Voici les éditoriaux publiés ce matin sur Boulevard Voltaire: “I migranti, specialmente se sono illegali, possono occupare un immobile impunemente.” Un tema quanto mai attuale, che sottintende l’emersione di un conflitto non più latente fra i poteri dello Stato: Legislativo e Esecutivo e il quasi potere della Magistratura.
Se sei un immigrato e occupi illegalmente un appartamento, la giustizia non costituirà per te fonte di gran preoccupazione. Non siamo in Italia, ma accade in Francia. Dal giudicato di una recente decisione del Tribunale distrettuale di Rennes.
La proprietà di una struttura ricettiva, secondo Le Figaro, aveva deciso di trasformare un edificio di diciotto appartamenti in un centro di accoglienza per richiedenti asilo (CADA). Problema: l’edificio era già stato “requisito” da un gruppo di persone senza fissa dimora provenienti da Cecenia, Georgia, Albania, Somalia, Angola, Eritrea, Azerbaijan, Afghanistan. L’organizzazione proprietaria, Archipel Habitat, è, quindi, in procinto di espellere i 95 migranti che occupano l’edificio. Ma la giustizia ha appena dichiarato la richiesta inammissibile per il fatto che – leggete bene – che non poteva fornire la prova della sua proprietà.
L’avvocato che difende gli occupanti ha definito la decisione della corte come “in conformità con la legge”. Mentre è normale che il denunciante dimostri la legittimità della sua denuncia, è sorprendente che, se anche ci fosse un documento mancante nel file, questo non sia stato chiesto prima. Archipelago Habitat ha dichiarato di aver “preso atto” della decisione della corte, che non ha custodito” i vari documenti che concorrono a fornire le prove sufficienti del suo status di proprietario”, e ha deciso “un immediato riproposizione del procedimento giudiziario”. In attesa di una nuova decisione, gli squatters potranno continuare a godere dei loro appartamenti.
Ricordiamo che i CADA offrono ai richiedenti asilo un luogo dove alloggiare per il tempo della durata dell’esame della loro richiesta di rifugiati. Questa procedura prevede la sistemazione, il seguito amministrativo, il monitoraggio sociale e l’aiuto alimentare. Si potrebbe pensare che un’organizzazione sociale farebbe meglio a occuparsi principalmente della situazione dei senzatetto francesi (quattro milioni di persone, secondo la Fondazione Abbé-Pierre), ma sappiamo, da molto tempo, che in Francia, qualsiasi priorità nazionale è un segno di discriminazione e che è meglio essere un immigrato che un povero lavoratore. RIPETO: Non siamo in Italia, ma in Francia!
Almeno i CADA sono organizzazioni legali. Ma anche in questo caso, la prassi è che vengono applicate delle priorità … contrarie al buon senso: prima dei francesi in difficoltà passano avanti i richiedenti asilo e, prima dei richiedenti asilo, occupano gli immigrati. Si può tranquillamente affermare che, se la giustizia avesse deciso per l’espulsione, si sarebbero svolte manifestazioni per difendere il diritto all’abitazione di questi immigrati clandestini. Al giorno d’oggi, è l’apice dell’ipocrisia discriminare al contrario le persone, preferendo un cittadino del mondo a un compatriota.
La motivazione invocata dal tribunale per respingere la domanda può pure essere “in conformità con la legge”, applicata letteralmente, ma si oppone al suo spirito. Tutto accade come se il giudice volesse ritardare la decisione, che richiederà probabilmente alcune settimane o, addirittura, mesi. Lo sapremo quando si conosceranno i ritardi amministrativi. Lungi da noi accusare la giustizia di non essere indipendente: se così fosse, è innanzitutto il governo che ne sarebbe responsabile. Ma è chiaro che ci sono molte disfunzioni in questa repubblica, nelle quali il regno di Macronie, sembra adattarsi. Vive la France! Viva l’Italia! Addio all’Europa.
Alcune riflessioni per l’Italia
Il tema della politicizzazione della Magistratura è particolarmente grave quanto destabilizzante, perciò, urgente perché la sua indipendenza è condizione di esistenza, anzi, è un presupposto della democrazia, quindi, della Repubblica. Questa politicizzazione scaturita dalla funzione creativa che le sentenze hanno nei confronti del diritto è il risultato dell’interpretazione giudiziale delle norme positive. Prima di proporvi questa mia traduzione mattiniera di Boulevard Voltaire, mi sono chiesto: Come è possibile che la Magistratura, in Francia e in Italia, sfrutti la lettera della legge contro il suo spirito? Le disposizioni sulla legge in generale, dette anche preleggi o disciplina preliminare al codice civile, dettano alcuni articoli. Cito gli articoli 1, 8, riguardo alle prassi e , sopratutto, l’articolo 12, Interpretazione della legge, con alcune note e una riflessione:
Art. 1 Indicazione delle fonti
Sono fonti del diritto:
1) le leggi;
2) i regolamenti;
3) (abrogato)
4) gli usi.
Art. 8 Usi
Nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati.
Art. 12 Interpretazione della legge
Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (1) , e dalla intenzione del legislatore (2), (3).
Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione (4) , si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe (5); se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i princìpi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato (6).
Note:
(1) È questa la c.d. interpretazione letterale (c.d. vox iuris), volta ad attribuire alla norma il significato che si evince immediatamente dalle parole utilizzate. Abbiamo, però, presente quanto stabilito dal primo comma dell’articolo 1362 c.c., per quanto riguarda l’interpretazione di un testo contrattuale, dove non può darsi un’importanza definitiva all’impiego di certi termini di carattere letterale.
(2) È questa la c.d. interpretazione logica che, superando il significato immediato della disposizione, mira a stabilire il suo vero contenuto ossia lo scopo che il legislatore ha inteso realizzare, emanandola.
(3) Si rimane sempre nell’ambito della norma, se dilatata fino al limite della sua massima espansione.
(4) Il legislatore espressamente contempla la possibilità che vi siano fattispecie non previste né risolte da norme giuridiche. Il legislatore prevede, cioè, l’esistenza di lacune le quali devono, tuttavia, essere colmate dal giudice che non può rifiutarsi di risolvere un caso pratico adducendo la mancanza di norme.
(5) È questa la c.d. analogia legis, ammissibile soltanto se basata sui seguenti presupposti: a) il caso in questione non deve essere previsto da alcuna norma; b) devono ravvisarsi somiglianze tra la fattispecie disciplinata dalla legge e quella non prevista; c) il rapporto di somiglianza deve concernere gli elementi della fattispecienei quali si ravvisa la giustificazione della disciplina dettata dal legislatore (eadem ratio).
(6) È questa la c.d. analogia iuris: nel richiamare i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato, il legislatore ha inteso, innanzitutto, escludere il ricorso ai principi del diritto naturale, quindi, non tutti i principi. Quanto alla loro individuazione, la dottrina prevalente ritiene che essi vadano identificati in norme ad alto grado di generalità , di rango costituzionale, di tenore vago e dunque suscettibili di adattamenti interpretativi, ad esempio l’art. 2041c.c. Azione generale di arricchimento) o di importanza fondamentale per l’intero sistema giuridico (es.: art. 1322c.c. Autonomia contrattuale).
Innanzitutto, secondo ciò che risulta dal primo comma dell’articolo 12 in commento, l’interpretazione è ammissibile soltanto se è conforme al «significato proprio delle parole” e con riferimento alla “intenzione del legislatore».
Si sostiene in dottrina che l’art. 12 delle preleggi sia tacitamente abrogato. Questa tesi è emblematica perché vuole sostenere l’esistenza di una contraddizione che sarebbe insita nei due criteri: quello di una interpretazione ammissibile soltanto se conforme al «significato proprio delle parole” e quello del riferimento alla “intenzione del legislatore».
A nostro sommesso avviso, i due criteri non sono in contraddizione; sono, invece, complementari, stabilendosi che la chiave di lettura della conformità al significato delle parole debba essere, appunto, l’“intenzione del legislatore”; dove il primo legislatore è la Costituzione, con i principi fondanti della sua parte prima, immutabili e, poi, il Parlamento. L’interprete deve applicare la legge, adeguandola come si evolve la società, appunto, interpretandola secondo l’evolvere del tempo, ma senza mai distaccarsi dai principi fondativi dell’Ordinamento Giuridico.
Per esemplificare, rapportandoci alla realtà, l’avere accettato l’ingresso nel territorio nazionale di genti le cui regole non rispettano la donna, le Forze dell’ordine e la stessa vita, non deve significare che la legge debba essere interpretata anche secondo quelle usanze o regole che siano. È, invece, ciò che leggiamo, frequentemente, nelle sentenze di magistrati politicizzati e nella applicazione redentiva della pena ai selvaggi. Non ha senso. Corre l’obbligo di rilevare che lo Stato costituisce un unicum di popolo, territorio e Ordinamento Giuridico. Infatti, in concreto, c’è incompatibilità di fatto fra questa società civile e genti che non hanno ricevuto né vogliono ricevere un’educazione. A costoro, per esempio, non è applicabile il presupposto rieducativo della sanzione penale, in quanto questa società tendeva al recupero di un cittadino che una educazione l’aveva avuta ed ha sbagliato. L’aver dovuto legiferare sulla legittima difesa è illuminante. Nella società civile ben si poteva chiedere al cittadino assalito nella sua casa di valutare l’entità della minaccia e adeguarvi la sua difesa, tale da renderla legittima. I casi sempre più frequenti di violenza, stupro, assassinio, fino al cannibalismo, financo nei carceri, hanno reso necessario abolire il principio della proporzionalità. A questo riguardo, i magistrati che, a partire dalla Cassazione, si oppongono al legislatore non difendono una posizione di diritto, ma lo offendono. La magistratura non è un potere, come, invece, lo sono iI Legislativo e l’Esecutivo. La condizione perché la magistratura sia indipendente è che il C.S.M. eserciti l’azione disciplinare. Non lo fa perché è è antidemocratico e antitaliano, a partire dal suo presidente Sergio Mattarella, come egli stesso, spesso, ci dichiara. Puntualizzo, data la carica da lui ricoperta: È antidemocratico chi, senza nemmeno uno straccio di referendum, vuole sostituire la Costituzione dei lavoratori (“art. 1: La repubblica è fondata sul Lavoro” – ascensore sociale), con un trattato di Lisbona, votato alla competitività dell’Unione europea sui mercati mondiali, dove il lavoro non è tutelato, il welfare è un costo e la disoccupazione diventa strumento. Un ulteriore esempio riguarda l’autorizzazione amministrativa a installare moschee e l’applicazione nel territorio dello Stato della Sharia, di quella che i musulmani chiamano religione, ma che non lo è, perché Dio crea la vita e non può predicare la morte. Sicuramente, è incompatibile con la Costituzione.
Leggo, sottolineandolo, l’art.8 della Costituzione:
“Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.”
La “creatività” dei giudici si è spinta ad ammettere l’Islam fra le religioni e non ritiene che contrasti con l’ordinamento giuridico italiano. In questo, si colloca a fianco dell’apostata, Capo di Stato, che ha abbandonato formalmente e volontariamente la propria religione.
Non interpreta la Costituzione né il principio di solidarietà, tanto meno quello di eguaglianza, che è sostanziale, chi vuole annullare l’identità e destabilizzare la società italiana immettendovi non individui, ma masse incontrollabili, senza legge, né morale: masse provenienti da paesi, per lo più, subsahariani, dove l’educazione, sia pure, del solo carattere “era” impartita dagli anziani, oggi, sommersi da una esplosione demografica – 7 a 1 – contro natura, ingestibile, oggi e domani, da qualsiasi stato sia africano sia europeo, come i membri dell’Ue ci confermano. Sono masse di individui in cui gli istinti più bassi non trovano argine alcuno nell’educazione, inclini alla violenza, schiavi di usanze tribali, fino al cannibalismo e per i quali, nemmeno se investissimo tutto il nostro bilancio dello Stato potremmo apprestare i mezzi per una pur minima istruzione, che, comunque, rifiuterebbero. Chi favorisce il loro ingresso nel territorio dello Stato non è un interprete dei nostri principi, ma è ignorante e pericoloso, probabilmente cooptato da poteri finanziari. Le norme di qualsiasi Ordinamento Giuridico non hanno valore assoluto. Valgono nel territorio del loro Stato e per la sua società, di cui costituiscono la maggiore espressione. Quindi e per converso, chi pretende una selezione dei migranti e di fasare gli ingressi secondo le concrete possibilità di integrazione, non è razzista, ma il contrario. In conclusione, siate consapevoli che l’ignoranza che ha pervaso la politica non può e non deve estendersi alla magistratura, che deve restare interprete indipendente e garantista del diritto.
Secondo la lettura restrittiva dell’art. 12, che abbiamo cennato, nell’interpretazione è la lettera che costituisce il primo – e prioritario – termine di riferimento per riscoprire il significato di una disposizione normativa. L’interpretazione letterale porrebbe dei limiti, irrigidendo l’attività dell’interprete, che viene, però, mitigata dall’aggiunta del riferimento alla «intenzione del legislatore». Si giunge all’errore di ammettere due possibili interpretazioni e, quindi, un possibile conflitto fra interpretazione letterale e interpretazione in senso logico. La tesi è che l’espressione «intenzione del legislatore» non risolve molte le cose: quale fu l’intento del legislatore quando produsse il materiale normativo? Niente di misterioso, invece. Quando si parla di «intenzione del legislatore» si tende a far riferimento all’attività legislativa posta in essere da un soggetto indeterminato ed astratto che obbedisce ai principi della Parte Prima della Costituzione, i richiamati «principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato».
A ciò consegue che, nello svolgimento della funzione interpretativa, il giurista è influenzato da vari fattori (fattori storici, politici, economici, religiosi, morali, etici) che contribuiscono all’attribuzione del senso della norma. Esemplare, in questo senso, è l’analisi della funzione giurisprudenziale del giurista. Il giudice e, in primo luogo, la Corte di Cassazione, oggi, in aperta antitesi con il legislatore, svolge sempre più frequentemente una funzione creativa del diritto, nel senso di dar luogo ad un’immagine del dato normativo che va al di là del dato letterale. Nel suo evolversi, questa funzione creativa, ha portato alle posizioni attuali. Chiaro che per parlare di antitesi fra la Magistratura e il Legislatore deve essersi verificata una incrinatura grave nella funzione di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, responsabile dell’azione disciplinare e di Presidente della Repubblica, assolta dal Capo dello Stato, garante della Costituzione insieme alla Consulta. infatti, quell’azione disciplinare è la condizione prima dell’indipendenza accordata alla Magistratura. Ecco che, a nostro avviso, è, perciò, pretestuosa la problematicità del primo comma dell’articolo 12 preleggi, volta a determinare l’emersione di principi del diritto naturale, che esulano da quelli dell’Ordinamento giuridico, a favore dell’abuso di potere e dello sconfinamento nella politica da parte della Magistratura.
Il Legislatore, il Governo, i poteri costituzionale e i giudici hanno il dovere morale di rappresentare gli interessi degli elettori. La Costituzione prevede gli strumenti per adeguare il diritto all’evolvere della società, ma è un compito del Legislatore, non dei giudici. Come la mia maestra Lorenza Carlassare ama ripetere, quell’“appartiene” al popolo significa che, con il voto la sovranità non viene trasferita agli eletti e nemmeno a Lei signor Presidente della Repubblica.
Quindi, se siete giunti fino a qui, ditemi: A quali principi costituzionali si rifarebbero un legislatore o un giudice la cui intenzione fosse di non tutelare il diritto del cittadino nei confronti dello straniero, per giunta, presente nel territorio dello Stato in modo illegale? Ritengo di aver contribuito a comprendere le radici dell’illegalità denunciata da Boulevard Voltaire.