Archivio mensile:luglio 2014

CHI E’ CASALEGGIO? CASALEGGIO CHI E’

CHI C’È DIETRO BEPPE GRILLO E IL SUO “MOVIMENTO” DA E DI MICHELE DI SALVO.

“non credete a tutto quello che vi viene detto, ma informatevi!”.
Beppe Grillo

Questa è una storia che si innesta negli ultimi dieci anni di vita politica e sociale del nostro paese. Ne attraversa le fasi e ne traccia dei fili, che spesso sono invisibili ai più.

PROLOGO – DIECI ANNI PRIMA

Era il luglio 2001. Io ero il giovane editore di Cuore, e la mia redazione era tra le testate accreditate al G8 di Genova. La nostra redazione era alla Diaz, come quelle di molte testate indipendenti, e come Liberazione, il Manifesto e altri… Io accompagnavo la redazione, una rarità tra gli editori delle testate periodiche. Camminando per le stradine insieme a Jiga Melik, una delle belle e intelligenti firme del “mio” settimanale di satira, ci fermiamo ad un bar tra i carrugi, in un caldo assolato giorno di luglio. Ci sediamo, casualmente, ad uno dei tavolini ed ascoltiamo, altrettanto casualmente una telefonata.
Chi ci siede davanti era l’on. Crucianelli, il suo interlocutore, Valter Veltroni. “qui c’è un humus, un terreno fertile… una grande storia… dobbiamo trovare il modo di metterci il cappello…”
Negli anni della sinistra al governo, forse l’idea più innovativa la introducono C.V e F.R., i due consiglieri del premier Massimo D’Alema. La loro idea di mediazione con la politica, di “lobbying all’americana” funziona.
Forse è anche più innovativa di quanto loro stessi possano immaginare in quei primordi di “seconda repubblica” e risolverebbe un grande problema, tanto politico quanto mediatico della classe politica italiana: il finanziamento pubblico.
Ma l’Italia, quella dei compromessi e delle tante micro tangenti, ad un salto di qualità vero, e chiaro, non è pronta.
Non lo sono i partiti, e soprattutto non lo sono ancora le imprese e le associazioni imprenditoriali. La loro idea di “lobbying” fa nascere una ricerca permanente e ricorrente di un leader nuovo e progressista che possa affrontare i nodi caldi della modernizzazione del paese, ed al contempo possa portare ad un autentico e trasparente dialogo tra imprese – quelle vere – e la politica.
In questa ricerca, nascono un giornale, finanziato da un noto petroliere genovese, e una televisione satellitare, presto trasferita nei ranghi del partito democratico. Di quell’idea, e di quel progetto, nel senso più alto, non c’è più traccia, se non la sua necessità.
In questo scenario, i vari partiti, ciascuno dei quali cambia nome e schieramento. La risposta più ovvia del modo di fare politica nel nostro paese, più o meno da sempre, è quella di cambiare nome, simbolo, alleanza.
Sono anni difficili in cui si completa il passaggio pci-pds-ds- pd. In cui la DC si trasforma, dopo essersi frammentata e divisa.

Sono gli anni della difficili “unificazione formale” del centro destra e dello sdoganamento della destra al governo. Passiamo da un sistema frammentato e consociativo, ad un sistema maggioritario, bipolare.

Cambiano i linguaggi della politica. Entrano in gioco sistemi di comunicazione e persuasione nuovi, e potenti. Chi non se ne accorge ne resta tagliato fuori.
Contemporaneamente cambia anche la vita economica italiana. Cambiano con l’euro gli scenari e i livelli di competitività. Chi sino a ieri era grande, oggi, nel confronto europeo, non entra nemmeno nelle classifiche più generose.
L’idea stessa della “privatizzazione all’italiana”, dove con poco controlli imprese molto grandi, non regge più, entrando players di ben altre proporzioni. Internet l’abbiamo inventata noi.
Come tante altre cose che poi hanno fatto la forza e la grandezza di altri paesi. Da noi la rete è interesse di pochi, e vista con sospetto. Si diffonde generazionalmente, e non come servizio globale.
Legata alla infrastruttura, subisce il rallentamento dettato dal ciclope monoculare. Nel 2004 nascono in quasi tutto il mondo I SOCIAL NETWORK – strutture in grado di mettere in connessione milioni di utenti tra loro.
In modo apparentemente gratuito.
Chi si accorge del capitale e del potenziale inespresso, e della conseguente arretratezza che ne deriva, sono giovani e rampanti manager della comunicazione.

QUESTA STORIA PARTE DA LORO.
E DA UNA PICCOLA SOCIETÀ DELLA GALASSIA TELECOM ITALIA.

ROMA, 3 GIU 2004- It Telecom, controllata al 100% da Telecom Italia, ha siglato oggi un accordo con Value Partners per la cessione del 69,8% di Webegg, società che si occupa di system integration, ad un prezzo pari a 43 milioni di euro. La restante partecipazione del 30,2% è posseduta da Finsiel (79% Telecom Italia). Lo rende noto un comunicato congiunto nel quale si spiega che l’ operazione rientra nel processo di razionalizzazione del comparto information technology del gruppo Telecom finalizzato in particolare alla semplificazione della struttura organizzativa. L’ operazione prevede anche il mantenimento da parte di Finsiel della partecipazione in Webegg con il riconoscimento di reciproche opzioni di compravendita tra Finsiel e Value Partners. Il perfezionamento dell’ operazione si realizzerà una volta ottenuta la prescritta autorizzazione dell’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Il gruppo Webegg, che include le controllate TeleAp e Software Factory, si occupa di system integration, sviluppo di applicativi e soluzioni web based per l’ industria e le istituzioni finanziarie. Value Partners è una società di consulenza strategica di origine italiana e con l’ acquisizione di Webegg amplia la propria offerta nel settore informatico nel quale è già presente con due società Vp Web e Vp Tech. (ANSA).
Il 9 giugno 2006 Value Partners si quoterà in borsa, valorizzando oltre 200milioni di euro! Sotto la lente di ingrandimento della Consob, proprio il rapporto con Telecom. Il gruppo guidato da Marco Tronchetti Provera ha rappresentato nel 2005 per Value Partners più della metà dei ricavi consolidati (56%), seguito da Intesa (5%), SanPaolo Imi, Pirelli e Unicredit (tutti con il 3%, Pirelli aveva il 10% nel 2003). Due anni prima VP aveva acquisito proprio da TI per 61 milioni il 100% di Webegg ed è nato Value Team, il braccio di VP dedicato a consulenza e servizi orientati all’IT consulting, 71% del totale dei ricavi della società.
26 aprile 2011 – Value Team, il system integrator di proprietà di Value Partners, è stata ceduta alla giapponese NTT Data, colosso delle telecomunicazioni giapponese con un giro d’affari pari a circa 9,5 miliardi di euro. L’operazione, stando a quanto riportato dal quotidiano Nikkei, si perfeziona per un valore di 250 milioni di euro e riguarda l’intero pacchetto azionario di Value Team.

2012 – ELEZIONI AMMINISTRATIVE IN ITALIA

Il partito di un ex-comico, che oggi si definisce “megafono” diventa secondo i sondaggi la terza forza politica italiana. Di fatto, alle elezioni amministrative, arriva a percentuali a due cifre quasi ovunque.

Dietro di lui, in via nota e dichiarata, cinque “super consulenti” del mondo del web.

Ecco chi sono coloro che il 22 gennaio 2004 fondano la Casaleggio Associati. Gianroberto Casaleggio, già Amministratore Delegato e Direttore Generale della Webegg
Luca Eleuteri, tra il 2000 e il 2003 lavorava nella Direzione Generale di Webegg. Mario Bucchich, fino al settembre 2003 è stato Responsabile Comunicazione e Immagine del Gruppo Webegg.
Enrico Sassoon, già Direttore Responsabile della rivista Affari Internazionali e membro dell’American Chamber of Commerce in Italia, entra il 15 gennaio 2001 nel Consiglio di amministrazione di Webegg.
C’è poi anche Maurizio Benzi, Marketing di Webegg e organizzatore dei Meetup di Grillo a Milano.

GIANROBERTO CASALEGGIO

La vera anima, e filosofo del gruppo è Gianroberto Casaleggio. Gianroberto Casaleggio inizia la sua carriera nell’Olivetti di Roberto Colaninno, diventa amministratore delegato di Webegg, all’epoca joint venture tra Olivetti e Finsiel, a fine giugno 2002 Olivetti cede la propria quota (50% del capitale) in Webegg Spa a I.T. Telecom Spa, che nel 2000 ha dato vita a Netikos Spa del cui CdA Casaleggio fa parte con Michele Colaninno (secondogenito di Roberto e presente nel CdA Piaggio).
È lui il manager che ha persuaso Grillo (inizialmente scettico) dell’utilità della Rete. La società che presiede, la Casaleggio Associati, ha l’obiettivo dichiarato di «sviluppare in Italia la cultura della Rete».
Ha creato e gestisce, tra le altre cose, non solo il blog di Beppe Grillo (nato nel gennaio 2005), la distribuzione di tutti i suoi gadget, ma ha anche ideato, secondo indiscrezioni, lo stesso V- Day!
Ed è sempre presente anche agli incontri del comico con i «MeetUp» locali. Piccolo particolare: l’organizzatore del gruppo di Milano Maurizio Benzi lavora, manco a dirlo, per la stessa società di Casaleggio.

Una piccola curiosità. Il blog di Grillo è tradotto anche in inglese. Ottimo e funzionale. Ha solo un’altra lingua in cui è tradotto: il giapponese! E giapponese come abbiamo visto è la proprietà della webegg oggi!
Appassionato di storia, fumetti e fantascienza, ha voluto una casa nelle valli del Canavese vicino Ivrea – ancora legatissimo ai suoi esordi professionali. Lì possiede un bosco tutto suo. Autore di libri come «Il web è morto, viva il web», assieme al fratello Davide e a Mario Bucchich (anche loro soci della Casaleggio associati).
L’idea di essere eminenza grigia della lobbying politica gli venne già. All’inizio non pensava a Grillo, o forse gli occorrevano dati ed esperienza per non bruciare la sua carta.
Nel gennaio 2006, il manager convinse il ministro e leader di Idv ad aprire un suo blog che diventa ben presto ricco degli stessi contenuti e delle parole d’ordine di Grillo oggi. Ed è curato sempre dalla Casaleggio associati (sino al 2010).

A Casaleggio la Telecom è rimasta nel sangue, nel cuore e… e nel bilancio. Così come il fatturato indotto che era in grado di produrre. Gli attacchi alla nuova gestione subentrata ai Colaninno si fanno sempre più forti.
Si dice che siano stati proprio uomini legati a Casaleggio a fare uscire lo scandalo sul dossieraggio Telecom (ovvero le intercettazioni abusive operate dalla security telecom in danno a privati).
TRA GLI INTERCETTATI ABUSIVAMENTE PROPRIO GRILLO… E ALCUNI ALTRI “GIORNALISTI INDIPENDENTI”, TRA CUI MARCO TRAVAGLIO (CON CUI INIZIERÀ UN SODALIZIO VEICOLATO ANCHE GRAZIE AD ANTONIO DI PIETRO, E CHE LO LEGHERÀ ALLA CASALEGGIO ANCHE EDITORIALMENTE) .
Nel momento di maggiore debolezza dell’azienda il 12 settembre 2006 Grillo lancia la share-action per “riprendersi Telecom”. Travolto dagli scandali “per il bene dell’azienda” Tronchetti- Provera lascia la presidenza e ogni incarico in Telecom Italia. Miracolosamente, con l’uscita di scena di Tronchetti Provera, muore senza commenti (nemmeno sul suo blog) e senza alcuna spiegazione anche l’iniziativa di Grillo – che da quelle dimissioni su Telecom Italia non parla più!

CON CHI LAVORA LA CASALEGGIO?

Facciamo un passo indietro. Già dal 2004 – ovvero dalla sua nascita – la Casaleggio annuncia la partnership con Enamics, una società statunitense fondata nel 1999, leader del Business Technology Management (BTM). La Enamics ha come clienti potenti corporation del calibro di: Pepsico, JP Morgan, Northrop Grumman, US Department of Tresury (Dipartimento del Tesoro USA), BNP Paribas, American Financial Group, ecc. Tra le società citate, quella che più interessa è la banca d’affari JP Morgan, perché rientra nell’impero dei Rockefeller. [la JPMorgan è la stessa che aveva pronto il “piano spezzatino” se la Fiat non fosse stata in grado di ricapitalizzare qualche anno fa].
L’uomo marketing – e colui che “porta i clienti” (e quindi le risorse!) – alla Casaleggio Associati (oggi e della Webegg prima) è Enrico Sassoon, giornalista, dal 1977 al 2003 nel gruppo Il Sole-24 Ore, già direttore responsabile di L’Impresa- Rivista Italiana di Management, della rivista Impresa Ambiente e del settimanale Mondo Economico. Da suo curriculum
pubblico apprendiamo anche che «è stato direttore scientifico del gruppo Il Sole-24 Ore». Nel 1998 Sassoon è stato amministratore delegato dell’American Chamber of Commerce in Italy, di fatto una lobby indirizzata a favorire i rapporti commerciali delle corporation americane in Italia.
Proprio nel consiglio di amministrazione dell’ American Chamber of Commerce in Italy si comprende quale sia uno dei fattori di successo nelle relazioni della Casaleggio Associati. La lista comprende tutte le maggiori corporation americane presenti in Europa, le maggiori società italiane con rapporti in USA. Attualmente Sassoon ne presiede il “Comitato Affari Economici” – ovvero il nodo centrale in cui smistare e coordinare le partnership di business.
Molti dei nomi presenti nell’American Chamber of Commerce in Italy sono figure di spicco dell’Aspen Institute Italia, il prestigioso pensatoio, creatura di Gianni Letta, presieduto da Giulio Tremonti. E l’Aspen Institute pesa, ovunque agisca. Luogo di incontro fra intellettuali, economisti, politici, scienziati e imprese. Nell’Aspen transita l’élite italiana, che faccia riferimento al centro-destra o al centro-sinistra.

CON QUALI FINALITÀ?

«L’internazionalizzazione della leadership imprenditoriale, politica e culturale del paese attraverso un libero confronto tra idee e provenienze diverse per identificare e promuovere valori, conoscenze e interessi comuni», si legge nella mission dell’istituto.

E IN CHE MODO?

«Il “metodo Aspen” privilegia il confronto e il dibattito “a porte chiuse”, favorisce le relazioni interpersonali e consente un effettivo aggiornamento dei temi in discussione. Attorno al tavolo Aspen discutono leader del mondo industriale, economico, finanziario, politico, sociale e culturale in condizioni di assoluta riservatezza e di libertà espressiva»”.
Contemporaneamente Sassoon è anche Direttore Responsabile della rivista Affari Internazionali. Perché è così rilevante? Basta leggere chi c’è nel Comitato di Redazione di tale rivista in quegli stessi anni. Intanto Tommaso Padoa-Schioppa, Ministro dell’Economia, e tra i nominativi del Comitato Editoriale: Giuliano Amato, Innocenzo Cipolletta, Domenico Fisichella, Enrico Letta, Antonio Maccanico, Mario Monti, frequentatore assiduo delle riunioni del Gruppo Bilderberg Giorgio Napolitano, Fabrizio Saccomanni, Sergio Siglienti, Giuseppe Zadra, Promotore della rivista, l’Istituto Affari Internazionali.
Attualmente Sassoon è anche “amministratore delegato” di una casa editrice – la “Strategiqs Edizioni Srl” (che non ha nemmeno un indirizzo mail, né un sito internet – ma che pubblica l’edizione italiana della Harward Business Review in Italia).
Di questa società è presidente un brillante napoletano, Alessandro Di Fiore, che oltre a presiedere la casa editrice presiede anche l’European Centre for Strategic Innovation. Nato come product manager della Colgate-Palmolive fonda la Venture Consulting che confluisce gruppo Tefen, oltre a diventare prestissimo Vice Presidente di “The MAC Group” (Gemini Consulting) – gruppo presieduto da Cesare Romiti, anch’egli membro nell’American Chamber of Commerce in Italy e dell’Aspen Institute.
Manco a dirlo, nel comitato di redazione della rivista figura anche “Roberto” Casaleggio (hanno dimenticato il “gian” iniziale!).

MA COSA FA “ESATTAMENTE” LA CASALEGGIO?

Si occupa di “sviluppare in Italia una cultura della Rete attraverso studi originali, consulenza, articoli, libri, newsletter, seminari e creazione di gruppi di pensiero e di orientamento.” “Casaleggio Associati dispone di competenze specifiche sulla Rete, tramite i suoi soci ed affiliati; della conoscenza del territorio di applicazione, dovuta ai Rapporti e ai Focus di settore; delle tendenze e delle best practice, grazie al network di partner statunitensi.”
Il “filosofo” dell’azienda è Gianroberto – un tecnico, uno dei massimi esperti in Italia della comunicazione sul web. «L’organizzazione di Rete» dei modelli di e-business e il web marketing sono tematiche che ha approfondito e applicato a società italiane negli ultimi otto anni, anche grazie a una relazione costante con i riferimenti mondiali del settore.
Per lui la Rete è un’ossessione, più che un media. Ne è un teorico e uno dei guru delle nuove frontiere del marketing digitale e di cosa si possa fare attraverso i social network grazie a strategie di marketing virale, forma di promozione non convenzionale che sfrutta la capacità comunicativa di pochi soggetti interessati per trasmettere il messaggio a un numero esponenziale di utenti. Casaleggio ha capito in anticipo, almeno per quanto riguarda il mercato italiano, quali siano le potenzialità del web e dei social network.
E individua una nuova figura di venditore propagandista in parte consapevole e in parte no: l’influencer. “On line il 90 per cento dei contenuti è creato dal 10 per cento degli utenti, queste persone sono gli influencer”, scrive in un articolo Casaleggio, “quando si accede alla Rete per avere un’informazione, si accede a un’informazione che di solito è integrata dall’influencer o è creata direttamente dall’influencer.”
“L’influencer è un asset aziendale, senza l’influencer non si può vendere, c’è una statistica molto interessante per le cosiddette mamme online, il 96 per cento di tutte le mamme online che effettuano un acquisto negli Stati Uniti, è influenzato dalle opinioni di altre mamme online che sono le mamme online influencer. “
Se andiamo ad analizzare il sistema di diffusione online del fenomeno Beppe Grillo è facile constatare quanto questa strategia sia efficace. E non solo per Grillo, visto che il numero dei clienti e delle partnership italiane e statunitensi vanno ben oltre alla promozione del comico genovese.

Nel 2004, a pochi mesi dalla sua nascita, la Casaleggio Associati annunciò pubblicamente attraverso le agenzie di stampa la nascita della partnership con Enamics, società statunitense leader in Business Technology Management (Btm).
La Enamics ha una rete di relazioni aziendali impressionante sia dirette che indirette grazie anche a una rete di partnership consolidata e da più di 6 anni con due altre aziende del settore, la Future Considerations e la Ibm Tivoli. Spiccano, come si legge nel board sia di Enamics che dei sui partner, nomi come Pepsico, Northrop, US Department of Tresury (Dipartimento del Tesoro Usa), Bnp Paribas, American Financial Group e JP Morgan, banca d’affari del gruppo Rockefeller. E poi ancora: Coca Cola, Bp, Barclaycard, Addax Petroleum, Shell, Tesco, Kpmg Llp, Carbon Tnist, Unido (United Nations Industrial Development Organisation), London Pension Fund Authority (Lfpa).
Ecco quindi la rete di relazioni, teoriche e aziendali, della Casaleggio Associati con le aziende più quotate del settore negli Stati Uniti. Comunicazione, e-cornmerce, reti web, sicurezza. Gli stessi settori della Webegg prima e di Casaleggio e soci poi. Sassoon e Casaleggio, sul rapporto dei due si gioca tutto il peso del progetto della Casaleggio Associati. Da un lato l’uomo delle relazioni «tradizionali» con il mondo della finanza e della politica italiana, dall’altro il super-esperto con reti di rapporti consolidate e partnership oltre oceano.
Non si tratta quindi solo di sperimentare nuove forme di marketing, si tratta di una solida base di business. E QUESTO LA CASALEGGIO ASSOCIATI FA.

Se qualcuno pensava ancora che la Casaleggio Associati fosse solo un gruppo di persone appassionate della comunicazione in Rete che si dedica al blog di Beppe Grillo (e a quello precedentemente, ricordiamolo, di Antonio Di Pietro), sbaglia.

Ritorniamo però alle strategie di marketing (politico e non) della Casaleggio Associati, e agli influencer e all’importanza che viene loro data, e non solo da questa società italiana. Si legge sul sito web della Microsoft: a uno studio della società statunitense Rubicon Consulthg ha tracciato il profilo degli influencer, la loro diffusione e le modalità di comunicazione e di propagazione dei loro messaggi. Le comunità online, gli spazi dove agiscono gli influencer, non sono tutte uguali, ognuna ha peculiarità proprie. Non si capisce se questo brano l’abbia scritto Gianroberto Casaleggio stesso o se a questo testo del gigante statunitense si sia rifatto.
E poi l’articolo della Microsoft prosegue: Le comunità online originate dalle connessioni, come Facebook, sono le più frequentate (25 per cento degli utenti) e le più importanti per i giovani sotto i 20 anni, seguono, con circa il 20 per cento, quelle con attività in comune e condivisione di interessi. La maggior parte degli utenti delle comunità ha un’età tra i 20 e i 40 anni. In questo contesto operano gli influencer.

Ecco fatto il ritratto del militante grillino tipo.

E chi sono gli influencer di Grillo, dove si muovono, dove agiscono? All’inizio sulla rete di Meetup, la piattaforma a pagamento statunitense molto pubblicizzata dalla Casaleggio Associati e dai loro partner statunitensi è praticamente obbligatoria per chi voglia aderire alla rete degli amici di Grillo. [per intenderci, meetup è stata la piattaforma usata per lanciare in USA il fenomeno dei tea-party] Poi su YouTube e Facebook.
E qui che si è creata la fortuna del messaggio di Grillo, nell’uso controllato capillarmente dalla Casaleggio Associati di questi mezzi. Gli ‘influenzatori’, formati e preparati dalla Casaleggio alla scuola della Webeggs e soprattutto dei nuovi media-guru americani, sono giovani operatori stipendiati per ‘creare’ opinione. Tali personaggi sono pagati per scrivere articoli, rilasciare commenti, subissare di ‘Mi Piace’ o ‘Non Mi Piace’ e creare videoclip con il preciso obiettivo di influenzare la opinione degli altri utenti, in particolare quel 90% di fruitori inattivi. Il tutto, nella maggior parte dei casi spacciandosi per utenti casuali e sottacendo il dettaglio di essere degli spot pubblicitari viventi. Farebbero ciò che da anni fanno molti giornalisti, politici e accademici.
Facciamo una piccola premessa. Tutti coloro che fanno web marketing hanno dei gost writer, del webwriters, dei content-manager, che per lavoro inseriscono contenuti, diffondono e condividono messaggi, replicano e commentano. Il limite che un po’ tutti si danno, è quello della moderazione (da un lato) e dell’autenticità del profilo.
Creare dei “fake” è come diffondere una notizia “falsa” – perché tale è il commento ed il profilo che contribuisce a creare la fisionomia web del messaggio. In genere strategie così aggressive vengono adottate da aziende “molto grandi” per scopi “non sempre trasparenti” – in primo luogo appunto quello non di “vendere” un prodotto/bene/servizio, bensì creare e condizione l’opinione pubblica su singoli temi, e spostarla.
La caposcuola di questa filosofia di opinion marketing virale è un’azienda americana – La Bivings Group specializzata in attività di lobbying internet, leader nel social network e nel web marketing che per mezzo della rete manipola la opinione pubblica, utilizzando falsi cittadini e finte associazioni al fine di promuovere gli interessi di una clientela che risponde a nomi quali Monsanto, Philip Morris o BP Amoco. E molte altre corporation che per oggetto sociale (tabacco, alcool…) hanno visto limitata la propria capacità di accesso ai normali strumenti pubblicitari, o che operano in settore in cui è fortissima una posizione sociale scettica (nucleare, armamenti, ogm, ricerca genetica).
La Bivings opera attraverso circa mille siti internet direttamente o indirettamente registrati e strutturati, con oltre 8.000 finti profili web che nematicamente sono radicati in oltre 12.000 forum di discussione. Operativamente lavora principalmente con altri due partner americani.
The Bricks Factory e la Enamics – il cu partner italiano è appunto la Casaleggio.
Invenzione della Bricks è l’e-buzzing, blogger di ogni cultura cedono alle lusinghe dei post pubblicitari in cui qualcuno dice loro cosa scrivere e come scriverlo, in cambio di soldi. Sono attori i ‘casi umani’ che la televisione spaccia per persone comuni o vincitrici di grosse somme nei giochi a quiz. Probabilmente sono attori i personaggi accampati con giorni d’anticipo di fronte agli store per accaparrarsi un nuovo modello di telefonino. Chissà quante interviste televisive a ‘campione’ sono in realtà finte o perlomeno selezionate e assortite in modo tale da suscitare una precisa emozione in chi le guardi. Frotte di attori dilettanti si lasciano arruolare nelle vesti di attivisti spontanei per contestare o applaudire il politico di turno davanti a solerti telecamere, o per mandare in malora una manifestazione compiendo azioni violente.
La persuasione funziona meglio quando è invisibile. Il marketing più efficace è quello che si fa strada nella nostra coscienza, lasciando intatta la percezione che abbiamo raggiunto le nostre opinioni e fatto le nostre scelte in maniera indipendente.
In un manuale di presentazione ai propri clienti, la Enamics presentando la propria capacità di diffusione virale e le sue partnership spiega che “ci sono alcune campagne in cui sarebbe opportuno o persino disastroso lasciare che il pubblico sappia che la vostra organizzazione è coinvolta direttamente … semplicemente non è un modo intelligente di muoversi. In casi come questo, è importante prima “ascoltare” ciò che viene detto online … Una volta che siete collegati in questo mondo, è possibile effettuare dei commenti in questi forum che presentino la vostra posizione come una parte non direttamente coinvolta. … Forse il più grande vantaggio del marketing virale è che il messaggio viene inserito in un contesto in cui è più probabile essere considerata seriamente.” “Un alto dirigente della Monsanto è citato sul sito Bivings, ringrazia la società di pubbliche relazioni per il suo” straordinario lavoro ” .

 

Un esempio concreto di come opera il “metodo Bivings”

Il 29 novembre dello scorso anno, due ricercatori dell’Università della California di Berkeley hanno pubblicato un articolo sulla rivista Nature, che ha rivelato che il mais nativo in Messico, era stato contaminato, attraverso grandi distanze, dal polline geneticamente modificato. L’articolo fu un disastro per le aziende biotech che cercano di convincere il Messico, il Brasile e l’Unione europea di togliere il loro embargo sulle colture geneticamente modificate.

Anche prima della pubblicazione, i ricercatori sapevano che il loro lavoro era pericoloso. Uno di loro, Ignacio Chapela, è stato avvicinato dal direttore di una società messicana, che per primo gli ha offerto un posto scintillante di ricercatore, se distruggeva i suoi documenti, poi gli disse che sapeva dove trovare i suoi figli. Negli Stati Uniti, gli avversari di Chapela hanno scelto una diversa forma di assassinio.

Il giorno in cui è stato pubblicato l’articolo, iniziarono a comparire messaggi in un listsever di biotecnologia utilizzato da più di 3000 scienziati, chiamati AgBioWorld. Il primo veniva da un corrispondente di nome “Mary Murphy”. Chapela è nel consiglio di amministrazione del Pesticide Action Network e, quindi, ha affermato, “non è esattamente quello che si dice uno scrittore imparziale.”1Il suo intervento è stato seguito da un messaggio da un “Andura Smetacek”, sostenendo, falsamente, che il documento di Chapela non era stato redatto in modo equo, che era “prima di tutto Chapela è un attivista”, e che la ricerca era stata pubblicata in collusione con gli ambientalisti. Il giorno successivo, un’altra e-mail da “Smetacek” ha chiesto la sua nota spese, “quanti soldi si prende Chapela per parlare? Quante spese di viaggio e altre donazioni … per il suo aiuto in fuorvianti le campagne di marketing basate sulla paura?”

I messaggi da Murphy e Smetacek stimolarono centinaia di altri, che ripetevano o abbellivano le accuse che avevano fatto i due di cui sopra. biotecnologi Senior chiesero di licenziare Chapela da Berkeley. AgBioWorld lanciò una petizione contro la pubblicazione:

“Ci sembrano essere problemi metodologici nella ricerca di Chapela e il suo collega David Quist , ma questo non è affatto senza precedenti in una rivista scientifica. Tutta la scienza è e deve essere, oggetto di sfida e di confutazione.” Ma in questo caso la pressione su Nature fu così forte che il suo editore fece una cosa senza precedenti nella sua storia di 133 anni: il mese scorso ha pubblicato, insieme a due documenti impegnativi Quist e Chapela, una ritrattazione, nella quale ha scritto che la loro ricerca non avrebbe mai dovuto essere pubblicata.

Così la campagna contro i ricercatori è stata uno straordinario successo, ma chi la iniziò precisamente? Chi sono i “Murphy Mary” e “Andura Smetacek”? Entrambi affermano di essere cittadini comuni, senza legami societari.

La Bivings Group dice di “non essere a conoscenza di loro”. “Mary Murphy” utilizza un account Hotmail per inviare messaggi a AgBioWorld. Ma un messaggio satirico a oppositori di biotech, inviato da “Mary Murphy” allo stesso indirizzo hotmail a un altro server di due anni fa, contiene l’identificazione bw6.bivwood.com . Bivwood.com è di proprietà della Bivings Woodell, che fa parte del Bivings Group.

Smetacek ha, in diverse occasioni, dato il suo indirizzo come a “Londra” e “New York”. Ma le liste elettorali, elenchi telefonici e dati relativi alle carte di credito sia a Londra che tutti gli Stati Uniti non rivelano “Andura Smetacek”. Il suo nome appare solo su AgBioWorld e pochi altri listserver, su cui ha pubblicato decine di messaggi che accusano, falsamente, gruppi come Greenpeace di terrorismo. Un indizio sulla sua identità è suggerito dalla sua costante promozione del “Center for Food and Agricultural Research”. Il centro non sembra esistere, se non come un sito web, che accusa ripetutamente i verdi di tramare violenza. Cffar.org è registrato a qualcuno di nome Manuel Theodorov. Manuel Theodorov è il “regista delle associazioni” a Bivings Woodell. Anche il sito su cui è stato lanciato la campagna contro l’articolo su Nature ha attirato sospetti. Il suo moderatore, il professore appassionato biotech CS Prakash, sostiene di non avere alcuna connessione con il Bivings Group.

Da una ricerca degli archivi del sito si riceve il seguente messaggio di errore: “Impossibile connettersi al server MySQL su ‘apollo.bivings.com’”. Apollo.bivings.com è il server principale del Bivings Group.

“A volte”, si vanta Bivings, “vinciamo premi. A volte solo il cliente conosce il ruolo preciso che abbiamo giocato.”

[credits: lavoro di indagine svolto da Jonathan Matthews e dal giornalista free lance Andy Rowell – si ringrazia George Monbiot per la segnalazione]

Come presenta i suoi servizi la Casaleggio

Relazione Digitale

Identificare una strategia di web marketing significa studiare il target di riferimento, il messaggio da veicolare e i canali da utilizzare. Questo permette di identificare gli obiettivi tattici da raggiungere con l’impiego integrato delle tecniche di webmarketing (motori di ricerca, linkpopularity, campagne banner, sponsorizzazioni di aree tematiche, direct emailing, news online). Casaleggio Associati assiste le aziende nella creazione della struttura per gestire campagne di web marketing di lungo termine, identificando le metriche da monitorare e le leve da utilizzare per raggiungere i diversi obiettivi.

Organizzazione

Definire un’organizzazione in rete significa ripensare la sua struttura, il suo funzionamento ed i suoi obiettivi. L’organizzazione in rete è un nuovo modo di gestire un’azienda. Tutti i processi aziendali possono essere gestiti on line sia verso le persone che vi lavorano che verso tutti gli stakeholder esterni. Casaleggio Associati assiste le aziende nella realizzazione dei nuovi processi on line e nel cambiamento organizzativo dell’azienda.

Mission

Casaleggio Associati ha la missione di sviluppare consulenza strategica di Rete per le aziende e di realizzare Rapporti sull’economia digitale. La consulenza strategica ha l’obiettivo di indirizzare le aziende nelle scelte rese necessarie dalla Rete e di consentire la definizione di obiettivi misurabili in termini di ritorno economico, in modo da determinare lo sviluppo del business dell’azienda, sia nel medio, sia nel lungo termine.

I Rapporti e i Focus di Casaleggio Associati offrono informazioni puntuali sullo sviluppo della Rete nei diversi settori di mercato in Italia e nel mondo. I dati e le modalità di utilizzo della Rete contenuti nei Rapporti e nei Focus consentono alle aziende la valutazione del contesto in cui operano, scelte basate su casi di successo e la conoscenza dei reali percorsi di attuazione.

Vision

La Rete, intesa come l’utilizzo di Internet e la sua integrazione con le reti aziendali, rende necessaria, per ogni organizzazione, una visione strategica di lungo termine in cui definire priorità, fattibilità, attuazione e valutazione del ritorno degli investimenti.

Casaleggio Associati ritiene che una corretta strategia di Rete sia il fattore vincente di ogni azienda che voglia sfruttarne le opportunità per sviluppare il suo business, diminuire i costi strutturali ed aumentare l’efficienza.

Una strategia di Rete presuppone una visione di insieme in cui modelli di business, intranet e web marketing siano valutati congiuntamente. Una visione a cui va associata un’analisi di fattori, propri della Rete, come: usabilità, sicurezza, misurabilità, social networking, knowledge management e content management.

Strategia

Per indirizzare le aziende in Rete è necessario disporre di una conoscenza puntuale dell’evoluzione in atto, sia a livello nazionale che internazionale.

Casaleggio Associati dispone di competenze specifiche sulla Rete, tramite i suoi soci ed affiliati; della conoscenza del territorio di applicazione, dovuta ai Rapporti e ai Focus di settore; delle tendenze e delle best practice, grazie al network di partner statunitensi.

La credibilità di una strategia è, necessariamente, legata all’ottenimento di risultati tangibili in tempi certi, per questo Casaleggio Associati integra le competenze specifiche sulla Rete con l’applicazione di metodi di valutazione del ROI ed assiste il cliente nel roll out della strategia.

Come opera la Casaleggio nel caso di Grillo – Facciamo alcuni esempi.

Pietro Ricca

Nel 2007 ci si è resi conto che in quella fase il sito, per la parte degli interventi del pubblico, era “stagnante”, che a commentare i post di Grillo erano sempre gli stessi, anche se sempre tanti.

Viene chiamato allora a “dare una mano” il blogger e giornalista Piero Ricca. Chiamato per moltiplicare le offerte sul sito e per attrarre nuovi utenti e nuovi “conmentatori”. Come da accordi avrebbe dovuto essere pagato dalla Casaleggio Associati. Duecento euro a intervista forfettari spese incluse. Compenso che però, secondo Ricca, non gli viene corrisposto nei termini concordati all’inizio e Gianroberto Casaleggio ricontratterebbe la collaborazione chiedendogli di occuparsi della Comunicazione di alcune aziende sanitarie.

Ricca rifiuta. Da qui secondo Ricca il conflitto, e non si procede né sul piano economico né sulla ridefinizione del rapporto contenutistico della collaborazione e la situazione precipita.

Beppe Grillo è informato della decisione di Gianroberto Casaleggio. Osserva che “negli aspetti manageriali” del blog lui non entra. Ritiene però, fidandosi del gestore, che la difficoltà non sia di natura economica. Forse il problema – dice – è “l’eccessiva aggressività” di qualche intervista

Ricca scompare dal blog di Grillo.

Lo strano caso delle primarie di Milano

Filippo Pittarello (che lavora per la Casaleggio Associati e segue Beppe nei suoi tour, nonché i contatti con i meetup) ha dichiarato che il candidato ideale avrebbe dovuto avere più soft skills che hard skills, cioè più attitudini che competenze. Una volta eletto, doveva essere bravo con internet per mandare tutto ad una ‘squadra di esperti’ che gli avrebbero detto cosa dire.

Il candidato che scaturisce dalle primarie interne effettuate via web risulta Matteo Calise, ventenne, eletto democraticamente con il metodo Condorcet, Peccato che il metodo usato non sia stato applicato correttamente perché sono state considerate valide anche le schede in cui comparivano solo i nomi dei primi due, o di uno solo (bisognava mettere gli 8 candidati in ordine di preferenza…) in questo modo viene sballato il calcolo delle preferenze. Il metodo Condorcet è anche noto perché offre la possibilità, all’occorrenza, di “rtoccare per arrotondamento tendenziale” il risultato finale.

Ma non solo sono state chiamate all’appello tutte le truppe cammellate il giorno prima, debitamente orientate. Inoltre stranamente, proprio in quei giorni, la mail del blog per la lista civica di Milano aveva problemi e così molti non sono stati avvisati….

C.B. racconta “…un giorno, quando collaboravo alla campagna elettorale delle regionali in Lombardia per le 5 stelle, piena anch’io di tante speranze, ebbi l’onore di conoscerlo [Gianroberto Casaleggio ndr.]. Erano solo due mesi che partecipavo nel meetup e Vito Crimi (candidato alla presidenza della Regione per il movimento 5 stelle) mi mandò dallo staff di Beppe Grillo insieme ad altre due persone, le mie idee su cosa fosse questo staff non erano ancora chiare. Beppe Grillo aveva sempre parlato di 5 ragazzi… Ci rechiamo negli uffici della Casaleggio Associati a Milano, Gianroberto, dopo averci dato indicazioni sui temi che avrebbero dovuto affrontare i candidati nell’evento di piazza Duomo, si alza, si gira e se ne va senza neanche un grazie arrivederci. Quel giorno dissero anche una frase che mi colpì molto. Dissero che al tabellone luminoso in piazza Duomo avrebbero pensato loro [non la cassa del movimento ndr], sapete quanto costa l’affitto di quel coso? La cosa mi colpì ma volevo ancora aggrapparmi alla speranza che con il movimento ci saremmo liberati della casta…”

Davide Casaleggio e “una certa gestione” dei liberi blog di Grillo

Dalla prima ora Grillo ha dichiarato che il suo blog era “uno spazio aperto” in cui parlare e confrontarsi.

Molti militanti e simpatizzanti hanno notato che alcuni temi sono completamente spariti dal blog. Se qualcuno sulla rete dei Meetup o nei commenti sul blog di Grillo pone l’interrogativo si vedrà cancellare o non pubblicare la propria opinione.

E CHI CURA DIRETTAMENTE E CAPILLARMENTE IL BLOG DI GRILLO E LA RETE DEI MEETUP? IL FRATELLO DI GIANROBERTO CASALEGGIO, DAVIDE.

 

Dopo tutto le regole della “moderazione” sul web le detta chi mette in Rete una determinata piattaforma o sito. Funziona così ovunque, funziona così anche sul sito di Grillo. Certi argomenti, determinate domande non compaiono. Abbiamo fatto personalmente una prova, postando sul blog di Grillo determinati temi scomodi e il commento non veniva approvato. Compariva solo se si utilizzava un determinato termine spezzato dalla punteggiatura.

Ma anche in questo caso il commento dopo poco spariva. Come su YouTube, dove video che criticano esplicitamente il rapporto fra Casaleggio e Grillo scompaiono con frequenza impressionante, così avviene per gli interventi nei Meetup più “popolati”.

Il rapporto con IDV

Qualcosa intanto si è incrinato negli ultimi tempi anche nel rapporto che la Casaleggio Associati ha instaurato con Antonio Di Pietro e l’Idv. Delle crepe si erano manifestate già nel corso della campagna elettorale per le europee.

Alcuni candidati “di peso” come Luigi de Magistris avevano gentilmente rifiutato di affidarsi al modello Casaleggio preferendo fare da sé. La ragione era molto semplice. Il modello offerto dalla Casaleggio Associati è estremamente centralizzato. A scatola chiusa. Per lavorare con loro, per usufruire dei loro servizi, è necessario affidarsi totalmente alla loro organizzazione. E questo, inevitabilmente, può entrare in contrasto con le logiche della politica.

Un contrasto, segnalano in molti dell’entourage di Di Pietro, che avrebbe portato alla rottura, tanto che dal gennaio 2010 il blog di Di Pietro non è più gestito dalla Casaleggio. I temi stessi della politica dipietrista sono cambiati e si sono articolati.

Manco a dirlo, da una media di 4500 articoli e interventi quotidiani su internet, l’Idv è scesa circa 800!

“… gli indirizzi dei gestori tecnici dei domini beppegrillo.it e antoniodipietro.it risultano tuttora domiciliati in via Jervis 77 a Ivrea, stesso indirizzo della sede storica di Olivetti. Il fatto curioso è che i domini olivetti.it e olivetti.com risultano appoggiati al gestore tecnico TELECOM ITALIA, domiciliato a Taranto…”

[Giacomo Castellano aveva pubblicato questo quesito sul meetup di beppe grillo per chiedere spiegazioni – messaggio cancellato! http://beppegrillo.meetup.com/boards/thread/3998947/30#1486 0101

Spiacenti, non siamo riusciti a trovare il post della bacheca messaggi che hai richiesto. ]

Serenetta Monti (candidata a sindaco di Roma e grillina della prima ora) ad Alessandro Gilioli (giugno 2011)

«Quella di Grillo e della Casaleggio – che fa il suo blog – è una presenza troppo ingombrante. La famosa frase su Pisapia- Pisapippa ne è un esempio. Ha disorientato tutti, è una di quelle leggerezze che non ci si possono permettere».

Ma nel movimento ci sono alcuni (o tanti) che la pensano come te? «All’interno del movimento ci sono tre tipi di persone. C’è una parte che vede comunque in Grillo un personaggio che con la sua notorietà consente di portare avanti delle battaglie civili e politiche; ci sono altri che invece vorrebbero che Grillo si facesse da parte già adesso; e ci sono infine persone che si sono attaccate al carro di Grillo per cercare di guadagnare una posizione di privilegio».

E che percentuali, che forze hanno nel movimento queste componenti? «Quelli che vorrebbero chiedere a Grillo di lasciare ormai sono una buona percentuale, una presenza importante. Quel che è successo in Veneto – con la lista di proscrizione dei candidati – non è stato un fatto da poco».

Che cosa è successo in Veneto? «Che l’anno scorso, prima delle regionali, è arrivato un ordine di allontanare persone che avevano versato il sangue per questo movimento, solo per imporre il candidato dall’alto». A proposito, ma la questione dello statuto che non c’è (insomma c’è una cosa chiamata non-statuto che di fatto non prevede regole democratiche) è una questione che viene discussa nel movimento? «Il non-statuto in teoria dovrebbe garantire il fatto che il movimento è una continua creazione dal basso, in realtà l’assenza di regole crea risultati differenziati e non sempre positivi. Si produce ad esempio la stasi di cui ti parlavo qui a Roma, ma anche il fatto che le primarie a volte si fanno e a volte no. Ma soprattutto, in questa assenza di regole alla fine tutti i ragazzi si sentono vincolati alle dichiarazioni di Beppe e del suo blog. E gli imbarazzi non mancano. Basta un’affermazione di Grillo per mandare in frantumi il lavoro di mesi di centinaia di ragazzi». Ad esempio, quando si mette a litigare con altre voci della coscienza civile e dell’opposizione italiana, da Saviano a De Magistris, fino a Sonia Alfano?

«Sì, l’isolamento in cui si è rinchiuso Grillo è un’altra questione calda. Ed è un limite enorme il fatto che lui non scenda mai al confronto con nessuno, specie con il resto della politica».

Ma quando dici che molte decisioni vengono prese ‘dall’alto’ esattamente cosa intendi? Grillo fa tutto da solo o ha un ‘inner circle’ di collaboratori con cui prende le decisioni? «Attorno a lui c’è solo lo staff della Casaleggio. Anche noi candidati sindaci alla fine dovevamo rapportarci o direttamente con lui o con loro. E non sono mancati gli attriti».

Ma secondo te che cosa dovrebbe fare Grillo per il bene del movimento che ha fondato? «Dovrebbe dire ‘grazie ragazzi, arrivederci, adesso il movimento è vostro, è di chi porta avanti le battaglie’».

E lo farà mai secondo te? «Lo farà quando la Casaleggio gli dirà che è ora di farlo». Ma perché, Grillo prende ordini dalla Casaleggio? «Temo di sì».

I rapporti con “Il Fatto Quotidiano” e “chiare lettere”

All’inizio abbiamo appena accennato al rapporto con Marco Travaglio (che risultavano tra i dossierati da parte della Telecom di Tronchetti Provera), favorito anche dagli stretti rapporti con Antonio Di Pietro.

Casaleggio Associati sta gestendo anche la parte informatica di Chiare Lettere, casa editrice che pubblica i libri del vicedirettore Travaglio, e guarda caso ultimamente sta pubblicando anche Grillo e Casaleggio, e come se non bastasse è di recente entrata nell’azionariato del Fatto Quotidiano.

Il fatto quotidiano è da subito apparso, per il suo piano industriale, un “prodotto atipico”. Innovativo per la sua presenza massiccia sul web, per la sua propensione al blogging ed alla interazione, fino alla formula dell’abbonamento on-line.

E per primo, ha cavalcato lo slogan del rifiuto del contributo pubblico. Ecco cosa ha scoperto con una sua indagine personale l’amico Stefano Montanari.

Dopo alcune ricerche mi sono reso conto che alcuni “Influencer” sono presenti su ilfattoquotidiano.it

Come? ilfattoquotidiano.it utilizza per il suo forum la piattaforma Disqus (www.disqus.com). Su questa piattaforma è possibile visualizzare lo storico dei commenti di ogni utente registrato,            semplicemente            visitando            l’URL http://disqus.com/<nome utente=””></nome>

Bene, esistono i seguenti profili: http://disqus.com/vespa200/ http://disqus.com/vespa201/ http://disqus.com/vespa202/ http://disqus.com/vespa203/ http://disqus.com/vespa204/ http://disqus.com/vespa205/ http://disqus.com/vespa206/ http://disqus.com/vespa207/ http://disqus.com/vespa208/ http://disqus.com/vespa209/ http://disqus.com/vespa210/ http://disqus.com/vespa211/

Già dai nomi, sembrerebbe palese che siano stati registrati dallo stesso individuo. Basta fare una ricerca all’interno dei messaggi di queste utenze, per accorgersi che dicono spesso le stesse cose, spesso persino utilizzando le stesse parole. Questo nonostante i nickname che compaiono poi sul sito sembrerebbero appartenere a diverse persone, uomini e donne. Ecco l’elenco dei nickname corrispondenti: napo orso capo

antonella antitroll Enzo Paolo mafiosialmuro clito ride tonno011 Detestor titti74 divergenze parallele plonk

anti_troll Si può anche notare che i messaggi scritti da questi account vengono premiati con dei “like” provenienti dagli account “gemelli”, ovviamente questo per dare più credibilità ai messaggi. Inutile dire che i messaggi in questione fanno una pubblicità sfacciata a Beppe Grillo e al Movimento 5 Stelle. Ma c’è di più: la piattaforma Disqus ha una caratteristica, documentata qui http://docs.disqus.com/help/49/, sotto il titolo

“Flagged Comment Moderation”, che rende possibile, mediante il tasto “segnala” presente su ogni messaggio, eliminare i messaggi. In pratica, quando parecchi diversi account cliccano su quel pulsante, il messaggio viene censurato SENZA dover passare dalla moderazione. Si capisce ora com’è semplice, per l’individuo di cui stiamo parlando, eliminare tutti i messaggi scomodi utilizzando i suoi svariati account. Questo mi è successo di notte (quando i moderatori non sono presenti), quando ho visto scomparire in tempi velocissimi i miei messaggi. Tutte le evidenze puntano al fatto che questi individui lavorano sopratutto la notte (ma anche di giorno) per “plasmare” indisturbati le discussioni del forum. ECCO IL VIRAL MARKETING DI CASALEGGIO.

Chi si occupa della moderazione del blog de “il Fatto”? Valentina Gorla Chi è? Lavora per i-side – società collegata alla casa leggio – specializzata in viral marketing, e nella gestione di gruppi di persuader!

i-side srl. http://www.i-side.com/

L’analisi Nielsen

Un esempio di quanto sia capillare il monitoraggio, e la capacità di intervento, del gruppo di influencer della Casaleggio ce lo offre il blog di Francesco Nicodemo, del pd napoletano.

Reo di aver semplicemente rilanciato un articolo di Valentina Arcovio sulle “bufale scientifiche” del comico Grillo qualche anno fa. In meno di mezzora sono intervenuti con i seguenti commenti: “Ormai vi attaccate a tutto, ma la rivoluzione è cominciata e non sarei di certi tu a fermarla, legga dante legga manzoni invece di criticare il nostro movimento” e “Grillo può anche darsi che abbia dato informazioni sbagliate il che è tutto da verificare, ma ricordiamo che è stato il primo a denunciare la presenza di materiali pericolosi all’interno di alcuni alimenti di alcuni grandi marchi italiani. Quindi NOI informiamo a differenza dei partiti!”

Le firme? Flavio Cicerchia e Michele Tagliarame. Peccato che nessuno dei due esista davvero, ed un terzo, Bruno Mancino, è un clone di un profilo assolutamente normale su facebook! Ci può aiutare a “quantificare” il fenomeno l’analisi periodica della comunicazione via web che la Nielsen fa in ogni tornata elettorale. Dall’ultima (in pubblicazione) citiamo:

I social media sono da sempre stati per Beppe Grillo e il suo Movimento, canale di comunicazione, di informazione, di scambio, nonché “sede” del movimento stesso, luogo di incontro e struttura organizzativa. Basti osservare l’ingente volume di messaggi che il Movimento 5 Stelle genera quotidianamente su internet, come emerge dall’analisi Nielsen sul passaparola digitale.

Negli ultimi 12 mesi circa 210.000 messaggi su Beppe Grillo hanno affollato la rete, con una media di quasi 600 post al giorno e un andamento costante, che termina con l’evidente exploit di aprile e della prima settimana di maggio, ove si concentra il 27% dei messaggi totali.

Il ruolo dei social network non è tuttavia limitato alle sole pagine ufficiali dei vari personaggi politici. Molte delle discussioni sul Movimento 5 Stelle avvengono, oltre che sul profilo e sul blog di Beppe Grillo o di altri politici (Bersani, Berlusconi, Vendola), anche sui Wall Comments di altri profili, quali ad esempio i profili di: – siti di “contro-informazione”: Informare per resistere, I segreti della casta di Montecitorio, Informazione Libera, Ecco Cosa Vedo – Idee per una società etica, I hate Silvio Berlusconi;

– giornalisti o testate giornalistiche: Il Fatto Quotidiano, Corriere della Sera, Repubblica, L’Unità, La7, Marco Travaglio. I social network dunque sono i luoghi digitali nei quali si concentra            la            grande            maggioranza            dei            post.

Un ordine di gerarchia che diventa ancora più netto in prossimità della tornata elettorale dello scorso weekend. Solo nella giornata di lunedì 7 maggio, giorno di chiusura dei seggi e di diffusione dei risultati delle consultazioni, si sono generati sul web circa 8.300 messaggi sul Movimento 5 Stelle, più del doppio di quanti rilevati nello stesso giorno per il Partito Democratico (poco più di 3.500 messaggi).

Una giornata inevitabilmente frenetica, durante la quale la ricerca della notizia in tempo reale e dell’anticipazione o indiscrezione ha potuto prendere luogo proprio sui social network, con il 72% dei post su Beppe Grillo provenienti da Facebook e il 24% da Twitter.

[credits Francesco Russo]

Epilogo

Grillo era Grillo quando parlava come Grillo e dei temi di Grillo. Da quando i suoi manager e finanziatori sono alle sue spalle, e gli dettano l’agenda, sono spariti tutti i temi caldi.

Non si parla più delle e contro le multinazionali. Non si prende alcuna posizione politica su cui schierarsi, nemmeno sulla scuola. Gli unici temi caldi sono “la lotta a questo Stato”. L’opposizione non a questo o quel partito ma alla politica in sé e per sé. La platea di riferimento gli scontenti,e tutti i delusi. Il bacino cui attingere, i giovani che non hanno esperienza politica di alcun genere, e quindi non conoscenza della dialettica, delle forme della democrazia interna, che non hanno mai avuto spazio, e che non hanno competenze né esperienze, e quindi di per sé riconoscenti e manipolabili.

ACCANTO A QUESTO UNICO MESSAGGIO, L’UNICO VERO TEMA CHE STA A CUORE A GRILLO È CHE L’ITALIA DICHIARI IL DEFAULT, NON PAGHI IL PROPRIO DEBITO PUBBLICO, E CHE ESCA DALL’EURO. CHE LA COSA RIESCA O MENO, CONTA POCO.

FA APPEAL ED È UN MESSAGGIO “FACILE DA VENDERE”, SOPRATTUTTO NEL WEB, SENZA CONTRADDITORIO, E SOPRATTUTTO SE HAI UNA SCHIERA PRONTA A FARE DA ECO. TEMI SIMILI CHE ABBIAMO ASCOLTATO SINO AD UN CERTO PUNTO ANCHE DAI BLOG DELL’IDV.

SLOGAN IDENTICI RIPETUTI DAL SITO DE “IL FATTO QUOTIDIANO” E DALLE SCELTE EDITORIALI DI “SERVIZIO PUBBLICO”. FAI FACILI CONSENSI, E NELL’IMMEDIATO RACCOGLI QUEI VOTI CHE TOLGONO AI PARTITI STORICI LA POSSIBILITÀ DI GOVERNARE IL PAESE.

 

CHI CI GUADAGNA IN TUTTO QUESTO?

I clienti della Casaleggio. Quelle multinazionali che hanno tutto l’interesse a che una moneta si svaluti, che un’altra si rafforzi, anche grazie ad una incertezza o inaffidabilità politica. Filippo Pittarello (che lavora per la Casaleggio Associati e segue Beppe nei suoi tour, nonché i contatti con i meetup) ha dichiarato che il candidato ideale avrebbe dovuto avere più soft skills che hard skills, cioè più attitudini che competenze. Una volta eletto, doveva essere bravo con internet per mandare tutto ad una ‘squadra di esperti’ che gli avrebbero detto cosa dire. Questa sarebbe la “democrazia dal basso” – quella della rete – secondo la Casaleggio Assaciati.

 

 

Equitalia e Agenzia Entrate: cosa succede prima e dopo la cartella di pagamento

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A proposito di libertà: Avere problemi con il fisco e, di conseguenza, con Equitalia non vuol dire necessariamente essere evasori. E questo, non tanto perché il sistema tributario italiano è così stringente da andare oltre le materiali possibilità del contribuente (si pensi al fatto che le retribuzioni percepite da gennaio fino a giugno servono a pagare le tasse), ma soprattutto perché molti degli errori che si commettono nel dare al Fisco e agli altri enti quanto dovuto si fanno in buona fede. Spesso regna l’incertezza non solo nei contribuenti, ma anche tra i commercialisti, i Caf e gli stessi burocrati.   L’Agenzia delle entrate si riserva il diritto di verificare che quanto da voi dichiarato corrisponda al vero, che i documenti presentati giustifichino le somme pagate. Che, insomma i conti tornino. In caso contrario: che succede?   Quando risulta che il contribuente ha versato meno del dovuto, inizia una procedura che si sviluppa in diverse fasi.   1. Il primo passo è l’invio di un avviso di accertamento. Serve a informare la persona dell’incongruenza emersa dai controlli e a dargli l’opportunità di mettersi subito in regola, pagando una sanzione ridotta.   2. Se questo non avviene, parte la cartella esattoriale vera e propria.   3. Se neanche questa viene pagata, si può arrivare alla riscossione coattiva, con ipoteche e pignoramento dei beni del debitore.   Avvisi di accertamento Vi sono tre tipi di attività di controllo che l’Agenzia delle entrate svolge sulle dichiarazioni dei contribuenti.   Il controllo automatico ne evidenzia la correttezza o ne rileva gli errori. In caso emergessero irregolarità, la comunicazione vi arriva tramite raccomandata a/r al vostro indirizzo di residenza ed eventualmente ne riceve copia anche l’intermediario che si è occupato di presentare la dichiarazione per vostro conto (per esempio, il Caf).   Il controllo formale verifica la conformità dei dati della dichiarazione con la documentazione giustificativa (spese mediche, documenti di enti previdenziali, banche, assicurazioni, ecc.). In pratica, vi arriva una richiesta di trasmettere all’Agenzia delle entrate la documentazione che comprovi la correttezza dei dati dichiarati e di fornire eventuali chiarimenti se emergono incongruenze. In caso di errori, gli esiti di questo controllo formale vi sono comunicati per lettera, insieme alla richiesta di pagamento delle somme dovute.   Il terzo tipo di controllo, da cui può scaturire un avviso di accertamento, è quello che riguarda la liquidazione della tassazione separata. L’Agenzia delle entrate determina l’imposta dovuta sui redditi per i quali sono già stati versati acconti, come nel caso del trattamento di fine rapporto o degli arretrati di stipendio o di pensione. Se la differenza tra quanto pagato  quanto dovuto è a vostro sfavore, non vi verrà comunque chiesto il pagamento di sanzioni o interessi, ma solo delle somme ancora dovute.   Altri avvisi Accertamento esecutivo Gli avvisi di accertamento esecutivo sono quelli emessi dopo il primo ottobre 2011 dall’Agenzia delle entrate per imposte sui redditi, addizionali, Irap, Iva e ritenute oppure imposte sostitutive relative agli anni dal 2007 in poi. Questo particolare tipo di avviso di accertamento riguarda quindi esclusivamente i debiti nei confronti dello Stato. Tutti gli altri tipi di imposte (per esempio Imu, multe, Tari, ecc.), invece, non seguono questo procedimento.   Prima si passava dall’avviso di accertamento all’iscrizione a ruolo con emissione della cartella esattoriale, che veniva quindi inviata al contribuente. Ora, invece, gli avvisi di accertamento esecutivi non prevedono più questo passaggio. Quindi, una volta che sono trascorsi i termini prestabiliti, se il contribuente non ha provveduto a sistemare la sua posizione, l’ufficio accertatore affida a Equitalia la riscossione coattiva delle somme.   Gli avvisi di accertamento esecutivo contengono l’intimazione ad adempiere all’obbligo di pagare le somme richieste entro 60 giorni dalla notifica. Trascorso questo termine diventano esecutivi e devono quindi riportare l’indicazione che trascorsi ulteriori 30 giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione sarà affidata all’agente della riscossione, senza ulteriore notifica tramite cartella esattoriale.   Pagare o no? Anche il Fisco sbaglia: perciò non è detto che quanto vi viene contestato sia necessariamente vero o totalmente corretto.   Se vi rendete conto che la richiesta è legittima, pagate entro il termine indicato nell’avviso le somme dovute, oltre a eventuali interessi e sanzione ridotta. Potete farlo con il modello F24 precompilato, inserito nell’avviso, che indica già la cifra da versare, telematicamente, in banca, negli uffici postali o presso Equitalia, agente incaricato della riscossione.   Se invece la richiesta non vi convince e la ritenete infondata, non è detto che dobbiate subito ricorrere all’avvocato. Potrete prima rivolgervi a uno qualsiasi degli uffici dell’Agenzia delle entrate e fornire tutti gli elementi che dimostrano la correttezza dei pagamenti fatti, per esempio acconti versati e ricevute di spese sostenute e documentate di cui il Fisco non aveva tenuto conto.   Può anche capitare che il Fisco abbia ragione solo in parte, cioè che non dobbiate pagare tutto quello che l’avviso vi richiede, ma solo una quota. In tal caso è necessario che l’Agenzia emetta una nuova comunicazione a parziale rettifica della precedente, con l’importo corretto, comprensivo di sanzioni e interessi, da pagare entro i 30 giorni successivi all’emissione del nuovo avviso.   A rate si può Può accadere che le somme dovute al Fisco siano ragguardevoli e che non siate in grado di pagare in un’unica soluzione. In questi casi potete chiedere di rateizzare:   a) fino a 5.000 euro si possono chiedere un massimo di 6 rate trimestrali;   b) per cifre superiori è possibile invece ottenere dilazioni fino a 20 rate trimestrali, anche di importo decrescente.   Entro 30 giorni da quando ricevete l’avviso dovete fare domanda di pagamento rateale e la prima rata andrà versata entro 30 giorni da quando ricevete la comunicazione di dilazione. Sull’importo delle rate successive sono dovuti gli interessi al 3,5% annuo.   Tenete presente che il mancato pagamento anche di una sola rata (da versare entro l’ultimo giorno di ciascun trimestre) toglie il diritto alla rateazione e fa partire la cartella esattoriale per le somme restanti, comprensive di interessi e sanzioni (senza riduzioni).

La cartella di Equitalia

Le somme dovute e non versate dai contribuenti all’Agenzia delle entrate o alle amministrazioni locali vengono iscritte a ruolo: chi deve versarle entra cioè a far parte dell’elenco dei debitori che viene poi trasmesso a Equitalia, la società incaricata della riscossione. Gli agenti di Equitalia preparano e mandano le cartelle esattoriali, riscuotono il dovuto e, in caso di mancato pagamento della cartella, procedono all’esecuzione forzata.

 

Cosa contiene la cartella

La notifica delle cartelle ai contribuenti viene fatta attraverso un ufficiale di riscossione o con raccomandata a/r oppure, in caso di irreperibilità, con l’affissione all’albo comunale.

 

Quanto al contenuto, al suo interno si trovano la descrizione del debito, la spiegazione di come pagare e l’indicazione del termine di 60 giorni entro il quale pagare. Si trovano anche le istruzioni su come proporre un ricorso, se il debito segnalato dalla cartella non vi risulta corretto.

 

Scaduti i 60 giorni di tempo che avete a diposizione per pagare la cartella o contestarla, scatta l’aggiunta di importi supplementari, come gli interessi di mora, che maturano su ogni giorno di ritardo, e altri addebiti, le cosiddette “somme aggiuntive”, che scattano sui debiti verso gli enti previdenziali. C’è poi il compenso trattenuto da Equitalia: il 4,65% del debito, se pagato entro i 60 giorni, o il 9% se si sfora il termine, oltre alle spese di notifica (che ammontano a 5,88 euro) e per le procedure di riscossione.

 

Scaduti i 60 giorni, Equitalia deve attivare le procedure di recupero forzoso del credito.

 

 

ZAGREBELSKY: “SULLE RIFORME IL GOVERNO STROZZA IL DIBATTITO CHIEDENDO LA FIDUCIA”

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Secondo il presidente emerito della Corte costituzionale in una poposta inviata al ministro Maria Elena Boschi, “è comprensibile voler abolire il bicameralismo”. Ma avverte: “Così il Senato sarà non elettivo e la Camera sottomessa al governo”. Leggiamo la proposta scritta che il presidente emerito della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, ha inviato il 4 maggio al ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi.

  1. Bicameralismo
Il cosiddetto bicameralismo perfetto è certamente una duplicazione difficilmente giustificabile in quanto le medesime funzioni siano attribuite a due Camere che presentano la stessa sostanza politica, come è oggi, in presenza di analoghe leggi elettorali, le cui marginali e irrazionali differenze circa l’attribuzione dei “premi di maggioranza” sono tali da aver creato una grave disarmonia nella formazione delle maggioranze nell’una e nell’altra, ma non tali da averne fatto due organi di natura diversa. L’incongruenza, di per sé, non deriva dalla partecipazione paritaria a procedimenti comuni. Se le due Camere fossero espressione di “logiche e sostanze politiche” diverse, ma ugualmente apprezzabili e meritevoli di concorrere, ciascuna con il suo originale contributo, alla formazione delle decisioni politiche, non vi sarebbe ragione di scandalo. Anzi: la vita politica ne risulterebbe arricchita. Diverso, invece, il caso in cui le logiche e le sostanze politiche siano le stesse (e per di più organizzate in modo incoerente). In tal caso – che è quello che si è determinato nel nostro Paese – il “bicameralismo perfetto” (per identità di funzioni e di natura delle due Camere) è certamente un’incongruenza costituzionale. Ben vengano, dunque, le discussioni e le proposte per il suo superamento. In questo caso, ma solo in questo, vale l’osservazione (che mi pare risalga all’abate Sieyès) che, se le due Camere sono d’accordo, una delle due è inutile; e che, se non sono d’accordo, una delle due è un impiccio, un anacronismo.
  2. Costi
Ugualmente comprensibile, anzi apprezzabile, è l’intento di alleggerire, di limitare i “posti della politica”, e con essi, i “costi della politica”, purché, naturalmente, ciò non si traduca, come effetto, in difetto di rappresentanza democratica, tanto più in presenza di forti correnti antipolitiche, per compiacere le quali esiste il rischio di cedimenti a soluzioni costituzionali antiparlamentari che possono condurre a governi forti, con contrappesi deboli.
  3. Funzionalità
Altrettanto comprensibile è l’esigenza di funzionalità delle istituzioni parlamentari, funzionalità che è precondizione (insieme alla competenza, alla moralità e alla responsabilità verso i cittadini) per l’efficace difesa della democrazia rappresentativa. Sotto questo aspetto, l’opinione comune è che il bicameralismo, così come l’abbiamo, sia difettoso. È perfino un’ovvietà che, se una legge, per diventare tale, richiede il doppio passaggio in una Camera e nell’altra, i tempi si raddoppiano e, se modifiche sono apportate nella seconda (o terza, o quarta…) lettura, i tempi s’allungano ancora in questo andare e venire che potrebbe non concludersi mai, o concludersi non in tempo utile.

Si tratta appunto di un’ovvietà, ma forse un po’ troppo ovvia. L’argomento del tempo raddoppiato sarebbe incontrovertibile se si trattasse dell’approvazione di una sola legge. Ma se le proposte di legge sono numerose e si accalcano contemporaneamente, creando ingorghi all’entrata del procedimento legislativo, disporre di due porte d’ingresso consente – per continuare nell’immagine – di smaltire il traffico con una velocità doppia. Mentre una Camera lavora su una proposta, l’altra lavora su un’altra. Vero è che al termine del primo round la legge deve passarne un secondo ma, se il quadro politico fosse solido e omogeneo nelle due Camere, si tratterebbe di una mera convalida. Se non lo è, la questione non è tanto costituzionale, quanto politica. Sembra, insomma, doversi temere l’intasamento del procedimento legislativo, per così dire, “a ingresso unicamerale”, cioè precisamente un effetto contrario alle intenzioni riformatrici. A meno che non si decida di sottoporlo a condizioni e termini iugulatori, come quelli indicati nell’art. 72 u.c. del progetto (60 giorni o anche meno, a discrezione del governo, secondo il Regolamento della Camera), termini che farebbero della Camera, nella realtà, un organo di ratifica delle decisioni del Governo, anche perché l’iniziativa legislativa parlamentare, già oggi sottorappresentata, sarebbe ancor più emarginata in un procedimento monocamerale.

Così, la questione della funzionalità delle procedure legislative – in particolare, sotto il profilo della loro messa in moto – si mostra per quella che effettivamente è: una questione che riguarda il posto della rappresentanza parlamentare nelle decisioni politiche, rispetto al governo.

  1. Tempi
D’altra parte, pur senza disporre di numeri e statistiche, mi pare che la questione dell’allungamento dei tempi legislativi sia non di poco sopravvalutata. Quante sono le leggi che vanno e vengono? E, soprattutto, che genere di leggi sono? L’impressione è che si tratti delle leggi di maggior rilievo, sulle quali esistono contrasti che la democrazia parlamentare dovrebbe non soffocare, ma consentire d’esprimersi in libere discussioni. Oppure, che si tratti di veri e propri errori, la cui correzione è nell’interesse stesso della maggioranza e del governo; oppure, ancora, di casi di alleggerimento della tensione politica, come quando si dice (e ancora recentissimamente s’è detto e non per poca cosa: la legge elettorale): per ora approviamo, poi ridiscuteremo. D’altra parte, quando il governo lo ritiene necessario, c’è (quasi) sempre a disposizione la questione di fiducia, che tronca la discussione e fa piazza pulita degli emendamenti, ma sempre sotto il controllo del Parlamento, al quale spetta la parola finale. In mancanza della seconda lettura, che cosa accadrebbe in caso d’errore o di ripensamento? La legge da correggere sarebbe in vigore e occorrerebbe promuovere un nuovo procedimento legislativo per abrogarla o modificarla: sarebbe un’alternativa conveniente, dal punto di vista dell’efficienza? E dal punto di vista della certezza del diritto? Insomma: la seconda lettura non è sempre e solo una perdita di tempo: se fosse una possibilità, quando occorre, invececheunanecessità,anchequandononoccorre,il giudizio in proposito dovrebbe essere diverso da quello corrente.
  2. Riforme
Fin qui, i miei preconcetti, giustificati o ingiustificatichesiano. Ma la questione di fondo, nel mettere mano alla riforma della seconda Camera, è quella della sua sostanza politico-costituzionale. In breve: per quale ragione la si vuole mantenere? E, volendola mantenere in qualche forma, quale funzione rappresentativa le si chiede di svolgere? Schmatizzando e guardando alla storia e agli esempi che ne vengono, i Senati esprimono o ragioni federative, nei confronti dello Stato centrale, o ragioni conservative, di fronte alla Camera elettiva e alle sue mutevoli e instabili maggioranze. Le ragioni federative possono eventualmente, di fatto, risolversi in conservazione e le ragioni conservative possono risolversi in federative. Ma quello che conta è l’accento, cioè la ragione principale e, da questo punto di vista, la distinzione tiene. Il Senato degli Stati Uniti e il Bundesrat tedesco appartengono alla prima categoria; il Senato del Consolato e dell’Impero in Francia (il Sénat detto, per l’appunto, conservateur il quale nel 1814 dispose la decadenza di Napoleone), i Senati delle Carte costituzionali della Restaurazione (dello Statuto Albertino, per esempio) e, per ragioni prevalenti, anche il Senato francese odierno (pur nella sua matrice municipalista) appartengono alla seconda categoria.

Da noi, il dibattito si è orientato pacificamente verso l’idea del Senato come organo rappresentativo delle istituzioni territoriali, cioè – non essendo l’Italia una federazione, se non nel linguaggio politico compiacente – della Repubblica autonomista: non più Senato della Repubblica, ma Senato delle Autonomie, secondo la nuova, rivoluzionaria, denominazione. Rivoluzionaria perché viene mantenuto il divieto di “vincolo di mandato” ma è eliminata (anche per i deputati alla Camera: nuovo art. 67) la “rappresentanza della Nazione”, onde c’è da chiedersi: svincolati in vista di che cosa? Per che cosa saranno eletti? Crediamo che si tratti solo di parole, e non di etica pubblica?

A quanto sembra, l’orientamento anzidetto è dominante in assoluto. Perché ciò che bene funziona in America e in Germania non dovrebbe funzionare altrettanto bene in Italia? Non esistono forse buone ragioni di coordinamento tra enti territoriali anche da noi? E poi chi si arrischierebbe, oggi, a proporre qualcosa di “conservativo”?

  1. Senato
Comprendo bene che le idee, per quanto possano apparire buone – e quella che vorrei proporre all’attenzione mi pare buona – devono tenere conto delle condizioni date. E le condizioni date sono dettate dall’opinione comunemente condivisa che si è appena detta: una concezione che definirei “amministrativistica” e non “costituzionalistica” del Senato prossimo futuro. Si abbia un poco di pazienza. La comparazione con gli Stati effettivamente federali – effettivamente significa non che hanno strutture giuridiche federali o simil-federali, ma che hanno radici in realtà così nettamente definite in senso storico-politico come sono gli Stati federati in Usa o i Länder in Germania – questa comparazione, dunque, mi pare porti a dire che la somiglianza con le nostre Regioni è solo esteriore.

Le nostre Regioni sono grossi apparati politico-amministrativi che riproducono (salvi, forse, i casi della Valle d’Aosta e della provincia di Bolzano) vizi e virtù dell’amministrazione e della politica nazionale: sono, in altri termini, delle articolazioni più o meno felici di quest’ultima. Non è qui il caso di ragionare sulle cause ma, se ciò è vero, che senso ha un Senato delle Autonomie, se non quello di ricondurre e rispecchiare al centro ciò che già il centro ha trasmesso alla periferia? Che sostanza politica, nuova e diversa, quest’organo esprimerebbe? Nessuna, se non eventualmente maggioranze dissimili da quelle politiche che si formano alla Camera dei deputati. Personale politico di partiti si troverebbe a operare qui e là, e il Senato delle Autonomie si risolverebbe in un segmento secondario d’un sistema politico unico che ha da risolvere al suo interno questioni di natura essenzialmente amministrativa, questioni che, comunque, troverebbero sbocco finale nel contenzioso costituzionale, come già succede ora (con le complesse procedure previste, il rischio è di ulteriore confusione). Si tratterebbe d’un organo di contrattazione di risorse finanziarie e porzioni di funzioni pubbliche, in una sorta di do ut des che già oggi trova la sua sede nelle due “Conferenze” paritetiche Stato-RegionieStato-Autonomie locali. Coloro che ragionano con tanta sicurezza di Senato delle Autonomie temo che assumano essere le “autonomie” qualcosa com’essi desidererebbero ch’esse fossero, ma che non sono. E, se sono quelle che sono, invece che quelle che si vorrebbe che fossero, il loro “senato” si riduce a ben poca e inutile cosa.

  1. Costituzione
Se, invece, si volesse cogliere l’occasione della riforma del bicameralismo per un’innovazione che a me parrebbe davvero significativa dal punto di vista non “amministrativistico” ma “costituzionalistico”, tenendo conto di un’esigenza e di una lacuna profonda nell’organizzazione della democrazia, si potrebbe ragionare partendo in premessa dalla considerazione generale che segue.
  2. Futuro

Le democrazie rappresentative tendono alla dissipazione di risorse pubbliche, materiali e immateriali. Sono regimi dai tempi brevi, segnati dalle scadenze elettorali, durante i quali gli eletti, per la natura delle cose umane, cercano la rielezione, cioè il consenso necessario per ottenerlo. Non conosciamo noi, forse, questa realtà? Debito pubblico accumulato da politiche di spesa facile nel cosiddetto ciclo elettorale; sfruttamento delle risorse naturali; devastazione del territorio; attentati alla salute pubblica; abuso dei beni comuni nell’interesse privato immediato; applicazioni a fattori vitali di tecnologie dalle conseguenze irreversibili, ecc. Chi se ne preoccupa, quando premono le esigenze elettorali?

Qui emergono le “ragioni conservative” della seconda Camera: non conservative rispetto al passato, come è stato nel caso dei Senati al tempo delle Monarchie rappresentative, quando si pose la questione del bilanciamento delle tendenze dissipatrici della Camera elettiva e questa, secondo lo schema del “governo misto” fu affiancata dai Senati di nomina regia. Allora, i Senati erano ciò che restava dell’Antico Regime, della tradizione e dei suoi privilegi. Ciò che si voleva conservare era il retaggio del passato. Oggi, si tratta dell’opposto, cioè di ragioni conservative di opportunità per il futuro. Chi è, dunque, più conservatore? Chi, per mantenere o migliorare le proprie posizioni nel mercato elettorale, è disposto a usare tutte le risorse disponibili per ottenere il consenso immediato degli elettori, o chi, invece, si preoccupa, più che non delle sue proprie immediate fortune elettorali, dell’avvenire e di chi verrà dopo di lui?

  1. Proposta

Su questa linea di pensiero, la composizione del nuovo Senato risulta incompatibile con l’idea di membri tratti dalle amministrazioni regionali e locali o eletti in secondo grado dagli organi di queste, la cui durata in carica coincida con quella delle amministrazioni regionali e locali di provenienza. Questa è la prospettiva “amministrativistica”. Nella prospettiva “costituzionalistica” la provvista dei membri del Senato dovrebbe avvenire in modo diverso. Nei Senati storici, a questa esigenza corrispondeva la nomina regia e la durata vitalizia della carica: due soluzioni oggi, evidentemente, improponibili ma facilmente sostituibili con l’elezione per una durata adeguata, superiore a quella ordinaria della Camera dei deputati, e con la regola della non rieleggibilità. A ciò si dovrebbero accompagnare requisiti d’esperienza, competenza e moralità particolarmente rigorosi, contenute in regole d’incompatibilità e ineleggibilità misurate sulla natura dei compiti assegnati agli eletti.

Voci autorevoli si sono levate in questo senso, in evidente contrasto con la concezione del Senato come proiezione delle amministrazioni regionali e locali. Anche l’idea (per quanto forse già tacitamente accantonata) dei 21 senatori che il Presidente della Repubblica “può” nominare (art. 57, comma 5: dunque la composizione del Senato è a numero variabile e il Presidente può riservarsene una quota per eventuali “infornate”?) tra persone particolarmente qualificate corrisponde all’esigenza qui sottolineata. Si tratta d’una proposta, dal punto di vista democratico, insostenibile per una molteplicità di ragioni che i commentatori hanno già messo in luce e, dal punto di vista funzionale, del tutto irragionevole perché mescola elementi eterogenei. Non c’è bisogno di citare letteratura, infatti, per comprendere che un organo che delibera deve essere omogeneo e che, se non è omogeneo, può formulare pareri (potenzialmente diversi) ma non esprimere una (sola) volontà. Ma l’esigenza di cui i 21 sono espressione è valida e può essere soddisfatta anche per via di elezione, purché secondo i criteri sopra detti. Ai quali se ne dovrebbe aggiungere un altro: il numero limitato dei senatori. Negli Stati Uniti sono due per ogni Stato federato. Perché non anche da noi: due senatori per Regione, eletti dagli elettori delle Regioni stesse? Dunque, senza liste, listoni o “listini” che farebbero ancora una volta del Senato una propaggine del sistema dei partiti, con i condizionamenti e gli snaturamenti della loro funzione che ne deriverebbero. Questa, sì, sarebbe una novità, perfettamente democratica e tale da inserire nel circuito politico energie, competenze, responsabilità nuove. Questo, sì, sarebbe un Senato attrattivo per le forze migliori del nostro Paese che il reclutamento partitico della classe politica oggi tiene ai margini.

  1. Pasticcio

Uno dei punti critici del Progetto riguarda la determinazione dei poteri e la definizione del rapporto tra le due Camere nel bicameralismo non paritario, cioè in tutti i casi di legislazione non costituzionale. Secondo il nuovo articolo 70, le leggi ordinarie sono approvate dalla Camera dei deputati, tuttavia ogni disegno di legge approvato (e non promulgato) è trasmesso immediatamente al Senato il quale, entro 10 giorni, su richiesta di 1/3 dei componenti può disporre di esaminarlo e, nei 30 giorni successivi, può deliberare proposte di modifica, sulle quali la Camera, negli ulteriori 20 giorni, si pronuncia in via definitiva. La legge è promulgata se il Senato non dispone di procedere all’esame del testo deliberato dalla Camera, se è decorso il termine per deliberare o se la Camera si è pronunciata definitivamente. In una serie di casi determinati per materie (art. 70, comma 4) la Camera deve conformarsi alla deliberazione del Senato, a meno che non si pronunci in senso diverso a maggioranza assoluta. In materia di bilanci, la Camera non può discostarsi se non a maggioranza assoluta, solo se il Senato si è pronunciato a sua volta a maggioranza assoluta. Non è qui possibile discutere la ragionevolezza di questo labirinto di regole e della bilancia che può pendere ora a favore di una Camera, ora dell’altra, a seconda delle maggioranze, e a seconda delle materie. Questo giuridicismo, applicato a organi politici, è sensato? Può funzionare? Soprattutto, non c’è il rischio di conflitti?

In tema di revisione del titolo V, il Progetto si è orientato al superamento del criterio delle competenze per materia, che l’esperienza ha dimostrato essere fonte di possibili frequenti contrasti. Qui, invece, le materie ricompaiono. Ma, soprattutto, che senso ha la “supervisione” del Senato quando già è nota l’esistenza d’una maggioranza alla Camera, in grado comunque d’imporre la propria scelta? Un lamento, una protesta fine a se stessa, tanto più in quanto la legge elettorale sia tale (ma sarà tale?) da costruire più o meno artificialmente vaste maggioranze legislative alla Camera dei deputati. Se esistono obiezioni, sarà la Camera stessa a prenderne cognizione. Non è che i pro e i contra sono sconosciuti, fino a quando non “scende in campo” un organo abilitato a manifestarli. La procedura davanti al Senato sarà presumibilmente destinata alla sterilità. La controprova della sua futilità è l’assenza della questione di fiducia in questa procedura: il Governo non ne ha bisogno, perché ciò che solo conta è quanto accade alla Camera dei deputati.

Nella prospettiva del superamento “costituzionalistico” del bicameralismo paritario, i problemi di convivenza delle due Camere si potrebbero risolvere così. Alla Camera dei deputati, depositaria dell’indirizzo politico, sarebbe riservato il voto di fiducia (e di sfiducia). Le leggi sarebbero approvate normalmente in una procedura monocamerale. Il Senato, nei casi – si presume di numero assai limitato, ma non elencabili a priori – in cui ritenga essere a rischio i valori permanenti la cui tutela è sua responsabilità primaria, potrebbe chiedere l’attivazione della procedura bicamerale paritaria. Qui ci sarebbe la funzione di garanzia come “camera di ripensamento”, insieme allo snellimento delle procedure in tutti i casi in cui il doppio esame non appare necessario. A sua volta, potrebbe essere proprio la Camera, per semplificare e ridurre i tempi, a chiedere eventualmente che sia il Senato a pronunciarsi per primo.

  1. Autoritarismo

Un’ultima osservazione. Un certo numero di costituzionalisti, nei giorni trascorsi, ha denunciato con toni d’allarme il pericolo d’involuzione autoritaria, anzi padronale, del nostro sistema politico. Volendo vedere solo e isolatamente la questione della riforma del bicameralismo, la denuncia è apparsa eccessiva, allarmistica. Tuttavia, si parlava in quella circostanza della riforma del Senato non in sé stessa, ma come elemento d’un quadro costituzionale, formale e materiale, assai più complesso. Il quadro è composto, sì, dalla marginalizzazione della seconda Camera, ma anche dalle prospettive in cui si annuncia la riforma della legge elettorale, in vista di soluzioni fortemente maggioritarie e debolmente rappresentative, tali da configurare una “democrazia d’investitura” dell’uomo solo al comando, tanto più in quanto i partiti, da associazioni di partecipazione politica, secondo l’art. 49 della Costituzione, si sono trasformati, o si stanno trasformando in appendici di vertici personalistici, e in quanto i parlamentari, dal canto loro, hanno scarse possibilità d’autonomia, di fronte alla minaccia di scioglimento anticipato e al rischio di non trovare più posto,o posto adeguato,in quelle liste bloccate che la riforma elettorale non sembra orientata a superare. La denuncia dunque veniva, e ancora viene, da quello che i giuristi chiamano un “combinato disposto”. La visione d’insieme è quella d’un sistema politico che vuole chiudersi difensivamente su se stesso, contro la concezione pluralistica e partecipativa della democrazia, che è la concezione della Costituzione del 1948. La posta in gioco è alta. Per questo è giusto lanciare l’allarme. Queste, gentile Ministro Boschi, sono in sintesi (una sintesi assai poco sintetica!) le osservazioni che forse avrei potuto sviluppare nell’incontro di lunedì. Della mia assenza ancora mi rammarico e mi scuso. Immagino che i tempi non saranno così stretti da impedire ulteriori confronti, a partecipare ai quali, fin da ora, se i termini degli accordi politici già presi non saranno preclusivi di discussioni costruttive, le comunico la mia disponibilità.

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Dal Fatto Quotidiano del 12-13 luglio 2014

IO SIAMO. INSIEME PER COSTRUIRE UN’ITALIA MIGLIORE. CORRADO PASSERA

Mentre la speranza rinnovatrice delle cinque stelle si va arenando sulle logiche della vecchia politica, quanti non accettano supinamente di assistere al tramonto della Patria, si vanno radunando in una moltitudine sparsa di associazioni che protestano contro l’affronto e l’attacco mortale portati alla Costituzione. Citiamo ad esempio: “Riscossa Italiana” dell’amico Antonio Maria Rinaldi, “Libertà e Giustizia” di Gustavo Zagrebelsky, “Eurexit” della Francesca Donato, “Europa Libera” e la nostra “Associazione Europa Libera”. Da ultimo, Corrado Passera, consapevole che solo un intervento di grande portata e immediato potrà restituire fiducia e speranza agli italiani e arrestare il declino dell’Italia, ha, anch’egli, messo a servizio del Governo, prima e degli Italiani, poi, la sua professionalità e il Suo Amor di Patria e ha fondato il movimento politico “Italia Unica”, la cui visione della politica come progetto collettivo di coinvolgimento dei cittadini ha espresso in un libro, che propongo alla Vostra lettura e alla Vostra riflessione: IO SIAMO.

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LEGGIAMO DI BENEDETTO CROCE, Etica e Politica (I,37). COSA DIREBBE DEL M5S

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E’ nota ormai a pochi la tesi del Croce: essere grave errore affidare decisioni che sono dominio della politica a persone amate o venerate per la loro probità,  candidezza, ingegno scientifico e dottrina, ma sprovviste di capacità e di competenza politica. Leggiamola:

“L’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta d’aeropago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio Paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse,  e, insieme con ciò, la conoscenza e l’abilità in qualche ramo dell’attività umana, che non sia peraltro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice, tecnica”.

“Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare, perché non mai la storia ha attuato quell’ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo. Tutt’al più, qualche volta, episodicamente, ha per breve tempo fatto salire al potere un quissimile di quelle elette compagnie, o ha messo a capo degli Stati uomini da tutti amati e venerati per la loro probità e candidezza e ingegno scientifico e dottrina; ma subito poi li ha rovesciati, aggiungendo alle loro qualifiche quella, non so se del pari  alta, d’inettitudine”.

LETTERA DI ALDO GIANNULLI AL MINISTRO BOSCHI SULLA RIFORMA DEL SENATO

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“Onorevole Ministro,
ho seguito lo scontro che Ella ha avuto in Parlamento con i senatori dei gruppi M5s e Sel, a proposito delle riforme istituzionali in corso d’opera. Ella ha comprensibilmente difeso il suo operato, negando che tali riforme costituiscano una svolta autoritaria caratterizzata da uno spirito illiberale.
Al di fuori della polemica politica –in questo caso particolarmente accesa- vorrei sottoporLe pacatamente alcune considerazioni, a titolo puramente personale, come semplice cittadino e studioso della materia (come storico mi sono spesso occupato delle evoluzioni istituzionali del nostro paese, dal fascismo in poi). Naturalmente, non intendo attribuirLe alcun disegno autoritario e non metto in questione le intenzioni –sicuramente le migliori-, quanto piuttosto indicare alcune dinamiche oggettive che possano andare al di là delle intenzioni –sicuramente le migliori-. Non sarebbe la prima volta che da una norma costituzionale sbagliata seguano conseguenze gravi ed estranee alla volontà del legislatore: sicuramente i costituenti di Weimar che inserirono nel testo l’art. 148 sullo stato d’eccezione, non immaginavano l’uso che ne avrebbero fatto i nazisti solo 12 anni dopo.
Entrando nel merito della questione, il rischio maggiore che io vedo in questa riforma è lo smantellamento delle misure a protezione della Costituzione volute dall’Assemblea Costituente: il sistema elettorale proporzionale (tacitamente sottinteso dal testo), il bicameralismo perfetto con la diversa base elettorale delle due Camere, l’integrazione del collegio elettorale per il Presidente della Repubblica con i rappresentanti regionali, l’istituzione di un giudice di legittimità costituzionale, le maggioranze richieste sia per l’elezione del Presidente quanto dei giudici della Consulta, nonché per il processo di revisione costituzionale costituivano un insieme organico di norme a tutela dei meccanismo di controllo e garanzia della Repubblica, in una raffinata architettura di pesi e contrappesi. E questo, per evitare il rischio di concentrare il potere nelle mani di un solo partito da cui sarebbe nato un regime.
Da circa venti anni è iniziato un processo di “mutamento costituzionale a rate” che ha finito per smantellare quell’accorta architettura a protezione della nostra norma fondamentale.
Di fatto, è con il passaggio dal proporzionale al maggioritario che è venuta meno la principale garanzia, vanificando il valore delle soglie stabilite dall’art. 138. Infatti, vorrei ricordare che nel ventennio appena trascorso è passato il costume, sconosciuto in passato, delle riforme Costituzionali unilaterali, decise dal solo partito di maggioranza. Vorrei ricordare che in nessun sistema basato su una legge elettorale maggioritaria, il processo di revisione costituzionale è totalmente affidato al Parlamento, ma si prevede l’intervento del Capo dello stato, o dell’equivalente della Consulta o del referendum popolare -spesso obbligatorio ed in qualche caso preventivo- nel processo di revisione.
Tuttavia, sin qui, questo processo ha trovato qualche limite nel persistere della struttura bicamerale del nostro ordinamento: proprio la base elettorale regionale ha prodotto costantemente maggioranze di governo assai più risicate al Senato che alla Camera. D’altra parte, la composizione assai varia del collegio elettorale del Presidente (senatori a vita, delegati regionali, diversa composizione dei due rami del Parlamento) ed una persistente prassi costituzionale hanno contribuito a preservare una pur relativa terzietà del Presidente. E (salvo che per la presenza dei delegati regionali) le stesse cose potremmo dire per l’elezione dei giudici costituzionali.
Ora, la riforma in corso di discussione, travolge anche questi residui paletti, lasciando solo quello, tenuissimo, della prassi costituzionale. Con la riduzione del Senato a 95 membri, il Parlamento in seduta comune passa da 1008 membri (più gli ex Presidenti) a 725, per cui la maggioranza assoluta dei votanti scende da 505 a 363 voti. Considerando che l’Italicum prevede un premio elettorale di 354 seggi per il vincitore, si ricava che bastino solo 9 senatori per assicurare al partito di governo il potere di eleggere da solo tanto il Presidente della Repubblica quanto i giudici costituzionali. Il Capo dello Stato, a sua volta, ha il potere di nominare altri 5 giudici che garantirebbero una maggioranza precostituita nella Corte di giudici di ispirazione governativa Con la stessa maggioranza potrebbe essere messo in stato d’accusa il Presidente che, quindi, dal momento dell’elezione al suo possibile deferimento all’Alta Corte, si troverebbe a dipendere totalmente dalla volontà del partito di maggioranza e, dunque, perdere gran parte della sua terzietà. La stessa nomina dei senatori non più a vita, ma per sette anni (esattamente la durata del mandato presidenziale) li configurerebbe come una sorta di “gruppo parlamentare del Presidente” da affiancare alla maggioranza di governo.
Mi si farà notare che le leggi costituzionali dovrebbero comunque passare al vaglio del Senato, che potrebbe avere un colore diverso da quello della Camera. Ma occorre considerare il carattere “iper maggioritario” del processo di formazione del nuovo Senato. Infatti, esso sarebbe eletto a maggioranza dalle assemblee regionali a loro volta elette con sistema maggioritario. Di fatto, questo significa la quasi totale esclusione delle formazioni minori e la spartizione quasi a metà dei rimanente dei seggi fra i due principali partiti (o coalizioni), ma quello di governo potrebbe giocare in più la carta dei 5 senatori di nomina presidenziale.
Di fatto, il partito vincitore delle elezioni avrebbe il concreto potere di mettere mano a piacimento alla Costituzione e, dove non vi riuscisse in sede parlamentare, potrebbe poi sempre contare su una compiacente interpretazione di una Corte Costituzionale addomesticata.
Certamente né Ella né il Suo partito hanno in mente un simile piano di occupazione del potere, ma chi può garantire che domani la maggioranza non sia conquistata da un partito con minori scrupoli democratici?
D’altro canto, onorevole Ministro, non Le sfuggirà la situazione assai critica in cui versa questo processo di revisione costituzionale, condotto da un Parlamento che ha un vizio di rappresentatività dichiarato dalla Corte Costituzionale e che, per di più, ha come obiettivo la nascita di un senato non elettivo ma di secondo grado e di doppia selezione maggioritaria.
Certamente, fra i sistemi di democrazia liberale, non mancano esempi di assemblee senatoriali non elettive, ma espressione di poteri locali o nomine del Capo dello Stato o altro ancora, ma, mi permetto di far notare che in un nessuno di questi casi il Senato ha poteri in materia di leggi costituzionali, ed, inoltre, nessuna di queste assemblee è il prodotto di una doppia selezione maggioritaria, che ne riduce enormemente la rappresentatività.
In definitiva avremmo un Parlamento composto da una Camera di nominati, eletta con criterio maggioritario e con pesanti clausole di sbarramento, ed un Senato di eletti di secondo grado con doppia selezione maggioritaria, dal quale dipenderebbero quasi totalmente tutti gli organi di controllo e garanzia ed il processo di revisione costituzionale: converrà che si tratterebbe di una situazione piuttosto anomala nel quadro delle democrazie liberali. Qualora Ella ritenesse non infondate queste preoccupazioni, sarebbe positivo che si aprisse un confronto, quantomeno sulle possibili misure per mettere in sicurezza la Costituzione. AugurandoLe buon lavoro le porgo i miei rispettosi saluti”
Aldo Giannuli

LETTERA A CHI CREDE IN UN FUTURO PER GLI ITALIANI

SE AMI LA TUA PATRIA, SE NON CREDI PIU’ ALLE 5 STELLE, MA COLTIVI LA SPERANZA

Di nuovo in campagna elettorale e di  nuovo stranieri in casa. La sconfitta elettorale di maggio ha avuto le sue radici nella gestione poco chiara degli obiettivi della campagna elettorale a livello apicale e nella gestione priva di controllo del territorio.

Non vogliamo dar credito ai teoremi del tradimento, ma la campana ha suonato e le cricche dei poveri, createsi nei cerchi riservati e, purtroppo, intorno a qualche eletto, stanno serrando i ranghi, autolegittimandosi in una gerarchia nella quale si sono nominati senza un voto e neppure un mandato, ma con il fine di tramutare ciò che resterà del Movimento della speranza – al diavolo le 5 stelle – nella loro casa poltrona, per il loro futuro, ad ogni costo.

L’incertezza della guida politica dello staff e la pochezza di queste figure di casa nostra hanno già avuto il giudizio della protesta, prima e dell’elettorato, poi.

Il movimento di protesta dei forconi, infatti, mentre, ancora, echeggiava il “tutti a casa” di Grillo e nello stesso tempo che la Consulta decretava la parziale illegittimità del Parlamento e, quindi, a seguire, delle istituzioni scaturitene, ebbene, la protesta dei forconi non si è sposata nelle strade con Voi. Voi siete rimasti sì “Tutti a casa”, pronti a sortire dalle tane all’odore di una candidatura.

E non dico il falso! Mentre un ulteriore pifferaio sta attuando il piano demenziale e diabolico di cancellare la Repubblica parlamentare democratica e instaurare una nuova dittatura. Avrei voluto dire una repubblica plebiscitaria, quella dove il voto accordato a una maggioranza le consente ogni abuso e dove i limiti, le critiche, il dissenso sono delegittimati. Quella repubblica che scaturirà dal combinato disposto del Trattato di Lisbona, della riforma del Senato…del governo e dello Stato e dalla legge elettorale del Governo, non sarà più, di fatto, una repubblica italiana e, neppure, sarà una dittatura italiana, ché quella fascista, scaturita da una identica legge elettorale, quanto meno era italiana. No, si tratterà della dittatura della governance di una provincia dell’”Unione europea dei Mercanti del denaro”. Addio Stato Sociale, addio quarta potenza industriale del mondo. Non potremo più chiamarci cittadini!

Mentre questa tragedia si compie nella indifferenza del popolo, mentre al Parlamento si consuma la battaglia finale, tutte le gerarchie innominabili dei meetup del Movimento sono in corsa per la candidature alle elezioni regionali. Gli eletti, con i loro “collaboratrici”, avanti a tutti. Gli elettori faranno giustizia, ancora una volta, di amici, referenti, collaboratrici di portavoce, organizer a vita, dei loro ruffiani.

Potrebbe, allora, sembrare logico seguire l’esempio di tanti di noi della prima ora e gettare la spugna; ma non c’è soltanto il nostro destino in gioco. E’ in gioco la speranza dell’Italia e Noi dobbiamo fare il possibile perché la speranza accesa da un uomo non si tramuti in illusione, con Grillo o senza Grillo.

Per affrontare questo impegno, bisogna credere sinceramente e consapevolmente nel rinnovamento della politica, eliminando quanti intendono adoperarsi per, poi, presentare il conto del proprio impegno. Un intento rinnovatore, portato avanti con le logiche e i sistemi della vecchia politica, fa altrettanto danno di quella, anzi di più, perché dissangua la protesta. Altrettanto, il rifiuto di affrontare pubblicamente i dubbi e i timori che pone l’involuzione in atto, come anche la perdita di credibilità dello staff, mina il consenso alla base. Nessun timore e nessun rifiuto è giustificato se si crede sinceramente. La discussione fortifica.

Si può ancora e dobbiamo ancora credere in un futuro migliore per questo amato Paese.

Mario Donnini, Vostro

LA LEGITTIMITÀ DEI TRATTATI EUROPEI

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Il problema che sollevano i Trattati europei nei confronti dello Stato-Nazione sul piano costituzionale può essere affrontato soltanto partendo da quale tipo di unione si possa perseguire fra le diverse nazioni del continente.

E’, infatti, di tutta evidenza che una unione non possa realizzarsi intorno e partendo da una moneta comune; ma che debba trovare la sua giustificazione in una comune fondamenta giuridica; ciò che equivale a dire: traendo da una comune radice.

Diciamo subito che, all’origine, l’inserimento della Nazione nel contesto internazionale fu colto con giusto rilievo e con prospettiva quasi profetica dalla Assemblea Costituente, che lo articolò su quattro elementi sostanziali. Ed è d’obbligo notare che il primo di questi elementi si riassunse in una parola sola, sacramentata nell’art. 1 della Costituzione: il lavoro. Non cesserò mai di ricordare che l’enunciazione del correlativo principio lavoristico in capo alla Costituzione lo dobbiamo a quel grande statista che fu Aldo Moro.

Preso atto che la Costituzione trae le sue origini dalla guerra: non dalla guerra mondiale, ma da quella più grande guerra tra il capitale e il lavoro, dobbiamo anche ricordare che questo principio non si esaurisce in un mero concetto economico, contrapposto al capitale, ma che costituisce e dovrà costituire sempre il principio naturale dell’Ordinamento sociale, in quanto in esso trovano il loro punto di equilibrio, da un lato, l’economia, con la sua specializzazione sempre più capillare, la sua organizzazione sempre più complessa e globale, dall’altro, la libertà dell’individuo, in tutte le manifestazioni della sua vita sociale.

Per meglio focalizzare questo concetto questo concetto del lavoro, diremo che esso costituisce la prima finalità politica e democratica dell’ordinamento sociale, cioè a dire, che ogni progresso scientifico, tecnologico, organizzativo deve tendere ad elevare il livello di vita dei cittadini.

Quindi, dalla lettura dell’art. 1, deve scaturire, non più e soltanto una semplice rivendicazione di diritti, ma la ragione stessa della base dei diritti delle persone, del diritto pubblico, fino al diritto internazionale.

Questo, dunque, è il significato giuridico e, oserei dire, per noi, il comando che si trae dal principio lavoristico. E non ci sfugga il momento in cui tale affermazione assunse tutto il suo significato: in un’Europa, in un mondo in cui l’antigiuridicità portata dal conflitto aveva pervaso ogni settore della vita e dove il nuovo ordine mondiale sembrò improntato a una nuova solidarietà e a una sincera collaborazione internazionale, con una impronta a dir poco, evangelica.

Non riusciremmo, però, a dare un quadro sufficiente della deriva impressa da questa Unione europea al diritto dei nostri popoli, se non ripercorressimo a ritroso il cammino della nostra civiltà alla ricerca delle radici comuni dei popoli europei. Un obiettivo quanto mai importante se si vuole procedere sula via dell’unificazione politica del continente.

RIFORMA DEL SENATO. QUADERNO N. 2

Proseguiamo questa nostra disamina del disegno di legge costituzionale n. 1429 riassumendo brevemente ma necessariamente l’oggetto di cui in concreto andremo a discorrere: La costituzione.

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La costituzione è l’atto normativo fondamentale che definisce la natura, la forma, la struttura, l’attività e le regole fondanti di un’organizzazione. E’ la legge fondamentale dell’ Ordinamento Giuridico,; quella che fonda il sistema e ne delimita i poteri. Le Costituzioni sono prodotte dalla sovranità del popolo, di solito per il tramite di una assemblea costituente. Se la costituzione è invece il risultato di una cessione di autorità da parte di un monarca o di un dittatore si parla solitamente di statuto (es. statuto albertino del 1848) o di carta costituzionale. Lo statuto è una costituzione ottriata (cioè concessa da un sovrano sino a quel momento assoluto). Le procedure di aggravamento dell’iter legislativo per la modifica della costituzione sono volte ad ottenere il maggior consenso possibile da parte della collettività e garanzie per le minoranze.

Il processo di integrazione dell’Europa (per quanto oggi appaia in una fase di stanca) ha già raggiunto risultati notevoli ed impone un ripensamento del concetto di costituzione e del concetto correlato di sovranità. È opportuno chiarire che in pratica una costituzione materiale europea già esiste (in base ai tanti trattati già approvati ed alla percezione comune) indipendentemente dal fallimento del Trattato che definisce una Costituzione Europea. E qui, nell’affermazione di questa esistenza, a fronte della bocciatura comminata dai popoli europei con i referendum del 2005, come della esclusione dei popoli dalla sua approvazione, attuata successivamente, notiamo una grave contraddizione.

Infatti, il progressivo muoversi della sovranità dal livello nazionale a quello sovranazionale (sia esso comunitario o federativo, da vedere come si concretizzerà) sta avvenendo in buona parte in forma di trattati tra gli stati-nazione comunitari. In rare occasioni si è fatto ricorso al referendum. A questo punto un’eventuale Costituzione europea sarebbe ancora basata sulla sovranità popolare?

Nel frattempo, come espresso da Maduro, le legislazioni europee prevalgono sulle leggi nazionali, integrandosi finora in modo sufficientemente armonico, a meno che non vadano a toccare i principi fondamentali, solitamente espressi nelle parti iniziali delle costituzioni nazionali. In tali casi alcuni stati (tra cui l’Italia) hanno considerato che siano le Corti costituzionali nazionali a decidere, considerando irrinunciabili i diritti fondamentali.

Se in caso di contrasti è la Corte costituzionale nazionale a decidere, è lì che oggi risiede la sovranità. Un’eventuale Costituzione europea presumibilmente tenderebbe a privare di tale potere le corti nazionali.

La sovranità è uno degli elementi costitutivi dello Stato, insieme al territorio ed al popolo. E’ l’espressione della somma dei poteri di governo (legislativo, esecutivo e giudiziario), riconosciuta ad un soggetto di diritto pubblico internazionale (es. Stato) che può essere una persona od un organo collegiale[1]. Le modalità in cui questa somma di poteri è organizzata e ripartita è detta forma di governo. Lo Stato sovrano è perciò indipendente.

Contenuto essenziale e imprescindibile della sovranità di un popolo è dato dalla propria sovranità in materia di politica monetaria, economica e fiscale. Infatti, l’equazione sovranità eguale indipendenza, esercitata su queste materie, consente a un popolo di pianificare e determinare il proprio futuro. Privare un popolo di questo diritto, senza una sua decisione referendaria, ha un solo appellativo: Tradimento.

L’art. 1 della Costituzione enuncia il principio fondante del nostro Ordinamento repubblicano-democratico: 

“L’Italia è una Repubblica Democratica fondata sul Lavoro.

La Sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”

Perché Democratica e non Oligarchica, o meglio e con Montesquieu, Aristocratica è spiegato dal secondo comma: La Sovranità appartiene al popolo, tutto il popolo, non a una maggioranza. E qui voglio citare qualcosa avvenuto 91 anni fa:

ACCADDE COSI’: sabato, 9 giugno 1923 
Il Governo presenta alla Camera il disegno di legge di modifica della legge elettorale politica (n. 2120), predisposto dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giacomo Acerbo. Il disegno di legge di riforma elettorale prevede l’adozione del sistema maggioritario all’interno di un collegio unico nazionale. È, inoltre, introdotto il principio del premio di maggioranza: la lista che ottiene il maggior numero di voti si vede assegnare i due terzi dei seggi (356), mentre i seggi restanti (179) vengono ripartiti su base proporzionale tra le liste rimaste in minoranza.

E CI RISIAMO!

 L’art. 11 della Costituzione afferma la natura pacifica della Repubblica e, a tal fine, recita anche: “(L’Italia) consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la giustizia e la pace tra le nazioni. …” Si parla dell’ONU

art. 117  Costituzione

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie (Lettera così modificata dalla legge costituzionale 20 aprile 2012 n. 1 («Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale »), le cui disposizioni si applicano a decorrere dall’esercizio finanziario relativo all’anno 2014 (articolo 6).);

….

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato (idem, v. l.c. n.1/2012).

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.