzazione (ossia la fine di quelle poche industrie, spesso a conduzione familiare o persino più piccole), mancanza di infrastrutture adeguate, di piani nazionali per l’industrializzazione e povertà dilagante si arriva a 16mila Euro. L’Italia è come se avesse, al suo interno, una porzione di Mondo sottosviluppato, lasciato all’indigenza o al massimo alla sopravvivenza “assicurata” dall’assistenzialismo. Alla fine di questa classifica nazionale vi è la Calabria, già salassata da malaffare e mafie, con lo scioccante dato di Vibo Valentia: 12mila Euro.

C’è forse da meravigliarsi se, proprio nel cuore dell’Occidente, le masse popolari si ribellano o perlomeno iniziano a mostrare gravi segni di insoddisfazione? Certo che no.

Le bandiere britannica e UE
© REUTERS / JON NAZCAEsperta russa: Brexit senza un accordo è catastrofe per Gran Bretagna e UE

Il giornale online Euractiv, con sede centrale a Londra ma interessato alla realtà di tutta Europa (dalla Spagna sino a Romania e Serbia), ha lacerato il velo di silenzio e mancanza di notizie dalle campagne francesi: qui si suicida un contadino ogni due giorni, come media. Lo appurò l’Agenzia nazionale di sanità pubblica di Francia, comparando i dati di 5 anni fa. Percentuali di disperazione alle stelle, salari e introiti da fame (sui 350 Euro), picchi indicibili di morti nei periodi nei quali il prezzo del latte crollava. Nel 2017 l’Istituto nazionale francese per la ricerca agricola dimostrò che erano soprattutto i piccoli proprietari, e non i grandi latifondisti o le grandi aziende agricole, a essere inghiottiti dall’angoscia e quindi portati al suicidio.

La Commissione europea, e non è la prima volta, agisce col bisturi sulla carne viva: si ridurrà del 5%, dal 2020, il budget per la Politica agricola comune e dovranno essere le nazioni, singole, a dover incrementare i pagamenti diretti per i contadini.

Chissà perché, in Francia ad esempio, impazza la protesta e l’indignazione di massa verso l’Unione europea e i governi a lei fedeli. In uno scenario simile, la “diserzione” di queste armate di sfruttati, immiseriti o truffati dalla saga propagandistica della “bellezza” dell’assenza di protezionismo, della liberalizzazione dei salari, delle privatizzazioni selvagge è soltanto l’inizio: ogni corpo immerso parzialmente o completamente in un fluido (le ingiustizie sociali e salariali) riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto, uguale per intensità al peso del volume di fluido spostato.

Si tratta del principio di Archimede: applicandolo alla società, bisogna aspettarsi la grande ondata dell’insorgenza.

2140.- BRUXELLES IN FLAMES

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Le rivolte dei Gilet Jaunes francesi si sono diffuse in Belgio – Centinaia di rivolte si scatenano in casa dell’UE.
La polizia belga ha usato cannoni ad acqua e dispiegato gas lacrimogeni nel centro di Bruxelles per respingere i manifestanti ispirati al movimento anti-tasse della “maglia gialla” francese, mentre i dimostranti hanno costretto il quartier generale della Commissione europea a un blocco dei lavori temporaneo.

di Joe Barnes, da Bruxelles

 

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Centinaia di attivisti hanno preso di mira i punti di riferimento politici del Belgio, marciando da uno all’altro tra nuvole di fumo di petardi e bombe fumogene, mentre erano inseguiti da dozzine di agenti anti sommossa, armati di manganelli, pronti ad assalirli. I manifestanti sono scesi nella sede della Commissione europea a Berlaymont, il cuore del processo decisionale dell’UE. Infatti, hanno creato la “campagna della giacca gialla” del Belgio contro l’aumento dei prezzi dei carburanti e contro il costo della vita. La Commissione Europea è stata costretta a chiudere temporaneamente le sue porte mentre le guardie di sicurezza dell’edificio si sono rifiutate di lasciare entrare o uscire chiunque mentre i manifestanti marciavano.
Una solitaria “giacca gialla” è rimasta di guardia fuori dalle porte chiuse, insistendo sul fatto che il Berlaymont era ormai “chiuso per tutto il giorno”.

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L’edificio della Commissione europea è stato costretto a chiudere temporaneamente le sue porte (Immagine: JOE BARNES)

Un altro manifestante, che voleva rimanere anonimo fra le scene di violenza, ha dichiarato a Express.co.uk: “Stiamo protestando contro l’aumento dei costi della benzina, della vita e delle tasse elevate“Accade la stessa cosa in Francia, a Parigi e, forse, presto in Olanda e, forse, in Inghilterra.”

Almeno due furgoni della polizia sono stati distrutti nello scontro iniziato quando una manifestazione pacifica, ma non autorizzata, è degenerata nella violenza.

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Almeno due furgoni della polizia sono stati distrutti nelle proteste (Immagine: JOE BARNES)

La polizia ha fatto dozzine di arresti dopo che i manifestanti, con i volti coperti da maschere o cappucci hanno tentato di irrompere attraverso le linee della polizia.

Il movimento dei “giubbotti gialli” del Belgio spera di ispirare a scene simili in tutta l’Europa, con Londra come particolare punto di riferimento, per la possibile violenza.
Usano i social media per diffondere il loro messaggio e affermano di aver già chiuso la pagina degli eventi di Facebook per la marcia di Bruxelles.
La polizia antisommossa è stata attaccata da una piccola fazione separatista mentre era intenta a disperdere pacifiche “giacche gialle”, lontano dal quartier generale della Commissione europea. Una dozzina di giovani, vestiti con felpe nere, senza le giacche ad alta visibilità, presero a sassate la polizia, che diede loro la caccia nelle vie secondarie.

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La polizia ha usato cannoni ad acqua per disperdere i dimostranti (Immagine: GETTY IMAGES)

I proprietari dei negozi affrettarono a sbarrare le loro porte in un clima di paura perché potevano diventare le vittime innocenti degli scontri tra la polizia e la folla.
I manifestanti pacifici, invece, hanno continuato a marciare lontano dalla Commissione con le mani in alto sopra le loro teste mentre aspettavano l’assalto della polizia antisommossa.
Alla fine centinaia di persone si sono date appuntamento nell’ufficio del primo ministro Charles Michel.
Le folle hanno chiesto le dimissioni della PM mentre cantavano “Michel, dimettiti!”
Michel è un alleato liberale di Macron, che ha espresso solidarietà per i problemi della gente, questo giovedì. Ma ha subito aggiunto: “Il denaro non cade dal cielo”.
La sua coalizione di centro-destra affronterà le elezione a maggio.

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La polizia ha detto che circa 500 manifestanti hanno preso parte alle manifestazioni (Immagine: JOE BARNES)

Un tweet del leader belga ha dichiarato: “Nessuna impunità per violenze inaccettabili a Bruxelles, chi viene a spaccare e rubare deve essere punito”.
Le proteste in Belgio, in particolare intorno ai depositi di carburante nel sud di lingua francese, sono state ispirate dai “gilet jaunes” in azione in Francia.
Le giacche gialle hanno inscenato dimostrazioni sui Champs-Élysées la scorsa settimana per protestare contro gli aumenti delle tasse sui carburanti imposti dal governo del presidente Emmanuel Macron (come il governo francese vuole che sia accreditata la rivolta. ndr), come parte degli sforzi per ridurre le emissioni che causano il riscaldamento globale.

PUBBLICATO: 00:01, sab, 1 dic, 2018 | AGGIORNAMENTO: 17:34, sab, 1 dic 2018. Segnalazione aggiuntiva di Harvey Gavin. traduzione libera di Mario Donnini.

2138.- Gilet gialli rifiutano l’incontro con il governo francese e chiedono la nomina del generale de Villiers (che fu licenziato da Macron) a capo del Governo!

La police française découvre la France, tire et assassine une femme. Policiers ou délinquants? Les Gilets jaunes rejettent la rencontre avec le gouvernement français et exigent la nomination du général Pierre de Villiers (qui a été limogé par Macron) à la tête du gouvernement!

«Nous nous rendons compte que le gouvernement ne veut rien céder. Nous ne voulons pas être les marionnettes d’une communication politique»

l’un des principaux porte-parole, Benjamin Cauchy

Salutations générales de Villiers!

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Gillet gialli rifiutano l’incontro con il governo francese e chiedono la nomina del generale de Villiers (che fu licenziato da Macron) a capo del Governo! di Maurizio Blondet

di Mitt Dolcino

Le Figaro batte una notizia clamorosa: i manifestanti francesi rifiutano l’incontro con il governo francese, mossa attesa dopo la morte di una donna ottantenne a Marsiglia questa notte a causa di un proiettile sparato dalla polizia. Dunque nessun passo indietro nelle proteste.

Anzi,  tre avanti: si chedono le dimissioni immediate del governo e la nomina del generale de Villiers a capo del nuovo governo. Per vostra informazione, il gen. de Viliiers è colui che fu licenziato mesi fa da Macron e che tutti gli alti ranghi militari – contravvenendo agli ordini – scesero in piazza a salutare il giorno del suo congedo forzato.

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Ma la ragione letteralmente esplosiva è il motivo per cui de Villiers fu licenziato dal filo-tedesco Macron: egli era contrario al taglio degli investimenti alla difesa derivanti dalla sempre più stretta collaborazione con la Germania in ambiti militari. Ossia, de Villiers era il rappresentato delle forze armate contrario all’integrazione militare francese con la Germania!

Quella a cui stiamo assistendo è la reazione – anche violenta, purtroppo – di coloro – e sono davvero in tanti – che in Francia NON vogliono dare a Berlino il comando militare europeo. E nemmeno la “force de frappe” francese in veste EU.

Ossia, l’esercito EU è morto prima di iniziare. A Berlino – per ovviare al gran rifiuto francese di condividere l’arsenale militare,  vietato oltre Reno in forza della sconfitta nella seconda guerra mondiale – ora resta solo la dichiarazione che la bomba atomica comunque ce l’ha già, ma senza i test sul campo, solo via modellizzazioni (ossia, più propriamente, una bomba “sporca”) -.

Mitt Dolcino

(MB. Ricordo che   un anno e mezzo fa Macron s’è liberato di De Villiers. Il mio articolo qui: )

Così l’Armata ha salutato il generale De Villier, umiliato da Macron.

Umiliato pubblicamente da Macron  per la sua protesta (a porte chiuse) contro il  taglio di 850 milioni alla Difesa, il  generale Pierre De Villiers, capo di Stato Maggiore, ha dato le dimissioni. Senza aspettare il colloquio con Macron, previsto il 21 luglio, dove sicuramente sarebbe stato dimissionato. “Ha lasciato passare il 14 luglio, e ha dato le dimissioni. Oggi la sua dignità è perfettamente preservata”, ha detto il contrammiraglio Claude Gaucherand.

Ecco come, nella sede dello Stato Maggiore generale, i rappresentanti delle tre armi hanno salutato il loro generale.  Una “guardia d’onore” spontanea.  Un saluto commovente e  –  preccupante per  Macron Le Petit.

Un applauso corale, lunghissimo, insistito, di tutti i rappresentanti delle tre armi, e dei funzionari.  Una sola parola: “Grazie”, Merci.

De Villier  (un vandeano)  è popolarissimo fra i suoi soldati, che l’hanno visto spesso sul terreno accanto a loro nelle operazioni africane. Ma da tempo voci  di malcontento  verso i  politici si alzano dagli alti gradi  dell’Armée.   Il marzo dell’anno scorso,   è stato messo in pensione il generale Christian  Piquemal, capo della Legione Straniera, per aver partecipato ad una manifestazione non autorizzata  contro gli immigrati, in cui aveva criticato il  “porcaio di Calais”, ossia il modo in cui il governo aveva lasciato crescere l’accampamento di  clandestini che a Calais si sono ammassati per mesi  nel luridume e nella violenza, impunemente,  compiendo atti illegali per saltare su un TIR e arrivare in Gran Bretagna.

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generale Christian  Piquemal

Tre generali avevano appena scritto ad Hollande una lettera  in cui si chiedeva al presidente della République di assumere  “la sua responsabilità” davanti a : “questa zona di non-diritto che è diventata Calais”: “non potete sottrarvi al vostro dovere”.  Rimasta senza risposta, la lettera era divenuta una lettera aperta, pubblicata sul Figaro. 

Ad  aprile, ha perso il suo posto  di comandante della Gendarmerie d’Outre Mer il generale Bertrand Soubelet. A Hollande non era piaciuto il suo libro Tout ce qu’il ne faut pas dire,  “Tutto  quel che non bisogna dire”, estremamente critico sulla intera classe politica – segnatamente per il modo in cui gestiva la questione clandestini.  Soubelet  non è stato licenziato, è stato sollevato dalla funzione e messo a disposizione.   La sua risposta   avrebbe dovuto inquietare tutti i politici: “Ad esser messo da parte in queste condizioni,  a far niente,  ho  l’impressione di costituire un pericolo per il mio paese – ciò che mi fa’ riflettere sul mio futuro immediato e ai modi con cui continuerò a servire la Francia”.

“L’Armée non ha mai conosciuto tali umiliazioni”, ha scritto Armel Joubert des Ouches, autore di un sito specializzato in cose militari (dal cognome,  un aristocratico ex ufficiale): “In una intervista, il generale Pinay Legry mi diceva: “La nostra armata è sull’orlo della rottura”. Certi nostri elicotteri hanno più di 40 anni.  Un ufficiale della ALAT (Aviation Légère de l’Armée de Terre), mi diceva poco tempo fa: “Io non dispongo che di tre elicotteri da combattimento funzionanti, sui 45 della mia unità”.

La comparsa e  discutibile vittoria di Emmanuel Macron all’Eliseo ha lasciato un sentore di illegittimità ai  gallonati.  Che aborrono alla volontà,   che attribuiscono al giovinotto, di fondere l’Armée (che fu guidata da Napoleone), che i tedeschi hanno umiliato in due volte indimenticabili,  con la Bundeswehr, nel  nuovo  e  fantasioso esercito europeo.   Molti mugugni hanno accompagnato la distribuzione del nuovo fucile d’assalto, Made in Germany.    “Non  siamo più in democrazia, ma in un’oligarchia che gira a dittatura prima di virare, forse, al totalitarismo”, ha affermato a tutte lettere il generale Didier Tauzin, molto intervistato dalla sezione francese di Russia Today.

Armel Joubert des Ouches: già, una dittatura che impone al paese  l’afflusso di migranti “a   vagonate”: “Noi” abbiamo  soldi per miliardi  per questi stranieri, e non ne abbiamo per le nostre armate”.

A chi gli ricorda che l’Armèe  si vanta di chiamarsi La  Grande Muette (la grande muta), per il suo impegno di obbedir tacendo  (a  patto di dimenticare il tentato putsch di Algeri, 1961….)  , Tauzin  risponde: “Ci sono momenti in cui il dovere del silenzio deve lasciare il posto al dovere di espressione”. Secondo i giornali, Macron, sbattendo fuori De Villiers, s’è giocato il suo secondo  mandato”.

Cose che non possono avvenire in Italia.

Noi non  abbiamo mai avuto un  De Gaulle.  Abbiamo avuto un Badoglio (taccio le volgarità che suscita questo nome. ndr).

Mitt Dolcino   mi scrive, “l’Armée française è in guerra. Con  la Germania e i collaborazionisti, come fece De Gaulle”.  Se  vede giusto, è una sconfitta finbale per gli euroinomani e le sue oligarchie. .

 

Maurizio Blondet | 4 dicembre 2018

2132.- Jacques Sapir – I “giubbotti gialli” e la rabbia delle masse popolari

Jacques Sapir:”le rivendicazioni dei gilet gialli sono incompatibili con la permanenza della Francia dentro l’euro. Questa mobilitazione è una mobilitazione contro l’euro.” I popoli europei hanno preso consapevolezza. Per salvare la democrazia, occore mettere fine all’euro. A Berlino, i tedeschi sono scesi in piazza per manifestare la loro solidarietà ai gilet gialli francesi. Francia, Belgio, Olanda e ora Germania. Il movimento dei gilet gialli sta diventando un’alleanza dei popoli europei contro l’austerità imposta da Bruxelles.

Jacques Sapir commenta la rivolta dei giubbotti gialli in Francia, le sue cause profonde, le sue caratteristiche e i possibili sviluppi. Non si tratta di una semplice protesta fiscale: dietro c’è una prolungata esasperazione e un forte sentimento di ingiustizia che, al di là di organizzazioni partitiche o sindacali, individua nell’altezzoso presidente, nel suo establishment e nella sua corte dei francesi “bobo”  il suo antagonista naturale. Qualsiasi sarà l’evoluzione del movimento, a breve o a medio termine per il governo francese è l’inizio della fine.

Schermata 2018-12-02 alle 16.58.04di Jacques Sapir, 19 novembre 2018

 

Il 17 novembre, il giorno dei “giubbotti gialli”, è stato un enorme successo, con oltre 2.000 posti di blocco contro i 1.500 che erano stati annunciati. I dati sulla partecipazione diramati dal ministero degli Interni sembrano ampiamente sottovalutati. Purtroppo questo successo è stato oscurato dalla morte di una manifestante e dai molti feriti, nella maggior parte dei casi dovuti ai tentativi di forzare il blocco con le auto. Questo successo sfida i movimenti politici e i sindacati. Se la maggioranza (LaREM, sigla de La République en marche) con i suoi giornalisti su commissione lo presentano come un fenomeno odioso ed esecrabile, sarebbe invece necessario farsi qualche domanda sul significato di questo movimento e le sue possibili conseguenze.

Il giorno della collera

La Francia brucia: La Prefécture de Puy en Velay est en feu, mentre i tiratori scelti dell’esercito francese si appostano agli incroci strategici. Lo volete l’esercito europeo? Des snipers (tireurs d’élites militaires) ont été déployés sur les toits des Champs Elysees et sur des zones de protection des institutions. Selon une source de la DGSE cet ordre émanerait directement du chef de l’état. – 10 000 grenades lacrymogènes ont été tirées. – 140 000 litres d’eau ont été balancés sur les GiletsJaunes. Le syndicat de Police Alliance demande l’instauration de l’État d’Urgence et l’intervention de l’Armée. Paris, 1er decembre.

 

Questo movimento è stato innescato dall’annuncio di un aumento dei prezzi del carburante. Tuttavia, riflette una rabbia molto più profonda e cause molto più complesse. La questione dei prezzi del carburante rimanda alla cosiddetta “compressione dei consumi” delle famiglie delle classi popolari. Quando non si hanno mezzi di trasporto alternativi e si devono fare ogni giorno decine di chilometri per andare al lavoro, ebbene sì, il costo del carburante rappresenta un pesante onere. Detto in termini economici, in questo caso non vi è alcuna elasticità del consumo rispetto al prezzo.

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Tuttavia, un semplice aumento dei prezzi del carburante non avrebbe certamente causato una tale collera se non fosse arrivato in aggiunta ad altri aumenti e ad una pressione fiscale che le classi lavoratrici considerano eccessivamente onerosa. Le riforme fiscali realizzate lo scorso anno dal governo – tra cui la rimozione della ISF (Imposta di solidarietà sul patrimonio) – e le misure adottate dai governi precedenti – tra cui ricordiamo i 44 miliardi di sgravi fiscali del CICE (credito d’imposta per la competitività e l’occupazione) concessi alle grandi imprese in cambio della creazione di qualche posto di lavoro – sono alla base di questa rabbia. Si parla di una “esasperazione fiscale”; in certi casi ci si può arrivare. Ma qui si tratta soprattutto di un senso di ingiustizia fiscale.

A questo aggiungiamo le più che infelici osservazioni di un presidente della Repubblica il quale evidentemente non prova alcuna empatia per le classi popolari, affascinato com’è dagli “start-upper” e dalla ricchezza di coloro che, per usare la sua espressione, “si sono fatti dal nulla”. I termini estremamente dispregiativi che egli ha usato per anni contro le classi popolari sono ben noti. Non sono stati dimenticati da coloro a cui sono stati rivolti. I francesi, si dice, hanno la memoria corta. Invece hanno appena dimostrato l’esatto opposto.

Tutti questi sono stati fattori di coesione di una rivolta emersa dalle profondità della “Francia periferica”, per riprendere l’espressione del geografo Christophe Guilluy. L’odio dei rappresentanti organici della Francia “bobo” (bourgeois-bohème, corrispondente all’italiano radical-chic, ndt) segnala dove si trova la frattura.  Questa frattura, e qualcuno non se ne dispiaccia, è una frattura di classe. Gli slogan politici che abbiamo sentito non sono dovuti alla presenza di attivisti e di organizzazioni di partito, ma piuttosto al fatto che queste classi popolari identificano spontaneamente il governo e il presidente come loro nemici.

L’auto-organizzazione, i suoi precedenti, i suoi limiti e il suo futuro

Questa rivolta è stata in gran parte non organizzata, o più esattamente auto-organizzata. È partita da iniziative individuali, e si è amplificata sui social network. Un gran numero di manifestanti del 17 novembre erano alla loro prima esperienza di manifestazione, di lotta collettiva. Questa esperienza, questa forma specifica di socializzazione è di estrema importanza. Perché imparando a coordinarsi, a parlare insieme, queste persone smettono di essere individui isolati. Diventano consapevoli della loro forza. È per questo motivo che questo movimento, eterogeneo nella sua ideologia, i cui partecipanti sono disomogenei e tra loro differenziati, è fondamentalmente un movimento sociale progressista. Perché ogni esperimento sociale che oggi permette agli individui di uscire dal loro isolamento ha un carattere progressista.

Il disorientamento di certi partiti, ma anche di certi sindacati, di fronte a questa manifestazione è stato dirompente. La partecipazione dei dirigenti della France Insoumise, come Jean-Luc Mélenchon, François Ruffin, o Adrien Quatennens, mostra che questo movimento ha compreso la natura profonda di quanto stava accadendo. Bisogna anche dire che alcuni altri partiti hanno sostenuto l’evento, alcuni più timidamente altri con più convinzione. Per riprendere una espressione del mio ottimo collega Bruno Amable, la domanda che oggi si pone è se su questa base si verrà a formare un “blocco anti-borghese” in grado di contrastare il “blocco borghese” ora al potere.

Perché la forza dei giubbotti gialli può essere anche la loro debolezza. Se la mobilitazione vuole essere duraratura, e per affrontare l’intransigenza del governo è chiaro che deve esserlo, dovrà darsi una forma di organizzazione. Ma allora la pressione del governo aumenterà di conseguenza. Basti ricordare come Georges Clemenceau, allora ministro degli Interni, riuscì a manipolare Marcelin Albert, il leader della rivolta dei vignaioli del Mezzogiorno e in particolare della regione di Béziers nel 1907, di cui ci è rimasta la canzone “Gloire au 17ème“, che celebra la fraternizzazione dei soldati del 17° battaglione con i manifestanti. I giubbotti gialli avrebbero quindi interesse a strutturarsi in comitati di azione con coordinamenti regionali e nazionali, consentendo un controllo democratico che vada oltre la preparazione di una giornata di dimostrazione.

Ci sono poliziotti francesi, infiltrati, che si danno alla violenza per screditare il movimento.Vari video girano mentre i loro colleghi in divisa li aiutano ad indossare i gilet. Questo ragazzo arrestato grida “je suis avec vous” ovvero “io sono con te”, poi un altro poliziotto arriva e dice ‘va bene!’ Viene liberato, dopo l’arresto e saluta i colleghi con una pacca sulla spalla.

Oltre a questo rischio, sempre presente, la mobilitazione deve porsi la questione dell’allargamento del movimento, ma anche delle forme che deve assumere e degli obiettivi che deve darsi. La persistenza dei blocchi e delle manifestazioni nella giornata di domenica 18 novembre, l’estensione ai territori di oltremare, tutti questi sintomi indicano che potremmo essere alla vigilia di qualcosa di molto più importante di una semplice protesta contro le tasse.

La cancellazione dei sindacati e il potenziale di questa mobilitazione

Tuttavia, dobbiamo tornare alla cancellazione dei sindacati e al suo corollario: la mancanza di rappresentanti istituzionali dei giubbotti gialli. Ci sono molte ragioni per questa cancellazione, e il fenomeno della burocratizzazione delle grandi centrali è una di queste. Ma quando il governo fa tutto il possibile per eliminare i sindacati come forze sociali, poi non può lamentarsi dell’assenza di rappresentanti istituzionali nel movimento del 17 novembre, rappresentanti con cui potrebbe, nel caso, negoziare.

Nel maggio del 1968, furono i sindacati, e prima di tutto la CGT, gli artefici del compromesso – l’accordo di Grenelle – che permise al movimento di trovare una via d’uscita non rivoluzionaria. Questi accordi sono stati talmente significativi che la parola “Grenelle” oggi è ripresa in tutte le salse. Sarà difficile che un fatto del genere si ripeta.

Il governo si trova quindi di fronte a un movimento di tipo nuovo, un movimento di protesta che porta direttamente in sé la natura di una protesta politica. A meno di cedere molto velocemente, ed è molto difficile che questo possa accadere, il governo rischia di dover affrontare due gravi ostacoli.

Il primo è che questa mobilitazione continui a montare e che si arrivi, qua e là, a una fraternizzazione con le forze dell’ordine. Questo è lo scenario peggiore per questo governo. Anche se al giorno d’oggi è poco probabile, implicherebbe la trasformazione di questa mobilitazione in un movimento insurrezionale.

Il secondo, più verosimile, è che questa mobilitazione finisca per logorarsi per mancanza di opportunità concrete e per non riuscire a collegarsi con altri settori della popolazione. Ma, anche se questo movimento andrà ad esaurirsi, sarà solo in apparenza. La rabbia, e ora anche l’amarezza, saranno sempre lì, in attesa di un pretesto per riaffiorare, e un’opportunità, soprattutto elettorale, per esprimersi.

Il governo deve dunque affrontare una grande minaccia a breve termine, ma una minaccia altrettanto formidabile a medio termine. Ma qualunque cosa faccia, non si sbarazzerà del pericolo.

E, per gli amatori, le prime strofe della canzone.

 

GLORIA AL DICIASSETTESIMO

 

Legittima era la vostra collera
Rifiutarsi era un grande dovere
Non si devono uccidere i propri padri e madri
Per i grandi che sono al potere
Soldati, la vostra coscienza è pulita
Non ci si uccide tra Francesi
Rifiutandovi di insanguinare le vostre baionette
Soldatini, avete fatto bene

 

Vi saluto, vi saluto
Coraggiosi soldati del Diciassettesimo
Vi saluto, bravi marmittoni
Ognuno vi ammira e vi ama
Vi saluto, saluto voi
E il vostro magnifico gesto
Avreste, sparandoci addosso,
Assassinato la Repubblica.

 

(versione italiana di Riccardo Venturi)

Di Carmenthesister, immagini di archivio, Associazione Europa Libera.