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6221.- Proteggere Israele è il compito numero uno di Washington

Cui prodest confondere l’antisionismo con l’antisemitismo? Ai sionisti, naturalmente; quindi …. C’è stato un tempo in cui gli Stati Uniti erano un simbolo di libertà e opportunità. Ora sono diventati motivo di imbarazzo a livello internazionale.

Di Philip Giraldi, pubblicato da The Unz Review l’8 maggio 2024

La Casa Bianca e il Congresso sono una sola cosa attorno alla bandiera della Stella di David

Immagine da ISPI

Quando, come previsto, il presidente Joe Biden approverà l’Antisemitism Awareness Act, il Dipartimento dell’Istruzione avrà il potere di inviare i cosiddetti osservatori dell’antisemitismo per far rispettare la legge sui diritti civili nelle scuole pubbliche e nelle università per osservare e riferire sui livelli di ostilità. nei confronti degli ebrei. I rapporti degli osservatori alla fine finiranno al Congresso che potrà proporre i rimedi necessari, incluso il taglio dei finanziamenti e la raccomandazione di accuse sui diritti civili in casi estremi. Una delle caratteristiche più deplorevoli della legge è che accetta la definizione di antisemitismo dell’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto applicata allo stato di Israele, criticando ipso facto l’antisemitismo dello stato ebraico. Il suo testo include il “prendere di mira lo Stato di Israele, concepito come collettività ebraica” come atto antisemita. In realtà, tuttavia, l’antisemitismo vero e proprio non è così diffuso come sostengono i partigiani israeliani. La maggior parte di ciò che chiamano antisemitismo è semplicemente una critica allo “Stato ebraico” dell’apartheid, legalmente autoproclamato, e gran parte dell’animosità che Israele sperimenta è l’opposizione al trattamento brutale riservato ai palestinesi. Dare una sanzione legale a questa presunzione secondo cui Israele deve essere protetto dai bigotti significa che gli Stati Uniti sono sulla buona strada per vietare del tutto qualsiasi critica nei confronti di Israele. Gli americani possono criticare il proprio paese o le proprie nazioni in Europa, o almeno sono in grado di farlo attualmente, ma parlare male di Israele potrebbe presto costituire un reato penale.

L’Antisemitism Awareness Act è solo un aspetto di come il potere dei gruppi ebraici organizzati sul governo e sui media sta plasmando il tipo di società in cui vivranno gli americani nel prossimo futuro. Sarà una società privata di numerosi diritti costituzionali fondamentali, come la libertà di parola, a causa del rispetto delle preferenze di un piccolo gruppo demografico. E l’aspetto più interessante di quel potere è il modo in cui è riuscito a nascondere con successo il fatto di esistere, diffondendo allo stesso tempo il mito secondo cui gli ebrei e Israele meritano una considerazione speciale perché sono spesso o addirittura sempre percepiti come vittime, un’estensione della il mito dell’olocausto.

In effetti, negli ultimi tempi Israele è sempre presente nelle notizie e molto spesso completamente protetto dai media e dagli elementi parlanti, soprattutto se ci si limita a guardare Fox o leggere il Wall Street Journal, il New York Times o il Washington Post. Anche il ripugnante Benjamin Netanyahu ottiene spesso una buona stampa, mentre i manifestanti pacifisti studenteschi non violenti sono invariabilmente descritti come terroristi anti-israeliani o pro-Hamas anche quando vengono aggrediti da delinquenti sionisti guidati da un ufficiale delle operazioni speciali israeliane e finanziati e armati da miliardari ebrei, come è accaduto. recentemente a Los Angeles.

Tuttavia, a volte qualcosa sfugge alle difese e rivela fin troppo chiaramente cosa sta succedendo. Recentemente, rispondendo alla domanda di un giornalista, il Segretario di Stato Anthony Blinken ha fatto un’affermazione alla quale non crederà assolutamente nessuno che abbia trascorso del tempo a Washington. Il giornalista aveva chiesto se il governo federale, nelle sue decisioni di politica estera, tendesse a favorire e/o scusare il comportamento di alcuni paesi condannandone altri esattamente per le stesse azioni. Blinken ha risposto “Applichiamo lo stesso standard a tutti. E ciò non cambia se il Paese in questione sia un avversario, un concorrente, un amico o un alleato”.

Tutti nella stanza capivano molto chiaramente che Blinken non stava dicendo la verità e stava cercando di preservare la finzione secondo cui gli Stati Uniti vincolano alleati e clienti allo stesso standard di “ordine internazionale basato su regole” che usa per altri, in particolare le nazioni concorrenti. come Russia e Cina o avversari come l’Iran. Nessuno prende sul serio ciò che dice Blinken in ogni caso, e non aiuta la sua credibilità generale quando si sente obbligato a mentire senza alcun motivo.

Vorrei che qualcuno nella stanza avesse avuto l’ardire di citare uno dei commenti più vergognosamente partigiani di Blinken, il suo saluto al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla pista dell’aeroporto Ben Gurion poco dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Ha detto: “Vengo davanti a voi come ebreo. Capisco a livello personale gli echi strazianti che i massacri di Hamas portano per gli ebrei israeliani – anzi, per gli ebrei di tutto il mondo”. Ciò ha spinto qualcuno a mormorare: “No Anthony, tu sei il Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America. Sei lì per rappresentare gli interessi americani volti ad evitare una grande guerra in Medio Oriente, non per rappresentare gli interessi della tua tribù dichiarandoti uno di loro”.

L’incontro di Blinken con Netanyahu è stato particolarmente significativo poiché pochi a Washington dubiterebbero che la Casa Bianca e il Congresso di Joe Biden si siano arresi totalmente agli interessi israeliani invece di servire i bisogni dei loro elettori negli Stati Uniti. Paul Craig Roberts lo descrive come “Il Congresso degli Stati Uniti è diventato un’estensione del governo israeliano”. Per rispondere onestamente alla domanda del giornalista, Blinken avrebbe dovuto ammettere che il governo Biden è pienamente impegnato a proteggere Israele e anche i suoi interessi percepiti quando sono in conflitto con la normale politica statunitense. Mercoledì l’amministrazione Biden ha dichiarato di aver ritardato indefinitamente un rapporto richiesto che indagava sui potenziali crimini di guerra israeliani a Gaza che avrebbe dovuto essere pubblicato dal Dipartimento di Stato americano. Se il rapporto avesse concluso, come avrebbe dovuto, che Israele ha violato il diritto internazionale umanitario, gli Stati Uniti avrebbero dovuto smettere di inviare aiuti esteri a causa della Legge Leahy, che rende illegale per il governo americano fornire aiuti a qualsiasi forza di sicurezza straniera trovata commettere “gravi violazioni dei diritti umani”. Così Joe Biden e Anthony Blinken hanno deciso di approfondire il rapporto invece di proteggere Israele infrangendo la legge statunitense, anche se secondo quanto riferito hanno ritardato una spedizione di bombe per paura che venissero usate sui civili a Rafah. Tuttavia, Biden intende chiaramente quello che dice quando ripetutamente inciampa nel confermare che le garanzie di sicurezza degli Stati Uniti nei confronti di Israele sono “corazzate”. In effetti, il legame con lo Stato ebraico va ben oltre ciò che generalmente è dovuto a chiunque venga descritto come un alleato, cosa che Israele, anche se non è una democrazia, non è in ogni caso, poiché un’alleanza richiede sia reciprocità che una precisa comprensione delle linee rosse nella relazione.

Niente illustra meglio la totale sottomissione di Washington a Israele di come gli Stati Uniti si stiano inutilmente coinvolgendo in una discussione che potrebbe rivelarsi un grave imbarazzo, oltre che un problema, nelle relazioni dell’America con molti stati stranieri. E, come spesso accade, si tratta di Israele. Ci sono notizie confermate secondo cui la Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aia si sta preparando a emettere mandati di arresto per Netanyahu e altri due alti funzionari israeliani in relazione a crimini di guerra legati al genocidio in corso contro gli abitanti di Gaza. Secondo quanto riferito, Netanyahu si sta rivolgendo selvaggiamente ai suoi numerosi “amici” per impedire un simile sviluppo. E, in linea con la convinzione di Washington e Gerusalemme secondo cui ogni buona crisi merita un uso eccessivo della forza o addirittura una soluzione militare, ci sono già rapporti secondo cui pressioni, comprese minacce, vengono esercitate sia da Israele che dagli Stati Uniti contro i giuristi del tribunale. e diretti anche contro le loro famiglie. Il governo israeliano ha avvertito l’amministrazione Biden che se la Corte penale internazionale emetterà mandati di arresto contro i leader israeliani, adotterà misure di ritorsione contro l’Autorità palestinese che potrebbero portare al suo collasso, destabilizzando ulteriormente la regione. Israele sta anche conducendo canali diplomatici paralleli in Europa per convincere i governi locali ad avvisare i loro rappresentanti in tribunale che sarebbe auspicabile sopprimere le sue indagini.

Netanyahu, che ha chiamato il presidente Joe Biden e chiesto aiuto, in risposta alle notizie ha twittato che Israele “non accetterà mai alcun tentativo da parte della Corte penale internazionale di minare il suo diritto intrinseco all’autodifesa. La minaccia di sequestrare i soldati e i funzionari dell’unica democrazia del Medio Oriente e dell’unico stato ebraico al mondo è scandalosa. Non ci piegheremo”. Netanyahu ha anche denunciato i possibili mandati come un “crimine di odio antisemita senza precedenti”. Dato che le deliberazioni della Corte penale internazionale sono segrete, sembrerebbe che un giurista americano o britannico debba aver fatto trapelare la storia per consentire a Netanyahu di organizzare una campagna contro di essa. La Casa Bianca e il Congresso si stanno già muovendo a tutta velocità per far sparire i mandati e stanno esplorando opzioni per affrontare direttamente e screditare la corte nel caso in cui gli israeliani venissero effettivamente puniti.

Gli Stati Uniti non hanno nulla da guadagnare e molto da perdere nel confronto con la Corte penale internazionale, poiché la Corte è generalmente molto rispettata. E altri potrebbero arrivare. Ci sono rapporti secondo cui i pubblici ministeri della Corte penale internazionale hanno intervistato il personale medico di due dei più grandi ospedali di Gaza nelle loro indagini su altri possibili crimini di guerra commessi da Israele in relazione alle fosse comuni recentemente scoperte. La Corte penale internazionale è stata fondata nel 2002 come tribunale di ultima istanza per affrontare i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità che non sarebbero stati altrimenti affrontabili. La Corte è stata istituita dallo Statuto di Roma della Corte penale internazionale (Statuto di Roma). Israele non è parte dello Statuto di Roma e non riconosce la giurisdizione della Corte penale internazionale. Tuttavia, se dovesse essere emesso un mandato a nome di Netanyahu, i suoi viaggi potrebbero essere limitati, poiché i 123 paesi che riconoscono la corte potrebbero considerarsi obbligati ad arrestarlo.

Nel marzo 2023 c’erano 123 Stati membri della Corte. Gli Stati Uniti non ne sono più membri perché il 6 maggio 2002 gli Stati Uniti, dopo aver firmato in precedenza lo Statuto di Roma, hanno formalmente ritirato la propria firma e hanno indicato che non intendevano ratificare l’accordo. Un altro stato che ha ritirato la propria firma è il Sudan, mentre tra gli stati che non sono mai diventati parti dello Statuto di Roma figurano l’India, l’Indonesia e la Cina. La politica degli Stati Uniti riguardo alla Corte penale internazionale è variata a seconda dell’amministrazione. L’amministrazione Clinton ha firmato lo Statuto di Roma nel 2000, ma non lo ha sottoposto alla ratifica del Senato. L’amministrazione George W. Bush, che era l’amministrazione statunitense al momento della fondazione della CPI, dichiarò che non avrebbe aderito alla CPI. L’amministrazione Obama ha successivamente ristabilito un rapporto di lavoro con la Corte in qualità di osservatore. Da quel momento non vi è stato alcun cambiamento nello status, ma la relazione è considerata inattiva.

Cosa faranno gli Stati Uniti per salvare ancora una volta Israele? Ha già reso nota la sua posizione. La portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre ha dichiarato: “Siamo stati molto chiari riguardo all’indagine della Corte penale internazionale. Non lo supportiamo. Non crediamo che abbiano la giurisdizione”. Il vice portavoce Vedant Patel ha ribadito la sua posizione dichiarando: “La nostra posizione è chiara. Continuiamo a credere che la Corte penale internazionale non abbia giurisdizione sulla situazione palestinese”. Alla Casa Bianca si unirono i principali repubblicani del Congresso. Il presidente sionista della Camera Mike Johnson ha fatto pressioni sulla Casa Bianca e sul Dipartimento di Stato affinché “usassero ogni strumento disponibile per prevenire un simile abominio”, spiegando come ammettere il punto alla CPI “minerebbe direttamente gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Se incontrastata dall’amministrazione Biden, la Corte penale internazionale potrebbe creare e assumere un potere senza precedenti per emettere mandati di arresto contro leader politici americani, diplomatici americani e personale militare americano”.

Esiste un precedente nell’azione degli Stati Uniti contro la Corte penale internazionale. Il 2 settembre 2020, il governo degli Stati Uniti ha imposto sanzioni al procuratore della CPI, Fatou Bensouda, in risposta a un’indagine della corte sui crimini di guerra statunitensi in Afghanistan, quindi c’è una certa sensibilità al fatto che, poiché gli Stati Uniti sono il paese più grande del mondo principale fonte di crimini di guerra, sarebbe saggio delegittimare le agenzie che esaminano troppo in profondità questo fatto. Ma la Corte penale internazionale a volte ha la sua utilità, come quando l’amministrazione Biden ha accolto pubblicamente con favore un’indagine sui crimini di guerra condotta dalla Corte penale internazionale contro il presidente russo Vladimir Putin sulla guerra in Ucraina. Alla domanda sul perché gli Stati Uniti abbiano sostenuto un’indagine della Corte penale internazionale sui funzionari russi, Patel ha dichiarato che “non esiste alcuna equivalenza morale tra il tipo di cose che vediamo [il presidente russo Vladimir Putin] e il Cremlino intraprendere rispetto al governo israeliano”. dimostrando ancora una volta che ciò che Blinken ha detto al giornalista non aveva senso.

Il Partito Repubblicano sta cercando di superare la Casa Bianca nel dimostrare il suo amore per Israele. Una lettera firmata da dodici senatori repubblicani è stata inviata a Karim Khan, procuratore capo della Corte penale internazionale. La lettera minaccia i membri della corte sulla possibile incriminazione di Netanyahu e soci. Il gruppo di 12 senatori repubblicani che mi piace chiamare la “sporca dozzina” a causa degli ampi contributi politici che ricevono da fonti filo-israeliane, ha inviato una lettera al procuratore capo della Corte penale internazionale (CPI) Karim Khan in cui affermava che minaccia “sanzioni severe” se la corte andrà avanti con il piano di emettere mandati di arresto per Netanyahu, il suo ministro della Difesa e un altro alto funzionario. La lettera, datata 24 aprile, faceva riferimento all’American Service-Members’ Protection Act, una legge che autorizza il presidente a utilizzare qualsiasi mezzo per liberare il personale statunitense detenuto dalla Corte penale internazionale, anche se non si applica a Israele. Dice, in modo ridicolo, che “Se emettete un mandato di arresto contro un israeliano, lo interpreteremo non solo come una minaccia alla sovranità di Israele ma come una minaccia alla sovranità degli Stati Uniti” e continua negando che il La CPI ha giurisdizione anche per emettere mandati poiché Israele non è un membro della corte. L’apparente redattore, il senatore Tom Cotton, apparentemente non era a conoscenza del fatto che la Palestina è un membro della Corte penale internazionale e che i mandati di arresto sarebbero basati su crimini di guerra commessi da Israele sul suo territorio nominale, Gaza e Cisgiordania.

La lettera si conclude con una minaccia pesante: “Gli Stati Uniti non tollereranno attacchi politicizzati da parte della Corte penale internazionale contro i nostri alleati. Prendi di mira Israele e noi prenderemo di mira te. Se andrai avanti con le misure indicate in questo rapporto, ci muoveremo per porre fine a tutto il sostegno americano alla CPI, sanzioneremo i tuoi dipendenti e associati e escluderai te e la tua famiglia dagli Stati Uniti. Sei stato avvertito.” Pochi giorni dopo, la Corte penale internazionale ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna le minacce rivolte alla corte e afferma che i tentativi di “impedire, intimidire o influenzare in modo improprio” i funzionari della Corte penale internazionale devono “cessare immediatamente”. I 12 senatori repubblicani che hanno firmato la lettera includono Mitch McConnell, Tom Cotton, Marsha Blackburn, Katie Boyd Britt, Ted Budd, Kevin Cramer, Ted Cruz, Bill Hagerty, Pete Ricketts, Marco Rubio, Rick Scott e Tim Scott. Mancava solo Lindsay Graham, probabilmente impegnato a raccogliere sostegno per il suo piano di “distruggere i nemici dello Stato di Israele”. Cotton, che ha raccomandato alle persone disturbate dai manifestanti di affrontarli e picchiarli, ha anche introdotto una legislazione che nega l’agevolazione del prestito universitario agli studenti che hanno dovuto affrontare accuse statali o federali mentre manifestavano contro le morti a Gaza. Alcuni altri deputati repubblicani a corto di cellule cerebrali ma forti nei confronti di Israele stanno cercando di far deportare i manifestanti “condannati per attività illegali nel campus di un’università americana dal 7 ottobre 2023” per svolgere sei mesi di servizio comunitario a Gaza, anche se ciò potrebbe essere implementato non è chiaro. Il deputato Randy Weber del Texas ha spiegato: “Se sostieni un’organizzazione terroristica e partecipi ad attività illegali nei campus, dovresti assaggiare la tua stessa medicina. Scommetto che questi sostenitori di Hamas non durerebbero un giorno, ma diamo loro l’opportunità”.

Quindi gli Stati Uniti si batteranno nuovamente per Israele e Israele ignorerà ciò che verrà fuori ed eviterà qualsiasi conseguenza. I veri perdenti in questo processo saranno il popolo americano, che più chiaramente che mai vedrà e, si spera, riconoscerà di avere un governo che spende moltissimo tempo e denaro per Israele e fa cose promosse da gruppi ebraici. Abbiamo un potere legislativo ed esecutivo che sono stati corrotti e compromessi da cima a fondo, facendo sempre ciò che è sbagliato per le ragioni più egoistiche, spesso per lealtà verso governi stranieri come Israele a cui potrebbe importare di meno. Gli Stati Uniti una volta erano un simbolo di libertà e opportunità. Ora è diventato motivo di imbarazzo a livello internazionale.

6210.- President Xi Jinping Meets with U.S. Secretary of State Antony Blinken

La Cina di Xi Jinping vuole il libero passaggio per la Via della Seta verso l’Europa attraverso la costa mediterranea orientale, quindi, stabilizzare quell’area e gli Stati Uniti, che sia Joe Biden o Donald Trump il presidente, non vogliono un asse russo – cinese e spingono alla loro collaborazione con l’India, competitor della Cina.

Da nova – project

Gianluca Napolitano, 28 aprile 2024

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nova-project · dom

La folle sfida degli USA al percorso storico tipico di ogni impero

Ascesa, sviluppo e declino. O magari, caduta. Anthony Blinken – segretario di stato del governo degli Stati Uniti – ha concluso ieri sera la sua visita ufficiale a Pechino. Sostanzialmente Blinken è andato fino a Pechino per minacciare la Cina. “Gli Stati Uniti sono pronti ad adottare nuove misure e imporre sanzioni contro la Cina alla luce della situazione in Ucraina”, ha detto ieri il Segretario di Stato statunitense a Pechino. “La Cina è il principale fornitore di macchinari, microelettronica e nitrocellulosa. E la Russia utilizza prodotti cinesi per sviluppare la propria industria militare”. Secondo Blinken la Cina deve interrompere il suo sostegno alla Russia. Infatti il segretario di stato americano ha informato i cinesi che “Pechino non sarà in grado di migliorare le relazioni con l’Europa se continua a sostenere la più grande minaccia che molti europei avvertono visceralmente che la Russia rappresenta per loro”. (cioè voi non lo sapevate, ma avete sempre “visceralmente” temuto la Russia e ci voleva un americano per illuminarvi in proposito, da quanto coglioni che siete) Avvertite qualcosa di “viscerale” voi? Beh, io sì. Ha aggiunto che “se Pechino non adotta misure per risolvere” il problema del sostegno che sta dando all’industria della difesa russa e non solo per la situazione in Ucraina”, sarà costretta a farlo Washington”. Per non lasciare troppi dubbi, il Segretario di Stato americano ha detto che gli Stati Uniti sono pronti a imporre ulteriori sanzioni a Pechino. Dopo l’incontro , in conferenza stampa, ha ricordato che gli Stati Uniti hanno già imposto sanzioni contro più di 100 enti e aziende cinesi e sono “pienamente preparati ad agire” e “adottare misure aggiuntive”. Infine, per stemperare gli animi e rilassare le tensioni ha detto che “la Cina sta cercando di interferire nelle elezioni USA”. No, decisamente non sembra essere andata benissimo.

https://novaproject.quora.com/la-folle-sfida-degli-usa-al-percorso-storico-di-ogni-impero

Da lì ha avuto un cordiale colloquio telefonico con il premier israeliano.

Questa volta, a differenza delle precedenti, Blinken non era affatto nella predisposizone d’animo di sentirsi trattare come una merda – come di solito fa Netanyahu con lui, da ebreo a ebreo – e sentirsi dire che al congresso americano conta più quello che dice Israele che quello che dice Biden

Il problema – come leggete nel post sopra – è che sostanzialmente i cinesi hanno mandato gentilissimamente ma indubitabilmente a fare in culo Blinken insieme alle sue minacce di sanzioni economiche e sfracelli tariffari se la Cina non si allinea alle decisioni – ordini – di Washington.

L’amministrazione Biden (ma anche con quella Trump sarebbe uguale) vuole che la Cina tagli praticamente i ponti con la Russia, “altrimenti ci arrabbiamo”.

Netanyahu non poteva scegliere un momento peggiore per annunciare che Israele – che lo segue compatto, almeno finora – ha deciso di attaccare ciò che rimane di Gaza e i suoi due milioni di sopravvissuti stipati nell’ultima città rimasta più o meno in piedi. Decisone irrevocabile, si comincia a maggio.

in-cre-di-bil-men-te Blinken gli ha risposto molto diplomaticamente “col cazzo!”.

Ok. La frase ufficiale è stata effettivamente più civile: “se solo ci provi ti tagliamo i fondi (12 miliardi) già stanziati”

Naturalmente la notizia è stata poi sottoposta ad un trattamento di bellezza e da cazzotto nei denti è diventata un applauso a Netanyahau, così gentile da “ascoltare” le raccomandazioni americane.

Trovarsi impegnati su tre fonti contemporaneamente per gli USA non è sostenibile, e persino i neocon lo sanno.

L’Ucraina è sull’orlo del collasso. E lo sanno (siete voi che non sapete mai niente).

Siccome un esito negativo di “Project Ukraine” non costerebbe solo la rielezione di Biden, ma probabilmente anche la libertà a tutti i protagonisti di questi 4 anni, ai quali verrebbe presentato sicuramente il conto per le tante malefatte e gli affari opachi (a partire dalla famiglia Biden) la proprità assoluta adesso è “evitare terremoti prima di novembre”.

Al momento “calmare le acque” è la priorità assoluta.

6206.- GAZA. Via libera degli USA all’offensiva israeliana su Rafah. Israele in cambio attuerà un attacco limitato contro l’Iran che, secondo funzionari americani, dovrebbe scattare dopo la Pasqua ebraica.

Dalla Casa Bianca un No all’ingresso della Palestina nell’ONU e un appoggio incondizionato alla “mietitura araba”. Infatti, Israele miete altri morti nel Nord della Striscia, a decine. Il genocidio impazza e l’Iran, il Libano e la Siria sono in pericolo; la Turchia è in travaglio.

من البيت الأبيض لا لدخول فلسطين إلى الأمم المتحدة ودعم غير مشروط لـ«الحصاد العربي». والحقيقة أن إسرائيل تحصد عشرات القتلى في القطاع، وإيران ولبنان وسوريا في خطر.

Dalla redazione di Pagine esteri, 18 Aprile 2024

GAZA. Via libera degli USA all’offensiva israeliana su Rafah

della redazione

Pagine Esteri, 18 aprile 2024 – Una fonte egiziana ha rivelato al quotidiano Al-Arabi Al-Jadid che l’Amministrazione Biden ha approvato il piano d’attacco del gabinetto di guerra israeliano contro Rafah, in cambio Israele non lancerà un attacco su larga scala all’Iran. Inoltre funzionari americani hanno detto alla rete ABC che Israele non attaccherà Teheran prima della fine della Pasqua ebraica (22-29 aprile).

Al Arabi Al Jadid aggiunge le forze egiziane nel Nord Sinai sono in piena allerta lungo il confine con la Striscia di Gaza per far fronte allo scenario di un’invasione di Rafah. Il Cairo è in allarme da lunedì scorso, da dopo i colloqui avuti con Israele relativi proprio ai preparativi per la nuova fase dell’offensiva militare nel sud di Gaza.

Il piano israeliano prevederebbe la suddivisione di Rafah in quadrati numerati che verranno presi di mira uno dopo l’altro, spingendo i civili palestinesi al loro interno a scappare, in particolare verso Khan Yunis e Al-Mawasi. La fonte egiziana ha affermato che, nell’ambito dei preparativi egiziani, la capacità di assorbimento dei campi per sfollati nella città di Khan Yunis, che sono supervisionati dalla Mezzaluna Rossa egiziana, è stata aumentata e la quantità di aiuti che vi entrano è cresciuta.

Intanto la tv Kan riferisce che il gabinetto di guerra israeliano avrà difficoltà ad attuare la risposta originale, pianificata e approvata inizialmente contro l’Iran. Una risposta ci sarà, ma molto probabilmente sarà diversa da quanto previsto nella notte tra sabato e domenica. Gli alleati occidentali, ha aggiunto la rete televisiva, sanno “che Israele risponderà ma che nessuno può garantire che la risposta non porti ad un’ampia escalation” con l’Iran. Pagine Esteri

6204.- Netanyahu e Biden si facciano la guerra da soli

Israele ha attaccato l’Iran: droni su una base militare aerea. “Segnale a Teheran, possiamo colpirli”. Fonti Usa: “Avvisati, da noi nessun ok”

Esfahan

Chi tace, acconsente, ma è difficile non vedere anche la regia di Washington in queste schermaglie d’onore, senza danni dichiarati.

Oppure, i danni ci sono? Tre esplosioni di droni nella base aerea di Isfahan, ma i siti nucleari dell’Isfahan Nuclear Technology Centre e di Natanz non sono stati in pericolo”. All’Agenzia internazionale per l’energia atomica non risultano danni agli impianti nucleari iraniani.

Netanyahu: “Teheran è una minaccia esistenziale”, lui pure. Da Usa e Gran Bretagna nuove sanzioni. Veto degli USA sulla Palestina nell’ONU e, così, il regista si dichiara.

Da Il Fatto Quotidiano, 19 aprile 2024

Il raid alle 4.18 italiane: obiettivo la base vicino alla città di Esfahan, che ospita la flotta di caccia F-14. L’esercito iraniano: “Nessun danno”. In sicurezza le centrali nucleari della Repubblica islamica. Attacchi nella notte anche su Siria e Iraq.

Fonte israeliana: “Segnale all’Iran che possiamo colpirlo”

“Un segnale all’Iran che Israele ha la capacità di colpire all’interno del Paese”. Così una fonte israeliana, citata dal Washington Post, ha commentato l’attacco limitato di stanotte sul territorio iraniano, nei pressi della base aerea di Esfahan. La dichiarazione è stata ripresa anche dal quotidiano israeliano Haaretz.

Raid israeliano in Siria: “Colpita una postazione radar”

“Gli attacchi israeliani hanno preso di mira una postazione radar dell’esercito siriano tra le province di Soueida e Deraa”. Lo ha affermato Rami Abdel Rahman, direttore dell’l’Osservatorio siriano per i diritti umani, in riferimento ai raid condotti da Tel Aviv nella notte. 

  • Esercito iraniano: “Nessun danno dall’attacco”Nessun danno è stato causato nell’attacco notturno di Israele contro l’Iran. Lo ha detto alla tv di stato iraniana Siavosh Mihandoust, comandante dell’esercito di Teheran, aggiungendo che il rumore sentito durante la notte a Esfahan era dovuto ai sistemi di difesa aerea.
  • 38m fa07:49Media: “Usa non coinvolti, avvertiti 24-48 ore prima”Israele aveva avvertito gli Stati Uniti che avrebbe attaccato l’Iran nelle successive 24-48 ore, ma  Washington non è stata coinvolta nell’operazione. Lo scrive l’emittente Nbc citando “una fonte ben informata”. Due funzionari citati a condizione di anonimato da Bloomberg hanno poi affermano che ieri Israele aveva avvisato gli Stati Uniti che intendeva attaccare entro i due giorni successivi.
  • 41m fa07:46Attacchi aerei anche su Siria e IraqRaid aerei hanno preso di mira nella notte siti dell’esercito siriano nei governatorati di As-Suwayda e Daraa, nel sud della Siria. Lo riferiscono fonti siriane citate dal sito di notizie As-Suwayda24. Attacchi aerei anche in Iraq, nell’area di Baghdad e nel governatorato di Babil, come riporta al-Iraq News.
  • 42m fa07:45Media Iran: “Impianti nucleari completamente sicuri”Gli impianti nucleari nella provincia Esfahan, città nel centro dell’Iran colpita dai raid israeliani, sono “completamente sicuri” dopo i raid nella notte. Lo riferisce l’agenzia di stampa Tasnim, citando “fonti affidabili”. Dalla base di Esfahan sono partiti i missili lanciati verso Israele nell’attacco di sabato scorso. 
  • 1h fa07:15Cnn: “Attacco limitato, rispetta auspici degli Usa”Secondo gli analisti della Cnn, l’attacco in Iran attribuito a Israele è stato limitato e rispetta le sollecitazioni di Usa e alleati per non aumentare la tensione nella regione. La loro previsione è che Teheran non risponderà.

6200.- Biden scarica Netanyahu: “Ha sbagliato la gestione della guerra a Gaza, serve una tregua immediata”

La macchina da guerra di Netanyahu va a odio, ma Israele non è Netanyahu.

Da Il secolo d’Italia, 10 Apr 2024 – di Laura Ferrari

Biden Netanyahu

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Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, in un discorso dai toni estremamente duri nei confronti del premier israeliano, ha definito senza mezzi termini “un errore” l’approccio di Benjamin Netanyahu alla guerra a Gaza.

L’intervista di Biden: uno schiaffo alla politica di Netanyahu

Intervistato dalla rete americana in lingua spagnola Univision, tornando sulla strage degli operatori sanitari della World Central Kitchen, Biden ha definito l’accaduto “scandaloso” sottolineando che i mezzi colpiti dai droni non potevano essere scambiati per un convoglio di Hamas. Inoltre “non ci sono scuse” per non inviare aiuti umanitari nell’enclave. “Quello che chiedo – ha detto il numero uno della Casa Bianca – è che gli israeliani accettino semplicemente un cessate il fuoco, consentendo per le prossime sei, otto settimane l’accesso totale a tutto il cibo e le medicine che entrano nel paese. Ho parlato con tutti, dai sauditi ai giordani agli egiziani. Sono pronti a trasferire questo cibo. E penso che non ci siano scuse per non provvedere alle esigenze mediche e alimentari di quelle persone. Dovrebbe essere fatto adesso”.

Il canto del cigno di Netanyahu: “C’è una data per l’attacco a Rafah. Elimineremo Hamas anche lì. Nessuno ci fermerà”. La parola è all’Iran.

Il presidente Usa fa gli auguri agli islamici per la fine del Ramadan

Una presa di distanza nei confronti della politica israeliana che va di pari passo con l’apertura al fronte islamico. In queste ore, sui social, il presidente americano ha anche rivolto un pensiero speciale per i palestinesi della Striscia di Gaza durante i suoi auguri per l’Eid al-Fitr, che segna la fine del mese sacro all’Islam di Ramadan. ”Mentre le famiglie e le comunità musulmane si riuniscono per l’Eid al-Fitr, stanno anche riflettendo anche sul dolore provato da così tanti. I miei pensieri vanno a coloro che in tutto il mondo sopportano conflitti, fame e sfollamenti, anche in luoghi come Gaza e il Sudan’, ha scritto Biden in un post su X. ”Ora è il momento di impegnarsi nuovamente nell’opera di costruzione della pace e di difesa della dignità di tutti”, ha aggiunto.

6196.- Tregua a Gaza per evitare il caos? Cosa succede tra Israele e Iran

Biden attende le elezioni sedendo sui carboni accesi da Netanyahu. L’Iran si mostra saggio perché la guerra totale non la vuole nessuno. Se Israele lascia spazio alla diplomazia finiscono insieme le guerre e Netanyahu. Intanto, l’Israele di Netanyahu può fare il terrorista … perché la guerra totale non la vuole nessuno; non la vuole il Libano, non la vuole Hezbollah e, pur profittandone, non la vogliono gli Houthi. L’Italia, fra l’India e il Mediterraneo allargato, aspetta che Netanyahu se ne vada.

Da Formiche.net un punto acuto sul Medio Oriente di Emanuele Rossi. 08/04/2024

Israele a un bivio: le pressioni interne, regionali e internazionali; il raid model e la crisi umanitaria; gli ostaggi e l’idea dell’Iran. Cosa potrebbe succedere nei prossimi giorni

L’Iran non attaccherà Israele per rappresaglia del colpo subito a Damasco se si riuscirà a trovare la via per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Gli Stati Uniti stanno conducendo le trattative — insieme a Qatar ed Egitto — per trovare un “deal” sugli ostaggi trattenuti ancora da Hamas e fermare le armi dopo sei mesi di guerra, oltre trentamila morti, una crisi umanitaria in divenire. Israele vede uscire una pioggia di indiscrezioni sulla situazione (ne parla Al-Qahera News, Tv statale egiziana, l’iraniana Jadeh e lo Yediot Ahronot) e sente il peso di una pressione su diversi fronti.

Innanzitutto c’è quello interno, di doppio valore. I cittadini israeliani vogliono il ritorno a casa delle persone rapite brutalmente nel bestiale attacco del 7 ottobre — con cui Hamas ha dato inizio alla stagione di guerra in corso. Protestano contro il governo perché non fa abbastanza per liberare quelle 140 persone, pesantemente maltrattate, e per questo sono disposti ad accettare anche compromessi. Contemporaneamente vogliono evitare l’allargamento del conflitto che un attacco iraniano su Israele potrebbe significare, con potenziali ulteriori vittime.

Punto comune della situazione è il destino di Benjamin Netanyahu. Molti israeliani lo vorrebbero fuori dal potere, e le manifestazioni in strada per gli ostaggi diventano sempre occasione per critiche pesanti e generali al governo. E sanno che la continuazione della guerra, o l’allargamento, sono per Netanyahu l’unica occasione di sopravvivenza, come ricordava Giuseppe Dentice (CeSi). Differentemente, con le armi in pausa, potrebbe esserci la possibilità di un ricambio, magari convocando nuove elezioni come proposto da Benny Gantz, uno dei leader dell’opposizione attualmente rientrato nel cosiddetto “gabinetto di guerra” per spirito di responsabilità e unità nazionale.

Ma le pressioni su Israele arrivano anche dall’esterno, innanzitutto sul piano internazionale. Se dall’Europa sono arrivate critiche per l’attacco a Damasco (bombardamento non rivendicato da Israele che ha portato all’uccisione di alcuni alti funzionari iraniani nel cortile antistante la sede consolare dell’ambasciata della Repubblica islamica in Siria), per gli Stati Uniti c’è un coinvolgimento anche maggiore. Washington sente su di sé le pressioni internazionali per aver sempre difeso l’alleato (e il suo diritto di autodifesa) e per questo da tempo sta cercando di deviare la situazione verso una rotta negoziale. Gli Usa hanno anche consapevolezza che se l’Iran dovesse attaccare, allora il loro coinvolgimento aumenterebbe (sia per difendere Israele, sia per difendere le proprie postazioni militari mediorientali). E l’amministrazione Biden vuole evitare questa situazione a pochi mesi dal voto.

Gli Stati Uniti, dopo la fase di pressione diplomatica per affrontare la crisi umanitaria, hanno ottenuto un maggiore flusso di aiuti nella Striscia (domenica sono entrati 332camion, mai così tanti dal 7 ottobre scorso). Contemporaneamente qualcosa potrebbe muoversi anche sul campo militare: le forze israeliane si sono parzialmente ritirate dall’area sud dell’enclave palestinese, tenendo però la presenza nel corridoio di Netzarim (che taglia trasversalmente la Striscia, permette ingressi rapidi per operazioni spot e garantisce un punto di slancio per un’eventuale azione su Rafah). Ad oggi, Israele è presente con circa un quarto delle forze che avevano condotto l’invasione su larga scala, e forse potrebbe essere l’effettivo inizio del “raid model” chiesto dagli Stati Uniti per minimizzare le vittime civili — attraverso attacchi più chirurgici contro Hamas.

Infine ci sono le pressioni regionali. Israele non ha abbandonato l’idea di normalizzare i rapporti con l’Arabia Saudita, passaggio che è un presupposto strategico per la stabilità della regione immaginata anche da Washington, e per progetti globali come l’Imec (la nuova rotta geostrategica indo-mediterranea che connetterà Europa e Asia). Riad vive con difficoltà la situazione: per interessi strategici vuole continuare le discussioni con Israele (anche via Usa) per avviare una nuova fase in Medio Oriente, ma per ragioni di equilibri interni non può abbandonare la causa palestinese (il regno protegge i luoghi sacri dell’Islam, d’altronde, è la questione palestinese è una delle grandi incomplete per i credenti mussulmani in tutto il mondo).

Di più: i sauditi — insieme agli altri leader della regione del Golfo, gli emiratini — hanno da tempo intrapreso un processo di détente con l’Iran. Lo hanno fatto dopo aver rotto le relazioni con il Qatar perché troppo aperto nei confronti di Teheran e dopo aver recuperato i rapporti anche con Doha (ora player centrale negli equilibri regionali internazionali). Uno scontro aperto tra Israele e Iran sarebbe problematico, perché altererebbe il processo nella regione e potrebbe intaccare dossier delicatissimo come quello in Yemen, dove gli Houthi — in fase di cessate il fuoco con i sauditi dopo anni di guerra — hanno già dimostrato di essere interessati a sfruttare il contesto a proprio vantaggio.

Inoltre, con la proposta che filtra sui media (tregua in cambio di non escalation),  l’Iran cerca di dimostrarsi potenza regionale responsabile. Nella narrazione generale questo serve anche a dimostrarsi migliore di Israele, che bombarda un edificio consolare — anche se l’intento si scontra col sostegno armato fornito al network terroristico che va da Hamas a Hezbollah fino alle milizie in Iraq e Siria e gli Houthi. Teheran vuole controllare la reazione tutelando interessi strategici senza perdere aliquote di propaganda, come spiegava Francesco Salesio Schiavi?

6190.- Dove vuole portarci Netanyahu?

Israele morde ovunque. Sta scrivendo la sua fine o la nostra? Teheran, umiliata, non può non reagire.

Un raid israeliano distrugge una parte dell’ambasciata iraniana a Damasco. Muore un alto comandante dei Pasdaran

1 Apr 2024 18:58 – di Redazione Il Secolo d’Italia

Un missile israeliano ha colpito anche Damasco. Solo la follia può scatenare una guerra regionale.. e ha un nome.

Un raid dell’esercito israeliano ha distrutto un palazzo dell’ambasciata iraniana a Damasco, la capitale della Siria, e nell’attacco è stato ucciso un alto comandante dei Guardiani della Rivoluzione iraniani, Mohammad Reza Zahedi, esponente di spicco delle Forze Quds in Siria e Libano, ossia il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane (i cosiddetti Pasdaran). Con lui sono rimasti uccisi cinque membri della Guardia rivoluzionaria iraniana.

Sarebbero sei i morti nel presunto raid israeliano. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, invece, parla di otto vittime provocate dal bombardamento.  L’ambasciatore della Repubblica islamica dell’Iran a Damasco, Hossein Akbari, non e’ stato ferito nell’attacco.

Israele non sara’ in grado di “influenzare” le relazioni tra Siria e Iran. Lo ha affermato il ministro degli Affari esteri della Siria, Faisal Miqdad, in seguito all’attacco attribuito alle Forze di difesa di Israele (Idf). Lo ha reso noto l’agenzia di stampa siriana “Sana”. Il capo della diplomazia ha condannato l’attacco, che ha definito “terrorista”, e ha espresso il suo cordoglio per “le vittime innocenti”, senza specificare il bilancio totale del raid.

L’ambasciatore iraniano a Damasco, Hossein Akbari, ha affermato che “la risposta di Teheran sarà dura”. Il diplomatico ha poi aggiunto che “dopo aver rimosso le macerie del palazzo distrutto dal raid sarà reso noto il numero esatto delle vittime”.

6187.- Israele costringerà il Libano a entrare in guerra. L’ONU non ferma l’escalation di Biden e Netanyahu.

Gli attacchi di Israele agli ospedali sono “inaccettabili, violano le leggi e le norme internazionali, in particolare la Convenzione di Ginevra, che sottolinea la neutralità dei centri sanitari e degli operatori sanitari”. Il Libano non vuole la guerra, ma Israele gliela fa. A Gaza si sta celebrando la catastrofe dell’umanità.

Israele attacca centro medico in Libano e uccide 7 persone. La risposta di Hezbollah causa una vittima

Da Pagine Esteri, di Eliana Riva, 27 marzo 2024

Israele attacca centro medico in Libano e uccide 7 persone. La risposta di Hezbollah causa una vittima

di Eliana Riva – 

Il confronto armato tra Israele e Hezbollah, in Libano, subisce una nuova, pericolosa accelerazione. Martedì Israele ha colpito la zona più settentrionale del Libano dall’inizio della guerra. A 100 chilometri dal confine, nella città di Zaboud, nella zona orientale della Valle della Beqaa. L’esercito israeliano afferma di aver colpito un complesso militare contenente diverse piattaforme per il lancio dei droni.

Lo stesso giorno Hezbollah aveva attaccato la base aerea sul monte Meron, poco all’interno del confine israeliano. Si tratta di un presidio utilizzato dall’esercito per monitorare lo spazio aereo che, sempre secondo le forze armate, non ha subito danni significativi.

Durante la notte tra martedì e mercoledì, Israele ha compiuto un raid aereo sul villaggio di al-Habbariyeh, attaccando un centro medico e uccidendo 7 persone. Tel Aviv ha dichiarato che l’operazione militare mirava all’uccisione di un combattente dell’organizzazione Al-Jama’a Al-Islamiyya. Il Centro islamico di Emergenza e Soccorso è stato distrutto nell’attacco, che secondo fonti libanesi ha causato vittime civili: le autorità hanno dichiarato che nell’edificio c’erano paramedici, volontari e studenti universitari. Il Ministero della Salute libanese ha condannato il raid: “Questi attacchi inaccettabili violano le leggi e le norme internazionali, in particolare la Convenzione di Ginevra, che sottolinea la neutralità dei centri sanitari e degli operatori sanitari”.

Hezbollah ha immediatamente dichiarato che avrebbe risposto con forza a quello che ha definito un massacro compiuto da Israele. Alle 8 di mercoledì il gruppo islamico ha lanciato un attacco massiccio contro Kiryat Shmona, la città della punta settentrionale si Israele, vicinissima al confine, tra il Libano e le Alture del Golan occupate da Tel Aviv nel 1967. Almeno 3 dei circa 30 missili esplosi dal Libano hanno raggiunto la città, colpendo un edificio industriale e uccidendo un uomo di 25 anni.

Il Consiglio nazionale libanese per la ricerca scientifica (CNRS) ha denunciato il massiccio utilizzo di Fosforo bianco da parte di Israele nella zona meridionale, quantificato in circa 117 bombe fosforiche lanciate dall’inizio delle ostilità con Hezbollah, l’8 ottobre 2023, fino al 6 marzo 2024.

In Cisgiordania, intanto, sono stati uccisi 3 palestinesi nella zona di Jenin tra i quali due ragazzi di 19 anni. Il primo durante un’incursione dell’esercito israeliano nella città, all’esterno del campo profughi. Poche ora più tardi i militari hanno guidato un drone sull’area che ha ucciso altri 2 giovani palestinesi nelle prime ore dell’alba. L’utilizzo dei droni per uccidere i palestinesi in Cisgiordania è sempre più diffuso. All’inizio dell’anno, il 7 gennaio, proprio a Jenin un drone ha ucciso 7 persone tra le quali 4 fratelli della famiglia Darwish, che aspettavano di cominciare il lavoro quotidiano nei campi.

A Gaza si intensificano gli attacchi israeliani a Rafah, nonostante la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite abbia chiesto un cessate il fuoco immediato. Nella notte sono state uccise almeno 9 persone in un attacco aereo che ha distrutto l’abitazione della famiglia Chahir, nel nord di Rafah, al confine con l’Egitto. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver attaccato altri 5 edifici durante la notte. Sono stati distrutti anche numerosi terreni agricoli. Continua, intanto, l’assedio all’ospedale Shifa, dove gli israeliani hanno dichiarato di aver ucciso decine di persone.

Nella Striscia almeno 27 persone, tra le quali 23 bambini, sono morte di fame. Secondo la United Nations Population Fund, 1 su 3 bambini sotto i due anni a Gaza soffre una grave malnutrizione. Metà della popolazione ha esaurito le proprie scorte di cibo e deve far fronte a una “fame catastrofica”. Martedì almeno 12 palestinesi, tra cui bambini, sono annegati nel tentativo disperato di recuperare gli aiuti umanitari lanciati dagli aerei e finiti in mare. Decine di persone affamate hanno rincorso i paracadute con le scatole di aiuti alimentari fino alla spiaggia di Beit Lahia, dove il forte vento li ha spinti in mare. Pagine Esteri.

Raid nel sud del Libano, colpita auto con osservatori Onu. Idf smentisce: nessun attacco. Come credergli?

Feriti 3 membri Unifil di nazionalità australiana, cilena e norvegese, e un libanese, non in pericolo di vita. Ancora non chiara la dinamica dell’accaduto. Morti sulla distribuzione di aiuti, a Jenin ucciso un 13enne dopo un blitz dell’esercito.

6160.- Israele in rotta di collisione con gli USA. L’impotenza americana non è mai stata così evidente a Pechino

Pechino annota: Ci sono ormai evidenti limiti al potere degli Stati Uniti non esiste più quel rispetto automatico da parte neppure dei più stretti alleati. Il pericolo è che le mezze tacche europee assumano verso Mosca iniziative al di sopra del loro livello. Ecco un motivo in più per candidare Giorgia Meloni alla Commissione.

“Enough is enough!”  Fuori Victora Nuland, ebrea, russofoba e regista del “Progetto Ucraina”.

Dopo non averne azzeccata una, portando il mondo gli USA sull’orlo della guerra aperta con la Russia, la esponente di punta, la kattifissima dei neocon, il terzo diplomatico in grado di importanza in USA, viene silurata dai suoi compagni nel tentativo di salvare se stessi.

Nota per essere sempre stata una protetta del falco Dick Cheney, la Nuland ha guidato personalmente il rovesciamento del governo ucraino su mandato dell’amministrazione Obama nel 2014.

Victoria Nuland, 63 anni, era considerata il perno delle politiche anti-Mosca delle amministrazioni del Partito Democratico guidate da Barack Obama. Se Trump non può vederla, la Andrews, a proposito delle sue dimissioni dice testualmente “Meritava di andarsene con disonore, non di licenziarsi alle sue condizioni dopo che le era stata negata una promozione”.

Alla fine ad avere lasciato il posto sono stati in due: il generale ucraino fatto fuori da Zelensky e colei che tutta probabilità ne aveva approvato il licenziamento.
Victoria Nuland si è dimessa dopo l’ultima visita a Kiev prima del licenziamento del generale Zaluzhny

Da Quora, un Post di Gianluca Napolitano

Dopo aver defenestrato, e in maniera brutale, Victora Nuland, ebrea e regista del “Progetto Ucraina”, chi comanda davvero a Washington – il “permanent state inside the state deparment” – ha proseguito a fare pulizia anche con il resto della claque di Joe Biden.

Il discorso del presidente sullo “stato dell’unione” è stato il segnale di avvio delle ostilità interne all’amministrazione americana, all’insegna del “enough is enough” (“quando è troppo è troppo”).nova-project · 6 marzo Quando è troppo, è troppo, perdìo!

Dopo non averne azzeccata una, portando il mondo, gli USA sull’orlo della guerra aperta con la Russia, la esponente di punta, la kattifissima dei neocon, il terzo diplomatico in grado di importanza in USA, viene silurata dai suoi compagni nel tentativo di salvare se stessi. Nota per essere sempre stata una protetta del falco Dick Cheney, la Nuland ha guidato personalmente il rovesciamento del governo ucraino su mandato dell’amministrazione Obama nel 2014. * Sotto George W. Bush, Nuland è stato vice consigliere di politica estera (2003-2005) del vicepresidente Dick Cheney, un sostenitore dell’invasione dell’Iraq. * Tra il 2005 e il 2008 è stata ambasciatrice degli Stati Uniti presso la NATO mobilitando l’Europa a sostegno dell’occupazione dell’Afghanistan. * Nuland ha svolto un ruolo chiave nelle proteste Euromaidan del novembre 2013 – febbraio 2014. In una telefonata intercettata con l’ambasciatore americano Geoffrey Pyatt Nuland ha discusso la composizione di un futuro governo ucraino mentre l’allora presidente Viktor Yanukovich era ancora in carica. Dopo la deposizione di Yanukovich, l’Ucraina è stata trascinata in un conflitto civile. * La Nuland ha minimizzato i crimini di guerra del regime di Kiev contro il Donbass, incolpando la Russia per il fallimento degli accordi di Minsk. Successivamente si è scoperto che gli alleati della NATO vedevano gli accordi come una pausa operativa per il rafforzamento militare ucraino. * Nel marzo 2022, la Nuland ha ammesso che “l’Ucraina dispone di strutture di ricerca biologica” in collaborazione con gli Stati Uniti, facendo così luce sulle presunte attività di guerra biologica degli Stati Uniti alle porte della Russia. Balle, balle e solo balle. E alla fine paghi per tutti: Il 1° febbraio 2024 Nuland arrivò a Kiev nel mezzo del conflitto tra il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj e l’allora comandante in capo dell’esercito, generale Valery Zaluzhny. L’8 febbraio Zaluzhny è stato rimosso. Il 17 febbraio, l’esercito russo ha liberato Avdeevka e ha continuato a fare progressi sul terreno. E questo vi serva da esempio su quanto valgano le promesse americane in generale. (vedi anche Ucraina allo sbando: spariti 700mila militari ) E anche come indizio di quanto stiano andando bene le cose in Ucraina. La Zacharova è stata la prima a commentare: “Non vi diranno di certo pechè l’hanno scaricata, ma è semplicissimo. Il fallimento della strategia anti-russa. La russofobia proposta da Victoria Nuland come principale politica estera degli Stati Initi sta tirando a fondo i democratici come una pietra al collo”. Da wikileaks: ll Sottosegretario di Stato USA Victoria Nuland si è dimessa perché ha fallito completamente nelle sue promesse. Principalmente le viene imputato il disastroso esito del piano da lei stessa presentato nel lontano 1997 al Council on Foreign Relations, e cioè di come portare avanti l’espansione della NATO verso Est senza che la Russia la vedesse come una minaccia alla propria sicurezza. Questo potrebbe segnare un cambio di passo nella politica USA? Se guardiamo a chi la sotituirà le perplessità che sorgono assumono dimensioni preoccupanti. A sostituire “temporaneamente” la Nuland – che equivale ad un vice.ministro degli esteri, italiano, ma con molti più poteri – sarà John Bass, tristemente noto per essere stato il supervisore del disastroso e umiliante ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan nell’agosto 2021. Sostanzialmente possiamo definirlo “un tecnico”. Questa nomina, e il fatto che si tratti di una soluzione temporanea, fanno pensare che il suo compito sia quello di trovare una via di uscita praticabile dalla merda profonda in cui Washington si trova in Iraq, mentre si abbandona il “progetto Ucraina” al suo destino. Ovviamente alla Nuland viene tributato l’onore delle armi: Comunicato di Tony Blinken (in originale, tradurre non merita, tanto sono tutte minchiate) Victoria Nuland has let me know that she intends to step down in the coming weeks as Under Secretary of State for Political Affairs – a role in which she has personified President Biden’s commitment to put diplomacy back at the center of our foreign policy and revitalize America’s global leadership at a crucial time for our nation and the world. Toria’s tenure caps three and a half decades of remarkable public service under six Presidents and ten Secretaries of State. Starting with her very first posting as a consular officer in Guangzhou, China, Toria’s had most of the jobs in this Department. Political officer and economic officer. Spokesperson and chief of staff. Deputy Assistant Secretary and Assistant Secretary. Special Envoy and Ambassador. These experiences have armed Toria with an encyclopedic knowledge of a wide range of issues and regions, and an unmatched capacity to wield the full toolkit of American diplomacy to advance our interests and values. What makes Toria truly exceptional is the fierce passion she brings to fighting for what she believes in most: freedom, democracy, human rights, and America’s enduring capacity to inspire and promote those values around the world. These were the principles that drove Toria when we first met more than 30 years ago. They are the same principles she has brought to her work as Under Secretary, and as Acting Deputy Secretary of State – a role she filled seamlessly for seven months. President Biden and I have asked our Under Secretary for Management John Bass to serve as Acting Under Secretary of State for Political Affairs until Toria’s replacement is confirmed. We are so grateful for Toria’s service, and for the lasting mark she’s made on this institution and the world. Viscidi come lumache Il tono melenso della comunicazione – dove Blinken chiama la Nuland col nomigono affettuoso “Tora”, e il fatto che ad annunciarle non sia la Nuland stessa, ma lui che è il suo capo, induce a pensare che sia stata silurata senza troppi complimenti. Si tratta comunque di una mossa di una certa rilevanza e c’è da chiedersi quale ne sia la ragione. È possibile che siano sorti dissidi insanabili tra Blinken e la sua vice, specie dopo che è diventato impossibile nascondere la sconfitta dell’Ucraina dopo tante promesse. Sconfitta che minaccia di diventare una debacee, e arrivare assai prima delle elezioni americane di novembre, mostrando un Biden perdente, sconfitto in quella che tutti qui percepiscono come la “sua” guerra contro la Russia in Ucraina. Anche la mossa disperata di far fuori Zaluzhny per incolparlo della sconfitta, voluta personalmente dalla Nuland nel suo recente viaggio a Kiev, seguita dal crollo del morale dell’esercito che ormai perde pezzi per strada, non ha ccerto aumentato la fiducia che lo staff della Casa Bianca nutre per lei.. Ma potrebbe anche essere – come ho già detto – l’avvio di un processo di sganciamento di Blinken e dei superstiti Neocon meno compromessi dalla amminastrazione Biden , ormai considerto perdente, in vista di un riciclaggio sotto Trump. Una cosa è certa. All’Ucraina questa mossa non porta nessun bene. E neanche a noialtri. Il panico dilaga in Europa Nelle cancellerie europee ormai il panico dilaga incontrollato. Medvedev infatti comunica che oggi gli ambasciatori dei paesi della UE in Russia, che erano stai convocati dal ministro degli esteri russo Lavrov per riferire sulla situazione, hanno semplicemente rifiutato di incontrarlo, ovviamente su precise istruzioni di Bruxelles. Questo comportamento inaudito e mai visto prima nella storia delle relazioni diplomatiche, rende semplicemente inutile l’esistenza di missioni diplomatiche e della nomina di ambasciatori fra gli stati. Medvedev dice apertamente che stando così le cose, sarebbe opportuno rispedire a casa tutta questa gente espellondoli tutti dalla Russia e troncare le relazioni diplomatiche. Beh, male senza dubbio, ma ancora non malissimo- Per quello c’è ancora spazio.

Ora tocca ad Israele.

I

A Washington nessuno dei membri del gabinetto Biden sembra felice della piega che stanno prendendo gli eventi nel Medio Oriente.

La perdita di contatto con la realtà dell’amministrazione Biden non è pià solo una questione elettorale e fastidiosa che può essere corretta con una migliore gestione delle pubbliche relazioni da parte del team del Dipartimento di Stato.

Non si possono più nascondere i fatti, e il discorso di Biden è stato il più propagandistico, autoassolutorio e dvisivo della Storia degli Stati Uniti, perfino piùà di quello di Lincoln durante la guerra di secessione, a detta di tanti commentatori.

I probelmi di politca estera – che non esistevano prima di Biden – si stanno irrimediabilmente trasformando in problemi di politica interna, e i democratici vedono profilarsi una sconfitta catastrofica, alla quale per porre rimedio l’unica strada percorribile, forse, è la rimozione del presidente per motivi di salute (mentale).

Data per persa la partita in Ucraina (con le ricadute che avrà, ancora gestibili grazie alla ignoranza diffusa fra gli elettori del persino dove sia) il problema dei problemi si chiama Israele, che tutti sanno dov’è e cosa rappresenta.

E lì la situazione rischia veramente di eplodere in mano a Biden e ai suoi, visto che Netanyahu sembra irremovibile sulla sua linea dura, durissima e intransigente.

Biden ha posto agli israeliani un limite ben chiaro: niente attacco a Rafah!

Alon Pinkas, ex diplomatico israeliano di alto livello, ben inserito a Washington, ci dice che la Casa Bianca frustrata alla fine ne ha “ne avuto abbastanza” e che la rottura con Netanyahu è ormai completa.

Il Primo Ministro israeliano non si comporta come deve fare un “alleato degli Stati Uniti”, fa di testa sua e critica severamente le politiche di Biden in Medio Oriente. Peggio che mai si vanta apertamente di controllare lui il COngrsso USA più di quanto lo controlli la Casa Bianca.

Biden non può permettersi che ulteriori influenze israeliane mettano a repentaglio la sua campagna elettorale, e quindi – come chiarisce il suo discorso sullo stato dell’Unione – intende riprendere in mano la situazione, vendendola agli americani per quello che è, e non più affidandosi solo alla propaganda per mascherare la realtà.

Allora cosa intende fare Biden riguardo all’atto di sfida di Netanyahu contro il “Santo Graal” delle lobby israeliane negli Stati Uniti?

Preda del già citato distacco totale dalla realtà ha invitato personalmente a Washington il ministro israeliano Benny Gantz, membro del Gabinetto di Guerra israeliano e gli ha dedicato un ordine del giorno normalmente riservato a un primo ministro e non ad un ministro degli affari interni.

Come se da noi avessero invitato alla Casa Bianca il ministro Piantedosi al posto della Meloni, e senza avvisarla prima, per parlare di un invio di truppe in Ucraina.

Sostanzialmente si tratta di un invito a qualcuno che in Israele non governa, ma che agli USA piacerebbe lo facesse.

Sullivan e BLinken pensavano che, avviando una visita al di fuori dei consueti protocolli diplomatici,(econ un paio di spintarelle in loco) si potesse avviare una crisi di governo a Tel Aviv in grado di far ldimettere Netanyahu e in elezioni anticipate in grado di formare un governo più disponibile ad ubbidire agli Stati Uniti.

Era chiaramente un primo passo verso un cambio di regime “soft”.

Netanyahu è ormai considerato la causa di tutti i mali, e in particolare il responsabile del vero e proprio affronto ricevuto da Biden in persona alle primarie del Michigan, dove è stato chiamato “Gnocyde Joe” e la protesta per le sue posizioni su Gaza ha superato i 100.000 “voti a vuoto”.

I sondaggi – soprattutto tra i giovani – per novembre e cominciano a preoccupare fortemente i democratici, che non possono permettersi di supportare un candidato denominato “Genocyde Joe”.

Nahum Barnea, uno dei principali commentatoripolitici avverte che Israele sta “perdendo l’America”:

“Biden ama profondamente Israele ed è sinceramente dalla nostra parte, ma non ha intenzione di perdere le elezioni per noi”.

La Casa Bianca è quindi passata al vecchio trucco di scaricare tutti i propri fallimenti politici su un leader straniero colpevole di avere reso impossibile il lavoro e cercare di sostituire quel leader con qualcuno più compiacente.

Hanno quindi invitato Ben Gatz prima a Londra e poi a Washington, proponendogli una agenda da Primo Ministro, e non da membro del governo.

Ben Gatz ha detto apertamente che si rendeva conto del significato, e che in effetti il posto gli interessava anche ma se pensavano che con lui al governo le cose sarebbero cambiate, sotanzialmente, stavano freschi.

E’ stato anche più esplicito dicendo chiaramente “se pensate con questa mossa di dividerci vi sbagliate. Tutti noi perseguiamo gli stesi obbiettivi di Netanyahu e condividiamo i suoi metodi”.

Biden ha detto anche “ho avvisato Netanyahu che Rafah è una linea rossa invalicabile” e ha aggiunto che non ha ottenuto la risposta che voleva

Ben Gantz è stato adamantino, rispondendo “mi dispiace, ma le vostre linee rosse non sono le nostre. Le nostre sono di evitare un altro 7 ottobre e quindi attaccheremo Rafah comunque”.

Qualcuno ha chiesto “ma che sarà del milione e mezzo di palestinesi che sono là?” – “si sposteranno a Nord” ha liquidato il problema l’israeliano.

La rottura con gli americani non poteva essere più netta.

Per fermare Netanyahu basta una telefonata: “basta così o non vi mandiamo più neanche uno spillo”.

Eppure, posto davanti a questa domanda, la sera stessa Biden alla CBSN ha dichiarato “Ho posto delle linee rosse a Israele, ma sia chiaro che non sospenderò mai l’invio di armi e di aiuti e lo difenderemo fino in fondo”.

La credibilità americana ha ormai toccato il punto più basso della Storia (e ne ha avtio parecchi anche prima, ma così mai).

Anche il piano di aiuti via nave, che (ora si sanno i dettagli) dovrebbero arrivare a Cipro, essere lì controllati e autorizzati dagli americani senza intervento israeliano, e poi portai via nave fino al porto galleggiante dal quale venire sbarcati a Gaza ha già avuto il “no” di Hamas.

Non ci serve questo tipo di aiuti. Gli aiuti ci sono già, sono fermi al confine di Rafah, in territorio egiziano, provengono dall’ONU e quelli vogliamo, da lì e da loro.“. Le fughe in avanti non ci servono.

L’impotenza americana non è mai stata così evidente.

Come scrive Ariel Kahana su Israel Hayom il 6 marzo:

Gantz ha incontrato tutti i massimi funzionari dell’amministrazione e ha presentato posizioni identiche a quelle di Netanyahu”

Quindi Gantz ha detto potrebbe anche sostituire Netanyahu come primo ministro. eventualmente, ma le sue politiche non sarebbero sostanzialmente diverse da quelle dell’attuale governo.

Alla fine della visita, dopo che Gantz ha detto quello che ha detto, la Casa Bianca sta ora facendo i conti con una realtà inaudita .

Ci sono ormai evidenti limiti al potere degli Stati Uniti non esiste più quel rispetto automatico da parte neppure dei più stretti alleati.

Tranne gli europei, ovviamente.

A Mosca hanno sicuramente preso nota. Ma specialmente lo hanno fatto a Pechino.

6159.- Nave Duilio è stata mandata in una missione di guerra, non di pace. La favola è già finita


Italia in guerra nel Mar Rosso – Perché la favola della missione difensiva è già finita

Alta tensione con gli Houthi titolava a 6 colonne ieri Il Corriere in prima pagina; “La nave Duilio abbatte altri due droni nel Mar Rosso” e “i ribelli minacciano: l’Italia sta con i nemici”. Secondo Davide Frattini, “tutte le imbarcazioni che transitano al largo delle coste yemenite sono nel mirino del gruppo sciita” e “Così, nella volontà degli estremisti l’offensiva a Gaza contro Hamas diventa globale”; notare i termini: quello di Gaza non solo non è un massacro e, tantomeno, un genocidio, ma non è manco una guerra vera e propria. E’ un’offensiva: l’offensiva dei moderati ai quali si contrappongono gli estremisti che, ovviamente, non sono altro che un proxy di forze ancora più oscure perché chi mai, nel pieno possesso delle sue facoltà, deciderebbe di sua sponte di provare a ostacolare l’arrivo in Israele delle armi che usano per sterminare i bambini palestinesi? Queste forze oscure, ovviamente, in primo luogo sono l’Iran che, da dietro le quinte, “muove le sue armate per procura”, un tassello importante della propaganda suprematista che non sta né in cielo, né in terra e non è che lo diciamo noi: lo dice pure il Corriere stesso; basta girare pagina. “La milizia non ha vincoli” si legge “ed è autonoma dall’Iran”: a sottolinearlo non è esattamente un pasdaran del nuovo ordine multipolare, ma l’ultra atlantista Guido Olimpo che, sebbene ricordi – giustamente – che “è innegabile l’importanza del vincolo bellico con i pasdaran”, ha comunque un raro sprazzo di lucidità e sottolinea come “è opinione condivisa che il vertice Houthi abbia autonomia di scelta”.
Una lucidità che, evidentemente, manca al buon Davide Frattini che rilancia, perché – oltre all’Iran – c’è un’altra forza oscura dietro ai pupazzi yemeniti, la più oscura di tutte le forze oscure: il plurimorto dittatore sanguinario Vladimir Putin; “Il blocco di fatto dei traffici verso il canale di Suez”, sottolinea infatti Frattini l’irriducibile, “ha rilanciato i trasporti via terra lungo le ferrovie russe” che, essendo la Russia un sanguinario regime autarchico, ovviamente, sono “monopolio di proprietà dello Stato”. Ed ecco così che il cerchio si chiude e quegli estremisti degli Houthi, alla fine, commettono un crimine in prima persona e ne sostengono un altro indirettamente perché “Ogni vagone che passa sopra quei binari va a finanziare l’invasione dell’Ucraina”: come si fa a non prendere orgogliosamente parte a questo ennesimo capitolo della lunga guerra del Bene occidentale contro il Male del resto del mondo?
La notizia dell’aumento del traffico merci sui binari russi dall’inizio della crisi del Mar Rosso, riportata da Frattini, arriverà dal Financial Times: i vari operatori, scrive la testata britannica, avrebbero in effetti parlato di aumenti dal 30 al 40%. Ma c’è un piccolo dettaglio che a Frattini, evidentemente, è sfuggito: “I volumi mensili sulla rotta” riporta infatti il Financial Times “sono diminuiti dopo l’invasione e rappresentano ancora meno della quantità trasportata da una singola grande nave portacontainer moderna”; un altro capitolo della lunga saga dell’odio viscerale dei giornalisti di colonia Italia verso i numeri e la logica matematica. Secondo Frattini, la Russia spingerebbe verso un’escalation potenzialmente devastante per spostare il traffico di mezza nave container: quando si dice il giornalismo basato sui dati; la guerra del bene contro il male comunque, continua Frattini, potrebbe essere solo all’inizio perché “L’asse della resistenza, come si autodefinisce, adesso spera che il mese più sacro per i musulmani” e, cioè, il periodo di Ramadan iniziato domenica scorsa “spinga ad aprire altri fronti contro Israele”. Pensate, addirittura, che vorrebbero incitare “proteste violente a Gerusalemme e in Cisgiordania”: cosa c’avranno mai da protestare lo sanno solo loro e i loro cattivi maestri di Teheran e Mosca… Per fortuna che ci sono gli USA: guidati da spirito di sacrificio, infatti, “Gli americani continuano a negoziare un’intesa per la liberazione”, da un lato, di “un centinaio di ostaggi” sequestrati senza motivo dai crudeli “terroristi” e, dall’altro, di “detenuti palestinesi” ai quali, invece, vengono garantiti tutti i diritti e che, quasi quasi, stanno meglio in carcere che nei loro villaggetti di selvaggi, tant’è che ora nelle carceri israeliane ci vogliamo mandare anche i palestinesi residenti in Italia.

Italia in guerra nel Mar Rosso – Perché la favola della missione difensiva è già finita

Di Fabrizio Micheli

Alta tensione con gli Houthi titolava a 6 colonne ieri Il Corriere in prima pagina; “La nave Duilio abbatte altri due droni nel Mar Rosso” e “i ribelli minacciano: l’Italia sta con i nemici”. Secondo Davide Frattini, “tutte le imbarcazioni che transitano al largo delle coste yemenite sono nel mirino del gruppo sciita” e “Così, nella volontà degli estremisti l’offensiva a Gaza contro Hamas diventa globale”; notare i termini: quello di Gaza non solo non è un massacro e, tantomeno, un genocidio, ma non è manco una guerra vera e propria. E’ un’offensiva: l’offensiva dei moderati ai quali si contrappongono gli estremisti che, ovviamente, non sono altro che un proxy di forze ancora più oscure perché chi mai, nel pieno possesso delle sue facoltà, deciderebbe di sua sponte di provare a ostacolare l’arrivo in Israele delle armi che usano per sterminare i bambini palestinesi? Queste forze oscure, ovviamente, in primo luogo sono l’Iran che, da dietro le quinte, “muove le sue armate per procura”, un tassello importante della propaganda suprematista che non sta né in cielo, né in terra e non è che lo diciamo noi: lo dice pure il Corriere stesso; basta girare pagina. “La milizia non ha vincoli” si legge “ed è autonoma dall’Iran”: a sottolinearlo non è esattamente un pasdaran del nuovo ordine multipolare, ma l’ultra atlantista Guido Olimpo che, sebbene ricordi – giustamente – che “è innegabile l’importanza del vincolo bellico con i pasdaran”, ha comunque un raro sprazzo di lucidità e sottolinea come “è opinione condivisa che il vertice Houthi abbia autonomia di scelta”.
Una lucidità che, evidentemente, manca al buon Davide Frattini che rilancia, perché – oltre all’Iran – c’è un’altra forza oscura dietro ai pupazzi yemeniti, la più oscura di tutte le forze oscure: il plurimorto dittatore sangunario Vladimir Putin; “Il blocco di fatto dei traffici verso il canale di Suez” sottolinea infatti Frattini l’irriducibile “ha rilanciato i trasporti via terra lungo le ferrovie russe” che, essendo la Russia un sanguinario regime autarchico, ovviamente, sono “monopolio di proprietà dello Stato”. Ed ecco così che il cerchio si chiude e quegli estremisti degli Houthi, alla fine, commettono un crimine in prima persona e ne sostengono un altro indirettamente perché “Ogni vagone che passa sopra quei binari va a finanziare l’invasione dell’Ucraina”: come si fa a non prendere orgogliosamente parte a questo ennesimo capitolo della lunga guerra del Bene occidentale contro il Male del resto del mondo?
La notizia dell’aumento del traffico merci sui binari russi dall’inizio della crisi del Mar Rosso, riportata da Frattini, arriverà dal Financial Times: i vari operatori, scrive la testata britannica, avrebbero in effetti parlato di aumenti dal 30 al 40. Ma c’è un piccolo dettaglio che a Frattini, evidentemente, è sfuggito: “I volumi mensili sulla rotta” riporta infatti il Financial Times “sono diminuiti dopo l’invasione e rappresentano ancora meno della quantità trasportata da una singola grande nave portacontainer moderna”; un altro capitolo della lunga saga dell’odio viscerale dei giornalisti di colonia Italia verso i numeri e la logica matematica. Secondo Frattini, la Russia spingerebbe verso un’escalation potenzialmente devastante per spostare il traffico di mezza nave container: quando si dice il giornalismo basato sui dati; la guerra del bene contro il male comunque, continua Frattini, potrebbe essere solo all’inizio perché “L’asse della resistenza, come si autodefinisce, adesso spera che il mese più sacro per i musulmani” e, cioè, il periodo di Ramadan iniziato domenica scorsa “spinga ad aprire altri fronti contro Israele”. Pensate, addirittura, che vorrebbero incitare “proteste violente a Gerusalemme e in Cisgiordania”: cosa c’avranno mai da protestare lo sanno solo loro e i loro cattivi maestri di Teheran e Mosca… Per fortuna che ci sono gli USA: guidati da spirito di sacrificio, infatti, “Gli americani continuano a negoziare un’intesa per la liberazione”, da un lato, di “un centinaio di ostaggi” sequestrati senza motivo dai crudeli “terroristi” e, dall’altro, di “detenuti palestinesi” ai quali, invece, vengono garantiti tutti i diritti e che, quasi quasi, stanno meglio in carcere che nei loro villaggetti di selvaggi, tant’è che ora nelle carceri israeliane ci vogliamo mandare anche i palestinesi residenti in Italia.

Anan Yaeesh

E’ l’incredibile caso di Anan YaeeshIl terrorista palestinese vezzeggiato da sinistra e 5scome titolano i paladini del garantismo del Giornanale – un garantismo che vale solo per la razza ariana e per i redditi da 100 mila euro in su; sulla testa di Yaeesh, infatti, incombe una richiesta di estradizione da parte del regime fondato sull’apartheid di Tel Aviv, che il procuratore ha deciso di fare sua: Yaeesh sarebbe accusato di aver collaborato con le Brigate Tulkarem in attività che avrebbero “finalità terroristiche” che, per gli israeliani, significa qualsiasi cosa che uno fa per resistere alla pulizia etnica. L’articolo 3 della CEDU, ovviamente, impedirebbe di consegnare una persona a un paese che pratica la tortura, ma siccome Israele è una l’unica democrazia del Medio Oriente, lì la tortura la chiamano metodi avanzati di interrogatorio e alla propaganda suprematista a sostegno del genocidio tanto basta. Tornando all’articolo di Frattini, bisogna concedergli che anche lui, a un certo punto, ammette che “La situazione per la popolazione di Gaza continua ad essere disastrosa”; peccato la colpa sia tutta di Hamas che non solo, con il suo pogrom ingiustificato del 7 ottobre, ha scatenato l’offensiva dei pacifici israeliani, ma ora ostacola anche l’arrivo degli aiuti a 2 stelle Michelin: grazie anche al supporto della sempre generosissima Unione Europea, infatti, è stato stabilito un corridoio marittimo che da Cipro sfocia direttamente in un nuovo molo in costruzione al nord di Gaza ed è qui che sbarcheranno gli aiuti della “World Central Kitchen, l’organizzazione creata dallo chef ispano – americano José Andrés”: volevano il pane; gli abbiamo dato la cucina molecolare (e si lamentano pure). In questo contesto, scrive il Giornanale, “essere sullalavagna nera delle milizie finanziate dall’Iran costituisce un motivo di orgoglio”.
Alcuni, infatti, si limitano a parlare di autodifesa della nostra Caio Duilio, ma – ovviamente – in ballo qui c’è molto di più: lo rivendica con orgoglio l’ammiraglio Luigi Mario Binelli Mantelli Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, già capo di stato maggiore della marina militare: “Finiamola di parlare di autodifesa” avrebbe affermato al Giornanale; “qui difendiamo gli interessi europei e nazionali” e per difenderli adeguatamente, le regole d’ingaggio, che prevedono una missione meramente difensiva, cominciano già a stare strette. “Le informazioni della Caio Duilio” sottolinea, infatti, Rinaldo Frignani sempre sul Corriere della Serva “comprendono la posizione di chi lancia e manovra i droni” e – indovina indovinello – “vengono comunicate agli alleati, come gli USA, che potrebbero usarle”; così, en passant, come se nulla fosse, Frignani ammette candidamente che la nostra Aspides non è ancora iniziata e già la favoletta della missione difensiva non regge più: la nostra presenza nel Mar Rosso è, a tutti gli effetti, parte della missione offensivadei padroni a stelle e strisce, che continua ad allargarsi.
All’alba di martedì, infatti, Ansar Allah avrebbe preso di mira il cargo americano Pinocchiocon una serie di missili: nel gioco delle tre carte che le portacontainer legate a Israele stanno cercando di fare dall’inizio delle operazioni di Ansar Allah per dissimulare i loro legami con il genocidio, la nave risultava battere bandiera liberiana e legata alla compagnia USA Oaktree Capital Management, ma c’era qualcosa che aveva insospettito l’intelligence yemenita; la nave infatti, riporta Al Akhbar, “portava sopra il logo della compagnia israeliana Zim, e tra i vecchi nomi dell’imbarcazione risultavano nomi come Zim San Francisco. Ad aumentare i sospetti – poi – il fatto che la nave, che era partita domenica dal porto di Gedda in direzione del canale di Suez, non avesse menzionato nelle sue dichiarazioni la destinazione finale”. “Le navi americane e britanniche dirette verso i porti della Palestina occupata” continua Al Akhbar “falsificano deliberatamente sistematicamente i loro dati nel tentativo di attraversare il Mar Rosso”. La reazione USA è stata feroce: oltre 20 raid aerei in cinque aree diverse e non tutte con chiari obiettivi militari, come l’attacco nel Governatorato di Saada che, sempre secondo Al Akhbar, sarebbe giustificato soltanto dal fatto che “è la roccaforte del leader di Ansar AllahAbdul Malik Al Houthi”. L’efficacia di questi attacchi rimane comunque piuttosto dubbia, ed ecco così che gli USA stanno cercando un’alternativa: secondo Al Akhbar, infatti, “Gli Stati Uniti hanno fornito imbarcazioni militari al Consiglio di Transizione Meridionale affiliato agli Emirati, nel tentativo di coinvolgerlo in una guerra per procura”; si tratta dell’organizzazione politica secessionista yemenita guidata dall’ex governatore di Aden, Aidarus al-Zoubaidi che, nata nel 2017 per rivendicare la separazione dello Yemen del Sud dal resto della nazione, è sostenuta da Abu Dhabi. “Aidarus al-Zoubaidi che, in precedenza, aveva espresso la volontà di normalizzare le relazioni con l’entità israeliana” scrive Al Akhbar “è apparso a bordo di una delle barche americane in una parata navale, e insieme a lui c’erano numerosi comandanti militari fedeli agli Emirati Arabi Uniti”: secondo Al Akhbar avrebbero ricevuto l’incarico dagli USA di accompagnare le navi legate a Israele mentre si avvicinano al porto di Aden e allo stretto di Bab el-Mandeb. A emettere un appello ad affiancare le forze USA e britanniche contro Ansar Allah sarebbe stato anche Abu Zara’a Al-Muharrami, comandante delle Forze dei giganti – le milizie fedeli ad Abu Dhabi – e vicepresidente del Consiglio di Transizione, una macchinazione che, però, avrebbe fatto infuriare la popolazione locale: contro l’appello, infatti, “Gli studiosi e i predicatori di Aden” riporta Al Akhbar “hanno emesso una fatwa, che riconosce che esiste una disputa con chi è al governo a Sanaa” e cioè, appunto, Ansar Allah, “ma che non è assolutamente consentito schierarsi dalla parte di Israele e dell’America”; “Questa fatwa” continua Al Akhbar “indica che esiste un diffuso rifiuto tra le milizie di transizione di qualsiasi escalation contro Sana’a, e che le opzioni di Washington per mobilitare queste fazioni sono diventate così più limitate”.

Hicham Safieddine

Fortunatamente però, dopo tante delusioni, per gli occidentali a sostegno del genocidio è arrivata anche una buona notizia; l’ha annunciata su Telegram Nasr El-Din Amer, il vice presidente dell’agenzia dei media di Ansar Allah: “La prima vittoria ottenuta da America e Gran Bretagna” ha annunciato “è la rimozione delle spunte blu dagli account Twitter dei leader statali di Sana’a. Per quanto riguarda invece le forze armate yemenite, dai razzi, ai droni a tutte le capacità militari, non sono state scalfite. Si scopre che l’America è una forza da non sottovalutare, fratelli”. Quella di bullizzare i colonialisti e gli aspiranti tali, in Yemen, effettivamente, è una vecchia tradizione: come ricorda su Middle East Eye lo storico canadese di origini libanesi Hicham Safieddine, nonostante i britannici abbiano mantenuto il controllo della città costiera di Aden per oltre 125 anni, non sono mai riusciti ad “espandere il loro dominio nell’entroterra” fino a quando “Nel 1963, il Fronte di Liberazione Nazionale (FNL) lanciò una lotta armata con il sostegno rurale della regione montuosa di Radfan. Gli inglesi designarono l’FNL come un’organizzazione terroristica e risposero bruciando villaggi e altri atti di violenza collettiva. Le campagne punitive britanniche, tuttavia, fecero ben poco per smorzare la resistenza yemenita”; “Le forze radicali della resistenza dello Yemen del Sud” continua Safieddine “adottarono un’ideologia marxista – leninista che prevedeva un futuro socialista per uno Yemen liberato. La loro posizione intransigente nei confronti dell’occupazione britannica portò a una vittoria spettacolare nel 1967. E i tentativi britannici di negoziare un ruolo economico o militare nello Yemen post indipendenza, simile a quello francese in Algeria, furono di breve durata e in gran parte infruttuosi, con gli inglesi che alla fine furono costretti a pagare oltre 15 milioni di dollari come indennità. Questo” sottolinea Safieddine “ha lasciato un ricordo doloroso tra i funzionari britannici che perdura ancora oggi”. A differenza di altre lotte di liberazione nazionale che hanno conquistato fama e riconoscimento internazionale – da quella algerina a quella cubana – la vicenda yemenita è stata sistematicamente snobbata dal pubblico occidentale, ma per alcuni storici, sottolinea Safieddine, “Lo Yemen è stato il Vietnam della Gran Bretagna”, una storia gloriosa che continua a ispirare Ansar Allah: in un recente discorso televisivo, riporta Safeiddine, “Abdel-Malik al-Houthi ha messo in guardia il Regno Unito da qualsiasi illusione nutrisse di ricolonizzare lo Yemen. Tali illusioni, ha detto, “sono i segni di una malattia mentale la cui cura è nelle nostre mani: missili balistici che bruciano le navi in mare”. Anche a questo giro, la tendenza è stata subito quella di minimizzare e descrivere un gruppo di terroristi scappati di casa che attentano, con la loro barbarie, il giardino ordinato salvo poi, nella provincia dell’impero, dedicare titoloni a 6 colonne all’eroismo e alla professionalità dei nostri uomini per aver tirato giù un drone da ricognizione con un cannoncino.
La verità, però, potrebbe essere un po’ meno confortevole: “Quanti marinai USA ci sono adesso nel Mar Rosso?” ha chiesto la giornalista Norah O’Donnell al vice ammiraglio Brad Cooper durante una puntata del celebre programma televisivo statunitense 60 minutes; “Ne abbiamo circa 7.000 in questo momento. Si tratta di un impegno imponente”. “Quando è stata l’ultima volta che la Marina americana ha operato a questo ritmo per un paio di mesi?” ha chiesto ancora la giornalista; “Credo dovremmo tornare alla Seconda Guerra Mondiale” ha risposto il vice ammiraglio, “quando ci sono state navi impegnate direttamente nei combattimento. E quando dico impegnate in combattimento, intendo che ci sparano e noi rispondiamo al fuoco”. Il vice ammiraglio Cooper ricorda anche come “Gli Houthi sono la prima entità nella storia a utilizzare missili balistici antinave per colpire delle navi. Nessuno li ha mai usati prima contro navi commerciali, e tantomeno contro navi della marina americana”; come sottolinea il vice ammiraglio, parliamo di missili che viaggiano a circa 3 mila miglia orarie e, dal momento dell’avvistamento, il capitano di una nave ha dai 9 ai 15 secondi per decidere il da farsi e visto che è sempre meglio aver paura che prenderle, la tendenza a reagire sempre con il massimo della forza è inaggirabile. Risultato – sottolinea il servizio di 60 minutes -: “La marina ha lanciato circa 100 dei suoi missili terra – aria Standard, che possono costare fino a 4 milioni di dollari ciascuno”; l’unica via di uscita sostenibile, quindi, è questi benedetti missili balistici riuscire a colpirli con attacchi aerei in territorio yemenita prima che partano. Ed ecco allora che l’intelligence che forniamo, anche con la missione difensiva degli alleati europei, diventa fondamentale e la trasforma automaticamente in qualcosa che non è difensivo per niente e che potrebbe, a breve, dover affrontare uno scenario ben più complesso di quello attuale.

Maritime Security Belt

Lunedì scorso, nel Golfo di Oman, è iniziata un’esercitazione marittima congiunta di Iran, Russia e Cina; si chiama Maritime Security Belt ed è arrivata alla sua quinta edizione, un traguardo che hanno deciso di festeggiare alla grande: nella prima edizione, infatti, la Cina aveva partecipato con una sola nave; la seconda l’aveva saltata tout court e alle successive due si era presentata, di nuovo, sempre con una sola imbarcazione. Quest’anno, invece, non si raddoppia: si triplica e, ad affiancare il solito cacciatorpediniere, ci saranno anche una fregata e una nave di rifornimento che, insieme, costituiscono la 45esima task force di scorta. La 45esima task force era stazionata nel Golfo di Aden sin dall’ottobre scorso e, da allora, ha portato a termine ben 43 missioni durante le quali ha garantito il transito di 72 navi; ora quel compito è stato affidato alla 46esima task force che ha effettuato la sua prima missione appena 3 giorni fa: ed ecco così che la presenza cinese nell’area raddoppia. A ottobre la Cina aveva già condotto un’esercitazione congiunta con la marina pakistana, “la più grande di sempre tra i due paesi” aveva sottolineato il South China Morning Post e dove erano state coinvolte altre 6 imbarcazioni del dragone, comprese una fregata, due cacciatorpedinieri e una nave di rifornimento: anche a questo giro i pakistani sono nuovamente coinvolti, ma solo come osservatori al fianco di kazaki, indiani e sudafricani, lo stesso ruolo ricoperto anche dall’Oman e dall’Azerbaijan.


La prospettiva della grande guerra globale per il controllo del mare nell’era del declino della pax americana si fa sempre più minacciosa: magari se l’Italia, ogni tanto, avesse un piccolo moto se non proprio di orgoglio, perlomeno di opportunismo, e approfittasse del caos che ci circonda per farsi un attimino licazzisua invece che fare sempre da cavalier servente della potenza in declino del momento, non sarebbe proprio malissimo, diciamo; perché gli italiani tornino a fare un po’ anche i loro interessi, serve che prima imparino a riconoscerli e, per riconoscerli, serve un media che, invece che da ripetitore dei dictat atlantisti, dia voce agli interessi concreti del 99%.