Archivio mensile:giugno 2015

ECCEZIONALE INTERVENTO DEL PROF RINALDI IN FRANCIA: ”SALVIAMO L’EUROPA, LIBERIAMOLA DALL’EURO PRIMA DI UNA GUERRA”.

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È possibile vivere senza l’euro?, e come? Si è posto gli interrogativi il prof Rinaldi durante gli “EFP Parlamentary Days” a Parigi. Benessere degli europei, democrazia, crisi identitaria ed economica saranno al centro delle tavole rotonde organizzate dalla coalizione di euroscettici EFP, per capire in che direzione deve e può muoversi l’Unione Europea nel prossimo futuro anche senza la moneta unica…

Ecco la relazione tenuta da Rinaldi.

Sarò estremamente realistico in questa mia analisi. La gravità della situazione che si è determinata in molti dei Paesi membri dell’Unione Europea e in particolare in quelli che hanno adottato la moneta comune, mi legittimano nel fare delle considerazioni che non avrei mai voluto fare. L’Euro è ormai divenuto il principale elemento di contrasto in Europa, costituendo un insormontabile ostacolo all’unione e alla coesione, mentre invece paradossalmente sarebbe dovuto essere il mezzo di principale d’integrazione e aggregazione. Un progetto frettolosamente messo in atto per una scelta prettamente politica al fine di creare nuovi equilibri dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica, non è riuscito però nel suo originario scopo.

Chi credeva che una stessa moneta fosse la conditio sine qua non per realizzare l’assioma “one market, one money” è rimasto profondamente deluso.Nulla è stato fatto affinché si mutuassero le diverse esigenze determinate dalle inevitabili asimmetrie fra economie e strutture nazionali molto diverse fra loro e dopo 22 anni da Maastricht, Bruxelles non è riuscita neanche ad uniformare stesse aliquote IVA (VAT) per stessi beni merceologici e servizi. Come possiamo pertanto ragionevolmente credere che ci sia una effettiva volontà di procedere verso rapide unioni politiche e fiscali se neanche il gradino più basso per facilitare la libera circolazione dei beni e servizi, non è stato mai costruito? Nella realtà, nell’ambito dei Paesi membri, il mercato comune si è rivelato essere una vera e propria farsa e non perché non si è realizzata la prima conditio nell’ottimizzare i due principali fattori produttivi indispensabili capitale e lavoro, ma perché le regole a supporto della moneta unica sono state esclusivamente utilizzate come mezzo coercitivo per estraniare sempre più i paesi dalle loro rispettive residue Sovranità. A chi fanno riferimento e a chi rispondono coloro i quali hanno avocato a sé questi poteri lasciando all’euro l’esclusiva funzione di sottomettere la maggioranza dei paesi eurodotati alle volontà di una eurocrazia autoreferenziale e soprattutto senza alcun mandato popolare?L’euro si è tristemente dimostrato a nostro danno non una reale moneta, ma un accordo di cambi fissi la cui irrevocabilità e le sue regole sono state utilizzate come un subdolo metodo di governo con cui imporre decisioni fuori dalle democratiche legittime istituzioni dei Paesi membri.

E’ pertanto inutile sforzarsi nel cercare di modificare o correggere l’attuale impianto dei Trattati e dei Regolamenti su cui si regge la moneta unica: risulterà impossibile raggiungere qualsiasi compromesso che possa essere considerato accettabile e i tentativi non faranno altro che procastinare l’agonia a cui siamo inesorabilmente tutti condannati.

Ma come si è arrivati a questa situazione che ha gettato l’intera eurozona non solo nella più severa crisi economica dopo quella del ’29, ma anche sospendendo i più elementari principii della democrazia?

I più elementari principii della democrazia sono stati infatti completamente bypassati nell’evoluzione della costruzione europea, poiché sono stati estraniati progressivamente i contributi della gran parte dei cittadini europei dai processi decisionali. Abbiamo sempre più assistito impotenti a una delega dei Governi nazionali, non prevista e soprattutto non voluta, che ha consegnato ai burocrati europei meccanismi giuridici ed economici che hanno assoggettato e consegnato a essi l’intera gestione dell’Unione. Si sono sempre più rafforzate un insieme di istituzioni biogiuridiche, che agiscono e si muovono in modo robotizzato senza nessuna certificazione da parte del suffragio universale, non consentendo più alle varie politiche nazionali di poter intervenire a correzione e a proprio supporto in nome di un vincolo esterno che sarebbe dovuto intervenire invece a tutela di tutti i membri.

Quando ci è stato presentato il progetto d’integrazione europea non era stato previsto di estromettere i cittadini dalla condivisione della gestione della casa comune, ma di garantirgli pace, progresso e lavoro con l’attivo contributo di ogni risorsa democratica disponibile. Tutto questo non è minimamente avvenuto e il solo organo eletto democraticamente dal popolo è il Parlamento, il quale non ha alcun potere che possa competere con quelli a disposizione della Commissione, che non è eletta direttamente da nessuna volontà popolare e che prendono decisioni sopra la testa di tutti noi senza interpellare preventivamente i rispettivi Parlamenti nazionali o che esercitano pressioni sfacciatamente ricattatorie affinché vengano adottate.Non dobbiamo mai consentire che questi poteri europei si impossessino definitivamente di ogni spazio decisionale e influenzino e determinino i nostri destini, solo perché la classe politica dei Paesi membri si è rivelata essere troppo accondiscendente e debole, al limite del collaborazionismo, mentre quella contraria non ha ancora la piena forza d’imporsi.

Sono da salvaguardare dei principii imprescindibili, irrinunciabili e non negoziabili che con immani sacrifici sono riusciti a conquistare i nostri padri. Ma i cittadini hanno capito ormai perfettamente che questa mutazione si è sempre più rafforzata non al fine di tutela generale, nessun escluso e super partes, ma solo a garanzia di specifici interessi e a discapito dell’intera comunità. Non posso fare a meno di ricordare il vergognoso e inaccettabile comportamento riservato alla Grecia e ai suoi orgogliosi cittadini perché è stato leso un principio irrinunciabile: se si accetta un Paese nell’Unione è assoluto dovere tutelarlo fino in fondo, costi quel che costi, con tutta la solidarietà e mutualità possibile, senza mortificarlo e avvilirlo fino alla suo totale depauperamento, magari al solo fine di salvaguardare interessi finanziari internazionali superiori e palesemente di parte.

Da semplice cittadino di questa Europa chiedo scusa al fiero popolo greco per il trattamento che gli è stato riservato. Anche per loro arriverà il tempo del riscatto.

Inutile ricordare, in questa sede, la totale sospensione della democrazia che sta avvenendo in Italia dove sono stati designati gli ultimi tre Premier senza nessuna preventiva certificazione popolare! E’ vergognoso che questo sia potuto avvenire in un Paese occidentale che viene ancora accreditato e definito come democratico! E’ il prezzo da pagare da questa dittatura economica in atto in Europa, dove i Governi vengono condizionati dalle volontà Troika e non dei propri cittadini! Era questa l’Europa che volevamo e che ci era stata promessa?

E come non accorgersi che questa moneta comune è utilizzata come mezzo tecnico al servizio della Troika per poter realizzare e imporre i suoi disegni? Abbiamo tristemente capito a nostre spese che questa democrazia si è trasformata nella più pericolosa e insidiosa dittatura possibile!Questo è stato possibile grazie al ricorso sempre più a “piloti automatici” che si sono surrogati e sostituiti in modo subdolo alla mediazione politica, interrompendo il contributo essenziale dei cittadini nei processi decisionali, come ad esempio nel caso del Patto di Stabilità e Crescita, il c.d. Fiscal Compact, l’ESM (European Stability Mechanism), all’Unione Bancaria, ecc.A riguardo denuncio a gran voce la illegittimità del Fiscal Compact in quanto, come recita lo stesso Trattato sulla Stabilità all’art.2, “Le parti contraenti applicano e interpretano il presente Trattato conformemente ai Trattati su cui si fonda l’Unione Europea”, il cui concetto è ribadito anche nel comma successivo: “Il presente Trattato si applica nella misura in cui è compatibile con i Trattati su cui si fonda l’Unione europea e con il diritto dell’Unione europea”. Pertanto il successivo art.3, n.1, lett.a) che prevede testualmente “la posizione di bilancio della Pubblica Amministrazione di una parte contraente è in pareggio o in avanzo” è da considerarsi non conforme e pertanto non legittimo, in quanto il Trattato della UE firmato a Maastricht (TUE) all’art.104 c) prot.5, ribadito anche nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea di Lisbona (TFUE) all’art.126 (ex 104), fissano invece al 3% il limite dell’indebitamento annuale. E’ stato pertanto palesemente violato il Trattato istitutivo della UE unitamente al TFUE che ne ribadisce, al citato art.126, i limiti dell’indebitamento.

E’ possibile che nessuno dello sconfinato esercito di giuristi e economisti di cui si avvale la Commissione di Bruxelles, non si sia accorto delle inoppugnabili interpretazioni giuridiche del professore emerito Giuseppe Guarino, che ha denunciato questo palese contrasto?

Si è arrivati ad imporre l’inserimento nei dettami Costituzionali dei paesi dell’Unione il vincolo del pareggio di bilancio, per mezzo di un Trattato illegittimo e fortemente stridente con altri articoli e fondamenti delle varie Carte Costituzionali nazionali. Nessuno ha avuto il coraggio e la forza di alzare un dito di fronte a questo evidente errore?La stessa Banca Centrale Europea è stata concepita esclusivamente come garante e guardiana della stabilità dei prezzi, cioè dell’inflazione, e non per mansioni proprie di una vera Banca Centrale a tutti gli effetti, tesa invece a fornire risorse per la crescita e lo sviluppo per la massima occupazione, ma relegando invece i cittadini e il sistema delle imprese, con l’estenuante ricorso penalizzante della fiscalità (Fiscal overkill), al ruolo di esclusivi prestatori di ultima istanza. Si è preferito lasciare il voto ai mercati per decidere la bontà delle scelte economiche adottate e non ai cittadini per mezzo delle democratiche urne.

Come è stato possibile affidarsi esclusivamente al ricorso fiscale senza valutare preventivamente che avrebbe creato ulteriori problemi proprio perché si sarebbero contratti notevolmente i consumi riducendo a sua volta sia le entrate fiscali stesse, l’entità del PIL (GDP Gross Domestic Product) e aumentando di conseguenza i debiti pubblici? Inoltre la crisi economica ha fatto esplodere anche i debiti privati e le sofferenze dell’intero sistema bancario europeo.Perché si è rimasti sempre passivi e inerti di fronte all’imposizione tedesca di adottare un modello economico per il sostentamento dell’euro forgiato esclusivamente per le sue esigenze macroeconomiche? E’ possibile che non si è voluto perseguire modelli economici alternativi se non orientati esclusivamente al rigore dei conti come esclusivo presupposto per la crescita? Per quanto tempo ancora dovremo subire le antiche paure fobiche dei nostri amici tedeschi che vedono ancora nella stabilità dei prezzi e nell’esasperato rigore dei conti gli unici fondamenti su cui basare la crescita?

La maggioranza dei Paesi eurodotati non traggono beneficio da una inflazione tendenziale allo 0,7% se poi, per poterla perseguire, pagano il caro prezzo di un tasso di disoccupazione a livelli da economia di guerra!

La competitività di molti paesi euro non ha più potuto far ricorso allo strumento classico della svalutazione della propria moneta per riequilibrare i suoi fondamentali macroeconomici seguendo la naturale legge della domanda e dell’offerta, ma ha dovuto necessariamente procedere per mezzo della svalutazione interna, cioè alla riduzione dei salari, che sommata alla deindustrializzazione sempre più crescente favorita dalla globalizzazione selvaggia senza regole e alle delocalizzazioni territoriali, hanno permesso nella stessa area valutaria euro che si formassero zone sempre più ricche e zone sempre più povere. Ma il vero effetto negativo di questa dissennata gestione economica che prende come riferimento un modello non compatibile con la gran parte delle economie nazionali europee e nessun riscontro nella letteratura economica, è l’aver gettato gli stessi Paesi in conclamata deflazione, esponendoli ai noti pericoli conosciuti tristemente nel passato perché generati dall’ossessivo perseguimento del contenimento dell’inflazione ad ogni costo.

Chi ignora la Storia è condannato nel riviverla!

Ma perché tutto questo è potuto avvenire? A Maastricht è stata concepita una convergenza verso una moneta diversa da quella che poi è stata realizzata. Questa evoluzione è avvenuta in modo subdolo, senza che ci sia stata la consapevolezza, il consenso e l’approvazione né dei cittadini né tantomeno dei rispettivi Parlamenti nazionali. Sono stati attivati quei famosi meccanismi automatici, voluti da una oligarchia autoreferenziale che man mano conquistava il potere nei palazzi di Bruxelles, riuscendo a sottrarre alla gestione delle politiche dei Paesi membri, e pertanto al consenso democratico della Sovranità di ciascun popolo, qualsiasi spazio di autonomia nella determinazione delle politiche economiche per il raggiungimento degli obiettivi di crescita.E’ stato messo in atto un vero e proprio golpe, infatti il 1.1.1999 è stata partorita una moneta disciplinata dal Regolamento 1466/97, ma diametralmente opposta rispetto a quella contemplata dal TUE, un vero sfregio sotto gli occhi dei cittadini europei ignari e in buona fede e nell’indifferenza più o meno inconsapevole dei rispettivi Governi.

La mutazione, tra quanto previsto dal TUE e dal Regolamento 1466/97 si identifica in quanto il TUE fissa un obiettivo, uno sviluppo conforme al disposto dell’art.2, il cui conseguimento è affidato alle politiche economiche di ciascuno ognuno degli Stati membri, i quali avrebbero tenuto conto della specificità delle reali condizioni dell’economia di ciascun Paese. Le rispettive politiche economiche avrebbero potuto utilizzare all’occorrenza, quale strumento per realizzare l’obiettivo, l’indebitamento nei limiti consentiti dall’art. 104 c), da interpretare ed applicare in conformità ai criteri fissati nei commi 2 e 3 del punto 2 dell’art. 104c). Il Regolamento in oggetto abroga invece tutto questo, cancellando le politiche economiche degli Stati e di conseguenza qualsiasi loro autonomo apporto. Il ruolo assegnato dal TUE di Maastricht (art. 102 A, 103 e 104c) per conseguire lo sviluppo che gli Stati avrebbero conseguito in conformità a quanto prescritto negli artt.2 e successivi del Trattato, è pertanto completamente cancellato. I singoli Stati, secondo quanto previsto da Maastricht, avrebbero conseguito l’obiettivo utilizzando la propria autonomia e tenendo conto delle condizioni e delle strutture congiunturali del proprio Paese. Questo per salvaguardare il corretto principio per il quale gli interventi sarebbero stati necessariamente diversi da Paese a Paese e per ogni anno, capovolgendo radicalmente, dunque, il rapporto tra l’euro e la realtà economica. Secondo l’originario TUE, se vi è contrasto, è la gestione dell’euro a doversi adeguare alla realtà economica, mentre secondo da quanto previsto dal Regolamento in oggetto, invece è la realtà economica a doversi adeguare in ogni caso all’euro. In nessun paese del mondo è applicato questo principio!

E’ sempre la moneta al servizio dell’economia e mai l’economia schiava dei dogmi della propria moneta!Esiste pertanto una conflittualità evidente fra quanto approvato dai rispettivi Parlamenti dei Paesi membri che hanno ratificato ai tempi di Maastricht, dopo dibattiti parlamentari condivisi, e quanto invece previsto dal Regolamento 1466/97. Conflittualità così forte e evidente da stravolgere completamente l’iniziale natura stessa della moneta unica. Da una parte l’originario Trattato Istitutivo della UE, agli articoli ricordati, che lasciava autonomia nelle scelte di politica economica, dall’altra successivamente il Regolamento avocava questa prerogativa a se, consegnando nelle mani e volontà della Commissione e degli organi tecnici ogni potere decisionale. Vorremmo sapere chi sono gli ideatori e autori di questo golpe a danno di tutti i cittadini europei?Essendo fortemente convinto che l’unico modo per salvare l’euro è di crearne 18 e in alternativa invitare gli amici tedeschi ad abbandonarlo al più presto per togliere finalmente il cappio che si sta inesorabilmente stringendo intorno al nostro collo.

In ogni caso, la Germania, consapevole che si sta avvantaggiando oltremodo di una valuta, l’euro, notevolmente sottovalutata rispetto ai propri fondamentali, ben difficilmente prenderà una decisione in questa direzione e la soluzione più ragionevole rimarrebbe solamente quella di lasciare alle volontà di ciascun Paese la libera facoltà di poter mutare il proprio status di Paese “senza deroga” a Paese “con deroga”, così come già previsto dagli artt. 139 e 140 del TFUE e di poter pertanto tornare a conseguire in modo autonomo gli obiettivi di crescita, utilizzando propri strumenti di politica economica e monetaria con il pieno supporto delle rispettive valute sganciate dagli attuali vincoli automatici dimostratisi privi, non solo di validità economica e giuridica, ma anche colpevoli di aver interrotto il collegamento democratico essenziale e irrinunciabile nei processi decisionali fra cittadini e Istituzioni.

Naturalmente con il massimo coordinamento fra i vari Governi nazionali per massimizzare la segmentazione controllata dell’area euro e facendo salvi gli interessi comuni così come indicato e auspicato dall’European Solidarity Manifesto di cui mi onoro di far parte.L’euro e i suoi dogmi hanno inflitto dei danni molto forti nelle economie dei Paesi membri e le cicatrici di queste ferite saranno visibili per moltissimi anni e il day after sarà visto più come una vera e propria liberazione che una vittoria. La possibilità di poter di nuovo perseguire autonome politiche economiche per il perseguimento della propria crescita dovrebbero rappresentare magnifiche opportunità per chi sarà in grado di compierle, anche se il vantaggio maggiore, come già ribadito più volte, sarebbe quello del ripristino della democrazia interrotta nell’assoluta convinzione che la democrazia, quella vera, non ha prezzo! In questo modo si riporterebbero i cittadini al centro di ogni interesse e non quelli graditi dalla finanza come invece sta perseguendo la dirigenza europea in nome di un neoliberismo esasperato e senza regole. Tutti i tecnicismi per il ritorno alle proprie valute nazionali possono essere studiati, analizzati, discussi e tranquillamente risolti, mentre se abdichiamo ai principi della democrazia tutto sarà perso per sempre e non potremo sottrarci dal severo giudizio delle nostre generazioni future. Questo nell’interesse generale, ad iniziare dalla Germania perché sarà proprio lei a pagare il prezzo più alto di questo enorme ma effimero attuale vantaggio che presto non mancherà di presentargli un conto tanto più alto quanto più durerà questa situazione. Sono fermamente convinto che tutti i Paesi eurodotati siano in possesso di dettagliati e aggiornati “Piani B” per un uscita ordinata e non caotica e scomposta dalla moneta unica.

Questi “Piani B” di salvaguardia sono stati concepiti, da ciascun Paese che ha aderito all’euro, sin dal suo inizio, come una specie di “opting out” segrete predisposte alla stregua di piani per la sicurezza strategica nazionale nel caso in cui il Paese avesse avuto problemi valutando che il costo generale dell’appartenenza all’unione monetaria si fosse rivelata non più conveniente rispetto ai vantaggi ottenuti.Ma nello stesso modo sono altresì convinto che ormai nessun Paese prenderà l’autonoma decisione di uscita e questo avverrà solamente per un forte shock esterno imprevedibile che agirà da detonatore per un contagio che non sarà possibile governare e gestire. Ad esempio una forte inadempienza bancaria, potrebbe innescare una reazione a catena impossibile da imbrigliare con tutti gli attuali strumenti finanziari di tutela a disposizione dalla Troika. I titoli pubblici di molti Paesi dell’area euro sarebbero sottoposti a fortissime pressioni speculative e l’unico modo per poter gestire la situazione, senza consegnarsi definitivamente a meccanismi tipo ESM che imporrebbero delle contropartite inaccettabili, sarebbe l’immediato ritorno alle rispettive piene Sovranità monetarie. Questo potrà avvenire senza creare ulteriori gravi disagi solamente in funzione della bontà dei “Piani B” predisposti preventivamente dai rispettivi Governi e concertati con tutti gli altri.

Non confondiamo l’Europa con l’Unione monetaria: è nostro supremo dovere salvare l’Europa e pertanto dobbiamo liberarci al più presto dell’euro, perché non vorremo mai camminare sulle macerie di ciò che con immane fatica hanno costruito i nostri padri, ma garantire prosperità alle nostre generazioni future seguendo la strada irrinunciabile della democrazia. Ma forse chiedo troppo, perché la parola democrazia è stata sempre ignorata sia nei Trattati che nei Regolamenti di questa Europa dell’eurocrazia che si è allontanata totalmente dalla realtà dei suoi cittadini! Da italiano confido moltissimo nel ruolo e nelle posizioni che la Francia adotterà nel prossimo futuro.Se ciascuno di noi avrà la lungimiranza di riprendersi le chiavi della propria casa per poter perseguire con autonomi e corretti strumenti di politica economica la gestione della propria crescita, i benefici saranno per tutti, garantendo ancora al Vecchio Continente il ruolo che si è conquistato in millenni di Storia.So infine perfettamente che chi combatte questa battaglia può anche perdere, ma chi non combatte ha già perso e fino ad ora abbiamo perso solo una battaglia, NON LA GUERRA e alla fine l’Europa risorgerà perché vincerà la ragione!

L’intervento del Prof. Rinaldi è stato pubblciato da Formiche.net – che ringraziamo.

Nota biografica.

Antonio Maria Rinaldi, dopo la laurea in economia alla LUISS alla fine del ’70 ha svolto molti incarichi operativi in banche italiane per poi passare dalla metà degli anni ’80 dal Servizio Borsa della Consob Sede di Milano alla Sofid, capogruppo finanziaria dell’ENI, fino a ricoprirne la carica di Direttore Generale. Attualmente esercita la libera professione ed è docente di Finanza Aziendale presso l’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara e di Corporate & Investment Banking e Mercati Finanziari & Commercio Internazionale presso la Link Campus University di Roma. Ha pubblicato nel 2011 “Il Fallimento dell’Euro?” e nel 2013 “Europa Kaputt,(s)venduti all’euro” per manifestare tutto il disappunto nell’attuale costruzione e conduzione europea. Con il suo maestro di politica economica, prof. Paolo Savona e con il prof. Michele Fratianni, ha concepito una proposta per il consolidamento del debito pubblico italiano. E’ firmatario del Manifesto di Solidarietà Europea per il ritorno concordato alle valute nazionali e partecipa a convegni e trasmissioni radio-televisive sul tema dell’unione monetaria europea non mancando mai di esprimere la sua forte criticità.

CHI SONO I MAGGIORI AZIONISTI DELLA BANCA DI GRECIA?

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La Banca di Grecia, cioé la banca centrale nazionale greca, fu istituita per Legge 3424/7 Dicembre 1927 (Gazzetta ufficiale A 298) di ratifica dell’accordo intervenuto tra lo Stato greco e la Banca Nazionale di Grecia in virtù del quale quest’ultima cedeva il suo privilegio di emettere banconote e veniva creata una nuova banca chiamata “Banca di Grecia” ai sensi del Protocollo di Ginevra del 15 settembre 1927, approvato dal Consiglio della Lega delle Nazioni.

[Estratti dal libro “The first fifty years of the Bank of Greece 1928-1978”, Bank of Greece, Athens 1978]

“… Ai sensi dell’Articoo 1 del suo Statuto, la nuova banca è una società anonima per azioni chiamata Banca di Grecia con sede ad Atene … Gli articoli 8, 9 e 10 dello Statuto prevedevano la capitalizzazione dell’istituto. Il suo capitale iniziale era di  400 milioni di dracme suddiviso in 80000 azioni con un valore nominale di 5000 dracme ognuna. Il capitale fu interamente versato e acquisito dalla Banca Nazionale di Grecia ai sensi dell’Articolo 2 del suo accordo con lo Stato greco. Conseguentemente, la Banca nazionale di Grecia emise questo capitale all’offerta pubblica accordando ai suoi azionisti il diritto di prelazione ad acquisire un’azione della Banca di Grecia per ogni due azioni detenute presso la Banca Nazionale di Grecia. Il prezzo di emissione fu fissato a 5000 dracme cadauna per la prima tranche e a 7500 dracme cadauna per la seconda e la terza.  Il premio fu suddiviso tra la Banca Nazionale di Grecia e lo Stato Greco….

Le azioni della Banca di Grecia sono registrate e quotate sulla Borsa di Atene dal 12 giugno 1930.

Dopo numerosi aumenti negli anni, il capitale della Banca di Grecia ammonta a  €111 243 361,60, suddiviso in 19 864 886 azioni con valore nominale di €5,60 each. Gli azionisti della Banca di Grecia sono circa 19000.”

Consiglio a tutti i greci, e a tutte le persone armate di buona volontà nella ricerca della verità, di bombardare di mail i seguenti per chiedere CHI SONO I MAGGIORI AZIONISTI DELLA BANCA DI GRECIA:

Intanto qua ci sono alcune risposte: investors.morningstar.com

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e, poi:

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Vediamo che spicca Fidelity e consociate tra gli azionisti che è principalmente controllata da AllianceBerstein LP che assieme ad AXA (proprietaria di RIO TINTO, compartecipante in BNP Paribas e MPS) presieduta dal bilderberghino Henri de Castries, è il proprietario della GOLDMAN SACHS quella che mandò Draghi a capo della BCE… quella che ha paracadutato un suo uomo a capo della CDP… Costamagna, colui che finanziò la campagna di Prodi…

Tutto torna…e vedremo, in seguito, chi sono i maggiori azionisti delle banche centrali nel mondo.

Dopo la truffa dell’Euro c’è il furto dell’oro italiano.La riserva aurifera è di proprietà legale del popolo,sono ben 2451,1tonnellate SPARITE! Ecco dove sono.

Marco Maccis, mai domo, ha preso lo spunto dalla notizia lanciata sul google group della nostra associazione e ha “caricato”. A voi:

Salve prof. Fausto e Leopoldo ,
ricevo e non piacevolmente inoltro , purtroppo questa notizia corrisponde al vero , allego atto della camera che attualmente non ha ricevuto risposta .
Un Caro Saluto e che Dio ci salvi

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DA VENETO UNICO , nessun partito e movimento dice nulla, perché?
Dopo la truffa dell’Euro c’è il furto dell’oro italiano.La riserva aurifera è di proprietà legale del popolo,sono ben 2451,1tonnellate SPARITE! Ecco dove sono.
Allora mister Draghi, mister Renzi e mister Napolitano chi ha sgraffignato l’oro italiano con il beneplacito dei governanti tricolore?
Dopo la fregatura europea dell’euro c’è il furto della riserva aurifera italiana, di proprietà legale del popolo italiano. Dove sono effettivamente le 2451,1 tonnellate di oro italiano? In via Nazionale a Roma, oppure in Gran Bretagna, Svizzera, Germania e Stati Uniti d’America? Chi ha controllato? In che percentuale le nostre riserve sono conservate all’estero e perché? Esiste un registro? I lingotti sono segnati da numeri seriali?
Gli Stati Uniti d’America hanno sottratto all’Italia l’oro, ossia la nostra riserva aurifera. L’interrogazione parlamentare numero 4/14567 a risposta scritta, presentata da Fabio Rampello e Marco Marsilio il 19 gennaio 2012 al governo Monti non ha mai avuto una risposta. E sono appena trascorsi 2 anni e 8 mesi. Perché? E per quale motivo, poiché non esiste una ragione giuridica, la banca d’Italia, attualmente non ha neppure la disponibilità della quantità residuale di oro custodita a Palazzo Koch, controllata invece dalla Bce.
Esatto, le domande senza prezzo al primo ministro pro tempore Matteo Renzi, al predecessore Enrico Letta (affiliato alle organizzazioni eversive Bilderberg e Trilateral unitamente a Mario Monti) sono le seguenti: perché l’oro d’Italia non ha più fatto ritorno in patria? A quale titolo gli Stati Uniti d’America (FED), l’Inghilterra, la Svizzera e la Germania se ne sono appropriati? Quali governanti lo hanno ceduto?
Per la cronaca: l’Italia come altre nazioni, non ha alcun debito pubblico, inventato e gonfiato artatamente dalle multinazionali finanziarie, per le quali gran parte dei politicanti nostrani è stata assoldata. La crisi non esiste: etimologicamente è un momento di svolta, di ripresa, di vita.

ALLEGO ATTO CAMERA
ATTO CAMERA
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/14567
Dati di presentazione dell’atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 573 del 19/01/2012
Firmatari
Primo firmatario: RAMPELLI FABIO
Gruppo: POPOLO DELLA LIBERTA’
Data firma: 19/01/2012
Elenco dei co-firmatari dell’atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
MARSILIO MARCO POPOLO DELLA LIBERTA’ 19/01/2012
Destinatari
Ministero destinatario:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE delegato in data 19/01/2012
Stato iter: IN CORSO
Atto Camera
Interrogazione a risposta scritta 4-14567
presentata da
FABIO RAMPELLI
giovedì 19 gennaio 2012, seduta n.573
RAMPELLI e MARSILIO. – Al Ministro dell’economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
da un articolo pubblicato sul noto quotidiano nazionale La Repubblica, datato 1o agosto 2009 e dal titolo «L’oro italiano? A Manhattan. La Fed detiene parte dei lingotti» si apprende che gran parte della riserva aurea italiana sarebbe custodita presso uno stabile sito vicino la Federal Reserve statunitense, a New York;
dallo stesso articolo, si evince inoltre che altri quantitativi della nostra riserva aurea, seppur minori rispetto al succitato, vengono detenuti presso la Banca d’Inghilterra e presso la Banca dei Regolamenti internazionali con sede a Basilea;
la stessa notizia viene riportata dalla trasmissione televisiva «Passaggio a Nord Ovest», noto programma di approfondimento di RAI 1, nella puntata andata in onda in data 11 settembre 2010;
dalle stesse fonti si apprende inoltre che una parte dell’oro custodito presso i forzieri della Banca d’Italia, nella sede di via Nazionale a Roma, non sarebbe sotto la nostra diretta custodia perché affidato alla Banca centrale europea -:
se quanto citato in premessa corrisponda al vero ed, eventualmente, quando e in base a quale accordo o disposizione di legge sia stata assunta una tale decisione e se tale scelta «strategica» sia ancora ritenuta funzionale agli interessi dell’Italia;
a chi appartengano la proprietà della riserva aurea detenuta a Palazzo Koch e la proprietà della riserva aurea detenuta nelle sedi estere;
se l’Italia abbia la completa disponibilità delle succitate riserve auree, sia di quella detenuta presso la Banca d’Italia, sia di quelle eventualmente detenute presso sedi estere. (4-14567)
Ripropongo questa denuncia ;
sia in petizione online , che in forma cartacea dell’ Avv. Mori ,da presentare in tutte le procure, non ci sono costi, è in atto un Grave Colpo di Stato finanziario inflitto al popolo italiano.
Ognuno faccia immediatamente la sua parte. Si deve uscire dall’euro e stracciare immediatamente i Trattati.
https://www.change.org/p/attentato-alla-costituzione-italiana-e-lesa-personalita-dello-stato

ENRICO MATTEI: UN COMPLESSO D’INFERIORITÀ NAZIONALE

A forza di irridere le nostre istituzioni politiche e i loro rappresentanti, di subire gli eventi e i diktat del potere finanziario, va acclamandosi un falsa coscienza della nostra civiltà. Ricordo, a fine anni ‘ 0, di aver vissuto e subito un sentire simile, che mi portò a sottoscrivere le mie dimissioni dall’Aeronautica Militare. Chi mi comandava  però anche mi conosceva, mi propose un periodo a Tirana, presso quel governo. Un anno e mezzo dopo, fu inevitabile partecipare alla definizione della spedizione in Kosovo, con il compito di realizzarvi una aeroporto per il contingente italiano. Infine, partimmo in 202 e giungemmo a Dakovica – Gjakove il 19 agosto 1999. Ebbene, solo 52 giorni dopo, un aeroplano con le coccarde tricolori atterrò su un aeroporto completo di 1500 metri, sorto – si può dire –  dal nulla e, tuttora, operativo.

Devo a quei 201 e a questa riacquistata fede il mio impegno di oggi e la fede nella nostra gente.

28596833 come nacque e com’è oggic2309687015b9616be93c1b0290fe32b

Vi propongo la lettura del discorso di Enrico Mattei, tenuto il 4 dicembre 1961 per l’apertura dell’anno accademico della Scuola di studi superiori sugli idrocarburi di San Donato Milanese (in E. Mattei, Scritti e discorsi, Rizzoli 2012) [gm]). Buona lettura e, soprattutto, buona riflessione.

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Noi ci siamo trovati, sedici anni fa, in una situazione tragica. Sapevamo che c’era qualcosa da fare, ma solo un piccolissimo numero di uomini erano preparati per coadiuvarci. Non avevamo le esperienze necessarie nella ricerca degli idrocarburi e gli altri ne approfittavano. Quando ci siamo messi al lavoro siamo stati derisi, perché dicevano che noi italiani non avevamo né le capacità né le qualità per conseguire il successo. Eravamo quasi disposti a crederlo perché, da ragazzi, ci avevano insegnato queste cose. Io proprio vorrei che gli uomini responsabili della cultura e dell’insegnamento ricordassero che noi italiani dobbiamo toglierci di dosso questo complesso di inferiorità che ci avevano insegnato.

Ma per fare questo è necessario studiare, imparare, conoscere i problemi. E noi ci mettemmo con tanto impegno, e abbiamo creato scuole aziendali per ingegneri, per specialisti, per operai, per tutti e dappertutto. Con questo sforzo continuo ci siamo formati i nostri quadri. Oggi abbiamo, solo nel gruppo ENI, circa 1300 ingegneri, 3000 tra periti industriali e geometri, 300 geologi, 2000 dottori in chimica, in economia e in legge, migliaia e migliaia di specialisti. Conosciamo i problemi, li sappiamo discutere e riusciamo a vedere che niente va bene, niente di tutto quello che ci hanno insegnato sulle nostre inferiorità.

Erano tanto accettate queste false conoscenze che avevano diffuso sugli italiani: sul dolce far niente, su questa razza pigra che non è pigra, che ancora oggi ce le sentiamo ripetere come verità. Voglio raccontarvi un episodio. Ritornavo tre anni fa dalla Cina, da Pechino. Rimasi bloccato una settimana in Siberia per il cattivo tempo. Ero con quattro giovani miei collaboratori, quattro tecnici, ed eravamo andati in quel lontano Paese per rapporti di affari. Era la vigilia di Natale; finimmo per passare il Natale in Siberia perché non fu possibile ritornare.

L’aeroporto era pieno di gente; arrivavano aerei da tutte le parti e scaricavano passeggeri che non potevano ripartire: coreani, indocinesi, mongoli, sovietici, europei. Mi ricordo che i cecoslovacchi erano dodici ed erano tecnici che tornavano dalla Cina: ci domandarono se volevamo passare il Natale insieme e noi rispondemmo che lo avremmo gradito. Ci trovammo così intorno ad un lungo tavolo, pieno di fiori, la vigilia di Natale, nella Siberia orientale, noi cinque italiani, i dodici cecoslovacchi, cinque polacchi, cinque ungheresi, quattro della Germania orientale, tre sovietici e un cinese. Si mangiò caviale e si bevvero vodka e champagne.

Alle undici di sera i cecoslovacchi si mossero dai loro posti, si riunirono in gruppo e nella notte di Natale in Siberia incominciarono a cantare le canzoni cristiane della vigilia. Dopo i cecoslovacchi cantarono i polacchi; anche loro cantavano benissimo, erano bravissimi; erano tutti tecnici sulla via del ritorno a casa per passare il Natale. Poi gli ungheresi cantarono le czarde. Infine cantarono i tedeschi orientali. Nessuno di noi conosceva gli altri, gli altri non conoscevano noi, ma sapendo che eravamo italiani vollero che ci mettessimo a cantare. Eravamo cinque italiani e nessuno di noi sapeva cantare. Al primo momento si offesero e dissero: “Voi non siete italiani”. Tirammo fuori i nostri passaporti. “E allora voi dovete cantare!”. “Noi siamo degli italiani che non sanno cantare”.

Amici miei, mi riallaccio a quello che dicevo prima: per gli altri non solo non conoscevamo i problemi, ma meritavamo le umiliazioni. Io vi dico questo per far risaltare l’importanza che ha per voi lo studio di questi problemi, il conoscerli a fondo, perché la cosa più importante per un Paese, e cioè l’indipendenza politica, non ha valore, non ha peso, se non c’è l’indipendenza economica. Avere l’indipendenza economica significa avere il controllo delle proprie risorse, significa per voi, che vi addestrate per lavorare in uno dei maggiori settori dell’industria mondiale, avere la possibilità di scambiare direttamente le proprie fonti di energia. Con esse si controllano i più importanti settori lanciati verso il domani, i settori nei quali tutti voi potete dire una vostra parola, potete diventare qualcuno.

Il ruolo del risparmio e della moneta nel disegno costituzionale.

Contabilità pubblica, Diritto costituzionale, Euro ed Unione europea, Europa, In Evidenza,

Video di Marco Mori

Il ruolo del risparmio e della moneta nel disegno costituzionale: una storia di abrogazione tacita tra criteri di convergenza post Maastricht e pareggio di bilancio.

L’art. 47 primo comma Cost. dispone: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio, in tutte le sue forme, disciplina coordina e controlla il credito.

Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese”.

Il tema del risparmio è costantemente dimenticato nel nostro ordinamento, benché sia un diritto costituzionalmente tutelato. La definizione di risparmio, peraltro, è assai semplice: trattasi di quella parte del reddito non utilizzata e quindi accantonata da ogni cittadino.

Nel nostro paese, nel nome di una falsa emergenza di cassa in realtà causata, come si dirà meglio infra, dalla perdita di sovranità monetaria ed economica, il risparmio viene oggi pesantemente aggredito, sia attraverso una sostanziale tassazione che lo comprime in tutte le sue forme (basti ad esempio pensare alla tassazione sulla casa, per definizione il bene rifugio degli italiani), sia (soprattutto) per tramite la messa al bando delle politiche di deficit nazionale.

Tutelare il risparmio “in tutte le sue forme” e garantire, come prevede il comma secondo dell’art. 47, un risparmio necessariamente “diffuso” comporterebbe un approccio completamente diverso alla politica economica. Siamo in presenza di una sostanziale abrogazione tacita del precetto costituzionale causato da quello che possiamo a tutti gli effetti chiamare “un vincolo esterno” proveniente dall’UE.

Come sempre quando si parla di Costituzione è utile leggere i verbali dell’assemblea costituente. Da essi si evince con forza quanto fosse chiaro e limpido il concetto della tutela del risparmio nelle intenzioni dei padri costituenti e ciò come conseguenza diretta ed immediata della stessa fondazione della Repubblica sul lavoro e del diritto del lavoratore ad una retribuzione adeguata a garantirgli un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.).

Il risparmio è necessario per tale finalità ovviamente.

L’onorevole Tupini, nel dibattito della sottocommissione costituente che presiedeva, propose l’inserimento nella Carta della seguente dicitura: “La legge regola e tutela il risparmio”. Merlin propose invece la formula: “La legge tutela e difende il risparmio”. Si inizio una delibazione sul tema.

Tuttavia, tanto era chiaro il concetto della difesa del risparmio nelle menti dei costituenti, che la replica a queste formulazioni di Mastrojanni dichiarava fu che le formule proposte erano addirittura pleonastiche in quanto: “Nessun cittadino può dubitare che il suo risparmio possa essere aggredito”.

Compito del Parlamento e del Governo è dunque certamente quello di tutelare il risparmio nel senso più totale e pieno del termine. Ma cosa implica tutto ciò e come può essere messo in relazione con i criteri di stabilità e convergenza da Maastricht in poi?

Per rispondere a tale quesito occorre in primo luogo avere ben chiaro come si verifica il fenomeno dell’accantonamento del risparmio entrando necessariamente in logica di politica economica e monetaria.

Ovviamente il risparmio privato è per definizione il risultato di una politica di deficit dello Stato. In sostanza se lo Stato recupera a tassazione ogni singolo euro immesso nel sistema chiaramente lo stesso concetto di risparmio diventa una mera utopia non essendo più realizzabile matematicamente.

Uno Stato che fin dalla sua nascita adotta il principio del pareggio in bilancio è uno Stato che non tutela il risparmio diffuso in tutte le suo forme ma lo rende impossibile ex lege. Un lavoratore che non può risparmiare non potrà avere un’esistenza libera e dignitosa

Il concetto sembra solo in apparenza controintuitivo, anche per i giuristi. Ciò accade in quanto anche noi professionisti siamo soggetti a forme di condizionamento mediatico e culturale che trovano terreno fertile laddove le nostre competenze non sono sufficienti ad avere un pensiero del tutto autonomo e fondato su solide basi in fatto ed in diritto: non siamo dunque in grado di comprendere il significato giuridico-costituzionale del concetto di deficit pubblico, concetto che necessariamente dovrà prima o poi essere trattato dai giudici della Corte Costituzionale.

Deve essere chiarito fino a rendere il concetto pacifico per tutti, esattamente come è oggi pacifico affermare che la terrà non è piatta, che ad uno Stato non possono applicarsi logiche economiche di stampo aziendale e dunque logiche proprie della microeconomia.

Un’azienda crea risparmio facendo attivo, lo Stato invece può crearlo per i propri consociati unicamente attraverso il proprio passivo, ovvero immettendo più moneta di quanta ne drena. Lo Stato secondo il modello costituzionale dunque è la figura che regolamenta le principali variabili macroeconomiche del paese lo Stato appunto deve: “disciplinare, coordinare e controllare il credito”.

Lo Stato in definitiva deve immettere moneta nel circuito economico.

Una moneta può essere immessa in circolo unicamente attraverso la stampa di diretta, attraverso la spesa pubblica in deficit (meccanismo oggi adottato), oppure attraverso le esportazioni. Oggi sia la stampa diretta di moneta che la spesa pubblica a deficit sono precluse dai Trattati UE e dunque ci rimane solo la via dell’esportazione. La base monetaria può essere aumentata unicamente drenando liquidità da altre nazioni (esattamente in questo contesto si spiega l’attivo della bilancia dei pagamenti della Germania, forte grazie alle esportazioni).

Viene altresì facile intuire che non potendo svalutare la moneta il nostro paese può tornare a crescere unicamente con le esportazioni e dunque per farlo deve acquisire la tanto decantata (Monti insegna) maggiore competitività ottenibile solo passando dalla svalutazione salariale, ovvero facendo esattamente l’opposto di quanto prevede il modello costituzionale.

I salari si svalutano unicamente distruggendo la domanda interna e causando una spirale deflazionistica (destroy internal demand – Mario Monti). Tutto secondo pronostico, ma palesemente contrario al dettato Costituzionale che fonda la Repubblica sul lavoro.

Dunque la tutela del risparmio si pone in evidente contrapposizione ad i vincoli d’indebitamento dei Trattati UE ed al pareggio in bilancio in Costituzione che costituisce la certificazione definitiva del fatto che la Repubblica non si occuperà più del risparmio e dunque del lavoro.

Prima di esaminare i vincoli di convergenza occorre evidenziare come si sia verificata la cessione di sovranità monetaria (illegittima per le già più volte declamate ragioni: l’art. 11 Cost. consente unicamente le limitazioni di sovranità in condizioni di reciprocità tra le nazioni ed al fine di aderire ad un ordinamento che promuova la pace e la giustizia tra i popoli e non le cessioni definitive).

-Articolo 127 (versione consolidata TFUE)

(ex articolo 105 del TCE)

“1. L’obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato “SEBC”, è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea. Il SEBC agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di cui all’articolo 119.

  1. I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti:

definire e attuare la politica monetaria dell’Unione, 6655/7/08 REV 7 RS/ff 136

JUR IT

− svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell’articolo 219,

− detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri,

− promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.

  1. Il paragrafo 2, terzo trattino, non pregiudica la detenzione e la gestione da parte dei governi degli Stati membri di saldi operativi in valuta estera.
  2. La Banca centrale europea viene consultata:

− in merito a qualsiasi proposta di atto dell’Unione che rientri nelle sue competenze,

− dalle autorità nazionali, sui progetti di disposizioni legislative che rientrino nelle sue competenze, ma entro i limiti e alle condizioni stabiliti dal Consiglio, secondo la procedura di cui all’articolo 129, paragrafo 4.

La Banca centrale europea può formulare pareri da sottoporre alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione competenti o alle autorità nazionali su questioni che rientrano nelle sue competenze.

  1. Il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario.
  2. Il Consiglio, deliberando all’unanimità mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, previa consultazione del Parlamento europeo e della Banca centrale europea, può affidare alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese di assicurazione”

-Articolo 128 (versione consolidata TFUE)

(ex articolo 106 del TCE)

“1. La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione”.

Lo Stato dunque ha rinuncia a poter stampare direttamente moneta, cosa che non faceva già anche prima del 1981 (divorzio tesoro-banca d’italia) ma certamente allora tale comportamento era una libera scelta nazionale su cui il popolo poteva sovranamente intervenire, oggi invece è un’imposizione, una cessione di sovranità.

-Articolo 130

(ex articolo 108 del TCE)

“Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti”.

Ecco dunque il dogma della banca centrale indipendente in tutta la sua forza. Tale dogma si pone in insanabile e radicabile contrasto con l’obbligo della Repubblica di disciplinare, coordinare e controllare il credito. Un Banca indipendente è per definizione un controllore e non una controllata, la menomazione dell’indipendenza nazionale è reato ai sensi e per gli effetti dell’art. 241 c.p., norma che solo dal 2006 menziona la violenza quale elemento necessario alla configurazione del reato. Ma l’austerità non è forse violenza?

-Articolo 123 (versione consolidata TFUE)

(ex articolo 101 del TCE)

“1. Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “banche centrali nazionali”), a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.

  1. Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati”.

Ecco che in questo contesto dove palesemente lo Stato non può fare politica monetaria, non avendo a disposizione una propria banca centrale, si innestano contestualmente i cd. parametri di convergenza che, da Maastricht in poi, costituiscono una cessione manifesta di sovranità in materia di politica economica. Il deficit (dunque il risparmio) viene attaccato in un modo mai visto prima nella storia.

L’esame della normativa, anche in questo caso, è semplice e davvero sconcertante:

Il protocollo n. 12 allegato al Trattato di Maastricht “Sulle procedure di disavanzo eccessivo” inaugura concetti tristemente noti:

-il vincolo del 3% per il rapporto tra disavanzo pubblico e pil (deficit annuo);

-il vincolo del 60% nel rapporto fra debito pubblico e pil.

Ovviamente con tali criteri si verifica esattamente quanto sin d’ora dibattuto ovvero la cancellazione della tutela del risparmio visto che si costringe l’Italia a tassare più di quanto spende. Il limite del 3% del PIL è superato già dal semplice computo degli interessi sul debito pubblico. L’Italia infatti ha collezionato avanzi primari in serie (un record) in questi anni (ovvero ha avuto una spesa pubblica inferiore alle entrate fiscali) e la conseguenza di ciò non è stata vedere i propri conti in ordina ma esattamente l’opposto, l’Italia è morta di avanzo primario.

Con il regolamento n. 1466/97, prima ancora dell’entrata in vigore dell’Euro, vennero immediatamente stabiliti obiettivi di convergenza e stabilità ancora più pregnanti. Il regolamento, redatto a cura della Commissione Europea, ha precisamente ristretto i margini di bilancio già risicati previsti dai Trattati, specificatamente nel citato protocollo n. 12. Il Regolamento n. 1466/97 anticipa il pareggio in bilancio oggi diventato addirittura tragica realtà costituzionale: “l’obiettivo a medio termine di una situazione di bilancio della pubblica amministrazione, con un saldo prossimo al pareggio o in attivo e il percorso di avvicinamento a tale obiettivo nonché l’andamento previsto del rapporto debito/PIL”.

Segue poi nel novembre 2011 l’inasprimento del patto di stabilità e crescita con una serie di nuovi Regolamenti meglio noti con i nomi di six Pack e two pack, ivi si codifica ciò che vedete avvenire in questi giorni, ovvero il controllo esterno sulla legge di stabilità ad opera di Bruxelles, l’applicazione del limite dello 0,5% nel rapporto fra disavanzo e pil annuo (con il 3% avevamo già una crescita troppo vigorosa…) e l’obbligo di ridurre il debito di 1/20 l’anno fino ad arrivare ad un rapporto pari al 60% del PIL. Inoltre si attua un semi automatismo sanzionatorio. La commissione applica le sanzioni agli Stati ed il Consiglio può solo respingerle con voto a maggioranza qualificata.

Viene altresì introdotto il controllo esterno della nostra legge di Stabilità con presentazione della stessa a Bruxelles con possibilità per la commissione entro due settimane dalla ricezione di chiedere una revisione della stessa.

Il successivo Trattato sulla stabilità il coordinamento e la governance nell’unione economica e monetaria (cd. Fiscal Compact) ratificato con Legge LEGGE 23 luglio 2012, n. 114 non fa altro che ribadire tale disciplina prevedendo la raccomandazione per gli Stati di inserire, preferibilmente in Costituzione, il pareggio in bilancio cosa che l’Italia ha immediatamente fatto con la modifica dell’art. 81 del 2012.

L’Italia sotto la spinta del Governo collaborazionista di Mario Monti, con legge Costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012, ha immediatamente riformato la Costituzione, limitando la sovranità dello Stato Italiano in favore dell’Unione Europea. Il nuovo art. 81 Cost.recita: “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.

Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.

Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”.

Ogni politica di espansione monetaria è stata così messa definitivamente al bando nel nome della stabilità dei prezzi si è verificata l’abrogazione tacita dell’art. 47 Cost. Anzi con la riforma costituzionale si è verificato addirittura un contrasto interno tra norme di rango costituzionale.

Oggi la Repubblica Italiana non tutela più lavoro e risparmio ma tutela unicamente il totem della forte competitività del mercato e della stabilità dei prezzi, si è sostanzialmente tornati ad un modello giuridico arcaico che farebbe certamente inorridire i padri costituenti. Un modello illegittimo data la manifesta superiorità dei principi fondamentali della Costituzione e dei diritti inviolabili dell’uomo sul diritto internazionale come ribadito dalla recentissima (e splendida) sentenza n. 238/2014 della Corte Costituzionale.

Abbiamo dunque la speranza di portare in Corte Costituzionale le leggi di ratifica dei Trattati determinando il ritorno della sovranità per il nostro paese. La prima udienza è stata a gennaio 2015, andiamo avanti!

Si pubblicano i video degli interventi sul tema di Luciano Barra Caracciolo, Presidente della V sezione del Consiglio di Stato e ell’Onorevole Giuseppe Lauricella ripresi al convegno del giorno 8.11.2014 www.riscossaitaliana.it 

INCONTRI FORTUITI

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Il nome e il volto di Riccardo Biadene chiamavano la mia memoria mentre uscivo dalla stazione Termini. Devo a una “frecciargento” il piacere di esserci incontrati. Il film starebbe molto bene nella nostra prossima conferenza di VENETO UNICO sull’immigrazione.

Intervista a Riccardo Biadene, regista di “Come un uomo sulla terra”, in concorso al Bellaria Film Festival 09 nella categoria CasaRossaDoc, Premio David di Donatello 2008/2009 come miglior documentario di lungometraggio.

Video realizzato a cura del Laboratorio Audiovideo del Campus di Savona, Università degli Studi di Genova.

IMMIGRAZIONE CLANDESTINA, QUELLO CHE NON VIENE DETTO.

La crisi economica funziona anche e soprattutto (se pianificata) per destabilizzare le società di ogni singolo Paese. La sola perdita della sovranità economica, non risulta sufficiente per le elites sovranazionali, quindi è necessario anche la perdita dell’identità nazionale tramite l’importazione in casa propria di scenari da terzo mondo. Il progetto dell’immigrazione forzata mira proprio alla destabilizzazione della società, in un contesto di gioco psicologico in cui trovandosi a contatto con il terzo mondo. Il caso dell’aggressione con il machete è emblematico, questo strumento lo abbiamo sempre associato alle lotte tribali-etniche in Africa, soprattutto nel tragico genocidio ruandese ed oggi, grazie alla globalizzazione del terzo mondo, questo strumento di morte, ce lo ritroviamo in casa, cosa inimmaginabile fino a pochi anni fa. In questo scenario il cittadino italiano (nel nostro caso) si dovrà abituare a ciò e quindi accettare in modo passivo i danni recati dalla crisi economica, in sostanza adeguarsi anch’esso agli standard da Paese sottosviluppato perché richiesto dall’austerità imposta per imporre un sistema economico monetario che mira alla svalutazione umana in nome del principio liberista del mercantilismo…

Ovviamente questo scenario di desolazione sociale deve essere difeso, giustificato ed imposto sotto l’ipocrisia di un fantomatico antirazzismo ed antifascismo, per nascondere il realtà il piano mondialista della globalizzazione della povertà.

Ma l’ipocrisia che fomenta la giustificazione dell’immigrazione di massa ci viene proposta con la frase: “Sono rifugiati, scappano dalle guerre”, troppo facile.

Quali guerre, non possiamo essere pressapochisti, pertanto bisogna analizzare la situazione politica-economica in Africa e da ciò con grafici e notizie si capirà che non ci sono guerre militari attualmente, tranne che in Libia, per la voglia di esportare “democrazia” mentre in Siria e in Yemen, perchè questi non allineati all’occidente. Ma la percentuale di libici e siriani che chiedono asilo in Italia è irrisorio e di certo non li vediamo bivaccare nelle stazioni italiane. Mentre NON si hanno notizia di profughi yemeniti in Italia.

Analizzando i Paesi da dove arrivano i clandestini, si capisce che questi provengono principalmente dall’Africa nera e qualcosa dal Nord.

E nei rispettivi paesi sotto elencati, NON sono presenti guerre civili o su scala internazionale.

In tutta la zona dell’Africa occidentale ex francese e portoghese,  NON è presente alcuna guerra civile o internazionale, così come nella zona anglofona degli Stati di Nigeria e Ghana.

Nella parte orientale dell’Africa, in Etiopia ed Eritrea attualmente NON sono presenti neanche in questi Paesi, guerre in corso, tali da far scattare un emergenza profughi.

Nelle prossime conferenze, analizzeremo nello specifico, la situazione nei tre principali Paesi dell’Africa orientale da dove provengono molti clandestini: Eritrea, Etiopia, Somalia e, poi, da alcuni del 10° parallelo: Repubblica Centrafricana e Nigeria e, infine dalla Siria, anche se fra quelli che sbarcano dalle nostre navi e che per essere accolti, si dichiarano siriani, quelli veri sono pochi.

Come confermato dalla scheda del ministero dell’Interno, la maggior parte dei Paesi ad esclusione della Siria, non hanno in corso guerre civili o internazionali.

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Ma tutti hanno in comune una cosa sola: Moneta agganciata all’euro ed austerità.

Questi Stati adottano il Franco CFA, una moneta comune agganciata all’euro con un cambio fisso di  1 € = 655,957 CFA.

E sappiamo tutti, almeno per gli intellettualmente onesti, i danni economici che provocano le monete di Paesi meno forti, agganciati a quelli molto più forti finanziariamente.

Argentina, Italia, Spagna, Grecia dovrebbero insegnare,solo per citare alcuni Stati.

Discorso diverso la Somalia, dove attualmente lo Stato ormai “fallito” è sotto le corti islamiche, ma anche in questo caso occorre vedere quanti sono i somali che hanno fatto regolare richiesta d’asilo in Italia.

DOVE CI PORTA LA COLONIZZAZIONE ECONOMICA, POLITICA E IDEOLOGICA.

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Il progresso scientifico e la rivincita del neoliberismo sugli stati sociali hanno aperto a nuovi rapporti fra soggetti umani e non umani. il dramma dell’umanità è che gli spazi istituzionali sono stati pervasi da enti non umani, sempre più potenti, che li hanno colonizzati, alterandone il rapporto con gli umani, deviandoli verso i propri fini e snaturando la Politica e le democrazie. In pochi decenni siamo precipitati da cittadini coesi e consapevoli, a sudditi egoisti, a meri consumatori astiosi, senza una luce a cui mirare. I mercanti del denaro dettano ai popoli i percorsi esclusivamente in nome dei profitti, incuranti di seminare morte e miseria. La massoneria finanziaria americana, la stessa che finanziò le armi di Hitler e le distrusse, per imporsi come salvatrice, ha finito per fagocitare se stessa. Per non collassare, ha destabilizzato il Medio Oriente, i Paesi Arabi, il continente africano, colonizzato politicamente e finanziariamente l’Unione Europea, svuotate le sue Costituzioni. Per meglio dominare l’Europa, ha creato la guerra civile in Ucraina e annullato le politiche d’integrazione con il mercato russo, ridotto alla fame la Grecia, detenendone il debito pubblico. In nome di un anelito di pace e prosperità per tutti gli europei, ha sottomessa l’Italia, snaturato la nostra Costituzione, sottratto al popolo la sua sovranità monetaria e il diritto di votare i propri governi, inchiodato il principio lavoristico, l’ascensore sociale dei lavoratori, con un mortifero principio di stabilità, asfissiato la nostra economia, svenduto l’industria di Stato, venduta alla concorrenza estera la grande industria privata, immobilizzato le PMI, distrutta la fiducia. Nominando essa stessa i nostri governi, sta usando contro di noi le nostre stesse istituzioni e, ora, sta invadendoci con le nostre stesse sacre navi. I mercanti del denaro, seminano la morte da un continente all’altro, senza più ritegno. Essi mirano alla globalizzazione di un mondo di schiavi, meticci nei corpi e nell’anima di una società senza più valori, senza storia e cultura, funzionale al solo profitto. Mirano alla colonizzazione ideologica partendo dai più deboli, ancora immaturi, non formati. Esseri senza sesso, senza principi o valori da difendere: volgari macchine per defecare. Siamo alla vigilia di cambiamenti profondi e irreversibili. Ma troppo grande è in noi il messaggio della rivoluzione cristiana: l’amore per il prossimo; troppo saldo è in noi il senso dello Stato. Non ci ribelleremo mai ai nostri governi, alle nostre istituzioni. Continueremo a dibattere di libertà, eguaglianza, dignità, solidarietà, finché saremo sommersi o sarà la vittoria della Bestia sullo Spirito.

LA FARSA DELLE ELEZIONI EUROPEE: IL PARLAMENTO EUROPEO E IL VOTO POPOLARE CON CUI E’ ELETTO NON CONTANO NULLA! (di Giuseppe PALMA)


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L’intero apparato eurocratico (quindi le Istituzioni politiche dell’UE, la BCE e la moneta unica, i mercati dei capitali privati, le multinazionali etc…) è del tutto incompatibile con la democrazia costituzionale e i diritti fondamentali di cui alle Costituzioni degli Stati membri, ma non può abrogarli espressamente, per cui cerca di esautorarli, cioè di renderli inefficaci. Ed è già a buon punto, come ho più volte dimostrato.

Il tutto, però, è appositamente mascherato da falsi messaggi di pace, solidarietà, democrazia, onestà, diritti civili etc… Abiti sontuosi e profumati avvolgono lo sterco della sostanza, coprendone finanche il fetore!

Oggi vi parlerò di come le elezioni europee (quelle che si tengono ogni cinque anni per eleggere il Parlamento europeo) siano del tutto inutili, cioè non servano assolutamente a nulla qualunque sia l’esito.

Va anzitutto chiarito che, nell’esercizio della funzione legislativa (il potere di fare le leggi a livello comunitario), il Parlamento europeo è del tutto svuotato di quelle che sono le prerogative tipiche dei Parlamenti nazionali.

L’atto giuridico europeo, che nel caso del Regolamento è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri e si pone su di un livello superiore rispetto alla legge ordinaria nella scala gerarchica delle fonti del diritto, è adottato congiuntamente da Parlamento e Consiglio dell’UE (quest’ultimo composto dai ministri di ciascuno Stato membro competenti per materia): il primo è eletto direttamente dai cittadini di ciascuno Stato membro, il secondo non è eletto da nessuno. Pertanto, già da questo punto di vista, gli atti giuridici dell’UE non sono il frutto esclusivo dell’esercizio della sovranità popolare. Ciò premesso, l’esercizio della funzione legislativa dell’UE non è esercitata esclusivamente dal Parlamento, bensì congiuntamente da questo e dal Consiglio dell’UE.

Ma v’è di più: la procedura legislativa ordinaria dell’UE (con la quale vengono adottati gli atti giuridici dell’Unione) è composta da quattro fasi, le quali sono state concepite – da Maastricht a Lisbona – per esautorare quasi del tutto il pieno esercizio della sovranità popolare da parte di un’Assemblea eletta dal popolo a suffragio universale e diretto.

Il Parlamento europeo, infatti, ha un potere emendativo (nella Ia fase) sulle proposte avanzate dalla Commissione europea (che esercita sia il potere esecutivo che quello dell’iniziativa legislativa) in merito all’atto giuridico da adottare, ovvero – in IIa fase – nei confronti della posizione espressa dal Consiglio dell’UE in prima lettura.

Senza addentrarmi nei tecnicismi e sacrificando l’approfondimento (non è questa la sede), il Parlamento europeo può fermare l’iter di approvazione di un atto giuridico (nello specifico può esprimere voto contrario alla posizione espressa dal Consiglio in prima lettura) solo se si esprime in tal senso – entro un termine ristretto di tre mesi – a maggioranza assoluta, cioè a maggioranza dei suoi componenti (IIa fase).

Se l’atto non è ancora stato adottato, le posizioni di Parlamento e Consiglio dell’UE (quelle espresse in seconda lettura) trovano foce in una IIIa fase dinanzi ad un Comitato di conciliazione (composto da membri o rappresentanti di Parlamento e Consiglio) che cerca di elaborare un “progetto comune” (o “testo di compromesso”). Se entro sei settimane il Comitato di conciliazione riesce ad adottare un “progetto comune”, Parlamento e Consiglio hanno ciascuno un ulteriore termine di sei settimane per adottare l’atto in questione sulla base del “progetto comune” (IVa fase). In caso contrario, l’atto non è adottato. Ma la fase di conciliazione (la IIIa) serve proprio a dirimere i contrasti e ad evitare sorprese o sussulti democratici da parte del Parlamento.

Coloro che volessero approfondire ed avere idonee argomentazioni in merito alle quattro fasi della procedura legislativa ordinaria dell’UE, potranno leggere il mio libro intitolato: “IL MALE ASSOLUTO. Dallo Stato di Diritto alla modernità Restauratrice. L’incompatibilità tra Costituzione e Trattati dell’UE. Aspetti di criticità dell’Euro”, (Editrice GDS, prima edizione ottobre 2014; seconda edizione febbraio 2015).

Tutto quanto sinora premesso dimostra come la Legge, intesa quale espressione della volontà generale scaturente dall’esercizio della funzione legislativa da parte di un’Assemblea eletta direttamente dal popolo, non è più quella nata con la Rivoluzione francese e maturata con le Costituzioni degli Stati membri. E tale aspetto si fa ancora più preoccupante vista la scala gerarchica nel sistema delle fonti del diritto, nella quale il Regolamento dell’UE (che è una vera e propria legge europea) è posto su di un livello superiore rispetto alla legge ordinaria approvata da ciascun Parlamento nazionale: nel caso in cui una legge ordinaria non fosse conforme ad un Regolamento dell’UE, il giudice nazionale deve disapplicare la legge ordinaria ed applicare il Regolamento. Ciò significa, ad esempio, che una legge adottata dal Parlamento italiano secondo l’iter costituzionale che risponde ad altissimi criteri democratici e di garanzia per le minoranze parlamentari, qualora in contrasto con un Regolamento dell’UE, va disapplicata a vantaggio di quest’ultimo, il quale – come si è visto – non solo non rispecchia la voce della sovranità popolare, ma è addirittura adottato attraverso una procedura meno democratica da quella prevista dalla nostra Costituzione! Ma v’è ancora di più: a livello europeo non esiste neppure un arbitro che, come nel caso della figura del Presidente della Repubblica nella Costituzione italiana, eserciti il potere di promulga dell’atto legislativo con eventuale facoltà di rinvio e richiesta di nuova deliberazione!

Ma la farsa non è ancora finita: abbiamo visto che il Parlamento europeo, la cui funzione naturale di esercitare la potestà legislativa è pesantemente menomata, può avere un certo peso quantomeno nella IIa fase della procedura legislativa ordinaria (quando può respingere la posizione del Consiglio espressa in prima lettura), ma deve necessariamente esprimersi a maggioranza assoluta, cioè non a maggioranza dei presenti ma dei suoi componenti. Questo rischio, rappresentato da un eventuale sussulto di indipendenza da parte del Parlamento, nella sostanza è irrealizzabile!

E adesso vi spiego il perché.

Si parta dal presupposto che la Commissione europea (esercitante sia il potere esecutivo che l’iniziativa legislativa) e il Consiglio dell’UE (esercitante la funzione legislativa congiuntamente al Parlamento), essendo entrambi composti da membri non eletti dai cittadini, sono totalmente immuni dagli eventuali “scossoni” scaturenti dai processi elettorali. Per quanto riguarda invece la posizione del Parlamento, la questione è molto più complessa: considerato che i due grandi partiti europei sono il PSE (Partito del Socialismo Europeo) e il PPE (Partito Popolare Europeo), in Parlamento v’è e vi sarà sempre la maggioranza assoluta per non bloccare le decisioni della premiata ditta Commissione – Consiglio! Ciò detto, se alle prossime elezioni europee le forze euro-scettiche o nazionaliste dovessero – in tutti gli Stati membri – ottenere la maggioranza relativa dei voti, la composizione parlamentare (frutto del meccanismo elettorale) garantirà ugualmente la maggioranza assoluta al PPE e al PSE, nonostante siano stati sconfitti (la somma dei voti di PPE e PSE sarà sempre superiore a quella dei voti espressi nei confronti delle forze euro-scettiche, pur ottenendo queste la maggioranza relativa dei consensi)! Capito l’inganno e il tradimento? Non è uno scherzo, la questione è proprio in questi termini! Il sistema elettorale per l’elezione del Parlamento europeo è stato concepito e realizzato proprio perché siano sempre il PSE e il PPE a farla da padrona, cioè i due partiti che continuano a chiederci più Europa e che difendono acriticamente l’Euro!

Questo articolo andrebbe letto insieme ad un altro mio articolo pubblicato qualche mese fa: http://scenarieconomici.it/come-i-trattati-dellue-tradito-superato-nostra-costituzione-gravi-aspetti-criticita-in-merito-allesercizio-funzione-legislativa-giuseppe-palma/

Quante persone sono morte, dalla Rivoluzione francese alla Seconda Guerra Mondiale, per donarci i principi dello Stato di Diritto e della Democrazia Costituzionale? Quante persone si sono fatte ammazzare perché la Legge fosse espressione esclusiva di un’Assemblea eletta direttamente dal popolo? Tutti principi che, con l’avvento dell’Unione Europea, sono stati vigliaccamente sacrificati sull’altare dei mercati e in nome di una pericolosa modernità Restauratrice!

Cara Unione Europea, altro non sei che una proiezione contemporanea di quello che fu l’Ancien Régime, il quale – nel suo sistema di potere verticale – aveva sicuramente alcuni aspetti positivi. Di te, invece, cara Europa, non salverei assolutamente nulla! Così come sei stata costruita, rappresenti il male assoluto!

Viva la nostra Costituzione! Viva la Democrazia Costituzionale!

Giuseppe PALMA

PAPA FRANCESCO CONTRO LA COLONIZZAZIONE IDEOLOGICA E LE DITTATURE DELL’ORDOLIBERISMO

Papa Francesco denuncia la teoria del gender come colonizzazione ideologica simile alle dittature Schermata 2015-06-06 a 14.37.57

Jan-Christoph Kitzler della Ard della radio tedesca: «Grazie, Santo Padre. Vorrei ritornare un attimo all’incontro che ha avuto con le famiglie. Lì ha parlato della “colonizzazione ideologica».

Papa Francesco è l’unico vero baluardo dell’umanità nella lotta della bestia contro lo spirito. “Venti anni fa – ci racconta in questa intervista di cinque mesi fa – un ministro della Pubblica istruzione argentino aveva chiesto di accedere a un prestito per costruire scuole per i poveri. Il prestito gli sarebbe stato concesso a condizione, però, che nelle scuole venisse introdotto un testo per i bambini di un certo livello, dove si insegnasse la teoria del gender. Quel ministro accettò, ma vi introdusse accanto un altro testo che demoliva le basi di quella teoria. Questa è la colonizzazione ideologica che profitta del un bisogno di un popolo e si fa forte con i bambini (ancora deboli e non formati), con una idea che appartiene a singoli gruppi, ma che vuole cambiare mentalità e strutture sociali. Questa, però, non è una novità, perché la stessa cosa fu fatta dalle dittature del ‘900. Pensate ai giovani Balilla o alla Hitlerjugend. I popoli non devono perdere la loro libertà. Ogni popolo ha la sua cultura, la sua storia condizioni imposte dagli imperi colonizzatori cercanodi far perdere ai popoli la loro identità e fargli raggiungere una eguaglianza. Questa è la globalizzazione della sfera. E’ importante la globalizzazione, ma quella del poliedro e non quella della sfera. cioè, ogni popolo  deve conservare la sua identità, senza essere colonizzato ideologicamente. Queste sono le colonizzazioni ideologiche.”