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6195.- Siamo stati ingannati sul genocidio di Gaza. Al Jazeera ci ha mostrato come

A un certo punto, è quasi sembrato che gli interessi di Israele e di Hamas, ai danni dei palestinesi, convergessero. Al Jazeera ha tirato le somme, ma non è proprio lecito accusare di atrocità o di genocidio questi popoli così a lungo abbandonati in un bagno di sangue.

Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu looks on as he chairs the weekly cabinet meeting on July 6, 2014 at his Jerusalem office. Violence which rocked east Jerusalem for three days following the kidnap and murder on July 2 of a Palestinian teenager, spread to half a dozen Arab towns in Israel. AFP PHOTO / POOL /GALI TIBBON

Di Sabino Paciolla|Aprile 5th, 2024

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Jonathan Cook e pubblicato su AntiWar. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata. https://www.youtube-nocookie.com/embed/_0atzea-mPY?si=8LIwDPAMZ2eU3SGf

Per settimane, mentre Gaza veniva bombardata e la conta dei morti nella piccola enclave aumentava inesorabilmente, l’opinione pubblica occidentale ha avuto poca scelta se non quella di affidarsi alla parola di Israele su quanto accaduto il 7 ottobre. Circa 1.150 israeliani sono stati uccisi durante un attacco senza precedenti alle comunità israeliane e alle postazioni militari vicino a Gaza.

Neonati decapitati, una donna incinta con l’utero aperto e il feto accoltellato, bambini messi nei forni, centinaia di persone bruciate vive, mutilazioni di cadaveri, una campagna sistematica di stupri di indescrivibile ferocia e atti di necrofilia.

I politici e i media occidentali si sono bevuti tutto questo, ripetendo acriticamente le accuse e ignorando la retorica genocida di Israele e le operazioni militari sempre più genocide che queste affermazioni sostenevano.

Poi, mentre la montagna di cadaveri a Gaza aumentava ancora, le presunte prove sono state condivise con pochi, selezionati giornalisti e influencer occidentali. Sono stati invitati a proiezioni private di filmati accuratamente curati da funzionari israeliani per dipingere il peggior quadro possibile dell’operazione di Hamas.

Questi nuovi iniziati hanno offerto pochi dettagli, ma hanno lasciato intendere che i filmati confermassero molti degli orrori. Hanno prontamente ripetuto le affermazioni israeliane secondo cui Hamas sarebbe “peggiore dell’Isis”, il gruppo dello Stato Islamico.

L’impressione di una depravazione senza pari da parte di Hamas è stata rafforzata dalla volontà dei media occidentali di permettere ai portavoce israeliani, ai sostenitori di Israele e ai politici occidentali di continuare a diffondere incontrastati l’affermazione che Hamas avesse commesso atrocità indicibili e sadiche – dalla decapitazione e dal rogo di bambini alla realizzazione di una campagna di stupri.

L’unico giornalista dei media mainstream britannici a dissentire è stato Owen Jones. Concordando sul fatto che il video di Israele mostrasse crimini terribili commessi contro i civili, ha notato che nessuno degli atti barbari sopra elencati era incluso.

Ciò che è stato mostrato è stato invece il tipo di crimini terribili contro i civili che sono fin troppo comuni nelle guerre e nelle rivolte.

Coprire il genocidio

Jones ha dovuto affrontare una raffica di attacchi da parte dei colleghi che lo accusavano di essere un apologeta delle atrocità. Il suo stesso giornale, il Guardian, sembra avergli impedito di scrivere di Gaza sulle sue pagine.

Ora, dopo quasi sei mesi, la morsa narrativa esclusiva su quegli eventi da parte di Israele e dei suoi accoliti mediatici è stata finalmente spezzata.

La scorsa settimana, Al Jazeera ha trasmesso un documentario di un’ora, intitolato semplicemente “7 ottobre”, che permette al pubblico occidentale di vedere con i propri occhi ciò che è avvenuto. Sembra che il racconto di Jones fosse il più vicino alla verità.

Tuttavia, il filmato di Al Jazeera si spinge ancora più in là, divulgando per la prima volta a un pubblico più vasto fatti che per mesi hanno occupato i media israeliani, ma che sono stati accuratamente esclusi dalla copertura occidentale. Il motivo è chiaro: questi fatti coinvolgerebbero Israele in alcune delle atrocità che per mesi ha attribuito ad Hamas.

Middle East Eye ha messo in evidenza questi clamorosi buchi nella narrazione mediatica occidentale già a dicembre. Da allora non è stato fatto nulla per correggere il record.

L’establishment mediatico ha dimostrato di non potersi fidare. Per mesi hanno recitato con fede la propaganda israeliana a sostegno di un genocidio.

Ma questa è solo una parte dell’accusa nei suoi confronti. Il suo continuo rifiuto di riferire le prove sempre più evidenti dei crimini perpetrati da Israele contro i suoi stessi civili e soldati il 7 ottobre suggerisce che ha intenzionalmente coperto il massacro di Israele a Gaza.

L’unità investigativa di Al Jazeera ha raccolto molte centinaia di ore di filmati dalle bodycam indossate dai combattenti di Hamas e dai soldati israeliani, dalle dashcam e dalle telecamere a circuito chiuso per compilare il suo documentario che sfata i miti.

Il documentario dimostra cinque cose che mettono in discussione la narrazione dominante imposta da Israele e dai media occidentali.

In primo luogo, i crimini commessi da Hamas contro i civili in Israele il 7 ottobre – e quelli che non ha commesso – sono stati utilizzati per mettere in ombra il fatto che il 7 ottobre Hamas ha condotto una spettacolare e sofisticata operazione militare per uscire da una Gaza assediata da tempo.

Il gruppo ha messo fuori uso i sistemi di sorveglianza di punta di Israele che avevano tenuto imprigionati per decenni i 2,3 milioni di abitanti dell’enclave. Ha fatto breccia nella barriera altamente fortificata di Israele che circonda Gaza in almeno 10 punti. E ha colto alla sprovvista i numerosi campi militari israeliani vicini all’enclave, che avevano fatto rispettare l’occupazione a distanza.

Quel giorno sono stati uccisi più di 350 soldati israeliani, poliziotti e guardie armate.

Un’arroganza coloniale

In secondo luogo, il documentario mina la teoria della cospirazione secondo cui i leader israeliani avrebbero permesso l’attacco di Hamas per giustificare la pulizia etnica di Gaza – un piano a cui Israele sta lavorando attivamente almeno dal 2007, quando sembra aver ricevuto l’approvazione degli Stati Uniti.

È vero, i funzionari dell’intelligence israeliana coinvolti nella sorveglianza di Gaza avevano avvertito che Hamas stava preparando una grande operazione. Ma questi avvertimenti sono stati ignorati non a causa di una cospirazione. Dopotutto, nessuno dei vertici israeliani ha tratto vantaggio da ciò che è accaduto il 7 ottobre.

Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu è politicamente finito a causa dell’attacco di Hamas e probabilmente finirà in prigione dopo la fine dell’attuale carneficina a Gaza.

La risposta genocida di Israele al 7 ottobre ha reso il marchio di Israele così tossico a livello internazionale, e ancora di più presso le opinioni pubbliche arabe della regione, che l’Arabia Saudita ha dovuto interrompere i piani per un accordo di normalizzazione, che era stata la speranza finale di Israele e Washington.

L’operazione di Hamas ha distrutto la reputazione mondiale di invincibilità dell’esercito israeliano. Ha ispirato Ansar Allah (gli Houthi) dello Yemen ad attaccare navi nel Mar Rosso. Sta rafforzando l’arcinemico di Israele, Hezbollah, nel vicino Libano. Ha rinvigorito l’idea che la resistenza sia possibile in tutto il Medio Oriente, tanto oppresso.

Non è stata una cospirazione ad aprire la porta all’attacco di Hamas. È stata l’arroganza coloniale, basata su una visione disumanizzante condivisa dalla stragrande maggioranza degli israeliani, secondo cui essi erano i padroni e i palestinesi – i loro schiavi – erano troppo primitivi per sferrare un colpo significativo.

Gli attentati del 7 ottobre avrebbero dovuto costringere gli israeliani a rivalutare il loro atteggiamento sprezzante nei confronti dei palestinesi e ad affrontare la questione se il regime pluridecennale di apartheid e di brutale asservimento di Israele potesse – e dovesse – continuare all’infinito.

Prevedibilmente, gli israeliani hanno ignorato il messaggio dell’attacco di Hamas e hanno scavato più a fondo nella loro mentalità coloniale.

Il presunto primitivismo che, si presumeva, rendesse i palestinesi un avversario troppo debole per affrontare la sofisticata macchina militare israeliana è stato ora riformulato come prova di una barbarie palestinese che rende l’intera popolazione di Gaza così pericolosa, così minacciosa, da dover essere spazzata via.

I palestinesi che, secondo la maggior parte degli israeliani, potrebbero essere ingabbiati come polli da batteria per un tempo indefinito e in recinti sempre più piccoli, sono ora visti come mostri che devono essere abbattuti. Questo impulso è stato la genesi dell’attuale piano genocida di Israele per Gaza.

Missione suicida

Il terzo punto che il documentario chiarisce è che l’evasione dalla prigione di Hamas, che ha avuto un successo strepitoso, ha vanificato l’operazione più ampia.

Il gruppo aveva lavorato così duramente sulla temibile logistica dell’evasione – e si era preparato a una risposta rapida e selvaggia da parte dell’oppressiva macchina militare israeliana – che non aveva un piano serio per affrontare una situazione che non poteva concepire: la libertà di perlustrare la periferia di Israele, spesso indisturbati per molte ore o giorni.

I combattenti di Hamas che entravano in Israele avevano dato per scontato che la maggior parte fosse in missione suicida. Secondo il documentario, i combattenti stessi ritenevano che tra l’80 e il 90% non sarebbero riusciti a tornare.

L’obiettivo non era quello di sferrare una sorta di colpo esistenziale contro Israele, come i funzionari israeliani hanno affermato da allora nella loro determinata razionalizzazione del genocidio. Si trattava di colpire la reputazione di invincibilità di Israele, attaccando le sue basi militari e le comunità vicine e trascinando a Gaza il maggior numero possibile di ostaggi.

Questi sarebbero poi stati scambiati con le migliaia di uomini, donne e bambini palestinesi detenuti nel sistema di incarcerazione militare di Israele – ostaggi etichettati come “prigionieri”.

Come ha spiegato il portavoce di Hamas, Bassem Naim, ad Al Jazeera, l’evasione aveva lo scopo di riportare sotto i riflettori la disperata situazione di Gaza, dopo anni in cui l’interesse internazionale per la fine dell’assedio israeliano era scemato.

A proposito delle discussioni in seno all’ufficio politico del gruppo, egli afferma che il consenso è stato: “Dobbiamo agire. Se non lo facciamo, la Palestina sarà dimenticata, completamente cancellata dalla mappa internazionale”.

Per 17 anni, Gaza è stata gradualmente strangolata a morte. La sua popolazione aveva tentato di protestare pacificamente contro la recinzione militarizzata che circondava la loro enclave ed era stata presa di mira dai cecchini israeliani. Il mondo si era talmente abituato alle sofferenze dei palestinesi che si era spento.

L’attacco del 7 ottobre aveva lo scopo di cambiare le cose, in particolare stimolando nuovamente la solidarietà con Gaza nel mondo arabo e rafforzando la posizione politica regionale di Hamas.

L’obiettivo era quello di rendere impossibile all’Arabia Saudita – il principale mediatore di potere arabo a Washington – la normalizzazione con Israele, completando la marginalizzazione della causa palestinese nel mondo arabo.

In base a questi criteri, l’attacco di Hamas è stato un successo.

Perdita di concentrazione

Ma per molte lunghe ore – con Israele colto completamente alla sprovvista e con i suoi sistemi di sorveglianza neutralizzati – Hamas non ha affrontato il contrattacco militare che si aspettava.

Tre fattori sembrano aver portato a una rapida erosione della disciplina e dello scopo.

Senza un nemico significativo da affrontare o che limitasse il margine di manovra di Hamas, i combattenti hanno perso la concentrazione. I filmati li mostrano mentre litigano su cosa fare dopo, mentre si aggirano liberamente per le comunità israeliane.

A ciò si è aggiunto l’afflusso di altri palestinesi armati che hanno approfittato del successo di Hamas e della mancanza di una risposta israeliana. Molti si sono improvvisamente ritrovati con la possibilità di saccheggiare o regolare i conti con Israele – uccidendo israeliani – per anni di sofferenza a Gaza.

Il terzo fattore è stato l’irruzione di Hamas nel festival musicale Nova, che era stato trasferito dagli organizzatori con breve preavviso vicino alla barriera di Gaza.

Il festival è diventato rapidamente la scena di alcune delle peggiori atrocità, sebbene non assomigli agli eccessi selvaggi descritti da Israele e dai media occidentali.

I filmati mostrano, ad esempio, combattenti palestinesi che lanciano granate contro i rifugi di cemento dove molte decine di partecipanti al festival si stavano riparando dall’attacco di Hamas. In un filmato, un uomo che scappa viene ucciso a colpi di pistola.

In quarto luogo, Al Jazeera ha potuto confermare che le atrocità più estreme, sadiche e depravate non hanno mai avuto luogo. Sono state inventate da soldati, funzionari e soccorritori israeliani.

Una figura centrale in questo inganno è stata Yossi Landau, leader dell’organizzazione religiosa ebraica di pronto intervento Zaka. Lui e il suo staff hanno inventato storie stravaganti che sono state prontamente amplificate non solo da una stampa occidentale credulona, ma anche da alti funzionari statunitensi.

Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha raccontato graficamente di una famiglia di quattro persone massacrata a colazione. Al padre è stato cavato un occhio davanti ai due figli, di otto e sei anni. Alla madre fu tagliato il seno. Alla ragazza fu amputato un piede e al ragazzo furono tagliate le dita, prima di essere giustiziati. I boia si sono poi seduti a mangiare accanto alle loro vittime.

Ma le prove dimostrano che nulla di tutto ciò è realmente accaduto.

Landau ha anche affermato che Hamas ha legato decine di bambini e li ha bruciati vivi nel Kibbutz Be’eri. Altrove, ha ricordato che una donna incinta è stata uccisa con un colpo di pistola, il suo ventre è stato aperto e il feto è stato accoltellato.

I funzionari del kibbutz negano qualsiasi prova di queste atrocità. I racconti di Landau non corrispondono a nessuno dei fatti noti. Il 7 ottobre morirono solo due bambini, entrambi uccisi involontariamente.

Quando viene interpellato, Landau si offre di mostrare ad Al Jazeera la foto del feto pugnalato sul suo cellulare, ma viene filmato mentre ammette di non essere in grado di farlo.

Inventare le atrocità

Allo stesso modo, la ricerca di Al Jazeera non trova prove di stupri sistematici o di massa il 7 ottobre. In realtà, è Israele che ha bloccato gli sforzi degli organismi internazionali per indagare sulle violenze sessuali di quel giorno.

Autorevoli organi di stampa come il New York Times, la BBC e il Guardian hanno ripetutamente dato credibilità alle affermazioni di stupri sistematici da parte di Hamas, ma solo ripetendo senza riserve la propaganda delle atrocità israeliane.

Madeleine Rees, segretario generale della Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà, ha dichiarato ad Al Jazeera: “Uno Stato ha strumentalizzato gli orribili attacchi alle donne per giustificare, crediamo, un attacco a Gaza, dove la maggior parte delle vittime sono altre donne”.

In altri casi, Israele ha incolpato Hamas di aver mutilato i corpi delle vittime israeliane, anche passandoci sopra con la macchina e spaccando loro il bacino. In diversi casi, l’inchiesta di Al Jazeera ha dimostrato che i corpi erano di combattenti di Hamas mutilati o investiti da soldati israeliani.

Il documentario osserva che i media israeliani – seguiti da quelli occidentali – “non si concentrano sui crimini che hanno commesso [Hamas], ma su quelli che non hanno commesso”.

La domanda è: perché, quando c’erano molte atrocità reali di Hamas da raccontare, Israele ha sentito il bisogno di fabbricarne di ancora peggiori? E perché, soprattutto dopo che è stata smentita l’invenzione iniziale dei bambini decapitati, i media occidentali hanno continuato a riciclare con credulità storie improbabili di efferatezze di Hamas?

La risposta alla prima domanda è che Israele aveva bisogno di creare un clima politico favorevole che giustificasse il suo genocidio a Gaza come necessario.

Netanyahu viene mostrato mentre si congratula con i leader di Zaka per il loro ruolo nell’influenzare l’opinione pubblica mondiale: “Abbiamo bisogno di guadagnare tempo, che guadagniamo rivolgendoci ai leader mondiali e all’opinione pubblica. Voi avete un ruolo importante nell’influenzare l’opinione pubblica, che influenza anche i leader”.

La risposta alla seconda domanda è che i preconcetti razzisti dei giornalisti occidentali hanno fatto sì che si convincessero facilmente che la gente di colore fosse capace di una tale barbarie.

Direttiva Hannibal

In quinto luogo, Al Jazeera documenta mesi di copertura mediatica israeliana che dimostra come alcune delle atrocità imputate ad Hamas – in particolare quelle relative al bruciare vivi gli israeliani – fossero in realtà responsabilità di Israele.

Privata di una sorveglianza funzionante, una macchina militare israeliana furiosa si è scagliata alla cieca. I filmati degli elicotteri Apache li mostrano mentre sparano all’impazzata su auto e persone che si dirigono verso Gaza, senza riuscire a capire se si tratta di combattenti di Hamas in fuga o di israeliani presi in ostaggio da Hamas.

In almeno un caso, un carro armato israeliano ha sparato una granata contro un edificio nel Kibbutz Be’eri, uccidendo i 12 ostaggi israeliani all’interno. Uno di essi, Liel Hetsroni, di 12 anni, i cui resti carbonizzati hanno reso impossibile l’identificazione per settimane, è diventato il manifesto della campagna israeliana per incolpare Hamas di essere dei barbari per averla bruciata viva.

Il comandante responsabile dei soccorsi a Be’eri, il colonnello Golan Vach, viene mostrato mentre inventa ai media una storia sulla casa che Israele stesso aveva bombardato. Ha affermato che Hamas aveva giustiziato e bruciato otto bambini nella casa. In realtà, nessun bambino è stato ucciso lì – e quelli che sono morti nella casa sono stati uccisi da Israele.

La devastazione diffusa nelle comunità dei kibbutz – ancora imputata ad Hamas – suggerisce che il bombardamento di questa casa in particolare da parte di Israele è stato tutt’altro che un caso isolato. È impossibile determinare quanti altri israeliani siano stati uccisi dal “fuoco amico”.

Queste morti sembrano essere legate alla frettolosa invocazione da parte di Israele, quel giorno, della cosiddetta “direttiva Hannibal” – un protocollo militare segreto che prevede l’uccisione di soldati israeliani per evitare che vengano presi in ostaggio e diventino merce di scambio per il rilascio di palestinesi tenuti in ostaggio nelle carceri israeliane.

In questo caso, la direttiva sembra essere stata riproposta e utilizzata anche contro i civili israeliani. Straordinariamente, nonostante il furioso dibattito in Israele sull’uso della direttiva Hannibal il 7 ottobre, i media occidentali sono rimasti completamente in silenzio sull’argomento.

Un triste squilibrio

L’unica questione ampiamente trascurata da Al Jazeera è la sorprendente incapacità dei media occidentali di coprire seriamente il 7 ottobre o di indagare sulle atrocità in modo indipendente dai resoconti auto-assolutori di Israele.

La domanda che incombe sul documentario di Al Jazeera è la seguente: come è possibile che nessuna organizzazione mediatica britannica o statunitense abbia intrapreso il compito che Al Jazeera si è assunta? E poi, perché nessuno di loro sembra pronto a utilizzare la copertura di Al Jazeera come un’opportunità per rivisitare gli eventi del 7 ottobre?

In parte, ciò è dovuto al fatto che essi stessi sarebbero incriminati da qualsiasi rivalutazione degli ultimi cinque mesi. La loro copertura è stata tristemente sbilanciata: accettazione a occhi aperti di qualsiasi rivendicazione israeliana di atrocità di Hamas e analoga accettazione a occhi aperti di qualsiasi scusa israeliana per il massacro e la mutilazione di decine di migliaia di bambini palestinesi a Gaza.

Ma il problema è più profondo.

Non è la prima volta che Al Jazeera svergogna la stampa occidentale su un argomento che ha dominato i titoli dei giornali per mesi o anni.

Nel 2017, un’inchiesta di Al Jazeera intitolata The Lobby ha mostrato che Israele era dietro una campagna per diffamare gli attivisti della solidarietà palestinese come antisemiti in Gran Bretagna, con Jeremy Corbyn come bersaglio finale.

Questa campagna diffamatoria ha continuato a riscuotere un enorme successo anche dopo la messa in onda della serie di Al Jazeera, anche perché l’inchiesta è stata uniformemente ignorata. I media britannici hanno ingoiato ogni pezzo di disinformazione diffuso dai lobbisti israeliani sulla questione dell’antisemitismo.

Il seguito di un’analoga campagna di disinformazione condotta dalla lobby pro-Israele negli Stati Uniti non è mai stato trasmesso, a quanto pare dopo le minacce diplomatiche di Washington al Qatar. La serie è stata infine divulgata dal sito web Electronic Intifada.

18 mesi fa, Al Jazeera ha trasmesso un’inchiesta intitolata The Labour Files, che mostrava come alti funzionari del Partito laburista britannico, assistiti dai media del Regno Unito, avessero ordito un complotto segreto per impedire a Corbyn di diventare primo ministro. Corbyn, leader democraticamente eletto dei laburisti, era un critico dichiarato di Israele e un sostenitore della giustizia per il popolo palestinese.

Ancora una volta, i media britannici, che avevano svolto un ruolo così critico nel contribuire a distruggere Corbyn, hanno ignorato l’inchiesta di Al Jazeera.

C’è uno schema che può essere ignorato solo per cecità intenzionale.

Israele e i suoi partigiani hanno libero accesso alle istituzioni occidentali, dove fabbricano affermazioni e calunnie che vengono prontamente amplificate da una stampa credulona.

Queste affermazioni vanno sempre e solo a vantaggio di Israele e danneggiano la causa di porre fine a decenni di brutale sottomissione del popolo palestinese da parte di un regime israeliano di apartheid che sta commettendo un genocidio.

Al Jazeera ha dimostrato ancora una volta che, sulle questioni che le istituzioni occidentali considerano più vitali per i loro interessi – come il sostegno a uno Stato cliente altamente militarizzato che promuove il controllo dell’Occidente sul Medio Oriente ricco di petrolio – la stampa occidentale non è un cane da guardia del potere, ma il braccio delle pubbliche relazioni dell’establishment.

L’inchiesta di Al Jazeera non ha solo rivelato le bugie che Israele ha diffuso sul 7 ottobre per giustificare il suo genocidio a Gaza. Rivela la totale complicità dei giornalisti occidentali in quel genocidio.

Jonathan Cook

6142.- Il diritto di Israele di rinunciare alla dignità.

Uno spregevole uso delle armi. La simpatia per il popolo ebreo non significa condividerne gli atti di terrorismo. Di fronte al cinismo sanguinario, all’orrore della mattanza portata avanti da Israele ci si chiede se veramente vogliamo un simile alfiere dell’Europa in Medio Oriente.

Israele mostra un video con l'assalto della folla ai camion di aiuti

Gaza, strage per prendere il cibo. Israele nega le sue responsabilità

Gaza, assalto ai camion che portavano cibo. I soldati israeliani sparano ed è strage. Il governo Netanyahu si riserva di verificare i dettagli. Condanna della comunità internazionale. 

Da La Nuova Bussola Quotidiana, di Nicola Scopelliti, 02_03_2024Gaza bombardata (La Presse)

Una strage di profughi affamati alla ricerca di cibo: è quanto è accaduto in questi giorni a Gaza. Da tempo, oramai, adulti e bambini, si nutrono quasi esclusivamente di mangimi per animali. Sono gli abitanti della Striscia che non hanno più di che cibarsi, né accesso all’acqua potabile. Le madri, non avendo più latte per i neonati, mettono in bocca ai lattanti un dattero ricoperto da un panno.

In migliaia erano andati, alle quattro del mattino di lunedì scorso, a prendere quel cibo che, finalmente, veniva distribuito dai volontari degli aiuti umanitari. I cittadini israeliani, questa volta, non avevano bloccato i mezzi che trasportavano i viveri destinati agli abitanti di Gaza. La loro protesta, al valico di confine di Kerem Shalom, nel sud dello Stato ebraico, prosegue, infatti, da giorni. Secondo i dimostranti, il blocco degli aiuti potrebbe essere una leva per costringere Hamas a rilasciare gli ostaggi ancora prigionieri dei miliziani palestinesi. Non si trattava di un convoglio dell’Onu o di ong internazionali. Erano trenta autocarri con rimorchio, inviati da privati, con il via libera del Cogat, il Coordinamento delle attività governative nei territori. Erano semplici cittadini, dunque, andati per procurarsi questi viveri.

I camion provenienti dall’Egitto, appena superati i posti di blocco e giunti a Rimal, nel nord della Striscia, sono stati accerchiati da migliaia di persone, un vero e proprio assalto di gente affamata e allo stremo, pronta a tutto pur di assicurarsi qualcosa. Una guerra tra poveri. Ma su quella calca di disperati, i soldati israeliani hanno aperto il fuoco. I militari con la Stella di Davide hanno puntato le loro micidiali armi contro persone indifese. Senza armi. Il bilancio è tragico: oltre cento morti e 750 feriti, molti dei quali in gravissime condizioni, finiti nell’ospedale Al-Awda, unico nosocomio rimasto operativo nel nord di Gaza, e ancora in grado di fornire i servizi sanitari di base e dove nascono circa venti bambini al giorno, nonostante la mancanza di forniture e attrezzature mediche sufficienti. 

I feriti sono giunti in ospedale su carretti trainati da asini, o trasportati dagli stessi automezzi che avevano distribuito gli aiuti umanitari.  Mohammed Salha, direttore del nosocomio, ha dichiarato che la maggior parte delle persone rimaste ferite nella strage presenta lesioni alla testa, alle gambe e all’addome, compatibili con l’utilizzo di armi da fuoco. Il governo di Netanyahu, da parte sua, definisce l’episodio “una tragedia”, ma si riserva di verificare i dettagli. Sui social, però, girano dei filmati amatoriali dove si vede chiaramente che sono stati i militari a sparare.

Ciò che sconcerta e getta discredito su Israele sono le dichiarazioni di Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza Nazionale: «Quello che è accaduto oggi è una chiara dimostrazione – ha detto – che gli aiuti umanitari a Gaza non sono soltanto una follia, mentre i nostri ostaggi sono trattenuti nella Striscia, ma danneggiano anche i nostri soldati. L’incidente – ha concluso Ben-Gvir – è un’altra chiara ragione per la quale dobbiamo fermare il trasferimento di questi aiuti». Netanyahu non ha fatto alcun commento su quanto dichiarato dal suo ministro e continua a condurre la sua campagna politica parallela a quella militare.

Ma Israele è sempre più isolato a livello internazionale. La disapprovazione all’operato dell’esercito ebraico non si è fatta attendere. Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, si è detto “scioccato” ed ha condannato quanto accaduto nella Striscia di Gaza, aggiungendo che è indispensabile un’indagine indipendente, per individuare i responsabili. Per la Casa Bianca, gli spari a Gaza sono un incidente grave, e l’accaduto è all’esame, per le varie versioni “contraddittorie”. Ora, però, la tregua è a rischio. Nonostante i malumori di tutte le cancellerie mondiali il primo ministro Netanyahu, in un discorso televisivo, ha ribadito che Israele non cederà ad Hamas e continuerà la guerra fino al raggiungimento degli obiettivi previsti.

I civili morti nella Striscia aumentano di giorno in giorno, e hanno ora superato il numero di 30mila unità, in soli 146 giorni di guerra; contro i 26 mila, in un anno, nel 2006, durante la guerra in Iraq. Ma a questa sinistra conta vanno aggiunte le vittime di quest’ultimo evento.

Un altro triste fatto di cronaca va, purtroppo, registrato: il portavoce della Brigata al Qassam, attraverso il canale Telegram, ha annunciato ieri pomeriggio che sette ostaggi israeliani sono stati uccisi in seguito al bombardamento di Gaza da parte dell’esercito israeliano. La notizia non è stata confermata dal governo Netanyahu.

«Se non si risolverà questo problema alla radice – ha detto il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini – non ci sarà mai la stabilità che tutti auspichiamo. La tragedia di questi giorni deve condurci tutti, religiosi, politici, società civile, comunità internazionale, ad un impegno, in questo senso, più serio di quanto fatto fino ad ora. Solo così si potranno evitare altre tragedie. Lo dobbiamo alle tante, troppe vittime di questi giorni, e di tutti questi anni. Non abbiamo il diritto di lasciare ad altri questo compito».

Nel frattempo, proseguono gli incontri a Mosca, sollecitati da Vladimir Putin. Rappresentanti di Hamas e Fatah si sono incontrati per fare il punto della situazione, sia sull’attuale conflitto, che su quanto potrà accadere nel futuro. In una dichiarazione congiunta è stato sottolineato che gli incontri proseguiranno e si svolgeranno sotto la bandiera dell’Olp, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.

Aviolancio di pacchi USA contenenti circa 38.000 pasti

Da Washington, 02 marzo 2024, Redazione ANSA

Riferisce un funzionario americano che gli Stati Uniti, dopo che nella notte hanno bloccato una dichiarazione di condanna del consiglio di sicurezza dell’Onu, sulla strage della folla in attesa di aiuti ieri a Gaza, hanno iniziato il lancio di aiuti a Gaza da aerei militari.Tre C-130 dell’Air Forces Central hanno lanciato su Gaza 66 pacchi contenenti circa 38.000 pasti alle 14.30 ora italiana.

6129.- L’asse Sud Africa-Hamas-Iran.

Questa guerra non è soltanto di Israele. Che si svolga in Europa o in Medio Oriente, è la continuazione della Guerra Fredda, tutt’altro che conclusa. I suoi attori tentano ognuno di legittimarsi, ma tutti, nessuno escluso, si battono per mantenere le loro posizioni, con la differenza di Israele, che sta rischiando molto, molto di più. Siamo contro la politica di Netanyahu perché è grezza e proprio la sua radicalità non risolverà i problemi alla radice. In estrema sintesi, ne guadagnerebbe andando incontro all’avversario anziché tentare di sradicarlo, perché ogni bomba seminerà un nuovo terrorista.

Da Gatestone institute, di Robert Williams  •  15 Febbraio 2024. Traduzione libera.

  • Secondo NGO Monitor, il caso del Sud Africa all’ICJ si basa su rapporti di gruppi con legami con organizzazioni terroristiche. “La documentazione presentata dal Sud Africa alla corte contiene non meno di 45 riferimenti a pubblicazioni di ONG, tra cui diversi provenienti da gruppi legati al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un’organizzazione terroristica.” — Wall Street Journal, 29 gennaio 2024.
  • “Il governo sudafricano è la stessa cosa di Hamas. È un rappresentante iraniano, e il suo ruolo nella guerra è combattere la guerra ideologica e di idee per stigmatizzare gli ebrei in tutto il mondo”. — Dr. Frans Cronje, ex CEO del South African Institute for Race Relations, justthenews.com, 26 gennaio 2024.
  • Mentre l’ICJ si è rifiutata di archiviare il caso contro Israele e probabilmente trascorrerà i prossimi anni a deliberare sul presunto e immaginario “genocidio” di Israele, John Spencer, che è presidente degli studi sulla guerra urbana presso il Modern War Institute di West Point e un ufficiale militare americano in pensione, ha sostenuto che Israele minimizza le vittime civili più di qualsiasi altro militare nella storia, e ha elencato numerosi esempi degli sforzi compiuti dall’IDF per proteggere i civili, come l’avvertimento prima di lanciare attacchi militari.
  • “Israele ha adottato più misure per evitare inutili danni ai civili di praticamente qualsiasi altra nazione che abbia combattuto una guerra urbana… Nessun militare nella storia moderna ha affrontato oltre 30.000 difensori urbani in più di sette città usando scudi umani e nascondendosi in centinaia di miglia di reti sotterranee appositamente costruite sotto siti civili, mentre tengono centinaia di ostaggi… L’unico motivo delle morti civili a Gaza è Hamas. Da parte di Israele, è stato più attento a prevenirli di qualsiasi altro esercito nella storia umana.” – John Spencer Newsweek, 31 gennaio 2024.
  • Secondo quanto riferito, si starebbe intraprendendo un’azione per portare l’Iran davanti alla Corte internazionale di giustizia con l’accusa di genocidio. La mossa è attesa da tempo.

L’Iran ha chiesto che Israele fosse perseguito davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, e il Sud Africa ha prontamente risposto, servendo direttamente gli interessi iraniani con la sua causa di genocidio contro Israele. Nella foto: Basem Naim (a sinistra), leader di Hamas ed ex ministro della Sanità di Gaza, e Khaled Al-Qaddumi, rappresentante di Hamas in Iran, parlano durante una conferenza stampa a Città del Capo, in Sud Africa, il 29 novembre. (Foto di Rodger Bosch /AFP tramite Getty Images)

Qualche tempo dopo l’ottobre 2015, Hamas, a seguito di un incontro ad alto livello tra il partito al governo del Sudafrica, l’ANC, e i leader di Hamas, ha aperto un ufficio in Sud Africa.

Il segretario generale dell’ANC Gwede Mantashe disse all’epoca che Hamas avrebbe “imparato molto” dal governo sudafricano.

“Stiamo discutendo se Hamas non debba aprire uffici in Sud Africa per poter parlare”, ha detto Mantashe, aggiungendo che l’apertura dell’ufficio è stata in parte finalizzata a “migliorare la comunicazione” tra l’ANC e Hamas. dalla nostra solidarietà e intensificando la lotta della stessa Palestina.”

Il Sud Africa ha recentemente “intensificato la lotta” per Hamas quando si è assunto la responsabilità di intraprendere azioni legali per conto di Hamas e ha accusato Israele di “commettere un genocidio” presso la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ). Secondo NGO Monitor, il caso del Sud Africa all’ICJ si basa su rapporti di gruppi con legami con organizzazioni terroristiche.

“La documentazione presentata dal Sudafrica alla corte contiene non meno di 45 riferimenti a pubblicazioni di ONG, tra cui diverse provenienti da gruppi legati al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un’organizzazione terroristica. Il personale e i membri del consiglio di questi gruppi legati al FPLP facevano parte del La delegazione sudafricana ha partecipato alle udienze pubbliche a metà gennaio e ha contribuito a preparare il caso del Sudafrica.

“Tra i riferimenti contenuti nella petizione alla corte del Sud Africa c’è un rapporto intitolato ‘Apartheid israeliano. Strumento del colonialismo dei coloni sionisti’ di al-Haq, una ONG palestinese che Israele ha designato come ‘organizzazione terroristica’ nel 2021. Secondo Israele, al-Haq è parte di una rete che opera per conto del FPLP…

Il direttore di Al-Haq Shawan Jabarin faceva parte della delegazione del Sud Africa presso l’ICJ… Il 10 ottobre, Ziad Hmaidan, capo dell’unità di formazione e rafforzamento delle capacità di al-Haq, ha celebrato gli attacchi di Hamas, scrivendo su Facebook: “È scritto nell’Hadith: ‘Devi intraprendere la jihad. La migliore jihad è prepararsi alla guerra, ed è meglio prepararsi alla guerra ad Ashkelon, una città israeliana.”

Il ministro degli Esteri sudafricano Naledi Pandor ha parlato con il leader di Hamas appena 10 giorni dopo che il gruppo terroristico iraniano aveva lanciato il massacro contro Israele per affermare “la solidarietà e il sostegno del Sud Africa” ed esprimere “tristezza e rammarico per la perdita di vite innocenti su entrambi i fronti”. lati.” In passato, Pandor ha chiesto che Israele fosse designato “uno stato di apartheid”.

A dicembre, una delegazione di Hamas, guidata da Basem Naim, uno dei leader dell’ufficio politico di Hamas, ha visitato il Sudafrica. La delegazione comprendeva il rappresentante di Hamas in Iran, Khaled Al-Qaddumi, e ha visitato il Parlamento sudafricano, ha incontrato i politici dell’ANC e il nipote di Nelson Mandela, Mandla Mandela.

“Il governo sudafricano è la stessa cosa di Hamas. È un rappresentante iraniano e il suo ruolo nella guerra è combattere la guerra ideologica e di idee per stigmatizzare gli ebrei in tutto il mondo”, ha affermato il dottor Frans Cronje, ex amministratore delegato del Sud Istituto africano di relazioni razziali.

L’Iran ha chiesto che Israele fosse perseguito presso l’ICJ e il Sud Africa ha prontamente risposto, servendo direttamente gli interessi iraniani con il suo caso di genocidio contro Israele.

“Il governo sionista usurpatore deve essere portato in tribunale. Nel contesto della Palestina, il mondo intero è testimone del crimine di genocidio commesso dal regime usurpatore. Il regime sionista usurpatore deve essere perseguito oggi per questo…” Leader Supremo dell’Iran Ali Khamenei ha detto il 17 ottobre, appena 10 giorni dopo il massacro del 7 ottobre.

Pochi giorni dopo, il 22 ottobre, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha tenuto una conferenza stampa congiunta a Teheran con il suo omologo sudafricano, in cui ha affermato che i due avevano “tenuto importanti discussioni sulle relazioni bilaterali e su diverse questioni internazionali, ” e che i due paesi “hanno posizioni e punti di vista comuni sulle questioni internazionali”.

“[Il ministro degli Esteri sudafricano Naledi Pandor ed io] abbiamo anche discusso dei crimini di guerra in corso da parte del regime [israeliano]. Siamo grati per la forte posizione del popolo e del governo del Sud Africa nel loro sostegno alla Palestina e nella lotta contro l’apartheid [di Israele]. Una delegazione sudafricana visiterà Teheran la prossima settimana. Inoltre, il presidente Raisi visiterà il Sud Africa e gli ultimi accordi saranno firmati dalle parti interessate alla presenza dei presidenti di entrambi [i paesi].”

Pandor ha praticamente ammesso che il Sudafrica sta collaborando con l’Iran contro Israele:

“Il Sudafrica ha costantemente dichiarato il suo sostegno alla Palestina. Nessuno dovrebbe subire ingiustizie. Dobbiamo fare di più per sostenere il popolo palestinese… I paesi dovrebbero agire in modo più deciso. Siamo ansiosi di raggiungere questi obiettivi con l’Iran; questo è un obiettivo comune di Iran e Sud Africa.”

A parte il Ciad, il Sudafrica è l’unico paese africano ad aver richiamato il proprio ambasciatore e la propria missione diplomatica in Israele. I legislatori sudafricani hanno votato a favore della rottura completa dei legami. Anche il parlamento sudafricano ha votato a favore della chiusura dell’ambasciata israeliana in Sudafrica, con Israele che richiamerà a casa il suo ambasciatore per consultazioni a novembre.

Mentre l’ICJ si è rifiutata di archiviare il caso contro Israele e probabilmente trascorrerà i prossimi anni a deliberare sul presunto e immaginario “genocidio” di Israele, John Spencer, che è presidente degli studi sulla guerra urbana presso il Modern War Institute di West Point e un ufficiale militare americano in pensione, ha sostenuto che Israele riduce al minimo le vittime civili più di qualsiasi altro militare nella storia e ha elencato numerosi esempi degli sforzi compiuti dall’IDF per proteggere i civili, come gli avvertimenti prima di lanciare attacchi militari.

Spencer ha scritto su Newsweek:

“Israele ha adottato più misure per evitare danni civili inutili di praticamente qualsiasi altra nazione che abbia combattuto una guerra urbana. Infatti, avendo prestato servizio in Iraq per due volte e studiato la guerra urbana per oltre un decennio, Israele ha adottato misure precauzionali anche nel caso Gli Stati Uniti non lo hanno fatto durante le recenti guerre in Iraq e Afghanistan…

“Nessun militare nella storia moderna ha affrontato oltre 30.000 difensori urbani in più di sette città usando scudi umani e nascondendosi in centinaia di chilometri di reti sotterranee appositamente costruite sotto siti civili, tenendo centinaia di ostaggi… L’unica ragione delle morti civili in Gaza è Hamas. Da parte di Israele, è stato più attento a prevenirli di qualsiasi altro esercito nella storia umana.”

Secondo quanto riferito, si starebbe adottando un’azione per portare l’Iran davanti alla Corte internazionale di giustizia con l’accusa di genocidio. La mossa è attesa da tempo.

Robert Williams is a researcher based in the United States.

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6128.- Mossad e Shin Bet, al Cairo, fissano la linea al Qatar e alla CIA. Ombre su Netanyahu e appello di Abbas.

Breve nota di Mario

Acclarato che sia il potere di Hamas che di Netanyahu regge sopratutto sulla vendetta, che Tel Aviv non intende retrocedere nei propri confini, quale altra via se non il genocidio e la diaspora dei palestinesi possono garantire a Israele un percorso di pace e, al mondo, la stabilità del Medio Oriente? Questi morti: i patrioti, i terroristi e gli innocenti, non siano morti invano. C’è concordo sulla soluzione dello Stato palestinese, ma ci sembra prioritario che l’ONU decida i confini di Israele. Può solo pensarlo? Sono in ballo due potenze nucleari: Israele e l’Iran. Alle spalle, c’è chi alimenta la guerra della NATO alla Federazione Russa e la guerra di Putin all’Ucraina. Entrambe impediscono a Washington e a Mosca di dettare, insieme, condizioni a Tel Aviv e a Teheran. Tutto il mondo è in agitazione: dall’Armenia, al Mar Rosso, alle Coree, a Taiwan. Potrebbero? Su tutto ciò sorvola la banalità di Tajani, che, tardi, ma punta al nocciolo della questione: “Da Israele reazione sproporzionata, troppe vittime civili che non c’entrano nulla con Hamas”. In questo momento, mentre l’inverno volge al termine, nella Striscia, ci sono 14°, poche nuvole, pochissimo cibo, acqua, niente elettricità. C’é l’odore dei morti, magari, di mamma e papà.

Appello dell’Anp a Hamas: “Accettate l’accordo con Israele, i palestinesi vanno salvati dalla catastrofe”

anp hamas

Da Il Secolo d’Italia, di Luciana Delli Colli, 14 febbraio 2024

Continueranno per tre giorni i colloqui al Cairo tra Stati Uniti, Israele, Qatar ed Egitto per cercare di raggiungere un accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e il rilascio degli ostaggi in cambio dei detenuti palestinesi dopo che, finora, i negoziati non hanno portato a risultati. A scriverlo è il New York Times citando, a condizione di anonimato, un funzionario egiziano. Il tenore dei colloqui finora è ”positivo”, ha spiegato la fonte. Anche il Times of Israel ha parlato dell’estensione dei negoziati, mentre un lungo retroscena di Haaretz ha gettato ombre sulla volontà del premier Benjamin Netanyahu di arrivare davvero a un accordo. Intanto, il presidente dell’Anp, l’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, oggi, ha lanciato un appello a Hamas affinché accetti un accordo per fermare la guerra.

I negoziati al Cairo per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi

I negoziati sono stati aperti al Cairo da una delegazione di vertice, guidata dal capo del Mossad David Barnea, accompagnato dal capo dello Shin Bet, Ronen Bar. I due funzionari hanno incontrato il primo ministro e ministro degli Esteri del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani e il capo della Cia William Burns. Poi hanno fatto rientro in Israele. Il tavolo ora proseguirà a livelli inferiori. Egitto Qatar e Stati Uniti stanno cercando ancora una volta di raggiungere un cessate il fuoco più lungo per la Striscia di Gaza. In cambio, gli ostaggi ancora nell’enclave palestinese dovrebbero essere liberati, così come alcuni detenuti palestinesi nelle carceri di Israele.

L’appello dell’Anp a Hamas: “Accettate l’accordo per salvare il popolo palestinese dalla catastrofe”

Oggi il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, ha rivolto un appello a Hamas, che è suo rivale politico, affinché accetti un accordo con Israele per fermare la guerra nella Striscia di Gaza. ”Chiediamo al movimento di Hamas di accettare velocemente l’accordo sui prigionieri per risparmiare il nostro popolo palestinese dalla calamità di un altro evento catastrofico con conseguenze terribili, non meno pericolose della Nakba del 1948”, ha detto Abbas, citato dall’agenzia di stampa palestinese Wafa. Il presidente dell’Anp ha poi ”invitato l’Amministrazione americana e i fratelli arabi”, ovvero i mediatori di Egitto e Qatar, ”a lavorare diligentemente per raggiungere un accordo sui prigionieri il più rapidamente possibile, al fine di risparmiare al popolo palestinese il flagello di questa guerra devastante”.

Il retroscena di Haaretz sulle intenzioni di Netanyahu

Secondo un’analisi del quotidiano israeliano Haaretz, però, a non considera un accordo come una priorità sarebbe prima di tutti Netanyahu. Il giornale riferisce che il premier avrebbe concesso alla delegazione guidata da Barnea un margine di manovra limitato, proprio perché non avrebbe fretta di arrivare alla sottoscrizione del patto. Il capo del governo israeliano, si legge nell’edizione web, continuerebbe a insistere sul fatto che le pressioni militari alla fine porteranno a un accordo con condizioni migliori per Israele, indipendentemente dalle proteste delle famiglie degli ostaggi, che oggi per altro, in una delegazione di circa un centinaio, si sono recate all’Aja per denunciare formalmente Hamas al Tribunale internazionale per crimini di guerra. Haaretz ricorda anche che Tel Aviv ha definito inaccettabili finora le richieste avanzate da Hamas, sottolineando il fatto che a confermare che lo stesso Netanyahu non creda molto a un accordo in questa fase ci sarebbe anche l’assenza nella delegazione volata ieri al Cairo del generale Nitzan Alon, capo dell’unità dell’esercito incaricata di raccogliere intelligence sugli ostaggi. Il quotidiano, inoltre, ha richiamato anche il pressing degli Usa contro la linea aggressiva di Netanyahu, il quale però l’ha confermata rilanciando l’offensiva a Rafah.

Tajani: “Hamas vuole una reazione dura di Tel Aviv per isolarla”

“Noi siamo amici di Israele, abbiamo condannato con grande fermezza ciò che è accaduto il 7 ottobre, abbiamo riconosciuto il diritto di Israele a difendersi e a colpire le centrali di Hamas a Gaza perché quello che è accaduto è stata una caccia all’ebreo: sono scene che hanno provocato una giusta reazione”, ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, sottolineando anche che “noi però abbiamo come obiettivo la pace, vogliamo che ci sia un cessate il fuoco perché non bisogna permettere a Hamas di raggiungere il suo obiettivo”, che è quello “di mettere Israele in un angolo”. “Hamas sta usando la popolazione civile come scudo. Hamas vuole che Israele abbia una reazione ancora più dura per poi dire ‘isoliamo Israele’. È il disegno di Hamas. Non bisogna cadere nella trappola di Hamas”, ha quindi avvertito Tajani, sottolineando che ”senza uno Stato palestinese rischiamo che Hamas diventi l’unica speranza per i palestinesi”, ma ”Hamas è una organizzazione militare terroristica”.  Il vicepremier, quindi, ha ricordato che “l’Italia è protagonista in tutte le iniziative politiche” volte a mettere fine ai combattimenti tra Israele e Hamas e che è ”importante sostenere il dialogo in corso al Cairo tra Stati Uniti, Qatar, Israele ed Egitto per la sospensione dei combattimenti, aiutare la popolazione civile palestinesi e liberare gli ostaggi”. ”Netanyahu sta usando la linea dura, ma è nell’interesse di tutti lavorare per una de-escalation”, ha proseguito il titolare della Farnesina, che questo fine settimana a Monaco di Baviera incontrerà anche i ministri degli Esteri dei Paesi Arabi “con i quali potrò consolidare il dialogo”.

6115.- Gaza, Netanyahu rifiuta la proposta di Hamas: “La guerra finirà solo con la loro distruzione”. E ordina all’esercito di avanzare verso Rafah

La “loro distruzione” significa “genocidio”. Infatti, la vittoria annunciata da Benyamin Netanyahu non sarà “questione di mesi”, ma di “morti”. Non siamo antisemiti, ma antisionisti se diciamo che quella che il premier israeliano chiama vittoria totale è già così la sconfitta dell’Occidente. Paradossalmente, le condizioni poste da Hamas darebbero ragione al premier, ma sappiamo che il potere di entrambi è sorretto dal “genocidio”in atto ed è questa la sconfitta dell’Occidente.

8 febbraio 2024

Gaza, Netanyahu rifiuta la proposta di Hamas: “La guerra finirà solo con la loro distruzione”. E ordina all’esercito di avanzare verso Rafahdi F. Q.

  7 FEBBRAIO 2024

La guerra a Gaza finirà con “la distruzione totale di Hamas“. Così il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha risposto al piano per una tregua avanzato dal gruppo palestinese, che prevedeva tre fasi di cessate il fuoco da 45 giorni ciascuna, per poi arrivare alla definitiva conclusione del conflitto. “Siamo quasi vicini alla vittoria – ha detto Netanyahu – Se ci arrendiamo ad Hamas non solo non arriveremo al rilascio degli ostaggi, ma ad un secondo massacro. Il giorno dopo la guerra, sarà il giorno dopo Hamas“. Parole che si traducono immediatamente in un atto concreto: il premier israeliano infatti ha dato ordine all’esercito di avanzare verso Rafah, nel sud della Striscia, ad un passo dall’Egitto. Netanyahu ha sostenuto che “solo la pressione militare agisce per la liberazione degli ostaggi. I nostri soldati non sono caduti invano”. E ha ribadito che l’obiettivo è la “vittoria totale di Israele“. Un alto funzionario di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha dichiarato che le affermazioni di Netanyahu dimostrano “una forma di spacconaggine politica, che indica la sua intenzione di portare avanti il conflitto”. Hamas è “pronto ad affrontare tutte le opzioni”, ha aggiunto Abu Zuhri, come riporta il Guardian.

Martedì era arrivato l’annuncio del premier del Qatar che aveva parlato di “una risposta positiva” da parte di Hamas rispetto a una possibile intesa con Israele. Ma fonti di Tel Aviv avevano già sottolineato che molte delle richieste della controproposta di Hamas “sono inaccettabili per Israele sotto ogni punto di vista”. L’ipotesi quindi era una nuova fase di negoziati per ammorbidire le pretese dei palestinesi. La conferenza stampa di Netanyahu invece chiude, almeno per il momento, ad ogni trattativa per trovare un nuovo accordo. Per il premier israeliano non c’è alternativa alla distruzione di Hamas e alla completa demilitarizzazionedi Gaza: “Molti della Comunità internazionale ci hanno detto che non riusciremo, che è è stato un errore entrare nella Striscia, che non elimineremo Hamas senza uccidere migliaia di persone. Tutto quello che ci hanno detto che era impossibile – ha sostenuto Netanyahu – abbiamo invece mostrato che è possibile”. “Solo la vittoria totale – ha aggiunto – garantirà la sicurezza di Israele. Nel dopo Hamas ci sarà la smilitarizzazione della Striscia e il controllo civile non sarà affidato a chi istiga. Israele si riserva il diritto di entrare quando le necessità lo richiedono”.Blinken a Tel Aviv – Non ha avuto successo la visita del segretario di Stato Usa Antony Blinken, arrivato in Israele per cercare di trovare una soluzione. Blinken ha incontrato Netanyahu (un incontro “lungo e approfondito” lo ha definito il premier) e altri vertici israeliani. “A Blinken ho detto che dobbiamo smilitarizzare completamente Gaza”, ha riferito Netanyahu. Non solo, il premier israeliano ha chiesto anche la sostituzione dell’Unrwa, l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. Inoltre, Blinken non ha potuto nemmeno incontrare privatamente il capo di stato maggiore israeliano, generale Herzi Halevy. L’incontro compariva nel programma della visita diffuso martedì da parte americana, ma è saltato. La ragione, sostiene Israel ha-Yom, è dovuta all’opposizione espressa dall’ufficio del premier Netanyahu. Una fonte politica, citata dal giornale, ha rilevato che nei rapporti diplomatici non è normale che un ministro straniero incontri un responsabile militare dell’altro Paese senza la presenza di un dirigente politico. “Israele non è una repubblica delle banane”, ha aggiunto la fonte. Blinken ha poi incontrato il ministro della difesa Yoav Gallant: “La risposta di Hamas è stata formulata in modo tale che Israele la respinga”, ha detto Gallant al segretario di Stato Usa, secondo quanto riferito dalla televisione pubbica Kan. E ha aggiunto: ”La loro posizione avrà come conseguenza la prosecuzione della guerra, le nostre forze raggiungeranno presto altre località a Gaza”.

Le proposte di Hamas – Quattro mesi e mezzo di cessate il fuocoTre fasi, da 45 giorni ciascuna, per un totale di 135 giorni senza combattimenti con l’obiettivo di trovare un accordo per la definitiva conclusione della guerra. Questo il piano di Hamas per l’intesa con Israele. Secondo quanto riferisce la Reuters che ha visionato la bozza della risposta di Hamas alla proposta inviata la settimana scorsa da Qatar ed Egitto, la prima fase prevede la liberazione di donne, anziani, malati e maschi sotto i 19 anni in cambio di donne e minori palestinesi detenuti. La seconda fase, invece, lo scambio degli altri uomini con altri detenuti e il ritiro dei soldatiisraeliani da Gaza. La terza, infine, la restituzione dei corpi. Hamas chiede anche aiuti e l’avvio della ricostruzione della Striscia. Hamas, aggiunge sempre la Reuters, dichiara anche di volere in tutto il rilascio di 1.500 detenuti palestinesidalle carceri israeliane, un terzo dei quali tra coloro condannati all’ergastolo. Entro la fine della terza fase, inoltre, Hamas si aspetta che le parti abbiano raggiunto un accordo sulla fine della guerra. Nelle richieste avanzate da Hamas c’è anche quella di impedire l’ingresso degli ebrei alla Spianata delle moschee (il Monte del Tempio per l’ebraismo). Lo ha riferito la tv Kan secondo cui Hamas ha anche domandato la costruzione di decine di migliaia di prefabbricati nella Striscia, l’autorizzazione del ritorno degli sfollati palestinesi nel nord di Gaza e l’ingresso di 500 camion di aiuti al giorno oltre a combustibile e energia elettrica.

Netanyahu: “Vittoria totale questione di mesi” – Per tutto il giorno televisioni e quotidiani israeliani si sono sbilanciati sulle possibile risposte di Tel Aviv al piando di Hamas, ipotizzando tra le opzioni anche un nuovo negoziato o un cessate il fuoco transitorio. Invece da parte di Netanyahu è arrivata una chiusura totale. Anzi, il premier ha ordinato all’esercito di avanzare ancora, nella convinzione che “la maggiore pressione militare aumenterà la possibilità della loro liberazione”. Netanyahu ha promesso una “vittoria schiacciante” su Hamas. “Siamo sulla strada di una vittoria completa. La vittoria è a portata di mano”, ha affermato in conferenza stampa, prevedendo che la vittoria sarà “questione di mesi” e non di anni. Gli obiettivi della guerra, ha ribadito, sono “distruggere Hamas, riportare a casa gli ostaggi e assicurare che Hamas non sia più una minaccia per Israele”. Netanyahu ha lodato i risultati “senza precedenti” ottenuti dall’esercito a Gaza, annunciando che, dopo Khan Yunis, le Idf sono pronte a combattere anche a Rafah. “Continueremo fino alla fine, non c’è altra soluzione diversa da una vittoria completa” e sarà “una vittoria per tutto il mondo libero”. Quanto al futuro di Gaza, “il giorno dopo è il giorno senza Hamas”, ha dichiarato Netanyahu, sottolineando appunto di volere che la Striscia sia demilitarizzata.

6111.- Col. Macgregor: le azioni di Israele a Gaza potrebbero causare la sua stessa distruzione, la Terza Guerra Mondiale

Osserviamo che la distruzione del solo Israele non risolverebbe granché, anzi. É il sistema che ci governa e che esso rappresenta che deve invertire la polarità ponendo in vetta l’essere umano e non il denaro.

Di Sabino Paciolla, 5 Febbraio 2024

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Patrick Delaney e pubblicato su Lifesitenews. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata. 

Benjamin Netanyahu
Benjamin Netanyahu

Macgregor, che ha parlato in un’intervista di lunedì con il giudice Andrew Napolitano, ha detto che c’è una disparità tra gli obiettivi dichiarati da Israele di “sradicare Hamas e restituire gli ostaggi” e la sua furia distruttiva su Gaza. L’attacco avrebbe ucciso almeno 26.900 persone dal 7 ottobre, tra cui oltre 11.000 bambini e 7.500 donne, senza contare gli 8.000 dispersi e presunti morti sepolti sotto le macerie. Inoltre, più di 570.000 degli 1,7 milioni di sfollati soffrono di fame e alcuni iniziano a morire.

Le accuse di genocidio sono arrivate da tutto il mondo, anche da molte organizzazioni ebraiche, commentatori esperti e singoli individui. Tuttavia, Macgregor ha affermato che “la popolazione israeliana è dietro” questa operazione. “Non lo mettono affatto in dubbio”.

La maggior parte degli israeliani considera l’allontanamento definitivo di tutti gli arabi che attualmente vivono in quella che considerano la “Grande Israele” – dal mare al fiume Giordano – come una questione di sicurezza e sopravvivenza a lungo termine”.

Per molti decenni i cristiani in Terra Santa hanno chiesto a Israele e alla comunità internazionale di porre fine all’occupazione illegale dello Stato ebraico e alla costruzione di insediamenti sul territorio riconosciuto a livello internazionale del popolo palestinese, come base necessaria per una coesistenza pacifica.

Tuttavia, mentre per gli israeliani “è una proposta da tutto o niente”, Macgregor ha affermato che la questione rilevante “non è ciò che vogliono gli israeliani o ciò in cui credono, ma cosa vuole il popolo americano e come si sente? Si sentono a loro agio con l’eliminazione totale della popolazione araba, musulmana e cristiana, da Gaza?”. Possono sostenere la “morte o l’espulsione di questa popolazione (2,4 milioni) o la sua uccisione diretta o indiretta attraverso malattie e fame o no?”.

“Se non sono a loro agio con questo, devono alzare le chiappe e chiamare i loro rappresentanti a Washington”, perché in questo momento pochi a Washington si oppongono a ciò che Israele sta facendo, ha detto.

Non credo che si possa fermare la distruzione di Israele

Sebbene i leader delle nazioni arabe del Medio Oriente, come Egitto, Giordania, Siria, Arabia Saudita, Libano e Turchia, vogliano evitare una guerra regionale, a causa delle conseguenze per le infrastrutture e la popolazione delle loro nazioni, le loro stesse posizioni sono in pericolo a causa della possibilità di rivolte popolari tra i loro cittadini, ha spiegato il colonnello.

Le popolazioni di queste regioni, in particolare gli arabi musulmani e i turchi, “sono così arrabbiate e infuriate che sono pronte a combattere, a prescindere dai costi, per distruggere Israele”.

“Di conseguenza, sempre più spesso in tutto il Medio Oriente, tutti coloro che detengono il potere o l’autorità stanno dicendo privatamente… non tollereremo più questo Stato israeliano e si stanno muovendo verso uno stato di guerra in tutta la regione, che culminerà, credo, nella distruzione di Israele”, ha avvertito Macgregor. “E non credo che potremo fermarlo”.

I neoconservatori dell’amministrazione Biden avviano la guerra con l’Iran per servire gli interessi di Israele

Eppure, con il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu che ha spinto perché gli Stati Uniti facessero una guerra contro l’Iran per più di tre decenni, e ora con Antony Blinken, membro della Israel Lobby, che dirige il Dipartimento di Stato americano con la collega neoconservatrice Victoria Nuland come sottosegretario, l’Amministrazione Biden sembra determinata a utilizzare la potenza militare americana, mettendo i soldati statunitensi in maggiore pericolo, per promuovere quelli che ritengono essere gli interessi regionali di Israele.

In un articolo del New York Times del 21 gennaio, l’Amministrazione Biden ha lanciato un avvertimento: se le truppe americane dovessero essere uccise da milizie locali nella regione, questa sarebbe una “linea rossa” che potrebbe far precipitare gli Stati Uniti a colpire direttamente l’Iran, il che potrebbe “degenerare in una guerra vera e propria”.

Come molti altri commentatori, Macgregor ha descritto che l’unico scopo della presenza di queste truppe “sul terreno in Iraq o in Siria” è “effettivamente [di essere] calamite per gli attacchi”. E con l’assalto mortale a un avamposto al confine tra Giordania e Siria che ha ucciso tre soldati statunitensi lo scorso fine settimana, il colonnello ha previsto che sarebbe stato usato “come giustificazione per un’ulteriore escalation contro l’Iran”, che è da tempo un obiettivo dei neoconservatori.

L’Iran ha negato con forza qualsiasi coinvolgimento in questo o in altri attacchi, e Macgregor ha detto che le agenzie di intelligence americane confermano che “l’Iran sta dicendo la verità” in questa faccenda, riconoscendo che queste milizie sciite sono effettivamente anti-Israele, ma ha affermato che stanno attaccando le basi americane “perché stiamo sostenendo incondizionatamente la distruzione della popolazione araba a Gaza. Se questo dovesse cessare… gli attacchi contro di noi finirebbero. Non c’è alcun desiderio da parte dell’Iran o di chiunque altro nella regione di entrare in guerra con noi”.

L’”enorme arsenale di missili” dell’Iran ha la capacità di attaccare le basi e le portaerei americane “con grande precisione” e di “ridurre in cenere la maggior parte di Israele”.

Ma se le autorità israeliane e statunitensi dovessero riuscire a iniziare una guerra con l’Iran, il colonnello in pensione prevede che queste forze “pagheranno un prezzo pesante”.

“L’Iran ha un enorme arsenale di missili”, ha detto. Tra questi, “migliaia di missili balistici di teatro molto precisi e molto distruttivi, nonché missili balistici tattici. Hanno una tecnologia per i missili da crociera e un numero infinito di droni”.

Nella regione sono presenti circa 57.000 truppe americane e questi missili possono “attaccare con grande precisione” tutte le loro basi e posizioni. I missili includono quelli che il colonnello chiama “blockbuster”, che possono “distruggere città, installazioni militari, campi d’aviazione [e] porti. Sono tutte testate convenzionali, ma il potere distruttivo è enorme e preciso”.

Questi includono missili ipersonici che possono colpire obiettivi in mare, e non c’è ancora “alcun modo per abbatterli o difendersi da essi”. Le portaerei britanniche e statunitensi nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano “potrebbero essere prese di mira perché ora tutti hanno accesso alla sorveglianza aerea” che non esisteva in queste nazioni 20 anni fa.

Inoltre, “se gli israeliani parteciperanno con noi agli attacchi diretti contro l’Iran, penso che l’arsenale sarà lanciato in grandi quantità da numerosi luoghi diversi, tutti non identificabili con certezza. E ridurranno in cenere la maggior parte di Israele”.

Hezbollah e musulmani sunniti in Messico, frontiera aperta cronica, “alta probabilità” di fronti aggiuntivi sul suolo americano

Negli ultimi decenni, gli Stati Uniti hanno “affrontato avversari senza eserciti, forze aeree, difese aeree. Questo sta per finire”, ha dichiarato Macgregor.

“Iran, Turchia e certamente Hezbollah: sono forze reali con capacità reali, che non abbiamo mai dovuto affrontare. E, per inciso, nemmeno gli israeliani”, ha detto. “E gli israeliani sarebbero i primi a dirvi, in privato, che troppi dei loro soldati e ufficiali hanno passato troppo tempo a sorvegliare le persone in Cisgiordania e a Gaza. Non sono abituati a una guerra totale. Questo è ciò che chiedono e lo otterranno se non si fermano. E lo otterremo anche noi”.

Inoltre, “gli americani non hanno paura della guerra perché avviene sempre sul suolo di qualcun altro. E questo sta per cambiare se attacchiamo l’Iran”, ha previsto Macgregor.

“Ricordate che Hezbollah ha strutture e concentrazioni di persone in Messico. Così come gli islamici sunniti”, ha ricordato. Con tutte le recenti ondate di immigrati clandestini che si sono riversate attraverso il confine messicano negli ultimi anni, “non sappiamo nemmeno chi sia effettivamente entrato negli Stati Uniti”.

“Nessuno sembrava preoccuparsi quando migliaia di uomini in età militare provenienti dalla Cina e da altri Paesi sono entrati negli Stati Uniti. Nessuno sembra essersi preoccupato fino a poco tempo fa, quando si è reso conto che erano entrati anche arabi, iraniani e altri”.

E quali potrebbero essere i risultati? “Che ne sarà dei nostri impianti nucleari? E la nostra rete elettrica? E le armi che esistono e che sono nelle mani dei cartelli”, che potrebbero unirsi a questi attori statali e non statali per una quantità sufficiente di denaro?

“Non dobbiamo escludere l’altissima probabilità che, se questa guerra andrà avanti, ci troveremo di fronte a un secondo fronte lungo il confine messicano e potenzialmente a un terzo fronte all’interno degli Stati Uniti”, ha affermato.

Russia e Cina sosterranno l’Iran, l’uso di armi nucleari da parte di Israele è il “pericolo più grande”.

Allo stesso modo, “la Russia ha detto chiaramente che considera l’Iran un partner strategico di grande importanza”, ha spiegato Macgregor. “La Russia non starà a guardare e non ci permetterà di distruggere l’Iran. Fornirà all’Iran tutto ciò di cui ha bisogno per proteggersi e sarà al suo fianco”.

“Inoltre, i cinesi, che hanno interessi critici nell’accesso al Golfo Persico e nell’accesso all’Africa orientale, dove ottengono grandi quantità di cibo, non staranno a guardare mentre costringiamo l’Iran a sottomettersi o a morire”, ha proseguito. “Dobbiamo fare marcia indietro. Questo diventerà regionale e direi semi-globale molto rapidamente”.

Infine, Macgregor ha parlato della “Opzione Sansone” di Israele, una politica di “ricatto nucleare” in base alla quale, di fronte a una minaccia esistenziale, lo Stato ebraico lancerebbe missili nucleari contro città del Medio Oriente.

Questo avrebbe lo scopo di far crollare con sé i nemici di Israele, come fece Sansone facendo crollare i pilastri del tempio dei Filistei.

Quindi, “il pericolo maggiore”, ha detto il colonnello, “è che gli israeliani rispondano, ma con l’uso di un’arma nucleare, in particolare mentre guardano le loro città, Tel Aviv, Haifa e così via, in gran parte annientate da questi arsenali di missili. E se ciò dovesse accadere, credo che avrebbe conseguenze catastrofiche per Israele e per il mondo, ben peggiori di tutto ciò che abbiamo visto finora”.

6107.- 27.238 palestinesi ammazzati e altri 66.452 feriti nella Striscia di Gaza, rasa al suolo dal 7 ottobre scorso. 

Le mani sozze di sangue sarebbero il progresso? Più di 10.000 i bambini uccisi, 17.000 i non accompagnati o separati dai genitori nella Striscia. É un urlo di dolore, disumano! Ci fanno accapponare e abbiamo celebrato per due giorni il genocidio dei loro! ma non erano loro. Anche al Papa comoda scambiare l’antisionismo dilagante per l’antisemitismo, che torna a condannare: “É un peccato contro Dio.” Ma che papa è, che Dio è e dove sono i fulmini del cielo? Soltanto ferme condanne accompagnano la macchina da guerra americana mentre produce raid in Yemen e, va bene, ci sono gli Houthi; ma in Iraq e in Siria: in Siria?! non mancano gli israeliani in Libano. E il fetente sarebbe solo Putin! La verità è che la Russia non molla e il Medio Oriente e tutta la regione Transcaucasica sono strategiche per il prossimo futuro.

Intanto, l’Ucraina lancia i potenti missili USA Himars fra la gente russa, in una panetteria del Lugansk: 15 morti per un pò di pane e missili pagati dal dollaro, come non si sa. C’è di che essere orgogliosi di questi leader, anzi, con il loro nome: brownnoser.

L’ M142  High Mobility Artillery Rocket System, Himars nasce a Camden, in Arkansas.

Si può vivere in pace, ma, sopratutto, i grandi possono guadagnare senza spargere sangue, il nostro? In Germania molti cittadini si riuniscono a manifestare contro l’oblio, l’odio e contro i discorsi d’odio. In migliaia hanno partecipato alla manifestazione filo-palestinese nel centro di Londra per chiedere il cessate il fuoco a Gaza;  bottiglie incendiarie sono state lanciate contro il consolato USA di Firenze nella notte del 1° febbraio. La gente vuole contare, ma non contare i morti. Non chiede quanti droni sono stati abbattuti, vuole vivere, lavorare e coltivare in pace. Il commercio, l’economia, la finanza devono essere spronati per servire, non usarci.

6182.- Israele è l’avamposto dell’Occidente nel Mediterraneo Orientale.

C’è l’Iran al centro della politica americana nel Medio Oriente e alle spalle le due grandi potenze asiatiche, Cina e India, due per ora, che si fanno strada fra i Paesi arabi per sboccare in Mediterraneo. In Mar Rosso, gli Houthi godono dell’appoggio dell’Iran e sono contro Israele, contro gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Hanno di fronte l’Arabia Saudita. Ci troviamo in un momento decisivo senza uno stratega e, sul genocidio di Netanyahu, i governi arabi chiedono aiuto alla Cina.

Israele è il numero uno del Mediterraneo Orientale, l’avamposto dell’Occidente, è il “cavallo” per noi europei; ma Netanyahu guarda al suo orto, non guarda lontano, semina morte, odio e la sua guerra chiama l’antisemitismo e la vendetta. Combatte Hamas, stuzzica gli Hezbollah, ma, senza di essi, il suo potere vacillerebbe. Se così è, gli Stati Uniti devono porre un freno a Netanyahu. Gli Accordi di Abramo erano la strada giusta. Ma è l’Arabia Saudita il “re” per noi, per Israele, per il Medio Oriente e il 20–21 maggio Donald Trump incontrerà il re Salman e altri ufficiali sauditi a Riyadh. Dio voglia Donald, che tu sia il presidente e che “re” Mohammad bin Salman veda lontano. Se proseguirà la normalizzazione tra Iran e Arabia Saudita, se ha le carte per ridefinire le dinamiche regionali in Medio Oriente, nel viaggio di Trump c’è molto di più di una nuova alleanza del petrolio con l’Arabia Saudita: Anche la fine della guerra e la stabilità nel Mar Rosso e, perché no? in Libia. E non dimentichiamo che, nel 2018, proprio Trump, da presidente Usa, aveva ritirato unilateralmente gli Stati Uniti dall’accordo nucleare con l’Iran, contro il parere dell’Ue. Affermò che avrebbe negoziato un accordo più forte. Per Israele è importante che questo avvenga. La nostra domanda è, ora: “Saranno Riyadh e Teheran a ridefinire le dinamiche del Medio Oriente?”

Israele deve dialogare con tutto il mondo arabo, ma anche l’Europa deve far sentire il suo peso. Può farlo? e, sopratutto, può farlo con la Germania alla fame, la Francia di Macron in crisi politica, una guerra in Mar Rosso e un’altra con la Russia? Non può farlo e non può contare sul sostegno degli Stati Uniti per l’economia, che hanno privata scientemente del gas e dei mercati russi. Non può contare su Biden per un cessate il fuoco in Ucraina e a Gaza, ma il Mediterraneo ha bisogno di pace, non di Netanyahu, non di Biden e nemmeno di Erdoĝan: Pace!

Fonte Immagine: AP Photo/Vahid Salemi

L’America chiede a Netanyahu una conversione sulla via di Riad

Da Huffpost, di Janiki Cingoli, 16 Gennaio 2024

La missione di Blinken rilancia lo Stato palestinese, per coinvolgere gli arabi nella ricostruzione di Gaza. Il governo di destra si ribellerebbe alla soluzione a due Stati. Ma per Bibi è il costo politico per ottenere il premio della normalizzazione saudita che insegue da anni e del fronte unico contro l’Iran. E per la sua sopravvivenza politica, che oggi appare compromessa.

La missione che Antony Blinken, segretario di Stato americano, ha effettuato in Medio Oriente a inizio gennaio, la quarta dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, è stata giudicata con scetticismo dalla maggior parte degli analisti internazionali. Tuttavia, David Ignatius, editorialista principe del Washington Post, dà una interpretazione differente. Egli sottolinea come l’esponente statunitense abbia rovesciato l’abituale itinerario delle sue missioni, che iniziava da Israele per poi continuare nelle maggiori capitali arabe.

6178.- Israele va in tribunale per il crimine di genocidio

The Biden Administration will lie, cheat and go to war to protect its “best friend”

Tradotto da The UNZ Review , di PHILIP GIRALDI • JANUARY 12, 2024

Sabino Paciolla: Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Philip Giraldi e pubblicato su Ron Paul Institute. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste.

Ecco l’articolo nella traduzione da me curata. 

Immagine bambini a Gaza sotto le bombe
Immagine bambini a Gaza sotto le bombe (screenshot)

Un mio amico, che segue da vicino gli sviluppi internazionali, ha recentemente osservato che gli Stati Uniti e Israele si sono “autogratificati” fino a essere percepiti come i due governi più malvagi del pianeta. È un giudizio con cui è difficile dissentire riguardo allo Stato ebraico, se si esaminano le numerose prove che Israele sta sistematicamente commettendo crimini di guerra contro la popolazione civile palestinese, in gran parte disarmata, nel tentativo di realizzare una pulizia etnica o addirittura un genocidio a Gaza e in Cisgiordania. Il processo comprenderebbe l’allontanamento fisico dei palestinesi e/o la loro uccisione in caso di resistenza, come sta avvenendo attualmente. Circa 10.000 bambini palestinesi morti testimoniano la brutalità e la disumanità di questo sforzo, insieme a quasi 400 medici e infermieri presi direttamente di mira e a più di 100 dipendenti delle Nazioni Unite che cercavano di portare aiuti ai civili. Quello che Israele sta facendo è mostruoso, quasi inimmaginabile. Alcuni alti funzionari israeliani hanno confermato l’opinione del loro governo, sostenuta dall’opinione pubblica, che una terra tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo ripulita dagli arabi sarebbe il risultato più desiderabile degli attuali sviluppi.

Gli Stati Uniti sono allo stesso tempo detestati insieme a Israele perché permettono il massacro da parte degli israeliani e contemporaneamente spargono la menzogna che stanno in qualche modo contenendo o addirittura rendendo più “umanitario” l’attacco di Israele. Niente di più lontano dalla verità, visto che di recente la Casa Bianca ha lavorato duramente per far fallire un importante sforzo diplomatico guidato dalle Nazioni Unite, che godeva di un sostegno globale, per arrivare a un cessate il fuoco che avrebbe permesso di introdurre nell’enclave martoriata i soccorsi di emergenza. Invece, Israele continua a bombardare Gaza ogni giorno e a controllare l’ingresso dei rifornimenti, rallentando il processo e vedendo la gente morire di carestia e di malattie, per non parlare dei colpi di artiglieria e delle bombe. E gli Stati Uniti finanziano lo sforzo bellico israeliano e forniscono le munizioni che lo rendono possibile. Ciò rende Washington complice dei crimini di guerra e di quello che la maggior parte del mondo considera un genocidio perpetrato apertamente e con dolo.

Nonostante tutto questo, e le tonnellate di prove di atrocità di ogni tipo, che includono persino l’uccisione di ostaggi ebrei da parte del “fuoco amico”, l’amministrazione di Joe Biden continua a dire che non sono in corso né crimini di guerra né genocidi. Giovedì si sono aperte le udienze della Corte internazionale di giustizia sulle prove presentate dal Sudafrica che dimostrano che il massacro dei palestinesi da parte di Israele equivale a un genocidio come definito dalla “Convenzione delle Nazioni Unite sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio” del 1948, che sia Israele che gli Stati Uniti hanno firmato. Il giorno prima dell’apertura del processo all’Aia, il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Kirby, ha dichiarato in via preventiva che le accuse sono “prive di merito, controproducenti e completamente prive di qualsiasi base di fatto”. Il portavoce del Dipartimento di Stato Matt Miller ha aggiunto che gli Stati Uniti “non vedono alcun atto che costituisca un genocidio” nel bombardamento e nella distruzione fisica di Gaza da parte di Israele. Entrambi i commenti sono in contrasto con il fatto che Israele sta chiaramente creando come minimo “condizioni che non permettono la sopravvivenza della popolazione”, che è una definizione di genocidio. Tutto ciò significa che gli Stati Uniti combatteranno duramente per conto del loro figlio prediletto, facendo tutto ciò che è necessario per proteggere il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e la banda di crim…(biiip!)… contro l’umanità di cui si è circondato. Poiché non è interesse degli Stati Uniti diventare una nazione che condona l’uccisione di decine di migliaia di civili indifesi, bisogna chiedersi: “Chi è il tuo padrone Joe (Biden, ndr) e perché i tuoi alti funzionari mentono su ciò che sta accadendo?”.

Come americano, ciò che trovo più offensivo dell’attuale situazione è che il mio Paese è stato trasformato in un criminale di guerra da un gruppo di politici e funzionari controllati da un governo straniero e dalla sua lobby, la cui ignoranza è così profonda che non dovrebbero gestire un chiosco di hot dog. In particolare, è una sofferenza sentire le patetiche grida che escono da una Casa Bianca asservita ogni volta che Israele uccide un altro centinaio di bambini e donne palestinesi rannicchiati tra le rovine di un ospedale, di una chiesa o di una scuola. Ogni strillo a sostegno di una guerra più “umana” o “contenuta” è seguito da un’affermazione di Netanyahu secondo cui il gabinetto di guerra di Israele prenderà le proprie decisioni su chi uccidere e quando. Un alto funzionario, Itamar Ben-Gvir, ha persino avvertito Biden che Israele “non è più una stella sulla bandiera americana”. In effetti, non è che Israele sia ingrato, perché le bombe anti-bunker da 2.000 libbre fornite da Biden possono davvero fare un numero su quei “terroristi”. L’Amministrazione Biden ha ora accelerato due spedizioni di munizioni a Israele per un valore di circa 253 milioni di dollari, basandosi sull’affermazione di un altro furf…(biiip!)… bug…(biiip!)…, Antony Blinken, del Dipartimento di Stato, secondo cui le armi erano urgentemente necessarie alla povera “vittima” Israele per “difendersi, consentendo di aggirare l’autorità esistente del Congresso che richiede l’approvazione legislativa delle vendite di armi”. Non c’è passo così basso nell’assecondare Israele che l’Amministrazione Biden non faccia!

È come se il genocida Joe (Biden, ndr) avesse fretta di portare a termine il lavoro su quei fastidiosi palestinesi, in modo da poter tornare al lavoro serio di ingannare l’elettorato statunitense e indurlo a votare per lui una seconda volta. Ora sta andando in giro per il Paese cercando di vendere il prodotto che sta “salvando la democrazia”, che secondo lui sarebbe stata distrutta da Trump. Dato che Trump sta facendo un apparente tour di vendetta, Biden potrebbe avere più ragione del solito, ma c’è da chiedersi cosa stia succedendo alla democrazia americana con le attuali frontiere aperte e due guerre combattute de facto simultaneamente senza che sia mai stata coinvolta alcuna minaccia reale per gli Stati Uniti e senza il consenso del popolo americano. Al contrario, i sondaggi d’opinione indicano che le guerre sono molto impopolari, mentre Biden si fa strada per sostenere i combattimenti fingendo che gli Stati Uniti non siano direttamente coinvolti. Si può immaginare di mettere volontariamente la sopravvivenza della propria nazione nelle mani di una persona come Joe Biden?

Israele continua a fare il proprio gioco, dato che gli Stati Uniti gli hanno dato copertura politica per bombardare e uccidere come meglio crede. I morti civili causati dai bombardamenti sono stati 247 in una sola notte all’inizio di gennaio, ma il governo Netanyahu ha appena annunciato che passerà da movimenti di truppe su larga scala a Gaza a operazioni più “dirette” che si concentreranno sulle concentrazioni di Hamas, sulla ricerca di ostaggi e sulla distruzione dei tunnel che collegano i punti di resistenza. Il contrammiraglio Daniel Hagari, portavoce principale delle forze armate israeliane, ha descritto come la nuova fase della campagna, che si spera possa essere completata entro la fine del mese, coinvolgerà un minor numero di soldati e di attacchi aerei, sebbene Israele abbia già mentito ripetutamente sulle sue reali intenzioni. Ironicamente, la preoccupazione degli Stati Uniti sembra essere quella che la guerra si stia già espandendo al di fuori di Gaza. La violenza dei coloni armati contro i palestinesi in Cisgiordania è in aumento e gli obiettivi stranieri di Israele includono ora l’uccisione di leader di Hamas e Hezbollah in Libano, missioni di bombardamento regolari contro obiettivi in Siria, che di recente hanno ucciso una dozzina di alti funzionari iraniani vicino all’aeroporto di Damasco, assassinii in Iraq e l’attentato terroristico a Teheran, rivendicato dall’ISIS, che ha causato 103 morti. Sia Israele che gli Stati Uniti sono noti per avere rapporti di cooperazione clandestina con l’ISIS.

E ci sono diverse altre questioni che meritano di essere menzionate. La prima è che un flusso costante di falchi, per lo più repubblicani, si è recato in pellegrinaggio in Israele per esprimere il proprio incondizionato sostegno al genocidio dei palestinesi in corso da parte di Israele. Più di recente, l’ex vicepresidente Mike Pence ha fatto il viaggio ed è stato fotografato vicino al confine israeliano con il Libano mentre scriveva messaggi o forse firmava i proiettili di artiglieria di fabbricazione statunitense che stavano per essere sparati contro Hezbollah. Questa spinta al coinvolgimento diretto degli Stati Uniti in una guerra imminente che dovrebbe e potrebbe essere evitata ha avuto un impatto a Washington, dove buf.. (biiip!).. come il senatore Lindsey Graham hanno invitato l’amministrazione Biden a “… colpire l’Iran. Hanno giacimenti di petrolio all’aperto, hanno il quartier generale della Guardia Rivoluzionaria che si può vedere dallo spazio. Fallo sparire dalla mappa”. Questa pressione ha spinto Biden a promettere a coloro che nel Congresso chiedono la guerra e anche agli israeliani che non permetterà all’Iran di sviluppare un’arma nucleare e che farà tutto il necessario per fermarlo. Poiché l’intelligence statunitense ha dichiarato di ritenere che l’Iran non abbia un programma di armamento di questo tipo, le presunte informazioni che suggeriscono che l’Iran abbia un programma segreto proverranno inevitabilmente da Israele e Netanyahu, quindi indovinate un po’? Israele lavorerà duramente per produrre prove inventate che trascineranno gli Stati Uniti in un primo attacco contro l’Iran, che a sua volta colpirà le basi statunitensi in Siria, Kuwait, Qatar e Iraq. Ricorda fin troppo il complotto neocon-israeliano che trascinò uno sprovveduto George W. Bush e Condi Rice a iniziare la disastrosa guerra in Iraq nel 2003.

E l’altra questione di cui nessuno parla è l’arsenale nucleare “segreto” israeliano, composto da 200-400 armi e dai relativi sistemi di lancio, che potrebbe cambiare le carte in tavola a prescindere da ciò che accadrà a Gaza e in Cisgiordania. Israele userebbe le armi nucleari? Sicuramente sì, soprattutto se la guerra che stanno deliberatamente espandendo dovesse in qualche modo rivoltarsi contro di loro. Quando l’ex Primo Ministro israeliano Ariel Sharon è stato interrogato su come il resto del mondo avrebbe potuto rispondere al fatto che Israele avrebbe usato le sue armi nucleari per spazzare via i suoi vicini arabi, ha risposto: “Dipende da chi lo farà e da quanto velocemente accadrà. Possediamo diverse centinaia di testate atomiche e di razzi e possiamo lanciarli contro obiettivi in tutte le direzioni, forse anche contro Roma. La maggior parte delle capitali europee sono obiettivi per la nostra aviazione… Abbiamo la capacità di trascinare il mondo con noi. E posso assicurarvi che questo accadrà prima che Israele fallisca”.

Il piano del “migliore amico” e del “più stretto alleato” dell’America per bombardare il mondo ha persino un nome: “L’opzione Sansone”, che ricorda il modo in cui il forzuto biblico Sansone fece crollare il tempio dove i Filistei lo stavano deridendo, uccidendone migliaia. Forse Joe Biden dovrebbe riflettere a lungo su come e con chi sta preparando il nostro Paese ad andare in guerra. O forse è già troppo tardi!

Philip Giraldi

6122.- Gli houthi e il rompicapo degli Stati Uniti nel Mar Rosso

Per Washington, la stabilizzazione del Medio Oriente è la condizione per frenare l’avanzata della Cina, ma il sostegno a Netanyahu sembra portare a risultati opposti. Sempre per Washington, usare la forza contro gli Houthi significherebbe un innalzamento della tensione verso Teheran.

Da Affari Internazionali, di Eleonora Ardemagni, 7 Dicembre 2023

Perché gli Usa devono re-inserire gli Houthi nella lista dei terroristi

Gli attacchi marittimi degli houthi dallo Yemen, iniziati nel 2016 e intensificatisi con la guerra Israele-Hamas, sono diventati un problema di sicurezza globale. Un problema, però, che rischia di danneggiare innanzitutto gli obiettivi degli Stati Uniti: stabilizzazione mediorientale e contenimento della Cina. Il Mar Rosso, che congiunge l’Oceano Indiano al Mediterraneo, è decisivo per gli equilibri energetici e commerciali mondiali: tutte le potenze –tranne l’Iran, che sostiene e arma gli houthi- hanno dunque interesse alla stabilità del quadrante.

Eppure solo gli Stati Uniti –che nel Mar Rosso hanno rafforzato la presenza militare già prima del 7 ottobre – rischiano qui il logoramento strategico: la deterrenza di Washington si è finora rivelata insufficiente. Infatti, gli houthi continuano a lanciare attacchi “in solidarietà a Gaza” verso il territorio d’Israele e contro obiettivi commerciali e militari in navigazione. E nessuna risposta militare USA è seguita, neppure quando navi militari statunitensi si sono trovate nel mezzo, intercettando i droni lanciati dallo Yemen.

Attacchi e sequestri

Gli attacchi sono in crescita per numero e complessità. Secondo il Comando Centrale USA (Centcom), gli houthi hanno sferrato il 3 dicembre scorso quattro attacchi contro navi commerciali, nelle acque internazionali del Mar Rosso, stavolta a un passo dal Bab el-Mandeb. Il cacciatorpediniere USS Carney che pattugliava l’area ha risposto alle richieste di soccorso delle navi abbattendo tre droni: “non è chiaro” se essi fossero indirizzati contro la nave USA . L’attacco multiplo è durato ore e ha coinvolto quattordici paesi considerando proprietà delle imbarcazioni, merce trasportata e bandiera. Gli houthi hanno rivendicato l’attacco “contro due navi israeliane”, ma solo una di esse avrebbe un legame con un cittadino israeliano.

Dal 19 novembre scorso, gli houthi hanno sequestrato il cargo “Galaxy  Leader”, di proprietà di un uomo d’affari israeliano: la nave è ora trattenuta al porto di Hodeida (città controllata dagli houthi) insieme ai venticinque uomini dell’equipaggio. Nel 2022, gli houthi sequestrarono per quattro mesi una nave cargo degli Emirati Arabi Uniti, “Rawabi” sempre nel Mar Rosso meridionale, con undici uomini d’equipaggio. La nave, partita dall’isola yemenita di Socotra e diretta in Arabia Saudita, trasportava secondo Abu Dhabi un ospedale da campo.

Houthi: insorti e pirati, non proxy

Dopo l’avvio dell’offensiva di Israele contro Hamas, gli houthi hanno aperto il fronte del Mar Rosso: missili e droni verso Israele, più attacchi marittimi ´a tutto campo`. Così, il movimento-milizia sciita zaidita del nord dello Yemen persegue due obiettivi: cavalcare il sentimento pro-palestinese degli yemeniti e rafforzarsi come attore regionale filo-iraniano. Quando si analizzano le scelte degli houthi, il peso decisionale dell’Iran non va tuttavia sopravvalutato. Nel Mar Rosso come in Yemen, gli houthi non ricevono ordini dalle Guardie della Rivoluzione Islamica dell’Iran.

Essi non sono attori proxy ma hanno una storia politica locale e autonoma che però si intreccia, per ideologia e convenienza reciproca, sempre di più con quella dei pasdaran.

Certo, gli houthi possono attaccare navi e lanciare missili grazie alle armi ricevute illegalmente da Teheran, nonché all’addestramento degli Hezbollah libanesi. Il gruppo potrebbe persino considerare di mandare miliziani a combattere all’estero se ciò fosse utile al raggiungimento dei suoi obiettivi territoriali in Yemen. Per il movimento-milizia, il conflitto a Gaza è solo una ´finestra di opportunità` da cogliere per elevare la portata della minaccia dallo Yemen, consolidando così ´pubblico` interno e regionale: la propaganda seguita al sequestro della “Galaxy Leader”, tra video e visite guidate, lo dimostra.



GALAXY LEADER photo

La Galaxy leader è un portaveicoli di proprietà di un uomo d’affari israeliano che batte bandiera delle Bahamas.

Statunitensi e sauditi dissonanti sugli houthi?

Tra le coste dello Yemen e il Mar Rosso, gli Stati Uniti si giocano ora una parte consistente dell’influenza regionale. Washington deve infatti riaffermare la propria forza e rassicurare gli alleati del Golfo, ma senza far saltare –in caso di ritorsione contro gli houthi- la tregua in Yemen. L’ipotesi di re-designare Ansar Allah (il movimento politico degli houthi) come organizzazione terrorista è tornata sul tavolo della Casa Bianca e complicherebbe i negoziati. L’ennesima task forcenavale a guida USA rischierebbe di non fare la differenza senza un mandato incisivo. Difficile che ciò avvenga, visto che gli Stati Uniti hanno finora evitato di confermare che alcuni dei droni e missili houthi avessero come bersaglio proprio le navi militari USA. Fatto che porterebbe Washington a una ritorsione, alzando indirettamente la tensione con l’Iran.

Da mesi, gli houthi e l’Arabia Saudita intrattengono colloqui bilaterali per il cessate il fuoco in Yemen. A parte uno scontro al confine, nessun attacco dallo Yemen ha colpito territorio o obiettivi sauditi dopo il 7 ottobre. Ma Riyadh sa di essere a rischio e non vuole interrompere il negoziato con gli houthi. Quando Arabia Saudita ed Emirati Arabi sono stati colpiti, direttamente o indirettamente, dall’Iran (gli attacchi alle petroliere e a Saudi Aramco nel 2019) e dagli houthi (gli attacchi ad Abu Dhabi nel 2022), hanno poi sempre negoziato, anche perché non vi è stata una risposta militare americana.

Nel Mar Rosso la via è stretta e altri attori globali, magari asiatici, potrebbero inserirsi nella partita diplomatica. Oltre ai comunicati del G7 e dell’Unione Europea”, la risoluzione approvata il 1 dicembre dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che ha “condannato nei termini più  forti” gli attacchi marittimi degli houthi e il sequestro della “Galaxy Leader”, è stata ancora più significativa, perché una rara dimostrazione di concordia. La Cina, che importa petrolio soprattutto attraverso Hormuz ma necessita del Mar Rosso per l’export, avrebbe interesse a cercare la de-escalation lungo le rotte commerciali. Un’altra spina nel fianco degli Stati Uniti, interessati alla stabilità marittima e, al contempo, a preservare ciò che resta dell’influenza in Medio Oriente.

foto di copertina EPA/YAHYA ARHAB