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5087.- L’art. 49 e la crisi della partecipazione alla politica

Art. 49. Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

I requisiti che deve avere il cd. metodo democratico dell’art.49, visto, però, dal profilo“interno”

Di Mario Donnini, 28 aprile 2022, aggiornato 30 aprile 2022.

I Padri Costituenti provenienti dai sei partiti che si attribuirono la liberazione dell’Italia ebbero ad affrontare una contraddizione: da una parte il divieto di ricostituzione del partito unico, violento e, dall’altra, la coesistenza con il partito comunista, sicuramente violento e tendente nuovamente all’unicum. Quest’ultimo fu contrario a costituzionalizzare una disciplina del partito politico che mirasse a controllarne l’autonomia e la trasparenza. Così, sommariamente, abbiamo introdotto il motivo per cui l’Art. 49 della Costituzione, nel disciplinare le associazioni partitiche, come espressione distinta da quelle in generale dell’Art. 18 (Libertà di associazione), non sia stato sorretto da una serie di principi come già in Aristotele erano configurati, anzitutto, l’Alternanza.  Infatti, Aristotele non avrebbe accettato le attuali leadership e anteponeva il principio della rotazione delle cariche contro il principio della qualità dei governanti; ma quale qualità? Nella Prima Repubblica c’era qualità, ma in questa Seconda… L’unica regola citata nell’Art. 49 è che i partiti, attraverso i quali i cittadini possono partecipare alla formazione della politica nazionale, è che si strutturino e agiscano “ con metodo democratico.

Ecco che:

Il modello dell’Art. 49 potrebbe essere ripensato, sopratutto se abbiamo riguardo agli aspetti del finanziamento dei partiti, aspetti che hanno monopolizzato ogni tentativo di riforma. Il modello dell’Art. 49 deve essere ripensato perché non ha tenuto in debito conto i costi della partecipazione alla politica, che gravano sui partiti e sui movimenti politici, più che su ogni associazione ex Art. 18. Ma, non si restringa il problema ad un controllo meramente contabile. Apparentemente, l’espressione “con metodo democratico” ha di mira la garanzia della democrazia interna, quindi dell’organizzazione della partecipazione, fino alla formazione delle candidature. Ecco che, tra i vincoli della democrazia interna e le forme di finanziamento è difficile, se non impossibile, trovare un equilibrio. L’evoluzione o l’involuzione del modello partitico nasce da qui e ha permeato di sé il modello democratico, sovrapponendosi fino a lasciare in disparte il Parlamento e producendo i partiti leadership di oggi, nei quali il partito segue le alterne fortune del leader e questo ne sovrasta l’idea. Sappiamo anche che l’idea alla base di un partito è difficilmente corruttibile, mentre una leadership lo è.

In realtà, l’Art. 49 ha assegnato ai partiti una ben precisa funzione costituzionale, seconda solo a quella del principio lavoristico, ma non ha disciplinato a sufficienza i requisiti e i principi di democrazia interna. Avreste mai pensato che i partiti e le istituzioni che giurano sulla Costituzione avrebbero tollerato un governo che violasse il sacramento del Lavoro? Il lavoro come ascensore sociale “era” il principio cardine, non riconducibile a una cessione di sovranità ex Art. 11, ma, qui, l’ignoranza degli eletti in materia costituzionale ha avuto la sua vittima. Citiamo, come esempio, l’introduzione del ‘pareggio’ di bilancio nella Costituzione con la legge costituzionale n. 1/2012 (votata quasi all’unanimità) e, in particolare, con il novellato Art. 81, il quale stabilisce che lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle diverse fasi – avverse o favorevoli – del ciclo economico; un vincolo, quindi (sollecitato da Mario Draghi, allora Governatore della Banca d’Italia), con il quale le politiche di investimento e fiscali devono fare i conti e che non è stato accompagnato da politiche finanziarie adeguate. Era uno dei parametri fissati all’interno del Patto di bilancio europeo e qualunque rivisitazione della Costituzione deve fare i conti con il diritto dell’Unione e, almeno riguardo ai princìpi fondamentali, anche, viceversa. Citiamo anche, come violazione del principio lavoristico, l’inadempienza per i lavoratori all’obbligo vaccinale che comporta la sospensione dal posto di lavoro  senza retribuzione, malgrado i vaccini non abbiano superato le fasi sperimentali e comportino rischi non indifferenti. 

Ripensare il modello dell’Art. 49 significa decidere se la regolamentazione da adottare debba essere oggetto di una riforma costituzionale o possa essere introdotta con una legge ordinaria. L’altezza della funzione cui sono chiamati i partiti, vorrebbe che la riforma godesse di stabilità, quindi, che si attuasse attraverso il procedimento dell’Art. 138; ma c’è di più. La società sta cambiando, la politica sta cambiando. Non si parla più di mondo libero, l’Unione europea, cui, ancora giovani, affidavamo il futuro, ha rifiutato le radici cristiane. Il Trattato di Lisbona tutela i lavoratori, ma prima di loro, la competitività dell’Unione sui mercati mondiali. Vediamo gli Stati Uniti, avviati verso il crepuscolo, favorire una ennesima guerra europea, forse, anche mondiale. In politica è stata superata la contrapposizione fra destra e sinistra e la militanza non è più considerata partecipazione attiva alla definizione del bene comune, proprio della nostra comunità politica, che si diparte dalla famiglia; ma è una mobilitazione dell’individuo che si propone in un sistema valoriale di matrice finanziaria. I mutamenti in atto non trovano corrispondenza nella politica, meno che mai in quella che si appella di sinistra e i cittadini, quando chiamati al voto, non sanno per cosa voteranno. Vacillano, perciò, i pilastri della società, la famiglia, la dignità della persona umana, la libertà, addirittura il diritto alla vita. Per qualcuno, il liberismo economico rappresenta una forma di governabilità molto meno normativa, ma più autoritaria rispetto alla sinistra socialista e comunista. Abbiamo visto le nostre certezze, i principi della Costituzione violati con il favore delle istituzioni. Tanti i principi, ma poche le tutele. Quale che sia il sistema che prevarrà fra il mercato e la cristianità, la competizione richiede un modello di legge elettorale che si coniughi con l’impianto costituzionale, lasciando o costringendo gli italiani a decidere quale sarà il loro futuro e questo non può aversi con i voti dei fantasmi del maggioritario; può aversi, invece, con il metodo proporzionale, costituzionalizzato perché non cambi ad ogni legislatura. La serie dei Mattarellum, Rosatellum, Porcellum non deve ripetersi.

Nella regolamentazione che scaturirà dalla riforma devono trovare campo, certamente, le forme di finanziamento; ma deve esserci spazio che basti per le forme di partecipazione politica individuale degli iscritti, per le forme di organizzazione interna e di governo dei vari livelli. Non è sufficiente guardare alla selezione delle candidature all’interno delle formazioni politiche. Questa è una questione fra le più delicate, perché chiama in causa i profili essenziali che l’art.49 non indica, ma presuppone. Parliamo del concorso esterno dei partiti, della effettiva possibilità di partecipazione degli iscritti e della trasparenza interna. Qui, non ci aiuta il modello delle leadership, che tende a riproporsi e si ripropone ad ogni livello. Le modalità di scelta delle candidature e le eventuali elezioni primarie devono, certo, tenere in conto le esperienze politiche ma la meritorietà, prima che la disponibilità e favorire la propositività, prima che la soggezione alle leadership il dibattito deve coinvolgere perché il partito sia vivo. La forza delle idee non teme il dibattito e questo attrae. L’imponenza dell’assenteismo ci dice che si deve fare di più e meglio. Dovremmo parlare anche del mercato dei voti, ma, qui, è necessario incentivare la formazione politica dei cittadini e i partiti hanno le risorse per farlo e già lo fanno, poco, ma lo fanno.

Le forme di controllo di tutto questo, non possono essere solamente di natura contabile. Per esempio, i controlli sulla trasparenza nelle nomine, sono importanti quanto la garanzia della necessaria autonomia e bene sarebbe che ad occuparsi dei controlli fossero apposite sezioni, istituende, dei tribunali. Ma tribunali di una novella magistratura autonoma e indipendente, estranea alla politica. E viene a mente la figura del Capo dello Stato e presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, che non l’ha sciolto e, invece, doveva*. È importante che, specificato questo “metodo democratico”, i partiti obbediscano a modelli che favoriscono il raggiungimento dei fini associativi, ma è molto più importante il come. Dai partiti, al Parlamento, al potere legislativo: Ora che l’82% delle leggi proviene dall’Unione europea, fatta la riforma, sarà opportuna una maggiore colleganza fra partiti nazionali ed europei.

Mario Donnini

  • art. 31, LEGGE 24 marzo 1958, n. 195 (in Gazz. Uff., 27 marzo, n. 75). – Norme sulla Costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura. 

1634.- Il Lavoro è Libertà

Se continueremo a parlare di destra e sinistra, il 4 marzo potremo stare a casa!
Non c’è più destra né sinistra e lo dimostrano i 564 cambi di casacca di questo parlamento, almeno politicamente, illegittimo.
C’è, invece, chi vuole il bene degli italiani, da una parte e chi, dall’altra, vuole i loro soldi.
E noi? Noi dobbiamo capire con chi potremo restaurare i valori della rivoluzione cristiana e a chi chiederemo di investire nel Lavoro e nello Stato Sociale. Senza investimenti, con quella fabbrica di debito che sono l’Unione europea, con la sua Banca Centrale e questi governi, il Lavoro ce lo sognamo! La rata del FISCAL COMPACT è di 64,304 miliardi ogni anno, per noi e per i nostri figli!
Insomma, qui non è questione di destra e di sinistra, di comunismo, di fascismo o di antifascismo e il passato non ritorna. Gli è che quello che avevamo ottenuto noi italiani in campo sociale durante il fascismo e il benessere riconquistato con il miracolo economico, oggi, ce lo sognamo. Domani neanche i sogni. Lo vuole l’Europa! Dunque, pane al pane e vino al vino: Bandite siano le dittature, ma piantiamola con fascisti, comunisti e antifascisti, gli italiani sono un popolo di lavoratori e il lavoro è libertà!
Gli elettori sappiano dire alla politica: “Fateci lavorare!”, “Ve lo chiede l’Italia!”.

1606.- Besostri: “Anche il Rosatellum è incostituzionale. Il voto non è libero, uguale e personale”

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ROMA – “Alla mia età vorrei occuparmi dei miei nipoti. È un caso eccezionale che un Parlamento faccia tre leggi elettorali incostituzionali. Due ho contribuito a farle dichiarare tali. È vero che non c’è il due senza tre. Ma soprattutto: la sentenza fatta dopo le elezioni a cosa serve?”. Felice Besostri, avvocato, professore universitario, ex deputato socialista, è uno dei protagonisti delle battaglie giuridiche che hanno portato la Corte Costituzionale ha dichiarare parzialmente incostituzionali il Porcellum e l’Italicum. Adesso tenta un nuovo approccio per cercare di demolire il Rosatellum. Una legge elettorale, anche questa, che giudica tarlata da vizi di incostituzionalità perché “il voto non è sempre uguale, non è libero e non personale”.

1462341937-elezioniROSATELLUM, ECCO COME FUNZIONA. LA SCHEDA

Avvocato Besostri, perché il Rosatellun è incostituzionale?
“È incostituzionale in base alla sentenza della Consulta che affossò il Porcellum. In quella sentenza i giudici fanno un riferimento molto preciso ad una sentenza del Tribunale federale tedesco del 25 luglio 2012 sui mandati aggiuntivi. La nostra Corte, non avendo precedenti di annullamenti di leggi elettorali nazionali, li ha dovuti prendere da un ordinamento omogeneo che non avesse costituzionalizzato il sistema elettorale. Io poi aggiungo che il loro articolo 38 e il nostro 48 delle Costituzioni sono perfettamente sovrapponibili”.

Bene. Ma qui siamo ancora alle fonti…
“Quella sentenza dice che ciascun voto deve contribuire potenzialmente con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi. Quando il legislatore adotta il sistema proporzionale, anche in modo parziale, genera negli elettori la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio negli effetti del voto: ci deve essere una corrispondenza fra i voti in entrata e i seggi in uscita. Nel Rosatellum questo non avviene a causa di due elementi: l’assenza del voto disgiunto e dello scorporo”.

Avvocato, lo scorporo è l’oggetto più misterioso degli ultimi 25 anni di vita politica…
“Nel Rosatellum abbiamo eletti nella parte maggioritaria, collegio uninominale, e eletti nella parte proporzionale. Chi è eletto nel collegio uninominale ottiene sicuramente una percentuale di voti più alta di quella che mediamente a livello nazionale ottiene il suo partito o la sua coalizione. Siccome i suoi voti vanno ad aumentare la parte proporzionale, si altera il rapporto fra voti in entrata e seggi in uscita.

E questa è una furbata che non era prevista nel Mattarellum. In quella legge i voti serviti ad eleggere un parlamentare nella parte uninominale venivano detratti dalla parte proporzionale. E sempre in quella legge c’erano due schede e l’elettore poteva usare il voto disgiunto. Inoltre c’è anche il problema delle candidature multiple e delle liste Corte”.

Anche questo è argomento ostico…
“Le liste sono eccessivamente corte. E anche questa è una furbizia. Si vuol fare credere, e non è vero, che la Consulta si sia pronunciata per le liste corte. Il massimo dei candidati in un collegio plurinominale proporzionale è quattro, anche quando si debbano eleggere otto parlamentari. Nel caso in cui uno sia eletto sia nel proporzionale che nell’uninominale deve optare per l’uninominale. E se lo stesso è stato candidato cinque volte grazie alle candidature multiple previste dal Rosatellum, gli eleggibili nella parte proporzionale scendono da quattro a tre. In casi estremi anche a due.

In conclusione quando non ho un numero sufficiente da eleggere in una circoscrizione devo andare a cercarli in un’altra circoscrizione. E questo, secondo quella sentenza della Corte tedesca fatta propria dalla nostra, vìola il principio che nessun candidato può essere favorito o sfavorito dal comportamento elettorale di cittadini elettori di una circoscrizione diversa da quella in cui è candidato. Così il voto non è uguale fra una circoscrizione e un’altra”.

Avvocato, come spiegarlo agli elettori?
“Lo si può fare spiegando che si vìola anche il principio del voto personale. Con la lista corta io dovrei conoscere il candidato. Ma questo può portare all’apprezzamento o al disprezzo del candidato. Se non posso scegliere all’interno della lista viene meno la mia personalità di voto. Sono costretto a votare dei candidati che non apprezzo. E qui ritorna il problema dell’assenza del voto disgiunto. E quindi si profila l’incostituzionalità. Poi, come sempre il diavolo si annida nei dettagli…”.

Quali dettagli?
“Guardiamo alle norme per l’elezione dei parlamentari del Trentino Altro Adige e del Molise. Nel voto nel Trentino Alto Adige il rapporto fra proporzionale e maggioritario si rovescia a favore della parte maggioritaria con sei deputati contro cinque. E questo non riguarda per nulla gli accordi De Gasperi-Gruber perché quella parte riguardava il Senato”.

Ma pure il Molise è nel mirino?
“Nel Molise due deputati sono eletti nel maggioritario e uno con il metodo proporzionale. Come si possa eleggere un deputato con il metodo proporzionale è da premio Fielis che corrisponde al Nobel per la matematica”.

Mattarella dovrebbe allora non promulgare?
“Dicono che promulga venerdì. Mi sembra un po’ troppo presto e io dico al Presidente che sarebbe meglio riflettere più a fondo. Ma quelle che ho elencato sono questioni di merito sulla legge. Ci sono invece questioni di metodo che sono state già sollevate davanti alla Corte per conflitto di attribuzioni. Per sollevarle, infatti, non serve che la legge sia promulgata, perché il conflitto di attribuzione si crede che sia stato già violato dai voti di fiducia”.

Il 12 dicembre la Consulta dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità di due ricorsi sulle modalità di approvazione dell’Italicum tramite la fiducia. Sono conflitti di attribuzione sollevati da quattro deputati e dai gruppi grillini di Camera e Senato. È evidente che c’è un nesso con il Rosatellum. E infatti i gruppi grillini hanno sollevato lo stesso conflitto di fronte alla Corte anche contro la fiduce sulla legge appena approvata. Ma singoli deputati e gruppi hanno questo potere?
“L’idea del potere del singolo deputato a ricorrere nel caso della violazione dell’organizzazione dello Stato è sostenuta dal giurista tedesco Georg Jellinik nel 1901. Non è dunque un’invenzione dell’avvocato Besostri, ed è stata ripresa nel 1991 dall’attuale giudice costituzionale Nicola Zanon.

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Il professor Paolo Grossi presidente della Corte Costituzionale

Inoltre, due dei tre conflitti di attribuzione sono fatti a nome dei gruppi e la violazione delle regole sulla fiducia nel caso dell’approvazione delle leggi elettorali era presente anche nei ricorsi ai tribunali che portarono alle decisioni della Consulta. La Camera di Consiglio della Corte è segreta e non ci saranno contraddittori. Precedenti interorganici non ce ne sono. Ma la Corte, in maniera indiretta, ha riconosciuto che i gruppi sono organi del Parlamento”.

1605.- LE PROMESSE, CIOE’, LE MINACCE ELETTORALI: L’OCCASIONE FINALE PER UN “NO”. 48

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Quand’è che il futuro è passato da essere una promessa a essere una minaccia?
Chuck Palahniuk

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1. Finita la parte più strettamente religiosa delle feste, e quindi messa provvisoriamente in sospensione l’ubriacatura immigrazionista dello ius soli, e dei diritti immaginariamente negati, si passa ai propositi per il Nuovo Anno.
E questi propositi, nelle circostanze attuali, altro non sono che promesse elettorali, perché in tali termini vanno, da tutti voi, attentamente considerate; e immancabilmente, tutto questo va assunto nel connubio, ormai indistinguibile fra partiti di governo (in nome dell’€uropa dei mercati) e media di controllo, entrambi sospinti dall’incessante lavorio degli influencers,.

2. Questi operano dunque in un incessante processo circolare che alimenta di soluzioni di soccorso, – aggirantesi preferibilmente sull’unico grande tema del debito pubblico (con varianti imperdibili)-, la linea di governo €urotrainata, mentre, a loro volta, gli espertologi proponenti delle soluzioni, in contraccambio, ricevono la legittimazione preventiva – mediatica, naturalmente- a divenire futuri governanti o, quantomeno, consulenti dei massimi livelli dell’amministrazione politico-economica. Tra una (lucrosa) “porta girevole” e l’altra; sempre qui, pp. 6-7.

3. In questo circuito, non c’è più spazio, e nemmeno tempo da perdere, per l’ascolto dell’orientamento dell’elettorato – inteso come elemento sociale costitutivo dello Stato nonché titolare della sovranità-, all’interno di un processo, almeno formalmente, democratico.
Traduco in termini più diretti: ammesso che il voto possa non essere condizionato dallo strapotere mediatico di chi odia la Costituzione (quella vera, non quella filosofica dei banchieri “liberali”) e l’umanità stessa, l’idea precostituita è che comunque la futura agenda di governo non potrà e non dovrà tenerne conto. Tutto è già comunque deciso.
Rimarrebbe solo da ascoltare, per mesi di campagna elettorale, la reiterazione ossessiva, pluriennale, – che dico: pluridecennale!-, delle stesse “soluzioni”.

4. Siamo irreversibilmente, – ci dicono in tutti i modi sicché nessuno possa avere più dubbio alcuno-, in un mondo in cui i tecnici gestiscono mentre i mercati governano (Reichlin dixit, once and for ever): e, poiché il ruolo dei politici è di andare in televisione e sui big-media, per converso, il passaggio mediatico del tecnico emerge spontaneamente quale voce-dell’opinione-pubblica-che-non-può-essere-ignorata. Essa e soltanto essa, tra le molte che si levano da una società che pure mostra profondi segni di inquietitudine, è abilitata a segnare i limiti di (non)”significato”di ogni possibile espressione del voto:
Il voto, attesa la incomprensibilità, da parte dell’individuo comune-elettore, della realtà normativa naturale, è solo un processo subordinato di ratifica delle decisioni “impersonali” del mercato (questa sintesi è agevolmente ricavabile, ex aliis, da questo post e da quest’altro).

5. Ma una volta profilato come “atto dovuto”, senza alternative, il piegarsi preventivo ed incondizionato dell’elettorato alle esigenze del “lovuolel’€uropa”, le “soluzioni” assumono il carattere più preciso di minacce.
Un tale carattere minaccioso delle dichiarazioni programmatiche elettorali potrebbe sembrare un ben curioso calcolo di captazione del voto.
Promettere prelievi patrimoniali sulle proprietà immobiliari e sui conti correnti delle famiglie, nonché (oh, finalmente!) tagli feroci della spesa pubblica, uniti alle soluzioni più tipiche di welfare caritatevole, drasticamente alternativo alle politiche di piena occupazione, e conditi dalle immancabili riforme definitive della Costituzione in senso “liberale”, – in modo da ammantare prelievi e ferocia di una solenne legalità-, infatti, parrebbe in controtendenza clamorosa rispetto alle speranze e alle motivazioni di voto della schiacciante maggioranza degli italiani; ma, grazie al meccanismo della legge elettorale ed all’esistenza stessa, rectius all’accurata creazione, dei “3 poli”, non lo è.

6. Oggi un residuo lumicino di speranza per evitare tutto questo passa per una rigorosa rivendicazione della vostra autonomia di giudizio, per la libertà del vostro voto: per un no che, questa volta, non possa essere beffardamente vanificato.
Perché, come ormai dovreste aver imparato, un “no” non preceduto dal risveglio e dalla mobilitazione delle coscienze (p.2), dall’aver coltivato “lo spirito di scissione” gramsciano (inteso come chiara presa di distanza che non ammetta compromessi e paure), può sempre essere vanificato.
E questa con ogni probabilità potrebbe essere l’ultima volta che un “no” potrete ancora (utilmente per voi) esprimerlo. Almeno all’interno dei parametri democratici che, con eccessiva di prigrizia, si tende a dare per scontati.
E’ obbligo civile, e di legalità costituzionale, l’essere consapevoli che, questa volta, è veramente un’occasione finale. Com’è finale l’attacco del neo-liberismo globalista alle Costituzioni.

7. Non rimane, dunque, che fare la cronaca delle battute finali della “sceneggiatura” nel suo prossimo compimento, ricordandone le premesse strutturali:
“E quindi, come in Italia, si conferma che la “governabilità” (qui, pp. 2.1.4 e ss.) è una qualificazione di tipo tecnico-istituzionale che, se assunta come valore autosufficiente (cioè come indicatore di un’astratta funzionalità organizzativa che non si cura più del raggiungimento dei fini costituzionali dell’organizzazione stessa), finisce per assorbirne ogni altro, cioè per rendere irrilevante ogni contenuto e fine dell’indirizzo politico-elettorale.
Quest’ultimo, in teoria, dovrebbe risultare corrispondente alle esigenze che l’elettorato, ed anche la obiettiva realtà socio-economica, cercano di segnalare al sistema pseudo-rappresentativo dei partiti; ma, ci si accorge che, come giustamente, ha detto Draghi (ispirandosi a Friedman; qui, p.1, “addendum”), l’indirizzo politico è fissato da un “pilota automatico”.

Anzi, si potrebbe persino dire che l’apparente frammentazione partitica attuale sia un bene per il “governo dei mercati”: restituisce alle masse una sceneggiatura di contendibilità delle istituzioni (democratico-elettive) su varie, apparenti, versioni dell’indirizzo politico e così allontana la presa d’atto popolare sull’abolizione delle sovranità democratiche.
La sceneggiatura di una grande reality sedativo stile “Truman show”.
E dunque, aveva pienamente ragione Reichlin (qui, p.8.1.):
“I mercati governano, i tecnici gestiscono, i politici vanno in televisione”.
E questa è l’€uropa: ora più che mai.
Perché il problema di fondo rimane sempre questo:
“Se un “governo” sovranazionale free-trade non è strutturalmente idoneo ad autoriformarsi per via endogena (e le ragioni sono le stesse per cui i paesi non vincolati dalla bdp, cioè in surplus, non risultano praticamente mai, nella storia economica, aumentare le proprie importazioni e raggiungere il pieno impiego, cooperando spontaneamente a riequilibrare i saldi esteri e i livelli di occupazione dei paesi “vincolati”), ne deriva una struttura della massima rigidità.

E una tale struttura può solo collassare, escludendo, geneticamente, qualsiasi elasticità delle sue regole: se infatti fosse prevista una clausola di “elasticità”, la sua governance riterrebbe di perdere la “credibilità” necessaria per affermare i suoi fini naturali.
E in fondo, è ciò che ci va ripetendo, ogni volta che ne ha l’occasione, Mario Draghi.
Anzi, precisa che qualsiasi alternativa a tale rigidità istituzionale è “unrealistic”.

Quindi il destino delle masse €uropee è segnato”.

1551.- L’antifascismo psichiatrico pre-elettorale del cane di Pavlov

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di Roberto PECCHIOLI

Chi trova un nemico trova un tesoro. Rovesciando il detto popolare, questo ci sembra il commento più adatto all’ondata di antifascismo di ritorno che sta pervadendo l’Italia ufficiale. Colti di sorpresa da qualche inatteso successo elettorale “nemico”, nudi di fronte al loro fallimento politico, lorcompagni e l’esercito ausiliario progressista hanno trovato la soluzione, la solita: antifascismo, ancora antifascismo, ogni giorno di più, a dosi omeopatiche. E’ diventata una dipendenza e, come per gli alcolisti irrecuperabili, basta un solo bicchiere per ubriacarsi. In qualche caso, è sufficiente l’odore del vino. Il neo- antifascismo è ormai giunto a questo stadio penoso.

Ricorda assai il povero cane di Pavlov. Per dimostrare le sue teorie sui riflessi condizionati, lo scienziato russo del primo Novecento Ivan Pavlov realizzò un esperimento in cui ad un cane era offerto un succulento boccone di carne mentre un campanello veniva fatto suonare. Dopo varie ripetizioni, Pavlov dimostrò che il cane iniziava a produrre saliva già al trillo del campanello, prima cioè della comparsa del cibo. Lo stimolo condizionava, producendola, la risposta del cane, ovvero la salivazione che anticipava il piacere del boccone di carne. Siamo esattamente allo stesso punto: opportunamente attivate le aree neuronali dell’antifascista tipo, la risposta è immediata e scontata. Si manifesta attraverso l’immediato corrugamento della fronte, il linguaggio non verbale dell’indignazione a comando, poi in lunghe intemerate sul tema della democrazia violata, per sfociare in manifestazioni di moralismo politico da operetta, interrogazioni parlamentari, “spontanee” adunate di piazza, richiesta di “pene esemplari”, intimazione di escludere i reprobi dal consorzio umano.

Potremmo cavarcela affermando che si tratta di convulsioni, rigurgiti uguali e contrari a quelli di coloro che davvero pensassero di resuscitare il fascismo attraverso bandiere, simboli trapassati, abbigliamento o parole d’ordine del tipo di quelle di Catenacci, la macchietta neofascista di Alto Gradimento o di Fascisti su Marte di Corrado Guzzanti. Potremmo anche liquidare tutto come un caso di ubriachezza molesta di gruppo (ricordate il “botellòn”, la riunione del sabato in piazza dei giovani spagnoli per bere e sballare in branco?).

Temiamo che le cose stiano diversamente e che non regga del tutto neppure la spiegazione psicanalitica secondo cui l’antifascismo rappresenta la coperta di Linus (l’unica, l’autentica) delle sinistre. Per il personaggio di Peanuts, la coperta è un oggetto transizionale, ovvero quella cosa prediletta ed insostituibile scelta come sostituto simbolico della mamma. Linus recupera la sua serenità soltanto accanto all’amata coperta. In parte è così’, poiché il popolo progressista (qualunque cosa significhi il termine) perplesso, disilluso e scoraggiato si rianima ed insorge come un sol uomo alla semplice parola fascismo, anzi, all’apparire o balenare di qualunque cosa, simbolo, persona, allusione che richiami l’odiato, ma sepolto regime. Non serve neppure il suono del campanello perché scatti il riflesso, ma la sua semplice vista o evocazione. Pavlov aveva ragione e i cuochi del ristorante di sinistra lo sanno bene, apparecchiando la solita rancida minestra e trovando ancora commensali.

Ecco dunque le giornate intere a deprecare, le paginate di giornali, le pensose tirate televisive contro un gruppetto di stupidi ragazzini tifosi della Lazio (uno ha solo tredici anni, un bambino) che hanno travestito da romanista l’immagine di Anna Frank. Cretini insensati, figli di questo tempo senza ritegno, poiché la morte ingiusta di una ragazza di 16 anni non può essere oggetto di sfottò, lazzi o insulti tra tifoserie. Ma da qui a farne oggetto di terribili revival ideologici ce ne corre. Specialmente se passano inosservate le blasfemie quotidiane, l’ostentazione sfrontata di qualunque porcheria spacciata per liberazione, la bestemmia, l’esibizione di ogni vizio in nome della libertà.

Poi abbiamo avuto lo sdegno telecomandato per “l’irruzione” di un gruppo di giovani in un centro di aiuto agli immigrati. Meglio se avessero fatto altro, ma sono entrati da una porta aperta, hanno letto un loro documento, non hanno torto un capello a nessuno, né hanno danneggiato o asportato beni o suppellettili, quindi se ne sono andati. Esattamente come i gentili esponenti dei centri sociali, anzi i “ragazzi”, quando svolgono le loro attività ludiche, consistenti in genere in devastazioni, imbrattatura di muri, intimidazioni, insulti e cariche alle forze dell’ordine. Loro non fanno irruzione, bensì usano spazi dialettici di libertà.

L’ultima prodezza del cane di Pavlov è la segnalazione (la delazione, il dito accusatore puntato restano marchi di fabbrica indelebili di lorcompagni) di una bandiera nazista in una caserma dei Carabinieri. Si è mosso persino il ministro della Difesa, disinteressato a difendere le frontiere dalle invasioni di clandestini che arrivano dal mare e non solo. Donna Roberta Pinotti, ex girl scout di Genova Sampierdarena, ha promesso pene esemplari per il ventenne carabiniere, i telegiornali hanno aperto le loro edizioni con il terribile episodio (in Italia non succede mai nulla, non c’è corruzione, delinquenza, disoccupazione, degrado), convocando alla bisogna persino un superstite partigiano fiorentino, che ha definito “infame” l’accaduto.

Il problema è che quella bandiera è solo l’insegna di guerra della marina dell’Impero tedesco, detto anche Secondo Reich, anno 1871. Non sapevamo che Bismarck e l’imperatore Guglielmo II fossero vietati, ma evidentemente i nervi sono scossi e la cultura (di cui pure sono depositari esclusivi) non li soccorre. Un ultimo episodio tra i tanti: la richiesta di un consigliere municipale della Spezia di vietare e rimuovere ciò che riguarda la Decima Mas dal Museo Navale della città. Peccato che la Decima flottiglia abbia fatto parte della marina nazionale, che il museo sia dedicato ad una medaglia d’oro al valore militare, Mario Arillo, un ufficiale che si rifiutò di consegnare ai tedeschi il sommergibile che comandava ed ebbe un ruolo centrale nel convincere gli stessi, nel 1945, a non far esplodere le mine che avrebbero distrutto il porto di Genova, come gli riconobbe pubblicamente un giovane monsignore che sarebbe diventato il grande cardinale Siri. Ma tant’è, l’odore, anzi il fumo del fascismo avvolge tutto in un’atmosfera da incubi notturni: lavoro per il dottor Freud.

Ecco perché occorre porsi qualche domanda in più rispetto ad un fenomeno anacronistico, alimentato ad arte e con aspetti tragicomici. A noi sembra che il sistema di potere abbia bisogno, come in tutti i momenti di crisi, di un capro espiatorio. Il fascismo ed i neofascisti, veri o presunti fa lo stesso, rispondono egregiamente alla bisogna. Sono il nemico assoluto, i malvagi per definizione ufficiale ed indottrinamento coatto, sono pochi, deboli e dispersi. Splendide condizioni per fungere da nemico pubblico e ricompattare la folla dei buoni e dei giusti, i membri del gruppo.

Ne parlò con grande acutezza René Girard, antropologo e filosofo francese scomparso nel 2015, autore de La violenza e il sacro. Il capro espiatorio ha la funzione di restituire la comunità a se stessa: la folla si raccoglie unanime attorno alla vittima designata e la distrugge. L’eliminazione fa sfogare la violenza e la frenesia che era stata indotta ed ha un enorme impatto emotivo sulla comunità, il gruppo lacerato. La vittima è insieme responsabile della crisi ed insieme causa del miracolo della concordia ritrovata. La coazione a ripetere evoca la speranza che ogni volta si riproducano i taumaturgici effetti di sutura delle ferite sociali, e comunque sotto lo strato sottile della lotta contro il Male serve a suscitare e sublimare i più bassi sentimenti di violenza o vendetta della massa congregata.

Questa sembra essere il ruolo assegnato al fascismo fantasmatico da alcune menti pensanti (oggi si dice influencer) che lottano per riconquistare l’egemonia perduta sul pensiero comune. Sono ingegni finissimi a cui tuttavia è sfuggito di mano il presente. Essi sanno di aver perduto l’esclusiva, di non essere più in sintonia con lo spirito del popolo, temono di essere sorpassati dalla realtà. Fascista è per loro qualunque idea, persona, attitudine, discorso, sentimento che non coincida con la loro visione del mondo. Il fondo totalitario e poliziesco dell’animo loro si manifesta nell’imposizione del linguaggio politicamente corretto come nell’esigere leggi e sanzioni penali per chi non sia d’accordo con la vulgata “sinistra” sui temi che contano, con particolare riguardo alle questioni morali, etiche, identitarie, politiche e, innanzitutto sui due temi tabù della nuova narrazione: la santificazione dell’immigrazione e la promozione dell’omosessualismo.

I loro argomenti sono screditati e la gente comune – non a caso tacciata di “populismo” nonché di ignoranza – non li segue, nonostante l’immenso spiegamento di risorse mediatiche ed economiche. Serve un nemico, uno spauracchio, come ci vuole pane per gli affamati: niente di meglio dell’Uomo Nero, il cattivo ideale, valido per tutte le stagioni.

Hanno potere, fanno leggi sempre più repressive ma hanno bisogno di testarne l’esito a partire da quelle destinate a colpire il Capro Espiatorio più facile ed immediato. Di qui il tentativo (vedi legge Fiano) di proibire persino i calendari del deprecato ventennio, le immagini, ogni iconografia anche detenuta in privato. Se funziona, andranno avanti, e la repressione colpirà tanti altri soggetti, giacché il neo antifascismo psicanalitico e pavloviano non è che una “false flag”, un’operazione sotto falsa bandiera dietro la quale si nascondono operazioni di normalizzazione e divieto del dissenso assai più serie.

Adesso tocca ai fascisti, nessuno si lamenterà, anzi molti applaudiranno. Domani andranno a cercare altri non conformi. Abbiamo capito, però, e “benché il parlar sia indarno” rispondiamo ai cani di Pavlov rammentando loro un brano che dovrebbero apprezzare, pronunciato da un pastore protestante al tempo della Repubblica di Weimar ed attribuito erroneamente ad uno dei loro venerati maestri, Bertolt Brecht.

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare. “

Meditate, democratici, progressisti e cani di Pavlov, meditate. Con un po’ di impegno, potete farcela, passata la sbornia, esaurita la salivazione, scesi dal lettino dello psicanalista e pagata la parcella.

ROBERTO PECCHIOLI   

1514.- MA CHE FASCISMO E ANTIFASCISMO! QUESTA È UNA DITTATURA.

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Chi ha preso la gestione della Nazione vuole trasformare la campagna elettorale e la butta in caciara, rispolverando fascismo, antifascismo e comunismo, politicamente defunti; ma, peggio, incentiva un’altra guerra fratricida fra gli ignoranti e per seppellire ogni rigurgito d’italianità, ci ha invaso con milioni di barbari, che, dall’Italia degli italiani, vogliono solo il sangue e il sudore dei vivi, che cantano e ballano sul Sacrario dei Caduti. Vedo politici che non hanno mai, dico mai lavorato e poco hanno studiato, arricchirsi, mentre, sempre più poveri, ci avviciniamo al Natale.
Questi necrofori del popolo sviano la nostra attenzione ed eseguono la volontà dei loro padroni stranieri, invocando la perdita della nostra cittadinanza, ceduta insieme alla identità di valori della gente italica, sempre più vilipesi.
Hanno infiltrato e impostato la sinistra politica e sindacale per stroncare, poi, la destra con l’epiteto di fascista.
Non c’è destra e non c’è sinistra. C’è la dignità dei lavoratori: la Libertà; lavoratori privati del Lavoro e dello Stato sociale in nome di una falsa integrazione europea: falsa perché i salari, il welfare, l’assistenza ai poveri, quelli dei greci e presto anche degli italiani, non sono per niente quelli dei tedeschi.
L’architettura della Repubblica è fondata sul LAVORO e voleva essere fondata sulla PARTECIPAZIONE! Parliamo, perciò, dei LAVORATORI. Questa campagna elettorale è falsa perché la sua legge elettorale sarà dichiarata incostituzionale, ma dopo aver eletto un altro Parlamento illegittimo di gente scelta dai partiti del potere, che obbedirà al potere e non a noi elettori. Quindi, eleggerà altri presidenti e giudici illegittimi.
Questa non deve essere un’altra guerra politica fra antifascisti, comunisti e fascisti, come nel 1920 e dopo, negli anni 1943-1948. Mancano tutti i presupposti. Non ci sono le bande di assassini rossi o neri. Non ci sono giovani, nati durante il fascismo, difensori di quello Stato sociale che crebbe durante la dittatura, perché negli anni ’60 abbiamo fatto di meglio. Ma per poco! Una analogia, però, con quegli anni, c’è . I 2/3 dei partigiani erano rossi e volevano un’altra dittatura, rossa, ma dittatura. Oggi, quelli che si spacciano per partigiani accettano la dittatura di Bruxelles. Sono, INVECE, tutti rossi, ma, col cavolo che verrebbero con me in montagna a difendere la loro Repubblica! Stanno al caldo nelle loro case, riscuotono 4 milioni di contributi, fanno cene e cantano “Bella ciao”, i più furbi pensando alla greppia della politica.
Anche se non ha senso parlare di antifascismo e, poi, sposare una dittatura, siamo rimasti, sostanzialmente, a quegli anni, con una parte, senza né capo né coda, che chiede Libertà e una che vota, compatta, per una dittatura, ancora una volta filo tedesca, ma europea di nome, finanziaria di fatto. Chi paga è il popolo,la Nazione Italia invasa, spogliata e distrutta per la seconda e ultima volta dallo straniero.
Come sempre accade in queste sconfitte, c’è chi si vende e si ammanta del potere, si avvantaggia e si arricchisce con la fame degli altri.
Bando alla violenza e bandite i falsi!

1468.- Audizione dell’avv. Felice Besostri al Senato.

 

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Il Tribunale di Venezia – torniamo indietro con Formiche al 9 maggio 2014 – ha rinviato alla Corte Costituzionale la legge elettorale per le europee per soglia di sbarramento del 4%.

IL RICORSO

La decisione è stata assunta durante l’esame di un ricorso presentato dall’avvocato Felice Besostri, che già aveva impugnato il Porcellum, poi bocciato dalla Consulta. 

PARLA L’AVVOCATO BESOSTRI

“… avrei preferito che il quesito fosse sottoposto alla Corte di Giustizia della Ue, mentre l’esito è certo anche per i precedenti del Tribunale Costituzionale Federale tedesco”. L’avvocato Besostri commenta così la decisione del Tribunale, e aggiunge: “Le norme costituzionali sul diritto di voto sono uguali nella Costituzione tedesca (articolo 38) e italiana (articolo 48) e la giurisprudenza costituzionale tedesca in materia elettorale è un riferimento anche per la Consulta, che ne ha fatto uso nella sentenza sul Porcellum. …”

CHI E’ FELICE BESOSTRI

1969: Laurea in Diritto, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Diritto, Tesi «Il controllo materiale della costituzionalità sulle norme formalmente costituzionali nella Repubblica Federale Tedesca», voto finale 110/110 con lode. “Materia principalmente studiate: diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto internazionale, economia politica, storia del diritto”, si legge nella sua biografia.

LA BIOGRAFIA

Nato il 23 aprile 1944, dal 1993 ha la doppia nazionalità; italiana e svizzera. Avvocato amministrativista, docente di Diritto Pubblico Comparato a.a. 2005/2009, Commissione Affari Costituzionali Senato della Repubblica XIII Legislatura, Assemblea Parlamentare Consiglio d’Europa 1997/2001 (Commissione Giuridica dei Diritti dell’Uomo, Commissione Ambiente, sottocommissione selezione dei giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), ricorrente contro ammissione dei referendum elettorali e la legge elettorale per il Parlamento europeo, interveniente nei giudizi contro la legge elettorale per il Parlamento nazionale. Presidente Rete Socialista – Socialismo Europeo.

 

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Senato della Repubblica Prima Commisione

Audizione del 19 ottobre 2017

dell’on. avv. Felice C. Besostri,

coordinatore degli avvocati antitalikum

 

Ringrazio per la convocazione il Presidente della Commissione e per il Suo tramite il Senato della Repubblica, di cui ho fatto parte nella XIII legislatura e proprio di questa Commissione. Devo, peraltro, confessare che mi ha stupito notare che è stato fissato un termine per gli emendamenti per l’aula che scade prima di avere la certezza che la Prima Commissione ABBIA TERMINATO I SUOI LAVORI CON UN MANDATO AL RELATORE, come è già avvenuto per la legge n. 52/2015. Non è una procedura normale che non si esaurisca la fase referente, soprattutto quando contempla la congiunzione di altri dieci disegni di legge di iniziativa dei senatori che, evidentemente, non saranno esaminati; tra di essi, voglio segnalare ad esempio l’Atto Senato n. 2876, che propone un binominale di genere che non comporta alcuna criticità di ordine costituzionale.

Se si dà praticamente per scontato, magari consentendo al governo di porre la questione di fiducia, che la Commissione non possa o soprattutto non debba introdurre modifiche, penso che le opinioni degli esperti auditi non saranno proprio prese in considerazione. Tuttavia ritengo un dovere civico partecipare, perché è compito di ogni cittadino difendere la Costituzione e nella speranza che chi ha il compito e il dovere di decidere abbia lo scrupolo di riflettere sulle argomentazioni che svolgerò frigido pacatoque animo, cercando di separare l’animosità politica dall’onestà intellettuale e di non fare affermazioni delle quali non si sia convinti, soltanto per vis polemica.

 

Ritengo che:

– nel testo della proposta di legge in esame sussiste l’evidente lesione della libertà e personalità del voto dell’elettore in violazione dell’art. 48 Cost., la cui cogenza ha dato luogo alle declaratorie di incostituzionalità delle sentenze nn. 1/2014 e 35/2017, in quanto non è possibile votare per un candidato uninominale che si stima, se collegato ad una lista bloccata i cui candidati non siano assolutamente graditi e comunque tra i quali l’elettore non possa scegliere con un voto di preferenza. La scelta libera di votare per il miglior candidato non è assicurata, perché in caso di giudizio differente tra candidato uninominale e lista collegata la sola scelta obbligata è di non votare o di ripiegare su un voto che non costituisca la prima preferenza. L’obbligo di collegamento con una lista costituisce un limite: sia per un candidato uninominale, che pur ritenga di poter essere il più votato nel collegio, perché non può candidarsi se nessuna lista circoscrizionale è di suo gradimento ovvero nessuna lista circoscrizionale accetti di collegarsi; sia per una lista circoscrizionale, che non possa presentarsi per partecipare al recupero proporzionale se non ha o non trova un candidato uninominale disposto a collegarsi;

– vi è anche la violazione dell’art. 51 c. 1 e dell’art. 3 Cost. per il candidato e dell’art. 49 per la lista, in quanto la presentazione di liste è riservata dall’art. 14 dpr 361/1957 a partiti o gruppi politici organizzati. Se tale decisione non fosse libera – e pertanto impedisse di decidere di presentarsi solo nella parte maggioritaria o in quella proporzionale limitata ai collegi plurinominali – violerebbe l’art. 3 Cost. e l’art. 49 Cost., per il quale l’unico limite per concorrere a determinare la politica nazionale è quello di avvalersi del metodo democratico. Una serie di aggravamenti alla presentazione di liste di candidati, accompagnati da facilitazioni ed esenzioni, per esempio dalla raccolta delle firme, sono fatte per impedire il sorgere di nuovi soggetti politici, che possano competere in condizioni di eguaglianza. Quando questi ostacoli e facilitazioni sono posti dal Parlamento uscente, per di più eletto con una legge dichiarata successivamente incostituzionale, sono gravemente lesi i principi affermati in una sentenza della Corte di Giustizia Europea del 23 aprile 1986 Federazione dei Verdi v. Parlamento europeo. Se per candidarsi bisogna appartenere o essere graditi ad un partito politico, vi sarebbe violazione dell’art. 49 Cost. poiché esso garantisce a tutti i cittadini di associarsi liberamente in partiti (e non obbligatoriamente) se vogliono partecipare alle elezioni. Le probabilità di elezione sono alterate non dal consenso dei cittadini del collegio, ma dalle liste collegate;

– queste disposizioni violano gli artt. 48, 49, 51, 56 e 58 Cost. perché il voto non è personale, libero e diretto in quanto non si può scegliere il candidato causa l’assenza di preferenze o meccanismi equivalenti (quali la cancellatura di nomi di candidati) nelle liste proporzionali ovvero il solo candidato uninominale a causa del voto congiunto. Ciò, inoltre, insieme con le norme di presentazione delle liste, non consente a partiti o movimenti politici organizzati la scelta di come e dove presentarsi. Infine, non ci si può candidare in condizioni di eguaglianza quando si hanno liste bloccate e pluralità di candidature previste per alcune situazioni e non per altre. Ritengo censurabile che, per un formale omaggio alle “liste corte” (dando un’importanza eccessiva ad un passaggio discorsivo della sentenza n. 1/2014), il numero massimo dei candidati sia limitato a 4, anche quando il numero dei deputati assegnati sia di molto superiore. Il rischio di non avere candidati in numero sufficiente a coprire i seggi spettanti – anche a causa delle pluricandidature – aumenta il rischio di dover trasferire i voti ad altro collegio, secondo un sistema le cui norme hanno causato il noto pasticcio dell’art. 84 dpr 361/1957, come sostituito dal comma 28 dell’art. 1 del ddl in esame: pasticcio rimediato, una toppa al buco, con un coordinamento del testo, che non ha eliminato i dubbi perché a rigor di logica un voto per la parte proporzionale può soltanto in ultima, e non penultima, istanza trasferirsi su candidati uninominali. Occorreva cioè, ed occorre ancora, invertire l’ordine dei commi 6° e 7° del testo trasmesso al Senato.

 

L’esito del proprio voto libero, personale ed eguale in connessione alle soglie di accesso nazionali, rende impossibile fare una previsione degli effetti del proprio voto, specialmente se si esprime solo con un voto al candidato uninominale. Questa incertezza sull’effetto del proprio voto rende lo stesso non eguale, non libero e non personale. Poiché sono convinto che sui temi di carattere generale ci saranno interventi di colleghi ben più autorevoli di me, vorrei dedicarmi a norme speciali e di dettaglio cui si è prestata in generale, anche nel passato, poca attenzione. Non è un caso che delle norme speciali del Trentino-Alto Adige/Südtirol ci si occupa soltanto in modo specifico nel 23° ricorso antitalikum di imminente presentazione. In proposito rilevo che:

– l’art 1 c. 2 dispone «2. Il territorio nazionale è diviso nelle circoscrizioni elettorali indicate nella tabella A allegata al presente testo unico. Salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero e fermo restando quanto disposto dall’articolo 2, nelle circoscrizioni del territorio nazionale sono costituiti 231 collegi uninominali ripartiti in ciascuna circoscrizione sulla base della popolazione; le circoscrizioni Trentino-Alto Adige/Südtirol e Molise sono ripartite, rispettivamente, in sei e in due collegi uninominali indicati nella Tabella A.1.»;

– nella legge vigente per la Camera dei Deputati, approvata con legge n. 52/2015, alla stessa Regione erano attribuiti 11 deputati, dei quali 8 eletti in collegi uninominali e 3 di compensazione proporzionale con liste di candidati collegate ai candidati nei collegi uninominali. Poiché non ci sono stati altri censimenti generali della popolazione italiana dopo di quello 2011 – in base al quale, in applicazione dell’art. 56.3 Cost., spettavano complessivamente 11 deputati – ciò significa che con la nuova legge avremo 6 deputati eletti in collegi uninominali e 5 in liste proporzionali;

– nel territorio nazionale nel suo complesso il rapporto tra collegi uninominali e posti da assegnare con liste proporzionali è pari a 612:231=2, 64, cioè ad ogni seggio uninominale corrispondono in media 2,64 proporzionali. In altri termini, i seggi uninominali rappresentano il 37,74 del totale. Tale rapporto corrisponde grosso modo – in termini rovesciati – a quello della legge n. 52/2015 per la Regione Trentino–Alto Adige/Südtirol, in quanto 11:3=3,66. In termini percentuali i seggi proporzionali sono il 27,27 del totale. Viene mantenuta una specialità regionale in quanto il rapporto tra seggi totali e seggi uninominali è pari a 11:6=1,83 e rappresentano il 54,54% del totale. Il legislatore ha discrezionalità nella scelta del sistema elettorale, ma non oltre il limite dell’arbitrarietà. Una disparità di trattamento con il resto del territorio nazionale, come quella denunciata, è ingiustificabile e senza precedenti, ad eccezione della legge n. 52/2015, mai applicata e destinata a non esserlo se questa legge dovesse mai essere approvata. L’art. 3 Cost. dispone che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Il disegno di legge in esame, come altre leggi elettorali in precedenza, ha derogato alle norme comuni per le liste rappresentative di minoranze linguistiche in forza all’art. 83 dpr n. 361/1957, come modificato dall’art. 1 comma 25 della legge in esame; precisamente, ai sensi dell’art 83 co. 1 lett. b) numeri 1) e 2) rispettivamente per «le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 10 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano nazionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi ovvero una lista collegata rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute, presentata esclusivamente in una regione ad autonomia speciale il cui statuto o le relative nome di attuazione prevedano una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbia conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella regione medesima o i cui candidati siano stati proclamati eletti in almeno due collegi uninominali della circoscrizione ai sensi dell’articolo 77 del presente testo unico » e per « singole liste non collegate che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi e le singole liste non collegate rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una regione ad autonomia speciale il cui statuto o le relative nome di attuazione prevedano una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella regione medesima o i cui candidati siano stati proclamati eletti in almeno due collegi uninominali della circoscrizione ai sensi dell’articolo 77 del presente testo unico ».

Non vi è dubbio che la Regione T-A.A./S sia una regione a Statuto speciale, il cui Statuto prevede una particolare tutela delle minorane linguistiche, al pari di Friuli-Venezia Giulia e Val d’Aosta, mentre tali norme sono assenti nelle regioni a Statuto Speciale della Sicilia e, del tutto contraddittoriamente, della Sardegna, che pure ospita la più grande minoranza linguistica, tra quelle tutelate dalla legge n. 482/1999. Il testo proposto discrimina quindi pesantemente tra varie comunità linguistiche autoctone, introducendo irragionevolmente previsioni legislative grandemente diversificate tra gruppi linguistici legalmente riconosciuti, tutti posti sullo stesso piano dalla normativa costituzionale e ordinaria (artt. 2, 3, 6 Cost., art. 2 legge n. 482/99, legge di ratifica 28 agosto 1997 n. 302 della Convenzione-quadro di tutela delle minoranze nazionali) e dalla sent. Corte cost. n. 215/2013, applicando oltretutto un regime elettorale speciale, che sostanzialmente tutela specifici partiti politici nelle due Province Autonome di Trento e Bolzano più che le minoranze linguistiche neppure richiamate.

La norma generale sulle liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute avrebbe, quindi teorica applicazione nella sola regione Friuli-Venezia Giulia, che peraltro non tutela di fatto né la minoranza linguistica slovena (malgrado un’espressa previsione di legge, l’art. 26 della legge n. 38/2001), ma neppur quella più consistente friulanofona. I collegi uninominali del Trentino-Alto Adige/Südtirol e del Molise sono totalmente sottratti ai criteri generali, ma «Nelle circoscrizioni Trentino-Alto Adige/Südtirol e Molise sono costituiti, rispettivamente, sei e due collegi uninominali quali territorialmente definiti dal decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 535, recante determinazione dei collegi uninominali del Senato della Repubblica» perché «nelle altre circoscrizioni del territorio nazionale, di cui alla Tabella A allegata al decreto legislativo 30 marzo 1957, n. 361, come modificata dalla presente legge, i collegi uninominali sono ripartiti in numero proporzionale alla rispettiva popolazione determinata sulla base dei risultati dell’ultimo censimento generale della popolazione, come riportati dalla più recente pubblicazione ufficiale dell’Istituto nazionale di statistica» (art. 3 c. 1 lett. a) pdl in esame). Anche per i collegi – plurinominali nelle sopraddette regioni ex art. 3 c. 1 lett, b) del ddl in esame – si procede in deroga ai criteri generali: infatti « al Molise è assegnato un seggio da attribuire con metodo proporzionale ai sensi degli articoli 83 e 83-bis del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361» (un seggio non può essere attribuito con metodo proporzionale) in tutte le regioni con 7 seggi senatoriali ad esclusione del Friuli Venezia Giulia si procede in modo apparentemente analogo, poiché «Nelle circoscrizioni Trentino-Alto Adige/Südtirol, Umbria, Molise e Basilicata è costituito un unico collegio plurinominale comprensivo di tutti i collegi uninominali della circoscrizione;». Ma nel solo Trentino-Alto Adige/Südtirol il rapporto tra seggi uninominali e seggi proporzionali è alterato a favore degli uninominali;

– a causa delle norme speciali per il Trentino-Alto Adige/Südtirol le norme speciali uniformi per le liste rappresentative di minoranze linguistiche sono inapplicabili, perché in due Regioni a Statuto speciale non ci sono norme statutarie di tutela (pur in presenza di minoranze linguistiche) e in Val d’Aosta c’è un solo collegio uninominale. La normativa del tutto irragionevolmente discrimina tra le minoranze linguistiche, perché nessuna tutela è data agli occitani di Piemonte, agli albanesi di Calabria e ai grecanici di Puglia (pur più numerosi dei franco-provenzali della Valle d’Aosta, dei Ladini trentini e alto atesini e degli sloveni del Friuli-Venezia Giulia), per non parlare dei friulanofoni e dei sardi. Nella Provincia autonoma di Bolzano non vi è rispetto della pluralità linguistica e – all’interno delle comunità linguistiche – della pluralità politica come affermati nella misura n. 111 di attuazione del pacchetto per il Senato e nell’art. 47 c. 3 dello Statuto speciale regionale, norma di rango costituzionale. In violazione dell’art. 3 c. 1 Cost. le deroghe alla soglia nazionale del 3% non sono riconosciute alle liste rappresentative di interessi politici regionali senza connotazione linguistica.

Come in passato, di queste osserrvazioni non si potrà tenere conto, perchè una modifica imporrebbe il ritorno alla Camera dei Deputati per una doppia lettura conforme, come richiesto da un sistema parlamentare a bicameralismo paritario.

L’impossibilità di ribaltare l’esito referendario del 4 dicembre ha condotto alla Camera ad ignorare l’art. 72 c. 4 Cost. ammettendo un voto di fiducia, cioè una procedura speciale, in luogo di quella normale. Che si tratti di procedura speciale basta dedurlo dalla sua collocazione nella parte terza del Regolamento della Camera, come fatto rilevare dalla Presidente Iotti nel lontano 1980, in quello che fu chiamato “Lodo Iotti”, e come confermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 391/1995. La lettura dell’art. 116 Regolamento Camera fatta dalla Presidenza della Camera – basata sul non essere contemplate le leggi elettorali nell’elenco delle materie sulle quali non sia lecito apporre la fiducia ex art. 116 c. 4 dello stesso Regolamento – prova troppo, perché in tale elenco non sono comprese le leggi costituzionali; quindi, se non è vietato porre la fiducia sulle leggi elettorali, logica vorrebbe che non sia vietato porla anche sulle leggi in materia costituzionale: una manna dal cielo per un Parlamento eletto con una legge incostituzionale.

Tuttavia una tale interpretazione non potrà darsi al Senato, perchè proprio in quest’aula l’allora Presidente del Consiglio ha dichiarato tra l’altro: «Il punto vero però è che le riforme costituzionali non fanno mettere la fiducia [grassetto nostro], ma hanno restituito fiducia agli italiani» (Legislatura 17ª – Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 563 del 20/01/2016).

La presidente nella Camera non ha citato l’unico precedente di voto di fiducia con questa Costituzione (l’altro risaliva al 1923 con la legge Acerbo, che pur tuttavia consentì l’elezione di due personaggi che hanno illustrato la storia del nostro Parlamento, Giacomo Matteotti del PSU e Antonio Gramsci del PCdI, grazie ai voti di preferenza, banditi da questo ddl). Ci si riferisce, per gli immemori, alla vicenda che si concluse nella Domenica delle Palme del 1953, vicenda apertasi quando – con un accorato discorso, in cui aveva ricordato che alla Camera si era discusso in 57 sedute, con un totale di 340 ore di discussione, e che il Senato si era preparato al dibattito conclusivo con 42 sedute della competente Commissione, altri tempi! – il Presidente del Consiglio di allora ALCIDE DE GASPERI, non Paolo Gentiloni, pose la fiducia.

Il Presidente del Senato di allora, Giuseppe Paratore – un giurista siciliano, come il Presidente Grasso – fece inserire nel processo verbale “PRESIDENTE. Quindi questo non rappresenta un precedente.” (seduta del 24 marzo 1953). Quello che non richiamò la presidenza della Camera, non potrà certo richiamare la Presidenza del Senato, nella denegata ipotesi che il governo ponga la questione di fiducia anche al Senato, fatto inconcepibile anche a prescindere dall’art. 72 c. 4 Cost.. Se pone la fiducia significa che ritiene l’approvazione necessaria o indispensabile per l’attuazione del suo programma, ma di questo non c’è traccia scritta, semmai si rinvengono affermazioni in senso contrario. I metodi di propria elezione riguardano il Parlamento, non un altro organo. Nella forma di governo Parlamentare la fiducia al governo è stata data dalle due Camere ed è presunta fino a che non fosse presentata una mozione di sfiducia, che purtroppo non è ancora costruttiva come in Germania Federale. La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione. NON RISULTA CHE CI SIA UNA MOZIONE DI SFIDUCIA, quindi porla è un abuso, cioè è un messaggio contrario: “caro Parlamento ti chiedo la fiducia per dimostrare che ho la tua fiducia, cioè che tu hai la mia fiducia, altrimenti chiedo lo scioglimento anticipato e vi punisco facendo votare con il Consultellum, cioè senza garanzia di rielezione”.

Una tale imposizione richiederebbe una sola risposta individuale basata sul NON PRECEDENTE PARATORE: ma questa è una questione di coscienza e non giuridica e quindi esula dal mio compito ricordare quale debba essere.

La violazione di norme costituzionali attraverso interpretazioni creative delle norme regolamentari non è più tuttavia, a mio parere, senza rimedi a disposizione dei parlamentari, i cui diritti siano stati compressi. Sono note le tradizionali conclusioni – desunte da un’interpretazione estensiva dell’ordinanza 14 aprile 2000, n. 101 – sulla non configurabilità del conflitto infra-organico nel nostro ordinamento di giustizia costituzionale: ma quella stessa ordinanza, pronunciata in tema di prerogative parlamentari, si limitava ad avvertire che “il giudizio per conflitto di attribuzione non può essere usato quale strumento generale di tutela dei diritti costituzionali, ulteriore rispetto a quelli offerti dal sistema giurisdizionale” (sottolineatura aggiunta), e non superava affatto la riserva già precedentemente espressa dalla Corte costituzionale nell’ordinanza 20 maggio 1998, n. 177, ove si lasciava “impregiudicata la questione se in altre questioni siano configurabili attribuzioni individuali di potere costituzionale, per la cui tutela il singolo parlamentare sia legittimato a ricorrere allo strumento del conflitto tra i poteri dello Stato[1]. Più recentemente e circostanziatamente, è stato notato che, se tale violazione avviene “in relazione a diritti sostanzialmente collegati all’esercizio della funzione rappresentativa (a diritti che hanno perciò fondamento costituzionale, l’efficacia dei quali non è circoscritta al Parlamento ma si espande nell’intero ordinamento), il sacrificio che eventualmente dovesse derivarne ad opera del Presidente d’Assemblea non potrebbe restare senza rimedio. […] Giudice «naturale» rispetto alle violazioni di diritti che si sono appena prospettate dovrebbe essere la Corte costituzionale, adita dal parlamentare attraverso la strada del conflitto d’attribuzioni sollevato contro la camera d’appartenenza” (Zanon, Il libero mandato parlamentare, Milano 1991, 311-312).

Una strada finora non percorsa, che resta a disposizione come monito, per evitare anche che la questione sia posta troppo tardi, attraverso il controllo incidentale di costituzionalità. La via ordinaria potrebbe giungere all’attenzione della Corte costituzionale, come si dice in Toscana, “a babbo morto”, cioè ad elezioni già celebrate, con le paradossali conclusioni della sentenza n. 1/2014. Certamente se la Consulta, visti i risultati, facesse retroagire gli effetti della sua decisione, alla convalida piuttosto che alla proclamazione degli eletti, l’effetto paradossale sarebbe mitigato. Sarebbe anche evitato lo scandalo dell’applicazione di una legge, come la n. 270/2005, anche in epoca successiva alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza n. 1/2014, quando si sono operate surroghe di parlamentari eletti grazie al premio di maggioranza dichiarato incostituzionale.

Al mancato completamento dell’iter del disegno di legge Atto Senato n. 2941 e connessi si può porre rimedio, in accoglimento del paragrafo 15.2 del Considerato in diritto della sentenza n. 35/2017, con l’approvazione di poche norme di armonizzazione, consistenti:

  • nell’abrogazione del premio di maggioranza previsto per la Camera;
  • nell’abrogazione delle coalizioni al Senato e nel ripristino per entrambe le Camere dell’articolo 14-bis del dpr n. 361/1957 nel testo precedente alla sostituzione operata con la legge n. 52/2015, eliminando il riferimento al capo della coalizione come richiesto dal Presidente emerito Giorgio Napolitano;
  • armonizzando le soglie di accesso del Senato con quelle della Camera;
  • introducendo la doppia preferenza di genere anche per il Senato;
  • eventualmente introducendo circoscrizioni subregionali per quelle più popolose, al fine di aumentare la conoscibilità dei candidati.

 

Felice C. Besostri

[1] D’altra parte, già lo Jellinek sosteneva: “I così detti diritti dei deputati quali membri della Camera non sono pretese giuridiche individuali, ma competenze di organi statali. Le norme che si riferiscono alle votazioni, alla partecipazione alle sedute, alla presentazione di proposte e di interpellanze, alla nomina del Presidente, dell’Ufficio di Presidenza, delle Giunte e dei Comitati della Camera, sono parti integranti delle norme sulla organizzazione dello Stato […]. La loro violazione non sarebbe perciò violazione di un diritto subbiettivo, ma infrazione di una norma giuridica, offesa allo Stato nel suo ordinamento, non offesa ad un individuo”: Jellinek, Sistema dei diritti pubblici subbiettivi, Milano, 1912, 185-186.

 

1467.- Incontro-dibattito con Lorenza Carlassare e Felice Besostri

Pubblicato il 19 ott 2017

“Quale legge elettorale per quale rappresentanza ?” Incontro-dibattito con Lorenza Carlassare e Felice Besostri tenuto a Padova il 18 Ottobre 2017

Trascrizione dell’intervento della Professoressa Carlassare alla conferenza del 18/10/2017 con l’avv. Besostri in sala Paladin a Padova.

 

[Giuliana Beltrame]..ecco io chiederei alla professoressa Carlassare di introdurci proprio che cosa vuol dire rappresentanza che cosa vuol dire governabilità che cosa vuol dire non poter avere un parlamento che rappresenti effettivamente la realtà variegata del paese.

 

[Lorenza Carlassare]

In questi anni governabilità è parola che sentiamo ripetere continuamente, sembra proprio l’apice di tutti i desideri, la cosa più straordinaria . Vorrei però chiarire cosa vuol dire governabilità perché nella testa di chi usa questa parola sta a significare che si governa facilmente, senza ostacoli e fastidi: già questo mi piace poco perché in una democrazia costituzionale gli ostacoli devono esserci perché è costruita apposta per impedire alla maggioranza di fare tutto quello che vuole.

 

Quindi intendiamoci.

 

Secondo punto molto più modesto: ma è proprio vero che queste leggi garantiscono la governabilità? guardate ,sono anni   che lo si diceva nel maggioritario :”col maggioritario

si garantisce la governabilità” . Il problema principale però è che i nostri politici confondono due cose assolutamente diverse, la governabilità con la stabilità , cioè con la durata del governo: ma se dura e non riesce a fare niente?

Basta ricordare la fine del governo Berlusconi, è durato un sacco di tempo e non si sapeva come costringerlo ad andarsene, ricordo tutti i giornali che dicevano come si può fare a farlo finire . Era una agonia lentissima, ma i numeri in parlamento non consentivano di sfiduciarlo . Non si riusciva a mandarlo a casa: un bel lavoro!

Ma quella è governabilità o è disgrazia? Francamente, voglio dire, il fatto che un governo si prolunghi nel tempo non serve a nulla se non è efficiente. Inoltre non mi piace la parola, perché come ha detto Zagrebelsky , governabilità in realtà vuol dire che siamo governabili perché la governabilità si riferisce a noi: cosa siamo, pecore governate ?

 

Comunque la governabilità non è nemmeno un valore costituzionale : la stessa Corte costituzionale quando ha annullato quella legge elettorale orribile con la sentenza numero 1 del 2014, ha detto che la governabilità è un valore importante che ha il suo pregio ma non ha nessuna possibilità di essere messa a raffronto con la rappresentanza, che è costituzionalmente necessaria; quindi quello che può facilitare la governabilità può essere apprezzabile, ma non se lo fa a scapito della rappresentanza. Non sono due valori sullo stesso piano.

Allora la rappresentanza che cos’è ?

Io volevo ricordare appunto che cosa dice la costituzione, qual è l’idea nella costituzione: non ripeto sempre l’articolo 1 che dice che la sovranità appartiene al popolo perché ve l’ho detto troppe volte. Appartiene vuol dire che   non la dà ad altri quando volta, lì resta e se la tiene.

 

Ma come la esercita e qui è il problema.

 

Sottolineo che la costituzione, dopo aver detto che la sovranità appartiene al popolo, quando introduce un principio meraviglioso che ricordiamo sempre, l’uguaglianza sostanziale all’articolo 3 secondo comma dice “ è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli. Gli ostacoli che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono la partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica sociale economica del paese”.

 

Quindi l’idea dei costituenti è che ci fosse un rapporto stretto fra istituzioni e cittadini i quali appunto in questo senso devono tutti  poter partecipare.

 

In più quando parla dei partiti ,all’articolo 49, dice appunto che ” Tutti i cittadini sono liberi di associarsi in partiti per concorrere con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale”. Il soggetto della proposizione non sono i patiti, ma i cittadini : i partiti sono lo strumento attraverso il quale i cittadini tutti concorrono a determinare la politica nazionale.

 

Ma è una partecipazione che già la struttura dei partiti ci impedisce completamente e allora vorrei dire che noi ci siamo allontanati del tutto dal disegno della Costituzione.

A proposito di governabilità mi viene in mente che in Assemblea Costituente Mortati, già in Commissione, aveva proposto di costituzionalizzare il principio della rappresentanza proporzionale che non passò perché si ritenne preferibile lasciare la materia alla legge ordinaria e   non per contrarietà al principio proporzionale, tanto è vero che poi fu approvato un ordine del giorno che lo contiene “ l’ Assemblea Costituente ritiene che l’elezione alla Camera dei deputai debba avvenire secondo il sistema proporzionale”.

Ma ,a parte il discorso del proporzionale,   il punto che volevo sottolineare era la ragione per cui Mortati voleva la proporzionale: non solo “perché costituisce un freno allo strapotere della maggioranza e influisce anche in senso positivo alla stabilità governativa” .

E’ strano, sembrerebbe il rovescio di quello che si dice , invece ha il suo senso:

C’è stato anche un lavoro molto importante di uno studioso straniero che ha messo vicino tutti i sistemi elettorali dei vari paesi : quando si è radicalizzata la lotta tra due, se il bipartitismo si afferma davvero, che cosa succede? come si compongono poi i conflitti se scattano? Chi sarà in grado di formare un nuovo governo ? L’unica via è sciogliere camera e andare a nuove elezioni, è difficile costruire un nuovo governo con due poli fortemente segnati. Invece col proporzionale ci sono tante voci, partiti minori che possono aggragarsi ai maggiori: pensate alla Democrazia Cristiana, sono stati stabilissimi i governi da noi. Tutti dicono i governi cadevano sempre,

non cadevano mai in realtà, perché erano sempre le stesse persone che giravano, uno dal ministero della marina andava l’agricoltura, ma questo era perché la presenza possibile di partiti minori che si aggregavano lasciava molti margini per ricostituire un governo che poi funzionasse; perché in sostanza quelle piccole variazioni erano interessanti perché significavano piccole svolte quando la democrazia cristiana si alleava con un partito di sinistra o di centro sinistra, cosa vuol dire? che la sua politica andava un po di più in quella direzione.

 

Quindi c’erano anche delle variazioni che in parte seguivano anche quelli che erano i movimenti dell’opinione pubblica, che devono essere registrati .

 

Quindi Mortati era favorevole anche per la stabilità governativa.

 

Non vorrei parlare troppo Dico un’ultima cosa che mi pare abbastanza importante.

Qui ve ne parlerà meglio l’avvocato Besostri perché io con i numeri farei una confusione terribile.

Qualcuno dice è vero che i candidati della parte proporzionale sono bloccati, cioè li hanno scelti le segreterie dei partiti, però c’è l’altra parte eletta nei collegi uninominali, in cui l’elettore vota il candidato e sceglie.

Questa è un discorso che non posso sopportare: ma cosa sceglie ?

Anche in passato, chi vota a sinistra, se non gli piace il candidato che ha messo la sinistra cosa fa? vota a destra ? che scelta è? Solo quella di non votare.

Se c’è un solo candidato e il partito che preferisci presenta un candidato impresentabile ,cosa fai ? Non voti , perché non è pensabile che voti per l’altro che appartiene una parte politica che hai sempre avversato.

E’un falso discorso quello della scelta; o meglio può valere in altri sistemi politici, meno ideologizzati, con una conflittualità sociale molto minore, e allora se siamo tutti simili posso anche spostarmi. Ma l’Italia, grazie a dio, conserva ancora un buon tasso di ideologizzazione anche se molto minore (perché i partiti stessi non l’hanno più) e già questa è una forte remora perché è impossibile passare da una parte all’altra. certo i politici lo fanno spesso, passano con tranquillità da una parte all’altra ormai per loro la politica è un mestiere) ma per un cittadino che ha dei pensieri politici, che vorrebbe un determinato progetto di società, non lo fa volentieri.. .e quindi non vota. Non è vero che i collegi uninominali consentono all’elettore   una scelta, io questo non l’ho mai creduto e lo credo ancora meno.

 

In realtà sono tutti i modi per mascherare una cosa che non vogliono che emerga : il conflitto sociale. In pratica non si vuole che ci sia in parlamento una rappresentanza di forze che non sono   dentro il sistema di potere. Forze che rappresentano esigenze e interessi di chi è rimasto ai margini non debbono avere voce.. Gli stessi operai oggi sono ai margini, chi li rappresenta in parlamento?

Mi domando, il lavoro, chi lo rappresenta in parlamento? Nessuno.

 

Allora, tutti quei meccanismi elettorali che ci impongono, sono fatti per toglierci voce e per non far arrivare nelle istituzioni il conflitto sociale. Era la stessa cosa , come ho ricordato altre volte, che Gobetti rimproverava, all’inizio, a Mussolini, di voler celare il conflitto sociale, di non consentire che arrivi nelle istituzioni. E mi pare sia una tendenza purtroppo abbastanza diffusa.

Comunque la nostra voce non piace, che i cittadini abbiano un margine di scelta disturba terribilmente il potere, se potessero farebbero a meno di noi.

 

1460.- Porre la fiducia sull’approvazione di una legge elettorale è un atto eversivo.

 

Schermata 2017-10-10 alle 21.05.15.pngVeda, senatrice Finocchiaro, illegittima, lei si è prestata a un atto eversivo, in violazione della Costituzione e a nulla è valso che tenesse la testa bassa!

L’art. 72 della costituzione cosa dice? è l’articolo che disciplina le modalità attraverso le quali i disegni di legge vengono approvati in Parlamento e recita:.

Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale.
Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l’urgenza(.
Può altresì stabilire in quali casi e forme l’esame e l’approvazione dei disegni di legge sono deferiti a commissioni, anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Anche in tali casi, fino al momento della sua approvazione definitiva, il disegno di legge è rimesso alla Camera, se il Governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto della commissione richiedono che sia discusso o votato dalla Camera stessa oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale con sole dichiarazioni di voto. Il regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle commissioni.
La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi.

Ripeto: La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale…   Quindi, L’Assemblea costituente ha stabilito le modalità di esame ed approvazione delle leggi. In particolare, ha ammesso procedimenti più snelli per consentire al Parlamento di operare più agevolmente, ma ha riservato l’iter ordinario (più complesso e lungo) a determinate materie, ritenute più importanti, come, appunto, quelle costituzionale ed elettorale, che sono riservate all’assemblea, non possono essere discusse da una commissione. “Adottare la procedura normale”, significa che non si procede con voti di fiducia!

Per inciso, le modifiche presentate da Finocchiaro – Calderoli alla proposta di legge costituzionale bocciata dal referendum, non mettevano in discussione e ribadivano la esclusione dei procedimenti di approvazione più snelli proprio anche per la materia elettorale.

A proposito di fiducia e di regole infrante, per il Rosatellum bis, la fiducia è stata chiesta sei volte.

Se l’art. 72, 4° comma della Costituzione può essere violato platealmente e impunemente e, se il Presidente della Repubblica non farà uso del suo potere di rinvio e promulgherà questa ennesima legge elettorale incostituzionale, saremo messi di fronte a un atto eversivo, l’ennesimo, da quando il PD è al governo e, meglio, da quando Aldo Moro fu assassinato.

Esaminiamo insieme  l’art. 72, 4° comma della Costituzione e gli articoli 49 e 116 del Regolamento della Camera.

L’art. 72 della Costituzione prevede che per l’approvazione delle leggi elettorali si adotti la “procedura normale”, e non si chieda il voto di fiducia.

L’art. 49, 1° comma, del Regolamento della Camera sancisce che “la questione di fiducia non può essere posta su […] tutti quegli argomenti per i quali il Regolamento prescrive il voto per alzata di mano o il voto segreto” e l’art. 116, 4° comma, del Regolamento della Camera stabilisce che “sono effettuate a scrutinio segreto le votazioni riguardanti […] leggi ordinarie relative agli organi costituzionali dello Stato (Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo, Corte costituzionale) e agli organi delle regioni, nonché sulle leggi elettorali”.
art. 49 del regolamento della Camera:
art.-49-regolamento-della-Camera
art. 116 del regolamento della Camera:
art-116-regolamento-Camera-1
185108939-fd4cc987-ab50-4b8c-8055-0ca87eeb1593
Bagarre di ieri e di oggi. Ma siamo allo stadio o in Parlamento?
Infine, mi chiedo: Se la votazione finale è stata e deve essere segreta, se, in base al regolamento di Montecitorio, essa non può essere ‘blindata’ con la fiducia, perché per l’approvazione degli articole 1, 2, 3 del Rosatellum bis (nome cretino) sono stati violati gli art. 72, 4° comma della Costituzione e 49 e 116 dei Regolamento della Camera?
Riguardo a quanto è avvenuto in Parlamento in questi giorni, si è trattato di una riedizione peggiorativa di quanto già avvenuto con i tre voti di fiducia, precisamente, sugli articoli 1, 2 e 4 dell’Italicum, chiesti, quella volta, dal Ministro per le Riforme (!) Maria Elena Boschi.
Anche allora le pregiudiziali di costituzionalità furono superate senza troppi affanni e anche allora ci fu bagarre in aula dopo la decisione di porre la questione di fiducia su una legge elettorale. Anche allora la Presidente della Camera stizzì.
In quella occasione, Renzi ribadì così la sua posizione: “Non c’è cosa più democratica di mettere la fiducia: se passa, il governo va avanti altrimenti va a casa. Cosa c’è di più democratico di chi rischia per le proprie idee. E’ tempo del coraggio non di rimanere attaccati alla poltrona”. Infatti, il 4 dicembre è stata la poltrona a restare attaccata a lui.
Noi italiani non sappiamo che farne delle bagarre, delle reazioni durissime da parte delle opposizioni, dei terremoti all’interno del Partito democratico e delle bizze di una parvenue della politica.
A parte tutte le considerazioni di carattere politico ed etico, qualcuno dovrebbe farlo notare alla Presidente della Camera e al Presidente della Repubblica, e a tutti i Parlamentari che si stanno agitando per essere rieletti e continuare nella loro meravigliosa gita scolastica a Roma.

 Commenti dal WEB

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Cosa dice Bruxelles

Dopo tre anni dalla Sentenza della Corte Costituzionale N°. 1/2014 che ha dichiarato l’incostituzionalità del Porcellum, il Parlamento illegittimo ha partorito grazie ai voti di fiducia l’ennesima legge elettorale incostituzionale e IN APERTA VIOLAZIONE DEL “CODICE DI BUONA CONDOTTA IN MATERIA ELETTORALE” approvato dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa. Infatti l’articolo 2b, delle “condizioni per l’attuazione dei principi” delle “linee guida” del sopracitato Codice, recita: “GLI ELEMENTI FONDAMENTALI DEL DIRITTO ELETTORALE, ed in particolare del sistema elettorale propriamente detto, la composizione delle commissioni elettorali e la suddivisione delle circoscrizioni, NON DEVONO POTER ESSERE MODIFICATI NELL’ANNO CHE PRECEDE L’ELEZIONE”.

Lo scopo di questa regola è chiarito dagli articoli 63, 64 e 65 del “rapporto esplicativo” delle “linee guida” del suddetto Codice, i quali recitano: “LA STABILITÀ DEL DIRITTO è un elemento importante per la credibilità di un processo elettorale, ed è essa stessa essenziale al consolidamento della democrazia. Infatti, se le norme cambiano spesso, l’elettore può essere disorientato a tal punto che potrebbe pensare, che IL DIRITTO ELETTORALE SIA UNO STRUMENTO MANOVRATO A PROPRIO BENEFICIO DA CHI DETIENE IL POTERE, e che il voto dell’elettore non è di conseguenza l’elemento che decide il risultato dello scrutinio. E’ opportuno EVITARE LE MANIPOLAZIONI IN FAVORE DEL PARTITO AL POTERE ED UNA REVISIONE CHE INTERVIENE POCO PRIMA DELLO SCRUTINIO (MENO DI UN ANNO). Questa apparirà in tal caso come legata ad interessi di partito”.

Aggiungo che approvando una modifica della legge elettorale poco prima delle elezioni, L’ITALIA SUBIRA’ SICURAMENTE UNA GRAVE CONDANNA DALL’UNIONE EUROPEA, come è già successo alla Bulgaria per lo stesso motivo.

Per visionare il sopracitato “Codice di Buona Condotta in Materia Elettorale” copiate ed incollate nella barra degli indirizzi del vostro browser, il seguente link: http://www.venice.coe.int/docs/2002/CDL-AD(2002)023rev-ita.pdf

 

1454.- Se i guardiani della Carta sono distratti

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Una legge legge elettorale approvata con sei fiducie non è una legge, ma uno strumento per soddisfare vergognosi interessi partitici o peggio ancora dei cui prodezze e, comunque, di chi l’ha presentata, di chi l’ha votata, di chi la promulgherà e degli ipocriti usciti dall’Aula per non votargli contro, come i paladini del cavolo di FI e Lega.

Massimo Villone Il Manifesto, 11 ottobre 2017

E siamo a sei. La legge elettorale della XVII legislatura rimarrà nella storia come la legge delle sei fiducie, dal momento che alle tre di oggi si aggiungono quelle sulla mostruosità nota come Italicum. Per decenni la prassi della Costituzione repubblicana aveva ritenuto che non fosse possibile metterla. Si citava un solo lontano caso, già riportato su queste pagine, che non doveva ritenersi precedente. Ora, invece, in fine di legislatura, un governo debole, dalla maggioranza incerta, che esiste per i numeri parlamentari drogati da una legge elettorale dichiarata incostituzionale, mette la fiducia su qualcosa che non è nel suo programma, e che lo stesso premier aveva dichiarato non essere nell’attenzione dell’esecutivo. Il ricatto può essere l’unica motivazione.

Si è sentito dichiarare che le fiducie sono necessarie per evitare il Vietnam parlamentare. Ma il punto vero è che sarebbe indispensabile fare una legge elettorale tale da non generare quel Vietnam. Che favorisse il consolidamento del sistema politico, e la ricostruzione di soggetti politici solidamente strutturati e fortemente radicati. Se la legge di cui si discute facesse questo, potremmo forse ritenere le fiducie un male necessario. Ma non è così. E allora sono solo una forzatura inaccettabile del regolamento parlamentare sul voto segreto, e della stessa Costituzione.

Basta pensare alla mostruosità delle micro-liste dell’1%, che portano voti senza acquisire seggi. La previsione che ci siano ha già fatto comparire nei sondaggi del lunedì la lista animalista di Michela Brambilla, data a quanto pare all’l,5%. E possiamo immaginare che altri seguiranno a frotte, come le elezioni regionali e locali ci hanno da tempo insegnato. Ricordiamo, per amore della storia, che la Corte costituzionale nella sua – pur debole – giurisprudenza, aveva argomentato che a un incentivo maggioritario si può aggiungere una soglia di sbarramento perché la semplificazione del sistema politico aiuta la governabilità. Ma che dire di una legge che usa le soglie in modo tale da aumentare la frammentazione? Che differenza fa se poi i numeri parlamentari non la riflettono, se si produce nel sistema politico del paese e la si rende elettoralmente utile con la previsione di coalizioni?

Poi, l’unico voto su maggioritario e proporzionale. È ben vero che la Corte costituzionale aveva assolto sia le candidature maggioritarie di collegio, sia il voto bloccato, purché non per tutti i parlamentari e su liste brevi. In tal modo l’elettore poteva conoscere i candidati. Ma il voto è libero se chi vota può scegliere di essere rappresentato da Mario o Rosaria, da Giuseppe o Serena. Con il voto disgiunto tra maggioritario e proporzionale questo sarebbe almeno in parte possibile, sulla candidatura uninominale di collegio o sul pacchetto di nomi del proporzionale. Con il voto unico, invece, l’offerta è chiusa: per tutti, prendere o lasciare. Ed è quella determinata dai partiti, nei modi che sceglieranno i partiti. E che libertà è?

Il Rosatellum 2.0 è un testo che forse si conforma alla giurisprudenza della Corte costituzionale per il profilo strettamente formale, ma ne tradisce lo spirito e il senso. La Corte ha peccato per una troppo generica definizione dei principi essenziali e una troppo ampia concessione di potere discrezionale al legislatore. Ma ha pur sempre cercato di ritrovare i fondamenti della democrazia rappresentativa e del voto libero e uguale.

Doveva avere più coraggio, certo. Ma qualcosa ha detto, e un legislatore non dimentico della propria dignità avrebbe potuto e dovuto cogliere i giusti segnali.

Invece, perché nasce il Rosatellum 2.0, chi guadagna e chi perde, è stato detto fino alla noia. Non ci illudiamo che verranno ostacoli da parte di un Quirinale troppo spaventato dalla possibilità di leggi diverse tra le due camere, e attento a sollecitare ampi consensi quando sa bene che non ci sono. Né ci illudiamo che sia efficace un nuovo attacco giudiziario.

Secondo i manuali i guardiani della Costituzione sono – in modi diversi – due: il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Se entrambi sono distratti o inerti, deve scendere in campo la squadra dei veri titolari: i cittadini della Repubblica. Le prossime elezioni ci diranno se dobbiamo riscrivere i manuali, o se una nota a piè di pagina basterà per la XVII legislatura.