Archivi categoria: Integrazione

5576.- Liberazione da che? La fine del fascismo ha liberato un tumore che si fa chiamare sinistra, ma sinistra non è.

PER NON DIMENTICARE:

Questo porcaio non ha un senso e deve finire.

Borseggiatrici rom pestano a sangue uno dei ragazzi delle ronde: accerchiato e colpito con sberle e pugni

Da Il Secolo d’Italia del 23 Apr 2023 – di Greta Paolucci

borseggiatrici rom

Come volevasi dimostrare, della privacy le borseggiatrici rom in azione sulla metro di Milano se ne infischiano, con buona pace della consigliera del Pd a Palazzo Marino, Monica Romano, e dei suoi solerti colleghi intervenuti contro cittadini che, a loro rischio e pericolo, filmano le mani di velluto e i loro furti nei convogli, a danno di cittadini ignari e beffati. Lo dimostra il pestaggio subìto da Matthia Pezzoni, 34 anni, presidente delComitato Sicurezza per Milano che, al Tgcom24, ha raccontato l’ultima aggressione, la più violenta, avvenuta sabato sera in metropolitana alla fermata Duomo. Quando il giovane era solo e più facilmente aggredibile dal branco…

Milano, borseggiatrici rom aggrediscono il 34enne presidente del Comitato per la Sicurezza

Un’aggressione che diventa, nel giro di pochi istanti, una spedizione punitiva. Sono circa le 21.30 di sabato sera quando la squadra di borseggiatrici rom in servizio effettivo e permanente tra corridoi e binari della metro milanese, intercettano Matthia. Lui vede loro e loro vedono lui: solo, e armato giusto del telefono che le può smascherare e denunciare. Prima lo seguono. Poi lo accerchiano. Tanto che la vittima spiega: «Sabato sera, mentre ero da solo alla fermata della metro Duomo ho notato subito la presenza di borseggiatrici. Come mio solito, e anche loro lo sanno bene, prendo il telefono per registrare e avviso i passeggeri della loro presenza».

Il pestaggio delle borseggiatrici rom a Matthia Pezzoni avvenuto quando il ragazzo era da solo

«Arrivano in tre/quattro e iniziano ad aggredirmi con sberle e pugni – comincia il racconto di Pezzoni –. A causarmi il trauma all’occhio è stato però un ragazzino con il giubbotto rosso che non avevo mai visto e che si è aggiunto al pestaggio all’improvviso». E ancora. «Quando inizio a perdere sangue dall’occhio – prosegue la vittima – scappano in direzione Rho Fiera. Io sono dolorante e stordito, ma non mi accorgo subito della gravità della mia condizione, così vorrei inseguirle ma i presenti mi fanno notare che sono ferito e dall’agente di stazione faccio chiamare ambulanza e polizia».

«La loro aggressività è sempre più alta»

Matthia Pezzoni finisce in ospedale, dolorante, spaventato, con un occhio nero e varie contusioni al volto. Ma la denuncia del coraggioso ragazzo delle ronde, accerchiato e  pestato, è forte e chiara: «La loro aggressività è sempre più alta». E come riferisce il Tgcom 24, «nessuno ha dubbi: l’aggressione è firmata dalle borseggiatrici di Milano, diventate ormai protagoniste anche in Tv», dove imperversano per ribadire con veemenza quello che mettono in pratica ogni giorno: la legge della sopraffazione, “il furto come lavoro” e la pervicace ostinazione a continuare a praticare entrambe. Quanto vale tutto ciò rispetto alla privacy violata per denunciarlo?

3885.- Politica italiana e politica di coesione dell’Unione europea.

All’evidenza, l’Unione europea costituisce un laboratorio per una nuova umanità, molto poco società e molto poco identitaria. Sotto la guida del Quirinale, per far ripartire l’economia italiana, messa in ginocchio dalla pandemia, ci si è consegnati interamente nelle mani dell’Unione europea e dei poteri che essa rappresenta. Nella soggezione delle parti politiche agli indirizzi dettati dai Capi dello Stato, nella tolleranza verso le deviazioni e le violazioni impresse alla Costituzione, ci troviamo incanalati in un percorso di abbandono della nostra identità di popolo, verso l’anomalia istituzionale che va sotto il nome di Unione europea, che Stato non è, in quanto privo, oggi e domani, di una Costituzione democratica a salvaguardia dei principi alla base della dignità e della libertà dei cittadini. Parlare di società europea integrata, senza la partecipazione delle identità nazionali dei popoli europei, è privo di significato e prodromico, invece, di una nuova umanità, per niente umana e a servizio del globalismo. Esaminiamo, qui, la politica di coesione dell’Unione europea, rivolta a una società – all’apparenza, ma vedrei il contrario – sempre più integrata, per acquisire coscienza di quanto questa soddisfi gli obiettivi della creazione e della crescita di posti di lavoro e della solidarietà, quanto le esigenze di crescita e quanto si ponga in contrasto con le esigenze di crescita demografica e di tutela della famiglia.

Politica italiana

Mentre la competizione fra i partiti sembra avere a oggetto visioni contrapposte per la soddisfazione dei bisogni degli italiani, è sotto gli occhi di tutti che né questo Presidente, né questo Governo, né questo Parlamento siano in grado di realizzarli, almeno, per ciò che, oggi, ci riguarda più da vicino e, cioè, nei campi dell’economia, della giustizia e della sanità: dell’economia perché, a fronte di misure coercitive, sopratutto e incomprensibilmente, verso determinate categorie di lavoratori abbiamo visto propagandare misure di ristori ridicole; della giustizia e anche del diritto perché in costanza del cosiddetto stato di emergenza sanitaria abbiamo visto nominare e sostenere boiardi di Stato, che hanno sviato le risorse pubbliche a man salva e perché abbiamo visto violare la Costituzione e esautorare il Parlamento. Ma c‘è di peggio e non si può non ripetere che lo scandalo del C.S.M., politicizzato, chiama in causa come partecipi i presidenti della Repubblica, mette fuori causa l’Autonomia e l’Indipendenza della Magistratura e la divisione dei poteri su cui fonda la Repubblica democratica.

Mi si consenta la divagazione: Questa eversione rossa, che resterà impunita, persiste, mentre osserviamo questi magistrati infliggere pene di 10 anni a una goliardia, cosiddetta eversione, dei nostalgici della Repubblica Serenissima. Venute meno l’Indipendenza della Magistratura dalla Politica e la funzione disciplinare del C.S.M., affermo che il magistrato che ha emesso la sentenza di condanna, ha dato un giudizio politico, con ciò esorbitando e, perciò, può essere chiamato a risponderne in giudizio come un qualsiasi cittadino.

Tornando alla soddisfazione dei bisogni degli italiani, trascurata e negletta la possibilità di far partecipare il risparmio privato nelle mani delle banche, ma a interessi anche sotto lo zero, per far ripartire l’economia italiana, messa in ginocchio dalla pandemia, ci si è consegnati interamente nelle mani dell’Unione europea e dei poteri che essa rappresenta. A questo punto, il Governo di Mario Draghi ha rappresentato l’unica soluzione possibile nei confronti del rapporto fra l’Italia e gli altri stati membri e ne i confronti degli italiani, da sempre ostici nei confronti di Troika e Commissione europea. Presentando il suo programma, Mario Draghi si è rivolto a tutti coloro che soffrono per la crisi economica che la pandemia ha scatenato, a coloro che lavorano nelle attività più colpite o fermate per motivi sanitari. Vedremo e saremo attenti alla logica dei provvedimenti punitivi e dei ristori che saranno applicati nei confronti, anzitutto, di ristoratori, artisti, ambulanti, studenti e donne lavoratrici. Piaccia o non piaccia questa Unione europea, finalmente l’Italia, dopo anni, sarà guidata da un leader, anche se per attuare le sue riforme e il suo contrasto all’emergenza, dovrà avvalersi di un Presidente e di un Parlamento, da tempo non più rappresentativi della partecipazione degli italiani alla vita politica.

Politica europea

A luglio dello scorso anno, per far ripartire le economie dell’Unione europea , è stato approvato il programma straordinario Next Generation EU (Ngeu), ormai noto come Recovery Fund, il fondo speciale di 750 miliardi di euro, che, nei prossimi anni, finanzierà la ripresa economica, attraverso l’emissioni di titoli europei. In linea con la politica di coesione nell’Unione europea, i titoli saranno volti a sostenere progetti e riforme strutturali stabilite da piani di riforme e investimento dei singoli Recovery Plan proposti da ognuno dei 27 stati membri dell’Ue. Nel dettaglio, la somma programmata è composta da 390 miliardi di trasferimenti a fondo perduto (grants) e da 360 miliardi di prestiti (loans), a loro volta, suddivisi in base alle diverse necessità degli Stati membri più colpiti dalla pandemia, come l’Italia e la Spagna. Nelle intenzioni, questo Recovery Fund dovrebbe diventare uno strumento permanente della politica europea.

Fatta questa premessa introduttiva, andiamo a conoscere in cosa si si sostanzia la politica di coesione nell’Unione europea.

Il 60% dei decreti legislativi italiani “nasce” a Bruxelles.

La politica di coesione nell’Unione europea

Fondamenti giuridici

Per decisione presa a Berlino, nel 2006, Giuliano Amato e Giscard d’Estaing inserirono nei trattati europei esistenti l’articolato della Proposta di Costituzione europea bocciata dai referendum francese e olandese nel 2005, perché improntata alla competitività dell’Ue sui mercati mondiali e non sul rispetto della dignità umana. In assenza di una Costituzione europea, la base giuridica della politica di coesione si ritrova nel Trattato di Lisbona, in particolare, nell’Articolo 177 (vedasi il secondo paragrafo) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE):

Articolo 177

(ex articolo 161 del TCE)

Fatto salvo l’articolo 178, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, definiscono i compiti, gli obiettivi prioritari e l’organizzazione dei fondi a finalità strutturale, elemento quest’ultimo che può comportare il raggruppamento dei Fondi. Sono inoltre definite, secondo la stessa procedura, le norme generali applicabili ai Fondi, nonché le disposizioni necessarie per garantire l’efficacia e il coordinamento dei Fondi tra loro e con gli altri strumenti finanziari esistenti.

Un Fondo di coesione è istituito secondo la stessa procedura per l’erogazione di contributi finanziari a progetti in materia di ambiente e di reti transeuropee nel settore delle infrastrutture dei trasporti.

Un nuovo cartello gigante che evidenziava il piano di ripresa dell’Unione europea (UE) venne drappeggiato sulla facciata della sede della Commissione europea (CE) in vista dell’imminente vertice europeo a Bruxelles, Belgio, del 19 giugno 2020. In una videoconferenza, i leader dell’UE discussero la creazione di un fondo per aiutare gli Stati membri a riprendersi dall’impatto economico della pandemia COVID-19 in corso, causata dal coronavirus SARS-CoV-2, nonché stabilire un nuovo budget a lungo termine per il blocco. EPA / OLIVIER HOSLET

La politica di coesione sostiene, appunto, la solidarietà europea ed è la principale politica di investimento dell’Unione europea. Muove circa 450 miliardi di euro su un bilancio complessivo Ue di poco più di 1.000.

Per sommi capi, essa riguarda il sostegno a: Creazione e crescita di posti di lavoro, competitività tra imprese, ricerca e innovazione; Investimento nelle persone; Sviluppo sostenibile; Rafforzamento di ricerca e innovazione; Sostegno alle imprese (PMI, Start Up); Miglioramento ambientale (settore idrico, in particolare) e miglioramento della qualità della vita dei cittadini in tutte le regioni e le città dell’Unione europea. Quindi: Potenziamento della dimensione urbana e della lotta per l’inclusione sociale e per il sostegno delle comunità emarginate; Modernizzazione dei trasporti (per una rete transeuropea di trasporto (RTE-T) efficiente).

Sono potenziali beneficiari della politica di coesione gli enti pubblici, le imprese (in particolare le PMI), le università, le associazioni, le ONG e le organizzazioni di volontariato.

La Commissione rende disponibili i finanziamenti all’inizio di ogni anno affinché i Paesi possano iniziare a investire nei progetti. Funge da catalizzatore di ulteriori finanziamenti pubblici e privati, in quanto per un verso obbliga gli Stati membri al cofinanziamento attingendo ai bilanci nazionali, per l’altro, dovrebbe suscitare fiducia negli investitori. Le domande di finanziamento devono essere presentate all’autorità nazionale o regionale che gestisce il programma del caso. Se un progetto presenta un costo complessivo superiore a 50 milioni di EUR, viene sottoposto all’approvazione della Commissione. I programmi sono costantemente monitorati. Sono previsti audit in loco e verifiche da parte della Commissione e dello Stato membro, che devono presentare relazioni nel corso di tutto il periodo di bilancio, la cui durata è di 7 anni. La Commissione può sospendere i finanziamenti allo Stato membro che disattenda le norme di carattere economico dell’Unione europea.

L’attuazione della politica di coesione passa attraverso tre fondi principali strutturali e di investimento :

Queste note sintetiche forniscono una panoramica generale sul processo di integrazione europea.

Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR): mira a consolidare la coesione economica e sociale regionale investendo nei settori che favoriscono la crescita al fine di migliorare la competitività e creare posti di lavoro. Il FESR finanzia, inoltre, progetti di cooperazione transfrontaliera.

Fondo sociale europeo (FSE): investe nelle persone, riservando speciale attenzione al miglioramento delle opportunità di formazione e occupazione. Si propone, inoltre, di aiutare le persone svantaggiate a rischio di povertà o esclusione sociale.

Fondo di coesione: investe nella crescita verde e nello sviluppo sostenibile e migliora la connettività negli Stati membri con un PIL inferiore al 90 % della media UE a 27.

Con il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP), i fondi appena descritti costituiscono i Fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE) (ec.europa. eu/esif).

Fra gli 11 obiettivi tematici dei Fondi FESR e FSE, prioritari della politica di coesione, a sostegno della crescita, al punto 8. troviamo quello di

“Promuovere l’occupazione sostenibile e di qualità e sostenere sostenere la mobilità dei lavoratori.”

Quanto, questo della mobilità, soddisfi gli obiettivi della creazione e della crescita di posti di lavoro e della solidarietà, le esigenze di crescita verso una società europea sempre più integrata e quanto, invece, si ponga in contrasto con le esigenze di crescita e di tutela della famiglia è argomento che richiederà approfondite riflessioni.

Anche coloro che vivono oltre i confini dell’Unione europea traggono benefici grazie ai pro- grammi di cooperazione transfrontaliera Strumento di preadesione. All’evidenza, l’Unione europea costituisce un laboratorio per una nuova umanità, molto poco società e molto poco identitaria.

Nell’occasione di questa pandemia, abbiamo sentito parlare del Fondo di solidarietà dell’Unione europea (FSUE). In caso di gravi calamità naturali, gli Stati membri possono, inoltre, richiedere aiuti mediante FSUE, che può essere mobilizzato per un importo complessivo massimo annuale di 500 milioni di EUR.

La politica di coesione in Italia

In Italia, il Dipartimento per le politiche di coesione è il dipartimento, incardinato presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che opera nell’attività funzionale al coordinamento, alla programmazione ed all’attuazione delle politiche di coesione e di sviluppo territoriale.

3797.- Il 62% dei francesi pensa che “l’Islam rappresenta una minaccia per la Repubblica” (Opinion Way for Science Po)

29 ottobre 2020. La giovane madre di tre figli assassinata perché infedele. “Dite ai miei figli che li amo”: Sono state queste le ultime parole pronunciate prima di morire della donna trovata in fin di vita nel bar accanto alla cattedrale di Nizza dove si era rifugiata dopo essere stata colpita alla gola dallo sgozzatore, che, al grido Allahu Akbar, ha ucciso anche altre due persone.

Per il 50% dei francesi, l’immigrazione è una fonte di arricchimento culturale. Ma la Rivoluzione cristiana, che ha improntato di sé le nostre società, pose alla sua base l’Amore per il prossimo. Tutte le religioni hanno diritto di cittadinanza in Francia, come in Italia, ma l’Islam è una dottrina di potere, di conquista e violenta, che si impone ai suoi fedeli come un sistema dittatoriale incompatibile con lo Stato laico e con le sue leggi. L’Islam non rispetta la civile convivenza, la pari dignità tra le persone, non rispetta la donna, essere inferiore e schiava sessuale; non accetta il principio della multi religiosità, cui l’art. 1 della Costituzione francese e l’art. 8 della Costituzione italiana subordinano il diritto di una religione ad essere professata. L’Islam è una concessione per Grazia divina. Per Maometto, i musulmani sono la razza “superiore” e tutti i non musulmani, a cominciare da ebrei e cristiani, in quanto miscredenti, sono razza “inferiore”. L’Islam crede in un solo Dio, come gli ebrei e i cristiani, ma il nostro Dio non può chiamarsi Allah: il dio che Maometto, nel 621 d.c., sostanziò nel Corano, operando una sintesi politeista fra 359 divinità pagane: “Allah è il Creatore di tutte le cose, egli è l’Unico, il Supremo Dominatore (13, 16).”

Norma suprema del sistema giuridico francese, la Costituzione del 1958 e quella italiana del 1948, conferiscono al principio di laicità un valore costituzionale. Leggiamo:

Articolo 1 Costituzione della Repubblica francese

La Francia è una repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale. Essa assicura l’eguaglianza dinanzi alla legge a tutti i cittadini senza distinzione di origine, di razza o di religione. Essa rispetta tutte le convinzioni religiose e filosofiche.La sua organizzazione è decentrata.

Articolo 8 Costituzione della Repubblica italiana

Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

La “Guerra Santa” e il “Martirio” per sterminare i miscredenti sono obbligatori. La Sharia condanna a morte e all’inferno il suo fedele divenuto apostata, gli omosessuali. Per tutte queste ragioni, è stato vietato professare l’Islam in Europa per 1400 anni. Anche per l’Islam, la vita è un dono di Dio, perciò, l’assassino islamico agisce per mano di Allah.

I musulmani sono persone come tutti e, di per sé, ciascuno di loro non rappresenta una minaccia, ma un arricchimento. A tale proposito, quando si parla di integrazione, bisogna distinguere. Integrarsi significa scambiarsi i propri valori ed è fuori di ogni dubbio che la stragrande maggioranza dei migranti economici che accogliamo, distraendo le pubbliche risorse, non abbia alcun valore da scambiare, conosce poco o nulla la legge, se musulmani, conoscono appena qualche versetto del Corano e non hanno avuto alcuna istruzione, semplicemente, perché in molti paesi non esiste una pubblica istruzione.

Qui, “La Lettre Patriote” ha pubblicato i risultati di un sondaggio tenuto in Francia sull’arricchimento culturale portato dall’immigrazione e sulla minaccia dell’Islam per la radice cristiana dei francesi.

DRLa Rédaction

La radice cristiana della Francia è perduta. La Francia è perduta! Poiché il cristianesimo, come filosofia di vita, è libertà, paradossalmente, il sistema dittatoriale dei musulmani è funzionale ai disegni della finanza mondiale sionista, che ne favorisce l’espansione.

3778.- Italia e Africa Orientale, ieri e oggi.

Mentre stiamo subendo un’invasione criminale di migranti economici, è giusto ricordare cosa fecero gli italiani per l’Africa e cosa fecero gli africani per l’Italia: A Cheren (1941), la battaglia finale degli italiani in Africa Orientale, 10.000 eritrei, somali, etiopici, tutti soldati italiani, diedero la vita combattendo come leoni, fino all’arma bianca. Parlano due Medaglie d’Oro al Valor Militare. Oggi, la politica del governo invita chi viene dall’Africa a rischiare la vita in mare per godere delle risorse prese agli italiani. Non è solidarietà, ma traffico di esseri umani e ha uno scopo. Un’invasione, le cui cifre vanno già a sei zeri, di gente, in massima parte senza legge, senza arte né parte, destinata ad essere ghettizzata o a delinquere, assolutamente non integrabile con quei numeri. Prima e durante il discusso ventennio, l’Italia investì nell’Eritrea, nella Somalia, nella Libia e nell’Etiopia conquistata le sue risorse e tutta la sua civiltà. La follia della guerra impossibile e il successivo saccheggio degli alleati distrussero questo patrimonio. Nessuno vi parlerà della resistenza degli eritrei italiani condotta per due anni contro gli occupanti inglesi. La cronaca di oggi di quei popoli è ben diversa.

VI° Battaglione Arabo Somalo

di Adam Basettoni

Difficile ad oggi spiegare ciò che fu emotivamente la A.O.I ad un giovane italiano. L’Italia di inizio del ‘900 era uno Stato giovane, povero, proletario e contadino e soprattutto un Paese di emigranti. Migliaia e migliaia di compatrioti cercavano fortuna ed una vita migliore nelle lontane Americhe. Eravamo un popolo ricco di braccia, ma non di opportunità di lavoro per le sue genti . Con l’avvento del Fascismo la musica cambió. L’Italia ebbe uno sviluppo industriale , sociale , sanitario , scolastico , unico al mondo. I territori di Libia , Somalia e soprattutto Eritrea divennero un potenziale enorme ed i flussi migratori vennero incanalati in quelle terre per non mandare i nostri ragazzi oltre oceano. Eritrea .. fu un laboratorio del Fascismo. Si ebbe mano libera su quella che poteva essere la società ideale. L’Italia spese fior di quattrini per trasformare quel fazzoletto d’Africa . L’idea di trasformare un Paese in suolo Italiano per andarci a lavorare, di trattare un impero come un luogo dove bisognava portare delle cose» anziché depredarlo è “l’innovazione” del colonialismo italiano e fascista, diverso da quello inglese e francese”, così annota nel 1936 il giornalista Evelyn Waugh. Si costruiscono strade, chiese, abitazioni, si coprono i mercati, si porta acqua e luce per incoraggiare l’arrivo della piccola borghesia riottosa a lasciare casa. L’Africa italiana diventerà un insolito esempio d’industrioso ingegno, artigianato capace di formare, ovviamente per poterla utilizzare, manodopera locale, meccanici, sarti, falegnami, fioristi, panettieri, fabbri, calzolai. Apprendistato e scuole d’arti e mestieri, aperte (parzialmente) anche ai nativi, lasciano un segno, visibile ancora oggi. Basti pensare al “lessico italiano” della ferrovia, voluta per motivi commerciali per far viaggiare merci e persone dal porto di Massawa, il più importante dell’Africa Orientale Italiana, verso l’altopiano.

La littorina Asmara-Massaua. La prima tratta, disegnata dall’ingegner Eugenio Olivieri, venne costruita alla fine dell’ottocento per esigenze militari, e ultimata nel 1911.  Racconta, l’anziano ferroviere eritreo, le vicende della più straordinaria linea ferroviaria del mondo e soddisfa, con orgoglio e competenza, in un perfetto italiano, ogni curiosità. Lui sa tutto sulla storia della ferrovia Asmara Massaua, 118 chilometri di binari, 30 gallerie, 26 ponti e viadotti, partendo da più di 2400 metri di altezza per arrivare al mare.

Ancora oggi agli anziani in Eritrea se gli viene chiesto se quel muro lo hanno fatto gli Italiani ti risponderanno di sì ma se gli chiedi se sono sicuri di questo ti risponderanno : “no….ma se non lo hanno fatto gli Italiani certamente sono stati loro che ci hanno insegnato a farlo “.– costruzione di una rete ferroviaria impressionante per l’arditezza ingegneristica.– costruzione di migliaia di chilometri di strade (molte bitumate) e di numerosi ponti;– ampliamento e potenziamento del porto di Massaua che divenne il principale porto del Mar Rosso ed un importante centro per la pesca (pesce, perle, madreperla, conchiglie);– costruzione di ospedali e dei prima inesistenti servizi sanitari (ambulatori, dispensari, lebbrosari e tubercolosari);– costruzione di acquedotti e della diga di Gasc per garantire le irrigazioni delle piantagioni;– sviluppo zootecnico (ovini, caprini, bovini) e agricolo del grande altopiano (cereali, semi oleosi, legumi, sisal) e del bassopiano (cotone, caffè, tabacco), fin giù verso il deserto della Dancalia (palme, sanseviera, aloe, senna);– costruzione della teleferica Asmara-Mar Rosso (la più lunga linea aerea “trifune” mai costruita al mondo) indispensabile per superare agevolmente i 2.300 metri di dislivello tra Asmara e il Mar Rosso;– costruzione di stabilimenti (tessili, alimentari, conciari, del legno, della carta e metalmeccanici) e di una rete di piccoli laboratori per l’artigianato locale;- costruzione di scuole di ogni ordine e grado e di scuole per le popolazioni indigene – costruzione tra il 1936 e il 1941 di gran parte della capitale Asmara (con popolazione a maggioranza italiana) che divenne una città moderna sia come urbanistica che come edifici pubblici e servizi e per questo fu soprannominata la “Piccola Roma” dove gli architetti fecero a gara per costruire case ed edifici pubblici in art decó, razionalismo L’integrazione tra gli italiani e la popolazione locale fu completa e la dimostrazione più lampante fu l’apporto dei reparti di Ascari eritrei (oltre centomila uomini) che combatterono a fianco dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, con un numero minimo di diserzioni rispetto all’elevata percentuale di diserzioni registrata nei reparti coloniali delle altre nazioniNon solo, dopo la sconfitta dell’Italia e l’occupazione inglese nel 1941, reparti di Ascari fiancheggiarono gli italiani ancora alla macchia nella guerriglia contro gli inglesi fino alla fine del 1943.Perdemmo i nostri territori nel 1941 . Il problema è che in queste terre storicamente non si insediò mai la retorica esasperata della Resistenza al Fascismo perché chiaramente non vi fu. L’amore degli italiani per l’Eritrea e ció che aveva rappresentato continuó per tanti anni. Gli alleati saccheggiarono il Paese smontando pezzo a pezzo la nostra industria e misero le basi per la distruzione che negli anni a venire incendiarono la nostra terra e coinvolse in maniera tragica i nostri fratelli eritrei. Inutile girarci intorno . L’Eritrea dal 1922 al 1941 è una spina nel fianco alla retorica antifascista della sinistra italiana. La resistenza qui si fece ma contro gli Inglesi e fu accanita.(Fronte di Resistenza ed i Figli d’Italia).Gli Ascari mai si girarono contro gli Italiani perché essi stessi si sentivano italiani . Fu la storia che obbligó gli italiani a girare le spalle a quelle amate terre, agli amati Eritrei e a quasi 50 anni di sacrifici, lavoro, investimenti, sudore e sangue. VAE VICTIS, Viva l’Italia , Viva l ‘Eritrea 🇮🇹🇪🇷

Dall’Eritrea all’Etiopia. Il Negus Hailè Selassiè

Hailè Selassiè: «Sono molto dolente che le circostanze di questa guerra non consentano di fare la conoscenza personale del generale Nasi, verso il quale professo la più alta ammirazione e la più viva riconoscenza per le direttive di politica indigena, inspirata ad un largo senso di giustizia e di umanità, da lui adottate e imposte durante tutto il periodo del suo vice-governatorato generale. Le migliaia di abissini da me interrogati dopo il mio ritorno in Etiopia mi hanno fatto, senza eccezioni, unanimi commoventi grati elogi del trattamento usato dal generale Nasi verso le popolazioni native dell’impero».

Con la sconfitta degli italiani in Africa Orientale il 20 gennaio 1941  l’Imperatore Hailè Selassiè fece ritorno in Africa per rientrare trionfalmente, con il supporto degli inglesi, in Addis Abeba il 5 maggio 1941. Però «gli etiopici non tardarono molto ad accorgersi che gli inglesi liberatori […] ostentavano un disprezzo, un distacco razziale, di cui, in genere, gli italiani non erano capaci». (Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale – 3. La caduta dell’Impero).

GeneraleGuglielmo_Nasi

Il 17 giugno 1941 l’ex ministro italiano in Etiopia Renato Piacentini incontrerà il Negus, il quale dichiarerà la sua amarezza e sconforto verso gli inglesi che non gli avevano concesso nessuna autorità, contrariamente a quanto convenuto a Londra, tanto che pure la polizia indigena dipendeva direttamente dall’ufficio politico britannico, ed egli era stato relegato nel palazzo imperiale senza alcuna sovranità.«Sono molto dolente – dichiarerà Hailè Selassiè – che le circostanze di questa guerra non consentano di fare la conoscenza personale del generale Nasi, verso il quale professo la più alta ammirazione e la più viva riconoscenza per le direttive di politica indigena, inspirata ad un largo senso di giustizia e di umanità, da lui adottate e imposte durante tutto il periodo del suo vice-governatorato generale. Le migliaia di abissini da me interrogati dopo il mio ritorno in Etiopia mi hanno fatto, senza eccezioni, unanimi commoventi grati elogi del trattamento usato dal generale Nasi verso le popolazioni native dell’impero». (da una una dichiarazione del 5 febbraio 1946, rilasciata da Piacentini al generale Nasi. Vedi documenti AB, ONU, Somalia, b. 2/b, alleg. 5)Dichiarazione confermata il 6 luglio 1965 dall’allora ministro per la Riforma dell’Amministrazione Luigi Preti, in visita in Etiopia: «Ti confermo quanto ti è stato riferito all’Ambasciata Italiana in Etiopia circa il giudizio positivo espresso dall’Imperatore Hailè Selassiè nei confronti dell’Italia. Soggiungo che nell’incontro che ebbi con lui, mi parlò molto bene anche del Generale Nasi ed ebbe particolari espressioni di lode per le imponenti Opere di viabilità realizzate dagli italiani in quella terra». (Documento n. prot. 06998, citato da Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale – 3. La caduta dell’Impero)..di © Alberto Alpozzi – Tutti i diritti riservati

I racconti dell’ascari Beraki Ghebreslasie, “fedele soldato italiano”

Dalla guerra italo-abissina alla difesa di Gondar. L’incredibile epopea di un anziano reduce che, con la nostra uniforme, seppe servire con fierezza e orgoglio la nostra e… la sua Patria.

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Beraki Ghebreslasie un anziano cittadino di 94 anni. Lo incontro in una casa di riposo per anziani del comune di Roma in cui vive ospite da molto tempo. Il colore scuro della pelle ricorda la sue origini etiopi, ma stringendomi la mano si affretta presentarsi come “fedele soldato italiano”. Nato ad Adinebri, ma vissuto in Eritrea si arruolò nel 1933 nel Regio Esercito e combattè a fianco dei nostri sodati nella seconda guerra italo-abissina del 1935-1936 e nell’ultima resistenza a Gondar contro gli Inglesi nel 1941, sotto il comando del Generale di Corpo d’armata Guglielmo Nasi.Ghebreslasie un Ascari che giurò fedeltà alla bandiera italiana e combatté per essa fino alla resa dell’Africa Orientale Italiana. Gli ascari erano soldati indigeni volontari inquadrati nelle formazioni regolari del Regio Corpo Truppe Colonia italiano. Le loro origini risalivano al 1889, con la costituzione dei primi quattro battaglioni eritrei, i cui componenti ricevettero l’appellativo di “Ascari”, dall’arabo “Ascar”, soldato. Indossavano una divisa i cui caratteri distintivi erano un copricapo denominato “tarbusc” e una fascia avvolta in vita, denominata “etag”, con i colori dell’arma o dell’unità. Ghebreslasie combatté dapprima come semplice ascaro, partecipando alla conquista dell’Etiopia e successivamente con il grado di Sciumbasci, l’equivalente del nostro maresciallo, nel 1941 alla difesa del ridotto di Gondar, capoluogo della regione dell’Asmara. Ho ripercorso con lui le vicende belliche di quegli anni di cui serba un ricordo vivido ed emozionale, quasi come se da allora il tempo per lui si fosse fermato.

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“Io ero fiero di essere un soldato italiano. Lo sono stato sempre. Sia nella vittoria sia nella sconfitta. Mi sono arruolato per rendere onore alla mia bandiera, quel tricolore sotto cui sono nato e fu proprio quando gli inglesi lo minacciarono che io mi sentii offeso nell’orgoglio e lottai oltre le possibilità fisiche e mentali, oltre anche all’umana paura, pur di compiere il mio dovere di soldato. Per il mio Re Vittorio Emanuele III ho sofferto la fame, perso il sonno e provate dolore. Però ho sempre avuto la convinzione che servire l’Italia sarebbe stata la missione più nobile della mia vita. Avevo ragione.”

Massaua-Asmara, la teleferica più lunga del mondo capolavoro dell’ingegneria italiana

Di Alberto Alpozzi fotogiornalista,

Diversi asmarini mi hanno richiesto di parlare della teleferica in Eritrea. Molti di loro non l’hanno conosciuta ma io ho avuto questa fortuna avendola a due passi da casa. Ancora ragazzino guardavo estasiato i carrelli che penzolavano lungo le funi della teleferica, a due passi da casa mia a Godaif. Erano gli anni dal 49 al 50 e gli inglesi non avevano ancora smantellato questa colossale opera che ci rubarono prima di andarsene via da Asmara, nel 1952. Per chi veniva giù dal posto di blocco per Decamerè verso Asmara, a ridosso del villaggio di Godaif sulla sinistra si trovava il deposito di autobus della Salvati e, proprio di fronte, il terminale della teleferica. Era un area che con gli amici bazzicavamo in cerca di emozioni, sino a spingerci a salire sui primi tralicci per avvicinarci ai carrelli fermi in sospensione nel vuoto. Asmara, sino agli anni ’40 era il collettore del traffico mercantile marittimo proveniente dal Mar Rosso e diretto nel cuore di quello che era stato l’Impero coloniale italiano.

Da Asmara, a 2.400 metri di altitudine si irradiavano due grandi direttrici: verso Adua, Axum, Gondar, da un lato, prendendo la camionabile per Adi Ugri e Makalle, Dessiè, Addis Abeba dall’altro, sulla camionabile per Decamerè. L’altezza era un grande impedimento per il trasferimento delle merci dal porto di Massaua ed ecco che nel 1911 arriva in Asmara la ferrovia a scartamento ridotto che fu in grado di colmare il gran salto, attraversando serpeggiamenti da capogiro lungo le pendici dell’Acrocoro Eritreo.

Ma la potenzialità della ferrovia era troppo scarsa per sopperire alle crescenti proporzioni del traffico che si sviluppava anche su gomma, lungo la strada degli italiani che in 113 Km portava da Massaua alla capitale. Ecco quindi che nacque il progetto per realizzare la teleferica, la grande opera di ingegneria italiana, considerata all’epoca la più grande del mondo. Con l’avvento della teleferica la corrente dei traffici mercantili verso l’interno viene raddoppiata. Quest’opera ammirata da tutto il mondo fu affidata alla ditta Cerretti & Tafani mentre le funi furono fornite dalla dai fratelli Redaelli di Milano. I potenti motori erano della Franco Tosi di Milano. Aveva un sistema a tre funi. Due avevano funzione portanti e costituivano le vie di corsa di due correnti di vagoncini con opposto senso di marcia, mentre la terza aveva una funzione traente e collegava fra loro i vagoncini trainabili nel loro moto.

Furono impiegati 1.000 tonnellate di parti meccaniche, altrettanto pesavano le funi e circa altre 2.000 ton. di carpenterie metalliche. Sotto il profilo qualitativo la teleferica era quanto di meglio poteva offrire l’industria mondiale. Ben 75 Km. di viaggio aereo di vagoncini per trasportare nei due sensi oltre 30 ton. di merce, da Campo Marte, Mai Atal, Dogali, Sabarguma, Embatkalla, Ghinda, Nefasit.

Poi gli inglesi la rubano, la distrussero per privarci di una risorsa che avrebbe fatto ancora più grande l’economia dell’Eritrea e anche perché si vergognavano di non aver mai avuto ingegneri bravi come i nostri.

di Pasquale Santoro – Foto sono tratte dal sito eritreaeritrea

3756.- Dall’esercito di Roma, una lezione per chi parla d’integrazione

Roma fu maestra d’integrazione dei popoli sottomessi, che furono sapientemente inseriti, sopratutto, nell’esercito. I governi dei presidenti, nemici dichiarati dell’identità italiana, favoriscono un costante afflusso di gruppi di senza legge e di fuorilegge, che vengono inseriti in blocco come intere comunità e rimangono legati ai loro usi e costumi, barbari e al loro modo di combattere per il territorio, senza mai integrarsi realmente.

La legione romana: storia dell’evoluzione dell’esercito romano

Una ricostruzione dettagliata della progressiva evoluzione dell’esercito romano partendo dall’epoca regia, passando dalle riforme di Gaio Mario e di Augusto, fino ad arrivare al Tardo impero: organizzazione, composizione, armamenti, tattiche e schieramento sul campo di battaglia della legione romana.

da Fatti per la Storia, Redazione, 8 Febbraio 2021. Di Giacomo Scappaticci

La legione romana: età monarchica e riforma serviana

In età arcaica gli scontri tra i popoli del Lazio si configurano come scontri circoscritti tra gruppi a volte ancora seminomadi o stanziati in villaggi rurali e sono svolti più che altro per bande, con un armamento ancora rudimentale e senza protezioni difensive come scudi e corazze.

Ancora nella prima epoca regia permane un fondamento guerriero basato sul predominio gentilizio, in cui le gentes più abbienti e prestigiose, possono armarsi in modo migliore e assicurare la sicurezza del resto della popolazione circondandosi di numerosi clientes subalterni armati alla leggera; spesso anche guerre di più ampio respiro sono condotte secondo questa logica (un esempio è la guerra della gens Fabia contro Veio, vista quasi come affare privato di una sola famiglia).

Inizialmente l’ordinamento, voluto secondo la tradizione già da Romolo, è quello con un’organizzazione in tre tribù (Tities, Ramnes, Luceres) a loro volta suddivise in dieci curie le quali forniscono ognuna 100 fanti e 10 cavalieri, per un totale quindi di 3000 fanti e 300 cavalieri (detti celeres).

Già Tarquinio Prisco decide di raddoppiare gli effettivi dei cavalieri ma è con la riforma serviana, attuata da Servio Tullio (e che si realizzerà compiutamente solo in età repubblicana), che si assiste ad un cambiamento di mentalità le cui cause sono da ricercare negli accresciuti livelli di ricchezza e negli sviluppi tecnologici e quantitativi nella produzione del metallo lavorato.

Con queste trasformazioni si rende necessaria una riorganizzazione dell’esercito fondata sulla ricchezza  così da rendere centrali quegli elementi che possono permettersi, grazie alle loro disponibilità economiche, un armamento migliore, innalzando in questo modo la qualità complessiva delle truppe; si approda così ad un’impostazione militare sul modello oplitico che già stava prendendo piede in Grecia e in parte tra gli Etruschi.

L’ordinamento centuriato prevede quindi una divisione in classi basate sul censo, calcolato utilizzando l’asse, moneta bronzea romana. Ciascuna classe deve fornire un certo numero di centuriecioè unità composte da 100 fanti, per un totale di 193, secondo il seguente schema:

– seconda, terza e quarta classe: con un censo minimo rispettivamente di 75.000, 50.000, 25.000 assi che forniscono ciascuna 10 centurie di iuniores e 10 di seniores;

– quinta classe: con un censo minimo di 11000 assi che forniscono 15 centurie di iuniores e 15 di seniores.

A queste 188 centurie se ne affiancano due di soldati tecnici e del genio provenienti dalla prima classe, 2 di musici che invece provengono dalle tre classi intermedie e infine una di capite censi, i proletari senza un capitale, che accompagnano l’esercito con varie funzioni di supporto e, poiché sprovvisti di armamento, raccolgono durante la battaglia le armi di caduti e feriti per rimpiazzarli.

L’armamento in questo periodo consiste, per le classi di censo superiori, in quello tipico dell’oplita greco con elmi di tipo dorico, oplon (lo scudo tondo o ovaleggiante), armatura pesante e spada (di tipo greco come kopis a lama dritta o xyphos a lama ricurva). Via via che si scendeva di censo, l’armamento diveniva sempre più leggero con armature che potevano essere semplici lastre metalliche fissate al busto, corpetti di cuoio o addirittura non presenti e armi offensive di qualità inferiore, sostituite per le truppe più leggere con armi da getto di vario tipo (fionde, frombole).

La legione romana: periodo repubblicano e legione manipolare

L’esercito centuriato di stampo oplitico resiste e si perfeziona per tutta la prima fase repubblicana, rimanendo il fulcro centrale della fase espansionistica di Roma tra V e IV secolo a.C. ai danni di Veio e poi della Lega Latina.

E’ durante le guerre sannitiche, svoltesi a più riprese tra il 343 e il 290 a.C., che il sistema mostra i primi segni di crisi: la rigidità dell’esercito oplitico se da un lato assicura coesione, solidità e forza d’urto allo schieramento e risulta quindi superiore nelle battaglie campali, si dimostra però troppo macchinosa di fronte al più flessibile esercito sannita, in particolar modo nei territori appenninici e centro-meridionali caratterizzati da conformazioni più impervie.

legione romana

I romani, mostrando una caratteristica propria di tutta la loro storia (e non solo in ambito militare), apprendono ciò che può risultare utile dai loro avversari assorbendo le caratteristiche più vantaggiose delle forze sannite, riorganizzando di conseguenza l’esercito: nasce così la legione manipolare, che si perfezionerà poi durante le guerre pirriche e ancor più durante la seconda guerra punica.

La nuova unità tattica diviene il manipolo composto da 120 uomini, con la legione è composta da 30 di essi, con il seguente inquadramento:

– 10 manipoli di hastati, i soldati più giovani, così chiamati dalla lancia in dotazione (hasta) ma che ben presto viene sostituita dal pilum un giavellotto “copiato” dai sanniti ma forse già mutuato in precedenza dalla realtà etrusca. Completano l’equipaggiamento uno scutum ovale, l’elmo (il più utilizzato è quello di tipo Montefortino di origine celtica), un’armatura che può essere di vario tipo (da semplici placche di metallo fino alla lorica hamata, la cotta di maglia) e la spada, il cui modello più diffuso è quello La Tene B di origine celtica, nonostante permanga il diffuso utilizzo di spade di importazione greca come kopis e xyphos. Esse verranno sempre più sostituite dal celebre gladio hispaniense a partire dalla seconda guerra punica in poi. Infine viene portato anche un corto pugnale chiamato pugium;

– 10 manipoli di princeps, soldati più esperti e di età maggiore, forniti di un equipaggiamento simile ma di qualità migliore e più omogeneo (ad esempio le cotte di maglia sono la regola);

– 10 manipoli di triarii, i soldati più anziani ed esperti che fungono da riserva e i cui manipoli sono di soli 60 uomini e che mantengono un armamento in stile oplitico con robuste lance (hastae) ed equipaggiamento pesante.

Ogni manipolo è poi diviso in due centurie ognuna comandata da un centurione (il centurione di quella posizionata a destra detto prior è di grado più alto rispetto all’altro detto posterior e comanda l’intero manipolo). Essi sono coadiuvati da un optio, un secondo in comando che si posiziona in fondo alla centuria e ha il compito di tenere i legionari nei ranghi ed evitare eventuali diserzioni tramite l’uso di un bastone.

A completare i quadri di comando superiori abbiamo 6 tribuni militari in ogni legione di cui uno è di grado massimo rispetto agli altri.

Alla fanteria pesante di linea si aggiungono i velites, i fanti leggeri, non inquadrati in manipoli e centurie ma formalmente aggregati in numero di 40 a ciascun manipolo per un totale di 1200. Essi hanno un armamento composto prevalentemente da armi da lancio come il pilum, fionde e plumbatae (dardi corti e pesanti) e un equipaggiamento difensivo privo di armatura e composto solamente dal parma, un piccolo scudo rotondo.

Infine la cavalleria, composta da 10 turmae (squadroni) di 30 uomini ciascuna, per un totale di 300 effettivi. La cavalleria non è una specialità dei romani, sia perché essi non apprezzano il combattimento a cavallo sia a causa di limiti tecnici fra cui la mancanza della staffa, sconosciuta ancora per molti secoli nel mondo romano, il che rende il cavaliere troppo instabile e privo della forza d’urto tipica di una cavalleria pesante.

Per queste ragioni è un reparto con tipici compiti di cavalleria leggera: azioni di disturbo, protezione dei fianchi della fanteria e tentativo di aggiramento di quelli avversari e inseguimento in caso di ritirata dei nemici. Il totale delle truppe è quindi di circa 4200 uomini ma nei fatti la grandezza della legione varia dai 3000 ai 5000 effettivi.

All’esercito regolare si aggiungono i contingenti forniti dagli alleati (soci) italici, in numero più o meno equivalente agli effettivi delle legioni, ai quali per i motivi sopra esposti sono richiesti soprattutto reparti di cavalleria e altri reparti specializzati.

Con la progressiva espansione territoriale si moltiplicheranno i popoli sottomessi a Roma sia come province che come regni clienti, i quali affiancheranno e sostituiranno i contingenti inviati dai soci italici (i quali peraltro diventeranno cittadini romani al principio del I secolo a.C.).

Questi contingenti risulteranno spesso cruciali per colmare il bisogno di truppe specializzate in determinati settori di cui l’esercito romano era lacunoso (alcuni esempi degni di nota possono essere la cavalleria numidica e i frombolieri delle Baleari, truppe leggere armate di fionda che fornivano del fuoco a distanza per scompaginare le linee avversarie).

Tali truppe ausiliarie si integreranno sempre più all’esercito durante le guerre civili e saranno poi regolarizzate, come vedremo, da Augusto.

La disposizione tipica in battaglia di questo periodo è su tre linee, disposte a scacchiera, con la prima linea formata dai manipoli di hastati, posti a distanza l’uno dall’altro in maniera tale che i vuoti siano riempiti dalla seconda linea dei principes e questa allo stesso modo davanti ai triarii in terza linea.

Le prime due linee si alternano nell’assalto delle linee nemiche, con la prima che viene sostituita dalla seconda quando i soldati sono stanchi; durante il primo assalto gli hastati scaricano sugli avversari salve di pila, i quali sono costruiti in modo da piegarsi o rompersi dopo l’urto cosicché anche quando colpiscono gli scudi nemici li rendono inutilizzabili perché rimangono incastonati in essi.

I triari subentrano solamente nel caso che le prime due linee non riescano ad avere ragione dell’avversario e soprattutto se esse ripiegano: in questo caso i triari hanno il compito di coprire la ritirata reggendo l’urto nemico, compito per il quale sono più consoni grazie all’impostazione e all’armamento pesante di stampo oplitico (infatti l’espressione “res ad triarios redddit” cioè “ridursi ai triari” è l’equivalente nel linguaggio comune del nostro “arrivare alla frutta”).

Ai lati dello schieramento si dispongono la cavalleria e le truppe ausiliarie, mentre i velites sono posizionati davanti agli hastati con il compito di primo approccio dell’esercito nemico per provare a scompaginarne le fila con rapide incursioni e l’utilizzo delle loro armi da getto per poi ritirarsi dietro le linee amiche, in seconda battuta potevano anche servire per colmare i vuoti nello schieramento, rinforzare le linee dei manipoli o aiutare i triari nel proteggere la ritirata con azioni di disturbo.

Infine per completare il quadro occorre segnalare che le legioni sono sotto il comando dei consoli (o una per ogni console quando l’esercito è diviso oppure a giorni alterni in caso siano entrambe schierate insieme). Quando poi il numero di legioni col tempo andrà accrescendosi esse saranno affidate ad altri magistrati cum imperio (come pretori e anche proconsoli e propretori cioè ex consoli o ex pretori).

La riforma Mariana

Della grande riforma dell’esercito intrapresa da Gaio Mario a cavallo tra II e I secolo a.C.abbiamo già delle precedenti avvisaglie: già Scipione l’Africano durante la seconda guerra punica adotta la coorte, unità tattica che può agire autonomamente ed è formata da 3 manipoli (i quali peraltro nel corso del tempo si erano accresciuti numericamente fino ad avere anche 160 effettivi); in secondo luogo per quanto riguarda l’arruolamento, può capitare che nei momenti di maggior pericolo per Roma si armassero i capite censi a spese dello Stato e delle famiglie più ricche (un esempio è stato dopo la battaglia di Canne) e inoltre le riforme graccane provano ad inserire un rimborso e la distribuzione di terre ai cittadini-soldati poiché con le guerre che si fanno più lunghe e protratte (non più solo nel periodo estivo), oltre che sempre più lontane da Roma, si creano forti problemi per i contadini che sono costretti ad abbandonare i loro terreni per anni e al ritorno si vedono sottratte le loro proprietà ormai in disuso dai ricchi latifondisti.

Mario quindi dopo le pesanti sconfitte subite contro le popolazione germaniche dei Cimbri e dei Teutoni, in un momento di bisogno e di carenza di nuove reclute, imposta la sua riforma iniziando ad arruolare non più cittadini-soldato che servono nell’esercito legati dal dovere verso lo Stato romano, ma soldati professionisti che intraprendono la vita militare come carriera retribuita e professionale, formando legioni stabili le quali non vengono congedate alla fine delle ostilità (inizialmente saranno i capite censi e i proletari urbani, poi qualsiasi cittadino di ceto umile che voglia intraprendere la vita militare come alternativa e come possibilità di fare carriera).

I soldati ricevono un regolare salario e un appezzamento di terra o una liquidazione in denaro al momento del congedo, oltre alle spartizioni dei bottini di guerra concesse dai generali durante le campagne militari. Anche per questo la riforma legherà in maniera sempre più stretta i soldati ai loro generali, e questa come si vedrà sarà una delle maggiori cause della fase di guerre civili dell’ultimo periodo repubblicano.

legione romana
Mario vincitore dei Cimbri

Con Mario si perfeziona anche il passaggio dal sistema dei manipoli a quello delle coorti come unità basilare della legione, in numero di 10 e composte da 480 uomini (anche se i manipoli resteranno in uso come unità tattica almeno fino alla fine della Repubblica visto che Cesare ne cita l’utilizzo nel De bello gallico).

Il sistema dei manipoli viene riecheggiato nei nomi dei quadri di comando, idealmente infatti le coorti, numerate in ordine progressivo, sono divise in 3 manipoli e quindi in 6 centurie con i centurioni che hanno un ordine gerarchico in base al manipolo di appartenenza secondo il seguente schema, in ordine crescente:

“Hastatus prior, hastatus posterior, princeps prior, princeps posterius, pilus prior, pilus posterius; il centurione primus pilus, cioè quello della prima coorte, era il più importante della legione, di solito un veterano con diversi anni di servizio, ed era ammesso ai consigli degli ufficiali maggiori.”

Infine  l’unità minima, come numero di elementi, è il contubernia, di 8 uomini, che abitano all’interno di una singola tenda o alloggiamento all’interno dell’accampamento (10 contubernia perciò formavano una centuria di 80 uomini).

In questo periodo i soldati cominciano a travasare parte del loro senso di appartenenza verso la Res Publica per la cui difesa, accrescimento e prestigio combattono, con un forte senso di attaccamento sia al loro generale, come detto in precedenza, che alla loro legione, oltre che un sentimento di cameratismo con i membri dei reparti e del contubernia (che sfocia anche in una sorta di “rivalità” con le altre legioni).

E’ in questo periodo che assume sempre più significato il simbolo della legione (di solito un animale) e l’aquila d’oro introdotta proprio da Mario: perdere una di queste insegne in battaglie era considerato un’onta molto grave per la legione, che veniva spesso sciolta.

Lo schieramento tattico rimane quello su tre linee (triplex acies) con 4 coorti in prima linea e 3 nelle altre due ma ci sono testimonianze (ad esempio in Cesare9 di schieramento su due linee (duplex acies) di 5 coorti ciascuna; ovviamente a seconda delle necessità, date ad esempio dal terreno o dal tipo di avversario, lo schieramento poteva essere anche modificato e stravolto a seconda della sensibilità tattica del generale.

La legione romana: la nascita del principato e l’alto Impero

Dopo il periodo di lunghe guerre civili durato a più riprese per circa 50 anni e culminato con la battaglia di Azio nel 31 a.C., l’esercito subisce una nuova riforma con Augusto (Riforma augustea dell’esercito).

Innanzitutto egli riduce il numero delle legioni, spesso ridotte e decimate nell’organico, accorpandole e portandole dalle circa 60 esistenti dopo la fine della guerra con Antonio a 25 (di ciò abbiamo una testimonianza nel nome di alcune legioni rinominate Gemina poiché nate appunto dalla fusione di due legioni preesistenti). Le stime numeriche per questo periodo parlano di circa 150 mila legionari a cui si aggiungono come vedremo a breve altrettanti ausiliari (peregrini e barbari).

In secondo luogo la ferma viene fissata a 16 anni più 4 come riservisti (evocati, cioè veterani) ma già dallo stesso Augusto gli anni di servizio saranno aumentati a 20 più 5 da evocati.

La paga è stabilita in 225 denarii cioè 900 sesterzi più una liquidazione in terre o denaro al momento del congedo, se avvenuto con onore (honesta missio). Il salario verrà incrementato a più riprese nel corso del tempo giungendo a 300 denarii con Domiziano alla fine del I secolo d.C. e ulteriormente (anche per far fronte alla dinamica inflazionistica che colpirà l’economia già dalla fine del II secolo d.C.) dagli imperatori della dinastia dei Severi; rispetto a questa paga base c’erano una serie di ufficiali della legione che ricevevano stipendi più alti: essi potevano essere sesquiplicarii (paga una volta e mezzo più alta rispetto al normale) o duplicarii (paga doppia).

Bisogna considerare che da questo stipendio ai legionari vengono sottratte le spese per il proprio equipaggiamento e per il sostentamento; solo con Marco Aurelio verrà istituita una forma di annona militare per il vettovagliamento dei soldati a spese dello stato e con Settimio Severo essa si regolarizzerà e vi si aggiungerà anche la spesa per l’equipaggiamento e l’armamento dei soldati.

L’equipaggiamento offensivo rimane simile a quello repubblicano con l’introduzione di nuovi modelli di gladio come il tipo Pompei e il tipo Magonza, per quanto riguarda l’armatura prende sempre più piede la lorica segmentata con cui il legionario romano è più presente nell’immaginario collettivo: essa viene pensata dopo la disfatta di Carre subita dalla cavalleria dei Parti, formata da cavalieri sia pesanti che leggeri armati con arco, e si dimostrerà molto più efficace sia contro le frecce che contro i fendenti portati dal basso verso l’alto tanto che durante le campagne daciche di Traiano verrà aggiunta ad esse anche una manica segmentata per proteggere il braccio dai colpi delle falci tipicamente utilizzate dai Daci.

Nonostante la permanenza del tipo Montefortino anche in tutta la prima fase imperiale, i modelli più diffusi saranno l’elmo imperiale di tipo gallico e poi italico (simile al primo ma più rinforzato sulla calotta e con ampie tese sul collo, anch’esso pensato per il confronto con le falci daciche).

Augusto poi stabilizza le truppe ausiliarie, retaggio del periodo tardo repubblicano, inquadrandole in coorti inizialmente quingenarie (500 uomini) a cui in un secondo momento si affiancheranno anche quelle miliarie (1000 uomini). Esse, affidate a comandanti di rango equestre, possono essere di tre tipi:

– Peditatae, cioè composte di soli fanti;

– Alae di cavalleria, numericamente formate da 16 turme di 30-32 uomini se quingenarie o da 24 turme se miliarie;

– Equitatae, cioè miste di fanti e cavalieri.

Le corti ausiliarie sono composte da peregrini (cioè i non cittadini sottomessi all’impero e che vivevano all’interno dei suoi confini) o anche da barbari se non sottomessi comunque soggetti all’autorità e all’influenza romane e che nelle fasi più avanzate dell’Impero stipuleranno accordi con Roma fornendo periodicamente contingenti di reclute (un esempio sono i cavalieri sarmati che vediamo nel film King Arthur, liberamente ispirato al personaggio storico-leggendario di Re Artù); il nome delle coorti ausiliarie spesso riecheggia la provenienza dei suoi membri.

Alcune sono equipaggiate similmente ai corrispettivi reparti romani ma più spesso dispongono di un equipaggiamento più economico, diverse inoltre sono specializzate e possiedono quindi armamenti peculiari (i sagittarii ad esempio, reparti di arcieri, oppure abbiamo notizia di un reparto reclutato nelle province orientali e montato a cavallo di dromedari).

Le paghe degli ausiliari sono più variabili ma comunque più basse (si suppone anche della metà) rispetto a quelle dei legionari e il congedo avviene dopo 25 anni al termine dei quali il milite ausiliario riceveva una tavoletta bronzea che ne attestava l’ottenuta cittadinanza. Infine si segnala l’esistenza, a partire dal II secolo d.C., di numeri cioè unità reclutate direttamente tra i barbari, comandate dagli stessi loro re o capi tribali e che avevano un equipaggiamento e un modo di combattere autoctoni.

Con Augusto si inizia a regolarizzare la carriera all’interno delle gerarchie dell’esercito dando spazio anche al ceto dei cavalieri nato e accresciutosi in età repubblicana. La legione era affidata solitamente ad un legatus legionis di rango senatorio e al di sotto di esso troviamo i 6 tribuni militari di cui 5 erano detti angusticlavi ed erano di rango equestre mentre il più alto in grado era detto laticlavius ed era di rango senatorio (solitamente era la prima tappa della carriera militare per i giovani rampolli delle famiglie aristocratiche prima di intraprendere le tappe delle magistrature civili del cursus honorum).

Le coorti e le alae ausiliarie erano affidate a comandanti di rango equestre come già segnalato in precedenza. Infine bisogna considerare la creazione di altre truppe presenti in particolar modo nell’Urbe con compiti specifici:

– le coorti pretoriane, che assolvono al compito precipuo di guardia dell’imperatore e sono inizialmente 9 perché la legge vieta che all’interno del pomerio (cioè il confine di Roma) stazioni un’intera legione ma vengono portate a 10 probabilmente già sotto TiberioSettimio Severo le riforma con legionari pannonici a lui fedeli e ne raddoppia gli effettivi (peraltro stanziò a loro rinforzo una nuova legione nei Castra Albana a pochi chilometri da Roma).

Sono comandate dal Prefetto del Pretorio, nominato dall’imperatore stesso, una figura che spesso assumerà poteri notevoli all’interno dei giochi di potere della corte imperiale. I pretoriani saranno sciolti definitivamente da Costantino, perché rei di essersi schierati con il rivale Massenzio durante la battaglia di Ponte Milvio;

– le coorti urbane sono truppe a disposizione del senato e per la difesa dei senatori, comandate dal Prefetto dell’Urbe che era appunto di rango senatorio. Anch’esse inizialmente sono in numero di 3 furono poi portate a 5 e trasformate in miliarie (cioè di 1000 uomini) dall’imperatore Claudio;

– le 7 coorti di vigiles col compito di polizia per reati comuni e soprattutto per il controllo e la prevenzione dei frequenti incendi che scoppiavano in città;

– nel tempo si sono venuti inoltre a creare dei corpi di guardie personali dell’imperatore; inizialmente abbiamo i germani corporis custodes di Cesare, truppe scelte dopo la conquista della Gallia tra i migliori e più fedeli guerrieri batavi (popolo stanziato grosso modo negli attuali Paesi Bassi), i quali perdono prestigio già con Augusto e vengono infine sciolti da Nerone. Traiano poi ricreerà una guardia simile, gli equites singulares augusti, scelti tra i migliori cavalieri dell’Impero e sciolti anch’essi insieme ai pretoriani da Costantino.

legione romana
Scena dalla serie tv Roma

La legione romana nel Tardo Impero

Tra la fine del II e la prima metà del III secolo d.C l’Impero subisce una profonda crisi, al cinquantennio di lotte intestine compreso tra il 235 e il 285 d.C. noto come periodo dell’anarchia militare contribuisce con decisione quel legame sempre più stretto tra le legioni e i propri comandanti, di cui si è parlato in precedenza.

Con Gallieno si hanno i prodromi di quella che sarà la riforma dell’esercito sotto Diocleziano e poi Costantino; Gallieno infatti per primo crea un comitatus cioè un reparto di truppe, in particolar modo di cavalleria, al seguito dell’imperatore e che gli permettono di poter intervenire celermente dove ce ne fosse bisogno.

Con Diocleziano, Costantino e poi sempre più nel IV secolo d.C si va conformando una situazione che vede l’esercito diviso nel modo seguente:

– truppe presentali, cioè alla presenza dell’imperatore, le elité dell’esercito;

 truppe comitatensi, evolutesi in particolar modo dalle vexillationes, già utilizzate dai tempi di Marco Aurelio, quelle coorti “prese in prestito” da alcune legioni per prendere parte alle campagne militari o intervenire in altri scenari dove vi era bisogno della presenza di maggiori truppe, senza sguarnire totalmente la zona di provenienza; esse formano eserciti stanziati nelle città e pronti ad intervenire sui confini o durante le eventuali campagne offensive;

– truppe limitanee, stanziate lungo i confini dell’Impero (in teoria le truppe meno esperte e preparate oltre che equipaggiate in maniera più scadente, anche se studi recenti tendono a ridimensionare questa ipotesi);

– le scholae palatinae istituite da Costantino con i compiti prima afferenti ai pretoriani, da lui sciolti.

Le unità pur se ancora formalmente esistenti come legioni si riducono di numero in maniera significativa già con Diocleziano (per i limitanei si pensa fossero composte da 1000-1500 uomini che potevano arrivare a 3000 per le comitatensi).

Per l’equipaggiamento si consolida una tendenza già presente tra il II e il III secolo d.C. ma ora istituzionalizzata cioè la presenza di fabricae imperiali specializzate; per contenere i costi di queste ultime l’equipaggiamento subisce un calo qualitativo ma esso muta anche a causa delle diverse esigenze tattiche: il pilum viene progressivamente sostituito da altre armi da lancio come le plumbatae, l’elmo di tipo imperiale cede sempre più il posto a modelli conici più semplici come lo Spangenhelm, il gladio viene abbandonato in luogo della più lunga spatha, prima utilizzata prevalentemente dalla cavalleria, lo scutum è sostituito da modelli ovali e di qualità e costo inferiori e infine si ritorna anche all’utilizzo di lance più corte e robuste più simili al vecchio modello oplitico.

Nonostante ciò sembra ormai smentito il luogo comune che vuole l’esercito tardoantico molto inferiore rispetto al suo corrispettivo altoimperiale, se pensiamo che ad esempio ancora nella seconda metà del IV secolo coglie vittorie importanti e schiaccianti come quella di Argentoratum (Strasburgo) ad opera dell’imperatore Giuliano l’Apostata.

Solo dopo Adrianopoli si assiste ad un progressivo decadimento dovuto anche alla barbarizzazione degli elementi che lo compongono, che va letta non più come in precedenza come presenza di ausiliari prima e come affiancamento di reclute barbare in reparti romani poi, ma come vero e proprio arruolamento in blocco di contingenti, gruppi e tribù che vengono inseriti in blocco come intere unità e rimangono legati ai loro comandanti e al loro modo di combattere senza mai integrarsi realmente nell’esercito romano.