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6195.- Siamo stati ingannati sul genocidio di Gaza. Al Jazeera ci ha mostrato come

A un certo punto, è quasi sembrato che gli interessi di Israele e di Hamas, ai danni dei palestinesi, convergessero. Al Jazeera ha tirato le somme, ma non è proprio lecito accusare di atrocità o di genocidio questi popoli così a lungo abbandonati in un bagno di sangue.

Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu looks on as he chairs the weekly cabinet meeting on July 6, 2014 at his Jerusalem office. Violence which rocked east Jerusalem for three days following the kidnap and murder on July 2 of a Palestinian teenager, spread to half a dozen Arab towns in Israel. AFP PHOTO / POOL /GALI TIBBON

Di Sabino Paciolla|Aprile 5th, 2024

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Jonathan Cook e pubblicato su AntiWar. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata. https://www.youtube-nocookie.com/embed/_0atzea-mPY?si=8LIwDPAMZ2eU3SGf

Per settimane, mentre Gaza veniva bombardata e la conta dei morti nella piccola enclave aumentava inesorabilmente, l’opinione pubblica occidentale ha avuto poca scelta se non quella di affidarsi alla parola di Israele su quanto accaduto il 7 ottobre. Circa 1.150 israeliani sono stati uccisi durante un attacco senza precedenti alle comunità israeliane e alle postazioni militari vicino a Gaza.

Neonati decapitati, una donna incinta con l’utero aperto e il feto accoltellato, bambini messi nei forni, centinaia di persone bruciate vive, mutilazioni di cadaveri, una campagna sistematica di stupri di indescrivibile ferocia e atti di necrofilia.

I politici e i media occidentali si sono bevuti tutto questo, ripetendo acriticamente le accuse e ignorando la retorica genocida di Israele e le operazioni militari sempre più genocide che queste affermazioni sostenevano.

Poi, mentre la montagna di cadaveri a Gaza aumentava ancora, le presunte prove sono state condivise con pochi, selezionati giornalisti e influencer occidentali. Sono stati invitati a proiezioni private di filmati accuratamente curati da funzionari israeliani per dipingere il peggior quadro possibile dell’operazione di Hamas.

Questi nuovi iniziati hanno offerto pochi dettagli, ma hanno lasciato intendere che i filmati confermassero molti degli orrori. Hanno prontamente ripetuto le affermazioni israeliane secondo cui Hamas sarebbe “peggiore dell’Isis”, il gruppo dello Stato Islamico.

L’impressione di una depravazione senza pari da parte di Hamas è stata rafforzata dalla volontà dei media occidentali di permettere ai portavoce israeliani, ai sostenitori di Israele e ai politici occidentali di continuare a diffondere incontrastati l’affermazione che Hamas avesse commesso atrocità indicibili e sadiche – dalla decapitazione e dal rogo di bambini alla realizzazione di una campagna di stupri.

L’unico giornalista dei media mainstream britannici a dissentire è stato Owen Jones. Concordando sul fatto che il video di Israele mostrasse crimini terribili commessi contro i civili, ha notato che nessuno degli atti barbari sopra elencati era incluso.

Ciò che è stato mostrato è stato invece il tipo di crimini terribili contro i civili che sono fin troppo comuni nelle guerre e nelle rivolte.

Coprire il genocidio

Jones ha dovuto affrontare una raffica di attacchi da parte dei colleghi che lo accusavano di essere un apologeta delle atrocità. Il suo stesso giornale, il Guardian, sembra avergli impedito di scrivere di Gaza sulle sue pagine.

Ora, dopo quasi sei mesi, la morsa narrativa esclusiva su quegli eventi da parte di Israele e dei suoi accoliti mediatici è stata finalmente spezzata.

La scorsa settimana, Al Jazeera ha trasmesso un documentario di un’ora, intitolato semplicemente “7 ottobre”, che permette al pubblico occidentale di vedere con i propri occhi ciò che è avvenuto. Sembra che il racconto di Jones fosse il più vicino alla verità.

Tuttavia, il filmato di Al Jazeera si spinge ancora più in là, divulgando per la prima volta a un pubblico più vasto fatti che per mesi hanno occupato i media israeliani, ma che sono stati accuratamente esclusi dalla copertura occidentale. Il motivo è chiaro: questi fatti coinvolgerebbero Israele in alcune delle atrocità che per mesi ha attribuito ad Hamas.

Middle East Eye ha messo in evidenza questi clamorosi buchi nella narrazione mediatica occidentale già a dicembre. Da allora non è stato fatto nulla per correggere il record.

L’establishment mediatico ha dimostrato di non potersi fidare. Per mesi hanno recitato con fede la propaganda israeliana a sostegno di un genocidio.

Ma questa è solo una parte dell’accusa nei suoi confronti. Il suo continuo rifiuto di riferire le prove sempre più evidenti dei crimini perpetrati da Israele contro i suoi stessi civili e soldati il 7 ottobre suggerisce che ha intenzionalmente coperto il massacro di Israele a Gaza.

L’unità investigativa di Al Jazeera ha raccolto molte centinaia di ore di filmati dalle bodycam indossate dai combattenti di Hamas e dai soldati israeliani, dalle dashcam e dalle telecamere a circuito chiuso per compilare il suo documentario che sfata i miti.

Il documentario dimostra cinque cose che mettono in discussione la narrazione dominante imposta da Israele e dai media occidentali.

In primo luogo, i crimini commessi da Hamas contro i civili in Israele il 7 ottobre – e quelli che non ha commesso – sono stati utilizzati per mettere in ombra il fatto che il 7 ottobre Hamas ha condotto una spettacolare e sofisticata operazione militare per uscire da una Gaza assediata da tempo.

Il gruppo ha messo fuori uso i sistemi di sorveglianza di punta di Israele che avevano tenuto imprigionati per decenni i 2,3 milioni di abitanti dell’enclave. Ha fatto breccia nella barriera altamente fortificata di Israele che circonda Gaza in almeno 10 punti. E ha colto alla sprovvista i numerosi campi militari israeliani vicini all’enclave, che avevano fatto rispettare l’occupazione a distanza.

Quel giorno sono stati uccisi più di 350 soldati israeliani, poliziotti e guardie armate.

Un’arroganza coloniale

In secondo luogo, il documentario mina la teoria della cospirazione secondo cui i leader israeliani avrebbero permesso l’attacco di Hamas per giustificare la pulizia etnica di Gaza – un piano a cui Israele sta lavorando attivamente almeno dal 2007, quando sembra aver ricevuto l’approvazione degli Stati Uniti.

È vero, i funzionari dell’intelligence israeliana coinvolti nella sorveglianza di Gaza avevano avvertito che Hamas stava preparando una grande operazione. Ma questi avvertimenti sono stati ignorati non a causa di una cospirazione. Dopotutto, nessuno dei vertici israeliani ha tratto vantaggio da ciò che è accaduto il 7 ottobre.

Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu è politicamente finito a causa dell’attacco di Hamas e probabilmente finirà in prigione dopo la fine dell’attuale carneficina a Gaza.

La risposta genocida di Israele al 7 ottobre ha reso il marchio di Israele così tossico a livello internazionale, e ancora di più presso le opinioni pubbliche arabe della regione, che l’Arabia Saudita ha dovuto interrompere i piani per un accordo di normalizzazione, che era stata la speranza finale di Israele e Washington.

L’operazione di Hamas ha distrutto la reputazione mondiale di invincibilità dell’esercito israeliano. Ha ispirato Ansar Allah (gli Houthi) dello Yemen ad attaccare navi nel Mar Rosso. Sta rafforzando l’arcinemico di Israele, Hezbollah, nel vicino Libano. Ha rinvigorito l’idea che la resistenza sia possibile in tutto il Medio Oriente, tanto oppresso.

Non è stata una cospirazione ad aprire la porta all’attacco di Hamas. È stata l’arroganza coloniale, basata su una visione disumanizzante condivisa dalla stragrande maggioranza degli israeliani, secondo cui essi erano i padroni e i palestinesi – i loro schiavi – erano troppo primitivi per sferrare un colpo significativo.

Gli attentati del 7 ottobre avrebbero dovuto costringere gli israeliani a rivalutare il loro atteggiamento sprezzante nei confronti dei palestinesi e ad affrontare la questione se il regime pluridecennale di apartheid e di brutale asservimento di Israele potesse – e dovesse – continuare all’infinito.

Prevedibilmente, gli israeliani hanno ignorato il messaggio dell’attacco di Hamas e hanno scavato più a fondo nella loro mentalità coloniale.

Il presunto primitivismo che, si presumeva, rendesse i palestinesi un avversario troppo debole per affrontare la sofisticata macchina militare israeliana è stato ora riformulato come prova di una barbarie palestinese che rende l’intera popolazione di Gaza così pericolosa, così minacciosa, da dover essere spazzata via.

I palestinesi che, secondo la maggior parte degli israeliani, potrebbero essere ingabbiati come polli da batteria per un tempo indefinito e in recinti sempre più piccoli, sono ora visti come mostri che devono essere abbattuti. Questo impulso è stato la genesi dell’attuale piano genocida di Israele per Gaza.

Missione suicida

Il terzo punto che il documentario chiarisce è che l’evasione dalla prigione di Hamas, che ha avuto un successo strepitoso, ha vanificato l’operazione più ampia.

Il gruppo aveva lavorato così duramente sulla temibile logistica dell’evasione – e si era preparato a una risposta rapida e selvaggia da parte dell’oppressiva macchina militare israeliana – che non aveva un piano serio per affrontare una situazione che non poteva concepire: la libertà di perlustrare la periferia di Israele, spesso indisturbati per molte ore o giorni.

I combattenti di Hamas che entravano in Israele avevano dato per scontato che la maggior parte fosse in missione suicida. Secondo il documentario, i combattenti stessi ritenevano che tra l’80 e il 90% non sarebbero riusciti a tornare.

L’obiettivo non era quello di sferrare una sorta di colpo esistenziale contro Israele, come i funzionari israeliani hanno affermato da allora nella loro determinata razionalizzazione del genocidio. Si trattava di colpire la reputazione di invincibilità di Israele, attaccando le sue basi militari e le comunità vicine e trascinando a Gaza il maggior numero possibile di ostaggi.

Questi sarebbero poi stati scambiati con le migliaia di uomini, donne e bambini palestinesi detenuti nel sistema di incarcerazione militare di Israele – ostaggi etichettati come “prigionieri”.

Come ha spiegato il portavoce di Hamas, Bassem Naim, ad Al Jazeera, l’evasione aveva lo scopo di riportare sotto i riflettori la disperata situazione di Gaza, dopo anni in cui l’interesse internazionale per la fine dell’assedio israeliano era scemato.

A proposito delle discussioni in seno all’ufficio politico del gruppo, egli afferma che il consenso è stato: “Dobbiamo agire. Se non lo facciamo, la Palestina sarà dimenticata, completamente cancellata dalla mappa internazionale”.

Per 17 anni, Gaza è stata gradualmente strangolata a morte. La sua popolazione aveva tentato di protestare pacificamente contro la recinzione militarizzata che circondava la loro enclave ed era stata presa di mira dai cecchini israeliani. Il mondo si era talmente abituato alle sofferenze dei palestinesi che si era spento.

L’attacco del 7 ottobre aveva lo scopo di cambiare le cose, in particolare stimolando nuovamente la solidarietà con Gaza nel mondo arabo e rafforzando la posizione politica regionale di Hamas.

L’obiettivo era quello di rendere impossibile all’Arabia Saudita – il principale mediatore di potere arabo a Washington – la normalizzazione con Israele, completando la marginalizzazione della causa palestinese nel mondo arabo.

In base a questi criteri, l’attacco di Hamas è stato un successo.

Perdita di concentrazione

Ma per molte lunghe ore – con Israele colto completamente alla sprovvista e con i suoi sistemi di sorveglianza neutralizzati – Hamas non ha affrontato il contrattacco militare che si aspettava.

Tre fattori sembrano aver portato a una rapida erosione della disciplina e dello scopo.

Senza un nemico significativo da affrontare o che limitasse il margine di manovra di Hamas, i combattenti hanno perso la concentrazione. I filmati li mostrano mentre litigano su cosa fare dopo, mentre si aggirano liberamente per le comunità israeliane.

A ciò si è aggiunto l’afflusso di altri palestinesi armati che hanno approfittato del successo di Hamas e della mancanza di una risposta israeliana. Molti si sono improvvisamente ritrovati con la possibilità di saccheggiare o regolare i conti con Israele – uccidendo israeliani – per anni di sofferenza a Gaza.

Il terzo fattore è stato l’irruzione di Hamas nel festival musicale Nova, che era stato trasferito dagli organizzatori con breve preavviso vicino alla barriera di Gaza.

Il festival è diventato rapidamente la scena di alcune delle peggiori atrocità, sebbene non assomigli agli eccessi selvaggi descritti da Israele e dai media occidentali.

I filmati mostrano, ad esempio, combattenti palestinesi che lanciano granate contro i rifugi di cemento dove molte decine di partecipanti al festival si stavano riparando dall’attacco di Hamas. In un filmato, un uomo che scappa viene ucciso a colpi di pistola.

In quarto luogo, Al Jazeera ha potuto confermare che le atrocità più estreme, sadiche e depravate non hanno mai avuto luogo. Sono state inventate da soldati, funzionari e soccorritori israeliani.

Una figura centrale in questo inganno è stata Yossi Landau, leader dell’organizzazione religiosa ebraica di pronto intervento Zaka. Lui e il suo staff hanno inventato storie stravaganti che sono state prontamente amplificate non solo da una stampa occidentale credulona, ma anche da alti funzionari statunitensi.

Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha raccontato graficamente di una famiglia di quattro persone massacrata a colazione. Al padre è stato cavato un occhio davanti ai due figli, di otto e sei anni. Alla madre fu tagliato il seno. Alla ragazza fu amputato un piede e al ragazzo furono tagliate le dita, prima di essere giustiziati. I boia si sono poi seduti a mangiare accanto alle loro vittime.

Ma le prove dimostrano che nulla di tutto ciò è realmente accaduto.

Landau ha anche affermato che Hamas ha legato decine di bambini e li ha bruciati vivi nel Kibbutz Be’eri. Altrove, ha ricordato che una donna incinta è stata uccisa con un colpo di pistola, il suo ventre è stato aperto e il feto è stato accoltellato.

I funzionari del kibbutz negano qualsiasi prova di queste atrocità. I racconti di Landau non corrispondono a nessuno dei fatti noti. Il 7 ottobre morirono solo due bambini, entrambi uccisi involontariamente.

Quando viene interpellato, Landau si offre di mostrare ad Al Jazeera la foto del feto pugnalato sul suo cellulare, ma viene filmato mentre ammette di non essere in grado di farlo.

Inventare le atrocità

Allo stesso modo, la ricerca di Al Jazeera non trova prove di stupri sistematici o di massa il 7 ottobre. In realtà, è Israele che ha bloccato gli sforzi degli organismi internazionali per indagare sulle violenze sessuali di quel giorno.

Autorevoli organi di stampa come il New York Times, la BBC e il Guardian hanno ripetutamente dato credibilità alle affermazioni di stupri sistematici da parte di Hamas, ma solo ripetendo senza riserve la propaganda delle atrocità israeliane.

Madeleine Rees, segretario generale della Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà, ha dichiarato ad Al Jazeera: “Uno Stato ha strumentalizzato gli orribili attacchi alle donne per giustificare, crediamo, un attacco a Gaza, dove la maggior parte delle vittime sono altre donne”.

In altri casi, Israele ha incolpato Hamas di aver mutilato i corpi delle vittime israeliane, anche passandoci sopra con la macchina e spaccando loro il bacino. In diversi casi, l’inchiesta di Al Jazeera ha dimostrato che i corpi erano di combattenti di Hamas mutilati o investiti da soldati israeliani.

Il documentario osserva che i media israeliani – seguiti da quelli occidentali – “non si concentrano sui crimini che hanno commesso [Hamas], ma su quelli che non hanno commesso”.

La domanda è: perché, quando c’erano molte atrocità reali di Hamas da raccontare, Israele ha sentito il bisogno di fabbricarne di ancora peggiori? E perché, soprattutto dopo che è stata smentita l’invenzione iniziale dei bambini decapitati, i media occidentali hanno continuato a riciclare con credulità storie improbabili di efferatezze di Hamas?

La risposta alla prima domanda è che Israele aveva bisogno di creare un clima politico favorevole che giustificasse il suo genocidio a Gaza come necessario.

Netanyahu viene mostrato mentre si congratula con i leader di Zaka per il loro ruolo nell’influenzare l’opinione pubblica mondiale: “Abbiamo bisogno di guadagnare tempo, che guadagniamo rivolgendoci ai leader mondiali e all’opinione pubblica. Voi avete un ruolo importante nell’influenzare l’opinione pubblica, che influenza anche i leader”.

La risposta alla seconda domanda è che i preconcetti razzisti dei giornalisti occidentali hanno fatto sì che si convincessero facilmente che la gente di colore fosse capace di una tale barbarie.

Direttiva Hannibal

In quinto luogo, Al Jazeera documenta mesi di copertura mediatica israeliana che dimostra come alcune delle atrocità imputate ad Hamas – in particolare quelle relative al bruciare vivi gli israeliani – fossero in realtà responsabilità di Israele.

Privata di una sorveglianza funzionante, una macchina militare israeliana furiosa si è scagliata alla cieca. I filmati degli elicotteri Apache li mostrano mentre sparano all’impazzata su auto e persone che si dirigono verso Gaza, senza riuscire a capire se si tratta di combattenti di Hamas in fuga o di israeliani presi in ostaggio da Hamas.

In almeno un caso, un carro armato israeliano ha sparato una granata contro un edificio nel Kibbutz Be’eri, uccidendo i 12 ostaggi israeliani all’interno. Uno di essi, Liel Hetsroni, di 12 anni, i cui resti carbonizzati hanno reso impossibile l’identificazione per settimane, è diventato il manifesto della campagna israeliana per incolpare Hamas di essere dei barbari per averla bruciata viva.

Il comandante responsabile dei soccorsi a Be’eri, il colonnello Golan Vach, viene mostrato mentre inventa ai media una storia sulla casa che Israele stesso aveva bombardato. Ha affermato che Hamas aveva giustiziato e bruciato otto bambini nella casa. In realtà, nessun bambino è stato ucciso lì – e quelli che sono morti nella casa sono stati uccisi da Israele.

La devastazione diffusa nelle comunità dei kibbutz – ancora imputata ad Hamas – suggerisce che il bombardamento di questa casa in particolare da parte di Israele è stato tutt’altro che un caso isolato. È impossibile determinare quanti altri israeliani siano stati uccisi dal “fuoco amico”.

Queste morti sembrano essere legate alla frettolosa invocazione da parte di Israele, quel giorno, della cosiddetta “direttiva Hannibal” – un protocollo militare segreto che prevede l’uccisione di soldati israeliani per evitare che vengano presi in ostaggio e diventino merce di scambio per il rilascio di palestinesi tenuti in ostaggio nelle carceri israeliane.

In questo caso, la direttiva sembra essere stata riproposta e utilizzata anche contro i civili israeliani. Straordinariamente, nonostante il furioso dibattito in Israele sull’uso della direttiva Hannibal il 7 ottobre, i media occidentali sono rimasti completamente in silenzio sull’argomento.

Un triste squilibrio

L’unica questione ampiamente trascurata da Al Jazeera è la sorprendente incapacità dei media occidentali di coprire seriamente il 7 ottobre o di indagare sulle atrocità in modo indipendente dai resoconti auto-assolutori di Israele.

La domanda che incombe sul documentario di Al Jazeera è la seguente: come è possibile che nessuna organizzazione mediatica britannica o statunitense abbia intrapreso il compito che Al Jazeera si è assunta? E poi, perché nessuno di loro sembra pronto a utilizzare la copertura di Al Jazeera come un’opportunità per rivisitare gli eventi del 7 ottobre?

In parte, ciò è dovuto al fatto che essi stessi sarebbero incriminati da qualsiasi rivalutazione degli ultimi cinque mesi. La loro copertura è stata tristemente sbilanciata: accettazione a occhi aperti di qualsiasi rivendicazione israeliana di atrocità di Hamas e analoga accettazione a occhi aperti di qualsiasi scusa israeliana per il massacro e la mutilazione di decine di migliaia di bambini palestinesi a Gaza.

Ma il problema è più profondo.

Non è la prima volta che Al Jazeera svergogna la stampa occidentale su un argomento che ha dominato i titoli dei giornali per mesi o anni.

Nel 2017, un’inchiesta di Al Jazeera intitolata The Lobby ha mostrato che Israele era dietro una campagna per diffamare gli attivisti della solidarietà palestinese come antisemiti in Gran Bretagna, con Jeremy Corbyn come bersaglio finale.

Questa campagna diffamatoria ha continuato a riscuotere un enorme successo anche dopo la messa in onda della serie di Al Jazeera, anche perché l’inchiesta è stata uniformemente ignorata. I media britannici hanno ingoiato ogni pezzo di disinformazione diffuso dai lobbisti israeliani sulla questione dell’antisemitismo.

Il seguito di un’analoga campagna di disinformazione condotta dalla lobby pro-Israele negli Stati Uniti non è mai stato trasmesso, a quanto pare dopo le minacce diplomatiche di Washington al Qatar. La serie è stata infine divulgata dal sito web Electronic Intifada.

18 mesi fa, Al Jazeera ha trasmesso un’inchiesta intitolata The Labour Files, che mostrava come alti funzionari del Partito laburista britannico, assistiti dai media del Regno Unito, avessero ordito un complotto segreto per impedire a Corbyn di diventare primo ministro. Corbyn, leader democraticamente eletto dei laburisti, era un critico dichiarato di Israele e un sostenitore della giustizia per il popolo palestinese.

Ancora una volta, i media britannici, che avevano svolto un ruolo così critico nel contribuire a distruggere Corbyn, hanno ignorato l’inchiesta di Al Jazeera.

C’è uno schema che può essere ignorato solo per cecità intenzionale.

Israele e i suoi partigiani hanno libero accesso alle istituzioni occidentali, dove fabbricano affermazioni e calunnie che vengono prontamente amplificate da una stampa credulona.

Queste affermazioni vanno sempre e solo a vantaggio di Israele e danneggiano la causa di porre fine a decenni di brutale sottomissione del popolo palestinese da parte di un regime israeliano di apartheid che sta commettendo un genocidio.

Al Jazeera ha dimostrato ancora una volta che, sulle questioni che le istituzioni occidentali considerano più vitali per i loro interessi – come il sostegno a uno Stato cliente altamente militarizzato che promuove il controllo dell’Occidente sul Medio Oriente ricco di petrolio – la stampa occidentale non è un cane da guardia del potere, ma il braccio delle pubbliche relazioni dell’establishment.

L’inchiesta di Al Jazeera non ha solo rivelato le bugie che Israele ha diffuso sul 7 ottobre per giustificare il suo genocidio a Gaza. Rivela la totale complicità dei giornalisti occidentali in quel genocidio.

Jonathan Cook

5960.- Le mire dei terroristi di Hamas

Il punto sui combattimenti

Le forze armate di Israele hanno reso noto di avere colpito durante la notte oltre 500 obiettivi di Hamas e Jihad islamica nella Striscia di Gaza, con raid aerei e fuoco d’artiglieria. Il nuovo bilancio dei morti israeliani è di 700. Sono 2.500 i feriti, moltissimi gravi. Ci sarebbero 750 dispersi, almeno 100 sarebbero gli ostaggi nelle mani di Hamas a Gaza. Tra loro americani e tedeschi. Sul fronte palestinese i morti sarebbero 436 (91 i bambini) e 2.300 i feriti. Secondo il Washington Post, gli Usa si aspettano che Israele lanci un’ampia operazione via terra contro Hamas a Gaza nelle prossime 24-48 ore.

“I combattimenti sono ancora in corso nel Sud di Israele, i terroristi sono ancora nel Paese, sono entrati circa mille palestinesi assetati di sangue, sono andati casa per casa, edificio per edificio per massacrare civili e militari israeliani. Sfortunatamente la cifra astronomica di 700 israeliani uccisi è destinata a non restare tale. Mai nella storia di Israele ci sono state tante vittime per un solo attacco”. Lo ha detto nella notte un portavoce delle Forze di Difesa israeliane pubblicando un video su X.

"Israele verso operazione via terra a Gaza in 24-48 ore" | Esercito: oltre 500 obiettivi colpiti nella notte nella Striscia | Meloni a Netanyahu: "Italia con voi"
Hamas

Fatti, commenti e scenari sull’aggressione terroristica di Hamas contro Israele. Il taccuino di Guiglia.

Da Startmag, 9 Ottobre 2023, di Federico Guiglia

Le mire dei terroristi di Hamas

Un’altra guerra, stavolta nel cuore del Medio Oriente, scatenata da Hamas contro Israele, e due volte vile: perché i razzi lanciati a migliaia dalla Striscia di Gaza e le incursioni terrestri dei terroristi hanno approfittato dello Shabbat, la festa settimanale del riposo che di fatto attenua la sorveglianza del vigile Stato ebraico. E poi perché l’attacco militare non ha risparmiato i civili, una cinquantina dei quali sono stati presi in ostaggio.

“Siamo in guerra”, annuncia il primo ministro Benjamin Netanyahu, incredulo, come i suoi cittadini e il mondo che osservano, per l’offensiva a sorpresa che ha già provocato almeno 200 morti e più di 1.600 feriti. E che avviene, non per caso se quest’attacco è stato pianificato nel dettaglio come tutto lascia pensare, nel cinquantesimo anniversario della guerra dello Yom Kippur, il conflitto che dal 6 ottobre 1973 Egitto e Siria aprirono, anche allora a sorpresa, contro il mai accettato Stato di Israele.

La normalizzazione possibile tra Israele e Arabia Saudita

Questo è il punto di allora e di oggi, se non si ritroverà la faticosa via della pace da tempo perseguita. Ma che stavolta ha una storica prospettiva di riuscita fra l’Arabia Saudita e Israele, pronti a normalizzare i loro rapporti seguendo l’esempio dell’Egitto, che nel 1979 riconosceva lo Stato ebraico e poneva fine a un’inimicizia che pareva inestirpabile. Lo stesso avrebbe fatto la Giordania nel 1994. Ora il negoziato di pace sempre più vicina con Mohammad bin Salman e il suo Regno. Un negoziato che di recente aveva fatto infuriare il regime iraniano: “Pugnalata alle spalle dei palestinesi”. Quel regime ora elogia, addirittura, l’attacco di Hamas, a fronte della dura condanna espressa dal mondo intero, a cominciare dal nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Ecco il contesto e il sospetto sul perché di un’aggressione inaccettabile, e che di sicuro non fa gli interessi dei palestinesi: far fallire l’imminente svolta storica in una delle aree più tese del pianeta.

Ma la reazione di Tel Aviv sarà implacabile a tutela non solo della propria popolazione aggredita, ma soprattutto del suo stesso diritto all’esistenza.

Le conseguenze dell’attacco di Hamas

Paradossalmente, l’assalto di Hamas, movimento politico e paramilitare di ispirazione islamista che controlla la Striscia di Gaza (ha vinto le elezioni nel pur lontano 2006), quindi popolare fra i palestinesi, ma non certo rappresentativo di tutti loro né, tantomeno con la violenza, delle loro istanze, rafforza proprio la necessità dell’intesa finalmente possibile fra Israele e Arabia Saudita.

Che poi questo confligga con la politica del repressivo regime iraniano, che oltre ad applaudire l’attacco terroristico calpesta i più elementari diritti delle donne e di libertà dei suoi cittadini, è un ulteriore incoraggiamento per opporre al torto delle armi la forza invincibile della pace. La più estesa possibile in tutta l’area da troppo tempo sconvolta.

Ma intanto siamo tutti israeliani.

Pubblicato su L’Arena di Verona e Bresciaoggi

5919.- Coinvolgere gli istituti di credito dei paesi africani sarà l’unico nuovo canale di investimento bipartisan.

Solidarietà attiva e non soltanto aiuti allo sviluppo. Come ha affermato il presidente della Repubblica del Congo Fèlix Tshisekedi a Kinshasa, il 7 marzo scorso, rivolgendosi a Macron, l’Europa deve cambiare il suo atteggiamento verso l’Africa: “Cominciate a guardarci diversamente, senza paternalismo” , rispettandoci l’un l’altro”, ha detto. “In questo contesto, i Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di generare maggiori risorse per far uscire le persone dalla povertà e per passare a un’economia pulita ed equa.

Se guardiamo alla Tunisia e alla sua querelle con il Fondo Monetario Internazionale, che tiene banco da mesi, le iniezioni di denaro, come i 400 milioni e altri 100, dell’Arabia Saudita, concessi per consentire al paese di ripagare un bond in euro di mezzo miliardo in scadenza questo ottobre, non sono di per sé sufficienti a far riguadagnare la fiducia verso il sistema economico tunisino. Come dimostra ampiamente il caso argentino, se butti i soldi in un pozzo senza fondo, il default sarà stato solo rinviato. I bond della Tunisia restano molto rischiosi per questo motivo, specie sul tratto a medio-lungo termine e questo rischio attrae gli speculatori. Ecco che la soluzione può essere ricercata dall’Europa con una solidarietà attiva.

La presidente della Commissione europea:

“Nel 2022, l’Europa ha elargito per una cifra 93 miliardi di euro, con un aumento del 30 per cento rispetto all’anno precedente.” Oggi rappresentiamo oltre il 40 per cento dell’assistenza globale. Sappiamo quali sono i nostri obblighi, ma i finanziamenti pubblici da soli non bastano. Dobbiamo esplorare tutte le strade per attirare nuovi finanziamenti verso i Paesi in via di sviluppo, in primo luogo con la riforma della Nuova banca di sviluppo”, ha concluso von der Leyen.

Bond Tunisia promettenti senza default

Ue, von der Leyen: Servono nuovi canali per investimenti nei Paesi in via di sviluppo

“Dobbiamo esplorare tutte le strade per attirare nuovi finanziamenti verso questi Paesi, in primo luogo con la riforma della Nuova banca di sviluppo”.

Bruxelles, 18 Settembre 2023, Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Von der leyen

Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di maggiori risorse e servono nuovi canali per attrarre investimenti. Lo ha detto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel corso del suo intervento al vertice sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) alla sede delle Nazioni Unite di New York. “La mia generazione è cresciuta con l’idea che figli e nipoti avrebbero vissuto meglio di noi. Ma una serie di crisi a cascata ha fatto regredire i progressi verso i nostri obiettivi di sviluppo sostenibile. Prima la pandemia, poi la guerra di aggressione della Russia con il suo impatto devastante sulla sicurezza alimentare ed energetica globale. Il tutto con gli effetti a catena di un pianeta in ebollizione”, ha detto von der Leyen.

“In questo contesto, i Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di maggiori risorse per far uscire le persone dalla povertà e per passare a un’economia pulita ed equa. Ecco perché accolgo con favore il piano sugli obiettivi di sviluppo sostenibile del segretario generale Antonio Guterres”, ha aggiunto la presidente della Commissione europea. “Nel 2022, l’Europa ha elargito aiuti allo sviluppo per una cifra 93 miliardi di euro, con un aumento del 30 per cento rispetto all’anno precedente. E oggi rappresentiamo oltre il 40 per cento dell’assistenza globale. Sappiamo quali sono i nostri obblighi, ma i finanziamenti pubblici da soli non bastano. Dobbiamo esplorare tutte le strade per attirare nuovi finanziamenti verso i Paesi in via di sviluppo, in primo luogo con la riforma della Nuova banca di sviluppo”, ha concluso von der Leyen.

3730.- E, a proposito di come spendono le tue tasse, ….

Dopo il video stucchevole dell’arruffianata di Renzi a Riyad, ecco:

L’interrogazione di Cabras che mette Fico, Renzi ed i Cinquestelle nei guai

Il deputato Pino Cabras,. Movimento Cinque Stelle, ha presentato un’interrogazione sulla missione di Renzi in Arabia Saudita, alla conferenza del FII, e sui relativi compensi per 80 mila dollari. Questa interrogazione viene al momento sbagliato perchè tira in ballo Renzi nel momento in cui, su invito del Presidente Mattarella, Fico tenta di ricostruire  un rapporto proprio con il politico toscano. Chiaramente per una parte importante dei deputati e dei senatori è più importante restare in parlamento, a qualsiasi costo, piuttosto che rischiare alle elezioni.

Ecco, comunque, l’interrogazione di Pino Cabras:
Al Presidente del Consiglio dei Ministri

– Per sapere

– premesso che:

lo scorso 27 gennaio il quotidiano Domani ha riportato la notizia circa un ruolo del senatore Matteo Renzi nell’Advisory board (Comitato di consulenza) del Future Investment Initiative (FII);

l’FII è stato istituito da Mohammad bin Salman, principe ereditario del Regno dell’Arabia, e risulta una ufficiale emanazione del Public Investment Fund (PIF), il fondo sovrano dell’Arabia saudita controllato direttamente dalla famiglia reale;

per il suo ruolo di consulenza presso l’FII il senatore Renzi riceverebbe un compenso di circa 80mila dollari all’anno, oltre a tutta una serie di benefit, tra cui la disponibilità di jet privati nei suoi viaggi da e per l’Arabia saudita;

secondo una ricostruzione del quotidiano La Verità del 29 gennaio, per rientrare in Italia lo scorso 28 gennaio in occasione delle consultazioni presso il Presidente della Repubblica il senatore Renzi avrebbe usufruito di un volo privato su un lussuoso jet Gulfstream G450 (immatricolato HZ-A23 dalla compagnia privata Alpha star, con sede a Riyad, e operato dalla Aviation Horizon, con sede a Jedda). Il solo costo di mercato del volo Riyad-Roma con tale velivolo sarebbe attorno ai 28.620 dollari (5.300 dollari l’ora per 5 ore e 40 minuti di volo);

secondo il senatore Renzi non ci sarebbe nessuna incompatibilità tra il suo ruolo politico-istituzionale in Italia e il suo ruolo di consulente a pagamento presso un ente controllato dalla famiglia reale saudita;

tuttavia, il senatore Renzi, oltre a essere membro della Commissione Affari esteri del Senato, è il leader del partito Italia Viva che fino a pochi giorni esprimeva alcuni ministri e sottosegretari e il cui ruolo è stato talmente determinante e delicato da provocare una crisi di Governo;

a giudizio degli interroganti, risulta quantomeno meritevole di una forte preoccupazione il fatto che una persona che ricopre un ruolo politico-istituzionale di così alto livello e sensibilità nella Repubblica italiana possa al contempo ricevere compensi da uno Stato straniero;–

se il Governo abbia ulteriori informazioni in merito a quanto esposto in premessa;

quali siano gli intendimenti del Governo per prevenire che in futuro uno o più membri del Governo possano ritrovarsi nella condizione di dover rispondere di conflitti d’interesse con Paesi stranieri.

Una bella domanda fatta al governo sul doppio ruolo di Renzi, membro della commissione esteri e relatore professionista, come riportato ampiamente dalla Stampa. Una bella pietra sul cammino di Crimi, che, come sul MES, vuole cedere ad ogni costo a Renzi nonostante tutti i giuramento opposti fatti da deputati e senatori pentastellati, Toninelli in testa.

L’interrogazione di Cabras quindi si mette di traverso siu un accordo già concluso, l’ennesimo caso in cui il M5s si piega, a 90 gradi, di fronte a Renzi. Perchè è questo che sta facendo Crimi.

Infatti l’anti-renzismo del M5s è durato 15 minuti, ma l’interrogazione di Cabras durerà molti di più…

Almeno sapete chi sono gli uomini e chi le pecore.

2773.- “GLI STATI UNITI SONO IL MALE”..E SPARA.

Gli Stati Uniti sono ancora il leader dell’Occidente? Sicuramente, il popolo americano è una cosa e chi ne gestisce il governo è cosa diversa. Questi eventi sono segnali d’allarme.

Prima di compiere il suo attacco, l’ufficiale pilota saudita ha dichiarato su Twitter che gli Stati Uniti sono “il male”.

2019-12-06. Attentato nella Naval Air Station di Pensacola, in Florida, nota come la “Culla dell’Aviazione Navale”, venerdì mattina. Dopo la sparatoria, la base è stata dichiarata in lockdown (il protocollo d’emergenza che impedisce a chiunque di lasciare l’area), Quattro le vittime, tra cui l’aggressore che si è poi tolto la vita. Ci sarebbero, inoltre, almeno 11 feriti, fra cui due agenti; ma il numero delle vittime fra i presenti è stato limitato dall’essersi barricati dietro una porta.  L’attentato è stato compiuto da un ufficiale pilota saudita in addestramento negli Stati Uniti.

Il re saudita Salman ha condannato l’attacco, definendolo un atto “barbaro”. Lo ha detto il presidente Donald Trump, di ritorno dal vertice di Londra, in un tweet nel quale ha riferito che il monarca saudita lo ha chiamato per offrire le sue “sincere condoglianze”. L’agenzia di stampa saudita ha affermato che l’attentatore saudita nella base statunitense di Pensacola, in Florida, ieri, ha attaccato gli Stati Uniti su Twitter prima di effettuare il suo attentato, descrivendoli come una “nazione malvagia”.

L’agenzia ha citato il “Site Intelligence Group”, un sito che monitora i media jihadisti, affermando che l’attentatore, Mohammad al-Shamrani, ha pubblicato una breve dichiarazione su Twitter dicendo: “Sono contro il male, l’America si è rivelata una nazione del male. “

Mohammed Saeed Alshamrani, ufficiale della Saudi Air Force, è stato identificato come l’attentatore che, armato di una pistola, ha ucciso tre ufficiali della base americana. Il New York Times ha riferito che altri sei cittadini sauditi “sono stati arrestati per essere interrogati vicino alla scena della sparatoria, tra cui tre che sono stati visti filmare l’intero incidente”. Non era chiaro se anche loro fossero frequentatori o conoscessero l’Alshamrani, secondo a The Times.

Ha aggiunto: “Non sono contro di te solo perché sei americano e non ti odio a causa delle tue libertà. Ti odio perché ogni giorno appoggi, finanzi e commetti crimini, non solo contro i musulmani ma anche contro l’umanità “.
Quattro persone, incluso il tiratore, sono state uccise, nel secondo attentato mortale in una struttura militare degli Stati Uniti questa settimana, hanno detto le autorità. Il tiratore è stato ucciso, dopo pochi minuti, nella sparatoria con gli agenti dello sceriffo della contea di Escambia. I feriti non sono in pericolo di vita.

Nella base ci sono 16mila militari e 7.400 civili. L’episodio segue quello del pomeriggio del 4 dicembre, a Pearl Harbor, la storica base navale a 13 chilometri da Honolulu, nelle Hawaii, dove Gabriel Romero, di 22 anni, un militare di carriera dell’US NAVY, in servizio di guardia con il fucile MK.4 sul USS Columbia (SSBN 826), un sottomarino di attacco rapido a propulsione nucleare, ha aperto il fuoco, uccidendo due persone e ferendone una terza prima di togliersi la vita sparandosi alla testa con l’M.9, la pistola di ordinanza.

Navy Columbia (SSBN-826) Class Ballistic Missile Submarin, Los Angeles-class

La base, a 13 chilometri da Honolulu, ospita sia la Navy (con la flotta statunitense nel Pacifico, con 10 navi da guerra e 15 sottomarini sia l’Air Force ed è rimasta in ‘lockdown’ per quasi due ore 

NAS Pensacola

La US NAVY, da parte sua, ha confermato che lo sparatore all’interno della base americana è un cittadino saudita che frequentava un corso di pilotaggio.
L’attentatore è stato identificato dal governatore della Florida come cittadino saudita. “Frequentava i corsi dell’aviazione e si stava addestrando al volo “, ha detto il comandante della base in una conferenza stampa.
Le autorità non hanno detto se stanno prendendo in considerazione il fatto che questa sparatoria di Pensacola sia un atto di terrorismo; l’AP ha riferito che le autorità stanno esaminando se si tratta di questo e, comunque, come sia opportuno classificarlo. ABC7 ha riferito che le autorità stanno cercando di verificare un “profilo online” che possa esser stato scatenato dal maltrattamento americano di musulmani e che potrebbe essere stato scritto dal tiratore. Esprime “odio verso gli americani” e sgomento per il sostegno degli Stati Uniti a Israele, secondo la stazione televisiva. AFP ha riferito che nel commento online (che era sotto forma di un tweet, chiamava gli Stati Uniti una “nazione malvagia”.

Eventi come questi dovrebbero portare a momenti di riflessione perché assumono sempre qualche significato. Per ora, il deputato Matt Gaetz (R-Florida), che rappresenta il distretto in cui si trova la base, ha detto venerdì, in un video messaggio, che l’addestramento che l’esercito americano fornisce agli alleati è utile, ma che “questo evento dimostra una grave falla nelle procedure di controllo.” Gaetz, evidentemente non è a conoscenza dell’attentato compiuto a Pearl Harbor da una sentinella in servizio di guardia su un sommergibile lanciamissili nucleare e ha detto che spingerà per “controllo estremo sulle persone che vengono nel nostro paese e che si allenano nelle nostre basi”. A noi membri della NATO, può preoccupare anche e di più che anche fra gli alleati degli Stati Uniti vada diffondendosi la consapevolezza che la governance occidentale non sia sul giusto binario, fino, addirittura, alla decisione di immolarsi.

Source: RT

2468.- USA-IRAN/ Ecco perché dopo la cattura delle spie Cia la guerra si avvicina

È anche la dimostrazione che l’Ue, con Mogherini o con chiunque altro, vale zero. Non è una frecciata, ma il rammarico per l’assenza di un interlocutore che non può e non deve mancare sulla scena della politica internazionale; che dovrebbe costruire ponti e non subire le sanzioni di chicchessia e che, invece, è schiavo delle debolezze dei suoi paesi leader, troppo deboli per essere leader, troppo immaturi per costruire una unione di membri inter pares. Di fatto, Bruxelles si comporta come una società per azioni, una multinazionale, per certi versi, e come una dittatura finanziaria, per certi altri, incapace di generare fiducia negli interlocutori internazionali, come nei suoi cittadini. La Libia ne è la rappresentazione eclatante. Per le debolezze dell’Italia, oltre ai veli sottomessi di Mogherini, ovunque possibile, ci fu il “casus” delle nudità oscurate durante la visita del presidente Rouhani ai Musei Capitolini.

Ieri, 23.07.2019 , Giuseppe Gagliano scrive:

Teheran ha annunciato di avere catturato 17 spie della Cia in Iran. Trump ha smentito, ma sta subendo l’iniziativa del regime iraniano

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Il presidente dell’Iran, Hassan Rouhani (LaPresse)

Che l’embargo – strumento tradizionale della guerra economica – voluto dagli Usa stia oramai da tempo danneggiando in modo considerevole l’economia iraniana, è un dato di fatto. Ebbene, se in un primo momento l’Ue si era opposta alla scelta trumpiana, Bruxelles si è poi pedissequamente allineata alle scelte americane determinando in questo modo per le proprie aziende, petrolifere e non, un danno ingente. Dagli ultimi eventi Teheran ha presumibilmente tratto due convinzioni, e cioè che la Gran Bretagna diventerà una sorta di strumento per legittimare la politica di proiezione di potenza americana e che l’Ue è un alleato infido ed incapace di avere una politica estera credibile ed autorevole.

Quanto alle critiche da parte inglese sulla necessità di ripristinare la legalità internazionale – critiche mosse dal ministro degli Esteri Jeremy Hunt in campagna elettorale -, sarebbe sufficiente ricordare gli stretti rapporti economici che legano Londra – come la Francia – all’Arabia Saudita(alleato degli Usa come Israele anche in questa controversia) sul fronte dell’esportazione di armi. 

Tuttavia alla luce dei recenti eventi, e cioè relativamente alla necessità di condannare a morte alcuni dei 17 agenti che lavoravano per la Cia catturati da Teheran – annuncio fatto dal direttore generale del dipartimento per il controspionaggio del ministero dell’intelligence iraniano – gli scenari potrebbero cambiare, nonostante Trump abbia smentito questo annuncio.

Cominciamo dalla questione delle spie.

Secondo l’agenzia di stampa iraniana Farsnews, la Cia avrebbe reclutato cittadini iraniani in cambio di un visto Usa. Sotto il profilo strettamente operativo, secondo le dichiarazioni iraniane, la Cia non solo avrebbe posto in essere azioni di spionaggio in relazione alle infrastrutture più sensibili del paese – come per esempio quelle nucleari -, ma avrebbero reclutato cittadini iraniani durante le conferenze scientifiche nei paesi europei, africani e asiatici promettendo l’emigrazione negli Stati Uniti e il conseguimento di un buon lavoro.

Al di là della veridicità o meno della notizia, non possiamo non osservare come accanto alla guerra economica la guerra dell’informazione promossa da Teheran giochi un ruolo rilevante. Una guerra dell’informazione volta a destabilizzare l’avversario creando un permanente stato di tensione internazionale. Infatti L’operazione che avrebbe portato allo smantellamento della rete della Cia in Iran sarebbe avvenuta nei mesi scorsi, ma il fatto che la notizia sia stata diffusa oggi, nel pieno delle tensioni, non solo non è un caso, ma è la dimostrazione che Teheran sa usare in modo efficace la guerra dell’informazione.

Veniamo adesso al cambiamento di scenari.

Se effettivamente la cattura degli agenti fosse confermata e se le condanne a morte venissero eseguite – anche se una condanna a morte è stata eseguita in giugno nei confronti del dipendente della Difesa iraniana Jalal Haji Zwar, il quale aveva lavorato come appaltatore per l’Aerospace Industries Organization iraniana – lo scenario internazionale potrebbe cambiare sotto un duplice profilo: da un lato perché la guerra economica americana posta in essere potrebbe inasprirsi, e dall’altra perché la presenza su territorio iraniano di un network di agenti americani che reclutano cittadini iraniani non farebbe altro che legittimare ulteriori azioni di forza da parte iraniana. 

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2412.- VENTI DI GUERRA SULL’IRAN: MEGLIO, SU 81 MILIONI DI SCIITI E, POI, CHISSÀ?

La Russia, da parte sua, profitta delle aspirazioni di Erdogan e attacca l’«atteggiamento iranofobico» degli Stati Uniti. E si ritrova sempre più lontana dall’Occidente e sempre più vicina all’Iran, oltre che alla Cina.

Venti di guerra o nuove alleanze in Medio Oriente? Trump minaccia l’Iran e fa circolare voci su un piano di attacco americano con raid mirati sulle installazioni nucleari; invia altri soldati in Medio Oriente; vorrebbe ricondurre la Turchia nella NATO, prima della consegna degli S-400, attraverso la cessione ai turchi dei diritti dei greci intorno a Cipro. Se è stato utile, in passato, avere la Turchia nella NATO, oggi, con la direzione presa da Erdogan, ci si chiede se lo sia ancora. Comunque e sempre, dietro questi paesi, ci sono le due grandi potenze, ma c’è anche la millenaria divisione del mondo musulmano fra sciiti e sunniti.

Mark Esper si trova a guidare il Pentagono mentre sta crescendo la tensione con l’Iran, quindi, con Putin.

Significativo il fatto che il Presidente Donald Trump, mentre sta crescendo la tensione con l’Iran, ha nominato segretario della Difesa, Mark Esper, augurando al suo predecessore Shanahan di spendere il suo tempo con la famiglia. Esper si trova a guidare il Pentagono in un momento in cui tutto potrebbe portare alla terza guerra mondiale.

Secondo l’US.NAVY, le due petroliere sarebbero state colpite da mine iraniane. Quelle mine colpiscono una nave a metà della fiancata?
La Germania ha fatto sapere che il video mostrato dagli americani non è sufficiente a incolpare Teheran.

All’alba del 13 giugno, all’entrata del Golfo di Oman, la Front Altair, nave cisterna della norvegese Frontline, trasportava un carico di nafta diretto a Taiwan. È stata colpita da un missile, o ha incontrato una mina? Tre esplosioni, la nave è finita in fiamme, l’equipaggio trasportato su una nave iraniana. Anche per la seconda petroliera, la giapponese Kokuka Courageous, in navigazione dall’Arabia Saudita a Singapore con un carico di metanolo, si sospetta una mina o un missile. Ma anche «oggetti volanti». Lo scafo è danneggiato e gli Stati Uniti (Donald Trump per primo) dicono di sapere da chi: venerdì la US Navy ha pubblicato un video in cui si distingue un’imbarcazione militare iraniana (le Guardie Rivoluzionarie?) avvicinarsi a una petroliera, mentre qualcuno a prua cerca di rimuovere un oggetto dallo scafo. Un tentativo di nascondere l’”arma del delitto”? Teheran declina ogni responsabilità, lasciando capire che qualcuno potrebbe avere interesse a provocare un conflitto con Washington: basta una scintilla, le relazioni tra iraniani e americani sono esasperate dal ritiro Usa dell’anno scorso, voluto da Trump, dall’accordo sul nucleare iraniano civile, e dal brusco ritorno delle sanzioni che strangolano l’economia di Teheran. L’attacco del 13 giugno coincideva con la presenza a Teheran di un mediatore, il giapponese Shinzo Abe, premier di un Paese che ha bisogno del petrolio iraniano che ora non può più acquistare, per via delle sanzioni Usa. 

U.S. Official conferma, ma non dice quando, un missile della contraerea dell’Iran ha abbattuto un Drone militare americano MQ-4C Triton high-altitude in volo nello spazio aereo internazionale sullo Stretto di Hormuz. Il prezzo di un drone MQ-4C è di oltre 140 milioni di dollari, il più costoso e “invulnerabile”. È stato un avvertimento.

Gli Stati Uniti hanno diffuso un video, peraltro ampiamente contestato, con nuove immagini che dimostrerebbero il coinvolgimento dei Pasdaran nell’attacco alle petroliere nel golfo dell’Oman. Il rafforzamento del dispositivo militare davanti alle coste iraniane è, ufficialmente, legato alla difesa della «libera circolazione» delle navi mercantili, anche se arriva il giorno dopo l’annuncio di Teheran del superamento dei limiti alle quantità di uranio arricchito in suo possesso. Anche alla luce dei questo recente attentato terroristico alle due petroliere e alle affermazioni e alle accuse bellicose di Donald Trump contro l’Iran sciita, torniamo a leggere una interessante breve descrizione di Alessandro Cipolla su quali sono le differenze tra sciiti e sunniti e perché le loro problematiche potrebbero anche sfociare in una terribile Terza Guerra Mondiale.

Nel panorama islamico, gli sciiti rappresentano il’15% dei credenti musulmani.

“Le differenze tra sciiti e sunniti

L’Islam sciita e quello sunnita sono i due principali rami della religione musulmana. La loro divisione nacque nel 632 dopo la morte del profeta Maometto, andandosi a concretizzare di fatto nel 652 con la Battaglia del Cammello.

Morto Maometto, nel mondo islamico si pose il problema su chi dovesse ereditare sia il potere religioso che quello politico. La maggioranza, quelli che oggi sono i sunniti, appoggiò il padre della moglie del profeta mentre una minoranza, gli sciiti, invece voleva che a capo ci fosse un consanguineo di Maometto.

Dopo una serie di omicidi e tradimenti, con la già citata battaglia del 652 i sunniti ebbero in maniera definitiva la meglio sugli sciiti, che da allora vivono nel territorio arabo in netta minoranza.

Attualmente, i sunniti nel mondo sono circa 1,35 miliardi mentre gli sciiti quasi 250 milioni. Nel panorama islamico, i primi rappresentano l’80% dei credenti musulmani mentre i secondi il 15%.

Entrambi i rami concordano sul fatto che Allah sia l’unico dio e Maometto il suo profeta. Mentre però gli sciiti vedono negli ayatollah, i loro leader religiosi, un riflesso divino sulla terra questo per i sunniti viene considerato un’eresia, attenendosi invece soltanto agli atti del profeta.

Una divisione questa che ha portato a continue tensioni nei secoli tra le due correnti religiose, con la situazione anche dal punto di vista territoriale che con il tempo si è andata a cristallizzare.

Gli sciiti infatti si concentrano per la maggior parte in Iran, dove sono la grande maggioranza, oltre che nel confinante Azerbaijan, nella parte orientale dell’Iraq, in Bahrein e in Libano. I sunniti invece sono presenti in maniera nettamente maggioritaria in tutti gli altri paesi arabi con in testa Arabia Saudita e Turchia.

Sciiti e sunniti: possibile Terza Guerra Mondiale?

In Medio Oriente al momento il problema principale si chiama Isis. I guerriglieri del califfato sono di credo sunnita e hanno proclamato il loro sedicente Stato Islamico in un cuscinetto di territorio che parte dalla Siria e arriva fino all’Iraq.

Negli ultimi tempi, attaccati su più fronti, gli estremisti hanno ormai perso le loro due grandi città di Raqqa e Mosul. L’Isis quindi sta concentrando tutte le truppe nella zona di Deir ez-Zour dove si preparano allo scontro finale.

Anche se non si fermano i tragici e sanguinosi attacchi terroristici in tutto il mondo, lo Stato Islamico è ormai sul punto di cadere, soprattutto per mano di eserciti e milizie a maggioranza sciita.

Il discusso presidente siriano Assad è infatti sciita, così come gli hezbollahlibanesi che sono intervenuti per combattere al fianco di Damasco. Le milizie irachene maggiormente impegnate sono sciite come naturalmente l’esercito iraniano che sta infliggendo duri colpi all’Isis nella zona settentrionale del califfato.

Il recente attentato da parte dell’Isis al Parlamento dell’Iran va quindi visto come una sorta di ritorsione, ma il discorso è anche più ampio. In ballo infatti ci può essere il predominio sulla zona quando il califfato sarà definitivamente sconfitto.

Non è un mistero che l’alleato più solido dell’Iran sia la Russia di Vladimir Putin. Quello invece dell’Arabia Saudita sunnita è l’America. Non è un caso che Donald Trump abbia scelto proprio Riyad come meta del suo primo viaggio da presidente.”

Arabia Saudita e Iran sono due nemici storici, avendo in più alle loro spalle rispettivamente il blocco occidentale e quello orientale. La Siria di Assad, vicina a Teheran e a Mosca lo dimostra.

Il timore, quindi, è che, una volta iniziata la guerra contro l’Iran che, al momento, avrà l’impianto nucleare come obiettivo principale dei bombardieri americani, possa scoppiare un conflitto anche militare proprio tra gli sciiti e i sunniti, in uno scenario già visto al termine della guerra in Iraq.

Una ipotesi questa che potrebbe portare ad un effetto domino in tutto il Medio Oriente, coinvolgendo anche le maggiori potenze mondiali che nel sottosuolo dell’area hanno strategici interessi economici.

2107.-Eni sbarca negli Emirati Arabi Uniti E l’Italia beffa la Francia sulla Libia

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Ultimissime dagli occhi della guerra:

L’Eni strappa con gli Emirati Arabi Uniti uno dei più importanti accordi degli ultimi anni. E con questo accordo, l’Italia non strappa soltanto un accordo fondamentale per gli idrocarburi del Golfo Persico, ma anche un accordo di fondamentale importanza nei rapporti con uno dei principali attori del Golfo Persico. E che per Roma è fondamentale anche, se non soprattutto, per ciò che riguarda la Libia.

Cosa prevede l’accordo

L’accordo sul gas fra Eni e governo emiratino è un tassello estremamente importante. Il patto, concluso fra Eni e Adnoc, il colosso mondiale del gas e del petrolio con sede ad Abu Dhabi, prevede l’acquisizioni del 25% di un’enorme concessioni off-shore nel Golfo Persico. Come scritto nel comunicato dell’azienda di San Donato, “la concessione, che ha una durata di 40 anni, consiste nei giacimenti Hail, Ghasha, Dalma e in altri campi offshore situati nella regione di Al Dhafra”.

“Il progetto produrrà più di 1,5 miliardi di piedi cubi di gas al giorno con avvio previsto verso la metà del prossimo decennio. Il gas prodotto dai giacimenti di Hail, Ghasha e Dalma potrebbe soddisfare oltre il 20% della domanda di gas degli Emirati Arabi Uniti”. Ed è questo che interessa particolarmente agli emiratini, poiché il loro primo punto in agenda è quello di scrollarsi di dosso la dipendenza dal gas del Qatar.

Un accordo fondamentale per la Libia.

Ma se il patto serve agli Emirati, serve soprattutto al governo italiano per strappare quote di mercato a britannici e francesi e per aprire un canale diretto con gli Emirati. Lo sbarco di Eni ad Abu Dhabi rappresenta una svolta fondamentale nei nostri rapporti, dal momento che gli Emirati rappresentano una potenza in ascesa in tutta la Penisola Arabica e un attore fondamentale per il presente e il futuro della Libia.

Il ragionamento è semplice. L’Italia ha bisogno di consolidare la propria posizione in Libia riuscendo a interloquire in maniera sempre più stabile con Khalifa Haftar. Ma soprattutto deve fare in modo che la Francia conti sempre di meno nel Paese nordafricano. Gli Emirati sono fra i maggiori sostenitori di Haftar insieme all’Egitto. Egitto ed Emirati, con l’ascesa di Abdel Fattah Al Sisi, sono diventati alleati. E quindi, a Roma serve avere al proprio fianco sia Abu Dhabi che Il Cairo.

Una partita difficilissima

Il governo italiano sta riuscendo a vincere questa difficilissima partita, che si gioca su un equilibrio estremamente complesso. Nel cambiamento di strategia italiana in Libia, è fondamentale questo nuovo triangolo politico fra Italia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Ed Eni è la nostra arma principale per intessere relazioni sempre migliori con questi due attori imprescindibili per il Paese nordafricano.

L’Italia, con questo nuovo governo, ma forse anche perché travolta dagli eventi, ha cambiato strategia. Non può puntare soltanto su Fayez al-Sarraj: serve anche Haftar, il generale della Cirenaica. In questo cambiamento di posizione giocano diversi fattori, in primis il nostro riavvicinamento alla Russia e la decisione di contrastare l’ascesa della Francia nelle decisioni del maresciallo di Tobruk. Ma un ruolo fondamentale lo giocano anche i rapporti con Il Cairo (ristabilito anche grazie al giacimento Zohr in cui Eni è protagonista) e con Abu Dhabi.  Ed è anche per questo motivo che si spiega il viaggio di Giuseppe Conte nel Paese del Golfo. Ma il gioco, inutile dirlo, è estremamente pericoloso. E lo dimostra il fatto che, mentre Eni firmava lo storico accordo con gli emiri, un altro emiro, quello del Qatar, arrivava a Roma, accolto con tutti gli onori dallo stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Tra Abu Dhabi e Doha le relazioni sono a dir poco complicate. L’equilibrismo, in quella regione, è difficilissimo. Le potenze si odiano fra loro e lo scontro fra EAU e Qatar, che riguarda anche la Fratellanza Musulmana, incide sulla Libia al pari dei rapporti con la Turchia.

 

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Foto La Presse

Il viaggio di Conte negli Emirati

Messo agli atti il summit di Palermo, l’Italia con Giuseppe Conte si sta muovendo con tutte le sue armi diplomatiche nel difficile contesto della Penisola arabica. E in una regione così conflittuale è molto difficile muoversi senza avere conseguenze negative nelle relazioni con altri vicini. Qui pesa la risoluzione del contratto per l’Air Force Renzi, ma il governo avrebbe raggiunto con Etihad un accordo accettando, pur di risolvere il contratto, una penale tra i 20 e il 25 milioni di euro.

L’Italia fu il primo ed è uno dei principali partner economici europei degli Emirati, con un interscambio di circa 8 miliardi di euro nel solo 2017. Un volume d’affari che è destinato ad aumentare con il piano di investimenti di 150 miliardi in 7 anni, varato dal governo di Abu Dhabi. Grazie soprattutto alla presenza sul territorio di banche quali Unicredit, Intesa San Paolo e Sace, le imprese italiane hanno trovato un valido canale di comunicazione finanziario per i progetti industriali e commerciali con gli Emirati. E attualmente si parla di almeno due grandi progetti, la seconda tratta della ferrovia nazionale (Etihad Rail II) e l’Aeroporto Al Maktoum (Dubai), futuro primo hub al mondo (si stimano 220 milioni di passeggeri annui), in cui dovrebbero essere in vantaggio aziende del nostro Paese. A questo si aggiunge anche l’industria bellica.

C’è, soprattutto, il ruolo centrale dell’Eni, fondamentale strumento della diplomazia italiana, che ha siglato un nuovo accordo con gli Emirati per una concessione nel Golfo Persico, con la quale si “potrebbe ridurre del 20% circa l’import di gas degli Emirati dal Qatar in un momento in cui le relazioni diplomatiche tra i due Paesi sono piuttosto fredde e in cui Abu Dhabi sta rilanciando i suoi investimenti per sfruttare i giacimenti di gas e petrolio”. L’Eni in Africa non è solo Egitto e Libia. La sua rete di interessi congiunge tutto il continente africano e va dal Mediterraneo a Capo di Buona Speranza. E in questa rete, entra anche il Mozambico.

L’Italia gioca fra equilibri delicati

In Libia, gli Emirati giocano un ruolo molto più influente di quanto si possa credere. Fra i maggiori sostenitori di Khalifa Haftar insieme all’Egitto, il principe ereditario ha già avuto modo di sentire telefonicamente Conte prima della conferenza di Palermo per sostenere gli sforzi dell’Italia sul fronte libico, ma soprattutto per confermare la necessità di trovare una soluzione che coinvolgesse Haftar come attore imprescindibile. Il tutto, mentre Matteo Salvini poche settimane prima si recava in Qatar, attuale avversario politico di Abu Dhabi, e in attesa dell’arrivo dell’emiro di Doha a Roma. In questa difficile ma fondamentale partita dell’Italia fra le monarchie del Golfo Persico.

Infine, la competizione economica con Francia e Germania si gioca anche qui, in Africa e, se possiamo recuperare un goal da Palermo, non è senza significato avere ospitato un summit con tanti paesi africani.

contributi di Lorenzo Vita, tratti da occhi della guerra

1778.- TRUMP SFIDA LA PACE

Trump ha quasi deciso di uscire da accordo con Iran. Lo deciderà Trump o Nethanyau? L’Onu avverte : si rischia la guerra.

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha quasi deciso di uscire dall’accordo nucleare con l’Iran del 2015. Ma è ancora difficile dire in questa fase come intende procedere. Lo hanno detto ieri funzionari della Casa Bianca.

In attesa che Donald Trump prenda una decisione definitiva, attesa il prossimo 12 maggio, il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, ha lanciato ieri nuove pesanti accuse a Teheran.“L’Iran ha conservato tutti i suoi piani”, ha detto, in occasione del suo incontro con il suo omologo giapponese, Shinzo Abe, riferendosi ai documenti di cui di recente i servizi segreti israeliani sono entrati in possesso. “Chi non è interessato ad armi atomiche – ha aggiunto – non li avrebbe né preparati, né conservati. L’accordo sul nucleare – ha insistito – è cattivo, si basa sulle menzogne e sugli inganni dell’Iran”

Inatnto, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha rivolto un appello al presidente americano, Donald Trump, perché non denunci l’accordo sul nucleare con l’Iran, evocando il pericolo di una guerra.

Guterres, parlando alla Bbc, ha definito il trattato del 2015 una “importante vittoria della diplomazia” e ha detto che dovrebbe essere salvaguardato.

“Non dovremmo cancellarlo, a meno che non abbiamo una valida alternativa ad esso”, ha detto, aggiungendo che “ci aspettano tempi molto pericolosi”.

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L’alternativa USA sono le bombe e la NATO sarà in campo. Ma noi?

Dall’Australia, dove è in visita, il presidente francese Emmanuel Macron ha ribadito: “Non so che cosa deciderà il presidente americano il 13 maggio”, ha detto Macron,”voglio solo dire che qualsiasi posizione verrà assunta, noi dobbiamo prepararci per una trattativa più ampia perchè credo che nessuno voglia una guerra nella regione e nessuno vuole un’escalation delle tensioni”.

L’ultima visita a Washington del presidente francese era servita per provare a convincere Trump che è meglio un accordo da rivedere piuttosto che un non accordo. Il presidente americano pur non approvando il trattato aveva fatto capire di essere disposto a discutere una nuova intesa, purchè, ha detto, poggi su basi solide.


Israele e Arabia Saudita approveranno senz’altro la denuncia del trattato.

1761.- Attacco missilistico alla Siria: stupidità e irresponsabilità.

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Due immagini, scattate prima e dopo l’attacco, mostrano il centro di ricerca e sviluppo Barzah alla perifieria di Damasco, in Siria, colpito dai missili lanciati di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna il 14 aprile.

Restiamo sulla Siria con il grande Jacques Sapir (Russeurope in Exile, 14 aprile 2018 – Mondialisation, da Aurora) perché non si poteva immaginare una decisione politica più infelice e più masochista da parte dell’Occidente. I dottori sul posto hanno smentito CATEGORICAMENTE la versione dei White Helmets. All’indomani della distruzione del Centro Farmaceutico di Damasco, dove le sanzioni impediscono l’arrivo dei medicinali alla popolazione; dove molti farmaci hanno iniziato ad avere costi proibitivi poiché la maggior parte delle fabbriche farmaceutiche sono state già distrutte, ho questa immagine della situazione geopolitica occidentale:
L’assenza dell’Unione europea sull’avventura USA di Damasco, la partecipazione francese, quella italiana oltre a quella turca e il rifiuto tedesco ci pongono dinanzi a un bivio e dicono a noi italiani che dobbiamo uscire da queste alleanze, oppure, che la NATO non basta più come braccio armato della politica estera europea e che è matura per integrare a livello Nord Atlantico un Quartier Generale Europeo, sotto un controllo democratico di un ministro della difesa europeo e del Parlamento Europeo, per la cooperazione tra le forze armate degli Stati membri dell’Ue. Penso che la via della integrazione richieda come condizione una applicazione totalmente nuova dei trattati. I popoli possono essere dominati a lungo e con profitto solo se sono partecipi e amati.

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L’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche dell’ONU (OPCW) ha dichiarato che visitava ogni mese il centro scientifico distrutto a Barzeh, Damasco.

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Stupidità; questa parola sembra la più appropriata a descrivere l’attacco missilistico alla Siria, effettuato la notte del 13-14 aprile da tre Paesi, Stati Uniti, Gran Bretagna e ahimè Francia. Tale attacco, a quanto pare, aveva effetti molto limitati. I governi siriano e russo non annunciavano vittime. Pertanto, “secondo le informazioni preliminari, nessuna vittima va deplorata tra la popolazione civile o l’Esercito arabo siriano”, dichiarava un portavoce dell’esercito russo. Inoltre, secondo una fonte ufficiale russa, un numero significativo di missili, 71 su 103, fu abbattuto dalla contraerea siriana[1]. È chiaro che tale attacco non cambia di una virgola la politica di Bashar al-Assad. Un’azione le cui conseguenze non possono essere misurate, che può essere descritta stupida. Un’azione le cui conseguenze vanno contro gli obiettivi dichiarati, è certamente stupida. Questo attacco si qualifica come stupido in tutto.

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La difesa aerea siriana ha reso impossibile affrontare i costi di un’altro attacco della NATO. Perché quando si parla di Stati Uniti, di Gran Bretagna, di Francia o Turchia, di NATO si tratta.

Stupidità tattica
Ricordiamo innanzitutto che, per obiettivi, tale attacco sembra essere stato molto limitato. Si parla solo di un centro “clandestino” per armi chimiche (o che si supponeva tale) e di due siti di produzione. Le installazioni militari, dove ci sono molti soldati e ufficiali russi, sembrano furono accuratamente evitate. Sembra che gli ultimi contatti tra Macron e Vladimir Putin fossero destinati a confermare ai russi che non sarebbero stati presi di mira. Ciò dimostra un certo effetto deterrente della presenza russa su Stati Uniti ed alleati. Questo effetto sarà certamente notato da diversi osservatori e Paesi che potrebbero divenire obiettivi degli Stati Uniti. Tornando all’ipotetica cifra di 71 missili abbattuti su 103. La difesa aerea russa non era entrata in azione perché le truppe russe non sarebbero state prese di mira. Questo dato è estremamente alto, anche se dovrebbe essere ridotta a circa 40 missili, date le capacità dei sistemi antiaerei dell’Esercito arabo siriano. Questi sistemi furono acquistati dall’Unione Sovietica o ne derivano. Quindi, possiamo ragionevolmente pensare che furono modernizzati nel quadro degli accordi con la Russia. Ma ciò non basta a spiegare l’alta percentuale di intercettazioni, qualcosa che l’Esercito arabo siriano non poteva fare, finora. È possibile che le truppe russe, che dispongono di sofisticati sistemi di rilevamento e puntamento in Siria, abbiano trasmesso le informazioni alla contraerea siriana permettendole d’intervenire con sorprendente efficacia. Ciò spiegherebbe il gran numero di missili distrutti; missili, che Donald Trump descrisse come “belli e intelligenti”, discendenti delle V-1 naziste [2], costosi. Un missile Storm Shadow inglese costa 800000 sterline. Se facendo arrivare 32 missili, 71 andavano persi, in altre parole se il tasso di successo era solo del 31%, ci si chiede la capacità di Stati Uniti ed alleati di condurre un’azione di disarmo (come quella contro l’Iraq nel 2003). Affinché tale campagna sia efficace, occorrono centinaia di missili che colpiscono gli obiettivi (da 400 a 1200 a seconda della complessità del sistema di difesa del Paese). Ciò equivale a 1300 – 4000 missili, nel caso di una difesa chiaramente non all’avanguardia, per 1,6 – 4,8 miliardi di dollari. È facile capire che l’efficacia della difesa aerea siriana mette in discussione il modello economico degli attacchi aerei, su cui gli Stati Uniti vivono dalla “Guerra del Golfo” del 1991. Avrebbero compiuto l’attacco, assistiti da Gran Bretagna e Francia, dimostrando che il loro modo d’azione militare è superato. Se pensavano di ripristinare una forma di deterrenza, ovviamente hanno fallito! I tre Paesi hanno effettivamente indebolito le loro posizioni sulla Siria, e ciò è una palese stupidità.

Stupidità strategica
Ma le conseguenze di tale sciopero vanno naturalmente oltre. Jean-Luc Mélenchon twittava: “Gli attacchi alla Siria sono infondati e senza mandato dell’ONU, contro di esso, senza un accordo europeo e senza il voto del Parlamento francese (…) È una vendetta degli USA, un’escalation irresponsabile” [3]. E questo è forse l’aspetto principale. Un attacco militare è un atto di guerra che va inquadrato dalla legge internazionale, o significa che solo la legge del più forte è valida. Ad oggi non sono state fornite prove sull’attacco chimico e la responsabilità del regime di Bashar al-Assad. Dato il pesante carico di menzogne e manipolazioni dei capi di Stati Uniti e Gran Bretagna, niente è scontato. Decidendo di attaccare unilateralmente e senza mandato, i capi dei tre Paesi interessati, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, hanno dimostrato quanto non gli interessi il diritto internazionale e le Nazioni Unite. Ciò può solo convincere vari Paesi ad acquisire armi nucleari per proteggersi da tali azioni. In altre parole, Donald Trump, Theresa May ed Emmanuel Macron hanno solo confermato che la proliferazione nucleare è, per alcuni Paesi, una scelta logica e inevitabile. Tuttavia, va notato che oltre alle potenze nucleari note, sono in possesso dell’arma nucleare Israele (da 200 a 250 testate), India, Pakistan e Corea democratica. Tale attacco consolerà non solo i leader di questi Paesi sulle loro scelte, ma persuaderà altri, si pensi ad Iran, Arabia Saudita, Algeria, Turchia e numerosi Paesi asiatici, ad imitare i Paesi “proliferanti”. Non esserne consapevoli dimostra un’incredibile stupidità strategica. L’attacco deciso da Donald Trump, Theresa May e Emmanuel Macron non renderà il mondo più sicuro o più giusto. In realtà sarà il contrario. Aumenta i rischi d’instabilità internazionale e immerge il mondo nel caos. Non è solo stupidità strategica, ma grossolana irresponsabilità. L’attacco fu deciso per ragioni probabilmente diverse e divergenti dai tre capi responsabili. Gli Stati Uniti potrebbero averlo considerarlo una “salva d’addio” decidendo di abbandonare la Siria. Il Regno Unito segue. La Francia si troverà in una situazione più che delicata, compromessasi cogli Stati Uniti e avendo perso credibilità e onore internazionali, in particolare nella difesa dei principi del diritto internazionale e della sovranità degli Stati. Molto chiaramente, la Francia è il Paese che di gran lunga ci perde. Che Emmanuel Macron non lo capisca è la prova che è un incapace ed inetto all’ufficio, come il predecessore François Hollande.

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La contraerea siriano abbatte 71 missili su 103 lanciati

E, ora, lasciatemi affidare a questa immagine orribile il mio di sprezzo per l’ipocrisia dei nostri governi:
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Questa ragazza dello Yemen, è vittima di un attacco chimico nel suo paese da parte degli arabi sauditi, la sostanza chimica utilizzata era il fosforo bianco … quindi perché non bombardiamo l’Arabia Saudita e togliamo le loro armi chimiche con attacchi aerei ?