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6218.- Presidente Meloni, Piano Mattei

Presidente, grazie.

Meloni in Libia, patto con Haftar: lotta senza tregua ai trafficanti di esseri umani

Da Il Secolo d’Italia del 7 Mag 2024 – di Redazione

Meloni Haftar


Una missione a tutto campo, quella della Meloni in Libia – accompagnata dai ministri dell’Università e Ricerca, Anna Maria Bernini, della Salute, Orazio Schillaci, e per lo Sport e i Giovani,Andrea Abodi – sotto il profilo geo-politico e della cooperazione internazionale. Il Presidente del Consiglio, in visita oggi a Tripoli, ha incontrato il Presidente del Consiglio Presidenziale Al-Menfi e il Primo Ministro del Governo di Unità Nazionale libico, Dabaiba. Al termine dell’incontro sono state firmate delle dichiarazioni di intenti in materia di cooperazione universitaria e ricerca, salute, sport e giovani nella cornice del Piano Mattei per l’Africa.

Meloni in Libia: i bilaterali con Dabaiba e Haftar

Il Presidente Meloni, come rendono noto fonti di Palazzo Chigi, ha ribadito l’impegno a lavorare con la Libia in tutti gli ambiti di interesse comune, attraverso un partenariato su base paritaria fondato su progetti concreti. In particolare nel settore energetico e infrastrutturale. Al fine di approfondire ulteriormente le opportunità di investimenti, nel corso del colloquio – sottolineano le stesse fonti – il Presidente Meloni e il Primo Ministro Dabaiba hanno deciso di organizzare un business forum italo-libico entro la fine dell’anno.

La cooperazione tra Libia e Unione Europea

Non solo. Con i suoi interlocutori, il Presidente del Consiglio ha discusso anche dell’importanza di indire le elezioni libiche presidenziali e parlamentari, nel quadro della mediazione delle Nazioni Unite che va rilanciata. L’Italia, in tal senso, continuerà a lavorare per assicurare una maggiore unità di intenti della Comunità internazionale. E per promuovere la cooperazione tra Libia e Unione Europea.

Meloni e Haftar sulla ricostruzione di Derna, le iniziative sull’agricoltura e sulla sanità

Nel pomeriggio, poi, il Presidente Meloni si è quindi recata a Bengasi, dove ha incontrato il Maresciallo Khalifa Haftar, con cui ha discusso, tra l’altro, delle iniziative italiane nel settore dell’agricoltura e della salute che interessano anche l’area della Cirenaica. Oltre a ribadire la disponibilità dell’Italia a contribuire, anche attraverso le competenze specifiche del nostro settore privato, alla ricostruzione di Derna, colpita lo scorso anno da una drammatica alluvione, in linea con l’impegno a tutto campo che l’Italia aveva messo in campo subito dopo la tragedia. Aspetto, quello della ricostruzione, condiviso anche con il Presidente Al-Menfi che ha voluto ricordare il generoso impegno dell’Italia.

«Intensificare gli sforzi nella lotta al traffico di esseri umani»

Nel corso della missione, infine, il Presidente del Consiglio ha espresso apprezzamento per i risultati raggiunti dalla cooperazione tra le due Nazioni in ambito migratorio. In questa prospettiva, per il Presidente Meloni permane fondamentale intensificare gli sforzi in materia di contrasto al traffico di esseri umani, anche in un’ottica regionale. E in linea con l’attenzione specifica che l’Italia sta dedicando a questa sfida globale nell’ambito della sua Presidenza G7.

Libia e Piano Mattei, il binomio funziona. La visita di Meloni a Tripoli secondo Checchia

Da Formiche.net, di Francesco De Palo, 8 maggio 2024

L’ambasciatore Checchia: “L’Italia è punta di lancia d’Europa nel continente africano. Con il Piano Mattei sosterremo l’area del Sahel, dopo il passo indietro francese. La visita porta in grembo il ritrovato peso dell’Italia nello scacchiere mediterraneo, con iniziative di alta visibilità e ripetute missioni in Paesi per noi partner strategici, penso ad Algeria, Egitto, Tunisia, Libia, Libano e Marocco”

07/05/2024

Un altro tassello di quel puzzle geopolitico chiamato Piano Mattei è stato posizionato oggi in Libia dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha incontrato il primo ministro del Governo di Unità Nazionale libico, Abdul Hamid Mohammed Dabaiba, il presidente del Consiglio presidenziale libico Mohammed Yunis Ahmed Al-Menfi e il generale Khalifa Haftar. Un viaggio strutturato, come dimostra la presenza di tre ministri del governo che hanno plasticamente disteso la strategia italiana in loco, siglando accordi con gli omologhi libici in settori cardine delle istituzioni e della società. Nell’occasione è stato annunciato il Forum economico italo-libico a Tripoli per fine ottobre al fine di sostenere il settore privato di entrambi i Paesi. Non sfugge che il quadro libico, caratterizzato da un crollo delle partenze migratorie, si fonde con il contributo italiano alla normalizzazione istituzionale del Paese (che porti ad elezioni) e con il dossier energetico che vede l’Eni protagonista.

Dichiarazioni di intenti

Ricerca, università, sanità e sport sono le quattro macro aree protagoniste delle dichiarazioni di Intenti siglate in Libia, in occasione del viaggio del premier accompagnata da tre ministri del governo: Andrea Abodi (Sport), Orazio Schillaci (Salute), Anna Maria Bernini (Università e ricerca). Alla voce università si segnala la nascita di una cooperazione bilaterale tra istituzioni della formazione superiore dei due Paesi, per approfondire i principali programmi multilaterali, come ad esempio Erasmus+. In questo senso verranno facilitati gli scambi tra studenti, professori, ricercatori e personale tecnico amministrativo, ma anche i dottorati in co-tutela, e i corsi di studio finalizzati al rilascio di titoli congiunti o doppi.

Circa la ricerca scientifica la partnership sarà ad ampio spettro, abbracciando settori significativi come energie rinnovabili, mari e oceani, economia blu, sostenibile e produttiva, con particolare attinenza ai settori delle risorse ittiche e degli ecosistemi marini. Grande attenzione all’agri-food e alle biotecnologie nell’ambito dei cambiamenti climatici: tutte iniziative che saranno supportate da workshop e meeting di carattere scientifico.

Altro capitolo rilevante è dedicato alla salute, con una comune collaborazione tecnico-scientifica che permetta di favorire l’accesso alle terapie in ospedali italiani a cittadini libici, soprattutto in età pediatrica, ai quali non risulti possibile assicurare trattamenti adeguati in Libia. Anche lo spot rientra in questa formula di partenariato strutturato, con la riqualificazione delle infrastrutture sportive nelle comunità libiche e la costruzione di programmi di volontariato e servizio per promuovere l’inclusione sociale giovanile.

Italia punta di lancia dell’Ue

L’Italia è la punta di lancia dell’Ue in Africa, dice a Formiche.net Gabriele Checchia,già ambasciatore italiano in Libano, presso la Nato e presso le Organizzazioni Internazionali Ocse, Esa, Aie secondo cui questa visita strutturata del premier a Tripoli con tre ministri racconta di una narrativa più ampia. “In primo luogo è il ritrovato peso dell’Italia nello scacchiere mediterraneo, con iniziative di alta visibilità e ripetute missioni in Paesi per noi partner strategici, penso ad Algeria, Egitto, Tunisia, Angola, Libia, Libano e Marocco. È un dato geopolitico rilevante che con l’attuale governo abbiamo ritrovato, ovviamente costruendo anche sulle basi poste da precedenti esecutivi a cominciare dall’esecutivo Draghi. Non si è costruito tutto questo dal nulla, ma c’è stato decisamente un cambio di passo che ci pone come attore primario nello scacchiere mediterraneo, cosa che per alcuni anni non siamo stati, lasciando l’iniziativa piuttosto a Paesi amici come la Francia”.

Una tela più ampia

Il secondo elemento per il diplomatico italiano va ritrovato nella serietà con cui il Governo, a cominciare dal Presidente del Consiglio, sta affrontando la messa in atto del Piano Mattei, perché sono tutti tasselli di una tela più ampia della quale il piano costituisce, se vogliamo, la cornice complessiva. “Governo e premier si stanno muovendo sul piano multilaterale a mio avviso in maniera impeccabile. Cito a riguardo la Conferenza su sviluppo e migrazione tenutasi a Roma lo scorso luglio, con il lancio del processo di Roma per approfondire le radici e le ragioni di fondo dei fenomeni migratori dall’Africa subsahariana. E ancora con la Conferenza Italia-Africa dello scorso gennaio che ha costituito un grande successo: eventi che hanno anche portato ad accreditare un’Italia che si configura come riferimento di una strategia veramente europea”.

Il riferimento è al Team Europe quando la presidente del Consiglio Meloni, con la presidente della Commissione von der Leyen e il presidente del Consiglio Michel sono stati in visita in Paesi chiave come l’Egitto.

La prospettiva del Piano Mattei 

Uno dei motivi di fondo che ha portato al concepimento del Piano Mattei, secondo l’ambasciatore Checchia, è anche contenere le pressioni migratorie che giungono proprio dal Sahel, “un Sahel nel quale purtroppo al ritiro progressivo delle forze francesi non fa ancora riscontro una stabilizzazione politica”. I ripetuti colpi di Stato, che non depongono certo a favore della stabilità, necessitano di una risposta corale e quindi, con il Piano Mattei “noi dovremmo creare le condizioni di sviluppo nell’Africa, nel Nord Africa ma anche nei Paesi del Sahel che poco a poco consentano alle popolazioni di quell’area di avere, non solo come ha sottolineato la presidente Meloni, il diritto a emigrare che nessuno può contestare, ma anche il diritto a non emigrare, cioè restare e farsi una vita nei Paesi di origine”.

Il Sahel presenta una specificità particolare, è ancora covo di focolai jihadisti, come dimostrano i massacri di popolazioni da parte di gruppi armati che si ispirano a un islamismo militante. Ma è chiaro che Nord Africa, Libia, Tunisia, Egitto rappresentano dei punti di passaggio privilegiati verso l’Europa, aggiunge. “Quindi vedo il Piano Mattei come tassello di una più ampia strategia europea volta a contenere l’immigrazione illegale. Inoltre fa piacere constatare leggendo i nostri quotidiani che tra il maggio 2023 e il maggio 2024 c’è stato un calo consistente di afflussi dal Nord Africa: siamo passati da 40.000 a poco più di 17.000. Questo è un risultato che il governo Meloni può legittimamente portare a suo credito”.

Elezioni in Libia?

Infine, il contributo italiano alla normalizzazione istituzionale della Libia, che porti a elezioni libere e democratiche. In questo senso il ruolo di Roma quale può essere, oltre a quello di mettere insieme le esigenze di tutte le aree del Paese? “Certamente può essere quello di far arrivare ai nostri interlocutori libici la voce di un Paese autorevole e fondatore dell’Unione europea, membro importante dell’Alleanza atlantica, amico da sempre dei Paesi dell’area nordafricana che non ha agende nascoste, quindi che non persegue secondi fini o fini non dichiarati, ma è sinceramente e semplicemente interessato al benessere di quelle popolazioni, oltre che alla tutela degli interessi nazionali, per esempio in campo energetico”.

E aggiunge: “È chiaro che la visita di Meloni si colloca in un momento delicatissimo a poche settimane dalle dimissioni dell’inviato Onu per la Libia che ha gettato la spugna non essendo riuscito ad avere avallate, credo soprattutto da parte del generale Haftar, le sue proposte di modifica della legge costituzionale e delle leggi elettorali, né il progetto di nuova Costituzione. Siamo ancora purtroppo tornati al punto di partenza ma il premier si farà interprete di questo pressante appello europeo perché finalmente si superi lo stallo politico in Libia e si riesca a ritrovare quel percorso verso assetti istituzionali davvero unitari sulla base di una legge elettorale trasparente che porti a un Parlamento credibile e ad una elezione credibile del prossimo Presidente della Repubblica”.

Da Capri all’Unione Africana

Due i richiami conclusivi che secondo l’ambasciatore Checchia non possono mancare: ovvero il G7 a Capri che, alla presenza del ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha visto il tema del Piano Mattei rappresentare la principale novità programmatica dinanzi ai ministri intervenuti “e l’ulteriore successo della premier nel quadro della sua strategia nord-africana, rappresentato dal decisivo contributo fornito alla concretizzazione della proposta emersa al vertice G20 di Delhi dello scorso anno di avere l’Unione Africana ormai come membro a pieno titolo del G20, due passaggi che ritengo fondamentali per completare il quadro analitico”, conclude.

Meloni e Michel lavorano all’agenda strategica dell’Ue. Ecco come

Di Francesco De Palo

Il presidente del Consiglio europeo riconosce al governo italiano il ruolo di partner nelle delicate trattative con Paesi extra Ue: sul tavolo non solo la sfida del nuovo patto di migrazione e asilo, ma anche il Mediterraneo e il fronte sud

11/04/2024

“Con Giorgia Meloni e con l’Italia stiamo lavorando sodo per stringere rapporti con i Paesi terzi extra Ue per essere preparati anche nel campo della migrazione”. Questo uno dei passaggi più salienti della visita a palazzo Chigi del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, in vista del Consiglio europeo della prossima settimana a Bruxelles. Un’occasione sia per fare il punto sui dossier maggiormente urgenti sul tavolo europeo (Kyiv su tutti), sia per chiudere idealmente il cerchio del suo mandato alla luce delle proiezioni future, come Intelligenza artificiale, cooperazione allargata, Mediterraneo e fronte sud.

Ucraina a difesa Ue

Primo punto discusso, le decisioni dell’ultimo Consiglio europeo che ha avallato l’invio di più fondi e investimenti all’Ucraina, conseguenza di una decisione unitaria che mette al centro il costante supporto a Kyiv in un’ottica di allargamento. Michel sottolinea ancora una volta che l’Ue è determinata a sostenere l’Ucraina “più che possiamo, stanno combattendo per la loro terra, per la libertà, per il futuro e per i nostri valori democratici”.

Si dice certo che oggi l’Ue è diversa, più unita e più forte di prima, si tratta di “un effetto collaterale della guerra lanciata dalla Russia, un altro effetto è che la Nato è diventata più grande perché abbiamo preso decisioni”. Ed ecco il secondo punto, che si intreccia sia con l’Ucraina, perché mosso proprio dall’evoluzione del fronte bellico, sia con i progetti futuri legati alla difesa comune e al commissario europeo ad hoc. “Abbiamo compiuto enormi progressi nel settore della cooperazione nella difesa – aggiunge – . Si tratta di una cosa inedita e faremo di più anche in termini di investimenti: la Bei ad esempio, sta diventando uno strumento molto potente per facilitare più investimenti e più cooperazione del settore della difesa”.

Unità e futuro

Per Michel la chiave di volta per ragionare della nuova Ue si chiama unità, e il caso ucraino lo dimostra ampiamente. “Stiamo difendendo la nostra stessa sicurezza dando il nostro sostegno all’Ucraina e fornendo equipaggiamento militare. La Russia ha deciso di mettere il mondo a rischio, è in palese violazione del diritto internazionale e un’unica posizione è possibile: sostenere l’Ucraina più che possiamo ed è quello che stiamo facendo con il sostegno dei 27″.

Ulteriore dimostrazione di questa posizione è nei grandi progressi compiuti dagli Stati membri in uno spazio di tempo limitato in termini di munizioni ed equipaggiamento militare. Le politiche di aiuto all’Ucraina infatti rappresentano una primizia assoluta per l’Ue, dal momento che per la prima volta nella storia continentale “abbiamo deciso di fornire equipaggiamento militare, una decisione che abbiamo preso in pochi giorni dopo l’invasione”.

Qui Chigi

Secondo Meloni tra le future priorità d’azione dell’Unione Europea c’è il rafforzamento della competitività e della resilienza economica europea, la gestione comune del fenomeno migratorio, la collaborazione in ambito sicurezza e difesa nonché la politica di allargamento. Il Presidente Meloni ha inoltre sottolineato, quale precondizione per raggiungere questi obiettivi, la necessità di assicurare risorse comuni adeguate a sostegno dei relativi investimenti.

Una nota: Al “Grazie presidente Meloni!” Aggiungiamo una nota: Si sta conducendo l’Unione a rivestire il ruolo che “ci” spetta in ambito internazionale. Marciamo verso la sovranità? L’evoluzione dell’Ue verso uno Stato sovrano, membro attivo dello Nato, è possibile con l’impegno, anzitutto, dei suoi fondatori e chiama prodromicamente alla collaborazione in ambito sicurezza e difesa. La politica di allargamento ulteriore dell’Ue, per esempio, nei Balcani, presuppone ed ha per condizione necessaria l’avvenuta realizzazione della sovranità europea. Stiamo combattendo in questa presidenza italiana del G7, come a Sparta: “Con lo scudo o sullo scudo!” Questo Stato sovrano: l’Europa, rafforzerà la Nato quale soggetto euroatlantico, con due gambe e faciliterà una politica per l’area mediterranea, allargata, ispirata alla solidarietà attiva che distingue il Piano Mattei. ndr

Tra le risorse competitive dell’Unione su cui investire, il Presidente Meloni ha indicato il settore agricolo auspicando allo stesso tempo una rapida attuazione della revisione della Politica Agricola Comune e delle misure volte ad alleviare la pressione finanziaria sugli agricoltori concordate al Consiglio Europeo di marzo. Sono state inoltre discusse le ulteriori iniziative che l’Unione Europea potrà intraprendere a sostegno della stabilità del Libano, tema che il Consiglio Europeo della prossima settima affronterà su richiesta italiana.

Le nuove sfide

Tra le nuove sfide senza dubbio c’è la competitività, definita da Michel un capitolo importante della nostra agenda, ovvero il capital market unit, più investimenti in Ue: “Dobbiamo affrontare il cambiamento climatico e la rivoluzione digitale per sviluppare opportunità economiche. Ovviamente abbiamo parlato di temi internazionali che saranno in agenda, come la migrazione”. Ieri infatti il Parlamento europeo ha approvato il patto sui migranti (“Un passo avanti per essere in controllo della situazione”) e l’obiettivo per Michel è rafforzare i partenariati con i paesi terzi, “anche attraverso opportunità di migrazione legale”.

Sul punto va segnalata la visita che Giorgia Meloni effettuerà in Tunisia in chiave fronte sud la prossima settimana assieme alla ministra dell’Università e della ricerca Anna Maria Bernini e al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, per una missione legata al Piano Mattei. Verrà siglato un memorandum d’intesa per rafforzare la cooperazione accademica e scientifica tra i due Paesi, favorire lo scambio di know how tra le istituzioni e gli enti di ricerca, promuovere l’insegnamento di lingue e culture di entrambi i Paesi. La premier è attesa a Cartagine mercoledì 17 aprile.

6127.- Il Niger “caccia” la UE, disfatta europea nel Sahel

Con l’Ue, strada in salita per il Nuovo Piano Mattei e si fa avanti la Russia. Per nostra scelta o no, da 108 anni, stiamo sempre con l’alleato o contro il nemico sbagliato; ma, da soli, dove andiamo? L’aver rotto i rapporti degli Stati europei con la Federazione Russa avrà soddisfatto gli interessi americani, ma non i nostri. Abbiamo visto sventolare le bandiere russe nel Niger. La politica della solidarietà attiva nel Magreb, nel Sahel e in Libia può confrontarsi con le ambizioni di Mosca e di Ankara? Certamente, direi.

Mali, Burkina Faso e Niger hanno dato vita all’”Alleanza degli Stati del Sahel”, la NATO africana. Fino a che le basi USA e italiana in Niger resteranno, sarà importante chiarire i nostri obiettivi nel Sahel. Vedremmo bene un summit a Roma con il leader della giunta nigerina, il generale Abdourahamane Tian, con il leader del Burkina Faso, Capitano Ibrahim Traoré, con il presidente del Mali, colonnello Assimi Goita e sarebbe utile la presenza dei leader della Mauritania, generale Mohamed Ould Ghazouani e del Ciad, presidente Mahamat Idriss Déby Itno. Dopodiché la parola dovrebbe passare agli imprenditori e agli istituti finanziari.

Di seguito, da La Nuova Bussola Quotidiana, l’articolo di Gianandrea Gaiani di oggi 11 dicembre 2023

Dopo aver cacciato le truppe francesi, la giunta militare di Niamey chiude le due missioni militari europee e segue l’esempio di Burkina Faso e Mali. E il posto dell’Europa viene preso dalla Russia.

Sostenitori della giunta golpista in Niger issano una bandiera russa dopo il golpe

Il Sahel continua a staccarsi progressivamente dall’Europa. Dopo aver cacciato le truppe francesi, il 5 dicembre la giunta militare – al potere in Niger dallo scorso luglio – ha annunciato la fine delle due missioni dell’Unione Europea per la sicurezza e la difesa. Il ministero degli Esteri nigerino ha infatti denunciato l’accordo siglato da Niamey con l’Ue riguardante la missione EUCAP Sahel Niger, attiva dal 2012 e ha ritirato «il consenso concesso per il dispiegamento di una missione di partenariato militare dell’Ue in Niger (EUMPM)», varata nel febbraio scorso dal governo guidato dal presidente Mohamed Bazoum deposto dai militari.
Entrambe le missioni avevano il compito di sostenere le forze militari e di sicurezza nigerine nella lotta contro l’insurrezione jihadista.

Il Niger, come anche Burkina Faso e Mali, continua così il processo di emancipazione dall’Occidente anche in termini di difesa e sicurezza avviato con la cacciata dell’ambasciatore e delle forze militari francesi che dovrebbe completarsi nelle prime settimane del 2024 ma, ad aggiungere al danno la beffa, l’annuncio della cacciata delle missioni europee è stato reso noto lo stesso giorno in cui a Niamey è giunta in visita una delegazione russa, guidata dal vice ministro della Difesa, Yunus-Bek Yevkurov.

Uno “schiaffo” all’Europa anche perché si tratta della prima visita ufficiale di un esponente del governo russo in Niger dal golpe del 26 luglio scorso e Mosca non ha neppure un’ambasciata a Niamey. Il vice ministro della Difesa russo è stato ricevuto dal leader della giunta, il generale Abdourahamane Tian e al termine dell’incontro le due parti hanno firmato dei documenti «nell’ambito del rafforzamento» della cooperazione militare, stando a quanto riferito dalle autorità nigerine.

A completare la debacle francese ed europea nel Sahel, il 2 dicembre Niger e Burkina Faso hanno proclamato il ritiro anche dalla forza congiunta G5 Sahel, creata nel 2014 per migliorare il coordinamento tra le diverse nazioni della regione nella lotta contro il terrorismo e finanziata dall’Ue, da cui si era già ritirato il Mali.
Gli altri due membri del G5 Sahel, Mauritania e Ciad, hanno preso atto della situazione decretando lo scioglimento dell’organizzazione G5 Sahel che avrebbe dovuto rafforzare il ruolo europeo nella regione destabilizzata nel 2011 dalla disastrosa guerra dell’Occidente contro la Libia di Muammar Gheddafi.

L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell,ha espresso rammarico per la decisione presa dalla giunta militare del Niger, sebbene l’Unione europea aveva immediatamente sospeso ogni cooperazione in materia di sicurezza e difesa col Niger in seguito al colpo di Stato di luglio. Una decisione che ha posto le basi per la cacciata dalla nazione africana, con i francesi, anche della Ue che non è riuscita negli ultimi quattro mesi ad aprire negoziati concreti con la giunta nigerina per impedire l’uscita di Niamey dagli accordi di cooperazione, compromettendo così il ruolo dell’Europa in questa regione strategica per i nostri interessi. L’intransigenza di Bruxelles nei confronti della giunta militare aveva già visto in novembre il Niger revocare gli inasprimenti di pena approvati nel 2015 per punire il traffico di esseri umani i cui flussi sono diretti in Libia e poi in Italia.

Il disastroso insuccesso europeo coincide con l’ennesimo successo russo in Africa. L’accordo di cooperazione militare firmato in Niger è quindi anche una diretta conseguenza delle iniziative europee e va inserito negli accordi di cooperazione militare ed economica che Mosca ha già stretto con le giunte di Mali e Burkina Faso (nazioni alleate del Niger nell’Alleanza degli Stati del Sahel). Le truppe e soprattutto i contractors russi (della PMC Wagner o di altre compagnie militari private) stanno fornendo un solido contributo alle forze del Mali nella riconquista dei territori caduti in mano ai ribelli Tuareg e alle milizie jihadiste.

Yevkurov è giunto a Niamey nell’ambito della ennesima missione in Africa, inclusa la Cirenaica libica (dove il 2 dicembre ha messo a punto il rinnovo degli accordi di cooperazione militare con il feldmaresciallo Khalifa Haftar), cosa che  evidenzia la meticolosa attenzione con cui Mosca rimarca il suo crescente impegno in Africa, politico, militare ed economico.
Si è trattato del terzo incontro in pochi mesi tra il vice ministro russo e Haftar. A fine settembre Haftar era poi stato a Mosca, dove era stato ricevuto dal presidente russo Vladimir Putin e dal ministro della Difesa, Sergei Shoigu. Stando a quento riferito dal comando delle forze di Haftar, sabato scorso i colloqui sono stati incentrati sulle «modalità di cooperazione congiunta tra Libia e Russia».

Dopo Bengasi, la delegazione russa è volata a Bamako, dove è stata ricevuta dal presidente del governo di transizione maliano, il colonnello Assimi Goita, per colloqui «sulle opportunità per rafforzare la cooperazione». Al termine dell’incontro, il ministro dell’Economia e delle Finanze del Mali, Alousseni Sanou, ha precisato che le discussioni hanno riguardato non solo il settore della sicurezza, ma anche quelli dell’energia e delle infrastrutture.
In un video diffuso dalla presidenza, Sanou ha riferito di colloqui sulla costruzione di una rete ferroviaria e per la creazione di una compagnia aerea regionale oltre a uno stabilimento per la lavorazione dell’oro estratto dalle miniere maliane e un memorandum per realizzare una centrale nucleare
Dopo il Mali, il vice ministro russo si è recato in Burkina Faso, paese con cui sono in valutazione investimenti non solo di tipo militare ma anche economico che comprendono anche a Ouagadougou il progetto di realizzare una centrale nucleare.

La disfatta franco-europea nel Sahel appare quindi senza precedenti anche se restano incognite circa il futuro della presenza militare di USA (1.100 militari in  due basi a Niamey e Agadez) e Italia (250 militari a Niamey) che la giunta non ha finora annunciato di voler espellere.

Tenendo conto delle difficoltà con cui l’Italia è riuscita e schierare una missione di consulenza e addestramento militare in Niger vincendo la resistenza francese e alla luce degli interessi di Roma a cooperare con una nazione di rilevante peso nei flussi migratori illegali, Roma avrebbe tutto l’interesse a dare concretezza proprio in Niger alle tante parole spese sul “Piano Mattei” negoziando con la giunta di Niamey un accordo che permetta la continuazione della missione MISIN.
Gli interessi nazionali impongono oggi all’Italia di affermare un proprio ruolo in Africa e nel Mediterraneo smarcandosi da partner ingombranti ormai detestati in Africa e da un’Unione Europea le cui politiche si sono rivelate anche in Africa velleitarie, fallimentari e inaffidabili.

5862.- Dossier migranti al Cisr. La mossa di Meloni letta dal prof. Caligiuri

Possiamo pensare a spostare a Sud il confine dell’Europa e dell’Italia, in sintonia con il Mediterraneo allargato e questo richiede investimenti nei paesi del Magreb, del Sahel e oltre, per favorire la crescita economica di questi paesi, riducendo il divario con l’Italia, innanzitutto e con l’Europa. I flussi migratori sono la punta di un iceberg e l’instabilità di quei paesi, certamente fomentata, chiama in causa i Servizi. Ancora una volta l’Unione europea non traccia la rotta.

Da Formiche.net, di Mario Caligiuri | 31/08/2023 – 

Dossier migranti al Cisr. La mossa di Meloni letta dal prof. Caligiuri

La sicurezza è un tema endemico della contemporaneità e il perimetro degli accadimenti che la ricomprendono si estende sempre di più. E il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica ha potenzialmente le competenze per poter fronteggiare questo fenomeno crescente. Il commento di Mario Caligiuri, professore dell’Università della Calabria e presidente della Società italiana di Intelligence

Gli strumenti previsti dalle leggi sui Servizi possono essere utilizzati in modo non consueto ma appropriato. È questa la considerazione che emerge dalla proposta di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, in relazione alla convocazione in seduta permanente del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (Cisr) per fronteggiare l’accentuazione dei flussi migratori.

È sicuramente una proposta mirata per una serie di ragioni, che provo a argomentare. In primo luogo, la sicurezza è un tema endemico della contemporaneità, per cui il perimetro degli accadimenti che la ricomprendono si estende sempre di più. Appunto per questo, un organismo come il Cisr, composto da sette ministri e dall’Autorità delegata per la sicurezza (il sottosegretario Alfredo Mantovano), ha potenzialmente le competenze per poter fronteggiare questo fenomeno crescente. In secondo luogo, il tema dell’immigrazione, quasi interrotto ai tempi del Covid, è in evidente aumento. E non ci vuole la Sibilla ellespontica per comprendere che lo sarà ancora di più nei prossimi mesi e nei prossimi anni.

Come ha ben spiegato l’economista britannico Paul Collier dell’Università di Oxford, uno dei massimi esperti di economia africana, “il divario di reddito tra i Paesi povere e quelli ricchi è mostruoso e il processo di crescita mondiale lo manterrà tale per vari decenni […] assisteremo all’accelerazione della migrazione dai paesi poveri verso quelli ricchi […] siamo alle prime fasi di uno squilibrio dalle proporzioni epiche”. Inoltre, Collier è ancora più attento, ricordando che siamo portati a valutare questo fenomeno, così come tutto il resto, in base alle nostre convinzioni morali, perché “sono i nostri valori etici a determinare le ragioni e i fatti che siamo disposti ad accettare”.

Pertanto, accordi con Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e che rappresentano i luoghi di partenza degli immigrati servono per contenere un fenomeno irrefrenabile e dalle conseguenze molto incisive.

Di fronte a un fenomeno del genere, una visione europea sarebbe necessaria. Nel 2007 – ancora sull’eco dell’11 settembre ma anche degli attentati di Madrid (2004) e di Londra (2005) – il politologo e storico statunitense Daniel Pipes aveva pubblicato un saggio in cui, riguardo all’immigrazione islamica che si verificava in Europa, aveva ipotizzato tre diversi scenari: la prevalenza degli islamici, la loro espulsione da parte degli europei e l’integrazione più o meno pacifica. Con un certo allarmismo – che poi non si è riscontrato nella misura in cui lo prevedeva –, lo studioso americano metteva però comunque in guardia sulla “alienazione della maggioranza degli europei dalla loro cultura, il loro secolarismo estremo e lo scarso tasso di natalità”. Ma il destino italiano è inequivocabilmente legato all’Europa. Non a caso, Cesare Pavese, che era un poeta, ricordava che “nessuno si salva da solo”.

Per concludere utilizzare il Cisr per affrontare in modo organico e puntuale il fenomeno dell’’immigrazione è certamente appropriata e, secondo me, da mettere subito in pratica.

Questo significa pure focalizzare ancora meglio l’attività dei Servizi che già adesso stanno seguendo con particolare e crescente attenzione il fenomeno. Infatti, oltre all’impegno prioritario nel contrasto al terrorismo, nel 2022, solo sull’immigrazione clandestina, l’Aise ha prodotto l’11 per cento delle sue informative e l’Aisi il 17 per cento. L’anno precedente erano state rispettivamente il 10 e il 9 per cento e nel 2020 il 6 e l’8 per cento.

5857.- In Italia non si è parlato dei moti avvenuti a Tripoli. Saranno i Rothschild a pacificare la Libia

I membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU si rammaricano “per la perdita di vite umane e feriti, anche tra i civili, ed esortano tutte le parti a evitare la violenza”

Se in Italia non se ne parla, all’ONU e a Bruxelles, vuoi per i finanziamenti profusi, vuoi per il deterioramento dei diritti umani, gli occhi sono puntati sulla Libia. Cerchiamo di fare luce attraverso una sintesi dei comunicati di eunews di questi ultimi due mesi.

Nel silenzio assoluto dei media italiani, l’altra settimana, a Tripoli, per due giorni, si sono scontrate due fazioni armate: La Brigata 444 allineata con il primo ministro al-Dbeibeh e la Forza Rada, antagonista. A dare il via agli scontri è stato l’arresto del comandante della brigata filogovernativa 444, il colonnello Mahmoud Hamza,.da parte delle forze speciali di deterrenza Rada all’aeroporto internazionale di Mitiga. Gli scontri sembrano cessati, ma hanno causato 55 morti e circa 150 feriti.

Dal febbraio 2022, l’ex Jamahiriya di Muammar Gheddafi è sostanzialmente divisa in due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dalla Comunità internazionale e appoggiato soprattutto dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale, di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, ormai ridotto a una scatola vuota priva di funzioni, dal momento che a comandare nell’est è il generale Khalifa Haftar. Per uscire dallo stallo politico, l’inviato dell’Onu ha lanciato, il 27 febbraio 2023, un piano per redigere gli emendamenti costituzionali e le leggi elettorali necessarie per tenere elezioni “libere, inclusive e trasparenti” entro il 2023. Tuttavia, il termine ultimo proposto da Bathily per preparare la tabella di marcia è scaduto il 15 giugno e lo stesso inviato ha detto che lo “status quo” non è più tollerabile.

Dall’Eurocamera dubbi sui fondi Ue alla Libia. L’ammissione di Johansson: “Chiare indicazioni di infiltrazioni criminali nella Guardia Costiera”

la Commissione Libertà civili e la sottocommissione per i diritti umani esprimono “profonda preoccupazione per il deterioramento della situazione dei diritti umani dei migranti in Libia”. Dal 2015 l’Ue ha stanziato circa 700 milioni di euro di sostegno a Tripoli. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nella sessione straordinaria del 22 agosto, ha fatto il punto sugli sviluppi della situazione in Libia, tra le preoccupazioni per il ritardo nell’accordo su una legge elettorale che apra la strada alle consultazioni parlamentari e presidenziali entro la fine quest’anno. Parlare di elezioni in questa situazione fragile e di conflittualità fra le fazioni sembra difficile, se non impossibile; ma chi ha avuto interesse a destabilizzare la Libia?

Il 20 agosto la Banca Centrale Libica (Cbl) ha annunciato il completamento della sua riunificazione come istituzione unitaria e sovrana.

“La Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) ha plaudito al ritorno della Banca Centrale Libica a istituzione unificata. Significativo l’auspicio a ché si prosegua nell’unificazione di tutte le istituzioni politiche, di sicurezza e militari del Paese, come il popolo libico desiderava da tempo”. La missione è attiva nel Paese dalla caduta del regime autoritario di Muammar Gheddafi nel 2011. I suoi compiti comprendono il sostegno al governo libico nell’istituzione dello Stato di diritto e nell’organizzazione di elezioni democratiche.

Per l’Ue “il passo di Tripoli e Bengasi è cruciale” per la stabilità del Paese

La sede della Banca centrale libica a Tripoli © ANSA

La sede della Banca centrale libica a Tripoli – RIPRODUZIONE RISERVATA

Da Bruxelles, Simone De La Fedl scrive per eunews:

“Dopo quasi un decennio di separazione – dal settembre del 2014 -, inasprita da disaccordi sulla distribuzione delle entrate petrolifere, le due filiali di Tripoli e di Bengasi hanno trovato un accordo per la riunificazione dell’istituzione finanziaria nazionale. L’annuncio, riportano i media libici, è stato fatto al termine dell’incontro presso la sede di Tripoli tra il governatore della Cbl, Siddiq Al-Kabir, e il suo vice, Mari Muftah Rahil. “Una pietra miliare per migliorare le prestazioni di questa vitale istituzione sovrana”, ha commentato il primo ministro del governo di unità nazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite, Abdel Hamid al-Dbeibeh.

Soddisfazione anche dalla comunità internazionale: l’Unione europea “accoglie con favore questo sviluppo e l’impegno della leadership della Banca centrale ad adoperarsi per affrontare l’impatto di quasi un decennio di divisione”, ha dichiarato un portavoce del Servizio europeo d’Azione Esterna (Seae). Non solo soddisfazione, ma anche la speranza che questo accordo tra Tripoli e Bengasi sia l’anticamera di una pacificazione nazionale. La riunificazione delle due filiali “è un passo cruciale verso una Libia unita, stabile e prospera“, che deve condurre a “concludere con successo i colloqui in corso mediati dalle Nazioni Unite per identificare una soluzione politica a guida libica, attraverso le elezioni nazionali“.

Proprio la Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) si unisce all’appello di Bruxelles affinché la riunificazione della Cbl possa “creare slancio verso l’unificazione di tutte le istituzioni politiche, di sicurezza e militari del paese, come il popolo libico desiderava da tempo”.

Saranno i Rothschild a pacificare la Libia? Nel 2003, in Libia, in una Bengasi dove ancora si sparava, venne fondata una banca Rothschild, così, da un giorno all’altro. Circa una settimana fa, è stata annunciata la riunificazione della Banca centrale della Libia, ancora divisa in due branche. Dobbiamo augurarci che sia la famiglia Rothschild a restituirci una Libia “unita, stabile e prospera“, sotto il loro controllo. E non è un caso che il cerchio, iniziato con la fine di Mu’ammar Gheddafi si chiuda così.

Martedì 25 luglio, la Camera dei rappresentanti eletta nel 2014 ha approvato a Bengasi, capoluogo della Cirenaica, una roadmap per l’insediamento di un ipotetico nuovo mini-governo, incaricato di traghettare la Libia alle elezioni. Le Nazioni Unite e le capitali occidentali hanno però accolto con estrema freddezza la decisione, al contrario invece dell’Egitto, alimentando i dubbi sull’eventuale riconoscimento internazionale del nuovo esecutivo di transizione, qualora quest’ultimo dovesse essere effettivamente nominato. Ora come ora in Libia vige una stabilità parziale, basata su un implicito accordo tra due potenti famiglie – i Dabaiba e gli Haftar al potere rispettivamente a Tripoli (ovest) e a Bengasi (est) – con un crescente ruolo dei “verdi” (vale a dire gli ex gheddafiani) nei gangli dello Stato profondo. Le due parti rivali della scena politica libica frenano sulle elezioni, consapevoli che rischierebbero di mettere in luce il loro scarso supporto popolare. In realtà, nella Libia di oggi è il clientelismo a consentire un sia pur fragile equilibrio e la divisione politica è favorita da chi vedrebbe meglio soddisfatti i propri interessi con la divisione politica del paese..

E l’Italia?

La strategia italiana in Africa e in Libia – il cosiddetto Nuovo Piano Mattei – è volta al conseguimento della cooperazione con i Paesi africani per l’approvvigionamento energetico d’Europa. L’Italia diverrebbe un hub energetico, Paese di transito di gas e petrolio, dal Nordafrica verso i Paesi europei con lo scopo di sostituire l’approvvigionamento energetico dalla Russia. La presenza della Turchia in Libia e, sopratutto, l’intesa energetica stipulata da Erdoğan con il governo di Dabaiba condiziona in parte il Piano. In pratica, la penetrazione della Turchia nei quadranti decisivi per il nostro paese: Nord Africa e Balcani è il frutto di un’azione politica intellegente e mirata del presidente Erdoğan, che non afflitta dai teatrini della sinistra italiana.

[EPA-EFE/FABIO FRUSTACI]

L’8 giugno, dopo il viaggio del presidente Meloni a Tripoli in gennaio, una delegazione del governo libico, condotta dal premier del governo di unità nazionale della Libia Abdul Hamid Ddeibah, ha incontrato i rappresentanti del governo italiano, per discutere di migrazione ma anche per chiudere accordi su energia e commercio, sempre in un ottica “non predatoria e di collaborazione”. Era presente l’amministratore delegato dell’Ente Nazionale Idrocarburi (Eni) Claudio Descalzi.

L’Italia è presente in Libia con la Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (MIASIT) presso il Governo di Accordo Nazionale in Libia, cui fornisce supporto sanitario e umanitario, security force assistance e stability policing e agevolando attività di formazione/addestramento sia in Italia sia in Libia.

Il Comando della Missione è schierato a Tripoli , mentre la dipendente Task Force “Ippocrate”, che include il Field Hospital, è schierata a Misurata.

5843.- Gianni Alemanno: «Governo Meloni troppo liberista e appiattito sulle politiche Usa»

Tempo quasi scaduto, inutilmente, malgrado anche buone intenzioni di Meloni, come il Nuovo Piano Mattei. Ai primi contatti dovevano e devono seguire fatti, ma Russia, Cina e Turchia stanno occupando gli scranni e vedremo soltanto il loro nuovo colonialismo. Ho visto bandiere russe in Niger, in Senegal. Non ho visto e non vedo nascere nuove aziende africane a partecipazione italiana. Saremmo contenti se riprendessimo l’epopea del lavoro italiano in Etiopia e in Libia. Dal Dolo di Venezia: Siamo in attesa di una politica del fare, più volte annunciata e non di nuovi candidati, che son già troppi. Auguri, intanto. Mario Donnini e tanti veneti.

L’ex sindaco di Roma e ministro Gianni Alemanno spiega le sue critiche al governo Meloni e il suo nuovo progetto politico nell’intervista ai microfoni del DiariodelWeb.it

Da Diariodel Web.it. Pubblicato il 18 Agosto 2023, da Fabrizio Corgnati

Gianni Alemanno (© Fotogramma)

Gianni Alemanno è tornato in campo. A dieci anni esatti dalla conclusione del suo mandato in Campidoglio, l’ex sindaco di Roma e ministro lancia il suo nuovo progetto politico. Per ora è un manifesto, presentato alla convention del Forum dell’indipendenza italiana il mese scorso a Orvieto, ma presto, già in autunno, potrebbe diventare un vero e proprio movimento. Che parte da destra, la sua storica collocazione, ma intende spingersi oltre le politiche dell’attuale governo Meloni, che bolla come deludenti sia sul fronte sociale che su quello geopolitico. Ecco come Alemanno racconta le sue posizioni e le prossime iniziative che ha in programma in quest’intervista che ha rilasciato ai microfoni del DiariodelWeb.it.

5832.- Crisi in Niger: la situazione e le opzioni sul tavolo. Una nostra opinione

Niger
  • Foto da Redazione Start Magazine

Il destino dell’Eurafrica si compirà in Niger? Che cosa succederà in Niger, cosa dovrebbe fare l’Italia e perché la Francia sbrocca. Pace all’anima Tua, Muʿammar Muḥammad Abū Minyar ʿAbd al-Salām al-Qadhdhafi, معمر محمد أبو منيار عبدالسلام القذافي.

Da Analisi Difesa sul “Golpe in Niger: il Sahel ci presenta il conto per la guerra alla Libia del 2011.” Mohamed Bazoum, il presidente del Niger deposto dichiarò nel giugno del 2014:

“Noi valutiamo la guerra libica una minaccia per il nostro Paese e per la regione che si prolungherà negli anni a venire…..Avevamo messo in guardia l’Occidente dal distruggere lo Stato libico… Avevamo detto all’Occidente di non perdere di vista la realtà e di tenere conto della società libica. L’Unione Africana aveva proposto una soluzione che facesse uscire di scena Gheddafi preservando lo Stato e l’unità nazionale ma non siamo stati ascoltati anche se l’Italia ci è sembrata più sensibile a questa proposta.

 Incontrai in giugno 2011 il ministro degli esteri, Franco Frattini e gli dissi che voi italiani, che conoscete bene la situazione libica, dovevate giocare un ruolo più deciso, più positivo,  evitando di seguire la corrente. Noi ci siamo battuti ma non siamo stati ascoltati. E oggi la Libia è come la Somalia, come aveva previsto l’Unione Africana.

Il 26 maggio 2011 il presidente nigerino Mahamadou Issofou, invitato al summit di Deauville, è stato l’unico a dire ai leader occidentali che l’intervento in Libia avrebbe trasformato il Paese in un’altra Somalia offendo un’incredibile finestra di opportunità all’islamismo radicale. I fatti ci hanno dato ragione”.

Come scrive Gianandrea Gaiani su Analisi Difesa, Mohamed Bazoum, il presidente del Niger rimosso da un golpe militare il 27 luglio, rilasciò queste dichiarazioni nel corso di una lunga intervista ad Analisi Difesa a Niamey nel giugno 2014, quando ricopriva l’incarico di ministro degli Esteri.

Nove anni dopo anche Bazoum è stato travolto dalle conseguenze dell’ondata di destabilizzazione, in gran parte di matrice islamista, generata da quella sciagurata guerra con cui Occidente e NATO hanno gettato l’intero Sahel nel caos minando anche gli interessi dell’Italia e dell’Europa.

L’errore compiuto nel 2011 e la successiva incapacità occidentale di sanare i guai combinati e stroncare le insurrezioni islamiste, ci viene fatto pagare oggi con la progressiva instaurazione in Africa sub sahariana di governi e giunte militari che guardano con sospetto e a volte ostilità all’Occidente e orientate a puntare sui BRICS, in particolare su Russia e Cina, per garantirsi sviluppo e sicurezza.

Uno scenario simile a quello che si registra nel mondo arabo dove oggi è marcato, soprattutto tra le monarchie del Golfo, il distacco dagli USA protagonisti con l’Amministrazione Obama del sostegno alle cosiddette “primavere arabe” che destabilizzarono o tentarono di destabilizzare i regimi arabi tra i quali molti governi amici dell’Occidente.

Il generale Tchiani e il CNSP

Il 28 luglio il generale Abdourahamane Tchiani, capo della Guardia Presidenziale, è stato proclamato nuovo leader del Niger secondo quanto affermato dalla televisione nazionale che ha confermato la destituzione del presidente Bazoum.

Tchiani (nella foto sotto) ha assunto la presidenza del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP) lamentando le mancate misure per fronteggiare la crisi economica e “il deterioramento della situazione della sicurezza” nel Paese minato dalla violenza dei gruppi jihadisti, accusando Bazoum di aver “cercato di convincere la gente che tutto sta andando bene, la dura realtà è un mucchio di morti, sfollati, umiliazioni e frustrazioni. L’approccio di oggi non ha portato sicurezza nonostante i pesanti sacrifici”.

“Chiedo ai partner tecnici e finanziari amici del Niger di comprendere la situazione specifica del nostro Paese per fornirgli tutto il sostegno necessario per consentirgli di affrontare le sfide” ha detto il generale tendendo apparentemente una mano alle forze straniere presenti in Niger (1.500 militari francesi, 1.100 statunitensi e oltre 300 italiani).

Il nuovo organo di governo CNSP è stato istituito il 27 luglio con un proclama che ha stabilito la chiusura delle frontiere terrestri, dello spazio aereo e la proclamazione del coprifuoco notturno dalle 22 alle 5.

Le forze armate del Niger hanno annunciato di aver rovesciato le istituzioni nazionali a seguito del “continuo degrado della situazione di sicurezza e della cattiva gestione economica e sociale” si legge nel comunicato letto dalla televisione nigerina e firmato dal generale Salifou Mody, in cui si annuncia la costituzione del CNSP che ha ribadito il “rispetto di tutti gli impegni sottoscritti dal Niger”.

Mody, 64 anni  è l’ex capo di stato maggiore della Difesa rimosso dal presidente Bazoum nell’aprile scorso dopo una visita nel marzo scorso in Mali evidentemente non autorizzata o non gradita al governo e alla Francia  Il Mali è retto da una giunta militare che ha allontanato dal paese le forze francesi, della Ue e dell’ONU ottenendo aiuti militari dalla Russia (armi, consiglieri militari e contractors del Gruppo Wagner) per combattere l’insurrezione jihadista.

Lo stesso percorso compiuto dal vicino Burkina Faso che con Mali e Niger condivide le difficoltà nella repressione degli insorti jihadisti sia legati ad al-Qaeda (il Gruppo per il Sostegno dell’Islam e dei Musulmani – JNIM), sia quelli fedeli allo Stato Islamico (Stato Islamico nel Grande Sahara).

“Noi, le forze di difesa e di sicurezza, riunite all’interno del CNSP, abbiamo deciso di porre fine al regime che conoscete”, ha dichiarato il colonnello Amadou Abdramane (già direttore dell’i formazione del governo civile deposto) circondato da altri nove ufficiali.

Ufficiali ben noti ai comandi militari francesi e italiani a Niamey, che hanno addestrato in questi anni le forze nigerine.

Il ruolo del generale Mody

Tchiani, che secondo alcune voci Bazoum pare volesse rimuovere e che ha preso il 26 luglio il controllo del palazzo presidenziale e di altre sedi istituzionali della capitale Niamey, sembrava nelle prime fasi del golpe non aver trovato appoggi tra le forze armate e la Guardia Nazionale che, anzi, avevano intimato alla Guardia Presidenziale di liberare Bazoum e desistere dal tentativo di golpe.

Nel compattare le forze militari e di sicurezza a supporto del colpo di stato potrebbe aver avuto un ruolo di rilievo proprio il generale Mody (nella foto a lato) sollevato dall’incarico dopo la visita in Mali (certo malvista da francesi, europei e americani) e nominato nel giugno scorso ambasciatore negli Emirati Arabi Uniti senza che tuttavia avesse finora assunto l’incarico, come evidenzia la sempre ben documentata Agenzia Nova.

Nella situazione ancora caotica in Niger Mody il ministro degli Esteri, Hassoumi Massoudou, il 27 luglio si è autoproclamato primo ministro ad interim precisando che nonostante il “tentativo” di golpe al momento “l’unico potere legittimo e legale” riconosciuto è quello esercitato “dal presidente democraticamente eletto”, Mohamed Bazoum.

In una dichiarazione concessa a “France 24”, Massoudou ha ribadito che il tentativo di golpe “non è concluso”, confermando l’esistenza di tentativi di mediazione regionali in corso che coinvolgono il presidente del Benin, Patrice Talon, incaricato di mediare nella crisi in corso a nome della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDEAO o ECOWAS) – e precisando al tempo stesso che i defezionisti non sono sostenuti da tutto l’esercito ne’ dal capo delle Forze armate, il generale Abdou Sidikou Issa che ha sostituito Mody lo scorso aprile.

Pressioni e mediazioni

Le valutazioni di Massoudou sono state però smentite dallo stesso generale Issa che ha annunciato l’adesione delle forze armate alla dichiarazione di destituzione del presidente Bazoum al fine di evitare uno “scontro mortale” che potrebbe causare un “bagno di sangue” e mettere a rischio l’incolumità della popolazione, oltre che per preservare la coesione nell’ambito delle Forze armate.

“Qualsiasi intervento militare esterno, di qualsiasi provenienza, rischierebbe di avere conseguenze disastrose e incontrollabili per le nostre popolazioni e (di seminare) il caos nel nostro Paese”, si legge nella nota, in cui lo Stato maggiore “ricorda che il nostro Paese è ancora afflitto dall’insicurezza imposta dai gruppi armati terroristici e da altri gruppi di criminalità organizzata” ed invita “tutte le Forze di difesa e sicurezza a rimanere concentrate sulle loro missioni”.

Anche i francesi sembravano nutrire ancora dubbi (e aspettative) circa l’esito del golpe militare. Il presidente Emmanuel Macron ha detto il 28 luglio di aver parlato più volte con Bazoum (nella foto a lato) che gli ha detto di essere “in buona salute” mentre il ministro degli Esteri, Catherine Colonna, ha sostenuto che la Francia non considera “definitivo” il “tentato” colpo di stato del 26 luglio pur anticipando che Parigi sosterrà eventuali sanzioni alla nuova giunta militare nigerina che venissero decise dalla CEDEA, simili a quelle già affibbiate a Mali e Burkina Faso.

La Francia ha inoltre annunciato la sospensione degli aiuti allo sviluppo al Niger pari l’anno scorso a 120 milioni di euro e previsti in leggero rialzo quest’anno.

L’Unione Europea non riconosce e non riconoscerà le autorità scaturite dal golpe” ha dichiarato oggi l’Alto rappresentante per la politica Estera e la sicurezza, Josep Borrell. “Il presidente Bazoum è stato eletto democraticamente, è e rimane quindi l’unico presidente legittimo del Niger – rimarca Borrell -. Il suo rilascio deve essere incondizionato e senza indugio. L’Ue ritiene i golpisti responsabili della sua sicurezza e di quella della sua famiglia. E siamo pronti a sostenere le future decisioni dell’Ecowas, inclusa l’adozione di sanzioni”.

Borrell ha poi annunciato l’immediata sospensione con effetto immediato del budget per gli aiuti e la cooperazione nel campo della sicurezza col Niger.

L’Unione Africana ha dato 15 giorni di tempo ai golpisti perché ripristinino l’ordine costituzionale nel paese. L’Unione Africana intima ai soldati coinvolti nel colpo di stato a far ritorno alle loro caserme “senza condizioni”. E avverte che il Consiglio di Sicurezza dell’Ua adotterà contro i golpisti “tutti i mezzi necessari, anche di carattere punitivo” se non verranno rispettati i diritti fondamentali di Bazoum. Il comunicato condanna il golpe “nei più forti termini possibili”.

Negli Stati Uniti il segretario di Stato americano Antony Blinken ha avuto colloqui telefonici con il presidente nigerino, Mohamed Bazoum, detenuto nella residenza presidenziale, e con l’ex presidente Mahamadou Issoufou. “Il segretario ha ribadito al presidente Bazoum il costante sostegno degli Stati Uniti e ha sottolineato l’importanza che rimanga alla guida a Niamey – ha riferito il portavoce del dipartimento di Stato, Matthew Miller.

Blinken ha sottolineato che “quanti detengono Bazoum stanno minacciando anni di cooperazione di successo e centinaia di milioni di dollari di assistenza a sostegno del popolo nigerino“, chiedendo quindi all’ex presidente Issoufou “di proseguire gli sforzi per risolvere la situazione a favore del governo democraticamente eletto a guida civile”. 

Il flop dell’intelligence, ennesima sconfitta francese nel Sahel

L’aspetto più curioso del golpe è che in apparenza i servizi segreti occidentali e in particolare delle nazioni che hanno truppe schierate in Niger e stretti rapporti con i locali comandi militari non abbiano né previsto né avuto sentore del pronunciamiento della Guardia Presidenziale poi seguita da tutte le forze armate.

Neppure la DGSE e l’intelligence militare francese che a Niamey sono da sempre di casa. Basti pensare che l’ambasciata di Parigi nella capitale nigerina si trova a poca distanza dal palazzo presidenziale sulla Avenue de la Republique, quasi a testimoniare visivamente il “tutoraggio” francese sulla sua ex colonia a 63 anni dall’indipendenza del Niger, nel 1960.

Per la Francia la perdita del controllo sul Niger avrebbe effetti disastrosi non solo perché si aggiungerebbe all’espulsione dei propri militari e dei propri interessi da Mali, Burkina Faso e Repubblica Centrafricana (a vantaggio della Russia) ma soprattutto perché il Niger fornisce a Parigi a prezzi contenutissimi circa il 30 per cento dell’uranio utilizzato per alimentare le centrali nucleari francesi. Uranio che fino al 2014 la Francia ha prelevato gratuitamente.

Il Niger è stato finora il bastione della presenza militare occidentale nel Sahel a contrasto dei movimenti jihadisti e dopo le defezioni di Mali e Burkina Faso e la difficile situazione in Ciad ha assunto un ruolo ancora più rilevante ricevendo forniture militari italianeeuropeefrancesistatunitensiegiziane e turche.

Difficile comprendere gli umori popolari in una nazione tra le più povere del mondo, grande oltre 4 volte l’Italia e con poco meno di 30 milioni di abitanti.

La mano di Mosca? 

La sera del 26 luglio a Niamey alcuni sostenitori del presidente Bazoum le del Partito Nigerino per la Democrazia e il Socialismo (PNDFS) hanno manifestato chiedendo la liberazione del presidente venendo dispersi da colpi esplosi in aria dalla Guardia Presidenziale. Il giorno successivo si sono registrate invece manifestazioni a favore del golpe e per il ritiro delle forze francesi dal Paese tra lo sventolio di bandiere russe e il saccheggio della sede del PNDS.

Elementi comuni con quanto accaduto negli ultimi anni in altri paesi dell’Africa Centrale e Sahel che hanno indotto molti osservatori a ipotizzare il ruolo di Mosca nel golpe militare.

Come ha ricordato Fausto Biloslavo sul Giornale, “a Niamey, dallo scorso settembre, è apparso il Movimento62, che si propone di cacciare i francesi e le altre truppe straniere dal paese. In piazza sventolano bandiera russe e cartelli con scritto «abbasso la Francia» oppure «I love Putin». Il loro leader, Abdoulaye Seydou, è stato arrestato in febbraio, ma il sentimento anti francese farebbe proseliti anche fra i militari”.

Per il momento non vi sono elementi a sostegno del ruolo di Mosca nel golpe se si escludono le dichiarazioni del capo della Wagner, Evgheny Prigozhin (nella foto sotto a San Pietroburgo con l’ambasciatore della Repubblica Centrafricana), che plaude all’emancipazione africana dal neocolonialismo occidentali.

“Quello che è successo in Niger è una lotta del popolo contro i colonizzatori che hanno imposto le loro regole di vita, le loro condizioni e li tengono in una condizione che era nell’Africa di centinaia di anni fa. Oggi il Niger sta effettivamente guadagnando l’indipendenza liberandosi dei colonizzatori” ha detto Prigozhin a margine del Summit Russia-Africa che ha riunito a San Pietroburgo 49 delegazioni africane (su 54 nazioni) di cui ben 16 a livello di capo di stato.

Come ha sottolineato sul Washington Post il ricercatore John Lechner, specializzato sulla presenza della Wagner in Africa, non ci sono prove che la Russia o il gruppo Wagner siano direttamente coinvolti nel golpe in Niger e del resto Mosca ha chiesto come il resto della comunità internazionale la liberazione di Bazoum. Tuttavia, ha sottolineato Lechner, sia le forze filorusse, sia quelle anti Mosca sfrutteranno la situazione per portare avanti le proprie agende.

A questo proposito, al vertice Russia-Africa di San Pietroburgo, Mosca ha annunciato un piano di aiuti alimentari che vedrà sei nazioni africane (Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, Repubblica Centrafricana ed Eritrea) ricevere nei prossimi tre mesi fino a 50.000 tonnellate di grano ciascuno a titolo gratuito. Il Mali, retto dalla giunta militare filo-russa, otterrà da Mosca anche forniture di cibo, investimenti, sviluppo delle relazioni commerciali e incremento della quota di studenti maliani ammessi con borsa di studio nelle università russe da 35 a 290.

Europa e USA si sono già espressi a favore del reintegro di Bazoum ma non c’è dubbio che il modello occidentale in Africa è posto in seria crisi dalla penetrazione russa (e cinese) che offre aiuti militari ed economici non condizionati da “riforme” e adesioni a modelli culturali diversi da quelli locali.

Sul piano militare anni di presenza militare occidentale non hanno sconfitto il jihadismo e non è certo un caso che siano state le élite militari a rovesciare i governi in Mali, Burkina Faso e Niger. L’ostilità manifesta ai golpisti sta già provocando qualche tensione con la Francia, accusata dalla giunta militare di aver violato lo spazio aereo facendo atterrare all’aeroporto di Niamey (nella foto sotto) un suo aereo da trasporto militare A400M.

La giunta militare non ha invece denunciato l’atterraggio a Niamey di un aereo da trasporto VIP Gulfstream 4 appartenente alla compagnia turca AhlatcÄ Holding (società attiva in diversi settori inclusi finanza, miniere d’oro ed energia) proveniente da Istanbul. E’ presto per ipotizzare un ruolo russo nel golpe così come un ruolo della Turchia che pure negli ultimi tempi ha stretto forti rapporti militari con Niamey fornendo veicoli, aerei e droni.

Il supporto della giunta militare del Burkina Faso 

Benché la giunta golpista abbia annunciato il rispetto degli accordi internazionali in vigore, inclusi quindi quelli che assicurano la presenza militare occidentale in Niger, non tranquillizza le cancellerie europee l’iniziativa della giunta militare al potere in Burkina Faso che ha chiesto una “cooperazione più stretta” con la nuova giunta nigerina.

Il ministro della Comunicazione, Rimtalba Jean Emmanuel Ouédraogo, ha dichiarato alla televisione pubblica che “il nostro auspicio è che insieme si possano stringere partenariati e cooperazioni più strette, e soprattutto che insieme si possa riprendere questa storica lotta contro i gruppi terroristici armati e ripristinare la dignità dei nostri popoli in modo sovrano”. La zona di confine tra Niger, Burkina Faso e Mali è la più calda di tutta l’Africa per l’insurrezione jihadista.

La presenza italiana

L’Italia schiera 300 militari in Niger per lo più impegnati nell’addestramento delle forze locali nell’ambito di una missione europea e di una nazionale anche se per Roma il paese del Sahel ha un ampio rilievo nella gestione dei flussi migratori illegali diretti in Libia e poi in Italia.

“Sembra che dietro questo golpe ci sia ancora una volta la Russia” ha dichiarato ieri il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli. “In questo scenario in cui le dittature del mondo, con in testa la Russia, diventano sempre più pericolose, per noi è un dolore quello che è accaduto. Il presidente Mohammed Bazoum era una speranza per quella terra tanto martoriata. Speriamo che il popolo sappia reagire e che non tutti i militari seguano questa scelta scellerata del gruppo della Guardia presidenziale”.

Dichiarazioni affrettate (il ruolo di Mosca non trova per ora conferme) e al tempo stesso tardive (i militari appaiono tutti schierati coi golpisti) che difficilmente contribuiranno a mantenere gli interessi e le prerogative italiane in Niger se la giunta militare a Niamey dovesse confermarsi pienamente in carica.

Del resto in tutta l’Africa e soprattutto nella cosiddetta “Françafrique” l’Italia ha avuto in questi anni (e forse avrebbe anche ora) molte occasioni di affermarsi come partner di riferimento per molte nazioni africane ma dovrebbe presentarsi come alternativa alla Francia (la cui influenza è sempre più avvertita con insofferenza come neocoloniale), non come partner subordinato a Parigi o alla Ue.

Quando nei mesi scorsi la giunta militare del Mali ha cacciato le truppe francesi dell’Operazione Barkhane se ne sono andati anche i contingenti europei inclusi i 200 militari italiani assegnati alla Task Force Takuba.

Se davvero Roma vuole sviluppare un “Piano Mattei” deve prepararsi a mettere in campo una vera e propria politica africana, autonoma e determinata, pronta a fornire aiuti economici e militari diretti e ad avviare salde cooperazioni bilaterali con i governi che guidano le nazioni africane (non solo con quelli che vorremmo le governassero) fondamentali per i nostri interessi nazionali.

D’altra parte se la risposta dell’Europa ai cambiamenti in atto in Africa sarà basata su sanzioni e blocco degli aiuti economici e militari, il risultato inevitabile sarà da un lato di far crescere la determinazione delle nazioni africane a smarcarsi dal “neocolonialismo” occidentale e dall’altro di lasciare campo libero alla penetrazione russa, turca e cinese.

@GianandreaGaian

Foto: Difesa.it, Twitter, Ministero Difesa Francese, Governo del Niger, Facebook, Air Info Agadez e EPA

Prima di tutto, una nostra opinione

Mentre Parigi, esecrata dai nigerini, è attendista e seguirà le sanzioni che l’Unione europea applicherà anche al Niger, Mosca fa passi avanti e l’Italia scalpita a rimorchio di Bruxelles. In questo tempo, né a Bruxelles, a Parigi, a Washington siedono persone all’altezza della solidarietà attivamente cooperativa che informa il Nuovo Piano Mattei. Forse, a Londra, ad Ankara, ma non è sufficiente. Tramonteremo in Africa con tutto l’Occidente? Sarebbe un tramonto anche per il Sahel, soggetto a un nuovo neo-colonialismo. Per meglio comprenderci, a fronte delle sanzioni allo studio dell’Unione europea, dei tagli agli aiuti della Francia, ripetiamo le parole del presidente del Congo Félix Tshisekedi, che disse:

“Volevo essere molto preciso nel dirlo. Deve cambiare il modo di cooperare con la Francia e con l’Europa. Guardarci in modo diverso, rispettandoci l’un l’altro, considerandoci dei veri partner e non sempre con uno sguardo paternalistico.”

Viene da dire e vale anche per l’Ecowas, che mobiliterà 25.000 uomini di Nigeria, Senegal, Benin, Costa d’Avorio: Lasciamo che il Niger trovi la sua via e facciamo fronte a russi, cinesi e turchi con la solidarietà attiva e compartecipativa. Saranno i nigerini, quelli che oggi gridano ““Macron assassino, Putin in soccorso” , a decidere il loro futuro e saranno i governi dell’Ecowas a ragionare sui rischi della loro attuale frattura.

Le posizioni dei vari paesi sul Niger e le possibili evoluzioni della crisi. L’approfondimento di Analisi Difesa.

Analisi Difesa, 10 Agosto 2023, di Marco Leofrigio, aggiornato il 13 Agosto 2023 alle ore 23.50.

Il golpe militare in Niger del 26 luglio rischia di destabilizzare l’intera regione del Sahel mettendo in difficoltà in primis la Francia e a seguire l’Unione Europea, come  riportato nei giorni scorsi su Analisi Difesa nei commenti del direttore Gaiani, di Ugo Trojano e di Giuseppe Cucchi. Parigi soprattutto vede in corso di cancellazione la sua influenza post-coloniale sulla “Françafrique”, minata dall’infausta guerra del 2011, voluta anche da Parigi, contro la Libia di Muammar Gheddafi.

E in seguito altri errori sono stati fatti in Niger e nell’intera regione. Come ha scritto Trojano, ”non volendo comprendere ne’ adeguarsi realisticamente alle nuove dinamiche sul terreno, i comportamenti sconcertanti di taluni governanti europei, dei vertici Ue preoccupati solo di seguire principi irrealizzabili in taluni Paesi, l’ossessione per le procedure burocratiche, hanno inciso pesantemente favorendo una costante perdita di credibilità europea. E’ stata consentita di conseguenza la penetrazione significativa di nuovi attori, Russia, Turchia, Cina, ben più concreti, solidi, poco votati ad impartire lezioni agli africani piuttosto inclini ad ottenere risultati per sé e, nel breve periodo, per i nuovi committenti africani.”

Le reazioni dei 15 paesi della ECOWAS/CEDEAO (Economic Community of West African States/Communauté économique des États de l’Afrique de l’Ouest), della Francia e della UE sono state immediate. Ugualmente molto preoccupati si sono detti gli Stati Uniti, che hanno un contingente di oltre 1.100 soldati, avendo fatto del Niger una base importante per il contrasto alle varie formazioni jihadiste purtroppo sempre attivissime nel Sahel.

Ad oggi nessuna azione di forza si è verificata dopo la scadenza dell’ultimatum dichiarato dalla ECOWAS/CEDEAO per dare modo alla giunta golpista di fare marcia indietro sulla rimozione del presidente Mohamed Bazoum.

Il ruolo della Nigeria

Nelle prossime ore l’ECOWAS discuterà quali misure adottare e per ora la via del negoziato resta la favorita con l’invio a Niamey dell’ex emiro nigeriano della città’ settentrionale di Kano Sanusi Lamido Sanusi come negoziatore anche se lui stesso nega essere un emissario del governo di Abuja. “Siamo venuti sperando che il nostro arrivo apra la strada a discussioni reali tra i leader del Niger e quelli della Nigeria”, ha detto Sanusi.

In precedenza il 4 agosto, il presidente nigeriano e presidente in carica di ECOWAS/CEDEAO Bola Tinubu (molto legato a Sanusi) aveva ipotizzato, nonostante l’ostilità del Senato nigeriano l’uso della forza, approvato da Costa d’Avorio, Ghana e Senegal, mentre il Ciad ha comunicato di non voler parteciparvi. Il grosso delle forze, in caso di intervento armato, sarò presumibilmente messo in campo dalla Nigeria mentre gli altri paesi invieranno contingenti minori.

Tinubu ha intanto disposto alla Banca Centrale della Nigeria (CBN) di attuare una serie di nuove sanzioni finanziarie nei confronti di entità e individui collegati o coinvolti con la giunta militare della Repubblica del Niger. La Nigeria ha già interrotto la trasmissione di energia elettrica che assicurava il 70% del fabbisogno nigerino.

Braccio di ferro con la Francia

A Niamey Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria, costituito dai golpisti ha chiuso lo spazio aereo paese adducendo “la minaccia di intervento armato dall’esterno” e deciso l’invio di unità dell’esercito a rinforzo dei reparti già presenti nella capitale e lungo il confine con Nigeria e Benin,

Il leader golpista Abdourahamane Tchiani, già comandante della Guardia Presidenziale, conosce gli avversari della giunta militare nigerina (era stato comandante di un battaglione della ECOWAS nel 2003 in Costa d’Avorio, che intervenne come forza di pacificazione dopo la firma del cessate-il-fuoco tra governo e forze ribelli) ed è consapevole che il Niger non è isolato.

Mali, Burkina Faso e Guinea appoggiano il golpe del 26 luglio mentre l’Algeria, colosso economico e militare, si oppone a un intervento militare: forte di questa consapevolezza e del ruolo cruciale di Russia, Turchia e Cina (potenze sempre più influenti in Africa), la giunta al potere a Niamey ha respinto “le ingerenze dei paesi occidentali” dopo aver intimato a Parigi il ritiro entro un mese dei 1.500 militari schierati in Niger.

Parigi ha risposto con durezza replicando che solo le «legittime autorità» del Niger possono cambiare i trattati bilaterali in vigore ma ieri la giunta di Niamey ha denunciato la violazione dello spazio aereo nigerino da parte di un aereo da trasporto militare francese A400M decollati dal Ciad e accusato Parigi di aver liberato 14 miliziani jihadisti e di avere un “piano di destabilizzazione” del Niger.

Inoltre il CNSP ha accusato “la Francia ed i suoi complici” per un attacco avvenuto ieri mattina contro una postazione della Guardia Nazionale a Bourkou Bourkou, vicino alla miniera d’oro di Samira. Parigi ha respinto le accuse confermando che “il volo effettuato questa mattina è stato autorizzato e coordinato con l’esercito nigerino”.

L’America temporeggia

Gli Stati Uniti si sono detti “molto preoccupati per la salute e la sicurezza personale” di Bazoum in isolamento con la famiglia dal 26 luglio, timore espresso anche dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres che chiede con urgenza il loro rilascio incondizionato e il rigoroso rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti umani del Niger”.

Benché la visita del sottosegretario Victoria Nuland non abbia sortito alcun risultato la diplomazia statunitense sembra puntare ancora sul dialogo, forte anche del fatto che per ora i golpisti non hanno chiesto il ritiro delle truppe americane (né di quelle italiane e tedesche) in Niger, che restano acquartierate nelle loro basi.

L’ambasciata degli Stati Uniti a Niamey ha esortato con un comunicato gli americani che ancora si trovano nella capitale a “rimanere al riparo, limitare i movimenti non necessari nella città e continuare ad evitare il centro e l’area del palazzo presidenziale” aggiungendo che “vi potrebbe essere un aumento della presenza di forze di sicurezza nella zona del centro (per monitorare dimostrazioni) quindi è importante essere cauti, limitare i movimenti ed evitare ogni protesta. L’ambasciata è al corrente delle notizie di mancanza di contanti e di alcuni beni”, ha concluso la nota.

L’Europa guarda alle sanzioni

Gli europei sembrano invece apprestarsi a imporre sanzioni ai membri della giunta militare nigerina, come hanno riferito alla Reuters fonti della Ue secondo le quali la Commissione Europea ha avviato la discussione sui criteri per l’adozione delle misure. Per imporre le sanzioni è necessario l’accordo di tutti i 27 Stati membri dell’Unione ma è chiaro che l’adozione di simili misure porterebbe con ogni probabilità all’espulsione anche dei contingenti italiano e tedesco presenti in Niger.

“La Ue è pronta a sostenere le decisioni dell’ECOWAS, compresa l’adozione di sanzioni”, ha detto il portavoce Peter Stano mentre i ministri degli Esteri europei discuteranno la situazione del Niger non prima del vertice di Toledo del 31 agosto.

L’impressione è che Ue ed ECOWAS intendano testare la compattezza della giunta militare puntando anche su contestazioni interne. Ieri un appello alla “mobilitazione nazionale” su tutto il territorio nazionale per salvare Bazoum, è stato lanciato dal Partito Nigerino per la Democrazia e il Socialismo che fa capo al presidente deposto.

Inoltre è stata annunciata la costituzione del Consiglio di Resistenza per la Repubblica” (CRR) che punta a reinsediare Bazoum “con tutti i mezzi necessari”: il suo leader è il touareg Rhissa Ag Boula, e membro del governo deposto. Un membro del CRR, riporta Trtafrika, ha affermato che diversi politici nigerini si sono uniti al gruppo ma non hanno potuto rendere pubblica la loro posizione per motivi di sicurezza.

A Niamey il generale Abdurahman Tchiani, ha firmato oggi un decreto che istituisce il nuovo governo composto da 21 membri, il primo ministro Ali Mahaman Lamine Zeine e 20 ministri. I dicasteri di Difesa e Interno sono stati assegnati a due generali membri del Consiglio nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP): si tratta rispettivamente dell’ex capo di stato maggiore della Difesa Salifou Mody e l’ex capo di stato maggiore dell’esercito Mohamed Toumba.

Al vertice dell’ECOWEAS invece il Niger è rappresentato dal ministro degli Esteri del governo deposto dai golpisti, Hassoumi Massaoudou.

Le opzioni sul tavolo 

Gli sviluppi della crisi nigerina dipenderanno dalle opzioni attualmente sul tavolo.

  • Mantenere il negoziato aperto senza esasperare la crisi con la giunta di Niamey ridurrebbe il rischio di escalation e di un conflitto regionale che potrebbe destabilizzare tutta l’Africa Occidentale/Sahel ma rafforzerebbe la giunta golpista nigerina. Uno sviluppo probabilmente non accettabile per la Francia.
  • Limitare il contrasto al CNSP a sanzioni economiche sempre più forti eviterebbe un conflitto aperto, provocherebbe forse danni alla già debole economia nigerina anche se la vastità dei confini nigerini attraversati da tempo da traffici illegali potrebbe vanificare o ridurre l’impatto delle sanzioni. Di certo tali misure accentuerebbero la spaccatura all’interno dell’ECOWAS allontanando definitivamente il Niger dall’influenza occidentale.
  • Attuare un vasto intervento militare richiederebbe tempo e determinerebbe un conflitto di durata indefinita e fuori controllo, che potrebbe allargarsi ad altre nazioni e che favorirebbe i movimenti jihadisti attivi nella regione (nel 2022 il Niger ha subito 114 attacchi di matrice jihadista contro i circa 2mila di Mali e Burkina Faso). Occorrerebbe poi mettere a punto piani e attività d’intelligence, riunire e supportare logisticamente ingenti forze (molti più militari dei 7mila messi in campo dall’ECOWAS nel 2017 per l’intervento nel minuscolo Gambia) con mezzi terrestri e aerei per uno sforzo bellico dalla tempistica potenzialmente prolungata, con ampi costi finanziari e con la prospettiva di dover dispiegare truppe non solo a Niamey ma in tutto il Niger, grande oltre volte l’Italia. L’esercito nigeriano, che porterebbe il peso più rilevante in caso di interventi dell’ECOWAS, ha già molti impegni interni da affrontare contro i movimenti jihadisti (Boko Haram e i miliziani jihadisti dell’Islamic State West Africa Province legati allo Stato Islamico) e i separatisti del Biafra. Inoltre il successo militare contro la giunta militare del Niger non è scontato non solo per il supporto che verrebbe offerto da Mali e Burkina Faso ma anche perché la penetrazione di truppe nigeriane a Niamey non sarebbe gradito all’Algeria. Le truppe nigeriane e gli alleati di Costa d’Avorio e Senegal dovrebbero confrontarsi con le forze nigerine potenziate in questi anni dagli aiuti e dalle forniture occidentali, turche ed egiziane senza contare che un eventuale ruolo attivo delle forze francesi potrebbe venire interpretato in tutta l’Africa come un’operazione neo coloniale favorendo così la penetrazione (anche militare) russa, turca e cinese. Parigi dovrebbe poi tenere in conto il rischio che un’altra “campagna d’Africa” possa infiammare nuovamente l’insurrezione interna in molte banlieues che aprirebbe un rilevante fronte interno.
  • Condurre un’azione mirata a liberare Bazoum, con forze speciali presumibilmente francesi (già presenti a Niamey), determinerebbe in ogni caso uno stato di guerra che comprometterebbe i rapporti e gli interessi di Parigi e occidentali in Niger senza però garantire sviluppi negativi per la giunta militare di Niamey. Ogni azione militare contro il CNSP potrebbe inoltre offrire il destro per interventi esterni a sostegno dei golpisti come quello dei contractors russi della PMC Wagner. Il suo leader, Yevgeny Prigozhin, si è già reso disponibile a inviare i suoi uomini a Niamey anche se Mosca finora si è espressa a favore del ripristino del governo legittimo pur senza emettere condanne o minacciare sanzioni nei confronti della giunta golpista.
  • Puntare su un contro-golpe interno non offrirebbe attualmente garanzie di successo poiché non vi sono elementi che inducano a ritenere che ampie fasce della popolazione siano pronte a sollevarsi contro il CNSP né che una parte consistente delle forze militari e di sicurezza nigerine siano pronte a insorgere contro i golpisti.

La crisi nigerina resta quindi troppo complessa per poter sperare in soluzioni rapide, efficaci ma soprattutto che non ne comportino l’ulteriore aggravamento.

ULTIM’ORA – L’ECOWAS attiva la Standby Force 

I leader della Comunità Economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDEAO o ECOWAS) riuniti oggi ad Abuja (Nigeria) per il vertice straordinario chiamato a concordare le azioni da intraprendere dopo il colpo di Stato in Niger dello scorso 26 luglio, hanno ribadito la loro ferma condanna del golpe e la detenzione illegale del presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum riaffermando la determinazione a mantenere sul tavolo tutte le opzioni per la risoluzione pacifica della crisi.

L’ECOWAS ha autorizzato l’attivazione di una Forza militare d’intervento (Standby Force) per ripristinare l’ordine costituzionale in Niger ordinando al Comitato dei capi di Stato maggiore della Difesa degli stati membri di attivare immediatamente tale forza militare e dispiegarla.

Nel comunicato finale del vertice la CEDEAO/ECOWAS conferma tutte le misure annunciate in occasione del precedente vertice straordinario tenutosi lo scorso 30 luglio sempre ad Abuja, e in particolare “la chiusura delle frontiere e il divieto di viaggio e il congelamento dei beni di tutte le persone o gruppi di individui i cui le azioni ostacolano tutti gli sforzi pacifici volti a garantire il ripristino armonioso e completo dell’ordine costituzionale”.

Il comunicato, inoltre, “mette in guardia gli Stati membri che, con direttamente o indirettamente, ostacolano la soluzione pacifica della crisi in Niger sulle conseguenze della loro azione dinanzi alla Comunità” (un riferimento diretto a Guinea, Mali e Burkina Faso) e invita l’Unione Africana ad approvare tutte le decisioni.

Il documento rinnova l’invito a tutti i Paesi e le istituzioni partner, comprese le Nazioni Unite, a sostenere la CEDEAO nei suoi sforzi per garantire un rapido ripristino dell’ordine costituzionale in Niger. “I Capi di Stato Maggiore avranno altre conferenze per finalizzare la missione ma hanno l’accordo della Conferenza dei Capi di Stato per iniziare l’operazione il prima possibile”, ha dichiarato Alassane Ouattara, presidente della Costa d’Avorio che metterà a disposizione un contingente di 850/1.100 uomini.

“I golpisti possono decidere di andarsene domani mattina e non ci sarà alcun intervento militare, dipende da loro” – ha aggiunto Ouattara – “Siamo determinati a reintegrare il presidente Bazoum al suo posto”. Al termine del vertice di Abuja, il presidente della Commissione ECOWAS, Omar Touray, ha ribadito “il continuo impegno per il ripristino dell’ordine costituzionale, attraverso mezzi pacifici”.

L’agenzia di stampa statunitense Associated Press, citando due funzionari occidentali, ha reso noto che i golpisti avrebbero detto a un alto diplomatico statunitense che ucciderà il presidente deposto Mohamed Bazoum se i Paesi vicini tenteranno qualsiasi intervento militare per ripristinare il suo governo. Secondo l’Ap, uno dei funzionari ha affermato che i golpisti hanno riferito al sottosegretario di Stato americano Victoria Nuland della minaccia a Bazoum durante la sua visita nel Paese nei giorni scorsi. Un altro funzionario Usa ha confermato questa versione, parlando a condizione di anonimato. Nessuna fonte ha però confermato questa minaccia né vi sono state dichiarazioni in tal senso da parte del CNSP, l’organismo che rappresenta la giunta militare di Niamey.

Foto: US DoD/Africom, TV Niger, Twitter, Ministero Difesa Francese e Peoples Dispatch

5793.- “Peschereccio italiano attaccato a colpi di mitra da motovedetta libica”donata dall’Italia

Parliamo di Patto per il Mediterraneo, ma in Libia comanda e spara chi vuole

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É la seconda volta che le motovedette donate dall’Italia alla Libia aprono il fuoco sugli italiani. Questo comandante libico li ha abbordati e, Dio sa perché, ha sequestrato le schede dei telefonini dei marinai.

A giugno 2022, il precedente nel Canale di Sicilia. Quella volta intervenne la fregata Grecale, questa volta intervenga il presidente Meloni: Chieda la radiazione di questo comandante, direttive precise sull’uso delle armi alla Guardia Costiera Libica e alle unità della Marina Militare.

18 luglio 2023. Leggiamo e commentiamo da Redazione Adnkronos, Virgilio Notizie, Pandora.

Il peschereccio mazarese Aliseo sequestrato in passato dai libici
Il peschereccio mazarese Aliseo sequestrato in passato dai libici 

Martedì 18 luglio il peschereccio Orizzonte, della marineria di Siracusa, è stato “attaccato, costretto a fermare e abbordato in acque internazionali” da “una motovedetta libica” che ha “esploso contro numerosi colpi di mitra”. L’equipaggio e il comandante del peschereccio sono stati miracolosamente in grado di mettersi in salvo. Il peschereccio sarebbe ingovernabile per la rottura del timone, danneggiato dai colpi di mitra, mentre le comunicazioni sarebbero difficili perché i libici avrebbero anche sequestrato le schede dei telefonini dei marinai. Dopo l’allarme, sul posto è stata inviata una nave della marina militare italiana, che era in servizio di sorveglianza pesca nel Mediterraneo. Come da procedure, per una prima assistenza, dalla nave è decollato un elicottero che ha individuato il peschereccio prima dell’arrivo dell’unità navale. Dobbiamo valutare se queste procedure garantiscono ancora la sicurezza dei nostri lavoratori del mare.

Secondo Fabio Micalizzi, Presidente della Federazione Armatori Siciliani, l’Orizzonte era stato fermato con l’accusa di pescare all’interno della Zona marittima esclusiva libica. Un’unità della Marina militare italiana è intervenuta anche con un elicottero per sventare un possibile sequestro. L’Orizzonte era in navigazione in acque internazionali, a 94 miglia a Nord di Misurata, ma non significa niente perché, se fosse stato a pescare o a navigare nelle acque territoriali libiche, questo non autorizza la Guardia Costiera ad aprire il fuoco. Micalizzi annuncia inoltre che “si riserva il diritto di denunciare le autorità libiche e i membri dell’equipaggio della motovedetta e depositerà un dettagliato esposto alle Procure di Roma e Catania”. 

Il noto armatore siciliano del peschereccio Orizzonte,“Nino Moscuzza, ha lanciato, a sua volta, un appello disperato alla Federazione Armatori Siciliani per chiedere aiuto e attenzione da parte delle autorità italiane e dello Stato dopo questo gravissimo attacco in acque internazionali”.

“Questo atto di violenza senza precedenti ha scosso profondamente la comunità marittima siciliana e richiede una risposta decisa e immediata da parte delle istituzioni italiane e internazionali o dobbiamo armare i nostri pescherecci? La cooperazione tra tutte le parti coinvolte è fondamentale per garantire la sicurezza e la giustizia in questa delicata vicenda. La Federazione armatori siciliani si impegna a sostenere l’armatore e a fornire tutto il necessario per ottenere la giustizia e il recupero dell’imbarcazione danneggiata” ha proseguito Micalizzi, concludendo: “In nome della sicurezza e della giustizia chiediamo a tutte le istituzioni competenti di intervenire rapidamente e con determinazione per risolvere questa grave situazione e garantire la sicurezza dei nostri pescatori e delle nostre acque internazionali”.

“Il governo italiano deve intervenire con serietà ed urgenza perché non può finire così. Questi fatti non devono più avvenire. I nostri pescatori ed armatori chiedono di lavorare in pace e nel pieno rispetto delle regole internazionali e delle leggi del mare”, ha afferma all’AdnKronos il presidente Fabio Micalizzi, in merito all’attacco subito dal peschereccio siracusano.

Nella nota degli Armatori siciliani inoltre “si prega chiunque disponga di informazioni o testimonianze riguardanti questo incidente di contattare immediatamente le autorità competenti. La cooperazione tra tutte le parti coinvolte è fondamentale per garantire la sicurezza e la giustizia in questa delicata vicenda”. “La Federazione Armatori Siciliani si impegna a sostenere Nino Moscuzza e a fornire tutto il necessario per ottenere la giustizia e il recupero dell’imbarcazione danneggiata”. 

A quanto si apprende da fonti della Farnesina, il peschereccio italiano è già in rientro verso l’Italia. L’ambasciata d’Italia a Tripoli ha fatto immediate richieste di chiarimento alla presidenza del governo di Tripoli e al comando della Guardia costiera.

5768.- L’umanità perduta. Affondata perché si muovevano, con 100 bambini stipati nella stiva.

Mentre c’è chi progetta di seminare di bombe mina a grappolo la terra europea, a giugno, un peschereccio carico di migranti è affondato al largo delle coste greche, nei pressi di Cutro. In Grecia, tutti sapevano e nessuno ha fatto niente. Fra morti e dispersi, quasi 500 hanno perso la vita. Sono in molti a temere che il numero delle vittime possa essere ancora più alto: 600 – 700, forse, in gran parte donne e bambini. Le questioni centrali poste dall’Italia al Consiglio europeo e che poggiano sulla dimensione esterna del problema immigrazione sono state condivise, lasciando gli Stati liberi di legiferare sulla dimensione interna.

Tuttavia, la guardia costiera greca ha detto che il peschereccio era stato individuato la sera prima del naufragio proprio dai mezzi di Frontex e dalle autorità italiane, che avevano avvertito Atene del pericolo. Due navi hanno infine offerto assistenza al barcone mentre si trovava in acque internazionali. I migranti, riferiscono le autorità elleniche, avrebbero però rifiutato preferendo continuare la navigazione verso l’Italia. Una scelta che si è rivelata fatale, dal momento che poche ore dopo, con la guardia costiera ancora nelle vicinanze, il peschereccio si è rovesciato al largo della città di Pylos. L’articolo che segue è di Francesca Sabella, per Il Riformista e si rivolge a noi tutti.

Naufragio dell’umanità in Grecia, tutti sapevano e nessuno ha fatto niente: quei cento bimbi stipati nella stiva

Da Il Riformista, di Francesca Sabella — 16 Giugno 2023

Naufragio dell’umanità in Grecia, tutti sapevano e nessuno ha fatto niente: quei cento bimbi stipati nella stiva

Sul fondo del mare greco riposano, solo così hanno trovato la pace, 80 persone. Li chiamano migranti. Itaca, come sei lontana adesso. Ulisse, in questa storia, non ti raggiungerà mai e del cantore Omero rimane solo una parola: Odissea. Sul fondo del mare è sprofondata l’umanità. Mentre su, in superfice galleggiano mesti, mesti i resti di una barca, un giubbetto di salvataggio che è venuto meno al suo compito, dei vestiti, frammenti di vita quotidiana che sono rimasti a galla mentre nel naufragio dell’umanità tutto andava perso.

Non sapremo mai di chi erano le cose che sono rimaste a galla, che si sono salvate dalla furia del mare e da quella della politica. Mentre si cercano le parole, si cercano pure centinaia di “dispersi”, si temono cinquecento morti. Cinquecento. Erano a bordo del peschereccio affondato intorno alle 2 di notte del mercoledì a 47 miglia nautiche da Pylos. Pare che dopo una protesta a bordo dei naufraghi, il trafficante – capitano abbia abbandonato la nave con una scialuppa. Poi il buio e la barca che va a fondo. Sono persi in un mare che li ha inghiottiti.

Troppo tardi, forse. Eppure, tutti sapevano. Tutti sapevano e nessuno ha fatto niente. L’allarme è stato lanciato nel pomeriggio di martedì. C’era tutto il tempo per salvare chi a sua volta tentava disperatamente di salvarsi dal suo Paese e da un destino già scritto, il finale poteva essere cambiato solo con la fuga. Che quel peschereccio lungo trenta metri stesse affondando lo sapevano tutti. Secondo la versione della Grecia, inizialmente Alarm Phone era stata contattata per segnalare un’imbarcazione in difficoltà. Anche un aereo dell’agenzia europea Frontex aveva avvistato il peschereccio nella tarda mattinata di martedì, e successivamente due motovedette.

Le autorità elleniche si sono giustificate spiegando che i migranti “hanno rifiutato qualsiasi assistenza e hanno dichiarato di voler proseguire il viaggio verso l’Italia”. Insomma, avrebbero scelto arbitrariamente di morire annegati. Poi c’è la versione di Alarm Phone che smentisce la ricostruzione fornita dalla Grecia, sostenendo che la Guardia costiera ellenica era “stata allertata alle 16.53”, così come “le autorità greche e le altre europee”. Quindi, spiegano, “erano ben consapevoli di questa imbarcazione sovraffollata e inadeguata” ma “non è stata avviata un’operazione di salvataggio”.

Come per Cutro, così per Pylos. E non chiamatelo destino. C’è stata una ecatombe nel Mar Ionio, la più grande strage nel Mediterraneo dal 2005 a oggi. E non c’entra, nelle righe che leggete, la legge, la destra e la sinistra, le regole, i confini e i muri. C’entra solo una cosa: l’umanità perduta. Perché al di là di ogni cosa, ragionevole o meno, c’è un fatto: non siamo più umani. Siamo politici o militari, guardia costiera o parlamentari, ma non più umani.

Non siamo più madri, padri e figli. Nelle parole che raccontano il naufragio, ci sono cento bambini nascosti nella stiva. Cento piccoli che si sono affidati alla loro mamma e al mare. Dove sono? Nel naufragio dell’umanità resta una storia non scritta, la storia di chi è morto, di chi è disperso e di chi non crescerà. E un giorno vi si chiederà conto di tutto questo.

5767.- Cirenaica, da qui partono i viaggi della morte: Haftar, il ruolo del gruppo Wagner e i migranti in fuga dalla fame

Da Il riformista, di Lorenzo Vita — 16 Giugno 2023

Cirenaica, da qui partono i viaggi della morte: Haftar, il ruolo del gruppo Wagner e i migranti in fuga dalla fame

Il peschereccio rovesciato al largo della Grecia, con il suo carico di disperazione, speranza e infine morte, era partito dalla Cirenaica, la regione orientale della Libia che ad oggi resta uno dei punti interrogativi del Nord Africa. Controllata dal maresciallo Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico, la Cirenaica si è trasformata in una base di partenza per decine di migliaia di migranti.

20.000!

Secondo i dati del Viminale, delle circa 20mila persone giunte in Italia nel 2023, la metà proveniva dalla parte orientale della Libia, confermando una tendenza osservata già negli ultimi due anni. Non a caso, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva voluto incontrare proprio Haftar per individuare dei canali di dialogo con cui non solo risolvere l’endemica crisi politica libica, ma anche provare a frenare le organizzazioni dei trafficanti e le partenze. Missione difficile per diversi fattori.

In primis perché nel delicato e caotico contesto libico parlare con il generale di Bengasi significa in qualche modo riconoscergli un ruolo che formalmente né l’Italia né la comunità internazionale riconoscono, avendo come unico referente il governo di unità nazionale di Tripoli. Inoltre, molti osservatori sottolineano che parlare con Haftar significa rivolgersi a una persona che, nel corso della guerra in Libia, ha mostrato forti legami con la Russia, in particolar modo con il gruppo di mercenari della Wagner.

Da tempo gli Stati Uniti stanno cercando di convincere l’uomo forte della Cirenaica ad abbandonare l’asse con i contractors di Yevgeny Prigozhin. Ma sembra difficile al momento trovare argomentazioni tali da sbloccare l’impasse senza riconoscere ad Haftar un ruolo che né i libici né i Paesi occidentali vogliono assegnargli. I dubbi dividono osservatori e interpreti della politica internazionale. Ma è altrettanto chiaro che, se le partenze aumentano proprio dalla Cirenaica, chi controlla le sue coste diventa necessariamente un interlocutore.

Soprattutto se è considerato indispensabile per risolvere un problema che rischia di aumentare nella sua portata. La conferma è arrivata proprio nei primi giorni di giugno, quando è giunta la notizia che unità alleate di Haftar hanno arrestato ed espulso migliaia di migranti giunti a Tobruk e Musaid e che erano nascosti dalle organizzazioni criminali mentre queste si preparavano a far partire i barconi verso l’Europa. Le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme sulle detenzioni arbitrarie e sul rispetto dei diritti delle persone giunte in Cirenaica e arrestate dalle milizie legate all’esercito nazionale libico.

Ma sembra difficile credere che i richiami al diritto da parte dell’Onu possano avere un effetto concreto mentre le autorità locali vivono in un sistema di anarchia politica e militare e dove imperversano interessi criminali spesso fortemente legati anche a chi gestisce il territorio. Inoltre, a preoccupare è anche quello che avviene al di là dei confini della parte orientale della Libia. Se infatti molti migranti cercano di prendere la via dell’Europa attraversando prima l’Egitto e poi la frontiera con la Cirenaica, tanti giungono da sud, e cioè da Paesi come il Sudan, in piena guerra civile, e dal Ciad, in cui sono arrivate decine di migliaia di sudanesi in fuga dalla guerra e dove ora la stagione delle piogge, come dichiarato da Medici senza frontiere, rischia di aggravare definitivamente la crisi umanitaria.

In queste condizioni, la presenza della Wagner, delle organizzazioni criminali che si dedicano alla tratta di esseri umani, e gli interessi divergenti di varie potenze regionali e internazionali, rischiano di comporre una miscela esplosiva che non può che ripercuotersi su tutta la parte orientale della Libia. Alimentando così le partenze verso l’Europa. Un insieme di fattori che unito all’arrivo dell’estate, e quindi a condizioni più favorevoli per navigare, rischia di trasformare tragedie come quella al largo di Pylos in una drammatica costante di tutto il Mediterraneo.

5765.- Cinquecento mercenari della “Wagner” avrebbero lasciato la Repubblica Centrafricana per la Bielorussia, via Libia

Bangui, 7 luglio 2023. Tratto da agenzianova.com

Il gruppo Wagner potrebbe lasciare la Repubblica Centrafricana per dirigersi in Libia

La Wagner è presente nella Repubblica Centrafricana con circa 1.500 uomini in 47 siti e vi gestisce lucrose attività. Sembra che sia in corso il trasferimento per via aerea di almeno 500 mercenari verso la Libia, per raggiungere , poi, la Bielorussia. Non è noto se si tratta di un avvicendamento, di un movimento temporaneo, se la Wagner manterrà la sua presenza nel paese o se sarà soppiantata da unità regolari russe o di sicurezza cinesi. Il ministro degli esteri Lavrov aveva dichiarato che la Wagner avrebbe proseguito le sue attività in Africa, vale a dire, in 13 paesi.

In Libia, il gruppo paramilitare russo Wagner è presente a Al Jufra, una base aerea della Libia centrale. La notizia è confermata da testimoni oculari e da “Agenzia Nova” tramite Jalel Harchaoui, associate fellow presso il Royal United Services Institute. Questi, commentando le indiscrezioni del quotidiano “Ean Libya” afferma che sarebbero in corso dei negoziati per il ritiro dei combattenti russi dall’area di Al Jufra, ritenuta di importanza strategica. Queste notizie datano la fine di marzo e, apparentemente, sembrano molto rassicuranti, ma sfortunatamente sono prive di qualsiasi prova.

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fonte foto: شعبة الإعلام الحربي

Un MiG-29 delle forze dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) presso la base aerea di Al Jufra.

Lo scorso novembre, peraltro, le forze di Haftar avevano pubblicato, per la prima volta, alcune fotografie dei caccia russi MiG-29 di stanza presso la base aerea di Al Jufra, nella Libia centrale. Le immagini, pubblicate dalla Divisione informazioni del Comando generale dell’Lna sulla sua pagina Facebook ufficiale, mostravano alcuni alti ufficiali della coalizione militare basata nell’est del Paese mentre ispezionavano i caccia di fabbricazione russa nell’ambito “della preparazione militare dei caccia dell’Aeronautica per la visita a Jufra del comandante generale, maresciallo di campo (massimo rango degli ufficiali generali, ndr) Khalifa Haftar”. Nelle foto pubblicate online apparivano anche Saddam e Khaled, due dei figli di Haftar, e i leader di altre brigate militari.“ Le immagini mostravano, inoltre, caccia MiG-21 e Mig-22, elicotteri da trasporto e velivoli da addestramento, nonché gli equipaggi e il personale di stanza presso la base aerea situata lungo la “linea fortificata” che da Jufra risale verso la costa fino ad arrivare nella città di Sirte. E’ stata la prima volta che le forze di Haftar hanno fatto sfoggio dei Mig-29. Secondo il Comando Usa per l’Africa (Africom), i velivoli sono giunti in Libia nella primavera del 2020 da una base aerea in Russia, dopo aver transitato in Siria dove sono stati ridipinti per mascherarne l’origine russa. Washinton ha più volte accusato la Federazione russa di aver fornito aerei da combattimento, veicoli corazzati militari e sistemi di difesa aerea al gruppo Wagner in Libia, alleato dell’Lna, in violazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu 1970 e dell’embargo sulle armi. Da parte sua, Mosca ha sempre negato le accuse. Intanto, in una dichiarazione rilasciata all’agenzia di stampa russa “Tass” il viceministro degli Esteri e rappresentante speciale del presidente russo per il Medio Oriente e l’Africa, Mikhail Bogdanov, ha dichiarato che Mosca “riaprirà a pieno regime” la sua missione diplomatica a Tripoli, precisando che il nuovo ambasciatore di Russia in Libia, Aydar Aganin, è in viaggio. Secondo Bogdanov, le garanzie di sicurezza per la sua missione diplomatica in Libia rimangono una priorità per la Russia.

Agenzia Nova. – I mercenari russi del gruppo Wagner si starebbero apprestando a lasciare – almeno parzialmente, quanto non si sa, – la Repubblica Centrafricana, Paese nel quale sono presenti almeno fin dal 2018. A rivelarlo è il portale locale “Obangui Medias”, secondo cui le partenze sono iniziate lunedì 3 luglio e sono proseguite nel corso degli ultimi giorni. Gli uomini di Evgenij Prigozhin, fondatore del gruppo, avrebbero lasciato diverse località nel nord del Paese, in particolare Moyenne-Sido, città al confine con il Ciad. Il sito d’informazione non offre una stima del numero di paramilitari già partiti, ma cita fonti occidentali secondo cui almeno 500 uomini hanno lasciato la Repubblica Centrafricana per volare in Libia, tappa intermedia prima di raggiungere infine la Bielorussia. La stessa fonte stima in circa un migliaio i mercenari di Wagner ancora presenti nel Paese dell’Africa sub-sahariana, dove secondo il quotidiano francese “Le Monde” il gruppo avrebbe occupato in questi mesi non meno di 47 avamposti militari.

Le partenze dalla Repubblica Centrafricana giungono dopo la crisi che a giugno ha opposto gli uomini di Prigozhin alle forze armate regolari della Russia, con un potenziale colpo di Stato evitato all’ultimo da un accordo mediato dal presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko, che prevede tra le altre cose l’integrazione dei mercenari nei ranghi dell’esercito di Mosca. Gli ultimi sviluppi in Repubblica Centrafricana sembrerebbero dimostrare che, alla luce di quanto avvenuto a Mosca nelle ultime settimane, qualcosa sia destinato a cambiare anche nella strategia russa nel Sahel. Questo nonostante il 26 giugno scorso il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, abbia assicurato che Wagner continuerà ad operare in Mali e nella Repubblica Centrafricana, dove i paramilitari russi hanno la funzione ufficiale di addestratori. Ormai inglobati nell’orbita russa, i due Paesi africani rischiano ora di pagare un prezzo ulteriore, legato non più solo alla presenza dei Wagner ma alla lotta di potere aperta dal suo fondatore Prigozhin con il presidente russo Vladimir Putin dopo la fallita ribellione dello scorso 24 giugno.

Come rivelato di recente dal “Wall Street Journal”, Putin avrebbe avviato un’inevitabile operazione di “pulizia” nei ranghi della milizia, strumento determinante e a basso costo per espandere l’influenza russa in Africa ed in Medio Oriente. Con il chiaro obiettivo di riprendere il controllo delle attività del gruppo paramilitare, il presidente russo ha inviato un preciso messaggio ai leader di Siria, Repubblica Centrafricana e Mali – dove la presenza di Wagner è ormai accertata – assicurando che la contenuta insurrezione non arresterà la loro espansione in Africa, ma che le loro attività non saranno più autonome. Secondo il quotidiano statunitense, che cita funzionari anonimi e “disertori” della milizia russa, fin dalle ore successive alla rivolta di Prigozhin il viceministro degli Esteri russo, Andrej Rudenko, è volato a Damasco per consegnare personalmente il messaggio al presidente siriano Bashar al Assad, mentre la stessa direttiva è stata comunicata per via telefonica da Mosca al presidente centrafricano Faustin-Archange Touadera, la cui guardia del corpo include anche mercenari della Wagner.

Nelle scorse settimane – prosegue il “Wall Street Journal” – aerei governativi del ministero delle Situazioni di emergenza russo hanno fatto la spola dalla Siria al Mali, un altro degli avamposti internazionali chiave della milizia Wagner. Secondo il quotidiano, il vortice di attività diplomatica riflette il tentativo del presidente russo di sminuire l’entità della crisi interna, e rassicurare i partner di Mosca in merito alla prosecuzione delle attività globali del gruppo Wagner. La Russia, che per anni ha ufficialmente negato ogni associazione con il gruppo paramilitare, starebbe ora tentando di rilevare e amministrare direttamente la sua vasta rete di risorse e attività marginalizzando al contempo Prigozhin, sebbene su questo punto non sia ancora del tutto chiaro se e come potrà farlo.

wagner

Secondo il sito web di approfondimento sul Medio Oriente “Al Monitor”, con sede a Washington, le unità Wagner sono per lo più presenti nella regione orientale, in particolare nella base aerea di Al Khadim, vicino alla città di Al Marj, nella città di Sirte e nella regione centrale di Al Jufra. Qui si ritiene che si trovino la maggior parte dei cacciabombardieri e delle risorse più preziose di Wagner, inclusi i suoi avanzati sistemi di difesa aerea e velivoli da combattimento. Fonti libiche riferiscono ad “Agenzia Nova” che il generale Haftar “non è contrario al ritiro dei mercenari russi, a patto però che si mantengano gli equilibri nel Paese. Per la partenza di Wagner chiede garanzie, vuole capire cosa faranno i gruppi armati dell’ovest e come si comporterà la Turchia. A questo va aggiunto che il gruppo russo, da parte sua, non ha alcun interesse a lasciare le sue posizioni nella Libia centrale, nel Fezzan e nel Sahel. Parlare di ritiro è ancora prematuro”. In assenza di una chiara politica occidentale per l’Africa, ogni arretramento della Russia nel continente, lascia la porta aperta alla penetrazione sia turca sia cinese. Infatti, oltre a Mosca, anche Pechino sfrutta le proprie Private Military Companies, compagnie di sicurezza, per estendere la sua influenza sul continente africano. Ma le metodologie cinesi differiscono da quelle della Wagner e con la Cina possono lavorare solo cinesi.

Immagini satellitari del 30 giugno mostrano un raid aereo contro un Il-76 del gruppo Wagner nell’est della Libia

Il bombardamento sarebbe stato effettuato contro un aereo da trasporto Il-76 di fabbricazione russa. Le immagini satellitari analizzate dalla piattaforma di intelligence open-source “Eekad”, con sede negli Stati Uniti, avrebbero confermato il raid aereo del 30 giugno nella Libia orientale contro una base aerea del gruppo Wagner. Lo ha riferito la stessa “Eekad” in un’analisi approfondita sul suo profilo ufficiale Twitter, secondo cui il bombardamento sarebbe stato effettuato contro un aereo da trasporto Il-76, di fabbricazione russa, che il gruppo paramilitare russo Wagner “utilizza in Libia e nel continente africano”. La base aerea in questione sarebbe quella di Al Khadim, vicino alla città di Al Marj, nota per la presenza delle unità Wagner. Le immagini satellitari esclusive a cui la piattaforma open-source ha potuto accedere, pubblicate su Twitter, sono state scattate il 30 giugno dai satelliti della costellazione Pleiades Neo, di proprietà di Airbus. Secondo “Eekad”, le immagini mostrano tracce di un incendio sulla pista principale della base aerea di Al Khadim e l’attacco aereo sarebbe stato effettuato “da un missile proveniente dal lato sud-ovest della base”. Una seconda immagine satellitare scattata il primo luglio ha mostrato la presenza di detriti di aereo sparsi sulla pista principale. Inoltre, il 28 giugno scorso, l’account Twitter di analisi militare Gerjon aveva avvistato un aereo Il-76 ed “è probabile che questo aereo sia un sostituto dell’aereo TL-KBR che Washington aveva preso di mira nella base di Al Khadim”, secondo la piattaforma open-source. “Si tratta di un tentativo di espellere le forze Wagner che operano in Libia dall’aprile 2019, quando Khalifa Haftar le ha fatte entrare per partecipare all’attacco di Tripoli”, secondo “Eekad”. Si è parlato anche di un presunto attacco con droni, di chi non si sa, su basi militari nella Libia orientale.