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5893.- L’India si lega al Mediterraneo allargato. L’Italia è nel progetto

Un salto avanti rispetto alla Nuova Via della Seta e un risultato grande per il presidente Meloni. Collegare India-Middle Eas—Europe con l’Economic Corridor (Imec) significa guardare al futuro perché non è un semplice progetto per le comunicazioni stradali e ferroviarie. Certo, dal punto di vista politico, è più semplice pensare a collegare l’India con il Golfo che non il Golfo con l’Europa. L’Imec si propone con grande impatto e non esageriamo vedendovi una proposta di ridisegnare i rapporti fra i paesi dell’Occidente. L’Italia è parte di un’alleanza militare in chiave anti russa e di una Unione europea molto conforme agli interessi statunitensi e, di quando in quando, ai nostri. Ecco che chi vuole che il Mediterraneo allargato torni essere un crocevia, non solo di questo corridoio, deve avere una proposta per la rifondazione dell’Ue e crederci, per poterci confrontare, uniti, in una situazione paritaria con il Global South.

Da Formiche.net, articolo di Emanuele Rossi | 10/09/2023 – 

L’India si lega al Mediterraneo allargato. L’Italia è nel progetto

L’annuncio dell’Imec – l’infrastruttura che collegherà India, Medio Oriente ed Europa – è un colpo di scena geopolitico che (per quanto atteso) trasforma gli equilibri della connettività globale. L’Italia, come spiega Meloni dal G20, è parte del progetto. “L’accordo rappresenta il primo tentativo concreto di contrastare le strategie infrastrutturali cinesi”, spiega Rizzi (Ecfr) e per l’Italia si aprono due grandi opportunità 

Durante la riunione del G20, è stato presentato un ambizioso piano infrastrutturale per collegare l’India al Medio Oriente e all’Europa. Questo progetto trasformativo mira a stimolare la crescita economica e migliorare la cooperazione politica tra le nazioni partecipanti. Viene definito India-Middle Eas—Europe Economic Corridor, acronimo internazionale: Imec. In realtà il corridoio è doppio, biforcato in una porzione orientale che connette India e Golfo, e una settentrionale che collega il Golfo all’Europa.

Se ne sentirà parlare molto, perché è di fatto un’alternativa alla Belt & Road Intiative (Bri) e dunque ha una connotazione geopolitica concorrente con la Cina.

“Questa è un’impresa monumentale”, ha sottolineato il presidente statunitense Joe Biden, che ha presentato l’opera in una sessione laterale al vertice alla presenza dei rappresentanti di Emirati Arabi Uniti (ideatori e motori del progetto: “Senza di te credo che non saremmo mai stati qui”, ha detto Biden al leader emiratino Mohammed bin Zayed), Arabia Saudita, India, Unione Europea, Francia, Germania e Italia. La “grandissima importanza” di cui Biden ha parlato assume un valore speciale per Roma.

Spazio per l’Italia

Il governo di Giorgia Meloni sta formalizzando l’uscita dalla Bri, pur mantenendo in piedi il partenariato strategico con la Cina — a cui si agganciano le relazioni sino-italiane. Avere la possibilità di essere già dentro Imec è un elemento positivo per Roma, che ha una connotazione geostrategica naturalmente centrale nel Mediteranneo (che di Imen è il punto arrivo finale e gancio verso il resto d’Europa).

Fu grave danno la cessione della BREDA TRENI all’ITACHI. ndr

In questo progetto l’Italia può “svolgere un ruolo decisivo, grazie anche alla forza della sue aziende, nei settori marittimo e ferroviario”, ha detto Meloni – e in effetti, realtà come Fincantieri o Ferrovie sono all’avanguardia nel settore, ma anche altre società possono portare exprtise di primissimo livello. Il corridoio proposto promette infatti di facilitare il commercio, agevolare il trasporto delle risorse energetiche, securatizzare le supply chain, creare cavi connessioni energetiche innovative, rafforzare la connettività digitale. Obiettivi che si prefissa anche la Bri, che è stata lanciata 10 anni fa ed è in fase di bilanci (non sempre positivi).

“L’accordo rappresenta il primo tentativo concreto di contrastare le strategie infrastrutturali cinesi e di dare sostanza a quella Partnerhsip for Global Infrastructure and Investments (Pgii) che dopo il suo lancio un anno fa era rimasta sostanzialmente sulla carta”, spiega Alberto Rizzi, esperto dì Geoeconomia dell’Ecfr. 

La Pgii è uno sforzo collaborativo del G7 per finanziare progetti infrastrutturali nei paesi in via di sviluppo basati sui principi di fiducia del Blue Dot Network (Bdt), progetto congiunto tra Usa, Giappone e Australia che punta su investimenti per infrastrutture di alta qualità.  Biden ha già accolto con favore l’intenzione italiana di entrare nel comitato direttivo del Bdt. Il meccanismo ha l’intenzione di promuovere standard elevati negli investimenti infrastrutturali pubblico-privato in tutto il mondo. L’idea di fondo è spingere nuovi modelli rispetto a quelli cinesi che hanno mostrato debolezze dal punto di vista di efficienza e affidabilità (anche a livello politico, con molti Paesi che entrati in partnership sulla Bri si sono trovati stretti nelle cosiddette trappole del debito).

Per Rizzi, “rafforzare i collegamenti con l’India risulta fondamentale sia in ottica diplomatica, avvicinando Delhi a Bruxelles e Washington, sia economica, unendo il continente europeo al membro G20 con il più alto tasso di crescita”. Qual è il termine della sfida? “Se l’asse marittimo appare di semplice realizzazione, diverso è il discorso per quello ferroviario: le connessioni tra monarchie del Golfo sono già oggi in ritardo rispetto alla tabella di marcia e servirà un deciso cambio di passo”.

Tutto ciò apre due grandi opportunità per l’Italia: “Da un lato le sue aziende possono giocare un ruolo chiave nello sviluppo delle infrastrutture dei Paesi di transito e dall’altro la posizione permette di trasformare la penisola in una componente fondamentale del corridoio”, spiega Rizzi. “Un’ambizione che però si può realizzare solo completando l’interoperabilità tra porti e ferrovie, ad oggi ancora piuttosto limitata, specialmente al Sud”.

Tempi e costi del progetto 

Il consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense, Jake Sullivan, ha illustrato come questa rete si allinei alla visione dell’amministrazione Biden su investimenti estesi e di un’efficace leadership americana in collaborazione con altre nazioni. L’americano prevede che l’infrastruttura promuoverà lo sviluppo economico, favorirà l’unità tra le nazioni del Medio Oriente e trasformerà la regione in un polo economico, allontanandosi dalle sfide, dai conflitti e dalle crisi storiche. Chiaramente, nessuno degli attori ai tavoli è stato esplicito, per prima la Casa Bianca, ma è evidente l’offerta alternativa alle mire geopolitiche cinesi che Imec rappresenti anche nella narrazione strategica che l’accompagna.

Amos Hochstein, uno dei più nevralgici consiglieri del presidente Biden con il compito di coordinatore l’Infrastruttura globale e la sicurezza energetica, ha fornito una tempistica approssimativa: Imec sarà avviato de facto il prossimo anno. Nei prossimi 60 giorni, i gruppi di lavoro svilupperanno un piano completo e stabiliranno le tempistiche più dettagliatamente, spiegano le fonti: la fase iniziale si concentrerà sull’individuazione delle aree che necessitano di investimenti e sulla connessione dell’infrastruttura fisica tra i Paesi. La previsione è che i piani possano essere messi in atto nell’arco dell’anno successivo, seguiti dalla sicurezza dei finanziamenti e dall’avvio della costruzione.

Anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha accolto con favore l’iniziativa, sottolineando il suo potenziale per aumentare il commercio reciproco e la fiducia. Von der Leyen ha descritto l’iniziativa come un “ponte verde e digitale tra continenti e civiltà”, evidenziando anche l’inclusione di cavi per la trasmissione di elettricità e dati. Inoltre, ha presentato un “Corridoio Transafricano” che collega il porto angolano di Lobito a zone senza sbocco sulla costa nella Repubblica Democratica del Congo e alle regioni minerarie di rame dello Zambia. 

Queste iniziative, così come il Global Gateway europeo, sono modelli e proposte di cooperazione tra il Nord e il Sud del Mondo. Anche per questo, tenendo a mente l’idea del Piano Mattei e il tema del prossimo G7 (che sarà proprio quel contatto col Global South, su cui anche il G20 indiano ha avuto un focus), per l’Italia assumono altissimo valore. Ancora di più se si considerano che l’Inda è tra gli attori protagonisti: per Roma, che in primavera ha innalzato i rapporti con New Delhi a livello di strategic partnership, l’India è già sponda di progetti di connessione (un esempio il Blue Raman, progetto di connessione Sparkle-Google per connettere tramite cavi sottomarini l’Europa e il Subcontinente).

Oltre che digitalmente, il corridoio ferroviario e marittimo Imec promette di collegare fisicamente vaste regioni del mondo, promuovendo anche il commercio di prodotti energetici come l’idrogeno. I dettagli sul costo e sul finanziamento del progetto rimangono non divulgati, ma il principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, ha menzionato una cifra di 20 miliardi di dollari durante l’annuncio. Non è chiaro se questa cifra rappresenti l’impegno esclusivo dell’Arabia Saudita.

4900.- Pfizer ritira la richiesta di distribuire il vaccino in India

Perché non vuole sottostare ad uno studio in loco di sicurezza e immunogenicità

E adesso Roberto???

Buone notizia sulla Covid-dittatura

 Maurizio Blondet  16 Febbraio 2022. A cura di Sabino Paciolla

L’articolo, scritto da Krishna N. Das, è apparso sul sito della Reuters.

Pfizer Inc ha detto venerdì di aver ritirato una domanda di autorizzazione per l’uso d’emergenza del suo vaccino COVID-19 in India, dopo non aver soddisfatto la richiesta del regolatore dei farmaci [indiano] per uno studio locale di sicurezza e immunogenicità.

La decisione significa che il vaccino non sarà disponibile per la vendita nei due paesi più popolosi del mondo, India e Cina, nel prossimo futuro. Entrambi i paesi stanno conducendo le loro campagne di immunizzazione utilizzando altri prodotti.

A differenza di altre aziende che conducono piccoli studi in India per i vaccini sviluppati all’estero, Pfizer aveva chiesto un’eccezione citando le approvazioni che aveva ricevuto altrove sulla base di prove fatte in paesi come gli Stati Uniti e la Germania.

I funzionari della sanità indiana dicono che generalmente chiedono i cosiddetti studi ponte per determinare se un vaccino è sicuro e genera una risposta immunitaria nei suoi cittadini. Ci sono, tuttavia, disposizioni sotto le regole dell’India per rinunciare a tali prove in determinate condizioni.

L’azienda statunitense, che è stata la prima casa farmaceutica a chiedere l’approvazione d’emergenza in India per il suo vaccino sviluppato con la tedesca BioNTech, ha preso la decisione di ritiro dopo un incontro con l’Organizzazione centrale di controllo dei farmaci (CDSCO) mercoledì.

Il regolatore dei farmaci ha detto sul suo sito web che i suoi esperti non hanno raccomandato il vaccino a causa degli effetti collaterali riportati all’estero, che sono ancora in fase di studio. Ha anche detto che Pfizer non ha proposto alcun piano per generare dati di sicurezza e immunogenicità in India.

“Sulla base delle delibere della riunione e della nostra comprensione delle informazioni aggiuntive di cui il regolatore potrebbe aver bisogno, l’azienda ha deciso di ritirare la sua domanda in questo momento”, ha detto Pfizer in una dichiarazione.

“Pfizer continuerà a impegnarsi con l’autorità e a ripresentare la sua richiesta di approvazione con ulteriori informazioni man mano che saranno disponibili nel prossimo futuro”.

Reuters è stata la prima a dare la notizia.

Pfizer aveva chiesto l’autorizzazione per il suo vaccino in India alla fine dell’anno scorso, ma il governo a gennaio ha approvato due dosi molto più economiche – una dall’Università di Oxford/AstraZeneca e un’altra sviluppata in India da Bharat Biotech con il Consiglio indiano di ricerca medica.

Entrambe le aziende avevano chiesto l’approvazione dei loro vaccini dopo Pfizer, e le loro prove sono in corso in India. La società locale Dr. Reddy’s Laboratories Ltd sta eseguendo prove per il vaccino russo Sputnik V, che dovrebbe essere approvato questo mese o il prossimo.

4262.- Panjshir, la provincia afgana inespugnabile dove nasce la resistenza ai talebani

Ahmad Massoud Jr

20 AGOSTO 2021 – di Redazione Mondo

Negli anni ’80 era stata la roccaforte contro i sovietici. Oggi la Valle dei cinque leoni può diventare la base d’appoggio per chi vorrà ribellarsi agli “studenti di religione” 

Il Panjshir (pienshir), nel nord est dell’Afghanistan, è la provincia inespugnabile: negli anni Ottanta era stata la roccaforte afghana contro i sovietici, per diventare negli anni Novanta il territorio della resistenza ai talebani. Oggi la Valle dei cinque leoni è ancora disseminata di carri armati arrugginiti dai combattimenti di quei decenni. E ora i militari stanno radunando le forze per opporsi alla presa di potere da parte dell’Emirato islamico. Sono oltre tremila gli uomini dell’estremo bastione anti-sharia nell’ultima valle libera dell’Afghanistan. La resistenza questa volta ha contorni diversi da quella del passato: i leader non controllano il territorio di cui avrebbero bisogno per aprire una linea di rifornimento attraverso i confini settentrionali dell’Afghanistan, né sembrano avere alcun supporto internazionale significativo. Ma non hanno alcuna intenzione di arrendersi, anzi.

I relitti lasciati dall’Armata Rossa nel Panjshir.

I nuovi leoni della resistenza 

Come spiega il New York Times che cita Amrullah Saleh, uno degli uomini che organizzano la resistenza, il loro obiettivo è negoziare un accordo di pace con i talebani per conto dell’ormai defunto governo afghano. Il vicepresidente, Amrullah Saleh, nato e addestrato a combattere lì, ha promesso che riprenderà quel ruolo, dopo essersi dichiarato capo di stato “custode” in base alla costituzione che i talebani sembravano aver spazzato via. Sull’ipotesi di una trattativa ha già fatto sapere che «negozieremo se sono veramente interessati a una soluzione pacifica che garantisca i diritti e la libertà di tutti. Non accetteremo un regime tirannico degli Emirati». In caso contrario «siamo pronti a combattere contro ogni tipo di aggressione e oppressione». L’ambasciatore dell’Afghanistan in Tagikistan, il tenente generale Zahir Aghbar, ha promesso che il Panjshir costituirà la base d’appoggio per tutti coloro che vorranno unirsi alla battaglia. «Il Panjshir è forte contro chiunque voglia schiavizzare le persone», ha detto. «Non posso dire che i talebani abbiano vinto la guerra. No, è stato solo Ashraf Ghani – ex presidente dell’Afghanistan – a rinunciare al potere dopo colloqui “infidi” con i talebani», ha aggiunto nel corso di un’intervista a Reuters.

Ed ecco Massoud Jr

Amrullah Saleh in Panjshir with Ahmad Massoud and some commanders and planning to start a resistance from there.

A guidare la resistenza è Ahmad Massoud, il figlio del comandante dell’Alleanza del Nord che impedì l’ingresso in Panjshir a sovietici e talebani. Come spiegò un suo fedelissimo, Ali Maisam Nazary, il 32enne ha usato strategie e tattiche in appoggio all’offensiva dei fondamentalisti.

Le altre città che si ribellano: Jalalabad e Khost

Ma ci sono anche altre zone che non si arrendono. A Jalalabad, capoluogo della provincia del Nangahar, da cinque giorni in mano agli eredi del movimento del mullah Omar, mercoledì 18 agosto centinaia di residenti sono scesi per le strade. Nel corso della manifestazione tre persone sono state uccise e più di una dozzina ferite dopo che i talebani hanno aperto il fuoco. I testimoni hanno raccontato che la sparatoria è seguita a un tentativo da parte dei residenti locali di installare la bandiera nazionale dell’Afghanistan in una piazza della città. Anche a Khost, capoluogo dell’omonima provincia,  la protesta è degenerata e i talebani hanno aperto il fuoco «in modo indiscriminato». 

Il simbolo che ha radunato i manifestanti è la bandiera afgana. O meglio: la sua ultima versione, che contiene l’aggiunta a fianco della Mecca nello stemma di colore bianco, molto simile a quella in vigore dal 1970 al 1973. Negli ultimi due decenni è diventata un simbolo dell’identità degli afghani. Per questo è stata ammainata dai talebani che al suo posto hanno innalzato la loro a Kabul e in tutte le province conquistate in questi giorni. E per lo stesso motivo è comparsa nelle piazze in segno di sfida nei confronti degli “studenti di religione”. Che a quel punto hanno ricominciato a sparare.

Qual è la più grande minaccia per il Pakistan? I militanti del TTP rilasciati dall’Afghanistan.

Ci sono segni di una rinnovata militanza del Tehrik-e-Taliban Pakistan, Ttp, gruppo armato estremista deobandi-wahabita, che stava riguadagnando posizioni strategiche nella cintura tribale nordoccidentale del Pakistan, l’area delle Fata. Il Pakistan dovrà affrontare nuove minacce terroristiche se, come è certo, i militanti del TTP che operavano con l’appoggio dei Talebani e, che, con la pace, hanno perso i loro rifugi al confine con l’Afghanistan, già da mesi stanno passando i confini con il Pakistan per tornare a casa. Con loro, ora, anche i militanti che erano stati presi prigionieri e che sono stati rilasciati. Non è chiaro quanti siano gli affiliati a Ttp in Afghanistan, anche se si ritiene che siano migliaia.

L’attacco terrorista che appena il 3 giugno costò la vita a due poliziotti pakistani fece comprendere che i militanti talebani del Pakistan avevano stabilito delle basi in una tra le città più sicure del Paese, ovvero la capitale.

Militanti del gruppo talebano Tehrek-e-Taliban Pakistan (TTP)

Dopo l’attentato del 21 aprile scorso alle forze di sicurezza di scorta all’ambasciatore cinese nel Paese, Nong Rong, a Quetta, il ministro dell’Interno del Pakistan aveva parlato di “una mano straniera” nell’indicare chi fosse responsabile dell’accaduto. Il ministro pakistano Ahmed aveva affermato che le agenzie di sicurezza del Pakistan avrebbero combattuto “gli sforzi profusi da Paesi confinanti per riorganizzare il TTP”. Il primo ministro pakistano, Imran Khan, poi, aveva dichiarato che il Paese non avrebbe permesso a “questo mostro” di riemergere, aggiungendo che le autorità si trovano in uno stato di massima allerta, controllando sia le minacce interne, sia quelle esterne.

Islamabad ha più volte accusato l’India di utilizzare gruppi di ribelli, anche in Afghanistan, per intraprendere una guerra per procura celata contro il Pakistan.  Lo scorso, 24 novembre, le autorità pakistane avevano consegnato al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, un dossier in cui l’India era stata formalmente accusata di alimentare il terrorismo in Pakistan. Il governo pakistano aveva sostenuto di essere in possesso di prove che confermerebbero il legame e il sostegno dell’India alle organizzazioni terroristiche pakistane quali il TTP e i separatisti di etnia baloch. L’India, da parte sua, ha sempre negato tali insinuazioni e, al contrario, ha accusato Islamabad di sostenere e armare i militanti presenti nella porzione di Kashmir che ricade sotto l’autorità di Nuova Delhi.

In rosso, il Pakistan

Il nodo centrale delle tensioni tra India e Pakistan riguarda in realtà il Kashmir, una regione asiatica a maggioranza musulmana, situata tra l’India, il Pakistan e la Cina che, al momento, ne amministrano aree distinte e dove Nuova Delhi e Islamabad rivendicano la propria sovranità l’una sulle parti dell’altra.

Chi sono i taliban pachistani

Ecco in cosa si differenziano i militanti dei taliban afgani dai taliban pachistani.

  • Origini e leader
  • Il Tehrik-i-taliban Pakistan (Ttp) è una coalizione di gruppi jihadisti attivi nelle zone tribali semiautonome nel nordovest del Pakistan, al confine con l’Afghanistan. Il Ttp è nato nel 2007 sotto la guida di Baitullah Mehsud, ucciso nel 2009. L’attuale leader è Maulana Fazlullah. 
  • I taliban afgani sono nati nel 1994 sotto la guida del mullah Mohammed Omar, che è tuttora il loro comandante e leader spirituale. Il gruppo ha governato l’Afghanistan tra il 1996 e il 2001 ed è stato deposto dagli Stati Uniti dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001. 
  • I leader del Ttp sono principalmente dei veterani che hanno combattuto in Afghanistan e poi sono tornati in Pakistan. Nel tempo si sono aggiunti anche elementi criminali che praticano sequestri e saccheggi. 
  • I taliban afgani sono principalmente dei combattenti pashtun nazionalisti. Molti di loro sono dei mujahidin che avevano lottato contro l’occupazione sovietica appoggiati dagli Stati Uniti. 
  • Obiettivi
  • Gli obiettivi principale del Ttp sono quasi esclusivamente bersagli dello stato pachistano. 
  • I taliban afgani, invece, sono contrari a colpire il Pakistan, uno dei loro principali finanziatori. Il Pakistan, inoltre, aveva formalmente riconosciuto il governo taliban in Afghanistan nel 1996. L’obiettivo principale del gruppo è quello di formare uno stato islamico in Afghanistan. 
  • I rapporti con Al Qaeda
  • Il Ttp ha stretti legami con Al Qaeda, con cui condivide denaro ed esperti in esplosivi. Secondo gli esperti di terrorismo statunitensi i militanti del Ttp e quelli di Al Qaeda si addestrano insieme e progettano insieme attentati e operazioni militari. Il Ttp prende da Al Qaeda l’orientamento ideologico, mentre Al Qaeda si affida al Ttp per avere un rifugio sicuro nelle aree pashtun lungo il confine afgano-pachistano. 
  • I taliban afgani sono stati accusati di aver nascosto Osama bin Laden e i terroristi di Al Qaeda accusati degli attacchi dell’11 settembre. Ma, a parte le alleanze periodiche, i due gruppi sono rivali. 
  • Principali attacchi
  • I taliban pachistani sono stati collegati all’assassinio dell’ex premier pachistana Benazir Bhutto nel 2007 e all’attacco contro Malala Yousafzai nel 2012. 
  • I taliban afgani combattono le forze di sicurezza afgane e i loro addestratori Nato: secondo il ministero dell’interno afgano nel 2012 hanno ucciso 1.800 poliziotti e 900 soldati.

3971.- Cina contro India? Poi, tocca alla Corea?

Il titolo sembra avvallare chi parla di una resa dei conti in Asia, ma è un “si dice”. Dopo la Cina, il più grande competitor in Asia sarebbe la Corea, ma solo se si riunisse. Sarà un caso, ma Kim Jong-un avrebbe fatto giustiziare un funzionario colpevole di aver importato dalla Cina, e non dall’Europa come gli era stato chiesto, le attrezzature mediche per il nuovo grande ospedale in costruzione a Pyongyang. Lunga vita, dunque, a Kim e alla Repubblica Popolare Democratica di Corea (RPDC).

Oggi, sabato 1 maggio, l’India ha registrato un aumento giornaliero record di 401.993 nuovi casi di contagio da coronavirus, ma il più grande produttore al mondo di vaccini Covid-19 è anche il più grande esportatore e ha un numero limitato di iniezioni disponibili. Ci sono un miliardo di indiani in pericolo, ma è difficile dire dove comincia la colpa di un virus e dove finisce quello di uno stato. L’articolo è tratto da Money.it e da Corriere.it.

Covid in India da record mondiale: che succede?

Covid in India da record mondiale: che succede?

 da un articolo di Violetta Silvestri, sabato 1 Maggio 2021

“In India la situazione pandemia peggiora di giorno in giorno. I contagi sono ormai da record mondiale e l’emergenza è senza controllo. Intanto, gli altri Paesi si tutelano e la nazione indiana è blindata. Che succede?

Che succede in India? Il Covid peggiora di di giorno in giorno e ora i contagi giornalieri hanno toccato il record mondiale. Il piano di vaccinazione arranca nella grande nazione e intanto gli altri Stati cercano ti tutelarsi chiudendo le frontiere agli arrivi degli indiani. La tragedia del Paese da oltre 1 miliardo di persone impressiona e rischia di impattare sull’economia globale.

Che sta succedendo in India?

In India contagi da record: 400.000 al giorno

L’India ha registrato un aumento giornaliero record di 401.993 nuovi casi di coronavirus sabato 1 maggio.

Era la prima volta che il conteggio giornaliero dei casi in India superava i 400.000 dopo 10 giorni consecutivi su 300.000. Le morti per Covid-19 sono incrementate di 3.523 nelle ultime 24 ore, portando il bilancio totale di decessi a 211.853, secondo i dati ufficiali.

Il più grande produttore al mondo di vaccini Covid-19 ha un numero limitato di iniezioni disponibili e questo sta aggravando una seconda ondata di infezioni che ha travolto ospedali e obitori, mentre le famiglie si affrettano per scarse medicine e ossigeno.

Il dramma indiano della seconda ondata

Alcuni esperti accusano gli eventi religiosi frequentati in massa e le manifestazioni politiche della gravità della seconda ondata indiana, che ha colto impreparato il Governo. …

Un forum di consulenti scientifici istituito dall’amministrazione Modi ha avvertito i funzionari indiani all’inizio di marzo di una nuova e più contagiosa variante del coronavirus nel Paese.

Nonostante l’avvertimento, quattro scienziati hanno affermato che il Governo federale non ha preso decisioni per imporre le restrizioni necessarie a contenere la diffusione del virus.

Il numero totale di casi Covid in India ha superato i 19 milioni.

Il mondo blinda l’India

L’aumento dei casi ha portato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden a imporre nuove restrizioni di viaggio dall’India India, impedendo alla maggior parte dei cittadini non statunitensi di entrare nel Paese.

 Il 3 maggio, in Australia, entrerà in vigore una nuova legge molto dura, secondo la quale ai cittadini australiani che nelle ultime due settimane sono stati in India, travolta da centinaia di migliaia di contagi al giorno, è vietato l’ingresso nel Paese. Chiunque violerà questo provvedimento, che dovrebbe essere rivalutato il 15 maggio, rischia una multa di 66.600 dollari australiani (oltre 42mila euro) o una pena di cinque anni di carcere o entrambi, secondo quanto annunciato ieri dal ministro della Sanità australiano Greg Hunt. Sono 9mila i cittadini australiani che si trovano nel Paese asiatico, tra loro ci sono anche 650 «vulnerabili».

«Il governo australiano non prende queste decisioni a cuor leggero – ha spiegato il ministro Hunt — ma è fondamentale proteggere l’integrità della sistema sanitario australiano e il sistema dei luoghi per la quarantena che devono essere mantenuti a un livello accettabile». 

Le norme per prevenire i contagi

L’Australia è riuscita a contenere in maniera straordinaria la pandemia chiudendo le frontiere agli stranieri nel marzo del 2020. Chiunque voglia visitare il Paese oggi si deve sottoporre, a proprie spese, a una quarantena obbligatoria di due settimane in un Covid -hotel. Finora nel Paese ci sono stati 29.800 contagi e 910 morti.

Continua a salire il numero dei morti in India, otto pazienti Covid, tra cui un medico, sono morti all’ospedale Batra di New Delhi rimasto per 80 minuti senza forniture di ossigeno.

Covid in India, dal crollo dei contagi ai tremila morti al giorno: cosa è successo?

A febbraio c’erano meno 10mila positivi al giorno, ieri erano 400mila. Per gli esperti la colpa è della campagna elettorale oltre che dei grandi raduni sportivi e religiosi

di Monica Ricci Sargentini, Corriere it

«In India pochi casi e un’ipotesi: immunità di gregge raggiunta». Era questo il titolo di un articolo pubblicato il 31 gennaio scorso sul Corriere.it. In quel momento i dati sembravano molto incoraggianti: 10.974 positivi e 86 morti in 24 ore in un Paese che conta un miliardo e 340 milioni di abitanti. Una cifra che a febbraio era scesa al di sotto dei 10mila contagi al giorno. E questo nonostante la vaccinazione di massa non fosse decollata nel Paese che ha in magazzino decine di milioni di dosi e ne può produrre 50 milioni al mese. Tanto che il governo di Nuova Delhi ha spedito 34 milioni di vaccini a una trentina di Paesi, ai più poveri gratuitamente, ad altri su basi commerciali.

Allora i virologi ipotizzavano che il 25% degli abitanti avesse contratto la malattia e che in alcune zone si fosse raggiunta l’immunità di gregge. L’illusione però è durata poco. Già a fine febbraio i contagi hanno ricominciato a salire fino ad arrivare alle cifre incredibili di ieri con 3.523 morti e oltre 400mila positivi in un giorno. Una crescita repentina: in sole due settimane, da fine marzo a metà aprile, il Subcontinente è passato da meno di 15 mila nuovi casi al giorno a oltre 200mila. Come si è potuti arrivare a questa situazione quando soltanto all’inizio di marzo il ministro della Salute indiano, Harsh Vardhan, assicurava trionfalmente che nel Paese la pandemia era «a fine corsa, finita» e citava la leadership di Narendra Modi come un «esempio per il mondo di cooperazione internazionale»?

Le ipotesi sull’andamento dei contagi

Gli esperti elencano tre motivi che possono aver rovesciato il quadro pandemico in maniera così veloce. Il primo è che a fine febbraio è partita una campagna elettorale serrata, con comizi oceanici (e poche mascherine), in vista del voto che sta coinvolgendo 186 milioni di cittadini in cinque stati. Tra questi l’Uttar Pradesh, il più popoloso e tra i più colpiti del Paese. Il 6 aprile, per esempio, 800mila persone hanno assistito in West Bengala a un comizio del premier Modi, e tra loro ben pochi indossavano la mascherina. 

Un’altra spinta al dilagare dei contagi è arrivata dai grandi raduni sportivi e religiosi: dalla sfida di cricket tra India e Inghilterra in Gujarat con oltre 130mila tifosi ammassati, per lo più senza mascherina, ai milioni di pellegrini che si immergono nel Gange per il Kumbh Mela: per quasi due mesi e mezzo, con punte di 2,5 milioni di persone confluite in un solo giorno in una sola città, ad Haridwar, nelle date clou.

Il terzo fattore che può spiegare la violenza di questa seconda ondata è la variante indiana anche se le autorità locali tendono a sminuirne la portata, e la scarsità di dati lascia spazio a qualche dubbio. In una ricerca pubblicata il 15 aprile sul sito outbreak.info, la B.1.617 (come viene chiamata) è stata ritrovata nel 24 % degli infetti indiani (test effe)

Il governo indiano non conosce i dati reali. I morti da Covid sarebbero di più.

Gli esperti sostengono che gli stati che compongono l’India e il Ministero della Salute non sono in grado di fornire numeri esatti sui morti e sui contagi da SARS-CoV-2. I media e la rete televisiva NDTV hanno ipotizzato che i dati del governo siano inferiori di 5-10 volte alla realtà. L’ipotesi si fonda su migliaia di casi di morti conosciuti che non figurano nei registri ufficiali.

3229.- Marò. Quando Monti ci coprì di ridicolo.

Tribunale arbitrale internazionale conferma: “A Roma la giurisdizione sul caso”. L’opera dei pupi del Governo Monti, del Governo indiano e della Suprema Corte del Kerala non conobbero né conoscono il ridicolo. Del resto, a un membro del Research Advisory Council del Goldman Sachs Global Market poteva interessare soltanto di fare un affare in più. Da quanti anni l’onore degli italiani è in mano ai pupi ?

Redazione — 2 Luglio 2020

Marò, Tribunale arbitrale internazionale dà ragione all’Italia: “A Roma giurisdizione sul caso”

Il Tribunale arbitrale internazionale dà ragione all’Italia sul caso dei due marò. I giudici hanno riconosciuto “l’immunità” dei Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, “funzionari dello Stato italiano nell’esercizio delle loro funzioni”. Ma l’Italia dovrà riscarire la perdita di vite umane per la morte dei due pescatori al largo delKerala. A renderlo noto in un comunicato è la Farnesina, dove si legge che il Tribunale costituito a L’Aja il 6 novembre 2015, presso la Corte Permanente di Arbitrato, per dirimere la controversia tra Italia e India sul caso dell’incidente occorso il 15 febbraio 2012 nell’Oceano Indiano alla nave “Enrica Lexie”, battente bandiera italiana, ha pubblicato il dispositivo della sentenza arbitrale.La Farnesina ricorda che i Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone hanno fatto ritorno in patria dall’India, rispettivamente, il 13 settembre 2014 e il 28 maggio 2016 e che il Tribunale Arbitrale era chiamato a pronunciarsi sulla attribuzione della giurisdizione, e non sul merito dei fatti occorsi il 15 febbraio 2012. Italia e India si erano di conseguenza impegnate a esercitare la giurisdizione una volta attribuita a una delle due Parti. La sentenza arbitrale, nella sua parte dispositiva, stabilisce in particolare che  i Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone godono della immunità in relazione ai fatti accaduti durante l’incidente del 15 febbraio 2012 e all’India viene pertanto precluso l’esercizio della propria giurisdizione nei loro confronti.Il Tribunale arbitrale ha dunque accolto la tesi sempre sostenuta dall’Italia in tutte le Sedi giudiziarie – indiane e internazionali – e cioè che i due Fucilieri di Marina erano funzionari dello Stato italiano, impegnati nell’esercizio delle loro funzioni, e pertanto immuni dalla giustizia straniera. L’Italia dovrà esercitare la propria giurisdizione e riavviare il procedimento penale sui fatti occorsi il 15 febbraio 2012, a suo tempo aperto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Ma si specifica che l’Italia ha violato la libertà di navigazione sancita dagli articoli 87 e 90 della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare del 10 dicembre 1982, e dovrà pertanto compensare l’India per la perdita di vite umane, i danni fisici, il danno materiale all’imbarcazione e il danno morale sofferto dal comandante e altri membri dell’equipaggio del peschereccio indiano “Saint Anthony”. Al riguardo, il Tribunale ha invitato le due Parti a raggiungere un accordo attraverso contatti diretti.Dalla Farnesina fanno sapere che l’Italia è pronta ad adempiere a quanto stabilito dal Tribunale arbitrale, con spirito di collaborazione. La Farnesina, inoltre, sottolinea che la decisione del Tribunale arbitrale lascia impregiudicato l’accertamento relativo ai fatti e al diritto per quel che concerne il procedimento penale che dovrà svolgersi in Italia.

Il peschereccio St. Antony fatto affondare in porto perché l’acqua gonfiasse i fori dei Kalashnikov, per renderli più simili a quelli del piccolo calibro NATO.

1851.- C’E’ UNA SPIEGAZIONE RAZIONALE PER I SACRIFICI UMANI

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C’è qualcosa che vi sembra meno sensato dei sacrifici umani rituali? Quando il filosofo del diciannovesimo secolo Søren Kierkegaard cercava una contraddizione nel pensiero razionale—un chiaro esempio di qualcosa che il solo interesse personale non potesse spiegare—raccontò la storia del Vecchio Testamento in cui Abramo porta Isacco sul monte per essere sacrificato. Diavolo, quale potrebbe mai essere il senso di sacrificare il proprio figlio?

Per Kierkegaard, la risposta è che il cristianesimo e la razionalità occupano due sfere separate. Per il tipico utente ateo di internet, la risposta è che la religione fa impazzire la gente. Per Peter Leeson, la risposta sta nel guardare al problema dal punto di vista economico.

Leeson ha indagato il più recente e storicamente confermato esempio di sacrificio umano ritualizzato, praticato da un gruppo etnico dell’India chiamato Kondh. Questi uomini, se mai il pubblico occidentale ne avesse mai sentito parlare, erano noti per essere “una razza feroce e bellicosa, che si dilettava con crudeltà e devastazioni. Di certo anche le loro divinità si deliziavano con le macellazioni, durante rituali insanguinati.”

Lavorando presso il Dipartimento di Economia della George Mason University, Leeson sta facendo carriera trovando spiegazioni razionali per gli avvenimenti storici apparentemente irrazionali. Ha pubblicato degli studi sulla pratica medievale europea di processare ratti e parassiti, su una società africana che avvelena i polli per predire il futuro, e ha in serbo un lavoro sulla pratica della compravendita delle mogli. Quindi il sacrificio ritualizzato rientra bene nel suo ambito di ricerca.
Lo studio, disponibile sul sito web di Leeson, è stato appena pubblicato sul Journal of Behavioral Economics—anche se lui mi ha detto che si definisce una sorta di economista anti-comportamentale.

“Il mio lavoro è piuttosto quello di provare a contraddire l’economia comportamentale,” sostiene. “Più in generale, studio i comportamenti insoliti, strane pratiche che gli individui fanno sia oggi che in passato, e cerco di spiegare quei comportamenti utilizzando solo rigorosi ragionamenti razionali.”
Io l’ho chiamato per vedere se poteva spiegarmi la razionalità dietro al sacrificio umano, e se davvero ci riusciva, per scoprire se ci fosse anche qualcosa di totalmente irrazionale.

Motherboard: Tuffiamoci nei sacrifici umani. Usi un esempio specifico nel tuo studio.

Peter Leeson: Sì, mi sono occupato dei Kondh dell’Orissa, una regione dell’India orientale, e il materiale che ho analizzato è della metà del diciannovesimo secolo. È questo il caso che ho preso in esame.

Come ti spieghi il sacrificio umano rituale?

In sostanza quello che succedeva è che queste comunità acquistavano regolarmente persone innocenti, spesso bambini, ma non solo. Poi organizzavano una grande festa del sacrificio—in mancanza di una parola migliore, alla quale erano invitati a partecipare i membri di comunità e villaggi vicini, per assistere al massacro rituale della persona che avevano acquistato.
 Il fatto che la vittima del sacrificio venisse acquistata, rende la cosa tanto strana quanto raccapricciante. Non sembra adattarsi molto bene con il principio della rigorosa scelta razionale, che pressapoco corrisponde all’idea “più è preferibile a meno.”

È strano quando le persone spendono risorse preziose per poi distruggerle, è come buttare via i soldi. Quindi la domanda è: perché mai queste persone sceglievano di farlo lo stesso? La mia risposta è che i Kondh dell’Orissa stavano usando il sacrificio umano come un modo per proteggere i loro diritti di proprietà. Usavano l’omicidio rituale come una sorta di tecnologia di protezione della proprietà.

Veniva fatto ogni stagione, o ogni anno?

Lo facevano più volte all’anno. Secondo quella che potremmo chiamare la loro religione, c’erano dei momenti particolari durante i quali compiere i sacrifici, ma creavano anche occasioni per rituali ad hoc. Per esempio, se qualcosa di inaspettato o negativo accadeva durante quell’anno, l’idea era che questa madre terra o divinità malevola fosse in collera con loro e dovesse essere placata con il sangue di un innocente acquistato per il sacrificio. Quindi c’erano questi sacrifici occasionali, così come quelli stagionali regolamentati.

Si potrebbe dire che il sacrificio era una misura preventiva? Una specie di assicurazione contro le ire di una divinità malefica?

In apparenza era necessario per accontentare la dea affinché garantisse un buon raccolto e non facesse accadere niente di male alla comunità. Questa è la giustificazione, il modo in cui vedevano la faccenda le persone che lo praticavano.

In realtà , però, quello che io sto sostenendo è che dietro a tutto questo c’è una logica politica ed economica. A volte, anche se può sembrare controintuitivo, il modo più economico per proteggere la nostra proprietà è quello di distruggerne una parte. La ragione fondamentale di ciò è che proteggerla è molto costoso.

Per i Kondh, il metodo base per proteggere la loro proprietà era combattersi tra di loro. Ma il conflitto è costoso: le persone muoiono e la ricchezza è distrutta. Una cosa che si potrebbe fare per evitare che questi conflitti accadano è distruggere preventivamente parte della vostra ricchezza per comunicare agli altri che non siete più ricchi di loro. Che non si dispone di quello che loro pensano. Così facendo li fai desistere dal voler attaccare.

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Riesci a immaginare un parallelo con i giorni nostri?

Si, ma non penso che sia simile a un’assicurazione—un meccanismo assicurativo opererebbe in modo diverso. Comunque la gente svolge questo genere di attività—distruggere o ridurre una parte del valore di ciò che possiedono per proteggere il resto—quasi ogni giorno.

Un esempio molto banale: se sai di dover andare di notte in una zona pericolosa non indosserai i tuoi gioielli più preziosi. Non userai neanche la tua macchina migliore. Parte del valore di possedere bei gioielli o una macchina lussuosa è che puoi utilizzarli quando vuoi. Se non lo fai, stai riducendo il loro valore. Ma la ragione per cui lo stai riducendo è che così facendo diminuisci la possibilità di una perdita maggiore—tipo farti rubare la macchina.

C’è una logica precisa in tutto questo. Di base vogliamo cercare esempi di cose del genere nel mondo contemporaneo, a volte grandiosi, talvolta di livello minore. Nella mia ricerca ne fornisco alcuni, sia storici che moderni, e penso che la logica che sto descrivendo potrebbe fare luce su queste pratiche.
Per esempio, pensiamo ai paesi in via di sviluppo: una ragione per cui questi paesi si stanno ancora sviluppando è perché i governi “spennano” i loro cittadini. Se guadagni un sacco di soldi, allora sei l’obiettivo perfetto per un governo corrotto che vuole venire a sequestrarti i beni. Quindi, una cosa che gli imprenditori in queste circostanze fanno è limitare la crescita. Mantengono le loro piccole imprese senza espanderle troppo, perché se lo facessero il governo vorrebbe prendere la loro roba. Così distruggono parte del loro valore al fine di preservarne la parte restante.

Quindi in cosa differisce la tua spiegazione da quella degli economisti comportamentali?

La risposta comportamentale è questa: “Ehi guardate, quelle persone stanno facendo cose assurde, devono essere pazzi.” È una caricatura della risposta, ma questo è più o meno il modo in cui, a mio parere, l’economia comportamentale può spiegare le cose che non si adattano immediatamente al nostro convenzionale modo di pensare economico.
Il mio scopo è quello di dire che abbiamo bisogno di guardare più a fondo. Potrebbe non essere una ragione evidente, ma quello che bisogna fare è cercare di mettersi nei panni di una delle persone che partecipano alla pratica che si sta studiando. Supponiamo per un momento che non siano pazzi, stupidi, primitivi o barbari, ma che siano persone razionali come te e me che si trovano ad affrontare situazioni diverse dalle nostre. Come ci comporteremmo se fossimo nella loro situazione e di fronte alle loro stesse costrizioni? Il mio lavoro è mettermi in questo punto di vista e ricostruire la storia in base alle testimonianze disponibili. La mia teoria è che queste pratiche apparentemente bizzarre hanno in realtà un senso ben preciso.

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In un certo senso quello che stai facendo è unire la ricerca antropologica con l’economia.

In un certo senso sì. Più che altro direi che è l’intersezione tra la storia e l’economia. Il mio lavoro ha un aspetto molto interdisciplinare, perché un sacco di queste cose bizzarre che le persone hanno fatto sono fatti storici. Come è ovvio, sono strane solo dal nostro punto di vista contemporaneo, ma questo fa parte del punto a cui voglio arrivare. Non dovremmo essere così affrettati nel pensare che le persone che in passato facevano cose che per noi non hanno senso fossero semplicemente stupide, primitive o barbare…

Alla base di tutte le forme di sacrificio umano ci sono una scelta e una spiegazione razionale. In questo caso c’è una particolare spiegazione legata all’acquisto e all’omicidio rituale di una persona innocente. Di solito la gente pensa a qualcosa come il modello azteco, ma gli Aztechi non compravano gente innocente per poi lanciarla dai gradini delle loro piramidi. Quello che facevano, potrebbe sembrare molto più sensato alle persone di oggi: sacrificavano i prigionieri di guerra, quindi altri uomini o criminali sconfitti. Non è così difficile immaginare perché, in una società dove la guerra è endemica e si sta cercando di controllare la criminalità, ci fosse la pena capitale per i nemici sconfitti e per punire i criminali.

Il caso dei Kondh mi interessava perché è più difficile da spiegare. Non è così evidente perché qualcuno dovrebbe spendere dei soldi solo per distruggere quello che ha comprato.

A cosa lavorerai in seguito?

In questo momento sto studiando la pratica della vendita delle mogli nell’Inghilterra della rivoluzione industriale.

1474.- CSTO e SCO: ampie misure di sicurezza

y9cxlrqj9xilParliamo di Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collective (CSTO), dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai (SCO) e di BRICS.

Dmitrij Bokarev New Eastern Outlook 19.10.2017La situazione in Afghanistan è una delle questioni più importanti per l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collective (CSTO), che riunisce Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan, nonché per l’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai (SCO – India, Cina , Kazakistan, Kirghizistan, Pakistan, Russia, Tagikistan e Uzbekistan). La guerra civile, insieme alle attività dei terroristi in territorio afgano, rappresentano da molti anni una minaccia alla stabilità dell’intera regione dell’Asia centrale. Nel settembre 2017, una riunione dei ministri degli Esteri degli Stati aderenti alla CSTO si svolse alla 72.ma sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite di New York. I principali argomenti dell’incontro comprendevano la cooperazione con l’Organizzazione delle Nazioni Unite negli sforzi per la pace, la sicurezza e la lotta al terrorismo, nonché i problemi dell’Afghanistan. Furono adottate diverse dichiarazioni congiunte, tra cui una disposizione sull’Afghanistan e la minaccia del rafforzamento delle organizzazioni terroristiche nelle province del nord del Paese. Va ricordato che l’Afghanistan condivide confini con uno degli Stati del CSTO, il Tagikistan. Pertanto, il confine Tagikistan-Afghanistan è una zona di particolare importanza per la CSTO. Il confine è lungo 1344 km e attraversa zone montuose difficili da raggiungere e difficili da attraversare e non meno difficili da proteggere. Anche le aree settentrionali dell’Afghanistan condividono la frontiera con Uzbekistan e Turkmenistan, che non sono membri del CSTO ma la cui sicurezza è altrettanto importante per tutta la regione. Il 29 settembre 2017, il Centro per gli studi strategici della Presidenza del Tagikistan, nel capoluogo del Tagikistan, Dushanbe, ospitò la conferenza internazionale “Combattere il terrorismo e l’estremismo in Eurasia: le minacce comuni e l’esperienza congiunta”. Rappresentanti di Afghanistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakistan, Kirghizistan e Russia vi parteciparono, come anche i membri del segretariato della CSTO e della Commissione esecutiva regionale della Struttura antiterrorismo della SCO. I partecipanti discussero di sicurezza regionale, minacce e contromisure di alto livello, incluse le varie misure politiche interne dei Paesi aderenti e la cooperazione internazionale, anche nella CSTO e della SCO.

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La situazione in Afghanistan è stata ancora una volta una delle principali discussioni. Nell’autunno 2017, circa il 50% del territorio afghano era caduto sotto il controllo dell’organizzazione terroristica talib (vietata nella Federazione Russa). In questo caso, la questione riguarda principalmente i distretti settentrionali vicini ai Paesi aderenti alla conferenza. Secondo l’ambasciatore russo in Tagikistan, Igor Ljakin-Frolov, che parlò alla manifestazione, la situazione è difficile, soprattutto al confine Tagikistan-Afghanistan. Tuttavia, secondo il Vicepresidente del Comitato del Consiglio Federale per la difesa e la sicurezza Franz Klintsevich, i taliban non hanno obiettivi fuori da Afghanistan e Pakistan e non violeranno il confine coi vicini del nord. Una preoccupazione molto più grande è l’attività di un’altra organizzazione terroristica, lo Stato islamico (DAISH, vietato in Russia), per cui l’Afghanistan è un trampolino di lancio per la penetrazione in Russia e nei Paesi della CSI. Secondo le informazioni disponibili, più di mille taliban e membri del DAISH si trovano vicino al confine tra Tagikistan e Afghanistan. Tuttavia, secondo F. Klintsevich, i tagiki e i militari russi sono pronti a respingere l’attacco in caso d’invasione diretta da parte dei terroristi. I Paesi dell’Asia centrale sono partner strategici della Russia, e la Russia è decisa nell’adempimento degli obblighi nei confronti della CSTO. Inoltre, la situazione instabile nei Paesi dell’Asia centrale costituisce una minaccia per i confini meridionali della Russia. Pertanto, la Russia fornisce assistenza ai propri partner su tutti i termini della sicurezza. La cooperazione tra Russia e Tagikistan è particolarmente sviluppata. I Paesi proteggono congiuntamente il confine tagiko-afgano e collaborano in campo militare-tecnico. La 201.ma base delle Forze Armate della Federazione Russa continua a operare nel territorio del Tagikistan, dove oltre 7000 militari russi si addestrano ad affrontare compiti specifici nella lotta al terrorismo, anche nei difficili contesti montuosi. Questa è la maggiore base militare estera della Federazione Russa, con fucilieri motorizzati, artiglieria, missili antiaerei, elicotteri e unità aeree. La base ha tre poligoni per l’addestramento dei militari russi e per l’addestramento congiunto coi militari del Tagikistan.
Il 29 settembre 2017, nello stesso giorno in cui si svolse la suddetta conferenza sulla lotta al terrorismo, l’ufficio per i media della Regione militare centrale, a cui aderisce la base n° 201, riferì di nuove esercitazioni speciali per l’addestramento tattico. Gli autisti del battaglione logistico superarono con successo l’estremamente difficile guida sulle tortuose strade montuose per rifornire di cibo e munizioni zone difficili da raggiungere. Circa 600 militari e 70 mezzi furono interessati. Nel novembre 2017, il Tagikistan ospiterà le grandi esercitazioni militari delle Forze di Reazione Rapida Collettiva della CSTO. Saranno presenti militari provenienti da tutti i Paesi dell’Organizzazione. Pertanto si può concludere che Tagikistan e altri Stati aderenti allo CSTO possono proteggersi dall’aggressione diretta dall’Afghanistan. L’unica opportunità per i terroristi di destabilizzare il Tagikistan è tramite organizzazioni clandestine. Tuttavia, le autorità del Tagikistan intendono arrestarle adottando misure preventive. Secondo Rakhim Abdulhasanien, a Capo del Dipartimento per la lotta al terrorismo e all’estremismo del Procuratore Generale del Tagikistan, che intervenne alla conferenza su iniziativa del suo dipartimento, 15 organizzazioni che operano nel territorio tagico sono state riconosciute estremiste e vietate. Tuttavia, non bastano misure di divieto per impedire l’estremismo tra la popolazione. È necessario lo sviluppo sociale ed economico di tutti gli Stati interessati. L’aumento del tenore di vita contribuisce a ridurre il radicalismo. Le autorità russe e dell’Asia centrale comprendono la connessione tra problemi socio-economici ed estremismo. Ciò è evidenziato, ad esempio, dal fatto che la SCO ha prestato seria attenzione alla cooperazione economica. Come già detto, l’organizzazione comprende Russia, Cina, Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan e Uzbekistan, cioè i Paesi più interessati (tranne il Turkmenistan) alla stabilità nell’Afghanistan e, più recentemente, India e Pakistan, che periodicamente risentono degli echi degli eventi afgani. Il primo obiettivo della creazione dei “Cinque di Shanghai”, sulla cui base fu fondata la SCO nel 2001, era rafforzare la cooperazione nell’industria della Difesa. Attualmente, i compiti principali della SCO includono sicurezza, lotta al terrorismo e al narcotraffico. La cooperazione economica è stata considerata secondaria. Tuttavia, tale approccio è superato. Il 28 settembre 2017, Ufa ospitava il terzo Forum sulle piccole aziende degli Stati aderenti a SCO e BRICS. Bakhtier Khakimov, inviato speciale del presidente russo per gli affari della SCO parlò all’evento. Secondo lui, l’interazione economica nella SCO va portata allo stesso livello della cooperazione politica tra i Paesi che costituiscono l’organizzazione. Khakimov ha anche affermato che i capi degli Stati aderenti alla SCO comprendono l’importanza di questo compito e gradualmente prendono le proprie decisioni. Attualmente, la SCO è impegnata nell’attuazione dell’accordo per creare condizioni favorevoli per l’autotrasporto, firmato nel 2014. La possibilità d’istituire la Banca di Sviluppo e il Fondo di Sviluppo della SCO viene discussa. Sono in corso lavori per integrare il lavoro della SCO con associazioni come UEE (Unione Economica Eurasiatica) e ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico). Le relazioni tra gli ambienti commerciali vengono stabilite nella SCO, e la cooperazione interstatale si costruisce a livello regionale.
Si può concludere che la Russia e gli Stati dell’Asia centrale non si basano solo sulla forza militare per combattere il terrorismo e mantenere la stabilità. Questi Paesi sanno che solo misure complesse contribuiranno a porre fine alla minaccia terroristica e questo comporta la speranza che la minaccia terroristica nella regione sia ridotta nei prossimi anni.Dmitrij Bokarev, osservatore politico, in esclusiva per la rivista online New Eastern Outlook.

rats-drillsTraduzione di Alessandro Lattanzio,di aurora

905.-Grillo ha deciso di “suicidarsi”. Chiedetevi: a chi conviene?

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La notizia del passaggio al gruppo liberale, a Bruxelles, del M5S non ha stupito soltanto i simpatizzanti o gli stessi deputati europei, ha destabilizzato l’universo grillino in Italia che si sono scoperti, da domani, alleati in Europa col gruppo di Mario Monti.

C’è da dire che le regole europee richiedono l’affiliazione ad un gruppo politico, pena la quasi “scomparsa” dal panorama parlamentare, ossia diritti d’intervento, votazioni e roba del genere. Con questa scusante, potremmo approvare la scelta di Grillo.

Ma, sull’opposto versante, c’è la constatazione che l’appartenenza ad un gruppo già c’era – ossia quello di Farage, che sarebbe sopravvissuto anche alla defezione degli inglesi – e, quindi, è da altre parti che dobbiamo cercare la risposta a questa, improvvisa, scelta di campo.

“Dillo a Bruxelles per farlo capire a Roma”, verrebbe da dire.

Le stesse modalità del voto sono state strambe: il destino europeo del M5S – per quel che vale, d’accordo – è stato deciso da 40.000 voti favorevoli (circa) su 60.000 (circa) votanti. Un movimento che dovrebbe rappresentare più di 8 milioni d’italiani e che è stato, alle ultime elezioni politiche, la forza che ha ricevuto più voti?

Anche i tempi sono stati sospetti: dalla sera alla mattina, due giorni per votare, nessun dibattito – anzi, nessuna informazione che la decisione fosse da prendere – al punto che gli stessi parlamentari europei non sapevano nulla. Spediti come francobolli, da una parte all’altra del parlamento, dal voto on-line che “uno vale uno”. A noi, sembra che uno + uno faccia due, ossia Giuseppe Grillo e Davide Casaleggio, che (forse) erano gli unici a sapere.

Una simile decisione ci sembra arruffata: oltretutto (dai commenti sul blog) si nota una decisa avversione di molti sostenitori per una forma di democrazia interna inesistente, ancora tutta da inventare. Non a caso, il gruppo Verde europeo, prima dell’accettazione dei liberali, ha motivato la negazione all’ingresso dei 5S nel suo gruppo proprio per i non chiari rapporti del M5S con la Casaleggio & Associati.

Sembra, dallo schema seguito, non tanto una scelta di campo (quella europeista) quanto un’affermazione di sovranità su un partito politico: è roba nostra, decidiamo noi (Beppe & Davide) come vogliamo e cosa vogliamo. Che è una posizione un poco assurda per chi pretende di governare un Paese.

Con questa scelta, Grillo ha voluto rimarcare l’inclinazione fideista del proprio (a questo punto, nel senso del “di lui”) movimento, lontano mille miglia da un’ispirazione democratica e da un dialogo interno. Vuote parole d’ordine: “uno vale uno”, ossia io e Davide decidiamo per tutti, la Raggi va bene, Pizzarotti no.

Poco importa l’appartenenza a questo o quel gruppo europeo: l’importante è stato rimarcare un concetto per la politica nazionale, il dopo-Raggi.

Con un colpo di testa, Grillo ha voluto scegliere fra la “destra” e la “sinistra” interne – ossia una possibile alleanza con la Lega o con le forze a sinistra del PD – compiendo una non-scelta, ossia pigiando ancora di più sull’acceleratore fideista.

Riflettiamo su un dato nuovo e dirompente (per un movimento come il M5S): un terzo degli “elettori certificati” (a questo punto, “Grandi Elettori”), ha votato contro il Capo. Perché Grillo ha compiuto questo passo?

Evidentemente, la partita delle prossime elezioni è cominciata e il M5S vuole tenersi le mani libere per future alleanze parlamentari, da decidere – ovviamente – con i soli Grandi Elettori nel volgere di ventiquattr’ore.

Così gli avranno raccontato gli spin doctor della Casaleggio & Associati, che la scelta meno dolorosa era una non-scelta, ossia porre soltanto il proprio carisma a garanzia delle future operazioni politiche del movimento. O del gruppo Casaleggio?

Sia come sia, il M5S ha compiuto ugualmente una scelta: ha perso probabilmente parecchi consensi – non fidatevi delle proiezioni elettorali…basta avere soldi… – e domani avremo, come classe dirigente, gli epigoni del no-euro confluiti nel gruppo con Mario Monti.

Per chi si accontenta…

Così, Carlo Bertani e , ora, Marcello Foa:

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Il Cuore Del Mondo

Eh già, c’è chi decide di suicidarsi buttandosi giù da un ponte. E chi prendendo le decisioni sbagliate nel momento più sbagliato, dimostrando una miopia politica così clamorosa da chiedersi se sia davvero solo il frutto di un errore di valutazione o se invece non sia voluta, con estrema e raffinata perfidia, per distruggere il Movimento 5 Stelle.

Mettiamo in fila gli elementi.

Il M5S ha combattutto una battaglia durissima contro il sistema; il suo fondatore e vera mente politica, Gian Roberto Casaleggio, è stato oggetto di attacchi durissimi e personali, che lo hanno sfiancato nella salute, con un epilogo drammatico.

Dopo la scomparsa di Casaleggio, il mondo ha iniziato a cambiare. Da tempo Movimento 5 Stelle si era schierato all’Europarlamento con lo “scandaloso” Farage, considerato per anni poco più che un velleitario buffone. Ma Farage ha guidato la Gran Bretagna alla Brexit.

Nel frattempo i pentastellati conquistano due grandi città italiane, Roma e Torino. Negli Stati Uniti vince contro ogni pronostico Trump, spostando il baricentro degli interessi degli Usa su posizioni molto più vicine a quelli di movimenti alternativi di protesta (sì, i cosiddetti “populisti”) come il M5S e la Lega di Salvini. Il 4 dicembre questi stessi partiti guidano la campagna referendaria che si risolve con un KO clamoroso di Renzi.

Il mondo sembra volgere dalla loro parte. E infatti da Washington arrivano segnali incoraggianti. Notate bene: Nigel Farage, pur essendo britannico, è uno dei pochi politici di cui Trump si fida; è l’uomo che, sulle vicende europee, può sussurrare all’orecchio del presidente eletto.

Un’occasione propizia per chi è sempre stato amico di Farage. Lo capiscono tutti. Proprio sabato 7 gennaio sul quotidiano la Stampa esce un retroscena molto interessante, intitolato “Dai migranti al terrorismo, Trump cerca un alleato in Italia per rilanciare l’alleanza con gli Usa”, in cui vengono riportate le indiscrezioni di due collaboratori presidenziali. I quali spiegano che:

E’ chiaro che Trump sia contento del risultato referendario alla luce dei discorsi e delle dichiarazioni fatte in passato non solo sull’Italia ma anche in merito alla Brexit. Tutti i suoi consiglieri, a partire da Steve Bannon che è molto vicino alla politica europea, consideravano il “no” come un primo passo verso un processo di ricollocazione dell’Italia, una sorta di distacco, non nel senso di uscita dall’Unione europea, ma di presa di distanza dagli schemi conformisti di un certa politica e di una certa Europa. Un passaggio verso la strada del popolarismo che privilegia l’economia reale, il lavoro, la real politik e l’allontanamento dall’ideologia conformista che sta decretando il fallimento del progetto europeo così com’è. Un no che rende l’Italia più».

Quei consulenti assicurano che Trump vuole:

individuare il giusto interlocutore con cui l’amministrazione americana dovrà interloquire per rilanciare i rapporti con lo storico alleato”.

In un’Unione europea di cui non hanno fiducia, perlomeno non di quella che ha governato finora:

«Alcune settimane fa ho incontrato Farrage e abbiamo discusso della situazione in atto, quello che sta avvenendo in Europa è un processo storico, il baricentro si sta spostando dalla parte della gente, in Italia, in Francia e in Germania”

afferma il generale Paul Vallely, secondo cui

Il popolo sta prendendo coscienza della propria sovranità, di essere la spina dorsale di nazioni indipendenti che non devono per forza essere parte di un movimento globalista e globalizzante. «E questa è un ottima cosa, per l’Italia ad esempio si è compiuto un passo nella direzione che favorisce la gente. Siamo contenti». Secondo il veterano allo stato attuale le nazioni europe non hanno l’obbligo di essere parte di una entità sovranazionale come la Ue che ha dimostrato – specie in alcuni specifici casi come l’Italia – «di esigere più di quanto offra». «Non mi sembra che Bruxelles abbia fatto molto per i popoli europei fuorché creare una burocrazia pesante comandata dai soliti noti. Sta emergendo una nuova visione dell’Europa e con questo passo ci saranno interessanti scenari di cooperazione con l’America di Trump».

Musica per le orecchie innanzitutto di Salvini e della Meloni, che sono sempre stati su queste posizioni. Ma anche di Grillo che in passato non ha esitato a sparare sulla Ue e sulla globalizzazione e ad allearsi con Farage.

La strada sembra spalancata per un atteso e fino alla scora primavera insperato sdoganamento internazionale.

E il Movimento 5 Stelle cosa fa? Anziché mettersi in scia e godersi il momento, cambia improvvisamente rotta proprio a Bruxelles.

Abbandona lo Ukip per allearsi con l’Alleanza liberale del belga Verhofstadt, le cui idee sono antitetiche a quelle di Grillo e di Farage: pro Ue, pro globalizzazione; insomma un gruppo che affianca l’establishment che ha governato finora.

Grillo, incredibilmente, scende dal carro del vincitore. E contraddice se stesso, la propria storia, la propria identità.
Lo fa anche nei modi peggiori: lanciando senza preavviso e senza dibattito una consultazione interna nel week-end dell’Epifania. E ottenendo il risultato più ovvio: quello di spaccare il Movimento, di disamorare la base e molti sostenitori, di incrinare i rapporti con Farage e con Trump per abbracciare quell’establishment e quei poteri forti che ha sempre dichiarato di voler combattere.

Harakiri.

Un’ottima notizia per Salvini e la Meloni, che immagino, non mancheranno di ringraziare Grillo. Ma anche e forse soprattutto, per quell’establishment che da un decennio cerca il modo di spaccare il Movimento, senza mai riuscirci, almeno finchè era in vita Casaleggio. Sono passati pochi mesi ed è bastata una trattativa segreta a Bruxelles per raggiungere quell’obiettivo.

Chissà se chi l’ha voluta e l’ha ideata ne è consapevole.

Infine, Cristina Stillitano:

Soldi, posti e voti: ecco l’accordo prematrimoniale sulla roba tra Verhofstadt e Grillo.

 

Roma – Istituzioni europee da riformare e più trasparenti, l’euro come moneta attorno a cui costruire un sistema in grado di assorbire gli shock economici, una Unione campione delle libertà civili e “opportunità senza confini” da garantire con “una migliore protezione del mercato comune”. Ruota attorno a questi quattro punti il testo dell’accordo tra ALDE e Movimento 5 Stelle che riporta la data del 4 gennaio, malgrado la votazione online sia stata indetta da Beppe Grillo solo domenica.

Nel testo, in particolare, viene ribadita una convinta visione europeista e si evidenzia il ruolo fondamentale che le Istituzioni di Bruxelles devono avere come “contrappeso democratico” in un mondo sempre più globalizzato. “Molti nostri cittadini credono che l’Unione Europa sia parte del problema in quanto indirettamente resposabile della globalizzazione senza controllo che viene percepita di beneficio solo per pochi. Mentre in realtà dovrebbe essere l’opposto. Noi crediamo che solo l’Unione Europea abbia un peso sufficiente per utilizzare al meglio la gobalizzazione…L’Unione Europea deve essere il contrappeso democratico alle forze economiche globalizzate”.

Il documento è consultabile sulla piattaforma Medium.com in calce alla lettera aperta scritta da cinque docenti ‘guidati’ da Alessandro Fusacchia, ex capo di gabinetto del Ministero del’Istruzione, per chiedere al capogruppo di ALDE, l’europeista belga Guy Verhofstadt, di non “fare accordi con Beppe Grillo” e “non unirsi dietro le quinte col Movimento 5 Stelle”.

“Il documento riportato sotto, ancora confidenziale, mostra infatti come Beppe Grillo e lei non solo abbiate già concordato di unire le forze, ma anche su quale base. Un documento nel quale— paradossalmente — sia ALDE sia M5S chiedono più trasparenza”, scrivono i cinque professori nel loro appello”.

“Crediamo che gli attivisti del M5S — ai quali è stato detto di credere nella democrazia diretta del web — saranno felici di sapere che è stato loro chiesto di prendere una decisione democratica fake. Così come crediamo che tutti i liberali d’Europa che hanno guardato con simpatia alla sua candidatura a presidente del Parlamento europeo saranno felici di sapere che questo è il prezzo che lei sembra disposto a pagare”, si legge nella lettera.

Ecco il testo (tradotto in italiano) dell’accordo:

“Alde e M5s condividono i valori essenziali di libertà, eguaglianza e trasparenza. Entrambi vedono nell’individuo la struttura centrale della società, mentre promuovono un’economia aperta, la solidarietà e la coesione sociale come condizioni essenziali affinché chiunque possa esprimere appieno le proprie potenzialità. Entrambi vogliono rafforzare l’influenza del cittadino sulle decisioni che ne determinano la vita, anche attraverso il meccanismo della democrazia diretta e spingendo tutti alla partecipazione ed all’impegno politico. Ancor più importante è l’essere entrambi forze riformiste che intendono cambiare radicalmente il modo in cui l’Unione Europea oggi si trova ad operare. Ci battiamo per un cambiamento generale e basilare, perché oggi l’Unione Europea è incapace di garantire i risultati che da essa si attendono i suoi cittadini in termini di prosperità e protezione. Ciò alimenta la sfiducia e la disillusione invece di costruire la fiducia e l’impegno. Troppi nostri concittadini considerano l’Unione Europea parte del problema e come indirettamente responsabile della globalizzazione, percepita a sua volta come beneficio per soli pochi. In realtà dovrebbe essere l’opposto. Crediamo che solo l’Unione Europea abbia un peso sufficiente per utilizzare al meglio la globalizzazione come forza positiva che garantisca l’equa distribuzione dei benefici. L’Unione Europea deve porsi come contrappeso democratico alle forze dell’economia globalizzata. Quindi chiediamo che siano varate riforme in queste aree fondamentali”.

1. Rinnovamento della democrazia europea

Alde e M5S vogliono che si realizzi un’Unione più democratica e trasparente. Entrambi desiderano una Commissione Europea più piccola e efficiente, un Consiglio Europeo riformato ed un Parlamento Europeo più forte e posto sullo stesso livello del Consiglio. Entrambi ritengono che parte degli europarlamentari debbano essere eletti su base transnazionale, in quello che sarebbe un importante passo in direzione di una reale democrazia europea. Vogliamo anche la fine della inefficiente “grande coalizione” che troppo a lungo ha monopolizzato il potere e paralizzato l’Europa. La strada da seguire è quella dell’aumento del coinvolgimento diretto dei cittadini nei processi democratici e nell’aumento della trasparenza, rendendo pubblici per legge tutti i documenti e usando un linguaggio chiaro per comunicare in ogni tipo di legislazione così come nelle intese internazionali e negli accordi commerciali. C’è il bisogno di rendere le istituzioni più trasparenti e responsabili, e di dare ai cittadini una maggiore influenza diretta sulle linee politiche e sulla scelta della leadership politica, tanto nella cabina elettorale quanto per quanto riguarda gli altri mezzi di compartecipazione alla politica.

2. Riforma dell’Eurozona

Nel corso dell’ultimo decennio la nostra divisa unica ha dimostrato di essere stabile e duttile di fronte a shock di natura esterna, ma non allo scopo di rafforzare la nostra economia e di raggiungere la convergenza tra le economie nazionali. L’euro non ha mantenuto le promesse, ed è il momento di ovviare ad alcuni dei suoi innegabili difetti. C’è bisogno di costruire attorno alla divisa unica un sistema che possa assorbire gli shock economici interni all’eurozona, e questo richiede una nuova governance che deve essere incastonata in strutture trasparenti e democratiche. C’è anche bisogno di una revisione riguardo il modo in cui i bilanci nazionali sono monitorati, e di introdurre un nuovo codice di convergenza che sia incentrato su riforme significative e assicuri la centralità del sostegno finanziario ai servizi pubblici, invece di intervenire parzialmente sulle cifre dei bilanci.

3. Diritti e libertà

L’Unione Europea è prima di ogni altra cosa e soprattutto una comunità di valori. C’è bisogno di farne un avvocato globale delle libertà civili, dei diritti fondamentali e dello stato di diritto. L’Unione Europea ha il dovere di essere garante che i principi e i valori basilari contemplati nei Trattati Europei siano rispettati ovunque sul proprio territorio. Fiducia reciproca e valori condivisi sono la chiave delle politiche europee nei campi della cooperazione giudiziaria, delle politiche di asilo e di accoglienza dei profughi, dell’agenda digitale, dell’energia e della gestione comune dei confini esterni.

4. Opportunità senza confini

Ugualmente l’Europa dovra’ essere in grado di assicurare le nostre libertà con una maggiore protezione del mercato comune. Questo richiede un’ampia strategia che spazi dall’affrontare il dumping ai danni del mercato europeo all’eliminazione degli ostacoli al libero movimento dei privati cittadini. Il mercato unico deve essere il motore portante della promozione dei talenti, dell’innovazione, delle start-up, delle piccole e medie imprese cosi’ come delle multinazionali. Al tempo stesso un mercato unico senza confini interni richiede chiaramente che le questioni della solidarietà e della coesione sociale debbano esere affrontate come prioritarie”.

 

 

904.-INDIA SENZA CONTANTE. TEST “IN CORPORE VILI” (SEGUE CARESTIA)

Accade in India, due mesi fa, un paese lontano; ma quanto lontano? “Il presidente USA, Barack Obama, ha dichiarato che la partnership strategica con l’India è una priorità della sua politica estera. La Cina ha bisogno di essere frenata, quindi, nel contesto di questa collaborazione, l’Agenzia per lo sviluppo del governo americano USAID ha negoziato alcuni accordi di cooperazione con il Ministero delle Finanze indiano. Uno di questi accordi ha come obiettivo dichiarato limitare al massimo l’uso del contante e favorire i pagamenti digitali in India e nel mondo.” Come dire: per fermare la Cina vi aiutiamo, ma in cambio dovete abolire il contante… Mi pareva troppo grosso come disastro perché non ci fossero dietro i soliti noti. Così, il premier Narendra Modi ha voluto fare dell’India la prima società senza contanti. Entro il 31 dicembre, tutte le banconote da 500 rupie (7,5 euro) o mille (15 euro) – il taglio medio – dovevano esser depositate in banca, dalla quale si sarebbero potuti ritirare solo tagli più piccoli. O più grossi, da 2000 rupie in su.

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C’è Washington dietro il brutale esperimento di abolire l’uso del contante in India)

Leggiamo, da NORBERT HARING

All’inizio di novembre, senza nessun preavviso, il Governo Indiano ha dichiarato non più valide le due banconote più diffuse nel paese, abolendo la validità di oltre l’80% del denaro in circolazione. In mezzo a tutto questo trambusto e tutta l’indignazione che questa decisione ha provocato, nessuno sembra aver preso atto del ruolo decisivo che ha giocato Washington in tutto questo. E’ una cosa sorprendente, per il fatto che il ruolo svolto da Washington è stato coperto solo molto superficialmente.

Il presidente USA, Barack Obama, ha dichiarato che la partnership strategica con l’India è una priorità della sua politica estera. La Cina ha bisogno di essere frenata, quindi, nel contesto di questa collaborazione, l’Agenzia per lo sviluppo del governo americano USAID ha negoziato alcuni accordi di cooperazione con il Ministero delle Finanze indiano. Uno di questi accordi ha come obiettivo dichiarato limitare al massimo l’uso del contante e favorire i pagamenti digitali in India e nel mondo.

L’8 novembre, il Primo Ministro indiano Narendra Modi ha annunciato che – con effetto quasi immediato – le due banconote di taglio più grande non potevano più essere utilizzate per i pagamenti . Chi ne fosse stato in possesso avrebbe potuto recuperare il controvalore depositandole su un conto bancario entro un breve periodo di grazia che sarebbe scaduto a fine anno, cosa che molte persone e imprese non sono riuscite a fare, per le lunghe file davanti alle banche. La quantità di denaro che le banche sono state autorizzate a pagare ai singoli clienti è stata fortemente limitata, quasi la metà degli indiani non ha un conto in banca e molti non hanno nemmeno una banca nelle vicinanze. L’economia è in gran parte basata sul contanti. Così, si è verificata una grave carenza di liquidità e chi ha sofferto di più sono stati i più poveri e i più vulnerabili per effetto di queste altre difficoltà per guadagnarsi qualcosa e per riuscire a vivere o per pagarsi beni e servizi essenziali, come cibo, medicine o ospedali. Il Caos e ogni tipo di imbrogli hanno dominato tutto il mese di dicembre.

Quattro settimane prima

Nemmeno quattro settimane prima di questo assalto agli indiani, USAID aveva annunciato la creazione di “Catalyst: Una Partnership per pagamenti senza contanti“, con l’obiettivo di far fare un salto di qualità ai pagamenti senza contanti in India. Il comunicato stampa del 14 ottobre diceva che Catalyst “segna un altro passo della partnership tra USAID e il Ministero delle Finanze per facilitare una inclusione finanziaria universale”. La dichiarazione non compare nella lista dei comunicati stampa sul sito web di USAID ( non più?). Nemmeno filtrando le dichiarazioni con la parola “India” si riesce a trovarlo. Per trovarlo, bisogna conoscerne l’ esistenza, o inciamparci, per caso, in una ricerca sul web. In effetti, questo e altre dichiarazioni, che sembravano piuttosto noiose prima, sono diventate molto più interessante e chiarificatrici dopo l’8 novembre.

Leggendo le dichiarazioni con il senno del poi diventa chiaro, che sia Catalyst che la partnership tra USAID e il Ministero delle Finanze indiano, da cui Catalyst ha avuto origine, sono poco più di un fronte usato per potersi preparare all’assalto di tutti quegli indiani che usano i contanti, senza destare indebiti sospetti. Anche lo stesso nome Catalyst suona molto più inquietante, dopo che si conosce quello che è successo il 9 novembre.

Il Direttore del progetto di incubazione di Catalyst è Alok Gupta, già Direttore Generale del World Resources Institute di Washington, di cui USAID è uno dei suoi principali sponsor. Inoltre è stato membro originale del team che sviluppò Aadhaar, un sistema di identificazione biometrica, tipo Grande-Fratello .. ..

Secondo un rapporto del Economic Times indiano, USAID si è impegnato a finanziare Catalyst per tre anni. Gli importi sono tenuti segreti.

Badal Malick, ex Vice Presidente di India Snapdeal, la più importante impresa sul mercato online indiano , prima di essere nominato AD di Catalyst. Ha commentato:

“La missione di Catalyst è risolvere i molteplici problemi di coordinamento che hanno bloccato la penetrazione dei pagamenti digitali tra commercianti e consumatori a basso reddito. Non vediamo l’ora di creare un modello sostenibile e replicabile. (…) Contemporaneamente c’è stata (…) una spinta concertata per i pagamenti digitali da parte del governo, ma c’è ancora un ultimo miglio da percorrere quando si tratta della accettazione dei commerciante e dei problemi di coordinamento. Vogliamo portare un approccio ecosistemico olistico a questi problemi. “

Dieci Mesi Prima

Il problema del coordinamento multiplo e dell’ecosistema-dei-pagamenti-per-contanti di cui parla Malick era stato analizzato in un rapporto che USAID ha commissionato nel 2015 e presentato a gennaio 2016, nel quadro del partenariato anti-contanti con il Ministero delle Finanze indiano. Nemmeno il comunicato stampa su questa presentazione è nella lista dei comunicati stampa di USAID (ancora una volta?). Il titolo dello studio era “Oltre i Contanti – Beyond Cash”.

“I commercianti, come i consumatori, sono intrappolati dall’ ecosistema del contanti, cosa che inibisce il loro interesse” per il pagamento digitale, si legge nel rapporto. Dal momento che alcuni commercianti accettano i pagamenti digitali, solo pochi consumatori ne sono interessati, e dal momento che solo alcuni consumatori utilizzano i pagamenti digitali, solo alcuni commercianti ne sono interessati. Dato che sia le banche che i fornitori dei mezzi di pagamento fanno pagare una tassa per l’apparecchio che si usa, anche solo per provare il pagamento digitale, serve un forte impulso esterno per raggiungere un livello di penetrazione delle carte e per creare un reciproco interesse da entrambe le parti a favore della scelta di pagamento digitale.

Si è scoperto che quando a novembre si parlava di un “approccio all’ecosistema olistico” per creare questo impulso, si intendeva distruggere l’ecosistema di cassa per un periodo di tempo limitato, per poi ricostruirlo lentamente, limitando la disponibilità del denaro delle banche a disposizione dei singoli clienti. Dal momento che questa aggressione doveva essere una sorpresa per raggiungere un vero effetto-catalizzatore, la pubblicazione dello Studio (Oltre il Contanti) ed i protagonisti di Catalyst non potevano descrivere apertamente i loro piani. Hanno usato un trucco intelligente per mascherarsi e per essere ancora in grado di fare apertamente i preparativi necessari, tra cui anche sentire le idee degli esperti. Hanno sempre detto che stavano progettando (apparentemente) un esperimento su campo regionale .

“L’obiettivo è scegliere una città dove aumentare i pagamenti digitali di 10 volte in sei/dodici mesi”, ha detto Malick meno di quattro settimane prima che la maggior parte del denaro in contanti fosse abolita in tutta l’India. Per non trovare ostacoli nel preparare l’esperimento su una sola città, la relazione “Oltre il Cash” e Catalyst continuavano a parlare di una serie di regioni che stavano esaminando, per decidere poi quale sarebbe stata la città o regione migliore per fare un esperimento sul campo. Solo nel mese di novembre si è fatto chiaro che tutta l’India sarebbe stata la regione-cavia per un esperimento globale per mettere fine alla dipendenza dal denaro. Leggendo – col senno del poi – una dichiarazione dell’Ambasciatore Jonathan Addleton, direttore di USAID Mission in India, diventa chiaro quello che annunciava, di soppiatto, quattro settimane prima:

“L’India è in prima linea negli sforzi globali per digitalizzare le economie e per creare nuove opportunità economiche che si estendano a popolazioni difficili da raggiungere. Catalyst sosterrà questi sforzi concentrandosi sulla sfida per poter fare gli acquisti di tutti i giorni senza usare contanti. “

I veterani delle guerra al contanti in azione

Ma quali sono le istituzioni che stanno dietro questo attacco decisivo contro il contanti? Al momento della presentazione del rapporto Beyond-Cash, USAID ha dichiarato: ” Oltre 35 importanti organizzazioni indiane, americane e internazionali hanno collaborato con il Ministero delle Finanze e con USAID in questa iniziativa” Sul sito minacciosamente chiamato http://cashlesscatalyst.org / si può vedere che si tratta per lo più di fornitori di servizi IT e di servizi di pagamento che vogliono far soldi con i pagamenti digitali o con la raccolta dei dati da assemblare sugli utenti. Molti sono vecchie volpi in questo campo che un alto funzionario della Deutsche Bundesbank ha chiamato “guerra delle istituzioni finanziarie contro il cash” (in Tedesco) e comprendono l’ Alleanza “Better Than Cash”, la Gates Foundation (Microsoft), Omidyar Network (eBay), Dell Foundation Mastercard, Visa, Metlife Foundation.

L’ Alleanza “Better Than Cash”

C’è una ragione perché la Better Than Cash Alliance, che ha USAID come socio, è menzionata per prima. Fu fondata nel 2012 per contrastare il contanti su scala globale. La sua segreteria è ospitata presso il United Nations Capital Development Fund (UNCDP) di New York, e questo potrebbe avere la sua ragione nel fatto che questa povera piccola organizzazione dell’ONU voleva esprimere la sua felicità per aver avuto la Gates-Foundation e la Master-Card-Foundatione tra i suoi donatori più generosi negli ultimi due anni.

I membri dell’Alleanza sono le maggiori istituzioni USA che beneficerebbero maggiormente dalla limitazione del contanti, vale a dire le compagnie di carte di credito Mastercard e Visa, e anche altre istituzioni americane i cui nomi spiccano sui libri di storia dei servizi segreti USA, come la Ford Foundation e USAID. Membro di spicco è anche la Gates Foundation- ma anche la Omidyar Network di eBay- del suo fondatore Pierre Omidyar e la Citi sono donatori importanti. Quasi tutti sono individualmente partner di questa iniziativa USAID-India per mettere fine alla dipendenza dal denaro in India e non solo. L’iniziativa e il programma Catalyst sembrano qualcosa di più e di meglio della Cash Alliance, per l’entrata di organizzazioni indiane e asiatiche che hanno un forte interesse commerciale per una forte diminuzione dell’uso di denaro contante.

La Reserve Bank of India e i Chicago Boy del FMI

La partnership per preparare il temporaneo divieto della maggior parte di denaro circolante in India coincide grosso modo con il mandato di Raghuram Rajan alla guida della Reserve Bank of India da settembre 2013 a settembre 2016. Rajan (53) era, ed è ora di nuovo, professore di Economia presso l’Università di Chicago. Dal 2003 al 2006 fu capo economista del Fondo monetario internazionale (FMI) a Washington. (Questo è il suo CV che condivide con un altro importante guerriero contro i contanti, Ken Rogoff.) E’ membro del Gruppo dei Trenta, una organizzazione piuttosto oscura, dove i sommi Capi delle più importanti istituzioni finanziarie e commerciali del mondo condividono i loro pensieri e i loro progetti con i presidenti delle più importanti banche centrali, a porte chiuse e senza nessuna minuta su quello che dicono. Diventa sempre più evidente che il Gruppo dei Trenta è uno dei maggiori centri di coordinamento della guerra al contanti in tutto il mondo. Ne fanno parte altri warriers importanti come Rogoff, Larry Summers e altri.

Raghuram Rajan ha valide ragioni per aspettarsi di salire sui gradini della finanza internazionale ancora più alti e, quindi, ha avuto buone ragioni per giocare bene la sua partita con Washington. E’ già stato presidente della American Finance Association ed ha ricevuto il primo Fisher-Black-Prize assegnato in ricerca finanziaria. Ha vinto premi generosi da Infosys per la ricerca economica e dalla Deutsche Bank per economia finanziaria, nonché il Financial Times/Goldman Sachs Prize per il miglior libro di economia. E ‘stato dichiarato indiano dell’anno da NASSCOM e miglior Banchiere Centrale dell’anno da Euromoney e da The Banker. E ‘considerato un possibile successore di Christine Lagard alla guida del Fondo Monetario Internazionale, ma può certamente anche aspettarsi di essere preso in considerazione per altri e maggiori incarichi nella finanza internazionale.

Come governatore della Banca centrale, Rajan è ben-voluto e rispettato dal settore finanziario, ma è risultato molto antipatico a chi lavora nella società reale (quella che produce), nonostante il suo debole per la deregolamentazione e per le riforme economiche. Il motivo principale è la sua politica monetaria restrittiva che ha introdotto e la sua strenua difesa. Dopo essere stato duramente criticato dalle fila del partito di governo, a giugno ha dichiarato che non si sarebbe ripresentato per un secondo mandato nel mese di settembre. In seguito ha detto al New York Times che sarebbe rimasto, ma non per un intero mandato. Un ex Ministro del Commercio e della Giustizia, Mr. Swamy, ha detto, in occasione dell’uscita di Rajan, che questo avrebbe reso felici molti industriali indiani:

“Io sicuramente volevo che se ne andasse, e l’ho detto chiaramente al primo ministro, il più chiaro possibile. (…) I suoi sostenitori erano essenzialmente gli occidentali, e i suoi sostenitori in India, sono persone trapiantate dalla società occidentalizzata. Ci sono persone che vengono regolarmente a casa mia per spingermi a fare qualcosa al riguardo. “

Un disastro che doveva succedere

Non è chiaro se Rajan sia stato coinvolto nella preparazione di questo assalto che ha reso la maggior parte delle banconote indiane illegali – ma ci dovrebbero essere pochi dubbi a riguardo, dati i suoi legami personali e istituzionali e data l’importanza della Reserve Bank of India per fornire denaro – infatti aveva buone ragioni per non farsi notare. Dopo tutto, non può aver sorpreso nessuno che conoscesse la materia, che questa scelta si sarebbe trasformata in un caos e in disagi estremi, in particolare per la maggior parte dei poveri e delle classi rurali indiane, proprio quelli che dovevano essere i presunti beneficiari di questa mal-denominata “inclusione-finanziaria”. USAID e i suoi partner hanno accuratamente analizzato la situazione ed hanno trovato nel rapporto di Beyind-Cash che il 97% delle transazioni vengono effettuate in contanti e che solo il 55% degli indiani ha un conto in banca, Ma hanno anche scoperto che di questi conti bancari , “solo il 29% è stato utilizzato negli ultimi tre mesi“.

Tutto questo era ben noto e poteva dare la certezza che abolire improvvisamente la maggior parte del denaro contanti avrebbe causato problemi gravi e persino esistenziali per molti piccoli commercianti e produttori e per molta gente che vive in regioni remote, senza banche. Quando hanno messo in atto questa strategia, è diventato evidente, quanto fosse stata falsa la promessa della inclusione finanziaria con la digitalizzazione dei pagamenti e della limitazione del denaro contante. Semplicemente non c’è altro mezzo di pagamento capace di competere con il denaro contante nel permettere a tutti di partecipare all’economia di mercato senza ostacoli.

Comunque per Visa, Mastercard e per altri fornitori di servizi di pagamento, che non sono stati colpiti da nessun problema esistenziale, come quelli che hanno colpito le masse in fila davanti alle banche, questo assalto al denaro-contanti si rivelerà molto probabilmente un grande successo, sarà un loro “scaling up” dei pagamenti digitali nella “regione in cui si effettua l’esperimento”. Dopo tutto questo caos e tutte le perdite che hanno dovuto sopportare, tutti i commercianti che possono permetterselo, stanno correndo ad assicurarsi di poter accettare, in futuro, i pagamenti digitali. E i consumatori, quelli a cui adesso vengono messi limiti sulla quantità di denaro che possono prendere in banca, cercheranno qualsiasi modo per pagare con le carte, con grande beneficio di Visa, Mastercard e degli altri membri allargati della Better Than Cash Alliance.

Perché Washington sta conducendo una guerra globale contro il denaro contante

Gli interessi commerciali della società USA che dominano il sistema globale del business IT e dei pagamento Gobal sono un motivo importante per lo zelo della governo USA nella sua spinta per ridurre l’uso del denaro contante in tutto il mondo, ma questo non è l’unico motivo e potrebbe anche non essere il più importante. Un altro motivo è il potere di sorveglianza che aumenterebbe con un maggiore utilizzo di pagamenti digitali. Gli enti di intelligence USA e le aziende IT insieme possono verificare tutti i pagamenti internazionali effettuati per mezzo delle banche e possono monitorare la maggior parte del flusso generale di dati digitali. I dati finanziari tendono a diventare i più importanti e preziosi.

Ancora più importanti sarebbero lo status del dollaro come valuta mondiale di riferimento ed la supremazia delle imprese statunitensi nella finanza internazionale che fornirebbero al governo degli Stati Uniti un enorme potere su tutti i partecipanti al sistema finanziario formale, quelli non-cash. Questo potrebbe rendere tutti i paesi conformi alla legge americana, piuttosto che alle leggi locali o internazionali. Il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung ha recentemente trattato una storia agghiacciante dove si descrive come funziona (in Tedesco). I dipendenti di una società di Geran-prodotti per l’informatica facevano affari del tutto legali con l’Iran, ma sono stati messi su una lista terrorista degli Stati Uniti, il che significa che sono stati banditi dalla maggior parte del sistema finanziario e anche da alcune aziende di logistica che non hanno più voluto trasportare le loro merci. Una grande banca tedesca è stata costretta a licenziare alcuni dipendenti, su richiesta degli Stati Uniti, anche se non avevano fatto niente di irregolare o di illegale.

Ci sono molti altri esempi. Ogni banca che opera a livello internazionale può essere ricattata dal governo degli Stati Uniti se non esegue i suoi ordini, dal momento che gli USA potrebbero revocare la licenza di fare business negli Stati Uniti o di fare operazioni in dollari, fino a portarla alla chiusura. Basti pensare alla Deutsche Bank, che ha dovuto negoziare con il Tesoro degli Stati Uniti per mesi se avesse dovuto pagare una multa di 14 miliardi di dollari – e molto probabilmente andare in rovina – o se cavarsela con soli sette miliardi e poter sopravvivere. Se si raggiunge la forza di poter mandare in bancarotta le banche più grandi, anche quelle di grandi paesi, si ha potere su tutti i loro governi. Questo potere che si ottiene con il dominio sul sistema finanziario e dei dati associati già esiste. Meno quantità di denaro è in circolazione, maggiore, più ampio e sicuro è questo dominio, dato che l’uso del denaro contante è un modo molto importante per poter eludere questo potere.

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Fin qui, Norbert Haring; ora, su questo argomento, Maurizio Blondet presenta:

… Lo scopo dichiarato dal governo (nazional-populista) era stroncare l’economia informale e il “nero”, i lucri mafiosi, le mazzette, l’evasione fiscale nelle transazioni; ciò “nell’interesse dei cittadini che guadagnano onestamente e col sudore della fronte”.
Il fatto è che l’economia informale e in nero “è” la sola di cui vivono, in India, i poveri. Per disperata necessità. Il pedalatore sul ricksciò che vi trasporta a Calcutta o Bombay per qualche centesimo, e con esso mantiene la numerosa famiglia, non è proprietario del mezzo: lo ha affittato a giornata ad un “capitalista”di quartiere che ne possiede dieci, e a cui deve dare metà o più dei suoi magrissimi guadagni. Il “capitalista” può permettersi di non lavorare, ed è un microscopico capo-bastone di una delle onnipresenti mafie locali. La maggior parte dei “lavori” di strada, dal facchino al venditore di tè, nascono da questo tipo di sub-appalti, dove dei meno poveri sfruttano senza scrupoli i poverissimi.

Quanti sono? Un miliardo di persone o giù di lì. Si ricordi che l’India ha un Pil pro capite di 1.718 dollari: l’anno. Quello cinese è il triplo. A parte i circa trecento milioni di indiani moderni, urbani e che sanno tutto o qualcosa di elettronica e guadagnano benino – o benissimo, visto che il boom ha creato una ventina di milioni di famiglie che posseggono l’equivalente di un milione di euro – c’è poi il miliardo di persone che guadagna, se ci riesce, 2 o 3 dollari il giorno. Metà dei quali non ha accesso alla elettricità, e nemmeno all’acqua corrente e a toilettes. La metà defecano all’aperto, anche nelle megalopoli. Il 46% dei loro figli sotto i cinque anni sono rachitici (la percentuale senza confronto più alta del Terzo Mondo) per malnutrizione. I papà non sono mai entrati in una banca.

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Defeca così il 50% della popolazione

Ora, il governo si aspetta che questo miliardo o giù di lì scambi i suoi 2 o 3 dollari al giorno attraverso bancomat e POS, con carte di credito, che apra un conto corrente. Persino molti milioni della classe media non hanno dimestichezza con i distributori automatici di moneta; figurarsi quelli. Oltrettutto, ogni transazione via elettronica subisce un prelievo del 2% per spese bancarie e tasse; l’elettricità va e viene persino nelle grandi città come Mumbai e Calcutta, per non parlare delle connessioni internet; nelle sterminate campagne è raro ci sia la luce, e del web non si ha alcuna nozione, poiché le masse vivono come mille anni fa, ed esistono aree tribali dove si vive come tremila anni orsono. Una banca, non l’hanno mai vista e non sanno cosa sia.

A queste si chiede di digitare la password e il PIN su un apparecchio elettronico portatile?

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Non basta ancora: bisogna tener conto della immane e corpuscolare corruzione pubblica. Se vuoi un passaporto per emigrare, devi pagare una mazzetta. Se vuoi la patente di guida, un’altra. Se vuoi che l’acqua o la luce ti arrivi a casa (o nella fatiscente costruzione di ondulato della bidonville) devi pagare una tangente. Se ti rivolgi alla polizia o a un tribunale, paga. L’economia è oliata in questo modo, ovviamente in nero, a prezzo di inefficienze spaventose. Il ritiro del contante (le banconote da 500 e 1000 rupie contavano per l’86% del circolante) l’ha istantaneamente grippata per mancanza di lubrificante.

Risultato: i prezzi degli alimentari sono crollati. Dal 25 al 50%. Non certo per eccesso di offerta, ma perché i poveri non possono comprare niente. In vaste zone rurali i coltivatori, non riuscendo a spuntare prezzi che coprano almeno le spese di trasporto, hanno distrutto i raccolti buttandoli sulle strade, sotto le gomme degli automezzi; molti di loro non hanno i fondi per comprare le sementi per il prossimo raccolto. Si profila una carestia senza precedenti. Anzi, è possibile che nelle zone più remote e nelle aree tribali la fame già uccida le comunità di cui nessuno s’interessa, che non hanno mai avuto alcuna economia formale, tracciabile o tassabile.

Nelle megalopoli, le brulicanti attività marginali, il venditore di betel o di tè, il portatore di colli, il piccolo artigiano aggiustatore, il commerciante di stracci, la lavandaia, i pedalatori di riksciò, sono rarefatte. Manca il denaro. La tv ha mostrato cittadine come Moradabad, dove il 60 % degli artigiani che affollavano le strade (si lavora all’aperto) sono scomparsi.

Un altro servizio televisivo mostra come a Brindabandpur, nel Bengala Occidentale, si sia tornati al baratto. Le contadine a giornata sono state pagate in riso: il padrone delle coltivazioni si lamenta, non riesce ad avere i soldi dalla banca, quindi paga le sue lavoranti in natura. Due chili di riso al giorno. Uno, lo consumano per i pasti loro e della famiglia. Con l’altro loro chilo, le donne vanno nel negozio del villaggio e mostrano quel che hanno ottenuto in cambio. “Per un chilo di riso mi ha dato patate, sale e zucchero”; “Per un chilo di riso, ho avuto patate ed olio da cuocere. Volevo dei biscotti per il mio bambino, ma non bastava”. Ovviamente, con il riso e le patate che ricevono come paga, non possono comprare alimenti come il pesce secco o un po’ di carne di pecora. Il baratto non è un sistema efficiente di compravendita: i bottegai hanno il potere di “fare” il prezzo del chilo di riso, decidere quante scatole di fiammiferi e quanto olio di colza “vale”. E non si fanno scrupoli; il povero è di una casta diversa, in genere bassa, verso cui quindi il commerciante non sente alcuna solidarietà.

Ciò vale per l’intera federazione, in realtà un brulicare di “nazioni” con lingue diverse, e suddivisioni di casta: i circa trecento milioni della media o bassa borghesia non hanno alcuna compassione, né la minima preoccupazione, per il miliardo di miserabili: sono di altra casta – e la solidarietà funziona solo all’interno delle caste. Anzi, i relativamente benestanti del Maharastra non hanno nemmeno l’idea di come vivano i disperati nell’Orissa , e nessuna curiosità. Non organizzeranno collette per i soccorsi agli affamati, che non sentono come connazionali.

Lo stesso primo ministro Modi ha dimostrato, con questa decisione, di vivere nella bolla castale; per lui il miliardo che viveva di economia informale non esiste. Sta spendendo mezzo miliardo di dollari per l’erezione di un colossale monumento a Shivaji, n maragià (1627-1680) che combatté e vinse con inaudita ferocia contro il moghul Aurangzeb (musulmano), ed è diventato il simbolo mitico dell’hindutva, ossia del nazionalismo basato sulla religione hindu, per i partiti di estrema destra (quello estremista del Maharastra si chiama “Shiv Sena”, e il suo nome evoca insieme il dio Shiva e Shivaji, inteso come una sorta di incarnazione di Shiva per la sua violenza guerresca). Il Shiv Serna, che organizza una ferrea rete di assistenza e dominio nelle sterminate bidonvilles di Mumbay, ha criticato Modi per come ha realizzato la demonetizzazione. E’ dubbio se il monumento all’eroe mitico del partito possa placarlo.

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La gigantesca classe più o meno fortunata ed evoluta si preoccupa per il calo repentino dei dati industriali, che stanno facendo perdere all’India il primato fra i paesi in più rapido sviluppo: la fabbrica di motociclette Bajaj Auto Ltd. Ha denunciato un crollo delle vendite, a dicembre, del 22 per cento; il mercato delle moto (tipico mezzo rurale) è caduto del 18%. La Maruti Suzuki ltd., che fabbrica utilitarie ed è il maggior fabbricante d’auto per volumi, ha dichiarato un calo del 4,4% a dicembre. In compenso, le banche – strapiene di depositi – offrono crediti a tassi minori, il che può indorare la pillola al ceto medio, e forse consentire una ripresa dopo la crisi infartuale.

Fino al 31 dicembre, infinite code si sono formate davanti alle banche per depositare i le banconote che perdevano valore. La mafia si offriva di prendere 1000 rupie pagandole 800, uno sconto del 20% – e un lucro di intermediazione del 20% per i criminali. Oggi, scaduto il termine, la Mafia, per motivi che mi sfuggono, offre per le banconote scadute un premio del 10%.

La mafia (o le mafie locali) ha offerto un utile servizio nnei giorni scorsi ai benestanti che dovevano cambiare le banconote senza fare la coda: ingaggiavano miserabili che facevano la coda per loro, in sub-appalto. Qualche milione. La polizia offriva informalmente lo stesso servizio, usando come documenti di identità da presentare allo sportello le fotocopie di carte di identità di ex carcerati. Insomma l’abolizione del contante, che doveva stroncare il “nero”, ha offerto all’economia illegale altre e grasse opportunità. Anche di sfruttamento.

Il premier Modi è stato ispirato nella sua fatale decisione da oscuri suggeritori dei poteri forti globalizzatori? Da Goldman Sachs? George Soros? Il Fondo Monetario? No. Ha dato ascolto ad un movimento che promuove una teoria economica molto indù, chiamata ArthaKranti (Rivoluzione Finanziaria). Il teorico principale della teoria sembra essere Anil Bokil, un signore molto intervistato che abita ad Aurangabad e si dichiara “architetto e contabile autorizzato”, che la spiega così: “La massa di liquidità ‘nera’ è quella che fa salire alle stelle i prezzi immobiliari, case, terreni, goielleria (sic); il denaro guadagnato onestamente perde valore”; con la demonetizzazione questa ricchezza “falsa” sarebbe azzerata, con gran vantaggio per tutti, specie i poveri (che sono effettivamente i taglieggiati). Secondo la teoria ArthaKranti, ciò permetterà alla fine di abolire tutte le imposte sul reddito, anzi tutte le tasse (tranne i dazi doganali), sostituendole con una tassa dell’1 per cento su ogni transazione. Ciò ha conquistato il favore dei ceti medi stipendiati, che sognano la fine del prelievo fiscale sulle loro paghe. Adesso stanno avendo qualche ripensamento: non possono ritirare l’integralità delle loro paghe. I loro conti correnti sono stati congelati perché mancano le banconote nuove ; quelle che sono state stampate in tutta fretta, sono di qualità miserevole, si sfaldano in mano, sbavano lì’inchiostro, sono facili da falsificare. Il signor Anil Bokil, nelle ultime interviste, ha criticato con forza il premier Modi, accusandolo di aver applicato le teorie dell’ArthaKranti in modo pasticciato e incompleto: attuando solo due delle cinque misure raccomandate dalla teoria.

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In questa, anche l’Australia si accinge ad eliminare dalla circolazione il biglietto da 100 dollari australiani (meno di 70 euro); stavolta su consiglio dei banchieri dell’UBS e della HSBC. Quindi scientifico. “Siamo convinti che togliere di mezzo la denominazione massima sarà buono per l’economia e buono per la banche”, dicevano i due istituti internazionali nel rapporto al governo. Siccome le banconote da 100 dollari “sono detenute dal pubblico come riserva di valore, quindi tendono a non circolare attivamente”. Naturalmente, i benefici includono, secondo le due grandi banche, la “trasparenza” aumentata, l’aumento delle “imposte sulle transazioni”, e la riduzione delle “attività illegali”. Vero è che in Australia, paese evoluto, la Banca della Riserva (la Banca centrale) assevera che le transazioni in contanti diminuiscono costantemente: del 3,4% l’anno dal 2009, mentre le transazioni a credito crescono del 7,3%.

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L’esempio australiano sarà guardato con attenzione dai poteri tecnocratici che in Europa vogliono l’abolizione del contante. Hanno già tolto di mezzo le banconote da 500, quelle da 200 e da 100. Nessuno deve usare il denaro come salvadanaio, “riserva di valore”; nessuna deve sottrarsi al potere bancario e fiscale.

Analysts have called for Australia’s $100 banknote to be scrapped to improve transparency in the economy.
The green note, featuring soprano Dame Nellie Melba and military commander Sir John Monash, is used relatively infrequently in the general economy. But there are nearly 330m of them in circulation – almost three times the number of $5 notes.
The Australian Financial Review reported on Monday that HSBC had backed a UBS report suggesting the removal of high-denomination banknotes from circulation. In a report published earlier this month, UBS said Australia could remove larger-denomination notes because of increasing reliance on digital transactions.
“We believe removing large denomination notes in Australia would be good for the economy and good for the banks,” the report said.
The benefits could include reduced crime, increased tax revenue with fewer cash transactions and reduced welfare fraud.
Australia’s $50 and $100 notes make up 93% of all currency by value, though data from the Reserve Bank suggests the use of cash for transactions is falling. ATM transactions have decreased by 3.4% per annum since 2009, while credit card transactions are growing at 7.3%.
Simon Babbage, the head of payments at HSBC Australia, told the AFR removing denominations would be a “good thing” if it increased transparency.
The Reserve Bank declined to comment on UBS’ recommendation but, in a report last year, it said $100 banknotes were “generally held by the public as a store of value” and as such did not “tend to actively circulate”.
Advertisement. This meant not only did the notes have a far longer life span than smaller denominations but that there was a “lack of data” about their use.
A spokeswoman for the Commonwealth Bank said it did not have a position on removing the $100 note but less than 3% of the machines in its ATM network dispensed $100 bills, at a rate of about 40,000 on average per day.
In 2012, a former Reserve Bank official advocated for phasing out high-value notes to prevent mass welfare fraud by the elderly.
Peter Mair wrote to the then Reserve Bank governor, Glenn Stevens, to say the high number of $50 and $100 notes per person facilitated “tax-dodging”.
“If putting it under the bed or in a cupboard means you qualify for the pensioner card you get discounted council rates, discounted car registration, discounted phone rental – in percentage terms the return is enormous.”
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Earlier this month India suddenly withdrew from circulation its highest-value banknotes.
The prime minister, Narendra Modi, ordered the removal of 500 and 1,000 rupee banknotes in a bid to shut down the booming economy of untaxed cash transactions. Modi told the nation the change would protect the interests of “those citizens earning honestly and with hard work”.
But the ban caused widespread disruption, forcing millions of people to queue outside banks to change small amounts of old money for legal tender, and Modi was accused of seeking to boost his party’s chances in a key state election next year.