Archivio mensile:febbraio 2022

4947.- Questa guerra è la sconfitta del realismo politico occidentale.

Leggiamola così: Gli Stati Uniti hanno sconfitto l’Unione Sovietica, ma non hanno mai avuto la forza per dominare la Russia. La soluzione per non dover competere con i russi per il dominio dell’Europa è stata di spingerli nell’orbita della Cina a svolgervi un ruolo da vassalli. Chi sarà il vincitore e chi il vinto? Vincerà chi sarà capace di controllare l’Eurasia. Dominerà il mondo. Quindi? Saremo controllati da Pechino.

Da La Nuova Bussola Quotidiana, 28 febbraio 2022. Di Eugenio Capozzi.

Con l’invasione dell’Ucraina la Russia di Putin ha valicato un confine che la conduce verso la rottura totale con l’Occidente, e la costringe ad essere fatalmente risucchiata in un asse euroasiatico con la Cina dalla quale ha alla lunga tutto da perdere, in quanto in esso non può che svolgere un ruolo di vassalla. E’ la fine di una lunga stagione in cui il paese, dopo l’assestamento seguito alla fine dell’Urss, ha tentato di trovare un equilibrio tra l’inserimento nell’economia globalizzata e il mantenimento di un suo status di potenza imperiale, per quanto su scala ridotta rispetto al passato. 

Ma questa frattura politica, militare ed economica sempre più radicalerappresenta un danno enorme anche per l’Occidente e per le ragioni delle democrazie liberali. Ed è il risultato di un clamoroso fallimento della politica statunitense, ma anche europea, nei confronti della Russia negli ultimi trent’anni. Un fallimento che si fonda sull’incapacità, mostrata dalle classi politiche occidentali, di comprendere le sfide di un mondo in cui l’Occidente non è più, e forse non potrà mai più essere, il protagonista incontrastato. 

Cosa fare con la Russia? Questa la questione che gli statunitensi e i loro alleati non hanno mai affrontato organicamente ed esaustivamente dopo la fine della guerra fredda e la dissoluzione dell’Unione Sovietica. 
Negli anni Novanta, contrassegnati dalla convinzione generalizzata che il mondo fosse divenuto unipolare e si andasse ineluttabilmente occidentalizzando, le loro classi dirigenti hanno considerato la Russia di Eltsin come un paese in turbolenta transizione verso l’economia di mercato, non più pericoloso né potenziale antagonista sul  piano militare e strategico, nonostante rimanesse la seconda potenza nucleare e il secondo esercito del mondo. 

In tale contesto, l’allargamento della Nato con l’adesione di molti paesi ex “satelliti” o membri dell’Urss – spinta proprio dall’esperienza che quei paesi avevano fatto in passato dell’imperialismo russo e sovietico, e dalla loro volontà di  proteggersi in futuro contro di esso – apparve come un fatto naturale, non suscettibile di creare problemi nelle relazioni con Mosca. Che intanto veniva ammessa nel sistema della governance globale con l’allargamento del G7 in G8 e con le trattative per l’ingresso nel Wto, e veniva attratta nell’area della Nato con il suo coinvolgimento nel Partenariato per la pace dell’alleanza (1994) e con la fondazione del Consiglio Nato-Russia nel 2002. 

Ma intanto qualcosa era cambiato con l’avvento al potere di Vladimir Putin, e gli occidentali non colsero il significato di quel cambiamento. Dopo una fase di disordine ma anche di disgregazione, la Russia cominciava un processo di ricompattamento del potere e di accentramento statalista, e cercava di ritrovare un ruolo di potenza mondiale nel solco della sua secolare tradizione imperiale. Il consolidamento di relazioni politiche ed economiche con essa avrebbe dovuto implicare, per gli Stati Uniti e i suoi alleati, la capacità di ripensare tutto il sistema della sicurezza e delle alleanze euro-occidentali, abbandonando l’idea di un necessario globalismo “occidentecentrico” e tenendo invece nel dovuto conto tanto le leggi della geopolitica quanto il pluralismo inevitabile tra le civiltà che qualche anno prima Samuel Huntingon aveva eloquentemente illustrato.

Davanti alle sfide diverse portate dall’integralismo islamico e dal modello politico ed economico cinese l’interesse occidentale sarebbe stato quello di superare la vecchia impostazione della Nato in favore di una “costellazione” di alleanze con soggetti plurimi, dalla Russia all’area indo-pacifica. Ciò significava, per quanto riguarda l’Europa dell’Est, garantire sia la sicurezza degli Stati ex satelliti che lo status di Mosca come potenza euroasiatica, ridefinendo aree di influenza, convergenze e obiettivi comuni. 

Ma gli Stati Uniti – con le amministrazioni Clinton, Bush jr. e Obama – andarono in una direzione opposta. Da un lato spalancarono le porte all’ascesa di Pechino con l’ammissione della Cina nel Wto nel 2000 e la creazione di un contesto globale ad essa estremamente favorevole. Dall’altro non tennero in conto le preoccupazioni geopolitiche russe, considerandole anzi come degli atti ostili in quanto tali. In Medio Oriente l’interventismo statunitense successivo all’11 settembre 2001, soprattutto a partire dal conflitto iracheno, portava la superpotenza americana a collidere in molti casi con le posizioni di Mosca.

Intanto, nello scacchiere est-europeo come in quello caucasico il processo di ampliamento della Nato o il rapido avvicinamento di Stati ex sovietici all’Occidente alimentavano nei russi un risveglio della sindrome da accerchiamento, che provocava loro reazioni sempre più decise. I conflitti innescati dalla Russia in Georgia (Ossezia del Sud, Abkazia) e in Ucraina – in una lunga sequenza che va dal 2004 agli ultimi sviluppi –  sono stati i casi più eclatanti della reazione imperialista di Mosca, rispetto alla quale l’atteggiamento statunitense e occidentale è stato il crescente isolamento imposto a quest’ultima, e il suo declassamento da potenziale alleato a quasi-nemico: culminato con le sanzioni ad essa imposte a partire dalla sua annessione della Crimea nel 2014. 

L’unico leader occidentale che nell’ultimo ventennio ha percepito i pericoli di questa progressiva degenerazione della fiducia e delle relazioni tra Occidente e Russia è stato Donald Trump, che ha sempre sostenuto, nella sua visione realista e bilateralista della politica estera statunitense, la necessità di un riavvicinamento tra le due parti in funzione anti-cinese, e in virtù di un più alto grado di possibile compatibilità. Ma nel suo mandato presidenziale gli è stato impossibile portare avanti questa strategia per l’opposizione di quasi tutta la classe dirigente del suo paese, così come degli apparati statuali e militari. La sua mancata rielezione, e il ritorno al potere dei democratici con Biden, ha alimentato la nuova escalation di tensione con Mosca culminata ora nell’invasione russa dell’Ucraina, così come il riavvicinamento sempre più stretto tra Mosca e Pechino. 

In questo momento ogni possibilità di riannodare i fili del dialogo sembra pregiudicata, e l’Europa diventa il teatro di uno showdown che inevitabilmente rimetterà in discussione l’assetto del continente, con risvolti imprevedibili. Ma se in Occidente sopravvive un minimo di razionalità politica questa dovrebbe essere impiegata per uscire subito da una logica di contrapposizione frontale, che richiama a divisioni ideologiche oggi tramontate, per riaprire realisticamente e con prudenza, senza abdicare ai suoi princìpi di libertà e democrazia, spazi di mediazione fondati sulle garanzie minime della reciproca sicurezza tra le parti. 

4946.- L’avvio dei negoziati in Bielorussia nel rischioso gioco di azzardi.

Mentre scriviamo, i negoziati tra Russia ed Ucraina sono momentaneamente sospesi riprenderanno a breve, si dice. Zelesky chiede: Di entrare in Europa, il cessate il fuoco e il ritiro delle truppe della Russia; Putin, invece: la smilitarizzazione dell’Ucraina e l’Ucraina Stato neutrale. Zelesky sta facendo una propaganda che Putin non fa perché si richiama al mancato rispetto del memorandum di Budapest e degli accordi di Minsk. Nel frattempo la politica italiana va a rimorchio dei media e l’ONU convoca una riunione d’emergenza.

Da Geopolitica.info, di ALESSANDRO RICCI, 28/02/2022

Appare quanto mai evidente che siamo di fronte a una fase delicatissima del conflitto in Ucraina, in cui si giocano carte che, per certi versi, potrebbero risultare decisive per i destini della crisi e non solo. In questo momento critico si assiste a un pericoloso gioco al rialzo dalle parti, in cui ogni attore azzarda mosse dalle conseguenze potenzialmente dirompenti.

La prima mossa azzardata è stata quella di Putin, in un duplice senso: anzitutto in termini militari e poi dal punto di vista diplomatico. Militarmente il presidente russo ha spinto le proprie truppe ben oltre quanto preventivato da molti osservatori. Se infatti almeno inizialmente si era ipotizzata una mossa tattica sulla scorta di quanto fatto in Georgia nel 2008 e in Crimea otto anni fa, nei giorni scorsi l’avanzata russa ha seguito tre direttrici: dal sud, dalla stessa penisola che si affaccia sul Mar Nero verso l’interno; dal sudest, dalle regioni del Lugansk e Donetsk, oggetto della contesa e, poco più a Nord, verso la città di Kirkev; e poi dal nord, dal territorio bielorusso per penetrare in direzione della capitale Kiev. Dunque non un’azione limitata, volta all’ottenimento immediato e certo delle regioni russofone di cui era stata dichiarata l’indipendenza, ma su vasta scala, con l’altro obiettivo sotteso di destituire Zelensky e manovrare il governo ucraino in senso apertamente russofilo.

Il secondo azzardo di Putin ha riguardato l’aumento della tensione diplomatica, evocando implicitamente l’uso delle armi nucleari. Si tratta di mosse che rispondono alla nota aggressività russa, derivante anche dalla perdurante sensazione di accerchiamento occidentale, ma che comportano un grado di rischio assai più elevato dei vantaggi, rispetto alle tattiche usate negli anni precedenti: fermarsi alle due repubbliche avrebbe garantito con ogni probabilità una conclusione immediata e pressoché certa del conflitto a proprio favore, senza innescare una risposta massiccia. D’altro canto, questo avrebbe garantito una posta in gioco più alta, relativa alla sicurezza di avere un vicino di casa gestito dal Cremlino e con la garanzia di mantenere la Nato e l’UE ben distanti dal proprio territorio e, in un’ottica futura, una maggiore stabilità interna e internazionale.

L’azzardo è anche quello ucraino e si snoda su fattori tattico-strategici e identitari: opporre una strenua difesa all’avanzata russa, chiedendo il sostegno internazionale e, come fatto ieri, l’adesione all’UE, rappresentano momenti inaspettati anzitutto per Mosca e che certamente hanno rallentato i piani militari russi. Il rischio è chiaramente rappresentato dalle possibili rappresaglie cui va incontro non solo il presidente ma anche il popolo, a cui a più riprese Zelensky si è rivolto nei giorni scorsi. Chiederne il diretto coinvolgimento significa porre lo scontro su un piano che, a lungo andare, minerebbe l’intera tenuta sociale del paese, soprattutto se si comparano le forze militari in campo. In questo senso, l’appello all’identità nazionale e all’appartenenza territoriale appaiono come i perni attorno a cui l’azione di resistenza – come d’altronde è sempre stato nella storia delle resistenze – si snoda.

Da parte occidentale, abbiamo assistito ad almeno un doppio azzardo, proprio mentre si confermava le voci di un avvio alle fasi di dialogo tra le parti a Gomel, città bielorussa non casualmente al confine tra il paese di Lukashenko e l’Ucraina. Gli Stati Uniti per bocca del presidente Biden hanno evocato la possibilità alternativa a quella delle sanzioni di un terzo conflitto mondiale. Non si è dato forse opportuno rilievo a questa affermazione che, se fosse stata fatta da altri presidenti, avrebbe probabilmente scatenato ondate di reazioni. Eppure Biden non ha nascosto che si tratta di una possibilità concreta. Evocare, seppur lontanamente, un simile scenario significa evidentemente voler alzare il livello dello scontro o rispondere alle “provocazioni” russe, col rischio di aumentare la probabilità di reazioni scomposte da parte di un avversario che si sente, a ragione o a torto, “accerchiato”. Da parte europea, dopo gli iniziali tentennamenti, dopo le prime mosse a tratti molto timide e disunite di cui abbiamo parlato pochi giorni fa e che si sono limitate all’ambito delle sanzioni, ieri si è compattato dichiarando l’invio di aiuti militari e non solo all’Ucraina, anche da paesi tradizionalmente neutrali come la Svizzera o la Svezia. A ciò si aggiungano le parole di un avvicinamento ideale dell’Ucraina all’UE, ribadite anche dallo stesso Zelensky.

Si tratta di azzardi, anche in questo caso? A giudicare dalle tempistiche e dalle modalità adottate, si direbbe di sì. Un simile appoggio militare, in una fase di estrema delicatezza diplomatica, il giorno stesso (anzi, nelle stesse ore) dell’accordo trovato per avviare negoziati, può apparire: a) come il tentativo di ammorbidire la posizione russa e di far comprendere che l’Ucraina non rimarrà da sola oppure b) peggio, come un passo avventato che di certo non contribuisce a creare il miglior clima per le trattative. Soprattutto alla luce delle incertezze iniziali, sembra rispondere all’esigenza di dare concreto supporto al paese aggredito, ma comporta dei rischi enormi. 

Un simile atteggiamento, rimarcato in Italia dalle parole del Ministro Di Maio sulle relazioni tra Roma e Mosca che non saranno mai più come prima, comporta infatti almeno tre evidenti pericoli: a) contribuire al caos interno all’Ucraina e al coinvolgimento di civili nel conflitto aperto, con potenziali conseguenze di lungo periodo in termini di stabilità interna e internazionale potenzialmente enormi; b) in caso di una sconfitta ucraina, l’intero continente europeo, oggi dipendente da Mosca per circa il 40% delle forniture di gas, rischierebbe di troncare definitivamente quel canale di relazioni energetiche e commerciali che ci legano da decenni all’orso russo, con conseguenze sociali ed economiche per l’Europa disastrose; c) in tal caso, si riconfigurerebbero anche gli equilibri mondiali, in un potenziale e pericoloso avvicinamento della Russia alla Cina, che rischierebbe di mettere in crisi – o quantomeno di rivedere – drasticamente i rapporti internazionali di molti paesi europei e occidentali.

Dall’altra parte, in caso di vittoria, si potrebbe arrivare non solo alla sconfitta militare di Putin ma anche al suo indebolimento interno – che pare già emergere in virtù delle ripercussioni economiche – e che, alla lunga, potrebbe rimodulare la geografia politica interna al mondo russo a favore di nuovi partiti e di posizioni più vicine, ed evidentemente convenienti, alla stessa Europa. A sua volta, una vicinanza politica di una Russia stravolta internamente, porterebbe a una diversa e assai più forte posizione europea e una nuova fase di relazioni con Mosca. Un azzardo che dunque, come tale, comporta rischi altissimi e altrettanto potenziali benefici, con i quali dobbiamo fare, necessariamente, i conti.

Alessandro Ricci

4945.- Attacco alla Russia; ma anche all’Europa!

Di redazione, 27 febbraio 2022, aggiornato 28 febbraio 2022.

Questi della fotografia sono i russi di San Pietroburgo. Sono europei come lo siamo noi. Un quarto della Russia è in Europa e vogliono la pace e vogliono lavorare in pace, con noi!

San Pietroburgo 25 febbraio 2022. Dove è nato Vladimir Putin.

Inneggiano tutti i governi europei alle sanzioni contro la Russia e però, anche contro l’Europa e, in particolare, contro l’Italia che importa da Gazprom più del 46% del gas. Peggio ancora per la Germania che importa il 60% del gas dalla Russia e che è già in recessione senza bisogno di questa nuova guerra fredda. Ma la Germania è quella del North Stream2 che non voleva, ma che ha dovuto bloccare, benché terminato nel 2021 e, attualmente, in pressione. Già, il petrolio di scisto americano non è competitivo con il gas russo (Il gas russo costa €15, quello americano 85) e il North Stream2 fa guadagnare l’Europa e priva dei diritti di passaggio del gas l’Ucraina.

Ed è di ieri la tragica notizia del suicidio del vicedirettore generale di Gazprom – si è detto – dopo che aveva letto il contenuto delle sanzioni. A questo proposito, la Svizzera, abbandonando – chissà d’ordine di chi – la sua secolare neutralità, ha dichiarato che applicherà alla Russia le medesime sanzioni approvate dall’Unione europea, non capendo che rinunciando alla sua neutralità, rinuncia alla sua indipendenza. Tutti gli europei all’attacco della Russia, dunque e tutti dietro a Biden, anzi, all’aggressività di Biden, che incita da sotto il letto, pardon, da oltre Atlantico. Nessuno che abbia rimproverato a quel bel tomo di aver contribuito, se non aizzato, alla guerra in Europa: alla guerra! Putin non si fida e, responsabilmente, dopo le dichiarazioni di Biden, ha detto:

“Ordino al ministro della Difesa e al capo di stato maggiore di mettere in allerta speciale le forze di deterrenza dell’esercito russo, in risposta alle dichiarazioni aggressive dell’Occidente”.

In quelle forze, ci sono anche le armi nucleari. Per ora è un allerta speciale, una difensiva, ma qualcuno che vuole dirigere l’umanità ha deciso di radere al suolo l’Europa? Siamo così poco obbedienti? Sorge spontanea la domanda: Ma, a noi, dico a noi europei quanto cambierebbe la vita se l’Ucraina o se le Ucraine, ché sono almeno due, aderisse alla NATO? Alla Russia sì e come! E, poi, non abbiamo una politica estera unica nell’Unione perché siamo gelosi, chi più, chi meno, delle nostre sovranità e, però, lasciamo che, a dettarla, a dettare l’indirizzo strategico sia un’alleanza, alla prova dei fatti, più offensiva che difensiva. Un alleanza che, per inglobare una nazione di più, dove si parla e si vuol parlare anche il russo, vuole portare i suoi missili dietro l’uscio altrui. Un alleanza che è nata per e ha portato allo scontro armato con la nazione più grande del mondo, che è la Federazione Russa, senz’altro più europea o, almeno, quanto il Regno Unito di Sua Maestà. Chi può negare che è dalla fine dell’Unione Sovietica che gli Stati Uniti avanzano verso la Russia per circondarla, conquistando ogni spazio postsovietico possibile? Il peccato della Russia e di Vladimir Putin è stato accennato soltanto, ma solo, da Mario Draghi nella sua informativa resa alla Camera dei Deputati, in cui non si è nascosto le difficoltà di una ricomposizione fra Unione europea e Federazione Russa e ha detto: 

«La crisi di portata storica che l’Italia e l’Europa hanno davanti potrebbe essere lunga e difficile da ricomporre, anche perché sta confermando l’esistenza di profonde divergenze sulla visione dell’ordine internazionale mondiale che non sarà facile superare».

Ecco, il centro del problema non è Vladimir Putin e non è Kiev, ma l’ordine internazionale mondiale. 

Ascoltavi, ieri, la gente mentre passeggiava per le strade e non sentivi un accenno alla guerra. Eppure, gli alpini, i bersaglieri, i carristi dei 5 (cinque) Ariete , i piloti di 4 (quattro) aerei da caccia sono in teatro di guerra, una guerra non dichiarata, anche se non sono in Ucraina. Una guerra costata già 4.300 morti a Putin e 14.000 vittime in 8 anni di attentati e cannoneggiamenti alla gente del Donbass. Sì, perché il santarello Zelensky è quello che, fra le tante, ha vietato con legge, da due anni, alle sue popolazioni di lingua russa di parlare il russo, pena severe multe. A quante e quanti si spennano per attaccare Putin, che ha preso le loro difese, chiederei: Provate a vietare agli altoatesini di parlare tedesco, di avere una segnaletica, una scuola bilingue! Non dobbiamo essere di parte, ché sarebbe un errore sia analitico sia politico, ma nemmeno essere fessi. Oggi, tra poche ore, Zelensky, che ha accettato l’invito di Putin, lo incontra al confine con la Bielorussia, ma sono bastate qualche centinaia di bazooka, 200 vecchi cannoni nazisti e il coro del mondo occidentale a renderlo pochissimo disponibile.

“Stop war!” Una marea umana per la pace ha attraversato oggi il cuore di Berlino dove secondo gli organizzatori  500 mila le persone hanno manifestato per la pace. 

Abbiamo visto ieri la marea umana di Berlino scandire “Pace!”, ma abbiamo ascoltato la presidente Ursula van der Leyen. La degna collega diplomatica di Di Maio (quello sbeffeggiato l’altro ieri da Lavrov: “La diplomazia non significa viaggi e assaggiare pietanze esotiche, senza portare a casa niente… “) è una vera statista e ha a cuore la pace, ma non la nostra pace. Ha minacciato: “sanzioni massicce e mirate”, rivolte “a settori strategici dell’economia russa bloccando il loro accesso a tecnologie e mercati chiave”. “Indeboliremo la base economica della Russia e la sua capacità di modernizzazione. Inoltre, congeleremo le attività russe nell’Ue e fermeremo l’accesso delle banche russe al mercato finanziario europeo” . Se questa non è una dichiarazione di guerra! Lo è, eccome, ma a nome nostro e noi non la vogliamo la vostra sporca guerra. A sorpresa, invece, l’Anpi, ha preso le difese di Putin e dell’Armata Rossa, sostenendo che “la guerra è l’ultimo, drammatico atto di una sequenza di eventi innescata dal continuo allargamento della Nato ad Est, vissuto “legittimamente” da Mosca come una crescente minaccia”. Per chiudere, a noi non importa un bel niente se, per qualche milione di dollari, Zelinsky vuole far parte dell’Alleanza Nord Atlantica, anzi, a essere sinceri, non riusciamo a capire a chi e a che cosa serva ancora questa alleanza.

Abbiamo chiaro, invece, che la convergenza fra Europa e Russia che Vladimir Putin ha intessuto negli anni con Silvio Berlusconi, con Donald Trump, non fa gli interessi di chi veramente comanda non solo Biden, ma gli Stati Uniti. Questa banda, sicuramente sa che per riunirci obbedienti ai suoi piedi occorre che ci sia un nemico e quale nemico meglio del popolo russo e del suo presidente illuminato? Come disse Victoria Nuland, l’ex responsabile americano per le relazioni con l’Ue, in una conversazione del 6 febbraio 2014 con l’ambasciatore USA a Kiev: “Fuck the Eu”, letteralmente, “L’Unione europea si fotta”! Il vice presidente di allora era Joe Biden. Oggi, aggiungerei all’esclamazione di Victoria e a uso e consumo di quanti aspettano la ripresa con i miliardi del PNRR e la diplomazia di Mario Draghi: Gli italiani si fottano”!

Repetita iuvant! Gli europei e, senz’altro gli italiani, non devono parteggiare, ma impegnarsi per porre, finalmente, le basi per un rapporto pacifico tra la nuova Russia postsovietica che voleva porre fine al suo passato comunista e gli Stati Uniti o chi per loro. Tutto questo significa fare da ponte fra le due potenze, significa parlare da uno stato sovrano europeo e ci chiama a una costituzione per l’Europa.

Mario Donnini, Associazione Europa Libera

4944.- Russia. Putin ordina allerta forze deterrenza nucleare: quali sono

Dopo le dichiarazioni di Biden, il presidente Putin ha detto:

“Ordino al ministro della Difesa e al capo di stato maggiore di mettere in allerta speciale le forze di deterrenza dell’esercito russo, in risposta alle dichiarazioni aggressive dell’Occidente”.

Le “dichiarazioni aggressive dell’Occidente” sono a nome anche nostro. Da Biden nessun tentativo di pacificare la questione fra la NATO e la Federazione Russa. Dove vuole arrivare Biden o dove vogliono che arrivi?

Il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, si sente spalleggiato e dice di non credere a un esito positivo dei negoziati in programma domani per fermare la guerra con la Russia. “Ma proviamo, così che nessun cittadino dell’Ucraina dubiti che io, in quanto presidente, abbia provato a fermare la guerra quando c’era ancora una possibilità, sebbene piccola”, ha detto Zelensky in un video, come riporta ‘Kyiv Independent’: “Ma proviamo cosa?”

I colloqui si terranno domani al confine tra Ucraina e Bielorussia.

Le Forze aerospazialiVKS

Le Forze strategiche di deterrenza, che oggi il Presidente Vladimir Putin ha dato ordine di mettere in stato di massima allerta, sono le forze su cui si basa la capacità della Russia di esercitare potere deterrente per una aggressione, ma anche per sconfiggere un aggressore.

In particolare, le Forze aerospazialiVKS RF sono una nuova forza armata: la Forza Aerospaziale russa (VKS – in nata il 1º agosto 2015 dall’unione dell’Aeronautica Militare (VVS), delle forze di Difesa Aerospaziale (VKO) e del Comando Spaziale (KS) per contrastare le minacce crescenti provenienti dall’aria e dallo spazio e per gestirle come un unico teatro di guerra.

La VKS è responsabile della protezione aerea e spaziale della Federazione, dell’eliminazione delle forze opposte attraverso l’uso di sistemi d’arma sia convenzionali sia nucleari.

Con i suoi sistemi di rilevamento e controllo fornisce il supporto per la navigazione aerea a tutte le forze armate russe nonché la protezione contro i missili balistici nemici. Il suo comandante è responsabile del lancio e della gestione dei satelliti militari e di identificare le minacce dallo spazio per la Russia.

VKS
La VKS Include sistemi di tipo diverso, fra cui le armi nucleari
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Le Forze di deterrenza si suddividono quindi in Forze strategiche difensive e offensive. Le Forze nucleari strategiche (Icbm, bombardieri e missili di precisione a lunga gittata) costituiscono la base delle Forze strategiche offensive in cui rientrano anche le Forze missilistiche strategiche, con i temibili missili ipersonici a uso duale, Kinzhal (balistico) e Zirkon (da crociera). La VKS, anche se sembra prendere spunti organizzativi dalla US Air Force, le cui forze hanno ad esempio al loro interno l’Air Force Space Command, lascia tuttavia fuori dal contesto le forze missilistiche strategiche russe, che sono sempre state sotto il loro proprio comando e sono indipendenti dalla Forza Aerospaziale”. Le Forze di deterrenza, però includono anche sistemi non nucleari o duali, fra cui bombardieri, sottomarini, unità navi, navi armate con missili da crociera.

Sono alla base delle forze strategiche difensive invece i sistemi pronti al combattimento, gli strumenti delle forze di difesa aerospaziale, inclusi i sistemi di allerta per attacchi missilistici, sistemi di controllo spaziale, sistemi di difesa missilistica, anti spazio e aerea. 

“I leader dei Paesi principali della Nato stanno facendo dichiarazioni aggressive contro il nostro Paese, quindi ordino al ministro della Difesa e al capo di stato maggiore di mettere le forze di deterrenza in stato di regime speciale di allerta”, ha dichiarato Putin, nella riunione che ha tenuto oggi al Cremlino con il ministro della Difesa, Sergei Shoigu e con il capo di stato maggiore, Valery Gerasimov. Lo scorso 19 febbraio, prima dell’inizio della guerra contro l’Ucraina, Putin aveva presieduto, dal Centro di controllo del Cremlino, a una esercitazione delle Forze di deterrenza strategica a cui hanno partecipato anche le Flotte del Mar Nero e del Nord. 

4943.- Tenaglia sull’Ucraina

Putin ha ordinato il Massima Allerta alla Forza Aerospaziale (VKF).

  • 25 febbraio 2022, di Mirko Molteni in Analisi Difesa Mondo. Citazioni e note di Mario Donnini
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I carri in dotazione all’esercito ucraino erano in numero di 832, sono T-64, T-64B. T-80 e T-84.

Fin dal primo giorno di operazioni, il 24 febbraio 2022, è apparso chiaro che l’offensiva su vasta scala delle forze armate russe in Ucraina ha significato una svolta epocale non solo dal punto di vista geopolitico, ma anche da quello strategico militare.

Da un lato ha mostrato che la Russia del presidente Vladimir Putin ha riaffermato la supremazia della politica sull’economia, dato che la dirigenza del Cremlino ha scelto la difficile strada della guerra, costrettavi in sostanza, nella percezione del Cremlino, da mesi e anni di sostanziale indifferenza occidentale per la percezione della sicurezza strategica russa.

E ha scelto questa strada pur sapendo che avrebbe portato danni più o meno gravi all’economia russa e individuando negli interessi nazionali fattori che vanno ben al di là del mero conteggio del PIL. Per questo si può dire che Putin abbia lanciato un monito preciso all’Occidente, ma forse, in parte anche alla Cina, al punto che è probabile che la tendenza mondiale ad aumentare le spese militari ne risulti rafforzata per diversi anni a venire.

MOSCOW, RUSSIA - FEBRUARY 21, 2022: Russia's President Vladimir Putin addresses the nation on the recognition of independence of the Donetsk and Lugansk People's Republics. Alexei Nikolsky/Russian Presidential Press and Information Office/TASS Ðîññèÿ. Ìîñêâà. Ïðåçèäåíò ÐÔ Âëàäèìèð Ïóòèí âî âðåìÿ ñâîåãî îáðàùåíèÿ î ïðèçíàíèè íåçàâèñèìîñòè Äîíåöêîé è Ëóãàíñêîé Ðåñïóáëèêè. Àëåêñåé Íèêîëüñêèé/ïðåññ-ñëóæáà ïðåçèäåíòà ÐÔ/ÒÀÑÑ

Con la sua “operazione speciale”, la Russia ha anche shockato chi, soprattutto in Occidente, pensava che l’idea stessa della guerra su vasta scala fosse da archiviare, in favore di forze leggere e sofisticate, professionistiche, chirurgiche e di pronto intervento.

Il rullo compressore “novecentesco” che invece si è abbattuto sull’Ucraina sembra invece dire il contrario, il numero conta, come conta anche la mera forza d’urto) inclusa quella di mezzi corazzati), che certo può essere diretta dagli apparati elettronici odierni, ma di cui la precisione può non essere l’unico requisito fondamentale.

Artiglieria tradizionale e missili, carri armati che si muovono su strade polverose ed elicotteri che sfiorano la chioma degli alberi, un misto equilibrato di armi senza tempo e armi all’ultimo grido, sono lì a ricordarci che la guerra con la G maiuscola, quella “ad alta intensità”, resta sempre l’eventualità principale a cui nazioni e forze armate deve prepararsi.

Le operazioni di polizia internazionale, antiguerriglia o di soccorso umanitario alle popolazioni civili sono certamente rilevanti, ma il segnale lanciato da Mosca le ha fatte di colpo retrocedere in posizione secondaria se non marginale fra i compiti a cui i militari devono prepararsi.

Nel giro di poche ore, il Cremlino ci ha riportati indietro almeno al 1991 e se consideriamo che il fattore massa è ancor più critico nel caso della Cina, l’altro grande competitore strategico degli Stati Uniti, viene da chiedersi se, ragionando a mente fredda dopo che le acque, si spera, si saranno calmate, le forze NATO e occidentali in genere non dovranno poi dibattersi in ripensamenti e dubbi riguardo al percorso seguito negli ultimi decenni.

Per esempio, valutando che, se davvero il numero conta ancora, non sia il caso di reintrodurre, in una qualche forma, una sorta di servizio di leva.

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Ritornando peraltro, visto che nel condannare l’offensiva di Putin si è scomodata come sempre l’ideologia della democrazia, all’origine stessa del concetto, dato che nell’antica Grecia “democrazia” era il potere del “damos” o “demos”, che era il “popolo in armi”, a significare che alla base dei diritti politici c’era la disponibilità a difendere la comunità.

Di riflesso, anche nell’ambito della tecnologia militare, potrebbe forse porsi di nuovo il dilemma fra armamenti talmente costosi e sofisticati da poter essere fabbricati in un limitato numero di esemplari, il che, per circolo vizioso, renderebbe gravissima ogni singola perdita di una macchina da guerra, o armamenti meno costosi, adatti appunto a guerre di massa perchè fabbricabili rapidamente in serie e la cui perdita in battaglia, spesso inevitabile, non costituisca un salasso eccessivo di risorse.

La lezione russa, finora, non ci ha toccati direttamente, ma cosa accadrebbe se in un futuro più o meno lontano fosse un colosso come la Cina a imboccare una strada simile? E questo senza spingersi a immaginare il sorgere eventuale di blocchi organizzati, e decisi a tutto, in aree popolosissime come l’Africa o l’Asia Meridionale.

Mezzo milione di uomini

Nel giro di poche ore, e nel pieno del continente europeo, si sono ritrovati a combattere un totale di mezzo milione di uomini, o quasi, assommando le truppe delle due controparti. Stando alle stime degli ultimi giorni, la Russia ha mobilitato contro l’Ucraina circa 200.000 uomini, sommati a circa 34.000 miliziani delle repubbliche secessioniste di Lugansk e Donetsk, mentre l’Ucraina ha, fra esercito, marina e aviazione, 245.000 effettivi incluse le riserve mobilitate.

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Dopo che per settimane erano affluite verso la frontiera russa col Donbass e anche in altri punti del confine ucraino, come le terre limitrofe della Bielorussia o l’istmo della Crimea, le forze russe con una notevole componente corazzata e di artiglieria campale, anche missilistica, l’offensiva è scattata nelle primissime ore del 24 febbraio quando Putin si è visto respingere per l’ultima volta dal presidente ucraino Volodymir Zelensky un’offerta di compromesso in extremis.

Si ricorderà che il giorno prima, 23 febbraio, il presidente russo aveva ancora chiesto all’Ucraina di rinunciare a entrare nella NATO, la maggiore delle preoccupazioni di Mosca, oltre alle richieste agli occidentali di un trattato scritto sugli assetti strategici in Europa Orientale, rimaste inascoltate. Ma Zelensky ancora aveva risposto: “L’Ucraina conferma le sue ambizioni di aderire all’Ue e alla Nato”.

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L’indomani, mentre in nottata a New York era in corso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e l’ambasciatore russo al Palazzo di Vetro, Vassilj Nebenzya dichiarava che i russi “avrebbero mirato al regime politico ucraino”, che già Putin nei giorni precedenti aveva tacciato di corruzione e servilismo verso gli Stati Uniti, scattava una operazione combinata notevolmente complessa.

I primi attacchi strategici venivano portati con missili da crociera KH-101 e Kh-555 sparati da bombardieri pesanti Tupolev Tu-95MS, Tu-22M3 e Tu-160 sui maggiori centri comando della difesa ucraina, devastando basi aeree, arsenali, caserme. Le esplosioni venivano avvertite già prima dell’alba presso la stessa Kiev, mentre anche batterie antiaeree, segnatamente di missili S-300, venivano annientate coi loro radar grazie alle missioni SEAD (Suppression of Enemy Air Defences), condotte da cacciabombardieri Sukhoi Su-34 armati di missili antiradiazione Kh-31P.

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Anche missili Kalibr, sparati da navi della Flotta del Mar Nero, hanno contribuito ad ammorbidire fin dalle prime ore le infrastrutture militari ucraine in particolare presso le basi navali di Mariupol e Odessa, di fatto eliminando le capacità operative della Marina ucraina, già limitata a poche unità di scarso tonnellaggio.

I Kalibr avrebbero martellato anche l’aeroporto di Melitopol, la base aerea di Ivano-Frankivsk base di uno squadrone Mig-29 della 114ª Brigata Aerotattica dell’Aeronautica Ucraina, e il ponte di Genichesk mentre i missili balistici Iskander-M hanno colpito diverse basi, depositi e caserme e la base aerea di Dnipropetrovsk dove sono impiegati Mig 29 e Sukhoi Su-25.

Stime dei giorni precedenti all’attacco indicavano in circa 500 gli aerei russi impegnati contro un’aviazione, quella ucraina, stimata in 220 velivoli di cui solo la metà da combattimento. Nelle prime ore della giornata si era segnalato l’abbattimento da parte ucraina di alcuni elicotteri e aerei russi, fra cui un Kamov Ka-52 ripreso in un filmato postato in rete, ma l’Aeronautica di Kiev veniva data in serata per sostanzialmente annientata, per quanto l’unica prova visibile fossero le immagini del relitto di un Antonov An-26 da trasporto, mentre l’abbattimento di almeno due Su-24 ucraini sono rivendicati dall’antiaerea delle milizie filorusse di Donetsk.

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L’entità dell’offensiva aerea e missilistica russa nelle prime ore dell’invasione è stata valutata dagli Stati Uniti in “oltre 160 missili e 200 attacchi”, mentre dal canto suo il Ministero della Difesa di Mosca ha parlato di “83 obbiettivi colpiti, tra cui 11 piste d’atterraggio, una base navale e tre centri di comando”.

Le tre direttrici dell’offensiva

L’offensiva combinata a terra si è snodata lungo tre direttrici di base. Una dal Donbass verso Ovest e Sudovest, anche puntando sull’importante porto di Mariupol, sbocco dell’Ucraina sul Mar D’Azov.

Una da Sud, con sbarchi anfibi a Mariupol stessa e ad Odessa. E infine la terza, quella politicamente più importante, con truppe entrate dai confini settentrionali del paese, e dirette a Kharkiv e soprattutto a Kiev. Proprio la caduta, o quantomeno l’assedio, della capitale, che veniva ormai data per imminente nella nottata fra il 24 e il 25 febbraio, era stata evocata fin dalla mattinata quando prime confuse informazioni parlavano di “truppe russe che cercano di prendere il controllo dell’aeroporto di Kiev”.

Fra i primi a diffondere questa indiscrezione c’era su Twitter il senatore americano Marco Rubio, che essendo membro della commissione di intelligence del Senato di Washington doveva basarsi su informazioni di prima mano. Sempre all’inizio della mattinata i combattimenti sul fronte settentrionale erano segnalati a 120 chilometri da Kiev, ancora relativamente lontano ma già nelle prime ore del 25 febbraio truppe russe venivano segnalate a 30 chilometri della città.

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Nel corso delle ore è apparso tuttavia sempre più chiaro che era in corso un attacco diretto alla capitale ucraina, appoggiato da continui raid dall’aria, ma basato su quella che sembrerebbe una riproposizione, almeno a grandi linee, di un’offensiva in stile “Kabul 1979”.

Quando l’Unione Sovietica avviò l’invasione dell’Afghanistan, puntò subito a occupare l’aeroporto della capitale Kabul, con un blitz di truppe aviotrasportate che dal 24 al 27 dicembre 1979 atterrarono di sorpresa nello scalo, assicurandosi il perimetro e facendo arrivare in poche ore un totale di 300 aeroplani da trasporto Antonov An-12 e An-24 dai quali sbarcarono 6.000 soldati dell’Armata Rossa. Di concerto, dalla frontiera sovietico-afghana calava una colonna meccanizzata di 15.000 soldati per aprirsi la strada fino a Kabul e dar manforte alla guarnigione avanzata nell’aeroporto.

Peraltro, lo stesso 27 dicembre, dall’aeroporto i russi avanzarono fino al palazzo presidenziale afghano con una colonna di ben 700 soldati con blindati camuffati da militari afghani, ma che in verità erano truppe speciali dei nuclei Alfa e Zenit del KGB. Irruppero nella più totale sorpresa nel palazzo, guidati dal colonnello Grigorij Bojarinov, che morì nell’azione.

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Militari ucraini arresisi alle truppe russe

Nella Kiev odierna, si potrebbe prospettare qualcosa di simile? A mezzogiorno del 24 febbraio si vedeva bruciare, fra vistose volute di fumo nero, il palazzo sede dell’intelligence militare ucraina. Nel pomeriggio, da immagini e filmati, si è avuta infine conferma che paracadutisti russi elitrasportati della 31a Brigata d’Assalto Aereo della Guardia avevano preso possesso dell’aeroporto Hostomel, a circa 30 chilometri a Nord di Kiev, utilizzato anche come pista di collaudo dell’azienda aeronautica Antonov.

I parà della 31a, che è inquadrata nelle forze aerotrasportate VDV (Vozdushno Desantnye Voyska) devono aver subito varie perdite se è vero che alcuni dei loro elicotteri Mil Mi-8, nonché i Kamov Ka-52 per appoggio di fuoco, sono stati abbattuti nelle prime fasi dell’aviosbarco, come annunciato da Kiev.

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Un aviosbarco sarebbe avvenuto anche all’aeroporto internazionale Boryspil di Kiev. Poichè i paracadutisti sono generalmente truppe armate in modo leggero che possono tenere una posizione per un tempo limitato, in attesa dei rinforzi, appare chiaro che gli aviosbarchi negli aeroporti intorno alla capitale anticipano l’offensiva terrestre verso la capitale la cui difesa sarebbe affidata soprattutto alla 1a Brigata Corazzata con tre battaglioni di carri T-64BM, più un battaglione di fanteria meccanizzata si blindati BMP1, con una forza totale stimabile in circa 1.600 uomini, 120 carri e 40 blindati più i supporti di artiglieria con semoventi 2S1 e 2S3 e lanciarazzi campali BM-21 oltre a batterie antiaeree con sistemi Strela 10 e Tunguska.

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I russi sembra siano avanzati rapidamente anche nell’area della famigerata centrale nucleare di Chernobyl, tristemente nota per l’incidente radioattivo del 1986. Peraltro, all’1.00 di notte sul 25 febbraio si diffondevano notizie sul “sequestro del personale della centrale di Chernobyl da parte dei soldati russi”.

In serata, dopo indiscrezioni che segnalavano “truppe russe alla periferia della capitale”, il presidente Zelensky ha fornito un bilancio provvisorio delle perdite umane, parlando “di 137 morti ucraini, fra civili e militari, e circa 50 invasori russi” mentre in mattinata altre fonti attribuite al governo ucraino riferivano di 800 russi caduti.

Il capo di stato maggiore della Difesa ucraino, generale Valery  Zaluzhny (nella foto sotto). ha detto che i russi hanno perso in combattimento nel primo giorno di guerra 30 carri armati, 130 veicoli corazzati, 5 aerei e 6 elicotteri: numeri smentiti da Mosca.

Ad oggi, 27 febbraio, sarebbero 4.300 i caduti russi nell’operazione.

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Zelensky ha dichiarato lo stato di mobilitazione generale, facendo anche distribuire 10.000 fucili ai civili per difendere Kiev decretando inoltre “il divieto per tutti i maschi dai 16 ai 60 anni di lasciare il paese”, affinchè partecipino alla lotta contro l’invasore. In nottata, verso le 2.00 del 25 febbraio, mentre scriviamo queste righe, Zelensky informava che sarebbe rimasto al suo posto nonostante l’ingresso a Kiev di truppe russe, sebbene da Washington gli americani stimassero fosse in corso l’accerchiamento della città.

Il presidente ucraino, inoltre, denunciava drammaticamente che “gruppi di sabotatori russi sono entrati a Kiev, con l’obiettivo di distruggere l’Ucraina politicamente, eliminando il capo dello stato. Secondo le nostre informazioni il nemico ha me come obiettivo numero uno, la mia famiglia come secondo obiettivo. Rimango nella sede del governo insieme ad altri”.

Al netto del linguaggio propagandistico inevitabile soprattutto in guerra, questo  concorderebbe con l’ipotesi più plausibile formulata in queste ore dalla maggior parte degli analisti, cioè il fatto che Putin non intenda conquistare l’intera Ucraina ma imporre un cambio di regime rovesciando l’attuale governo, dopo aver demolito le forze armate del paese, in modo da evitare o ridurre al massimo eventuali sacche di resistenza più prevedibili nelle regioni occidentali come quella di Lvov, dove peraltro un eventuale movimento di resistenza antirusso potrebbe essere rifornito di armi dalla NATO attraverso la frontiera polacca.

Sbarchi diversivi

La confusione regna ancora sovrana e non è facile capire cosa sta succedendo davvero sul campo. Di certo, lo stesso Ministero degli Interni ucraino aveva fin dalla mattinata del 24 febbraio lanciato l’allarme sul rischio di infiltrati e sabotatori russi o filorussi. Sui social network è stato diffuso l’invito ai cittadini ucraini a segnalare tutti i possibili sospetti telefonando al numero speciale 102. Secondo il Ministero, addirittura, ha invitato a stare attenti a persone che indossano elementi di vestiario di colore rosso su una tuta mimetica.

Nelle stesse ore nel porto di Odessa è stato condotto, dopo il fuoco di preparazione con i missili da crociera Kalibr, un attacco anfibio da parte delle truppe scelte dell’810a Brigata di Fanteria di Marina (Morskaja Pechota), che si era già distinta in Siria fra il 2015 e il 2018 contro l’ISIS, sotto il comando del colonnello Dimitri Uskov, e che ora sarebbe comandata dal colonnello Alexei Sharov.

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Non si sa se per approdare abbiano usato navi da sbarco come le classi Ropucha o Gren, oppure grossi hovercraft del tipo Zubr. Sbarchi sono avvenuti anche a Mariupol, dove la resistenza ucraina sarebbe molto accanita, tanto che si sono udite “centinaia di esplosioni”, segno di una battaglia accanita.

Del resto, Mariupol, è un obiettivo di valore strategico per i russi che con la sua conquista toglierebbero agli ucraini lo sbocco sul Mare D’Azov e il conseguimento della continuità territoriale fra la Russia e l’istmo della Crimea.

La città si troverebbe attaccata da due direttrici: dalle truppe russe che arrivano dal mare e da quelle, affiancate dalle milizie di Donetsk e Lugansk, che avrebbero già sfondato il fronte del Donbass, per prendere la città portuale alle spalle, dall’entroterra.

Uno sbarco russo si è verificato anche sulla piccola Isola dei Serpenti, occupata verso la serata di ieri dopo che era stata circondata da navi della Flotta russa del Mar Nero e cannoneggiata. Non si può dire quanto l’Ucraina possa resistere ancora alle zampate dell’orso russo, se ore o giorni. Da Washington il Pentagono stima: “Ci aspettiamo diverse fasi nell’attacco. Siamo insomma solo all’inizio, a meno di una resa, perché l’offensiva mira a decapitare il governo di Kiev”.

Il confronto Russia-Ucraina è impari fin dall’inizio e la superiorità aerea russa, nonché la distruzione preventiva dei centri di comando, controllo e comunicazione, rende molto difficile resistere per le forze di Kiev, che pure a terra non sarebbero, sulla carta, trascurabili.

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L’Esercito Ucraino schiera circa 160.000 soldati, ma le riserve supererebbero i200.000 uomini. Al fronte, come si è detto, i russi schiererebbero 200.000 uomini, di cui oltre 150.000 in avanzata dai tratti di frontiera russo-ucraina e ben 30.000 dalla sola Bielorussia, ma si sa che l’Armata Russa conta in totale 800.000 uomini con riserve valutate in 2 milioni. La componente corazzata ucraina è importante, con 1.100 carri armati (ma molti (268) sono nei depositi) e del resto lo stesso ambiente geografico delle pianure ucraine, rende quello scacchiere ideale per la guerra di carri.

Come noto, quelli di Kiev hanno ereditato dall’ex-URSS molti tank e in più lo stabilimento Malyshev di Kharkiv, storicamente “cuore” dell’industria carristica sovietica. Oltre ai T-64 e T-72, gli ucraini hanno anche qualche centinaio di T-80 e anche i T-84, questi di progetto locale. Salvo piccole differenze sono carri dello stesso tipo di quelli schierati da Mosca, salvo il T-84. Al crollo dell’URSS nel 1991, in Russia restarono le due “fucine” più importanti di carri, la Ural Vagon Zavod di Nizhny Tagil e la Omsk Trans Mash di Omsk, localizzate nelle remote e protette regioni al di là dei monti Urali.

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Anche Mosca schiera molti T-72 delle versioni più aggiornate, che numericamente è ancora il tipo più importante, aggiornati coprendo scafo e torretta con tipo sempre più efficaci di piastrelle esplosive che fungono da “corazza reattiva”, cioè esplodono quando impatta su di esse di un’arma anticarro, il che ne abbatte l’energia cinetica (se viene colpito, il T-72 è una trappola per l’equipaggio, che siede sulle riservette di munizioni. ndr).

La Russia ha anche T-80, come gli ucraini, e T-90 (fornito anche all’India e all’Egitto) mentre il nuovo T-14 Armata, comparso per la prima volta in pubblico alla parata sulla Piazza Rossa del 2015, è in servizio in soli 100 esemplari per i test valutativi presso la 2a Divisione Taman della Guardia e non sembra essere stato inviato al fronte.

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Mosca avrebbe fra 2.500 e 3.000 carri armati in servizio più migliaia di altri immagazzinati in riserva. In totale, in caso ipotetico di una guerra generale, come potrebbe essere contro la NATO o, in un futuro ipotetico, contro la Cina, la Russia potrebbe schierare oltre 10 mila carri da battaglia.

Contro la doppia corazza (quella dello scafo e quella reattiva) dei tank russi, gli americani hanno fornito all’Ucraina missili anticarro FGM-148 Javelin a doppia carica cava disposta in tandem, la prima per distruggere la piastrella reattiva, la seconda per penetrare lo scafo o la torretta, del carro.

Nonostante, in linea teorica, un confronto terrestre di fanterie e di carri fra russi e ucraini, possa essere un po’ più equilibrato, il dominio russo dell’aria e le disarticolazioni preventive di reti e infrastrutture ucraine rendono chiaramente ardua una resistenza protratta all’invasione.

La NATO rinforza i partner dell’Est

In tutto questo dramma, Stati Uniti, NATO e Unione Europea si sono trovati a fare la voce grossa, evitando ovviamente di intervenire militarmente nel conflitto in Ucraina, trovandosi divisi sul tipo e la pesantezza delle sanzioni economiche da comminare alla Russia, ma soprattutto abbandonando di fatto Kiev al suo destino, dopo averla illusa per anni col sogno dell’integrazione in Occidente.

Per salvare la faccia, il segretario della NATO, il norvegese Jens Stoltenberg dichiarava: “Non ci sono truppe NATO in Ucraina al momento, non abbiamo nè piani nè intenzioni di dispiegare le truppe NATO in Ucraina ma stiamo incrementando truppe nella parte orientale dell’Alleanza in territorio NATO. L’Ucraina è un partner di valore, ma non abbiamo truppe e non abbiamo piani di inviare truppe in Ucraina”.

Risultano esserci, tuttavia, reparti speciali e sono state fornite ieri batterie di missili che abbisognano di personale addestrato, del resto, per l’Ucraina non può farsi ricorso all’art. 5 del Trattato Nord Atlantico perché non ne fa parte. La dichiarazione dello stato di emergenza di guerra da parte del governo Draghi è una grave sciocchezza.ndr.

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Poche ore dopo, a mezzanotte e mezza del 25 febbraio, Zelensky, sentendosi sempre più assediato nella capitale, proclamava, comprensibilmente: “Chi è pronto a combattere con noi? Io non vedo nessuno. Chi è pronto a dare all’Ucraina la garanzia di un’adesione alla NATO? Tutti hanno paura!”.

Poche ore dopo il presidente ucraino ha dichiarato che “l’Ucraina è rimasta sola, il mondo guarda cosa sta accadendo qui da lontano” aggiungendo che “mentre le forze russe sono a poche decine di chilometri da Kiev. le sanzioni non sono riuscite a convincere la Russia a desistere”.

L’Alleanza Atlantica, paventando una improbabile estensione del conflitto, ha mosso ulteriori truppe per rassicurare soprattutto i suoi membri dell’Est, come la Polonia Estonia, Lettonia e Lituania. E’ vero che la possibilità di incidenti di frontiera fra truppe, ma soprattutto fra navi e aerei di Russia e NATO resta, ed è grottescamente facilitata dall’assenza di canali di comunicazione tattica in tempo reale fra i comandanti sul campo delle due parti.

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Canali di sicurezza che esistevano ma sono stato sciaguratamente eliminati nel quadro delle sanzioni del 2014 alla Russia a causa dell’annessione della Crimea. E’ comunque molto improbabile che ci possa essere un vero scontro militare, al momento attuale, fra NATO e Russia, salvo madornali errori di valutazione (e salvo che non venga architettato. ndr). La NATO ha mosso nuove forze, ma per “fare presenza” e mostrar bandiera mentre l’Ucraina viene travolta.

“Abbiamo oltre 100 aviogetti in massima allerta che proteggono il nostro spazio aereo e oltre 120 navi alleate in mare dal Nord al Mediterraneo”, ha detto Stoltenberg ma nessuno di questi mezzi aiuta gli ucraini.

Il segretario alla Difesa statunitense ha ordinato l’invio in Europa di ulteriori 7.000 soldati americani, stando al “New York Times”. In particolare arriverà in Germania una brigata corazzata munita dei carri pesanti M1A2 Abrams. Diventeranno così 14.000 i soldati americani aggiuntivi arrivati nel nostro continente da quando alla Casa Bianca regna l’amministrazione di Joe Biden, il che porta a circa 92.000 uomini le truppe americane in Europa.

Raccomandiamo che i soldati americani facciano la guerra sempre in Europa.

Già 800 soldati americani della 173a Airborne Brigade, sono stati spediti per via aerea in Lettonia dalla loro consueta base italiana, la caserma “Ederle” di Vicenza. Gli inglesi hanno altri 800 soldati in Estonia e la Germania 350 in Lituania.

Ferve anche l’attività aerea. Dalla base friulana di Aviano, i caccia F-16 del 31° Wing dell’USAF, decollano ogni giorno per pattuglie CAP (Combat Air Patrol) fin sopra la Romania. Caccia F-15 del 48° Wing sono stati dislocati a Lask, in Polonia, mentre i 4 grossi Boeing B-52 che da metà febbraio sono stati rischierati sulla base britannica di Fairford hanno compiuto voli sull’Europa Centrale, atterrando anche nella base di Ostrava, nella Repubblica Ceca.

Otto caccia americani F-35 sono stati spostati dalla base di Spangdahlem, in Germania, fino in Lettonia, mentre altri due F-35 dell’USAF sono appena giunti in Romania. In Estonia arriveranno presto 20 elicotteri da combattimento AH-64 Apache. Da Sigonella, in Sicilia, la sera del 24 febbraio era decollato ancora un drone da ricognizione strategica americano RQ-4 Global Hawk destinato con un lungo volo a portarsi fin sul Mar Nero per monitorare la situazione.

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4 caccia Eurofighter italiani sono rischierati, per due mesi, a Costanza e pattugliano quel cielo in CAP. ndr

In Romania, caccia Eurofighter Typhoon italiani e tedeschi intensificano i voli di sorveglianza, mentre F-16 rumeni hanno intercettato e fatto atterrare un Su-27 ucraino il cui pilota era fuggito dal paese invaso.

Quanto all’Italia, in Lettonia avremmo attualmente 250 alpini e 750 bersaglieri con 5 carri armati Ariete e altri mezzi, ma altri 250 soldati sono pronti per partire per Polonia e Romania. L’effetto più immediato dell’offensiva di Putin sembra essere quello di aver permesso alla NATO di serrare le sue file, confermando che, nell’ottica degli Stati Uniti, si aveva bisogno, per rivitalizzare l’alleanza, di riportare in auge un nemico (russo), dopo averlo estenuato e provocato per anni, fino a portarlo a questa reazione muscolare.

Ma a parte il clamore del momento, le pesanti conseguenze economiche delle nuove sanzioni alla Russia finiranno ancora per alimentare negli europei dubbi e incertezze per il fatto di dover pagare in prima persona per il fuoco di una crisi su cui ha soffiato Washington ( bisogna avere il coraggio di dire che questa guerra è contro la Russia e contro l’Unione e europea, a un tempo e che lo scopo è evitare che si concretizzi una convergenza fra Federazione Russa e Unione europea. Nascerebbe quell’Eurasia che chi la controlla, domina il mondo.

Foto: Min. Difesa Russo, Min. Difesa Ucraino, Twitter, Michael Koffman, RIA Novosti, Difesa.it e Alberto Scafella

4942.- Biden ignora gli impegni del memorandum di Budapest nei confronti dell’Ucraina

Il memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza è un accordo, firmato il 5 dicembre 1994, con il quale l’Ucraina accettava di smaltire l’enorme scorta di testate nucleari (6.000) che aveva ereditato in seguito alla dissoluzione dell’URSS, aderendo al trattato di non proliferazione delle armi nucleari.

 

Firma del memorandum di Budapest

Biden ignora gli impegni del memorandum di Budapest nei confronti dell’Ucraina

by Gordon G. Chang, Gatestone institute, . Traduzione, Citazioni e note di Mario Donnini

  • Per indurre l’Ucraina a rinunciare alle armi nucleari ereditate con lo scioglimento dell’Unione Sovietica, Stati Uniti, Gran Bretagna e Russia accettarono di prendere un impegno. Se Washington avesse permesso alla Russia di annettere il resto dell’Ucraina, avrebbe significato per gli stati non nucleari che avrebbero dovuto disporre di arsenali nucleari perché non avrebbero potuto fare affidamento sulle potenze nucleari per la loro sicurezza.
  • Le minacce di Biden sono state poco persuasive, infatti, finora Putin non ne è stato convinto.
  • Biden ha immediatamente sanzionato le due regioni secessioniste ma non ha imposto costi a chi sarebbe il cattivo attore, la Russia. Ha promesso di adottare ulteriori misure, ma solo dopo un’eventuale invasione. Inoltre, è improbabile che le sue sanzioni saranno così severe da costringere Putin a lasciare l’Ucraina. In effetti, il 15 di questo mese, Biden ha chiarito che le sanzioni sarebbero state meno che minacciose per il regime.
  • È giunto il momento che gli Stati Uniti ricordino le promesse fatte, quelle per iscritto e quelle fatte in modo informale.
  • Putin, dopotutto, non si fermerà all’Ucraina.

È opportuno un commento: Fedele agli accordi di Minsk, Putin ha sempre negato di volere annettere l’Ucraina e giova ricordare che la Federazione Russa è composta di stati sovrani. Difficile, invece, dire chi sia il cattivo attore nei riguardi delle popolazioni del Donbass. I dati dell’OSCE parlano di 14.000 morti tra civili e militari di lingua russa nel Donbas in 7 anni. Sia il Protocollo di Minsk, l’accordo raggiunto nel 2014 sia il Minsk II del 2015, per porre fine alla guerra dell’Ucraina orientale, sottoscritti da UcrainaRussiaRepubblica Popolare di Doneck (DNR) e Repubblica Popolare di Lugansk(LNR), sotto l’egida dell’OSCE, se si eccettua lo scambio di 375 prigionieri, non sono stati osservati da Kiev. Chi sarebbe da sanzionare?

Nella foto: soldati ucraini in prima linea con i separatisti sostenuti dalla Russia vicino al villaggio di Novognativka, nella regione di Donetsk, il 21 febbraio 2022. (Foto di Anatolii Stepanov/AFP tramite Getty Images)

Il presidente russo Vladimir Putin, in un discorso emozionante il 21 di questo mese, ha chiarito che crede che l’Ucraina faccia parte della Russia.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden deve ora chiedere a Mosca di ritirare le sue forze da tutto il territorio ucraino, compresi Crimea e Donbas ( Impossibile.ndr). Il Cremlino ha, tra l’altro, violato le assicurazioni fornite a Kiev nel Memorandum di Budapest. Biden, tuttavia, finora ha mostrato poca propensione a mantenere la Russia nelle sue promesse (Perché?).

Nel dicembre 1994, Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia e Ucraina hanno firmato il Memorandum sulle garanzie di sicurezza in connessione con l’adesione dell’Ucraina al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, più comunemente noto come Memorandum di Budapest.

In quel documento, le tre parti hanno assunto sei impegni nei confronti dell’Ucraina. Nel più importante degli impegni, hanno affermato di “riaffermare il loro impegno nei confronti dell’Ucraina, in conformità con i principi dell’Atto finale della CSCE, a rispettarne l’indipendenza e la sovranità e i confini esistenti”.

“Alcuni hanno affermato che, dal momento che gli Stati Uniti non hanno invaso l’Ucraina, hanno rispettato i loro impegni nel Memorandum di Budapest”. Lo ha scritto Steven Pifer della Brookings Institution nel 2019. “Vero, ma in senso stretto.

Tuttavia, durante la negoziazione delle assicurazioni sulla sicurezza, Funzionari statunitensi hanno detto alle loro controparti ucraine che, se la Russia li avesse violati, gli Stati Uniti si sarebbero interessati molto e avrebbero risposto”.

Per essere chiari, come osserva Pifer, Washington non ha esteso una garanzia simile alla NATO, ma gli Stati Uniti dovrebbero comunque agire con vigore, ha affermato, “perché hanno detto che avrebbero agito se la Russia avesse violato il Memorandum di Budapest”. È il prezzo che hanno pagato in cambio di una drastica riduzione della minaccia nucleare in America”, ha scritto Pifer. “Gli Stati Uniti dovrebbero mantenere la parola data”.

Prima dell’invasione, la situazione non era sembrata buona per l’Ucraina. Nel 2014 Vladimir Putin ha annesso la Crimea e ha effettivamente separato la regione del Donbas. Né gli Stati Uniti né la Gran Bretagna hanno imposto costi paralizzanti alla Russia per l’aggressione nuda e cruda.

“Ragazzi, dopo questo, nessuno rinuncerà alle armi nucleari”, ha detto a Gatestone Arthur Waldron dell’Università della Pennsylvania. Come suggerisce Waldron, la politica americana nei confronti dell’Ucraina fornisce un esempio che definiamo orribile.

Questa volta, la situazione è ancora peggiore per l’ex repubblica sovietica. La Russia il 21 febbraio ha riconosciuto due regioni separatiste, le cosiddette Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, nel Donbas e ora sembra destinata a conquistare il resto del paese.
Biden ha immediatamente sanzionato le due regioni, ma “Non cerchiamo di destabilizzare la Russia”, ha detto.

Le minacce di Biden sono state poco convincenti e finora Putin non è stato convinto.

“L’amministrazione Biden ha intrapreso solo tardivamente, e senza mezzi termini, misure per fermare l’aggressione russa contro l’Ucraina”, afferma Waldron. “Molto tempo fa, il presidente avrebbe dovuto fornire armi pesanti a Kiev. E non ha sostanzialmente rafforzato l’Europa”.

Dalla Guerra Fredda, la politica americana nei confronti della Russia si è basata sull’idea che una Russia debole fosse più una minaccia per gli Stati Uniti di una Russia forte. Come risultato di quella valutazione, Putin non ha dovuto affrontare un’America disposta a usare il potere per far rispettare le norme.

Qualunque siano stati i meriti dell’approccio tollerante e indulgente di Washington – penso che sia stato orribilmente fuorviante – Putin ha usato questa latitudine per dividere i vicini e ridisegnare con forza la mappa dell’Europa e della regione del Caucaso.
È giunto il momento che gli Stati Uniti ricordino le promesse fatte, quelle per iscritto e quelle fatte in modo informale.

Quindi, concludendo, rispettare il Memorandum di Budapest, ma anche gli accordi di Minsk.

Putin, dopotutto, non si fermerà all’Ucraina.

Gordon G. Chang

4941.- Successo per gli Stati Uniti. Anche la Germania fa la guerra. È la fine per il North Stream2 ?

Gli europei non si vogliono bene e seguono Biden nella guerra alla Russia europea. Parlano della violazione degli accordi di Minsk, ma Kiev non li ha mai messi in atto. Quello che i media ci raccontano è sempre verità. Per anni i media hanno taciuto del conflitto nel Donbass, della morte dei cittadini russofoni e, ora, gareggiano insieme agli Stati Uniti per distruggere il futuro della loro Eurasia. La Russia e la Cina insieme domineranno il mondo, ma la finanza mondiale non ha bandiere ed è già a Pechino. Attenti a Taiwan.

Apertura, Citazioni e note di Mario Donnini

German Chancellor Olaf Scholz (L) and Ukrainian President Volodymyr Zelensky arrive to hold a joint press conference in Kyiv on Feb. 14, 2022. (Sergei Supinsky/AFP via Getty Images)

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz (L) e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky arrivano per tenere una conferenza stampa congiunta a Kiev il 14 febbraio 2022. (Sergei Supinsky/AFP tramite Getty Images)

La Germania invierà armi anticarro e missili all’Ucraina in un’importante inversione di rotta

Di Allen Zhong,  The Epoch Times. February 26, 2022 Updated: February 26, 2022. Traduzione libera.

La Germania fornirà armi anticarro e missili terra-aria all’Ucraina, ha annunciato sabato il cancelliere tedesco Olaf Scholz: “L’attacco russo segna un punto di svolta. È nostro dovere fare del nostro meglio per aiutare l’Ucraina a difendersi dall’esercito invasore di Putin.

Ecco perché stiamo fornendo 1.000 armi anticarro e 500 missili Stinger ai nostri amici in Ucraina”, ha scritto in un post su Twitter. Questo è un importante capovolgimento della politica di lunga data di Berlino di vietare l’esportazione di armi nelle zone di battaglia. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha accolto con favore il cambio di posizione della Germania:

«Continuate così, Cancelliere Olaf Scholz! Coalizione contro la guerra in azione!” Sabato Berlino ha autorizzato i partner della NATO, Paesi Bassi ed Estonia, a consegnare armi di fabbricazione tedesca all’Ucraina.

Il lotto di armi includeva 400 lanciatori portatili anticarro dai Paesi Bassi e vecchi obici bellici della DDR dall’Estonia.

Un pò di ammuina!

La Germania ha una politica di lunga data di non esportare armi nelle zone di guerra, radicata in parte nella sua sanguinosa storia del 20° secolo e nel conseguente pacifismo.

I paesi che mirano a trasferire le esportazioni di armi tedesche devono prima richiedere l’approvazione a Berlino. Scholz ha ripetutamente fatto riferimento a questa politica nelle ultime settimane quando si è rifiutato di consegnare armi all’Ucraina.

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Carristi ucraini verso la prima linea con le forze russe nella regione ucraina di Lugansk il 25 febbraio 2022. (Anatolii Stepanov/AFP tramite Getty Images)

Mentre l’invasione russa dell’Ucraina sta entrando nel terzo giorno, sono scoppiati combattimenti alla periferia della capitale ucraina Kiev, che è considerata l’obiettivo principale delle forze russe.

Funzionari statunitensi e britannici hanno affermato che le forze russe erano a circa 18 miglia, o 30 chilometri, dal centro della città.

La velocità dell’avanzata è stata rallentata “probabilmente a causa di acute difficoltà logistiche e della forte resistenza ucraina”, ha affermato il ministero della Difesa britannico. Tuttavia, un funzionario del Pentagono ha avvertito che la situazione potrebbe cambiare rapidamente”.

È un campo di battaglia e gli eventi sul campo di battaglia sono dinamici e possono cambiare molto, molto rapidamente”, ha affermato il funzionario.

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Il fumo si alza da un carro armato russo distrutto dalle forze ucraine sul ciglio di una strada nella regione di Lugansk il 26 febbraio 2022. (Anatolii Stepanov/AFP tramite Getty Images)

Il presidente Joe Biden ha autorizzato ulteriori 350 milioni di dollari in assistenza militare dagli inventari del Pentagono, tra cui anti-corazza, armi leggere, munizioni varie, giubbotti antiproiettile e relative attrezzature.

Secondo quanto riferito, la Casa Bianca avrebbe anche chiesto al Congresso di fornire 6,4 miliardi di dollari in fondi extra per assistere l’Ucraina.

Il Regno Unito sta inviando aiuti militari difensivi in Ucraina e ha affermato di aver addestrato 22.000 soldati ucraini. Più di 100.000 soldati russi sono entrati in Ucraina, ha detto Zelensky in un post su Twitter. Si è rifiutato di lasciare Kiev, respingendo un’offerta di evacuazione degli Stati Uniti e esortando gli ucraini a combattere .

“Non deporremo le nostre armi. Difenderemo il nostro Paese. Le nostre armi sono la nostra forza. Questa è la nostra terra. Il nostro Paese. I nostri figli. Li proteggeremo tutti”, ha detto Zelensky in un video pubblicato sui social media.

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Una guardia di frontiera polacca assiste i rifugiati dall’Ucraina mentre arrivano in Polonia al valico di frontiera di Korczowa, in Polonia, il 26 febbraio 2022. (Czarek Sokolowski/AP Photo)

Il ministero della Difesa ucraino ha esortato i cittadini a fare tutto il possibile per rallentare i russi, inclusa la rimozione di cartelli con numeri e nomi di strade, città e villaggi nelle loro regioni.

“Facciamo tutto il possibile per sbarazzarci degli occupanti russi dall’Ucraina il prima possibile”, ha scritto il ministero in un post su Twitter.

Reuters contributed to the report.

Allen Zhong

SENIOR WRITER

4940.- Aggiornamento sulla ripresa dell’offensiva russa.

Dalla Russia: «Kiev ha rifiutato i negoziati». La replica: «Falso, ma non accettiamo ultimatum». Sembra che Zelenski sia stato preso sotto custodia da teste di cuoio francesi e che abbia, perciò, interrotto una trattativa con Putin. Nel frattempo, tweetta senza sosta, tra selfie e video, come un’influencer che sponsorizza una marca di mutande. Putin e Zelenski hanno entrambi mobilitato i riservisti. Erdogan ha bloccato lo stretto del Bosforo e dei Dardanelli ai russi. È una violazione della Convenzione di Montreux e un atto di guerra da parte turca, malgrado i rapporti commerciali tra le due potenze. La NATO è scesa in una guerra non dichiarata e accanto a uno stato non membro dell’Alleanza. La NATO siamo anche noi. Attenti a Taiwan.

La Russia chiama all’«offensiva a tutto campo», Kiev resiste: «Combatteremo fino alla liberazione».

sabato 26 Febbraio 19:10 – di Adriana De Conto per Il Secolo d’Italia

La Russia vuole ampliare l’attacco in Ucraina. Un attacco a tutto campo. Il ministero della Difesa russo ha dato ordine alle forze in Ucraina di “espandere l’offensiva“. “Oggi, a tutte le unità è stato ordinato di espandere l’offensiva in tutte le direzioni, secondo i piani”, ha affermato il ministero della Difesa in una nota.  Vladimir Putin ha chiamato anche i riservisti per l’invasione del Paese confinante.

Intanto, la velocità dell’avanzata delle forze russe in Ucraina “è temporaneamente rallentata, probabilmente come risultato di acute difficoltà logistiche e della forte resistenza ucraina”: lo attesta un aggiornamento dell’intelligence britannica, diffuso via social dal Ministero della Difesa del Regno Unito. Le forze russe, secondo i servizi segreti d’Oltremanica, stanno “bypassando i principali centri abitati”; lasciando però risorse sufficienti a “circondarli e isolarli”.

Prendere Kiev resta l’obiettivo primario

Prendere Kiev resta “l’obiettivo militare primario della Russia” e gli scontri notturni nella capitale hanno “probabilmente coinvolto un numero limitato di squadre di sabotatori russi preposizionate”. L’ordine di ampliare l’attacco “in tutte le direzioni” arriva in una giornata caratterizzata da ripetute comunicazioni contrastanti, sull’asse Mosca-Kiev, in relazione all’ipotesi di avviare un dialogo.

Ipotesi negoziati, tra conferme e smentite

Il presidente Vladimir Putin aveva ordinato lo stop temporaneo all’avanzata in Ucraina, in attesa di possibili negoziati con Kiev; ma l’operazione è ripresa oggi dopo che la leadership ucraina ha rifiutato di negoziare, secondo quanto affermato dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. “Ieri pomeriggio, in connessione con gli attesi negoziati con la leadership ucraina, il presidente russo ed il comandante supremo hanno ordinato la sospensione dell’avanzata delle principali forze. E’ quanto ha detto Peskov in un briefing con i giornalisti. “Dal momento che la parte ucraina ha essenzialmente rifiutato di negoziare, l’avanzata delle principali forze russe è ripresa questo pomeriggio secondo i piani operativi”.

Kiev a Mosca: “Non accetteremo ultimatum”

Kiev ha immediatamente smentito di non aver voluto negoziare. Un consigliere dell’ufficio presidenziale ucraino, riferisce Sky News, ha spiegato di voler ascoltare le condizioni del negoziato per il cessate il fuoco: ma che non accetterà ultimatum, che verrebbero considerati “un tentativo di disgregare l’Ucraina e di costringerla ad accettare condizioni inaccettabili”. “Combatteremo finché non libereremo il Paese. Se nascono già bambini nei rifugi, anche mentre continuano i bombardamenti, allora il nemico non ha chance in questa guerra, che è indubbiamente una guerra di popolo”. La dichiarazione di  Volodymyr Zelensky in un videomessaggio

4939.- Cosa vogliono ottenere Washington e Mosca in Ucraina.

di Mario Donnini

La domanda che ci poniamo è in questa immagine.

La tensione tra Russia e Nato non avrebbe dovuto spingersi fino ad un aperto conflitto militare e non promette nulla di buono. Schierarsi con una delle due potenze è anche oggi un errore analitico prima ancora che politico. Il pericolo è insito nel rischio che questa guerra fra Mosca e Kiev sfoci nella destabilizzazione di entrambe, creando in Asia opportunità mai pensate anche per Pechino. Ma non minore attenzione va posta per l’ipotesi di un ulteriore allargamento della NATO all’Ucraina, inaccettabile per Mosca, Putin o non Putin.

Stiamo tutti facendo conti senza nominare l’oste, a parte l’accenno fattone da Draghi nella sua informativa alla Camera. Draghi ha detto: «La crisi di portata storica che l’Italia e l’Europa hanno davanti potrebbe essere lunga e difficile da ricomporre, anche perché sta confermando l’esistenza di profonde divergenze sulla visione dell’ordine internazionale mondiale che non sarà facile superare». Ecco il centro del problema non è Putin e non è Kiev, ma l’ordine internazionale mondiale.

 La guerra di Putin è contro gli Stati Uniti e sembra che questi l’abbiano gradita, a giudicare dalla rapidità con cui si sono dati a ricostruire una difesa aerea ucraina e da quella con cui Zelenski è stato preso in custodia dalle teste di cuoio francesi interrompendo una trattativa con Putin, che, ora, si vede costretto ad affrontare i tempi e le perdite di combattimenti casa per casa. Per comprendere cosa significhi per i russi il rischieramento delle batterie di missili NATO in Ucraina, Kiev dista 534 miglia da Mosca, 860 km.

La guerra degli Stati Uniti è contro la Russia, potenza globale, contro l’alleanza Russia – Cina, ma è anche combattuta in Europa, come è loro consuetudine e, quindi, contro gli europei, che dovrebbero guardarsi dallo schierarsi in campo con una delle due potenze. Ma, qui, soccorre la NATO e, senza né dibattito politico né dichiarazione di guerra, uomini, aeroplani e mezzi sono partiti, anzi, sono già al fronte.

È venuta in soccorso anche l’eversione che, con Mattarella, ha completato il venir meno della divisione dei poteri fra Legislativo, Esecutivo e funzione giurisdizionale su cui fonda la democrazia della Repubblica. La Costituzione dice e Draghi comanda, come è capace. Poche righe, ma necessarie per capire come in Italia si va alla guerra. Così, non siamo più soldati in guerra, nemmeno di pace. Siamo in stato di emergenza guerra. Impossibile non citare il disconoscimento dell’INPS dei benefici combattentistici di legge a questi combattenti.

Risalta la strumentalità a favore della guerra della NATO da parte dei leader della politica, tutta, che esprimono così la loro vicinanza alle popolazioni coinvolte. Possiamo dire che altrettanta vicinanza sarebbe stata gradita dalla gente del Donbass aggredita in questi 8 anni; per esempio, come lo scorso ottobre, con i droni avuti dalla Turchia. Citiamo solo il divieto del governo di Kiev di parlare russo, in vigore da due anni, contro quella popolazione senza dubbio russofona.

L’aggressività della propaganda americana e filoamericana lascia temere scenari pericolosi, anche perché non concede al suo avversario alcuno spazio o tolleranza per le paure e i pericoli che giustamente vede in questo progredire costante della NATO verso Est e intorno ai suoi confini. Sembra, anzi, che la consapevolezza di doversi confrontare con una Cina, in crescendo anche militare, stia spingendo Washington a serrare i tempi con la Russia. Anche in questo serrare leggiamo un segno del declino dell’impero del dollaro, certi che una convergenza fra Russia e Europa ne determinerebbe la fine. Sarà, perciò stesso, molto difficile che l’anomalia istituzionale che si fa chiamare ma non è l’Unione europea possa evolvere almeno in uno stato sovrano federale, con una unica politica estera e il suo esercito.

4938.- Impegno Nato di non espandersi a Est, ecco il documento

I lettori di ItaliaOggi sono stati i primi, in Italia, ad essere informati circa le vere origini delle tensioni politiche e militari tra la Russia di Vladimir Putin e la Nato sulla questione Ucraina. Va dato merito al direttore Pierluigi Magnaschi e a firme autorevoli come Roberto Giardina e Pino Nicotri.

Nato Cina

tratto da un articolo di Tino Oldani per ItaliaOggi

Si tratta di un verbale desecretato nel 2017 che riassume in modo dettagliato i colloqui avvenuti tra il 1990 e il 1991 tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania sull’unificazione delle due Germanie. Il colloquio decisivo, riporta Der Spiegel, si è svolto il 6 marzo 1991 ed era centrato sui temi della sicurezza nell’Europa centrale e orientale, oltre che sui rapporti con la Russia, guidata allora da Michail Gorbaciov.

L'Ucraina, la Russia e le sanzioni
Memorie moscovite nella tragedia dell'invasione russa in Ucraina -
Vi spiego perché Putin punta su Kiev (che soccomberà). L'analisi di Margelletti (Cesi)

Impegno Nato di non espandersi a Est, ecco il documento

Che cosa ha svelato il settimanale tedesco Der Spiegel.

.. dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) i leader dei maggiori paesi della Nato avevano promesso a Mosca che l’Alleanza atlantica non sarebbe avanzata verso Est «neppure di un centimetro». Una promessa smentita dai fatti, visto che da allora ben 14 paesi sono passati dall’ex impero sovietico all’alleanza militare atlantica. Da qui le contromosse di Putin: la guerra in Georgia, l’occupazione della Crimea, l’appoggio ai separatisti del Donbass, lo schieramento di oltre centomila soldati al confine con l’Ucraina, infine la dura linea diplomatica con cui ha ribattuto alle minacce di sanzioni da parte di Usa ed Ue: «Mosca è stata imbrogliata e palesemente ingannata».

Per tutta risposta, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha ripetuto quella che per anni è stata la linea difensiva di Washington sull’allargamento a Est della Nato: «Nessuno, mai, in nessuna data e in nessun luogo, ha fatto tali promesse all’Unione sovietica». Una dichiarazione smentita dal settimanale tedesco Der Spiegel con uno scoop clamoroso, destinato a lasciare il segno. L’inchiesta, intitolata «Vladimir Putin ha ragione?» e ripresa integralmente negli Usa da Zerohedge, si basa su un’ampia ricostruzione storica dei negoziati tra Nato e Mosca che hanno accompagnato la fine della guerra fredda.

Tra i documenti citati, spicca per importanza quello scovato nei British National Archives di Londra dal politolo americano Joshua Shifrinson, che ha collaborato all’inchiesta del settimanale tedesco e se ne dichiara «onorato» in un tweet. Si tratta di un verbale desecretato nel 2017, in cui si dà conto in modo dettagliato dei colloqui avvenuti tra il 1990 e il 1991 tra i direttori politici dei ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania sull’unificazione delle due Germanie, dopo il crollo di quella dell’Est. Il colloquio decisivo, riporta Der Spiegel, si è svolto il 6 marzo 1991 ed era centrato sui temi della sicurezza nell’Europa centrale e orientale, oltre che sui rapporti con la Russia, guidata allora da Michail Gorbaciov. Di fronte alla richiesta di alcuni paesi dell’Est Europa di entrare nella Nato, Polonia in testa, i rappresentanti dei quattro paesi occidentali (Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania Ovest), impegnati con Russia e Germania Est nei colloqui del gruppo «4+2», concordarono nel definire «inaccettabili» tali richieste. Il diplomatico tedesco occidentale Juergen Hrobog, stando alla minuta della riunione, disse: «Abbiamo chiarito durante il negoziato 2+4 che non intendiamo fare avanzare l’Alleanza atlantica oltre l’Oder. Pertanto, non possiamo concedere alla Polonia o ad altre nazioni dell’Europa centrale e orientale di aderirvi». Tale posizione, precisò, era stata concordata con il cancelliere tedesco Helmuth Khol e con il ministro degli Esteri, Hans-Dietrich Genscher.

Nella stessa riunione, rivela Der Spiegel, il rappresentante degli Stati Uniti, Raymond Seitz, dichiarò: «Abbiamo promesso ufficialmente all’Unione sovietica nei colloqui 2+4, così come in altri contatti bilaterali tra Washington e Mosca, che non intendiamo sfruttare sul piano strategico il ritiro delle truppe sovietiche dall’Europa centro-orientale e che la Nato non dovrà espandersi al di là dei confini della nuova Germania né formalmente né informalmente».

È innegabile che questo documento scritto conferma alcuni ricordi di Gorbaciov circa le promesse da lui ricevute, ma soltanto orali, sulla non espansione a Est della Nato. In un’intervista al Daily Telegraph (7 maggio 2008), Gorbaciov, ultimo leader dell’Unione sovietica, disse che Helmuth Khol gli aveva assicurato che la Nato «non si muoverà di un centimetro più ad est». Identica promessa, aggiunse in un’altra occasione, gli era stata fatta dall’ex segretario di Stato Usa, James Baker, il quale però smentì, negando di averlo mai fatto. Eppure, ricorda Der Spiegel, anche Baker fu smentito a sua volta da diversi diplomatici, compreso l’ex ambasciatore Usa a Mosca, Jack Matlock, il quale precisò che erano state date «garanzie categoriche» all’Unione sovietica sulla non espansione a est della Nato. L’inchiesta del settimanale aggiunge che promesse dello stesso tenore erano state fatte a Mosca anche dai rappresentanti britannico e francese.

La storia degli ultimi 30 anni racconta però altro: Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, ricorda Der Spiegel, sono entrate nella Nato nel 1999, poco prima della guerra contro la Jugoslavia. Lituania, Lettonia ed Estonia, confinanti con la Russia, lo hanno fatto nel 2004. Ora anche l’Ucraina vorrebbe fare altrettanto. Il che ha scatenato la reazione di Putin: «La Nato rinunci pubblicamente all’espansione nelle ex repubbliche sovietiche di Georgia e Ucraina, richiamando le forze statunitensi ai confini del blocco del 1997». La prima apertura è giunta dal cancelliere tedesco, Olaf Scholz: «L’ingresso dell’Ucraina nella Nato non è in agenda». Parole che confermano la prudenza della Germania verso Putin e l’importanza strategica del Nord Stream 2 per la sua economia. Se alla fine sarà pace o guerra, dipenderà dal vertice Biden-Putin, agevolato da Macron. Un vertice dove Biden, nonostante la martellante propaganda anti-Putin delle ultime settimane, entra indebolito da uno scoop che riscrive la storia. Un’inchiesta così ricca di documenti finora inediti da far pensare all’aiuto di una manina politica, in sintonia con la Spd di Scholz, partito da sempre filorusso.