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6119.- Così gli Stati Uniti rafforzano la loro presenza nell’Indo Pacifico

Da Formiche.net, di Ferruccio Michelin, 11/02/2024 – 

Così gli Stati Uniti rafforzano la loro presenza nell’Indo Pacifico

Il Pentagono racconta come procede la Indo-Pacific Strategy a due anni dal lancio, tra cooperazione nel Quad, impegni storici con Giappone, Australia e Corea del Sud, la centralità dell’India e nuove attività con Filippine e Asean

Nel biennio successivo alla pubblicazione della Indo-Pacific Strategy  da parte dell’amministrazione Biden-Harris, il Pentagono ha lavorato come non mai con alleati e partner per promuovere una visione condivisa di una regione libera e aperta. “Le nazioni dell’Indo Pacifico stanno contribuendo a definire la natura stessa dell’ordine internazionale, e gli alleati e i partner degli Stati Uniti in tutto il mondo hanno un interesse nei suoi risultati”, afferma la strategia in un passaggio che è guida per comprendere l’impegno americano nella regione (e non solo: anche quello europeo descritto nell’ultima edizione di “Indo Pacific Salad” nasce e procede secondo certi cardini).

Il Pentagono ha prodotto un “Fact-Sweet”, ossia una scheda informativa per fare il punto delle attività a due anni dal lancio della strategia (lo avevo fatto anche nel 2023, dopo il primo anno). La scheda è prodotta dal dipartimento della Difesa del Paese che sta celebrando l’anniversario, dunque tutto è meno che un’informazione scevra da narrazioni e interessi, tuttavia è molto interessante analizzare i contenuti trattati, i toni usati, la priorità. Il punto chiave è questo: !”Il nostro approccio si ispira e si allinea a quello dei nostri amici più stretti”.

Il primo dei punti salienti analizzati riguarda il vertice che ha dato vita ai “Camp David Principles”, l’accordo con cui i leader di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud si sono impegnati ad approfondire la cooperazione trilaterale di difesa (e guardano a successivi segmenti di sviluppo). L’incontro è stato un momento fondamentale del 2023, perché Tokyo e Seul, i principali partner indo-pacifici statunitensi, non erano in rapporti amichevoli e il vertice a tre di Camp David potrebbe aver rivoluzionato la storia (per esempio, si apre un meccanismo di condivisione dei dati di allerta missilistica in tempo reale sulla Corea del Nord).

Poi il rilievo viene spostato sul Quad – il sistema di comunicazione strategica tra Stati Uniti, Australia, India e Giappone. Per il Pentagono, sta fornendo una maggiore trasparenza marittima attraverso il Partenariato Indo-Pacifico per la Consapevolezza del Dominio Marittimo (Ipmda) potenziando le capacità dei partner di monitorare le loro acque. Nel  corso dell’anno, probabilmente dopo le elezioni Usa2024, ci sarà un nuovo vertice tra i quattro leader, perché l’intesa è ormai istituzionalizzata e in rapida fase di implementazione.

Il ruolo indiano è prioritario non solo nel Quad. Washington e New Delhi stanno accelerando l’integrazione tra i settori industriali della difesa di entrambi i paesi e il dialogo sulle nuove tecnologie iCET, e gli Stati Uniti stanno sostenendo la modernizzazione della difesa dell’India, anche attraverso la coproduzione di motori per jet da combattimento e veicoli corazzati (obiettivo: rompere la profonda dipendenza indiana dalle armi russe, permettere al Subcontinente di avere una dimensione militare-strategica propria moderna per sostenere il confronto con la Cina).

Da qui, restando su un altro dei lati del Quad, l’Unbreakable Alliance tra gli Stati Uniti e l’Australia viene raccontata come “più forte che mai” e in effetti sta realizzando una serie di iniziative chiave di postura strategica, tra cui l’aumento delle rotazioni di bombardieri e caccia statunitensi e di mezzi navali dell’esercito statunitense, la cooperazione ampliata tra le forze marittime e terrestri, la cooperazione potenziata nello spazio e nella logistica, e il proseguimento degli aggiornamenti delle basi chiave. Ovviamente, non può essere tralasciato l’Aukus (che potrebbe anche essere ampliato).

Ultimo lato, quello nipponico: l’alleanza con Tokyo rimane la pietra angolare della pace e della stabilità nell’Indo Pacifico e gli sforzi degli ultimi due anni si sono concentrati sull’aumento del coordinamento dell’alleanza, sul potenziamento della capacità dell’alleanza di dissuadere e, se necessario, rispondere alle minacce, e sull’ottimizzazione della postura delle forze statunitensi in Giappone basata su concetti operativi migliorati e nuove capacità.

Poi viene dato spazio alle Filippine, con cui gli Stati Uniti nel 2023 hanno compiuto significativi progressi per aumentare l’interoperabilità, accelerare lo sviluppo delle capacità e investire in infrastrutture condivise, tra cui in quattro nuovi siti che rientrano nel’Accordo di Cooperazione per la Difesa Potenziata e attraverso oltre 100 milioni di dollari di nuovi investimenti. Davanti al bullismo geopolitico cinese, Washington ha rilanciato l’accordo di cooperazione sulla difesa con Manila.

Infine, l’attività complessa con l’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico (Asean), un insieme di Paesi molto connesso con la Cina (sia sul piano economico sia culturale) con cui Washington lavora più profondamente che mai, anche attraverso programmi di capacity-building e corsi di formazione guidati dal Pentagono. L’Asean è strategicamente fondamentale, perché sono quei Paesi che pressano per evitare che la regione indo-pacifica diventi soltanto un terreno di scontro tra potenze.

6201.- PIANO MATTEI, AFRICA E INDO PACIFICO

Il Piano Mattei è per l’Occidente soltanto il primo scalino da salire, ma si deve essere forti e uniti, gli italiani per primi. Quanto ci penalizza la guerra alla Federazione Russa?

Da Formiche.net, a cura di Emanuele Rossi, 31 gennaio 2024

I Paesi dell’Indo-Pacifico hanno seguito attentamente gli sviluppi della Conferenza Italia-Africa, che Roma ha ospitato domenica 28 gennaio e lunedì 29. Il cosiddetto “Piano Mattei”, quale programma guida per una serie di progetti italiani nel continente africano, suscita notevole interesse nella regione in quanto l’Africa rappresenta un crocevia politico, diplomatico, economico e culturale-demografico a cui le nazioni indo-pacifiche guardano da tempo.

Narrazione, interesse, attenzione In questo ultimo anno, mi sono trovato in molte occasioni in cui ho potuto constatare direttamente – attraverso conversazioni, eventi, studi – come l’interesse indo-pacifico per l’Africa si abbini anche all’iniziativa italiana. Aspetto già positivo: la narrazione messa in piedi da Roma ha funzionato quanto meno nell’attrarre extra-attenzioni internazionali. Ora la sfida è di implementare questo storytelling con progetti concreti, anche se è plausibile pensare che i risultati arrivino rapidamente. Ma questa è una percezione più chiara al di fuori dell’Italia, dove si è portati a ragionamenti di carattere strategico (dunque a lungo termine). Lo è per esempio nell’Indo Pacifico.

L’importanza dei partner Sarà importante per l’Italia comprendere quali potrebbero essere eventuali partner per strutturare cooperazioni negli ambienti terzi africani. Territori dove tutte le potenze hanno rivolto la loro attenzione. L’Africa, ha sottolineato su France24 Antoine Glaser, esperto del continente dell’Institu Montaigne, “ha il mondo intero nella sua sala d’attesa”.

Qui Pechino Ho cercato le razioni cinesi al Piano Mattei, ma non ci sono (per ora) cose di livello. La Cina è interessante perché ha attualmente un ruolo importante, essendo il primo partner commerciale dell’Africa, anche grazie agli investimenti economici e politici. Pechino muove anche una sua narrazione, che vuole rappresentare il proprio modello di cooperazione come il più efficace e funzionale, mentre critica le attività occidentali (macchiate da post-colonialismo, dice). Bisogna fare i conti con questo substrato culturale e (dis)informativo che si sta creando, spinto anche dalla Russia, dall’Iran e da altri Paesi competitor.

Like-minded… Ma ci sono anche altri attori dell’Indo Pacifico, come India, Giappone, Corea del Sud, Australia, Taiwan, Indonesia e Vietnam, che mostrano un crescente interesse per l’Africa, sviluppando progetti e strategie specifiche. Molti di questi sono indicati sovente come “like-minded”, ossia vedono il mondo con le stesse lenti dell’Italia e dell’Occidente. Sono democrazie, sono aperti al libero mercato, sono meno interessati a rivoluzionare l’ordine mondiale di quanto non sia la Cina. Inciso a proposito di questo dal saggio pubblicato su Foreign Affairs dal direttore della CIA William Burns: “La Cina rimane l’unico rivale degli Stati Uniti [che ha] sia l’intento di rimodellare l’ordine internazionale sia il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per farlo”. Chiuso l’inciso.

…significa buoni partner? Una considerazione che mi ha fatto un parlamentare italiano che segue con estrema attenzione la politica internazionale: “Siamo sicuri che effettivamente quei Paesi like-minded poi intendano la proiezione africana come la intendiamo noi? Siamo sicuri che le direttrici di una cooperazione con loro seguano esattamente i nostri interessi? Che tipo di compromessi siamo disposti ad accettare?”.

Aspettiamo e vedremo Sebbene molti di quei Paesi indicati siano sinceramente interessati a comprendere la strategia italiana in Africa – aspettandosi anche input sui principi, cardini e sviluppi futuri del Piano Mattei (magari anche inviti) – attualmente ottenere informazioni dettagliate da loro su cosa ne pensino è complesso (quanto comprensibile). La sfida principale del Piano Mattei, come mi spiegava Arturo Varvelli (Ecfr), è trasformarlo in un paradigma trainante per i progetti europei, inquadrandolo in qualche modo al contesto più ampio del Global Gateway e renderlo ancora più appetibile agli occhi esterni. La forza finanziaria e politico-diplomatica europea supera notevolmente quella di un singolo Paese come l’Italia, ma l’idea strategica italiana può contribuire in qualche modo a direzionarla, ed è per questo che il progetto diventa attraente – e chiaramente sfidante.

E dunque? Ho pensato che, visto la sovrapposizione di interessi, potesse diventare utile fare un recap rapido (certamente non esaustivo, sicuramente basico e poco analitico) di quali sono obiettivi, attività e visioni di alcuni dei grandi attori dell’Indo Pacifico in Africa. E di farlo tramite studi di valore.

DIARIO DALL’INDO MEDITERRANEO
 . Tra gli appunti, parlando di Africa, ci finisce l’intervista fatta da Giulia Pompili del Foglio al primo ministro dell’eSwaitini, a Roma anche lui per la Conferenza. Russell Dlamini è il premier dell’unico stato africano che riconosce Taiwan: “La nostra politica è non avere nemici”, dice.

. A proposito di interviste, anche quella di Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, al presidente della Somalia, ospite di un evento organizzato nella sede di Fondazione Med-Or è interessantissima in ottica indo-mediterranea. “Nel gioco del Mar Rosso serve un accordo tra Cina e Occidente per garantire la stabilità”, propone Hassan Sheikh Mohammud.

. Rispondendo alle notizie uscite su un “enorme deposito” di armi cinesi nei tunnel di Hamas, il portavoce del ministero della Difesa di Pechino ha detto: “La Cina ha sempre adottato un atteggiamento prudente e responsabile nelle esportazioni di armi”. La notizia è qui, ma vi ricordate di quando l’analista militare Zhang Bin, spiegava come la tecnologia dei missili balistici antinave (ASBM) cinesi abbia raggiunto lo Yemen attraverso l’Iran? Ne avevamo parlato in IPS201223.

. Seul e Riad insieme per un jet di Sesta generazione? Girano voci che alti funzionari dell’Agenzia per lo sviluppo della difesa (Add) e del ministero della Difesa sudcoreani abbiano visitato l’Arabia Saudita per incontri teoricamente top secret di qualche giorno fa. Non è chiaro per ora quanto queste voci siano credibili e concrete, vero che la sfera militare fa parte delle relazioni tra i due Paesi, vero altrettanto che gira disinformazioni; inoltre è possibile che sauditi e sudcoreani parlino di armi ma non di quel genere di armi. Riad e Seul sono comunque interessati a un caccia di ultima generazione (entrambi hanno buttato gli occhi sul Gcap, sebbene con letture diverse).
 

A proposito di Africa, la cui costa orientale è considerata parte dell’Indo Mediterraneo (per lo meno nelle visioni indiane, sposate anche in parte dalla lettura geostrategica delle dinamiche in corso), val la pena fare un passo indietro sulla visita – a metà gennaio – del capo della diplomazia cinese, Wang Yi, in quattro Paesi del continente. Nella foto è in Tunisia, ma è stato anche in Egitto, Togo e Burkina Faso (che fa parte della triade golpista anti-occidentale che ha annunciato di voler uscire dall’associazione Ecowas in questi giorni).

E val la pena ricordare che dal 1991 a oggi, il primo viaggio all’estero del ministro degli Esteri cinese è sempre dedicato, ogni anno, all’Africa. Nel 2024 ci sarà anche il Forum sulla Cooperazione Cina-Africa (quello precedente c’era stato nel 2021 a Dakar, in Senegal, e aveva adottato piani per 2022-2024). Wang sta organizzando l’evento e le partecipazioni. Ne ho parlato sul canale Telegram “Indo Pacific Diary”, che curo più o meno quotidianamente da un paio di anni. Qui invece c’è la lettura del viaggio da parte della stampa egiziana e tunisina.
COSA ALTRO LEGGERE
 
Dicevamo che per rendere tutto più funzionale, questa settimana ho pensato di mettere qualche link ad analisi e studi su ruolo e visioni dei big indo-pacifici in Africa. Questa sezione di approfondimento diventa dunque “Cosa altro leggere”. 

CINA
China in Africa, Council on Foreign Relations; China in Sub-Saharan Africa: Reaching far beyond natural resources,Atlantic Council; An allied strategy for China, Atlantic Council; China-Africa relations, Chatham House: The response to debt distress in Africa and the role of China, Chatham House; Grandi ambizioni, risultati limitati: l’ordine globale secondo la Cina, Ecfr; Il risveglio degli Europei dal sogno della Cina, Ecfr; Valori occidentali, economia cinese? La frammentazione globale, Ecfr.

GIAPPONE
Japan in Africa, strategia pubblica del governo di Tokyo; What Japan and Africa can add to Tokyo International Conference on African Development, East Asia Forum; Japan to boost ties with Africa, with eyes on ChinaJapan TimesJapan’s valuable footprint in Africa, Gis; The Japan-Africa dialogue, Atlantic Council.

INDIA
Africa-India Cooperation Sets Benchmark for Partnership. Africa Center For Strategic Studies; India’s geopolitical rise in context: Regional implications, Atlantic Council; India’s geopolitical rise in context: Regional implications, Brookings Institution; India’s geopolitical rise in context: Regional implications, Orf; India eyes Africa in its quest for superpower status, Institute For Security Studies; India is driving change by working together with AfricaAsia Nikkei.

COREA DEL SUD
South Korea’s Engagement with Africa, Springer (libro); Seoul trains its sights on African relations, African Business; Korea and Africa rally additional finance and technology […], African Development Bank Group; The African Continental Free Trade Area: Opportunities and Challenges, Brookings Institution; South Korea’s Role in Africa’s Development: A New Approach, Orf.

AUSTRALIA
Strengthening Australia’s relationships in Africa through education, Aspi; A strategy for Australia’s engagement with Africa, analisi del gruppo di lavoro del dipartimento Affari Esteri e Commercio Estero del governo australiano; Rethinking Australia’s Approach to Africa, Australian Institute For International Affairs; Australia to achieve membership of an African development, DevPolicy Blog; Australia, New Zealand and the African Union, South Africa Institute For International Affairs.

INDONESIA, VIETNAM, TAIWAN
Indonesia Seeks to Deepen Africa RelationsVoice Of AmericaIndonesia’s Jokowi deepens Global South ties in Africa tour, Asia Nikkei; What Can Africa Learn From the Progress Made by Vietnam?, Tony Blair Institute; Vietnam treasures traditional ties with African countriesVientam PlusTaiwan and Africa: a comprehensive overview of diplomatic recognition and derecognition of the RoC, Ceias; Taiwan’s Africa outreach irks China, Orf.

6052.- Prove di G7 italiano. Tajani e Blinken tra sicurezza e risoluzione umanitaria

Da Formiche.net, di Francesco De Palo, 08/11/2023

Prove di G7 italiano. Tajani e Blinken tra sicurezza e risoluzione umanitaria

Nel documento finale della ministeriale di Tokyo non solo si chiede ai coloni israeliani di evitare atti di violenza “che poi si ritorcerebbero contro Israele stessa”, ma si indica una strategia anche per Cina, Iran e Ucraina

Interferenze straniere a Gaza, convenzione di Vienna, ruolo di Cina e Iran. I ministri degli Esteri del G7 di Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti d’America, fanno il punto sulle guerre in corso e dal vertice di Tokyo, assieme all’Alto Rappresentante dell’Unione Europea, e lanciano un ventaglio di proposte ed azioni. Ma soprattutto il titolare della Farnesina, Antonio Tajani, coglie l’occasione per illustrare al Segretario di Stato americano, Anthony Blinken, le priorità della prossima presidenza del G7. Obiettivo, lavorare insieme per garantire sicurezza a Israele e risolvere la crisi umanitaria a Gaza, partendo da due prospettive: la de-escalation e la soluzione politica 2 popoli 2 Stati.

G7 Italia

Secondo Tajani è tempo che i coloni israeliani non compiano atti di violenza “che poi si ritorcerebbero contro Israele stessa”, passaggio contenuto nel documento finale del G7 dove è scritto che “l’aumento della violenza estremista commessa dai coloni contro i palestinesi è inaccettabile, mina la sicurezza in Cisgiordania e minaccia le prospettive di una pace duratura”.

Con l’occasione il ministro ha annunciato che il prossimo vertice ministeriale Esteri G7 si terrà a Capri dal 17 al 19 aprile 2024 quando, durante la presidenza italiana, verrà coinvolto anche il Brasile come interlocutore per parlare del G20. Ma non è tutto, perché anche Nuova Zelanda ed Australia saranno interessate dal dialogo a trazione italiana, con eventi tematici in Lazio, Calabria ed Abruzzo. Tutti elementi che il vicepremier ha veicolato a Blinken.

Qui Gaza 

Oltre alla condanna degli attacchi terroristici di Hamas, avvenuti un mese fa, due sono i punti sottolineati dalla ministeriale del G7: il diritto di Israele a difendere se stesso e il suo popolo in conformità con il diritto internazionale e il rilascio immediato di tutti gli ostaggi senza precondizioni. Da qui parte il progetto concreto sia per impedire il deterioramento della crisi umanitaria a Gaza, compreso il libero sostegno umanitario ai civili (compresi cibo, acqua, assistenza medica, carburante, alloggi e l’accesso agli operatori umanitari), sia per garantire il rispetto del diritto internazionale. La conferenza internazionale di domani 9 novembre a Parigi sulle questioni umanitarie sarà un’occasione rilevantissima.

Interferenze

I ministri del G7, inoltre, restano profondamente preoccupati per le interferenze straniere, che si concretizzano nella manipolazione delle informazioni con il solo fine di indebolire le democrazie. “Chiediamo a tutti i paesi di rispettare gli obblighi derivanti dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche. Sottolineiamo la necessità di portare avanti tutti gli Obiettivi di sviluppo sostenibile per promuovere la pace e la prosperità per le persone e per il pianeta, come emerge dal vertice sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile del 2023”, osservano.

In questo senso si inseriscono gli impegni sul fronte ucraino, dove resta fermo il sostegno alla lotta dell’Ucraina per la sua indipendenza e sovranità nella consapevolezza che una pace giusta e duratura “non può essere realizzata senza il ritiro immediato, completo e incondizionato delle truppe e dell’equipaggiamento militare russo dal territorio riconosciuto a livello internazionale dell’Ucraina”.

Un passaggio preciso riguarda quella che viene definita “l’irresponsabile retorica nucleare della Russia e il suo annunciato dispiegamento di armi nucleari in Bielorussia”, azioni considerate inaccettabili. Anche per questa ragione e al fine di ridurre le entrate che la Russia ricava dalle sue esportazioni, verrà data corsia preferenziale alla consultazione su energia, metalli e tutti i diamanti non industriali, compresi quelli estratti, lavorati o prodotti in Russia. Il passo successivo riguarda la ricostruzione immediata, che si lega al coinvolgimento dei settori privati G7 nella ripresa economica sostenibile dell’Ucraina.

Indo Pacifico e Cina

​Un’area indopacifica libera e aperta, in grado di essere inclusiva e prospera: nella dichiarazione finale trova spazio il macro tema legato all’indopacifico, al cui interno gravitano la centralità e l’unità dell’Asean e la strategia 2050 del Forum delle Isole del Pacifico per il continente blu del Pacifico. Viene condannato l’accumulo da parte della Corea del Nord dei suoi programmi illegali di armi di distruzione di massa e di missili balistici.

Circa la postura da tenere con il governo di Pechino l’obiettivo è certamente costruire relazioni costruttive e stabili con la Cina, ma esprimendo in modo sincero “le nostre preoccupazioni direttamente alla Cina”. E scrivono: “Non ci stiamo disaccoppiando né ci stiamo rivolgendo verso l’interno. Allo stesso tempo, riconosciamo che la resilienza economica richiede la riduzione dei rischi e la diversificazione. Al fine di consentire relazioni economiche sostenibili con la Cina e rafforzare il sistema commerciale internazionale, continueremo a spingere per garantire condizioni di parità per i nostri lavoratori e le nostre aziende”.

Il riferimento palese è a quelle pratiche messe in atto dalla Cina nel passato (e nel presente) che distorcono l’economia globale, prime fra tutte il trasferimento illegittimo di tecnologia o la divulgazione di dati. Resta alta la sfera di attenzione su Taiwan, Xinjiang e Tibet, dove la situazione dei diritti umani è preoccupante.

Asia e Africa

Infine la macro area che va dal Caucaso all’Asia, fino all’Africa. È di tutta evidenza che si tratta di una fascia di Paesi sempre più strategici, che portano in dote una notevolissima cooperazione regionale che mira a favorire la creazione di opportunità commerciali sempre maggiori. Afghanistan, Nagorno-Karabah, Azerbaigian, Armenia sono alcuni fronti caldi da tenere sotto osservazione, ma prima di ciò i ministri del G7 si rivolgono a Teheran chiedendo di astenersi dal fornire sostegno ad Hamas e agli Hezbollah libanesi. Il tutto all’interno di una riflessione sulla complessità delle attività destabilizzanti dell’Iran, come lo sviluppo di programmi di missili balistici, anche sotto la maschera di veicoli di lancio spaziale, il trasferimento di missili, veicoli aerei senza equipaggio e tecnologie correlate ad attori statali e non statali, così come formazione e finanziamento di attori non statali.

La principale novità relativa al continente nero è l’ingresso dell’Unione Africana (UA) come membro permanente del G20, anticamera alla sua presenza in altri forum internazionali, compreso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. All’orizzonte l’Agenda 2063, prima della quale però andranno gestiti i pericolosi deterioramenti politici, come dimostrano i golpe scoppiati quest’anno.

5712.- Stati Uniti e Cina “vanno alla deriva verso la guerra”: ex presidente di Joint Chiefs

La visita di Antony Blinken a Pechino ha dimostrato l’urgenza di rimodulare i rapporti fra Cina e Stati Uniti, non più nel solo Mare Cinese Meridionale, ma nel mondo e ha detto anche che, dal punto di vista militare, gli Stati Uniti non sarebbero in grado di garantire la sicurezza di Taiwan senza dover ricorrere alle armi nucleari.

Possiamo dedurre che la strategia di Washington di dominare economicamente e militarmente l’Europa e la Federazione russa per poter affrontare la Cina sia stata un fiasco. Già qui, la leadership degli Stati Uniti non garantisce più l’Occidente rispetto alle potenze asiatiche emergenti e questo sarà molto chiaro, innanzitutto, a Nuova Delhi, a Seoul, Camberra e a Tokio.

Urge un cambio di rotta e sovviene la Dichiarazione di Pratica di Mare del 28 maggio 2002 e denominata NATO-Russia Relations: A New Quality  e, oggi, gli elogi commemorativi di Vladimir Putin e della Duma a Silvio Berlusconi assumono nuovamente il significato di una necessaria normalizzazione fra i rapporti della Federazione russa con la NATO e, forse, l’auspicio di una nuova NATO e di una nuova Ue.

Fishermen in a harbor on Pingtan island, opposite Taiwan, in China's southeast Fujian Province on April 9, 2023. - China was conducting a second day of military drills around Taiwan on April 9, in what it has called a "stern warning" to the self-ruled island's government following a meeting between its president and the U.S. House speaker. (Greg Baker/AFP via Getty Images)

Pescatori in un porto sull’isola di Pingtan, di fronte a Taiwan, nella provincia cinese sud-orientale del Fujian, il 9 aprile 2023. – Il 9 aprile la Cina stava conducendo una seconda giornata di esercitazioni militari intorno a Taiwan, in quello che ha definito un “severo governo dell’isola autogovernato, facendo seguito a un incontro tra il suo presidente e il presidente della Camera degli Stati Uniti. (Greg Baker/AFP tramite Getty Images)

Andrew Thornebrooke

Da Epoch Times. Di Andrew Thornebrooke, 21 giugno 2023. Traduzione libera e note di Mario Donnini.

Gli Stati Uniti stanno andando alla deriva in una guerra con il regime comunista cinese che potrebbe sconvolgere l’ordine globale e distruggere le economie di tutto il mondo, secondo l’analisi di due ex leader militari. Un potenziale conflitto tra Stati Uniti e Cina su Taiwan si tradurrebbe in una catastrofe globale, ma è, tuttavia, o sta diventando uno scenario sempre più probabile, secondo l’ex presidente del Joint Chiefs of Staff Mike Mullen.

“Sono preoccupato perché stiamo andando alla deriva verso una guerra”, ha detto Mullen durante un colloquio del 20 giugno con il think tank del Council on Foreign Relations.

Ha aggiunto che “[Taiwan] è un’isola che si trova al centro di quattro delle cinque principali economie del mondo”. “Inoltre, ha detto, dato che Taiwan produce il 90 percento dei semiconduttori avanzati del mondo, utilizzati in tutto, dai camioncini ai missili ipersonici, un conflitto per l’isola “devasterebbe il globo”.

Mullen ha affermato che gli sforzi degli Stati Uniti per scoraggiare un’escalation verso il conflitto nello Stretto di Taiwan “falliscono da molti anni”.

Mullen non dice come gli Stati Uniti intenderebbero scoraggiare un escalation. ndt.

La Cina “sta costruendo un esercito per affrontare gli Stati Uniti”

Il Partito Comunista Cinese (PCC), che governa la Cina come stato a partito unico, afferma che Taiwan fa parte del suo territorio e deve essere unita alla terraferma con ogni mezzo necessario. I funzionari del PCC hanno quindi minacciato di iniziare una guerra per impedire il riconoscimento internazionale dell’indipendenza de facto di Taiwan.

Nonostante ciò, il regime non ha mai controllato nessuna parte dell’isola, che è governata da un governo democraticamente eletto.

Il PCC ha aumentato la sua aggressività sia contro Taiwan che contro gli Stati Uniti negli ultimi anni, inviando spesso aerei da combattimento e navi militari nelle acque e negli spazi aerei vantati da Taiwan per molestare le forze statunitensi e taiwanesi nella regione.

Garantire la continua sicurezza di Taiwan è un “interesse vitale per gli Stati Uniti”, ha affermato Mullen. Scoraggiare un’invasione dell’isola da parte del PCC, tuttavia, richiederà agli Stati Uniti di intraprendere azioni coraggiose contro il regime il prima possibile.

“Chiaramente, la Cina, oggi, è molto più aggressiva, molto più coercitiva dal punto di vista militare, diplomatico, economico e politico”, ha detto Mullen.

“Riequilibrare ciò significa che dovremo compiere passi piuttosto aggressivi che, in un momento di forti tensioni, potrebbero essere interpretati nel modo sbagliato”.

Tale stato di cose accentua ancora più l’instabilità, dato che la leadership militare statunitense ha riferito che il PCC sta sviluppando le sue forze armate per superare il livello delle difese statunitensi nella regione.

Parla l’ammiraglio in pensione Harry Harris

Questo è quanto l’ammiraglio in pensione Harry Harris, che in precedenza era stato comandante del Comando Indo-Pacifico degli Stati Uniti, ha riconosciuto durante l’evento del Council on Foreign Relations.

“Stanno costruendo il loro esercito per affrontare gli Stati Uniti, i nostri militari e quelli dei nostri amici, alleati e partner”, ha detto Harris.

Avendo questo in mente, Harris ha affermato che impedire a poteri come il PCC di divorare governi più piccoli e democratici diventa vitale per prevenire il sovvertimento dell’ordine in tutto il mondo.

Harris non realizza o non vuole accettare che, rispetto a ieri, gli Stati Uniti non hanno la stessa capacità i sostenere il loro ordine mondiale. ndt.

“Se permettiamo a un grande paese autocratico di farsi strada con paesi democratici più piccoli, ad esempio Ucraina e Taiwan, l’ordine mondiale globale come lo conosciamo è finito. Potrebbe fare bene “, ha detto Harris.

“Ci sono 24 milioni di taiwanesi che vogliono vivere la loro vita proprio come facciamo io e te. Non vogliono vivere in un sistema comunista governato da un paese che sta commettendo un genocidio contro il proprio popolo e brutalizzando Hong Kong per portarlo sotto il dominio cinese”.

Tuttavia, ha detto Harris, difendere Taiwan dall’invasione del PCC comporterebbe perdite in vite umane e tesori mai visti dalla seconda guerra mondiale. Con questo in mente, ha detto, gli americani dovrebbero considerare fino a che punto sono disposti a sacrificare per preservare la democrazia.

Il Nuovo Ordine Mondiale sta procedendo ovunque verso lo stato di sorveglianza di modello cinese, una nuova era del controllo sociale e questa non è democrazia. ndt.

“Il costituente più importante è il popolo americano perché sono i tuoi figli e le tue figlie che combatteranno e moriranno per Taiwan se andiamo in guerra contro la Cina”, ha detto Harris.

Hualien Air Force base

Qui, i soldati dell’aeronautica sgombrano la piazzola di un caccia F-16V, armato, durante un’esercitazione alla base dell’aeronautica militare di Hualien nella contea di Hualien, Taiwan, il 17 agosto 2022. (Sam Yeh/AFP tramite Getty Images)

Biden Admin prende tempo, cercando la pace con il PCC

I commenti di Mullen e Harris si collocano sulla scia di un nuovo tentativo dell’amministrazione Biden di stabilizzare i rapporti con un PCC sempre più belligerante.

Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha visitato Pechino durante il fine settimana, dove ha incontrato il leader del PCC Xi Jinping.

Non sono stati raggiunti progressi durante i due giorni del segretario nella Cina comunista, ma il leader del PCC Xi Jinping ha affermato che l’incontro è stato un “progresso” e, secondo quanto riferito, i due hanno convenuto che un conflitto aperto tra le nazioni sarebbe stato catastrofico.

Antony Blinken è tornato da Pechino a mani vuote, ma il suo tentativo ha dimostrato a Xi Jinping che Washington non ha in mano le carte per un intervento tradizionale a favore di Taiwan. Nel contempo, la Cina appaggia le pretese argentine sulle Malvines. Il livello del pericolo nucleare nel mondo si è alzato. ndt.

Blinken è il funzionario statunitense di più alto livello a mettere piede in Cina da quando il presidente Joe Biden è entrato in carica nel 2021 e il primo segretario di stato a visitarlo dal 2018, quando il suo predecessore, Mike Pompeo, ha visitato la Cina per un giorno.

Blinken aveva precedentemente affermato che il suo viaggio in Cina mirava a costruire sulla “discussione produttiva” di Biden e Xi a novembre, quando i due leader si sono incontrati a margine del vertice del G-20 a Bali, in Indonesia.

Tuttavia, il suo viaggio originariamente programmato in Cina a febbraio è stato rinviato in risposta alla scoperta di un pallone di sorveglianza cinese che sorvolava diversi stati, che è stato abbattuto dall’esercito americano.

All’epoca, Blinken ha affermato che l’incidente “ha creato le condizioni che minano lo scopo del viaggio”.

Yang Tao, un alto funzionario del ministero degli Esteri cinese, ha dichiarato dopo i colloqui che la Cina continuerà il suo blackout delle comunicazioni militari fintanto che continueranno le sanzioni statunitensi sulle tecnologie critiche e sui personaggi del PCC.

Alla domanda sui progressi compiuti dalle due parti, Yang ha affermato che la Cina e gli Stati Uniti hanno concordato di prevenire un’ulteriore spirale discendente nelle relazioni. Il ministro degli Esteri cinese, ha aggiunto, visiterà gli Stati Uniti in futuro.

Biden ha detto più tardi, il 19 giugno, che pensa che le relazioni tra i due paesi siano sulla buona strada e ha indicato che sono stati compiuti progressi durante il viaggio di Blinken.

Dopo l’incontro, il massimo diplomatico del PCC, Wang Yi, ha affermato che “la Cina non ha spazio per compromessi o concessioni” sulla questione di Taiwan.

La Cina è entrata in guerra molto tempo fa, ma gli Stati Uniti non se ne sono accorti. Scriveva Grant Newsham su Epoch Times il 17 settembre 2021.

Chinese regime leader Xi Jinping begins a review of troops from a car during a military parade at Tiananmen Square in Beijing on Oct. 1, 2019. (Greg Baker/AFP/Getty Images)

Xi Jinping passa in rivista le truppe durante una parata militare in Tiananmen Square in Beijing il 1° ottobre 2019. (Greg Baker/AFP/Getty Images).


5452.- La nuova strategia russa per paralizzare l’Ucraina

Mentre Xi rafforza il suo potere e prepara le armi, Taiwan avverte il pericolo, Corea, India, Iran e Giappone sono in allerta e gli Stati Uniti sembrano richiudersi a difesa. L’impressione che si ha, da questo angolo di visuale, è che, in Ucraina, la Russia prevarrà sulla Nato e che questa vedrà messa in forse la sua politica di conquista; per chi, poi, sapremo. Ma i popoli chiedono pace e prosperità.

Da La Nuova Bussola Quotidiana, 24-10-2022, di Gianandrea gaiani

L’attacco con droni e missili da crociera sta causando gravi danni a rete elettrica, Internet e trasporti ucraini. Tre gli obiettivi di Mosca: mettere in crisi i rifornimenti delle truppe rivali, impedire a Kiev di esportare parte della sua produzione elettrica e minare il consenso verso Zelensky.

L’attentato al Ponte di Crimea e la nomina del generale Sergei Surovikin alla testa delle forze schierate in Ucraina sta determinando un rapido mutamento nella strategia russa nella guerra in Ucraina che secondo l’ONU ha provocato finora almeno 6.322 vittime e oltre 9 mila feriti tra i civili.

L’attacco, quotidiano e concentrato, condotto con droni-kamikaze e missili da crociera contro le strutture energetiche nell’ultima settimana ha colpito molte regioni mettendone alcune al buio (insieme a oltre 1,5 milioni di persone) e obbligando il governo di Kiev a razionare l’energia elettrica in altre. Particolarmente gravi i danni alla rete a Odessa, Nikolaev e in tutto il sud, dove è paralizzato il trasporto ferroviario che assicura l’afflusso di truppe, mezzi, armi e munizioni al fronte di Kherson e a quello del Donbass.

Kiev lamenta blocchi o difficoltà anche al traffico Internet e ammette di aver perduto il 40 per cento della sua capacità elettrica, elemento che rafforza le pressioni sull’Occidente per ottenere sistemi di difesa aerea. «Continuiamo a lanciare attacchi con armamenti ad alta precisione alle strutture militari e infrastrutturali che influenzano l’efficacia in combattimento delle truppe ucraine», ha detto Surovikin in un’intervista televisiva (a questo link con sottotitoli in italiano).

L’obiettivo strategico di Mosca appare quindi triplice: mettere in crisi il sistema di rifornimenti delle truppe in prima linea, impedire a Kiev di esportare parte della sua produzione elettrica nei Paesi europei già in forte deficit energetico e minare il consenso popolare nei confronti del governo ucraino complicando la vita della popolazione poiché l’assenza o la carenza di energia elettrica condiziona pesantemente anche il pompaggio idrico, il riscaldamento e la rete Internet.

Benché in Europa e USA prevalga la retorica che identifica la causa ucraina con quella della libertà e della democrazia è meglio non dimenticare che Volodymyr Zelensky ha messo a tacere ogni opposizione mettendo fuori legge ben 12 partiti politici e penalizzando ogni dissenso intellettuale o giornalistico con una legge che punisce con il carcere chi esprime valutazioni sul conflitto difformi da quelle ufficiali governative. Un tema – quello del dissenso nei confronti del regime di Kiev – legato anche alla mobilitazione generale, alle gravi perdite in combattimento e alle pessime condizioni di vita, e quasi del tutto ignorato dai media occidentali, ma che potrebbe avere un peso nelle capacità future di Zelensky e del suo governo di gestire il conflitto.

L’Istituto per lo studio della guerra (ISW), think tank statunitense allineato sulle posizioni anti-russe, valuta che Mosca voglia indebolire la volontà degli ucraini di combattere e costringere il governo a impegnare risorse aggiuntive per proteggere i civili e le infrastrutture energetiche, invece di indirizzarle nella controffensiva sui fronti bellici a est e sud. «La campagna russa che prende di mira le infrastrutture energetiche ucraine sta creando una tragedia umanitaria senza alterare in modo significativo la situazione sul campo di battaglia, poiché le interruzioni di corrente combinate con il clima invernale e i danni alle case aumenteranno solo la sofferenza dei civili», scrivono gli esperti dell’istituto americano che sembrano però dimenticare due aspetti. Il primo è che il blocco al sistema energetico ucraino paralizza anche le capacità logistiche e industriali ucraine; il secondo è che bombardamenti mirati esclusivamente su obiettivi civili privi di infrastrutture strategiche vengono effettuati da mesi dall’artiglieria di Kiev sul centro abitato di Donetsk, “capitale” dei secessionisti dell’omonima regione del Donbass.

Inoltre, l’offensiva condotta con droni kamikaze Geran-2 di concezione iraniana e missili da crociera smentisce le ipotesi circa l’imminente esaurimento delle scorte di armi di precisione a lungo raggio russe (ventilata in più occasioni da diverse fonti occidentali fin dall’aprile scorso), evidenziando come Mosca avesse finora cercato di risparmiare agli ucraini la paralisi dei servizi essenziali. Una ulteriore prova che i russi hanno avviato l’“Operazione militare speciale” puntando a trovare rapidamente un accordo per chiudere il conflitto annettendo le quattro regioni interessate dai referendum di fine settembre.

Anche oggi, nonostante le incursioni contro le infrastrutture energetiche, gli attacchi si sviluppano soprattutto di notte per ridurre i rischi di danni collaterali. E il numero di vittime civili indicato da Kiev resta limitato rispetto al numero di ordigni lanciati e risulta in parte imputabile alle ricadute sui centri abitati di armi antiaeree o di armi russe intercettate dalla difesa aerea ucraina.

5389.- La SCO sta diventando sempre di più un polo d’attrazione politico-economico alternativo alle potenze occidentali

Washington è lanciato alla conquista della Russia attraverso l’Ucraina e l’Asia Centrale, mentre l’Asia va rafforzando un diverso assetto politico-economico; ma in Ucraina Washington persegue anche il tracollo economico della Ue. Questo determinerebbe probabilmente una recessione mondiale che favorirebbe la finanza USA e minerebbe anche la crescita dei due giganti asiatici.

Se guardiamo anche all’Artico e alla conseguente perdita di valore del Mediterraneo, siamo sicuri che le nostre élites e i nostri governi siano adeguati e che il nostro leader sia Joe Biden e non Vladimir Putin, oppure, quale disegno sta seguendo Washington?

Il vertice della SCO a Samarcanda tra intese, divergenze e riflessi sull’Europa

Da Analisi Difesa, 20 settembre 2022, di Gianandrea Gaiani

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Nata nel 2001 come organizzazione multinazionale per la sicurezza, la SCO sta diventando sempre di più un polo d’attrazione politico-economico alternativo alle potenze occidentali anche se gli stati che la compongono hanno al loro interno confronti e dissidi non indifferenti.

Oltre a India e Pakistan, acerrimi rivali dalla loro costituzione come stati indipendenti, non si possono dimenticare le tensioni tra Cina e India (almeno in parte in via di risoluzione sul fronte caldo dell’Himalaya) o i recenti scontri di confine tra Tagikistan e Kirghizistan.

L’eccezione della Turchia

La SCO assume quindi un valore crescente sul fronte della cooperazione geopolitica ed economica e non a caso la Turchia rivendica l’obiettivo di aderivi anche se è difficile non notare che è l’unico stato membro della NATO a partecipare al summit di Samarcanda e sarà presto l’unico a far parte di entrambe le organizzazioni.

Un “dettaglio” non irrilevante tenuto conto che Ankara non applica sanzioni alla Russia, vende (non regala) armi all’Ucraina ed entrerà in un’organizzazione per la sicurezza con Cina, Russia e Iran dopo aver acquistato batterie da difesa aerea a lungo raggio S-400 in Russia: il tutto senza che nessuno ne chieda l’uscita dalla NATO.

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A conferma che più della potenza economica (il PIL turco vale un terzo di quello italiano), sovranità, politica estera, di difesa ed energetica autonome e incentrate sugli interessi nazionali dipendono soprattutto dallo spessore e dalla determinazione dei governanti.

Considerazione che trova conferma anche nel “caso” dell’Ungheria, stato membro di NATO e UE (dal peso economico, demografico e militare certo inferiore alla Turchia) il cui governo continua ad acquistare gas, petrolio e persino centrali nucleari da Mosca non applicando sanzioni ma accogliendo oltre mezzo milione di profughi ucraini senza però fornire armi a Kiev. Una manifestazione di piena sovranità nazionale che innervosisce molti in Europa e oltre Atlantico.

Un nuovo palcoscenico per il protagonismo di Ankara

Ankara del resto evidenzia l’autonomia della sua postura puntando anche sul ruolo di mediazione ricoperto nell’attuale crisi ucraina che costituisce “la risposta all’Occidente e soprattutto all’America” come ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan di rientro da Samarcanda insieme ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu (nella foto sotto).

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L’ultimo successo negoziale nel conflitto rivendicato da Ankara, dopo l’accordo sul grano, è rappresentato dalla mediazione a uno scambio di 200 prigionieri di guerra, ha rivelato il presidente turco durante un’intervista all’emittente americana PBS in cui ha anche dichiarato che il presidente russo Vladimir Putin vuole porre fine al conflitto “il prima possibile”.

Erdogan ha sottolineato che si tratta di uno sviluppo importante, un passo in avanti notevole. Ho parlato a lungo con Putin e ho capito che vuole porre fine a questo conflitto il prima possibile. Ho ancora il desiderio di portare allo stesso tavolo Putin e Zelensky, ho voglia di ascoltarli entrambi. Non ci sono riuscito, ma non ho perso la speranza di riuscirci”, ha detto alla tv americana.

La posizione turca, tesa a far terminare al più presto il conflitto in Ucraina, è condivisa anche dall’India (il premier indiano, Narendra Modi, ha detto che “oggi non è il tempo di fare la guerra”) e soprattutto dalla Cina, come è emerso nel colloquio tra Vladimir Putin e Xi Jimping in cui il presidente russo ha ammesso “le preoccupazioni” cinesi pur confermando gli impegni militari assunti con “l’operazione speciale” in Ucraina.

Si rafforza la cooperazione militare russo-cinese

Divergenze enfatizzate in Occidente dove è stato rilevato che la Cina non è disposta a fornire aiuti militari a Mosca e del resto il presidente statunitense Joe Biden, in un’intervista a 60 Minutes, ha detto chiaramente che “non ci sono finora indicazioni” che la Cina abbia inviato armi o aiutato i russi in Ucraina.

Nei giorni scorsi sono stati peraltro rilevati diversi voli di cargo militari cinesi Xian Y-20 (nella foto sotto) all’aeroporto Ssheremetyevo di Mosca ma la natura dei carichi trasportati non è stata rivelata anche se non sono emerse indiscrezioni circa richieste russe a Pechino per armi o munizioni.

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Anzi, meglio ricordare che la Russia continua a esportare molta tecnologia in Cina e che le forze armate di Pechino, oltre ad essere clienti di Mosca, hanno sviluppato molti sistemi d’arma, piattaforme, motori e altre componenti partendo da prodotti russi.

Dopo il summit di Samarcanda i vertici del Consiglio di sicurezza russo e del Politburo del Comitato centrale del Partito comunista cinese si sono incontrati per rafforzare la cooperazione militare e di sicurezza potenziando le esercitazioni congiunte e l’attenzione agli scenari più critici.

Il summit di Nanping, nella provincia cinese del Fujian (forse non a caso di fr8nte a Taiwan) ha visto le delegazioni guidate dal segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolai Patrushev e dal Direttore dell’Ufficio della commissione centrale degli affari esteri,  Yang Jiechi, concordare “un’ulteriore cooperazione tra i vertici militari” con l’obiettivo di mantenere “alto il livello di cooperazione tecnico-militare” si legge in una nota.

Il Consiglio di sicurezza russo ha definito una priorità incondizionata lo sviluppo di “un partenariato strategico con la Cina” basato “su una profonda fiducia reciproca”.

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Anche tenendo conto del pieno sostegno di Mosca alla politica di “una sola Cina” con cui Pechino preme su Taiwan, appare forzato trarre dal confronto tra Putin e XI a Samarcanda la conclusione che sia in atto un progressivo isolamento di Mosca anche in Asia, tenuto conto che il dibattito sulla guerra in Ucraina tra le nazioni aderenti alla SCO va probabilmente interpretato in un’ottica pragmatica alla luce dei diversi interessi in gioco.

L’obiettivo strategico di russi e cinesi resta quello di arginare il sistema unipolare statunitense (che ha inglobato anche un’Europa incapace di assumere il ruolo di soggetto geopolitico) puntando a contrastare la penetrazione occidentale anche con rafforzate intese militari e a potenziare la cooperazione finanziaria e commerciale su modelli basati sulle valute dei paesi della SCO per rafforzare la “de-dollarizzazione” dell’economia globale.

Nuovi equilibri e interessi diversi

Ciò detto non c’è dubbio che la guerra stia determinando nuovi equilibri anche tra Russia e Cina, le principali potenze della SCO.

L’impegno bellico sta sbilanciando la Russia indebolendone impegno e attenzione in Asia Centrale (parte delle truppe schierate in Tagikistan sono state dislocate in Ucraina) anche se Putin ha confermato che in Ucraina “stiamo combattendo solo con una parte delle forze armate”.

Un contesto che sembra favorire l’apertura di nuovi focolai di tensione nell’ex URSS: dagli scontri di confine tra tagiki e kirghizi a quelli tra armeni e azeri fino alle pressioni degli ambienti nazionalisti georgiani per un’azione militare tesa a prendere il controllo dell’Ossezia del Nord protetta dai russi. Segnali inequivocabili di turbolenze che cercano di approfittare dell’impegno russo in Ucraina.

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La Cina conferma la volontà di penetrare non solo economicamente ma anche politicamente e militarmente nelle repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale garantendo la sicurezza da “interventi esterni” (cioè russi) del Kazakhistan, lo stato ex sovietico distintosi più di ogni altro nel mostrare freddezza per l’intervento militare russo contro Kiev al punto da non riconoscere le repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk guidate dai secessionisti ucraini.

Di fatto Pechino sostiene la Russia contro gli Stati Uniti e i loro alleati, percepiti come una minaccia anche dai cinesi, ma questo non significa che le due potenze non abbiano anche interessi divergenti che investono pure la guerra in atto in Ucraina e soprattutto il suo prolungamento con le relative conseguenze macro-economiche.

Se la guerra si protrae l’unica a uscirne sicuramente sconfitta sarà l’Europa, che a causa della crisi energetica rischia tra pochi mesi di non essere più la principale potenza economica mondiale e di vedere drammaticamente depotenziato il suo ruolo di potenza industriale.

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Per i competitor che pagano tutti l’energia molto meno dell’Europa, potrebbero aprirsi spiragli importanti per acquisire nuove quote sui mercati globali ma Cina e India hanno rilevanti interscambi commerciali e investimenti in Europa e rischiano danni non irrilevanti anche tenendo conto che il tracollo economico della Ue determinerebbe con ogni probabilità una recessione mondiale che minerebbe anche la crescita dei due giganti asiatici.

Per questo Nuova Delhi e Pechino premono su Putin per fermare le ostilità, elemento che ingigantisce ulteriormente il ruolo della Turchia, anche se alle aperture di Mosca per un possibile negoziato per ora Kiev non sembra voler rispondere positivamente, puntando forse a ottenere nuovi successi militari.

Del resto il 20 settembre il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha dovuto ammettere che al momento non si vede alcuna prospettiva per risolvere politicamente e diplomaticamente la guerra.

La scommessa del Cremlino

La Russia, al contrario dei suoi partner asiatici, potrebbe avere interesse a proseguire la guerra non solo perché è consapevole che l’Europa non può sopravvivere economicamente senza le ampie forniture di gas russo ma anche perché valuta probabilmente che la crisi energetica farà traballare questo inverno molti governi europei con conseguenze che potrebbero minare la capacità e la volontà di continuare a sostenere con le armi l’Ucraina e la stabilità interna della NATO, con possibili fratture tra gli Stati Uniti e i loro alleati da questa parte dell’Atlantico.

Uno scenario anticipato da Putin il 17 giugno scorso nel discorso tenuto al Forum economico di San Pietroburgo in cui azzardò la previsione di un’Europa che aveva rinunciato alla sua sovranità mettendola nelle mani degli USA e che avrebbe subito a breve crisi energetica, economica e disordini sociali tali da far cadere élites e governi.

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La valutazione strategica di Mosca sembrerebbe quindi puntare sul fatto che l’inverno accentuerà le frizioni tra Stati Uniti e alleati europei, favorite e ingigantite peraltro dalla notizia che gli USA non aumenteranno la produzione energetica per rifornire l’Europa, a corto di gas e che da fine anno rinuncerà ad acquisire petrolio russo, iniziativa che prevedibilmente farò salire alle stelle anche le quotazioni del greggio.

Sul questo fronte non mancano poi già da ora le frizioni interne all’Europa e che colpiscono in modo particolare l’Italia dopo la notizia che la Francia sospenderà le forniture elettriche alla Penisola (che coprono il 5 per cento del nostro fabbisogno), iniziativa che potrebbero presto assumere anche Svizzera e Slovenia.

La Russia sembra quindi avere tutto l’interesse a prendere tempo sui fronti ucraini e non a caso Putin a Samarcanda, dichiarando che “l’operazione militare speciale continuerà”, ha aggiunto che Mosca “non ha fretta di raggiungere i suoi obiettivi, che rimangono inalterati”.

@GianandreaGaian

Foto:  SCO, Presidenza della Federazione Russa e Telegram

5048.- Zbigniew Brzezinski: tre alternative a Putin per quanto riguarda l’Ucraina

Intanto, la NATO provoca e nasconde la mano. Nervi d’acciaio al Centro della Difesa Aerea russo.

Il presidente serbo Vucic ieri ha detto che un aereo caccia della Nato ha seguito mercoledì nello spazio aereo russo non lontano dal confine con la Lettonia, un aereo passeggeri di Air Serbia in volo da Mosca a Belgrado. Una “minaccia all’aviazione civile” che non sarà più tollerata.Nato di quale nazione?

Il nostro punto di vista.

Sono trascorsi quasi otto anni, ma le parole di Zbigniew Brzezinski pronunciate tre anni prima di morire, sono ancora attuali: Ukraine Should Have a Policy Of ‘Non-Involvement With NATO’. Valgono, in prospettiva, per la Russia e per l’Ucraina, ma non accendono abbastanza l’attenzione sull’indebolimento dell’Europa, come conseguenza diretta della politica della NATO. Un’Europa ridotta a insieme di stati satelliti, privi di autonomia, come la Bielorussia rispetto alla Russia. Le sanzioni, per esempio, colpiscono anzitutto i popoli europei, indebolendoli e favorendone il controllo da parte degli Stati Uniti. Ma chi controlla gli Stati Uniti? É una previsione fondata che, entro tre mesi, il 40% delle imprese italiane dovrà tagliare la produzione. Chiediamoci perché la Federazione Russa non possa cercare il suo rango di potenza globale all’interno dello schieramento occidentale e, invece, venga spinta verso la Cina, e non lo vuole. Come ben accennò Brzezinski , davanti alla riconquista della Crimea, le azioni di Putin sono pericolose non solo per l’Occidente, ma alla fine per la stessa Russia; ma perché non chiamarle, anche, “reazioni”, riflettendo sulle nostre di azioni? Non dimentichiamo che la macchina della propaganda è giunta a rendere plausibile il ricorso alle armi nucleari. È possibile restituire al dollaro il ruolo di prima moneta di scambio internazionale attraverso una guerra nucleare: tutto per terra e si riparte da zero? Vogliamo trovare il denominatore comune di queste contraddizioni dell’Occidente, perigliose, a fronte di un confronto con la Cina e, domani, con una Corea unita e con l’India. Il confronto è a tutto campo e già vede favorite le potenze asiatiche. La politica estera europea è a rimorchio di Washington, privi come siamo di un vero Stato confederato e sovrano. Questa assenza di peso politico, fà ‘sì che sia d’obbligo dominarci. La NATO cammina dove e come vuole Washington, priva di una gamba europea e con l’attenzione all’indo-pacifico. Ridicolo, sciocco o come volete, parlare di esercito europeo, di difesa comune. L’unica comunanza è raggiungibile dai gruppi industriali e la vediamo nei loro programmi. Ma il massimo che potremmo realizzare è di mettere sotto comando NATO qualche altro reparto, terrestre, navale o aereo in più. Per dare un valore a come oggi viene percepita l’alleanza da questa parte dell’oceano, potremmo definirla “il meno peggio”. Fedeli al principio “Si vis pace, para bellum” e in conseguenza del riposizionamento USA nell’indo-pacifico, investiamo maggiori risorse nei programmi militari. La Russia, in proporzione, non è da meno. Sono risorse che starebbero meglio nel campo civile. Per esempio, disegnando nel Mediterraneo, cosiddetto allargato, un vero mercato di libero scambio, con solide basi finanziarie di supporto alle PMI delle due sponde. Quando decideremo di fare fronte alla sfida di un Oceano Artico aperto alle rotte commerciali? Siamo giunti alla conclusione. Si deve accettare come denominatore comune e come fattore concausale l’incapacità degli Stati Uniti ad aprire l’Occidente alla Federazione Russa, sostituendo i valori della cooperazione alle ambizioni dei russi di un ritorno al rango di potenza globale. In tutta evidenza, questa cooperazione è stata cercata da Putin e, insieme, dagli europei, ma in ordine sparso. Non è un caso che l’Unione europea sia stata definita una macchina politicamente inutile, capace soltanto e, forse, voluta per impoverire gli stati europei sempre di più. Ecco che, purtroppo in negativo, anche i governi europei, divisi, avranno la loro parte di responsabilità nel futuro dell’Occidente. Non lamentatevi se finisce male: ce la siamo cercata.

Mario

Era il 17 Luglio 2014. Leggete questo vaticinio.

Sono trascorsi più di tre mesi da quando Vladimir Putin ha pronunciato il suo discorso trionfante al parlamento russo. Nel suo discorso, ha esultato in relazione al sequestro militare della Crimea e si è goduto l’orgia di umori sciovinisti. Putin ha chiaramente assaporato questo entusiasmo e difficilmente ha pensato seriamente alle implicazioni strategiche a lungo termine del processo che ha lanciato.

Sono passati tre mesi e, sullo sfondo della continua incertezza sul futuro delle relazioni russo-ucraine, e anche sulla crescita dei costi internazionali per la Russia, Putin affronta tre alternative fondamentali.

1. Può seguire un corso per raggiungere un accordo di compromesso con l’Ucraina, cessando gli attacchi alla sua sovranità e al suo benessere economico. Ciò richiede saggezza e perseveranza da parte della Russia, così come dell’Ucraina e dell’Occidente. Tale soluzione di compromesso dovrebbe prevedere la cessazione degli sforzi russi per destabilizzare l’Ucraina dall’interno, porre fine alla minaccia di un’invasione su larga scala e portare ad una certa comprensione tra l’Est e l’Occidente, in base al quale la Russia accetta tacitamente che l’Ucraina si sta imbarcando in una lunga strada per aderire all’Unione europea. Allo stesso tempo, è necessario affermare chiaramente che l’Ucraina non aspira all’appartenenza alla NATO, e l’Occidente non considera questa possibilità. La Russia non è senza motivo preoccupata per questa prospettiva.

Inoltre, dovrebbe anche essere chiaro che la Russia non spera più che l’Ucraina si unisca all’Unione eurasiatica, che è una copertura molto trasparente per la rinascita di qualcosa che assomiglia all’Unione Sovietica o all’impero zarista. Allo stesso tempo, ciò non dovrebbe interferire con gli scambi commerciali tra Russia e Ucraina, poiché le relazioni commerciali e finanziarie bilaterali sono molto vantaggiose per entrambi i paesi.

La comunità internazionale può confermare il suo sostegno per uscire dalla situazione attuale e tornare a relazioni più normali con la Russia stessa, compresa la revoca delle sanzioni.

2. Putin potrebbe continuare a sostenere un intervento militare scarsamente mascherato, progettato per interrompere il normale corso della vita in alcune parti dell’Ucraina. Se la Russia continuerà a seguire questo corso, è ovvio che l’Occidente dovrà accettare sanzioni a lungo termine e veramente punitive volte a dimostrare le dolorose conseguenze della violazione della sovranità ucraina a Mosca. Con un risultato così sfortunato nell’Europa orientale, due economie potrebbero apparire sull’orlo del collasso: l’ucraino a causa delle azioni distruttive della Russia e di quella russa.

3. Putin potrebbe attaccare l’Ucraina, usando il potenziale militare molto più potente della Russia. Tuttavia, tali azioni provocheranno non solo immediate rappresaglie dall’Occidente, ma possono anche provocare resistenza in Ucraina. Se questa resistenza è stabile e attiva, i membri della NATO cercheranno di sostenere gli ucraini in vari modi, e in questo caso il conflitto per l’aggressore sarà molto costoso.

In questo terzo caso, le conseguenze per il Cremlino saranno le seguenti: ci sarà costante ostilità nei suoi confronti da parte della popolazione ucraina, che conta più di 40 milioni di persone, e la Russia cadrà nell’isolamento economico e politico, minacciando disordini interni.

Ovviamente, la scelta giusta è trovare una formula di compromesso, che dovrebbe includere il non uso della forza da parte della Russia contro l’Ucraina. La questione della Crimea rimarrà per il momento irrisolta, ma ricorderà costantemente che il fanatismo sciovinista non è il miglior punto di partenza per risolvere problemi complessi. Ecco perché le azioni di Putin sono pericolose non solo per l’Occidente, ma alla fine per la stessa Russia.

Zbignev Brzezinski

Ukraine Should Have a Policy Of ‘Non-Involvement With NATO’, Opined Zbigniew Brzezinski

Punto di vista di Jonathan Power, da Indepthnews.net

LUND, Svezia (IDN) — La verità è che l’intero confronto russo-ucraino-occidentale potrebbe essere ampiamente risolto se le parti ucraine e occidentali scrivessero sulla carta che non vogliono vedere l’Ucraina nella NATO. Questa è la questione chiave per la Russia. Ma va scritto. Mosca non si fida più di intese verbali che possono essere infrante, come quando le amministrazioni Reagan e Bush (senior) hanno dato al presidente Mikhail Gorbaciov la netta impressione che gli Stati Uniti non avrebbero approfittato dell’Unione Sovietica ora che la Guerra Fredda era finita, ma lo hanno fatto .

Il presidente Bill Clinton ha provocato provocatoriamente l’espansione della NATO che ora ha raggiunto i confini della Russia. Anche Gorbaciov credeva innocentemente che la Guerra Fredda fosse completamente finita e gli Stati Uniti non avrebbero mai contemplato una mossa del genere. Sulla Crimea, idealmente la Russia dovrebbe accettare un nuovo referendum sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Ma per quanto ne so, l’unità con la Russia è ampiamente accolta tra i Crimea, quindi un po’ di realpolitik da parte dell’Occidente – accantonando la questione – non guasterebbe.

Per quanto riguarda l’enclave dissidente del Donbas, dall’indipendenza dell’Ucraina è stata antiriformista, antioccidentale e filorussa. Lascia che si separi e poi guarda. Il Donbas sta pagando a caro prezzo il suo sforzo di allontanarsi dall’Ucraina: l’80% della sua produzione industriale è caduta e le miniere di carbone, le fabbriche, l’aeroporto e altre infrastrutture sono state gravemente danneggiate.

Lasciamo che la Russia economicamente pressata si faccia carico di questo, oltre a pagare le pensioni, i sussidi sociali e l’acqua e l’elettricità che devono essere importate dall’Ucraina. Importanti pensatori politici strategici negli Stati Uniti hanno chiarito che l’attuale politica occidentale nei confronti della Russia è imperfetta. Il defunto George Kennan, artefice del contenimento della Guerra Fredda, ha avvertito che l’espansione della NATO si tradurrebbe in “una nuova Guerra Fredda, che probabilmente si concluderà con una calda”.

Come ho scoperto a Mosca, durante le mie recenti visite, le dottrine della guerra nuclearevengono rispolverate da un regime che non ha esperienza su come affrontare l’arte del rischio nucleare. Nel suo recente discorso Putin ha apparentemente minacciato il loro utilizzo.

Zbigniew Brzezinski, un ex consigliere presidenziale per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ha detto non molto tempo prima di morire che l’Ucraina dovrebbe avere una politica di “non coinvolgimento con la NATO”, come pratica e ha fatto la Finlandia durante tutti gli anni della Guerra Fredda. La Finlandia ha mantenuto la sua distanza geopolitica dall’Occidente mentre, allo stesso tempo, ha forgiato una forte democrazia e stretti legami economici occidentali.

Brzezinski mi ha detto che la Russia sta cercando di riconquistare il proprio orgoglio nazionale dopo la distruzione dell’URSS. Era ottimista per il futuro, nonostante i difficili problemi posti dall’Ucraina. (Conoscevo Brzezinski così come qualsiasi giornalista.

La mia ultima lunga intervista con lui può essere trovata sulla rivista Prospect.) Henry Kissinger, un ex guerriero della Guerra Fredda, ora l’anziano statista americano emerito, ha scritto in diverse occasioni che “l’Occidente deve capire che, per la Russia, l’Ucraina può non essere mai solo un paese straniero.

La storia russa iniziò con Kievan-Rus. Da lì si diffuse la religione russa. L’Ucraina fa parte della Russia da secoli. La flotta russa del Mar Nero, il mezzo della Russia per proiettare potenza nel Mediterraneo, ha sede a Sebastopoli, in Crimea (con l’accordo di lunga data dell’Ucraina)”.

Kissinger ha detto senza ambiguità: “L’Ucraina non dovrebbe aderire alla NATO”. Anche famosi dissidenti come Aleksandr Solzhenitsyn e Joseph Brodsky hanno insistito sul fatto che l’Ucraina è parte integrante della Russia. In effetti, per 500 anni lo è stato. La sua durata di vita come una moderna nazione indipendente è di soli 21 anni.

Come possono gli Stati Uniti osare predicare una pratica internazionale legale quando essi stessi hanno effettuato un’invasione e un’occupazione non provocate dell’Iraq, hanno combattuto in Afghanistan per due decenni, effettuano centinaia di attacchi letali con droni in tutto il mondo islamico, hanno condotto una campagna di bombardamenti illegali in Serbia, hanno un storia che finì non molto tempo fa di sostenere i dittatori del Terzo Mondo e si ritira dalla giurisdizione della Corte Mondiale quando perde una causa intentata dal Nicaragua per l’estrazione mineraria del suo porto?

La Gran Bretagna ha combattuto più guerre straniere di qualsiasi altra nazione. Secondo gli standard della Carta delle Nazioni Unite, la maggior parte erano illegali. Parliamo subito dell’Ucraina e quindi i pezzi potrebbero benissimo andare a posto. L’invasione russa è illegale e crudele. Ma c’è un barlume di speranza. Il 24 febbraio il presidente ucraino Zelensky ha suggerito di voler parlare con Putin di una forma di neutralità per l’Ucraina. Potrebbe funzionare. Brzezinski, credo, sarebbe stato felice di ascoltare quel suggerimento.

Zelensky avrebbe dovuto dirlo molto tempo fa.

Informazioni sull’autore: Lo scrittore è stato per 17 anni editorialista e commentatore di affari esteri per l’International Herald Tribune, ora il New York Times. Ha anche scritto molte decine di colonne per il New York Times, il Washington Post, il Boston Globe e il Los Angeles Times. È l’europeo che è apparso di più sulle pagine di opinione di questi giornali. Visita il suo sito web: http://www.jonathanpowerjournalist.com [IDN-InDepthNews — 26 febbraio 2022]
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5021.- L’Eurasia fra Stati Uniti e Cina. L’Ucraina verso la spartizione? Di certo, è l’Occidente ad essere nuovamente diviso.

Biden ha aperto all’utilizzo di armi nucleari in circostanze estreme. Grazie al cinismo di Washington i popoli europei rischiano l’olocausto atomico. In nome di che? Ma, mentre l’Europa vede di nuovo la guerra fra i suoi popoli, il conflitto tra Stati Uniti e Cina ha raggiunto livelli critici. Gli Stati Uniti rifiutano di accettare il ruolo di potenza globale della Cina e, tuttavia, per alimentarsi, la macchina industriale, bellica americana non potrebbe fare a meno di un nemico di tale peso. La competizione in atto per i nuovi equilibri mondiali, non sembra prevedere un ruolo di potenza globale per l’Unione europea e nemmeno ottenere la retrocessione a potenza regionale per la Federazione Russa. In un’Occidente diviso, l’economia aperta delle società libere incontrerà difficoltà a competere con quelle dei paesi non democratici, nei quali anche l‘economia è guidata dallo Stato e dove le imprese pubbliche rivestono un ruolo di primo piano. Mentre sono in gioco i valori della civiltà cristiana, l’Europa non può dire di avere la giusta voce in capitolo.

di mario Donnini

Gli europei devono rammaricarsi di questa attività divisiva che la NATO ha svolto nei confronti della Russia.

Attività, chiaramente, svolta per conto di chi controlla gli Stati Uniti (un tempo, d’America). Del resto, è evidente come non si potrebbero, allo stesso tempo, portare avanti sia una leadership americana, o, meglio, del cartello bancario del Nuovo ordine internazionale (citato da Draghi nel discorso alla Camera), sia un Occidente dall’Alaska all’Alaska, che abbia al suo interno la più grande nazione della Terra, in buona parte autonoma finanziariamente rispetto a quell’Ordine. Di più, gli Stati Uniti hanno, sì, determinato lo scioglimento dell’Unione Sovietica, ma non sono stati in grado di controllare e dominare i popoli russi.

La naturale attrazione tra i mercati dell’Unione europea e della Federazione Russa non si è potuta tradurre in un elemento di forza dell’Occidente allargato, principalmente perché L’Unione europea, da parte sua e con la sua natura finanziaria, a rimorchio delle grandi banche e priva di una Costituzione, capace di generare una “sua” politica estera, ha accentuato la debolezza della NATO a guida americana, dimostrando che, nel gioco del gatto col topo, il ruolo riservato agli europei è quello del topo e che è perciò utopico ipotizzare una NATO con una gamba americana ed una europea. Da questa definizione di utopia e dall’esperienza afgana si può ben trarre una previsione di conclusione della NATO, sicuramente come strumento di difesa: ma, poi, esattamente da chi? Complice il benessere raggiunto con la Pax Americana post vittoria nella Seconda guerra mondiale e durante la Guerra fredda, gli Stati europei si sono sottomessi ai burocrati di Bruxelles, senza dubbio con molti vantaggi dal punto di vista finanziario, ma con più importanti – punti di vista, naturalmente – svantaggi dal punto di vista della sovranità e della politica estera. A tutt’oggi, benché sia ben evidente la necessità di un Mediterraneo allargato e di una altrettanta zona di interscambio con l’Europa, gli unici allargamenti cui abbiamo potuto assistere in Mediterraneo sono quelli dell’intraprendente Recep Tayyip Erdoğan, mentre l’Italia, proprio grazie alla NATO, si è vista estromettere praticamente dalla Libia e mantiene per avamposti quelli conquistati dall’ENI.

Dalla complementarità fra i mercati russo ed europei, in particolare, franco, tedesco, italiano, la crescita della Cina come potenza globale e la perdita di potenza degli Stati Uniti è derivata, come soluzione, l’attuale fase di rottura degli equilibri mondiali. Quindi, la ricerca di nuovi equilibri e l’avanzare di altre nuove candidature. Di qui, la guerra, anzi, la più artefatta delle guerre, cui gli Stati Uniti si dicono, a parole, estranei, ma che stanno combattendo – tanto per cambiare – sul suolo europeo, con tutti i mezzi a loro disposizione, armi, diplomazia, finanza, media, meno – per ora – il soldato americano.

Le élites angloamericane della finanza mondiale, intitolatesi Nuovo Ordine Internazionale, sembrano guidare l’attuale (anche quella prima) politica internazionale e si pregiano di definire spregiativamente oligarchi quelle del mondo russo. Il loro obiettivo è la finanza della Federazione Russa, condizione assoluta di autonomia secondo il presidente Putin. Assolutamente, non è stato casuale che, esattamente un mese prima dell’invasione, il 24 gennaio, quindi, di recente, il presidente russo Vladimir Putin abbia preso un’altra importante decisione per il suo Paese: “In ogni caso, ai Rothschild è vietato entrare in territorio russo”: “In ogni caso!”

La Cina e le Coree

L’offensiva pianificata dallo Stato Maggiore dell’Armata russa con una mano sola e con l’altra, quella più pregiata, dietro la schiena, ha dovuto tenere in conto di non offrire alla NATO l’occasione per un colpo di mano risolutivo. Occasione in cui anche la Cina avrebbe avuto un ruolo e su questa possibile convergenza fra Stati Uniti e Cina, i veri nemici, abbiamo altri esempi. Principalmente, ci sembra di vedere un interesse comune alle due potenze nel mantenimento del regime dittatoriale stalinista di Kim Jong-un, a capo della Repubblica Popolare Democratica di Corea (RPDC), confinante con la Cina. Sembra di poter affermare che senza questo dittatore, ufficialmente nemico degli Stati Uniti d’America, la Corea tornerebbe ad essere una e sia come potenziale economico che come potenza nucleare potrebbe surclassare la Repubblica Popolare Cinese. È forse questo che, sottende un legame fra Washington e Pechino e che, finora, ha anche impedito una piena convergenza Cina – Corea del Nord.

Il lancio del missile coreano

Alla luce di queste riflessioni, il lancio recente di un missile balistico intercontinentale coreano nelle acque interne del Giappone può assumere significati interessanti. Il punto di caduta del missile è stato di fronte alle coste della prefettura di Aomori, a soli 170 km a nord ovest dell’arcipelago, quindi, all’interno della ZEE. Il lancio è stato il più potente dal 2017. In risposta al test della Corea del Nord, Seul, ha effettuato, a sua volta, un ciclo di lanci di missili “strategici”, anche da navi ed aerei.

Il missile ha raggiunto un’altezza di 6.000 km, perciò, si tratta di un missile intercontinentale.

Sosteniamo che le famiglie detentrici del potere finanziario e del Nuovo Ordine Internazionale siano eccellenti artefici di politiche finanziarie, ma non altrettanto per quanto concerne l’evoluzione geopolitica dell’Occidente e il mantenimento del suo potere, come noi lo percepiamo.

Vento di guerra

Il lancio Nord-coreano ha chiamato all’attenzione; ma, di più ha acceso l’attenzione la dichiarazione di Kim Yong Un, in un messaggio del 22 marzo (quindi, ieri) indirizzato a Xi Jinping, attraverso l’ambasciatore in Cina, che parla di rafforzare le loro relazioni così da creare un legame che “farà invidia al mondo intero, per portare avanti la causa comune del socialismo con amicizia e unità.”  C’è vento di guerra in questo proposito di una nuova società cino-coreana espresso da Kim Yong Un, che è il leader della Corea del Nord e anche il segretario del Partito dei lavoratori della Corea (WPK). Ecco che il lancio del missile assume il valore di un punto esclamativo apposto a quella dichiarazione.

epa08734533 A photo released by the official North Korean Central News Agency (KCNA) shows North Korean leader Kim Jong-un (R) inspecting guards during a military parade on the occasion of the 75th founding anniversary of the Workers’ Party of Korea, at Kim Il Sung Square in Pyongyang, North Korea, 10 October 2020. EPA/KCNA

Obiettivo Mosca

Si prospettano tempi meno lunghi del previsto nel confronto fra le potenze emergenti dell’emisfero australe e quelle dell’emisfero boreale. La decadenza della supremazia del mondo che chiamiamo Occidentale è il frutto delle due guerre mondiali per la supremazia, condotte, la prima, contro l’espansione degli imperi centrali e, poi la seconda, contro le loro nazioni e contro l’espansione nipponica, la cui vittoria è stata condivisa dai popoli del mare con la Russia e, perciò, ha richiesto, a monito, le stragi di Hiroshima e Nagasaki. Siamo tra quelli che vedono la Russia tra gli obiettivi delle guerre mondiali e non soltanto perché la Germania era uscita dalla Guerra Mondiale con gli scioperi della fame a bordo delle navi da guerra e, tuttavia in pochi anni, armò l’esercito più moderno e potente. Il nazismo, fino all’ultimo giorno di pace e, per certi versi, anche dopo, fu armato dai grandi big della finanza americana con l’obiettivo di invadere l’Unione sovietica. Un obiettivo che, si dice, fosse molto caro a Churchill. La competizione per il dominio del pianeta ha visto due tempi di una unica guerra, e, poi, il terzo di una fredda, vinta per modo di dire e di cui è, perciò, in corso il quarto tempo, inutile, perché tardivo e dannoso. Nessun dubbio che questa guerra, nella quale gli Stati Uniti, per bocca di Victoria Nuland, Bernie Sanders – per citare alcuni -, hanno investito diversi miliardi di dollari, metta in grave pericolo la sicurezza dei popoli europei, che, da alleati, si sono trovati ad essere dominati completamente, dal punto di vista politico, finanziario e militare, come i vassalli. Abbiamo visto l’alleanza atlantica NATO concludere a Berlino la sua pretesa difensività. Quella che sta armando da otto anni l’Ucraina, dove è stata bombardata, è stata definita un esercito di parte (viene chiamata l’esercito privato dei Rothschild), in grado di sorvolare sul diritto internazionale, come sulle competenze sacre dei Parlamenti. Non sembri antiamericanismo quello che vede violati l’art. 11 della Costituzione italiana e l’art. 5 del trattato Nord Atlantico.

Xi Jinping si pone di fronte a Biden come un grande.

Fra Stati Uniti e Cina

Con la Cina fronte al Mare Cinese Meridionale e gli Stati Uniti all’Indo-pacifico, abbiamo assistito alla nascita dei nuovi schieramenti. Di fronte alla crescita delle nuove potenze India e Corea, a Stati Uniti e Cina si è aperta la via di un accordo sul loro ruolo di potenze globali nel futuro. Un accordo con il segno negativo perché prevede due sfere d’influenza separate anziché una cooperazione. Qui, si apprezza il maggior valore di Pechino rispetto a Washington, con la prima che ha lasciata aperta la strada ad un’alleanza programmatica con Pyongyang e la seconda che continua a perseguire la conquista finanziaria di Mosca; ma la forza della Russia poggia sia sulla sua economia, in buona parte autarchica, sia sull’essere una delle più importanti potenze nucleari del mondo, su alcuni vantaggi in una serie di alcuni tipi di armi e, sopratutto, sulla coesione del popolo russo, che trova la massima espressione nelle sue forze armate. I rischi della politica americana sono il passaggio della Russia nello schieramento asiatico e il rifiuto di New Delhi di legarsi a Washington, ma, mentre per la Russia sarà proprio Putin ad evitarlo, per l’India non si può affermare nulla di certo. Prima di condannare senza appello la politica di Washington, dobbiamo chiederci quali altri scenari possano aprirsi e sono tutti di guerra. Due cose, però, appaiono certe: Senza un nemico come la Russia o come la Cina, l’economia americana non sarà in grado di alimentare la sua competizione e, d’ora in avanti, la dottrina Monroe dovrà essere applicata per emisferi.

Quale epilogo in Ucraina

L’approssimarsi del confronto fra a possibile soluzione per uscire dal conflitto: insomma una mediazione che preveda uno Stato fantoccio a Kiev, con il controllo di buona parte dell’Ucraina e, in particolare, di almeno Mariupol, e un altro a Ovest del Paese, libera da basi NATO, con a capo proprio Zelensky. Questo è lo scenario che riteniamo probabile. Restano però gli obiettivi numero uno di questa guerra, che sono la destabilizzazione della Federazione Russa, liberata dal governo scomodo di Putin e la depressione delle economie dell’Europa, strumentali entrambe al controllo dell’Eurasia da parte statunitense. Sarà l’Occidente ad essere nuovamente diviso e non vediamo in questo risultato una vittoria del Nuovo Ordine Internazionale.

di Mario donnini


5020.- La resistenza ucraina, inattesa, nasce a Washington, guarda al futuro e porta il simbolo della NATO

Di Mario Donnini

La fama dell’esercito della Russia è stata per tutta la Guerra Fredda pari a quella delle sue forze di deterrenza. Anche se in Ucraina non abbiamo visto ancora l’armata corazzata e i reparti aerei di prima linea, eravamo in molti a prevedere la rapida liberazione del Donbass e la caduta delle città costiere del Mar Nero. Si è ventilato, nelle prime 24 ore dell’invasione l’intervento delle teste di cuoio francesi a protezione di Zelensky. Un sequestro per evitarne la cattura e peggio. Vero o falso? Comunque, niente vittoria facile dei russi, per ora, ma sciami di missili e razzi forniti e riforniti dalla NATO, di produzione occidentale, se pure di versione superate e, addirittura, di produzione sovietica, giacché Polonia, Cecoloslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria ne facevano parte. Così, sono almeno quattro i fronti: militare, finanziario, diplomatico, mediatico i fronti su cui Putin sta combattendo la sua battaglia per i russofoni del Donbass e, già che ci si trova, per ricostruire una cintura d’influenza e di sicurezza ai confini di questa NATO invadente. 

La Russia di Putin, sta mostrando una apprezzabile capacità di resistenza all’offensiva finanziaria decretata da Washington che dice di non volere entrare nel conflitto che essa stessa ha procurato e che sta alimentando – diciamolo! – mettendo in grave pericolo la sicurezza dei popoli europei, che ha dimostrato di possedere completamente dal punto di vista politico e militare, come suoi vassalli.

Qui, una riflessione sulla Brexit e sul grado di libertà guadagnato da Londra è d’obbligo ed era stato confermato, prima dell’invasione, dall’essersi divisi i compiti fra Washington, nell’Indo-Pacifico e Londra, con dietro le ambizioni folli di Varsavia, verso l’Ucraina. Notiamo ancora come le ambizioni di Londra, Ankara e Varsavia siano la dimostrazione di una NATO che ha visto concludersi a Berlino la sua pretesa difensività, per rivelarsi un esercito di parte (viene chiamata l’esercito privato dei Rothschild), in grado di sorvolare sul diritto internazionale, come sulle competenze sacre dei Parlamenti.

Avremo modo di valutare quanto sia vero che Putin non ha avuto altra chance per non trovarsi le pistole NATO puntate alla tempia e quanto abbia sopravvalutato le sue «valutazioni strategiche, capacità logistiche e di intelligence» e abbia «ampiamente sottovalutato le capacità di resistenza dell’Ucraina e il suo legame con la Russia».

Ci sono fattori ancor più illuminanti da osservare e riguardano la Cina. Primieramente, i rapporti fra la Cina e la Federazione Russa e fra la Cina e gli Stati Uniti d’America. Qui, la Russia di Putin appare come quella di cui viene messo in discussione un futuro di potenza globale, sospinta come è verso l’area asiatica, declassata, perciò, a potenza regionale. Come le Coree, per intenderci, che, a nostro parere, se unite, surclasserebbero – e surclasseranno – Pechino. Non è senza significato il missile balistico lanciato in questi giorni da Hanoi verso il Giappone, a 160 chilometri. Come voler dire: “Ci sono anch’io”. Si può ritenere, infatti, che solo per ora, la Cina rappresenti la potenza asiatica, perché abbiamo abbastanza occhi per l’India e, come detto, per la Corea e non abbiamo dimenticato il Giappone.

L’altro fattore da osservare, che abbiamo anticipato, riguarda sempre la Cina, quindi, i rapporti fra la Cina e gli Stati Uniti d’America e, per capirli, ritorniamo alle previsioni di crescita dell’India e della Corea. L’atteggiamento di Pechino nella guerra ucraina, con una mano tesa verso Mosca e l’altra dietro la schiena, è illuminante. Pare di poter dire che Washington e Pechino si sono accordati sul loro ruolo di potenze globali nel futuro.

Sembra venuto il momento di parlare del non-ruolo dell’Europa e di chiudere il cerchio sul possibile obiettivo di Washington e Pechino: il controllo dell’Eurasia.Perché chi controllerà l’Eurasia, dominerà il mondo e se non la potrà controllare, dovrà distruggerla, chissà se solo economicamente, come stanno facendo Biden e i suoi sicari europei.

Tutto da scrivere e nessuna Terza Guerra Mondiale, quindi, per ora almeno, ma soltanto giochi di posizionamento per il dominio futuro dei due emisferi, sulla pelle degli ucraini, dei soldati russi e degli illusi popoli europei. Naturalmente, questa Ucraina è un’altra guerra combattuta da Washington in Europa.

Parliamone. Mario Donnini

5009.- Ecco come Pompeo ha bombardato l’Ue parlando al German Marshall Fund

Questa ulteriore guerra europea non nasce dalla mente di un pazzo, ma è stata finanziata con 5 miliardi di dollari. Ci porta a ricordare che ci sono almeno due Stati Uniti.

Dopo aver seppellito G.H.W. Bush, Pompeo volò in Germania e dichiarò che dall’anno seguente gli USA avrebbero sostenuto globalmente un nuovo fronte liberista alternativo!

Il testo originale in inglese e, a seguire, la traduzione in italiano.

di  mittdolcino, 14 Marzo 2022, in Analisi e Studi

Che cosa ha detto il Segretario di Stato americano Mike Pompeo intervenuto al German Marshall Fund su Unione europea e organizzazioni internazionali

Intervento letteralmente esplosivo di Mike Pompeo in terra tedesca.

Il papabile futuro candidato alla presidenza americana, vola nella tana del lupo e a Bruxelles presso il German Marshall Fund – consesso assai rappresentativo e non scelto a caso – annuncia che dal prossimo anno Washington sarà capofila di un fronte liberista alternativo di fatto al globalismo, vedasi LINK.

Ossia di un movimento che metta in prima fila gli interessi dei singoli paesi in subordine alle organizzazioni sovranazionali. E tutto questo fregandosene bellamente delle recenti prese di posizione tedesche e francesi su armate europee a difesa dell’EU anche dagli USA di Trump, oltre che delle velleità tedesche di avere la bomba atomica, sebbene in veste EUropea (…).

Questo avviene – altro dato assai indicativo – appena dopo la sepoltura di G.H.W. Bush, di attinenze tedesche. Dunque, è la fine di un’epoca.

“L’Ue sta assicurando che gli interessi dei paesi e dei loro cittadini siano posti prima di quelli dei burocrati qui a Bruxelles?”, ha chiesto e si è chiesto il Segretario di Stato americano.

La ratio indicata da Pompeo è tanto semplice quanto efficace: il livello di benessere raggiunto con la Pax Americana post vittoria nella Seconda guerra mondiale e durante la Guerra fredda è stato impareggiabile per i Paesi alleati. Questo – aggiungo io – vale tanto più per l’Italia, diventata veramente ricca solo grazie al mantello USA ed al grandissimo numero di oriundi in America, oggi alle leve di comando. Proprio come Mike Pompeo (…).

Interessante notare come Pompeo abbia indicato precisamente l’Ue come uno “strumento sorpassato”, assieme a Onu, Fmi e World Bank. In pratica è stata paventata l’esportazione del concetto dell’America First nel mondo, con supporto Usa. E dunque con tutte le sue “strutture operative” a supporto.

Ora Berlino deve scegliere: continuare per la strada vecchia ossia in collaborazione – sebbene chiaramente subordinata – agli Usa o aprire una nuova via di emancipazione europea dai poteri anglosassoni?

Alla fine il dramma tedesco con il Brexit non fu di tipo economico ma squisitamente geostrategico: assieme a Londra a tempo debito sarebbe stato possibile uscire dal giogo Usa; senza Londra a fianco dell’Ue tedesca la faccenda è tremendamente più complessa.

Uscita Londra ecco che l’asse franco-tedesco ha preso il sopravvento, in realtà era ed è il piano B.

Il discorso di Pompeo torna anche nei dettagli diciamo tecnici: il 3.1.2019 il nuovo Senato Usa prenderà potere con una maggioranza di 54 a 46 per i democratici (considerando anche il voto del Vice Presidente in caso di pareggio). Ossia Trump avrà finalmente il controllo di politica estera e Fed, a tutto tondo, senza discussioni.

Parimenti tra il 21.12.2018 e il 1.1.2019 di fatto si attiveranno ordini esecutivi presidenziali formati tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018 in ambito di sicurezza nazionale, che potrebbero portare anche a tribunali militari interni in caso di alto tradimento.

La palla ora è nel campo di Berlino. Proprio come l’Italia, che però non ci pensa nemmeno a lasciare il dominus Usa, anzi ne ospita oggi la stragrande maggioranza delle sue armi strategiche nel Continente Europeo.

In soldoni, il messaggio di Pompeo è stato cristallino, del tipo: a noi non interessa nulla se Berlino vuole emanciparsi, il punto è che se le sue velleità di togliersi dal subordine Usa non verranno corrette radicalmente, gli Usa interverranno. Ed in ogni caso Washington diventerà capofila di movimenti sovranazionali per dare benessere e pace ai popoli di ogni Stato, saltando le istituzioni ad esempio comunitarie.

Discorso esplosivo. Infatti il silenzio è assordante.

Per leggere l’articolo completo clicca qui

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QUI IL VIDEO DELL’INTERVENTO DI POMPEO

ECCO IL TESTO COMPLETO DELL’INTERVENTO AL GERMAN MARSHALL FUND. SEGUE LA TRADUZIONE IN ITALIANO.

SECRETARY POMPEO: Thank you, Ian, for the kind introduction. Good morning to all of you; thank you for joining me here today. It’s wonderful to be in this beautiful place, to get a chance to make a set of remarks about the very work that you do, the issues that confront the Marshall Fund and confront our region as well.
Before I start today with my formal remarks, it would be – I would be enormously remiss if I did not pay a well-deserved tribute to America’s 41st president, George Herbert Walker Bush. He was a – many of you know him. He was an unyielding champion of freedom around the world — first as a fighter pilot in World War II, later as a congressman. He was the ambassador to the United Nations, and then an envoy to China. He then had the same job I had as the director of the CIA – I did it longer than he did. He was then the vice president under Ronald Reagan.

I got to know him some myself. He was a wonderful brother, a father, a grandfather, and a proud American. Indeed, America is the only country he loved more than Texas. (Laughter.)

I actually think that he would be delighted for me to be here today at an institution named after a fellow lover of freedom, George Marshall. And he would have been thrilled to see all of you here, such a large crowd gathered who are dedicated to transatlantic bonds, so many decades after they were first forged.

The men who rebuilt Western civilization after World War II, like my predecessor Secretary Marshall, knew that only strong U.S. leadership, in concert with our friends and allies, could unite the sovereign nations all around the globe.

So we underwrote new institutions to rebuild Europe and Japan, to stabilize currencies, and to facilitate trade. We all co-founded NATO to guarantee security for ourselves and our allies. We entered into treaties to codify Western values of freedom and human rights.

Collectively, we convened multilateral organizations to promote peace and cooperation among states. And we worked hard – indeed, tirelessly – to preserve Western ideals because, as President Trump made clear in his Warsaw address, each of those are worth preserving.

This American leadership allowed us to enjoy the greatest human flourishing in modern history. We won the Cold War. We won the peace. With no small measure of George H. W. Bush’s effort, we reunited Germany. This is the type of leadership that President Trump is boldly reasserting.

After the Cold War ended, we allowed this liberal order to begin to corrode. It failed us in some places, and sometimes it failed you and the rest of the world. Multilateralism has too often become viewed as an end unto itself. The more treaties we sign, the safer we supposedly are. The more bureaucrats we have, the better the job gets done.

Was that ever really true? The central question that we face is that – is the question of whether the system as currently configured, as it exists today, and as the world exists today – does it work? Does it work for all the people of the world?

Today at the United Nations, peacekeeping missions drag on for decades, no closer to peace. The UN’s climate-related treaties are viewed by some nations as simply a vehicle to redistribute wealth. Anti-Israel bias has been institutionalized. Regional powers collude to vote the likes of Cuba and Venezuela onto the Human Rights Council. The UN was founded as an organization that welcomed peace-loving nations. I ask: Today, does it continue to serve its mission faithfully?

In the Western Hemisphere, has enough been done with the Organization of American States to promote its four pillars of democracy, human rights, security, and economic development in a region that includes the likes of Cuba, Venezuela, and Nicaragua?

In Africa, does the African Union advance the mutual interest of its nation-state members?

For the business community, from which I came, consider this: The World Bank and the International Monetary Fund were chartered to help rebuild war-torn territories and promote private investment and growth. Today, these institutions often counsel countries who have mismanaged their economic affairs to impose austerity measures that inhibit growth and crowd out private sector actors.

Here in Brussels, the European Union and its predecessors have delivered a great deal of prosperity to the entire continent. Europe is America’s single largest trading partner, and we benefit enormously from your success. But Brexit – if nothing else – was a political wake-up call. Is the EU ensuring that the interests of countries and their citizens are placed before those of bureaucrats here in Brussels?

These are valid questions. This leads to my next point: Bad actors have exploited our lack of leadership for their own gain. This is the poisoned fruit of American retreat. President Trump is determined to reverse that.

China’s economic development did not lead to an embrace of democracy and regional stability; it led to more political repression and regional provocations. We welcomed China into the liberal order, but never policed its behavior.

China has routinely exploited loopholes in the World Trade Organization rules, imposed market restrictions, forced technology transfers, and stolen intellectual property. And it knows that world opinion is powerless to stop its Orwellian human rights violations.

Iran didn’t join the community of nations after the nuclear deal was inked; it spread its newfound riches to terrorists and to dictators.

Tehran holds multiple American hostages, and Bob Levinson has been missing there for 11 years. Iran has blatantly disregarded UN Security Council resolutions, lied to the International Atomic Energy Agency inspectors about its nuclear program, and evaded UN sanctions. Just this past week, Iran test fired a ballistic missile, in violation of UN Security Council Resolution 2231.

Earlier this year, Tehran used the U.S.-Iran Treaty of Amity to bring baseless claims against the United States before the International Court of Justice – most all of this malign activity during the JCPOA.

Russia. Russia hasn’t embraced Western values of freedom and international cooperation. Rather, it has suppressed opposition voices and invaded the sovereign nations of Georgia and of Ukraine.

Moscow has also deployed a military-grade nerve agent on foreign soil, right here in Europe, in violation of the Chemical Weapons Convention to which it is a party. And as I’ll detail later today, Russia has violated the Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty for many years.

The list goes on. We have to account for the world order of today in order to chart the way forward. It is what America’s National Security Strategy deemed “principled realism.” I like to think of it as “common sense.”

Every nation – every nation – must honestly acknowledge its responsibilities to its citizens and ask if the current international order serves the good of its people as well as it could. And if not, we must ask how we can right it.

This is what President Trump is doing. He is returning the United States to its traditional, central leadership role in the world. He sees the world as it is, not as we wish it to be. He knows that nothing can replace the nation-state as the guarantor of democratic freedoms and national interests. He knows, as George H.W. Bush knew, that a safer world has consistently demanded American courage on the world stage. And when we – and when we all of us ignore our responsibilities to the institutions we’ve formed, others will abuse them.

Critics in places like Iran and China – who really are undermining the international order – are saying the Trump administration is the reason this system is breaking down. They claim America is acting unilaterally instead of multilaterally, as if every kind of multilateral action is by definition desirable. Even our European friends sometimes say we’re not acting in the world’s interest. This is just plain wrong.

Our mission is to reassert our sovereignty, reform the liberal international order, and we want our friends to help us and to exert their sovereignty as well. We aspire to make the international order serve our citizens – not to control them. America intends to lead – now and always.

Under President Trump, we are not abandoning international leadership or our friends in the international system. Indeed, quite the contrary. Just look, as one example, at the historic number of countries which have gotten on board our pressure campaign against North Korea. No other nation in the world could have rallied dozens of nations, from every corner of the world, to impose sanctions on the regime in Pyongyang.

International bodies must help facilitate cooperation that bolsters the security and values of the free world, or they must be reformed or eliminated.

When treaties are broken, the violators must be confronted, and the treaties must be fixed or discarded. Words should mean something.

Our administration is thus lawfully exiting or renegotiating outdated or harmful treaties, trade agreements, and other international arrangements that do not serve our sovereign interests, or the interests of our allies.

We announced our intent to withdraw from the Paris Agreement on climate change, absent better terms for the United States. The current pact would’ve siphoned money from American paychecks and enriched polluters like China.

In America, we’ve found a better solution – we think a better solution for the world. We’ve unleashed our energy companies to innovate and compete, and our carbon emissions have declined dramatically.

We changed course from the Iran deal, because of, among other things, Tehran’s violent and destabilizing activities, which undermined the spirit of the deal and put the safety of American people and our allies at risk. In its place, we are leading our allies to constrain Iran’s revolutionary ambitions and end Iran’s campaigns of global terrorism. And we needn’t a new bureaucracy to do it. We need to continue to develop a coalition which will achieve that outcome which will keep people in the Middle East, in Europe, and the entire world safe from the threat from Iran.

America renegotiated our treaty, NAFTA, to advance the interests of the American worker. President Trump proudly signed the U.S.-Mexico-Canada Agreement at the G20 this past weekend in Buenos Aires, and on Friday will submit it to the Congress, a body accountable to the American people.

The new agreement also includes renegotiation provisions, because no trade agreement is permanently suited to all times.

We have encouraged our G20 partners to reform the WTO, and they took a good first step in Buenos Aires this last week.

I spoke earlier about the World Bank and the IMF. The Trump Administration is working to refocus these institutions on policies that promote economic prosperity, pushing to halt lending to nations that can already access global capital markets – countries like China – and pressing to reduce taxpayer handouts to development banks that are perfectly capable of raising private capital on their own.

We’re also taking leadership, real action to stop rogue international courts, like the International Criminal Court, from trampling on our sovereignty – your sovereignty – and all of our freedoms. The ICC’s Office of the Prosecutor is trying to open an investigation into U.S. personnel in connection with the war in Afghanistan. We will take all necessary steps to protect our people, those of our NATO allies who fight alongside of us inside of Afghanistan from unjust prosecution. Because we know that if it can happen to our people, it can happen to yours too. It is a worthy question: Does the court continue to serve its original intended purpose?

The first two years of the Trump administration demonstrate that President Trump is not undermining these institutions, nor is he abandoning American leadership. Quite the opposite. In the finest traditions of our great democracy, we are rallying the noble nations of the world to build a new liberal order that prevents war and achieves greater prosperity for all.

We’re supporting institutions that we believe can be improved; institutions that work in American interests – and yours – in service of our shared values.

For example, here in Belgium in 1973, banks from 15 countries formed SWIFT to develop common standards for cross-border payments, and it’s now an integral part of our global financial infrastructure.

SWIFT recently disconnected sanctioned Iranian banks from its platform because of the unacceptable risk they pose to a system – to the system as a whole. This is an excellent example of American leadership working alongside an international institution to act responsibly.

Another example: the Proliferation Security Initiative, formed by 11 nations under the Bush administration to stop trafficking in weapons of mass destruction. It has since grown organically to 105 countries and has undoubtedly made the world safer.

And I can’t forget, standing here, one of the most important international institutions of them all – which will continue to thrive with American leadership. My very first trip, within hours of having been sworn in as a secretary of state, I traveled here to visit with our NATO allies. I’ll repeat this morning what I said then – this is an indispensable institution. President Trump wants everyone to pay their fair share so we can deter our enemies and defend people – the people of our countries.

To that end, all NATO allies should work to strengthen what is already the greatest military alliance in all of history.

Never – never – has an alliance ever been so powerful or so peaceful, and our historic ties must continue.

To that end, I’m pleased to announce that I will host my foreign minister colleagues for a meeting in Washington next April, where we will mark NATO’s 70th anniversary.

As my remarks come to a close, I want to repeat what George Marshall told the UN General Assembly back near the time of its formation in 1948. He said, quote, “International organizations cannot take the place of national and personal effort or of local and individual imagination; international action cannot replace self-help.” End of quote.

Sometimes it’s not popular to buck the status quo, to call out that which we all see but sometimes refuse to speak about. But frankly, too much is at stake for all of us in this room today not to do so. This is the reality that President Trump so viscerally understands.

Just as George Marshall’s generation gave life to a new vision for a safe and free world, so we call on you to have the same kind of boldness. Our call is especially urgent – especially urgent in light of the threats we face from powerful countries and actors whose ambition is to reshape the international order in its own illiberal image.

Let’s work together. Let’s work together to preserve the free world so that it continues to serve the interests of the people to whom we each are accountable.

Let’s do so in a way that creates international organizations that are agile, that respect national sovereignty, that deliver on their stated missions, and that create value for the liberal order and for the world.

President Trump understands deeply that when America leads, peace and prosperity almost certainly follow.

He knows that if America and our allies here in Europe don’t lead, others will choose to do so.

America will, as it has always done, continue to work with our allies around the world towards the peaceful, liberal order each citizen of the world deserves.

Thank you for joining me here today. May the Good Lord bless each and every one of you. Thank you. (Applause.)

IL TESTO DELL’INTERVENTO TRADOTTO IN ITALIANO

SEGRETARIO POMPEO: Grazie, Ian, per la gentile introduzione. Buongiorno a tutti voi; grazie per esservi uniti a me qui oggi. È meraviglioso essere in questo bellissimo posto, avere l’opportunità di fare una serie di osservazioni sul lavoro che svolgi, sui problemi che affrontano il Fondo Marshall e la nostra regione.
Prima di iniziare oggi con le mie osservazioni formali, sarebbe – Sarei enormemente negligente se non rendessi un ben meritato tributo al quarantunesimo presidente americano, George Herbert Walker Bush. Era un … molti di voi lo conoscono. È stato un sostenitore inarrestabile della libertà in tutto il mondo – prima come pilota di caccia nella seconda guerra mondiale, poi come membro del Congresso. È stato ambasciatore delle Nazioni Unite e quindi un inviato in Cina. Ha poi avuto lo stesso lavoro che ho avuto io come direttore della CIA – l’ho fatto più a lungo di lui. È stato poi vice presidente sotto Ronald Reagan.

Ho avuto modo di conoscerlo. Era un fratello meraviglioso, un padre, un nonno e un americano orgoglioso. In effetti, l’America è l’unico paese che amava più del Texas. (Risata.)

In realtà penso che sarebbe felice per me per trovarmi oggi in un’istituzione intitolata ad un compagno di libertà, George Marshall. E sarebbe stato entusiasta di vedere tutti voi qui, una folla così numerosa riunita che si è dedicata ai legami transatlantici, così tanti decenni dopo essere stati forgiati per la prima volta.

Gli uomini che ricostruirono la civiltà occidentale dopo la seconda guerra mondiale, come il mio predecessore, il segretario Marshall, sapevano che solo una forte leadership americana, in concerto con i nostri amici e alleati, poteva unire le nazioni sovrane in tutto il mondo.

Quindi abbiamo sottoscritto nuove istituzioni per ricostruire l’Europa e il Giappone, stabilizzare le valute e facilitare il commercio. Tutti noi abbiamo co-fondato la NATO per garantire la sicurezza per noi stessi e per i nostri alleati. Abbiamo stipulato trattati per codificare i valori occidentali di libertà e diritti umani.

Collettivamente, abbiamo convocato organizzazioni multilaterali per promuovere la pace e la cooperazione tra gli stati. E abbiamo lavorato sodo – anzi, instancabilmente – per preservare gli ideali occidentali perché, come il Presidente Trump ha chiarito nel suo discorso a Varsavia, ognuno di questi merita di essere preservato.

Questa leadership americana ci ha permesso di godere del più grande sviluppo umano nella storia moderna. Abbiamo vinto la guerra fredda. Abbiamo ottenuto la pace. Con non poca misura degli sforzi di George H. W. Bush, abbiamo riunito la Germania. Questo è il tipo di leadership che il presidente Trump sta audacemente riaffermando.

Dopo la fine della Guerra Fredda, abbiamo permesso a questo ordine liberale di cominciare a corrodersi. Ci ha deluso in alcuni punti e a volte ha deluso te e il resto del mondo. Il multilateralismo è stato visto troppo spesso come fine a se stesso. Più firmiamo i trattati, più pensiamo di essere al sicuro. Più burocrati abbiamo, migliore sarà il lavoro.

È stato mai veramente così? La questione centrale che dobbiamo affrontare è che – è la domanda se il sistema come attualmente configurato, come esiste oggi, e come il mondo gira oggi – funziona? Funziona per tutte le persone del mondo?

Oggi alle Nazioni Unite, le missioni di mantenimento della pace si trascinano da decenni, non più vicino alla pace. I trattati ONU sul clima sono considerati da alcune nazioni semplicemente come un veicolo per redistribuire la ricchezza. I pregiudizi anti-israeliani sono stati istituzionalizzati. Le potenze regionali entrano in collusione per votare come Cuba e il Venezuela sul Consiglio dei diritti umani. L’ONU è stata fondata come organizzazione che ha accolto le nazioni amanti della pace. Chiedo: oggi continua a servire fedelmente la sua missione?

Nell’emisfero occidentale, è stato fatto abbastanza con l’Organizzazione degli Stati americani per promuovere i suoi quattro pilastri della democrazia, dei diritti umani, della sicurezza e dello sviluppo economico in una regione che comprende persone come Cuba, Venezuela e Nicaragua?

In Africa, l’Unione Africana promuove l’interesse reciproco dei suoi membri dello stato-nazione?

Per la comunità imprenditoriale, da cui provengo, considera questo: La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale sono stati istituiti per aiutare a ricostruire territori devastati dalla guerra e promuovere investimenti e crescita privati. Oggi queste istituzioni consigliano spesso ai paesi che hanno gestito male i loro affari economici di imporre misure di austerità che inibiscono la crescita e spiazzano gli attori del settore privato.

Qui a Bruxelles, l’Unione europea e i suoi predecessori hanno portato una grande prosperità in tutto il continente. L’Europa è il principale partner commerciale dell’America e traiamo enormi benefici dal vostro successo. Ma Brexit – se non altro – è stato un campanello d’allarme politico. L’UE sta assicurando che gli interessi dei paesi e dei loro cittadini siano posti prima di quelli dei burocrati qui a Bruxelles?

Queste sono domande valide. Questo porta al mio prossimo punto: i cattivi attori hanno sfruttato la nostra mancanza di leadership per il loro stesso guadagno. Questo è il frutto avvelenato del ritiro americano. Il presidente Trump è determinato a capovolgerlo.

Lo sviluppo economico della Cina non ha portato ad abbracciare la democrazia e la stabilità regionale; ha provocato più repressione politica e provocazioni regionali. Accogliamo la Cina nell’ordine liberale, ma non controlliamo mai il suo comportamento.

La Cina ha sfruttato abitualmente le scappatoie delle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, ha imposto restrizioni di mercato, trasferimenti di tecnologia forzata e proprietà intellettuale rubate. E sa che l’opinione pubblica mondiale è impotente nel fermare le sue violazioni orwelliane sui diritti umani.

L’Iran non si unì alla comunità delle nazioni dopo che l’accordo nucleare fu firmato; ha diffuso le sue nuove ricchezze ai terroristi e ai dittatori.

Teheran detiene diversi ostaggi americani e Bob Levinson è scomparso da 11 anni. L’Iran ha apertamente disatteso le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU, mentito agli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica riguardo al suo programma nucleare ed eluso le sanzioni ONU. Proprio la scorsa settimana, l’Iran ha testato un missile balistico, in violazione della risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

All’inizio di quest’anno, Teheran ha utilizzato il Trattato di Amity degli Stati Uniti-Iran per presentare rivendicazioni infondate contro gli Stati Uniti di fronte alla Corte internazionale di giustizia – la maggior parte di queste attività maligne durante il JCPOA.

Russia. La Russia non ha abbracciato i valori occidentali di libertà e cooperazione internazionale. Piuttosto, ha soppresso le voci dell’opposizione e ha invaso le nazioni sovrane della Georgia e dell’Ucraina.

Mosca ha anche schierato un agente chimico di grado militare in terra straniera, proprio qui in Europa, in violazione della Convenzione sulle armi chimiche di cui è membro. E come descriverò più tardi oggi, la Russia ha violato il Trattato Intermediate-Range Nuclear Forces per molti anni.

La lista continua. Dobbiamo rendere conto dell’ordine mondiale di oggi per tracciare la strada da seguire. È quello che la strategia di sicurezza nazionale dell’America ha definito “realismo di principio”. Mi piace considerarlo un “senso comune”.

Ogni nazione – ogni nazione – deve riconoscere onestamente le proprie responsabilità ai propri cittadini e chiedere se l’attuale ordine internazionale serve al meglio il bene della sua gente. E se no, dobbiamo chiederci come possiamo farlo.

Questo è ciò che il presidente Trump sta facendo. Sta restituendo agli Stati Uniti il suo ruolo di leadership tradizionale e centrale nel mondo. Vede il mondo così com’è, non come vorremmo che fosse. Sa che nulla può sostituire lo stato-nazione come garante delle libertà democratiche e degli interessi nazionali. Lui sa, come George H.W. Bush sapeva, che un mondo più sicuro ha costantemente richiesto il coraggio americano sulla scena mondiale. E quando noi – e quando tutti noi ignoriamo le nostre responsabilità verso le istituzioni che abbiamo formato, altri ne approfitteranno.

I critici in Iran e in Cina – paesi che stanno davvero minando l’ordine internazionale – stanno dicendo che l’amministrazione Trump è la ragione per cui questo sistema sta crollando. Esigono che l’America agisca unilateralmente anziché multilateralmente, come se ogni tipo di azione multilaterale fosse per definizione vantaggiosa. Persino i nostri amici europei a volte dicono che non stiamo agendo nell’interesse del mondo. Questo è semplicemente sbagliato.

La nostra missione è di riaffermare la nostra sovranità, riformare l’ordine internazionale liberale e vogliamo che i nostri amici ci aiutino e che esercitino anche la loro sovranità. Aspiriamo a rendere l’ordine internazionale al servizio dei nostri cittadini, non a controllarli. L’America intende condurre – ora e sempre.

Sotto il presidente Trump, non stiamo abbandonando la leadership internazionale o i nostri amici nel sistema internazionale. Anzi, al contrario. Basti guardare, ad esempio, al numero storico di paesi coinvolti nella nostra campagna di pressione contro la Corea del Nord. Nessun’altra nazione al mondo avrebbe potuto radunare dozzine di nazioni, da ogni angolo del mondo, per imporre sanzioni al regime di Pyongyang.

Gli organismi internazionali devono contribuire a facilitare la cooperazione che rafforza la sicurezza e i valori del mondo libero, oppure devono essere riformati o eliminati.

Quando i trattati vengono infranti, i trasgressori devono essere affrontati e i trattati devono essere riparati o scartati. Le parole dovrebbero significare qualcosa.

La nostra amministrazione sta quindi uscendo o rinegoziando legalmente trattati obsoleti o dannosi, accordi commerciali e altri accordi internazionali che non servono i nostri interessi sovrani o gli interessi dei nostri alleati.

Abbiamo annunciato la nostra intenzione di recedere dall’accordo di Parigi sul cambiamento climatico, in assenza di termini migliori per gli Stati Uniti. L’attuale patto avrebbe sottratto denaro dagli stipendi americani e arricchito gli inquinatori come la Cina.

In America, abbiamo trovato una soluzione migliore: pensiamo a una soluzione migliore per il mondo. Abbiamo scatenato le nostre società energetiche per innovare e competere e le nostre emissioni di carbonio sono diminuite drasticamente.

Abbiamo cambiato rotta sull’accordo con l’Iran, a causa, tra le altre cose, delle attività violente e destabilizzanti di Teheran, che hanno minato lo spirito dell’accordo e messo a rischio la sicurezza degli americani e dei nostri alleati. Al suo posto, stiamo guidando i nostri alleati per limitare le ambizioni rivoluzionarie dell’Iran e porre fine alle campagne di terrorismo globale dell’Iran. E non abbiamo bisogno di una nuova burocrazia per farlo. Dobbiamo continuare a sviluppare una coalizione che realizzerà quel risultato che manterrà le persone in Medio Oriente, in Europa e nel mondo intero al riparo dalla minaccia iraniana.

L’America ha rinegoziato il nostro trattato, il NAFTA, per promuovere gli interessi del lavoratore americano. Lo scorso fine settimana il presidente Trump ha firmato con orgoglio l’accordo USA-Messico-Canada al G20 a Buenos Aires, e venerdì lo sottoporrà al Congresso, un organismo responsabile nei confronti del popolo americano.

Il nuovo accordo include anche disposizioni sulla rinegoziazione, poiché nessun accordo commerciale è sempre adatto a tutti i tempi.

Abbiamo incoraggiato i nostri partner del G20 a riformare l’OMC, e hanno fatto un buon primo passo a Buenos Aires questa settimana scorsa.

Ho parlato prima della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale. L’amministrazione Trump sta lavorando per riorientare queste istituzioni su politiche che promuovono la prosperità economica, spingendo a fermare i prestiti alle nazioni che possono già accedere ai mercati dei capitali globali – paesi come la Cina – e premendo per ridurre le dispense dei contribuenti alle banche di sviluppo che sono perfettamente in grado di sollevare privati capitale per conto proprio.

Stiamo anche assumendo la guida, una vera azione per fermare i tribunali internazionali canaglia, come la Corte penale internazionale, dal calpestare la nostra sovranità – la vostra sovranità – e tutte le nostre libertà. L’ufficio del procuratore dell’ICC sta cercando di aprire un’indagine sul personale degli Stati Uniti in connessione con la guerra in Afghanistan. Adotteremo tutte le misure necessarie per proteggere il nostro popolo, quelli dei nostri alleati della NATO che combattono a fianco di noi all’interno dell’Afghanistan da un procedimento giudiziario ingiusto. Perché sappiamo che se può succedere al nostro popolo, può succedere anche al tuo. È una domanda degna: la corte continua a servire al suo scopo originale?

I primi due anni dell’amministrazione Trump dimostrano che il presidente Trump non sta minando queste istituzioni, né sta abbandonando la leadership americana. Piuttosto il contrario. Nelle migliori tradizioni della nostra grande democrazia, stiamo radunando le nazioni nobili del mondo per costruire un nuovo ordine liberale che prevenga la guerra e raggiunga una maggiore prosperità per tutti.

Sosteniamo le istituzioni che riteniamo possano essere migliorate; istituzioni che lavorano negli interessi americani – e nei tuoi – al servizio dei nostri valori condivisi.

Ad esempio, qui in Belgio nel 1973, le banche di 15 paesi hanno costituito SWIFT per sviluppare standard comuni per i pagamenti transfrontalieri ed è ora parte integrante della nostra infrastruttura finanziaria globale.

SWIFT ha recentemente disconnesso le banche iraniane sanzionate dalla sua piattaforma a causa del rischio inaccettabile che rappresentano per un sistema – per il sistema nel suo insieme. Questo è un eccellente esempio di leadership americana che lavora al fianco di un’istituzione internazionale per agire responsabilmente.

Un altro esempio: la Proliferation Security Initiative, formata da 11 nazioni sotto l’amministrazione Bush per fermare il traffico di armi di distruzione di massa. Da allora è cresciuto in modo organico in 105 paesi e ha indubbiamente reso il mondo più sicuro.

E non posso dimenticare, stando qui, una delle più importanti istituzioni internazionali  – che continuerà a prosperare con la leadership americana. Il mio primo viaggio, poche ore dopo aver prestato giuramento come segretario di stato, è stato qui per visitare i nostri alleati della NATO. Ripeterò quello che dissi allora, questa è un’istituzione indispensabile. Il presidente Trump vuole che tutti paghino la loro giusta quota per poter scoraggiare i nostri nemici e difendere la gente, la gente dei nostri paesi.

A tal fine, tutti gli alleati della NATO dovrebbero lavorare per rafforzare quella che è già la più grande alleanza militare di tutta la storia.

Mai – mai – un’alleanza è mai stata così potente o così pacifica e i nostri legami storici devono continuare.

A tal fine, sono lieto di annunciare che ospiterò i miei colleghi dei ministri degli esteri per un incontro a Washington il prossimo aprile, in cui celebreremo il 70 ° anniversario della NATO.

Mentre le mie osservazioni giungono al termine, voglio ripetere ciò che George Marshall ha detto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di nuovo vicino al momento della sua formazione nel 1948. Ha detto, cito, “Le organizzazioni internazionali non possono prendere il posto di sforzi nazionali e personali o di iniziative locali e immaginazione individuale; l’azione internazionale non può sostituire l’auto-aiuto”. Fine della citazione.

A volte non è popolare rifiutare lo status quo, chiamare col proprio nome ciò che tutti noi vediamo ma rifiutando di parlarne. Ma francamente, per tutti noi in questa stanza oggi la posta in gioco è troppo alta per non farlo. Questa è la realtà che il presidente Trump ha capito visceralmente.

Proprio come la generazione di George Marshall ha dato vita a una nuova visione per un mondo sicuro e libero, vi invitiamo ad avere lo stesso tipo di audacia. La nostra chiamata è particolarmente urgente – particolarmente urgente alla luce delle minacce che dobbiamo affrontare da paesi e attori potenti la cui ambizione è di rimodellare l’ordine internazionale nella propria immagine illiberale.

Lavoriamo insieme. Lavoriamo insieme per preservare il mondo libero in modo che continui a servire gli interessi delle persone a cui ognuno di noi è responsabile.

Facciamolo in un modo che crei organizzazioni internazionali che siano agili, rispettino la sovranità nazionale, che mantengano le loro missioni dichiarate e che creino valore per l’ordine liberale e per il mondo.

Il presidente Trump comprende profondamente che quando l’America guida, seguono la pace e la prosperità quasi certamente.

Sa che se l’America e i nostri alleati qui in Europa non assumano la guida, altri decideranno di farlo.

L’America, come ha sempre fatto, continuerà a lavorare con i nostri alleati in tutto il mondo verso l’ordine pacifico e liberale che ogni cittadino del mondo merita.

Grazie per esserti unito a me qui oggi. Possa il Buon Dio benedire ognuno di voi. Grazie.