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6139.- Il caos in Senegal inguaia ancora Ecowas

Il Nuovo Piano Mattei è la base fondante dell’interconnessione regionale tra MedAtlantic e IndoMed e conferirà autorevolezza alla politica italiana impegnata a valorizzare il capitale umano dell’Africa. A partire dal Magreb, ma in particolare nel Sahel, i problemi di istruzione e la povertà sono importanti quanto quelli dell’economia e la situazione nel Senegal è considerata solo leggermente migliore. Le giunte militari golpiste di Mali, Niger e Burkina Faso e i disordini che scuotono il Senegal non sono gestibili da Ecowas e rappresentano l’esca che agevola la penetrazione neocolonialista russa e cinese. Ecco un motivo per procedere alla rifondazione dell’Unione europea, a farne un soggetto politico sovrano, potente, capace di impegnare le sue risorse in politiche di solidarietà attiva. Lo stimolo dell’economia potrà sostenere la crescita sociale e culturale di questi Paesi e non quella economica di Russia e Cina. Per condurre queste politiche, serve radicarci nella società africana, ma prima di tutto coesione e comunanza di obiettivi nella nostra politica, vista come alfiere di civiltà e non come strumento di potere. Questa è senz’altro una missione degna del Capo dello Stato.

Da di Emanuele Rossi | 18/02/2024 – 

Il caos in Senegal inguaia ancora Ecowas

Mentre il Consiglio costituzionale senegalese ha annullato lo spostamento delle elezioni voluto dal presidente Sall, continua una fase opaca per il Paese, che mette in ulteriore difficoltà Ecowas, organizzazione cardine della regione dell’Africa settentrionale in profonda crisi di autorevolezza

I leader della Economic Community of West African States (nota con l’acronimo Ecowas) si dovevano riunire giovedì per parlare della decisione senza precedenti di lasciare l’organizzazione presa a fine gennaio dalle giunte golpiste di Mali, Niger e Burkina Faso. Invece si sono ritrovati a parlare di una situazione complessa (che però ha avuto diversi precedenti nella storia di Ecowas): il Senegal sta piombando nel caos, perché il suo presidente, Macky Sall, ha deciso di posporre al 15 dicembre le elezioni – che erano programmate per domenica 25 febbraio. Dakar è piombata nel caos, proteste di piazza sotto slogan tipo “Sall è un dittatore”, scontro con le forze di sicurezza che hanno usato le maniere forti e procurato alcune vittime — “scontri provocati dall’arresto ingiustificato del processo elettorale”, che fanno “sanguinare il cuore di ogni democratico”, per dirla come il sindaco della capitale senegalese.

Bola Tinubu, presidente nigeriano che guida Ecowas, doveva recarsi personalmente a palare con Sall, ma le condizioni di sicurezza l’hanno portato a evitare il viaggio, dato che qualsiasi cosa di negativo gli fosse successo avrebbe avuto una eco complessa. L’organizzazione soffre una fase di criticità profonda: per dire, ha invitato il Senegal a “ripristinare urgentemente il calendario elettorale”, ma il blocco è consapevole che la sua influenza è praticamente inesistente. A maggior ragione in un momento in cui tre nazioni guidate da governi militari stanno già sfidando le sue richieste. Ora l’opaca situazione in Senegal la mette ancora più in difficoltà, dato che Dakar è considerata un bastione democratico — senza un golpe o un tentativo di alterazione del processo istituzionale dalla nascita della democrazia, nel 1960.

Nelle ore in cui questa analisi viene scritta, il Consiglio costituzionale senegalese ha annullato il rinvio delle elezioni presidenziali di questo mese, “una decisione storica che apre un campo di incertezza per la nazione tradizionalmente stabile dell’Africa occidentale”, spiega Fabio Carminati su Avvenire. Resta che la posposizione è stata votata da un parlamento assediato dalle forze di sicurezza lealiste, che hanno anche arrestato parlamentari di opposizione. Attenzione: il Consiglio di fatto ha dichiarato “impossibile organizzare le elezioni presidenziali nella data inizialmente prevista”, ma ha invitato “le autorità competenti a tenerle il prima possibile” – ossia non accetta il 15 dicembre, ma è “impossibile” votare il domenica 25 febbraio.

Cosa farà il presidente? Sall cercava un terzo mandato, e senza la possibilità di guidare il Paese ha cercato di spianare la strada a una sua successione a suon di repressione (i suoi oppositori sono stati in più occasioni arrestati nei mesi scorsi con accuse di insurrezione o pretestuose). Secondo i critici, arrivato a ridosso del voto ha percepito che il suo candidato (il primo ministro in carica) non avrebbe avuto una vittoria sicura, e allora ha spostato le elezioni per prendere tempo e aver dieci mesi in più di governo e campagna elettorale — forse addirittura sostituire il candidato.

Le critiche scoppiate per lo slittamento del voto sono frutto di un risentimento già esistente: Salò ha prodotto politiche che molti giovani senegalesi non hanno visto come efficaci nel fornire loro posti di lavoro, e molti hanno cercato rotte di migrazione irregolare verso l’Europa. Il Senegal ha problemi di istruzione, povertà e capitale umano, ed è considerato solo leggermente meglio dei Paesi guidati da giunte militari nel Sahel (e lì le condizioni sono pessime e prive di sbocchi). Sall nega ogni accusa, rivendica una scelta costituzionalmente corretta. Ma la sua mossa non ha solo messo nel caos il Paese, piuttosto ha ulteriormente danneggiato l’immagine dell’organizzazione che si dovrebbe occupare della stabilità in quella articolata regione — i cui effetti si allargano facilmente verso l’Europa in termini di sicurezza (dal terrorismo alle migrazioni, fino ad arrivare agli equilibri con attori rivali e competitivi come la Russia). 

Per dire, quando la scorsa estate il Niger è stato oggetto di un colpo di Stato, Ecowas aveva minacciato un intervento militare che Nigeria e Senegal avrebbero dovuto guidare. Nel frattempo, dopo che Ecowas ha fallito nell’attività di deterrenza e Niamey è rimasta in mano ai golpisti, Niger e Burkina Faso hanno comunicato non solo di abbandonare la Comunità, ma anche la West African Economic and Monetary Union (basata sul franco francese) e stanno pensando a una confederazione alternativa con il Mali.

5864.- Gabon. Colpo di Stato contro la Dinastia Bongo e il neocolonialismo. La Francia di Macron nel panico (F.B.)

Un altro colpo duro alla Françafrique. Vedremo quanto vale il Governo Meloni se riuscirà a sopperire ai disastri della Françafrique, restando a braccetto con Macron e Von der Leyen. Nè con questa Unione europea né con la Francia, il nostro Nuovo Piano Mattei prenderà forma e sostanza e, nemmeno, obbedendo ai diktat di Washington. Non dovranno essere Cina e Russia a dettare i tempi.

Dal FarodiRoma, 30/08/2023

Alti ufficiali della Guardia Repubblicana, Gendarmeria ed Esercito Nazionale alle prime ore di oggi, mercoledì 30 agosto hanno annunciato alla televisione nazionale di aver “posto fine alla Dinastia Bongo”, che dura dal 1967 con Bongo Padre: Omar Bongo Ondimba che nel 2009 passò il “regno” al figlio Ali Bong Obdimba. Questi alti ufficiali, informano che hanno creato un governo transitorio: il Comitato per la Transizione e il Ripristino delle Istituzioni – CTRI. La famiglia Bongo è lo strumento della Francia per governare il ricco e strategico Paese dell’Africa Occidentale. La storia dei Bongo è costernata di colossali furti, corruzione, brutali violazioni dei diritti umani e grandi affari con gli imprenditori francesi. Il Gabon era il giardino dietro casa di Parigi.

Cosa è veramente successo in Gabon? Come è possibile che una Dinastia con pieno appoggio militare, economico e politico della Francia, possa crollare in meno di 24 ore dopo 56 anni di brutale e incontrastato regno? Le scarne e parziali notizie scritte dai “bianchi” e forniteci dai media occidentali non offrono risposte adeguate a queste cruciali domande. Quindi rivolgiamo l’attenzione ai media africani, soprattutto a quelli gabonesi.

Gabon Info341 ci informa che il golpe è avvenuto tra la notte del 29 e 30 agosto subito dopo l’annuncio della Commissione Elettorale della vittoria di Ali Bongo alle presidenziali svoltesi sabato 26 agosto. Secondo la Commissione Bongo aveva ricevuto il 64,27% dei voti contro il 30,77% del suo principale rivale Albert Ondo Ossa. I risultati ufficiali sono stati dati nel cuore della notte, alle 3.30 (2.30 GMT), dalla televisione di Stato senza che fosse stato fatto alcun annuncio in anticipo dell’evento.

A seguito delle denunce da parte del leader dell’opposizione Ondo Ossa di pesanti frodi elettorali la Dinastia Bongo aveva decretato il coprifuoco e bloccate la connessione internet e linee telefoniche, per scongiurare la diffusione di “notizie false” e di “violenze”. Da sabato sera a martedì la Direzione Generale della Contro Insorgenza e della Sicurezza Militare – DGCISM (la guardia pretoriana della Famiglia Bongo formata da elementi dell’etnia dei Bongo) aveva arrestato oltre 150 leader e simpatizzanti dell’opposizione tra cui il porta parola della piattaforma Alternance2023, Francky Meboon.

E’ parere condiviso da tutti i media gabonesi che il golpe sia stato il frutto di un accordo tra gli ufficiali delle Forze Armate e il leader dell’opposizione Albert Ondo Ossa (che avrebbe riportato la vittoria nelle elezioni, negata dalla Dinastia Bongo). Ondo Ossaa aveva denunciato “una frode orchestrata dal campo Bongo” due ore prima della chiusura delle votazioni di sabato, rivendicando la vittoria. Lunedì il suo schieramento aveva esortato il dittatore Ali Bongo ad “organizzare, senza spargimento di sangue, il trasferimento del potere”.

Gabon Media Time e Gabon24 TV illustrano in modo chiaro le prime decisioni del Comitato per la Transizione e il Ripristino delle Istituzioni – CTRI. Frontiere chiuse fino a nuovo avviso. Elezioni annullate. Scioglimento di tutte le istituzioni della Repubblica. Gabon 1ere TV (la rete nazionale gabonese) e il quotidiano GabonActu stamattina alle ore 10:30 (09:30 GMT) annunciano l’irreversibilità del colpo di Stato affermando che il dittatore Ali Bongo è stato arrestato e posto su residenza sorvegliata.

Le reazioni della Francia e della NATO 

Al momento l’Eliseo (impegnato nel braccio di ferro con il nuovo governo del Niger) non si è ancora ufficialmente espresso, ma i principali media francesi pongono l’accento sulla vittoria elettorale di Ali Bongo senza accennare alle palesi frodi compiute. Una tattica mediatica per raffigurare il dittatore come un “legittimo e democratico” Capo di Stato. Evitano accuratamente di trasmettere le immagini del sostegno di massa ai golpisti da parte della popolazione gabonese che ha organizzato decine di manifestazioni di gioia nella capitale e nelle principali città del Paese.

I gabonesi sono con i golpisti, l’Unione europea è con la Francia e questa è con la Dinastia Bongo. Putin ha gioco facile. Foto da IlFarodiRoma del 31 agosto 2023.

La NATO e i ministri della difesa della UE si riuniranno in emergenza per discutere della situazione in Gabon, riferisce il capo della politica estera dell’Unione Europea, Josep Borrell, noto per il suo incondizionato appoggio al regime neonazista ucraino.

“Se il golpe in Gabon fosse confermato, si tratterebbe di un altro colpo di stato militare che aumenterebbe l’instabilità nell’intera regione. L’intera area, a cominciare dalla Repubblica Centrafricana, poi dal Mali, poi dal Burkina Faso, ora dal Niger, forse dal Gabon, si trova in una situazione molto difficile e certamente i ministri devono riflettere profondamente su cosa sta succedendo lì e su come possiamo migliorare la nostra politica nei confronti di questi paesi”, ha detto Borrell parlando ad una riunione dei ministri della Difesa dell’UE a Toledo, in Spagna.

Quali conseguenze per la Francia? Il Colpo di Stato in Gabon, avviene un mese dopo quello in Niger. Considerando che il Ciad sta addottando una politica ambigua che tende a sganciarsi dalla sfera di influenza francese, il golpe del Gabon rappresenta un grave avvenimento che può spingere altre colonie francesi a ribellarsi: Benin, Costa d’Avorio, Mauritania, Senegal, Togo. 

Nel caso specifico del Gabon la Francia da 56 anni detiene il controllo assoluto dell’economia del Paese tramite la Dinastia Bongo. La Total controlla la maggioranza della produzione petrolifera che rappresenta il 53% del PIL, 79% dei proventi delle esportazioni; risorse minerarie, magnesio in testa, sono gestite dalla società Comilog, controllata al 66% dalla società francese Rougier; la multinazionale francese della logistica, Ballorè gestisce i principali porti gabonesi.

Come in Niger e in altre colonia africane, anche in Gabon, il colonialismo francese ha effetti nefasti sulla popolazione e sullo sviluppo nazionale. Il Paese è vittima degli effetti perversi dei proventi petroliferi e minerari che sono ad esclusivo vantaggio della Famiglia Bongo e della Francia. Questo impedisce che le immense riserve petrolifere e minerarie siano usate per sviluppare il Paese, migliorare l’istruzione, la sanità, creare un tessuto industriale autoctono. Con una popolazione di 2,25 milioni di persone il Il 30% dei gabonesi vive sotto la soglia della povertà mentre il 40% della popolazione di età compresa tra 15 e 24 anni è senza lavoro. il Gabon è un Paese povero, tragicamente privo di manodopera qualificato e con una palese carenza di sovranità.

Al momento è ancora presto per comprendere le conseguenze di questo golpe sulla Francia e sui suoi “possedimenti africani d’oltre mare”. Si può solo notare che Ballorè ha sospeso le sue operazioni presso il principale porto del Gabon a Libreville e che la la società mineraria francese Eramet ha annunciato la sospensione delle operazioni in Gabon.

L’esercito aveva tentato di rovesciare il dittatore Ali Bongo nel 2009 tramite un tentativo di colpo di Stato che fu sventato grazie ai servizi di Intelligence della Francia. Quattro Generali golpisti furono arrestati mentre un quinto riuscì a scappare all’estero. Il Golpe di ieri sera ha colto di sopresa sia la Famiglia Bongo che la Francia.

Ecco la traduzione integrale del comunicato dei Generali golpisti gabonesi trasmesso sulla TV nazionale e da AGP (Agenzia di Stampa Gabonese).

“Il nostro bellissimo paese, il Gabon, è sempre stato un’oasi di pace. Oggi questo paese attraversa una grave crisi istituzionale, politica, economica e sociale.
Inoltre le elezioni generali del 26 agosto 2023, non hanno soddisfatto le condizioni per uno scrutinio trasparente, credibile e inclusivo tanto sperato dai gabonesi e dai gabonesi. A ciò si aggiunge una governance irresponsabile e imprevedibile che si traduce in un continuo deterioramento della coesione sociale che rischia di portare il Paese al caos.

Oggi, 30 agosto 2023, le forze di difesa e di sicurezza, riunite nel Comitato per la transizione e il ripristino delle istituzioni (CTRI), a nome del popolo gabonese e garante della protezione delle istituzioni, hanno deciso di difendere la pace ponendo fine al regime in vigore. A tal fine, le elezioni generali del 26 agosto 2023 e i relativi risultati vengono annullati. Le frontiere sono chiuse fino a nuovo avviso. Vengono sciolte tutte le istituzioni della Repubblica, in particolare il governo, il Senato, l’Assemblea nazionale, la Corte costituzionale, il Consiglio economico, sociale e ambientale (CESE), il Centro elettorale gabonese (CGE).
Invitiamo la popolazione, le comunità dei paesi fratelli insediatisi in Gabon e i gabonesi della diaspora alla calma e alla serenità.
Riaffermiamo il nostro attaccamento al rispetto degli impegni del Gabon nei confronti della comunità nazionale e internazionale.
Popolo del Gabon, è finalmente (iniziato) il nostro volo verso la felicità.
Possano Dio e i fantasmi dei nostri antenati benedire il Gabon. Onore e fedeltà alla patria. Vi ringrazio”.

La giunta militare conferma inoltre che il dittatore Ali Bongo è agli arresti domiciliari assieme alla sua famiglia e in compagnia del suo medico personale.
Informa inoltre che sono stati spiccati mandati di arrestri contro vari membri della famiglia Bongo, del governo e del Parlamento accusati di: alto tradimento contro le istituzione dello Stato; furto organizzato e sistematico del denaro pubblico; malveversazione finanziaria internazionale; falso e uso di falso, falsificazione della firma del Presidente della Repubblica; corruzione attiva; traffico di droga…

Fulvio Beltrami 

Nella foto: la popolazione in giubilio saluta i reparti militari dei golpisti che hanno destituito il dittatore Ali Bongo.

5843.- Gianni Alemanno: «Governo Meloni troppo liberista e appiattito sulle politiche Usa»

Tempo quasi scaduto, inutilmente, malgrado anche buone intenzioni di Meloni, come il Nuovo Piano Mattei. Ai primi contatti dovevano e devono seguire fatti, ma Russia, Cina e Turchia stanno occupando gli scranni e vedremo soltanto il loro nuovo colonialismo. Ho visto bandiere russe in Niger, in Senegal. Non ho visto e non vedo nascere nuove aziende africane a partecipazione italiana. Saremmo contenti se riprendessimo l’epopea del lavoro italiano in Etiopia e in Libia. Dal Dolo di Venezia: Siamo in attesa di una politica del fare, più volte annunciata e non di nuovi candidati, che son già troppi. Auguri, intanto. Mario Donnini e tanti veneti.

L’ex sindaco di Roma e ministro Gianni Alemanno spiega le sue critiche al governo Meloni e il suo nuovo progetto politico nell’intervista ai microfoni del DiariodelWeb.it

Da Diariodel Web.it. Pubblicato il 18 Agosto 2023, da Fabrizio Corgnati

Gianni Alemanno (© Fotogramma)

Gianni Alemanno è tornato in campo. A dieci anni esatti dalla conclusione del suo mandato in Campidoglio, l’ex sindaco di Roma e ministro lancia il suo nuovo progetto politico. Per ora è un manifesto, presentato alla convention del Forum dell’indipendenza italiana il mese scorso a Orvieto, ma presto, già in autunno, potrebbe diventare un vero e proprio movimento. Che parte da destra, la sua storica collocazione, ma intende spingersi oltre le politiche dell’attuale governo Meloni, che bolla come deludenti sia sul fronte sociale che su quello geopolitico. Ecco come Alemanno racconta le sue posizioni e le prossime iniziative che ha in programma in quest’intervista che ha rilasciato ai microfoni del DiariodelWeb.it.

5822.- Stallo alla nigerina. Ecco perché nel Sahel tutto tace

Da Formiche.net, di Lorenzo Piccioli | 08/08/2023 

Stallo alla nigerina. Ecco perché nel Sahel tutto tace

Nonostante la scadenza dell’ultimatum, l’Ecowas non ha ancora attuato nessuna azione militare nei confronti dei golpisti che hanno preso il potere a Niamey. E una serie di motivazioni interne e internazionali lasciano pensare che difficilmente lo faranno. Lasciando che sia la diplomazia a ricoprire il ruolo da protagonista

Allo scoccare della mezzanotte tra domenica 6 e lunedì 7 agosto è scaduto l’ultimatum lanciato dall’Ecowas, la comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, nei confronti dei militari che tramite un golpe hanno preso il potere in Niger. Ma, a quarantotto ore di distanza, nessun’azione è stata intrapresa dai Paesi membri dell’organizzazione africana nei confronti degli autori del putsch. Dietro a questo stallo si nascondono non solo una certa debolezza interna dell’Ecowas stesso, ma anche la complessità delle dinamiche e l’instabilità securitaria tanto della regione quanto del Niger stesso.

Innanzitutto vi è la questione della presa sul potere da parte dei golpisti: il governo del Consiglio Nazionale di Salvezza della Patria (così si sono nominati i fedeli del ribelle Omar Tchiani) gode del supporto della Guardia Presidenziale (guidata fino a pochi giorni fa da Tchiani stesso) e dei vertici delle forze di sicurezza nazionali, che nonostante nelle prime ore del coup d’etat avessero minacciato un intervento violento per ristabilire l’ordine hanno in seguito deciso di appoggiare la transizione e di unirsi all’esecutivo; inoltre, una parte della popolazione si è dimostrata favorevole al nuovo esecutivo, come dimostrato dalle manifestazioni nazionaliste e anti-occidentali che hanno avuto luogo nei giorni scorsi. I cittadini che hanno protestato contro la deposizione del presidente eletto Mohamed Bazoum e l’instaurazione del regime militare sono decisamente di meno di quelli del campo avverso, ma hanno comunque dimostrato di esserci. Inoltre, sebbene le gerarchie militari abbiano preso posizione a favore del golpe, non è ancora chiaro se lo stesso sentimento dei vertici sia condiviso anche dai 30.000 soldati che compongono l’apparato di sicurezza nigerino, soldati che sono peraltro stati addestrati da parte delle forze armate italiane e che quindi potrebbero essere in qualche modo più sensibili ai valori liberali.

Nella situazione sociale interna vi è dunque la possibilità di un ritorno alla democrazia senza interferenze esterne. Anzi, un intervento militare rischierebbe soltanto di peggiorare la situazione, risvegliando l’animo nazionalista della popolazione che si schiererebbe a quadrato intorno all’attuale esecutivo. E, anche in caso di successo, la legittimità di un presidente reinstallato al vertice dello Stato da potenze straniere, per quanto precedentemente eletto democraticamente, sarebbe fortemente questionabile. Un fattore, questo, che scoraggia ulteriormente l’Ecowas dal ricorrere all’uso della forza.

A cui se ne aggiungo altri, di carattere più ampio. Come ad esempio la grave situazione securitaria del Paese: il Niger è un Paese afflitto dall’estremismo jihadista, con gruppi che operano sia al confine con la Nigeria che nell’area vicino alla frontiera con il Mali. Un’eventuale offensiva contro il Niger e contro le sue strutture militari offrirebbe a queste organizzazioni terroristiche immense opportunità di proliferazione, creando così una minaccia altrettanto grande (se non di più) rispetto a quella che si cercherebbe di combattere.

A scoraggiare ulteriormente la minacciata operazione militare è la frattura esistente all’interno dell’Ecowas stessa. Una parte dei suoi Stati membri che comprende il Mali, il Burkina Faso e la Guinea, è retta da regimi militari instauratisi tramite colpo di Stato esattamente come quello avvenuto in Niger, e un intervento militare per ristabilire lo status quo ante a Niamey sarebbe soltanto dannoso per la loro legittimità: per questo motivo due degli stati già menzionati in precedenza, ovvero Mali e Burkina Faso, hanno dichiarato che in caso di attacco essi si schiereranno in difesa dell’attuale governo nigerino. Ma anche nei paesi-membri a guida democratica le pressioni interne sono forti: Senegal, Costa d’Avorio e Nigeria (che in questo momento è al suo turno di guida dell’Ecowas) stanno affrontando forti opposizioni interne e disordini come risposta all’aver ventilato l’opzione militare in Niger.

Una situazione cristallizzata dunque, che lascia pochi margini per una soluzione di stampo militare. Ma che offre alcuni spiragli per l’azione diplomatica, purché condotta dai giusti attori. I tentativi di negoziazione portati avanti dall’Ecowas all’indomani del golpe hanno avuto un esito fallimentare, con i membri della giunta militare che si sono rifiutati di incontrare i rappresentanti dell’organizzazione. Non però è da escludere che ulteriori tentativi di contatto possano invece concretizzarsi.

Cosa che invece difficilmente potrebbe accadere con la Francia, considerando come si sono degradati i rapporti tra Niamey e l’ex-potenza coloniale dalla salita al potere dei militari: le accuse reciproche, con Parigi che incolpava Niamey di promuovere le manifestazioni anti-francesi e Niamey che invece tacciava Parigi di voler bombardare il palazzo presidenziale, sono culminate nella denuncia da parte del Consiglio nazionale di salvezza della Patria dell’accordo di cooperazione militare tra Francia e Niger. Un duro colpo per i francesi, che nel 2022 avevano trasformato il Niger nel fulcro del suo sistema di sicurezza nel Sahel in seguito all’evolversi del contesto in Mali e Burkina Faso. Alla luce di ciò, l’Eliseo non rappresenta certo un interlocutore privilegiato.

Al momento, le sponde di contatto che i golpisti sembrano preferire sono Roma e Washington. Tramite un tweet, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha confermato l’esistenza di contatti tra rappresentanti militari italiani ed esponenti della giunta nigerina, suggerendo tra le righe un certo ottimismo nei confronti di questo dialogo. E anche Victoria Nuland, sottosegretario di Stato per gli affari politici nell’amministrazione guidata da Joe Biden, ha avuto un incontro con alcuni rappresentanti dell’esecutivo nigerino in carica, senza però riuscire ad arrivare ad un compromesso. Timidi segnali di un possibile negoziato, che risulterebbe di interesse per tutte le parti coinvolte.

Tanto Niamey che l’Ecowas ed anche i principali attori internazionali sono interessati a mantenere la stabilità nel paese e nella regione. Ma, allo stesso tempo, la permanenza del regime democratico in Niger non può essere in alcun modo oggetto di compromesso, come sottolinea Nuland stessa. Se l’attuale giunta militare si rivelasse disposta ad accettare una transizione democratica garantita da enti terzi (siano essi organizzazioni internazionali o singoli Stati), non è da escludere che l’attuale crisi possa venire risolta con una soluzione negoziale. Che rappresenterebbe probabilmente l’opzione più viabile per uscire da questo impasse.

5809.- Il nostro “Nuovo Piano Mattei” affronta le burrasche dell’Africa

Di associazioneeuropalibera 1° agosto 2023, aggiornato il 2 agosto 2023.

Per l’Italia, è il momento di forzare

Il destino dell’Europa e dell’Africa sono legati assieme. L’Africa, con le sue ricchezze, rischia un nuovo colonialismo. Mano a mano che nuove potenze emergono nella scena mondiale, guardano alle sue ricchezze; ma l’Unione europea non ha un piano per l’Africa e gioca di rimessa e male. Le aspettative per la sicurezza e per gli investimenti dei popoli del Sahel, fino all’Africa sub sahariana, parlano russo o cinese. É giunto il momento per l’Europa di assecondare le aspettative di quei popoli e accompagnare gli investimenti alle politiche della diplomazia. Bruxelles e Washington sembrano condividere il Nuovo Piano Mattei e la politica estera dell’Italia deve condividere il suo attivismo con l’Unione, ma “deve” fare un passo avanti. Come in Ucraina e con la NATO, l’assetto istituzionale anomalo dell’Unione non sovrana sta dimostrandosi non idoneo. Sta al governo italiano dare le carte.

Perché Giorgia Meloni deve restare in Niger: ecco cosa sta accadendo

Da Today.it. Di Fabrizio Gatti, 01 agosto 2023

La settimana in cui Giorgia Meloni riporta con successo l’Italia sulla scena internazionale (dal vertice sul Mediterraneo a Roma alla visita negli Stati Uniti), il colpo di Stato in Niger complica i piani del governo italiano. Ma, nonostante le difficoltà, è estremamente importante mantenere buoni rapporti con la nuova giunta militare. Anche in alternativa a Unione Europea e Francia, che pagano i gravi errori commessi. Vediamo quali sono.

Da anni il Niger fornisce oltre un terzo dell’uranio con cui la Francia produce la sua elettricità: grosso modo un terzo delle città, delle industrie e di tutta l’economia francese è alimentata dal sottosuolo nigerino. Ma ancora oggi soltanto il 18 per cento della popolazione nigerina ha accesso all’energia elettrica (fonte Banca mondiale). Nel 2005 era appena il 7 per cento.

Un militare dell'esercito del Niger al confine con la Libia (foto Fabrizio Gatti)-2

La costruzione di infrastrutture negli ultimi quindici anni è infatti strettamente legata, come accade in gran parte delle ex colonie europee in Africa, agli investimenti cinesi. Una storia esemplare riguarda l’attraversamento nella capitale Niamey del grande fiume Niger, che dà il nome al Paese. In oltre un secolo di presenza francese, dalla seconda metà dell’Ottocento, esisteva fino al 2011 soltanto un ponte a due corsie, talmente strette da essere percorribili lentamente: il Pont Kennedy, finanziato dagli Stati Uniti e aperto nel 1970.

Negli ultimi undici anni Pechino ha invece pagato e costruito due moderni viadotti. Nel 2012 è stato inaugurato il ponte dell’Amicizia Cina-Niger. E nel 2021 il maestoso Pont Seyni Kountché, quattro corsie percorribili anche dai grandi camion.

La Francia come partner

Nell’immaginario popolare l’idea che le democrazie europee abbiano sottratto risorse naturali, e il regime cinese abbia invece migliorato l’economia nigerina, ha quindi il suo fondamento. E accanto alla Cina, negli anni si sono aggiunte negli investimenti Turchia e India. Una strada che anche la Russia è pronta a percorrere, a cominciare dall’invio di forniture alimentari. Questo avrà sicuramente un peso nel consenso al golpe del 26 luglio messo a segno dall’anonimo generale Abdourahamane Tchiani.

Da fonti nigerine consultate da Today.it a Niamey, il colpo di Stato sarebbe comunque una questione interna tra la lobby dell’ex presidente Mahamadou Issoufou, 71 anni, ingegnere minerario un tempo molto vicino alla Francia, e il suo delfino e successore, Mohamed Bazoum, 63 anni. La deposizione del presidente Bazoum, che risulta tuttora agli arresti nella sua residenza, non sarebbe stata quindi organizzata dalla Russia e dalla famigerata compagnia di mercenari russofoni Wagner, non presente ufficialmente (finora) in Niger.

Il gran numero di bandiere russe – apparse durante le manifestazioni davanti al Parlamento e, in parte, all’ambasciata francese – è un segnale preoccupante. Qualcuno quelle bandiere le ha effettivamente distribuite ai manifestanti. Ma, forse, è per ora soltanto un avvertimento dell’intelligence nigerina agli alleati occidentali.

Un camion carico di migranti nel deserto in Niger (foto Fabrizio Gatti)

Il segnale più importante arriva invece dalla tv. Poche ore dopo il golpe, un Airbus da trasporto militare francese ha forzato la chiusura dello spazio aereo decisa dalla giunta militare ed è atterrato a Niamey. Nel successivo comunicato di protesta letto in televisione, il colonnello maggiore Abdramane Amadou, portavoce dell’autoproclamato Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria, si riferisce a Parigi con l’espressione di “partner francesi”. Un messaggio chiaro: il Niger vuole restare, almeno per ora, partner della Francia.

Il generale a scuola in Italia

Da anni il Paese è terra di conquista per i terroristi di Al Qaeda, Boko Haram, ma anche di predoni e criminali comuni. Così come lo sono i vicini Mali e Burkina Faso, dove la parentesi democratica (mal)guidata dall’Europa si è conclusa rispettivamente con i golpe del 2021 e 2022. Ma sotto la presidenza di Mohamed Bazoum, in carica dall’aprile di due anni fa, la situazione in Niger è perfino peggiorata. E da allora la minaccia non riguarda più soltanto i cittadini stranieri che escono da Niamey: assalti armati, rapimenti, omicidi, combattimenti improvvisi con l’esercito regolare colpiscono ogni mese la vita di migliaia di nigerini. Il Paese – venticinque milioni di abitanti tra la Libia e la Nigeria – è anche il crocevia delle principali rotte del Sahara che portano cocaina dal Sud America e migranti verso l’Europa. Migliaia di chilometri di dune e sabbia da sempre al di fuori di ogni controllo.

Il Niger, tra Algeria, Libia e Nigeria

La mancanza di sicurezza è la giustificazione al golpe fornita dal generale Tchiani, 62 anni, comandante della guardia presidenziale che si è autoproclamato alla guida del Paese. Ma dietro di lui nella capitale danno per certa la presenza del generale Salifou Modi, il carismatico ex capo di stato maggiore delle forze armate che, senza dissensi, hanno subito riconosciuto la nuova giunta militare. Sia Tchiani sia Modi sono ufficiali molto vicini al precedente presidente Issoufou, che li aveva nominati. Per Tchiani era imminente la sostituzione. Modi era invece stato già rimosso senza preavviso da Bazoum in aprile.

Un mese prima del suo avvicendamento, Mody era andato in Mali per avviare una cooperazione antiterrorismo con il regime filo russo di Bamako. Al suo posto è stato nominato il generale Abdou Sidikou Issa, addestrato nelle scuole militari in Francia e in Italia. Con l’annunciata rimozione di Tchiani, l’ex presidente Issoufou e il suo fidato generale Mody avrebbero quindi perso qualsiasi controllo diretto sul presidente Bazoum. Così il generale Tchiani si è mosso per primo e ha destituito Bazoum.

Se Putin si prende l’uranio

“Il golpe non è stato fatto dai filorussi – conferma una fonte nigerina che conosce gli uomini al potere a Niamey – ma se come in Mali e in Burkina Faso l’Europa si fa da parte, arriveranno i filorussi”. La ritorsione dell’Unione Europea e, almeno a parole, della Francia di sospendere ogni forma di aiuto e di collaborazione con il Niger, creerebbe il vuoto che Mosca è pronta a colmare con i suoi mercenari. E con gli aiuti alimentari.

Migranti nel deserto in Niger (foto Fabrizio Gatti)

Se io do il grano a te, tu darai l’uranio a me.

Sarebbe l’ennesimo suicidio della strategia europea in Africa che ci priverebbe di un fedelissimo alleato e consegnerebbe alla Cina e alla Russia una pedina in più nel lento accerchiamento dell’Occidente. La severa condanna europea non ha infatti cambiato gli eventi, né ha fermato lo sbarco della Wagner in Mali. Lo stesso potrebbe accadere nel Niger ricco di uranio: nel 2022 sono state estratte 2.020 tonnellate, secondo i dati dell’Associazione nucleare mondiale, e il Paese ha una ulteriore disponibilità di circa 2.500 tonnellate l’anno nel nuovo giacimento di Imouraren. Sono quantità che, unite alla produzione russa di 2.508 tonnellate l’anno, permetterebbero a Vladimir Putin di controllare un terzo delle forniture al mondo, dietro a Kazakistan (21mila tonnellate) e Canada (7.351). Un possibile allarme per la stabilità dei prezzi dell’energia e per tutti i governi occidentali che intendono sostituire l’elettricità da combustibili fossili con nuove centrali nucleari.

L’eventualità sarebbe disastrosa per la Francia e la sua economia. E porterebbe molto probabilmente a un intervento armato di Parigi. Prima che tutto questo accada, l’Italia può ancora contare sull’ottima rete di relazioni costruita nel tempo dagli ambasciatori in Niger, Marco Prencipe ed Emilia Gatto. E mantenere aperti, nonostante tutto, quei canali diplomatici e solidali che oggi Bruxelles minaccia di chiudere. Altrimenti prepariamoci al peggio: con ondate di sbarchi verso l’Italia e gli inevitabili, nuovi aumenti del prezzo dell’energia per il prossimo inverno.

Colpo di stato in Niger, quali rischi per l’Europa?

Proteste di fronte all'Assemblea nazionale dopo il colpo di stato

Da Euronews, di Thomas Bolton  & Gianluca Martucci  •  Ultimo aggiornamento: 01/08/2023

Dai migranti all’uranio fino all’ombra della Russia, il Niger preoccupa l’Occidente, ma le ricadute dipenderanno principalmente da quanto la nuova leadership sarà capace di consolidare il potere 

Il colpo di Stato militare che la scorsa settimana ha spodestato il presidente nigerino Mohamed Bazoum sta preoccupando l’Europa. L’instabilità del Niger non spaventa solo per l’impatto sui flussi migratori, vista la posizione centrale del Paese lungo una delle rotte verso il Mediterraneo più affollate.

Secondo la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom), l’Unione europea importa dal Niger il 25% dell’uranio utile al proprio fabbisogno. La Francia ne ha importato tra il 2005 e il 2020 il 19% di quello utilizzato in patria (secondo la società francese Orano la dipendenza si è abbassata a percentuali comprese tra il 10% e il 15%).

fonte:Euratom
Paesi da cui l’Europa importa uranio ordinati per quota di fabbisogno internofonte:Euratom

Per Parigi il problema è soprattutto economico. Orano, la multinazionale francese che opera nel campo dell’energia controllata in gran parte dallo Stato francese, estrae più della metà dell’uranio presente in Niger. E un recente accordo con Niamey prometteva di aumentare la produzione.  

Il metallo radioattivo è il più utilizzato come combustibile per le centrali nucleari ma anche per il trattamento di alcune tipologie di cancro e nella costruzione di armamenti nucleari.

L’estromissione dell’azienda di stato da parte della nuova leadership taglierebbe i proventi degli affari che Parigi fa grazie all’uranio nigerino. Orano ha comunicato l’intenzione di continuare l’attività estrattiva nonostante la situazione contingente.

Il Niger, un bacino naturale del prezioso minerale

I problemi in campo energetico tuttavia sarebbero trascurabili. Jean-Hervé Jezequel, direttore del “Progetto Sahel” per l’organizzazione no-profit dell’International Crisis Group, spiega che i rischi sono moderati considerando la diversificazione delle forniture di uranio, in cui anche Canada e Kazakhstan giocano un ruolo di primo piano.

“Parliamo di un’interessi importanti, ma non vitali”, ha detto Jezequel.

Le relazioni tra Francia e Unione europea con il Niger

Il vero danno per l’Occidente è rappresentato dall’impegno militare profuso per tutti questi anni. Forte anche della sua posizione centrale il Paese contribuiva fortemente alla sicurezza nell’area. Dal punto di vista militare la Francia ha attualmente 1.500 soldati di stanza in Niger, mentre l’Ue ha fornito 40 milioni di euro per contribuire all’addestramento e all’equipaggiamento delle forze armate del Paese.

Resta aperto l’interrogativo sulla crescita dell’influenza russa. La giunta del generale Abdourahamane Tchiani non ha ancora consolidato il proprio potere. “E un ritorno del presidente Bazoum, sebbene sia auspicato da gran parte della comunità internazionale, compresa la Russia, è impobabile se non c’è un grande consenso interno”, ha aggiunto Jezequel.

In merito alle bandiere russe sempre più frequenti nelle manifestazione pro-golpe, nel suo giudizio l’esperto è cauto. “È probabile che i golpisti stiano cercando altre alleanze internazionali, ma la minaccia potrebbe funzionare anche come azzardo morale per avere più peso nei negoziati per la nascita del nuovo potere costituito”, ha affermato.

Senegal. “Siamo stufi della Francia. Francia, vattene!”: tutta l’Africa inizia a ribellarsi, dopo il Niger anche il Senegal. Tricolori bruciati (Video)

Con il Franco cfa, la Francia ha tirato troppo la corda. Grazie a Macron, l’Africa se n’è infine liberata, ma non del controllo francese. Per altro, la Francia, è stata praticamente invasa.

Da Today.it, Agosto 1, 2023 Rassegne Italia

Le strade del Senegal si riempiono di cittadini in protesta al grido: “Siamo stufi della Francia. Francia, vattene!”. I manifestanti in Senegal, in segno di protesta, bruciano le bandiere francesi utilizzando degli pneumatici. Questa esasperazione arriva in seguito al colpo di Stato in Niger, che ha portato alla destituzione del presidente filofrancese Mohamed Bazoum. Questa situazione ha sollevato molte preoccupazioni riguardo alla possibilità che il Paese dell’Africa occidentale possa essere uno dei prossimi a essere attratto nell’orbita filorussa.