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5389.- La SCO sta diventando sempre di più un polo d’attrazione politico-economico alternativo alle potenze occidentali

Washington è lanciato alla conquista della Russia attraverso l’Ucraina e l’Asia Centrale, mentre l’Asia va rafforzando un diverso assetto politico-economico; ma in Ucraina Washington persegue anche il tracollo economico della Ue. Questo determinerebbe probabilmente una recessione mondiale che favorirebbe la finanza USA e minerebbe anche la crescita dei due giganti asiatici.

Se guardiamo anche all’Artico e alla conseguente perdita di valore del Mediterraneo, siamo sicuri che le nostre élites e i nostri governi siano adeguati e che il nostro leader sia Joe Biden e non Vladimir Putin, oppure, quale disegno sta seguendo Washington?

Il vertice della SCO a Samarcanda tra intese, divergenze e riflessi sull’Europa

Da Analisi Difesa, 20 settembre 2022, di Gianandrea Gaiani

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Nata nel 2001 come organizzazione multinazionale per la sicurezza, la SCO sta diventando sempre di più un polo d’attrazione politico-economico alternativo alle potenze occidentali anche se gli stati che la compongono hanno al loro interno confronti e dissidi non indifferenti.

Oltre a India e Pakistan, acerrimi rivali dalla loro costituzione come stati indipendenti, non si possono dimenticare le tensioni tra Cina e India (almeno in parte in via di risoluzione sul fronte caldo dell’Himalaya) o i recenti scontri di confine tra Tagikistan e Kirghizistan.

L’eccezione della Turchia

La SCO assume quindi un valore crescente sul fronte della cooperazione geopolitica ed economica e non a caso la Turchia rivendica l’obiettivo di aderivi anche se è difficile non notare che è l’unico stato membro della NATO a partecipare al summit di Samarcanda e sarà presto l’unico a far parte di entrambe le organizzazioni.

Un “dettaglio” non irrilevante tenuto conto che Ankara non applica sanzioni alla Russia, vende (non regala) armi all’Ucraina ed entrerà in un’organizzazione per la sicurezza con Cina, Russia e Iran dopo aver acquistato batterie da difesa aerea a lungo raggio S-400 in Russia: il tutto senza che nessuno ne chieda l’uscita dalla NATO.

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A conferma che più della potenza economica (il PIL turco vale un terzo di quello italiano), sovranità, politica estera, di difesa ed energetica autonome e incentrate sugli interessi nazionali dipendono soprattutto dallo spessore e dalla determinazione dei governanti.

Considerazione che trova conferma anche nel “caso” dell’Ungheria, stato membro di NATO e UE (dal peso economico, demografico e militare certo inferiore alla Turchia) il cui governo continua ad acquistare gas, petrolio e persino centrali nucleari da Mosca non applicando sanzioni ma accogliendo oltre mezzo milione di profughi ucraini senza però fornire armi a Kiev. Una manifestazione di piena sovranità nazionale che innervosisce molti in Europa e oltre Atlantico.

Un nuovo palcoscenico per il protagonismo di Ankara

Ankara del resto evidenzia l’autonomia della sua postura puntando anche sul ruolo di mediazione ricoperto nell’attuale crisi ucraina che costituisce “la risposta all’Occidente e soprattutto all’America” come ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan di rientro da Samarcanda insieme ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu (nella foto sotto).

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L’ultimo successo negoziale nel conflitto rivendicato da Ankara, dopo l’accordo sul grano, è rappresentato dalla mediazione a uno scambio di 200 prigionieri di guerra, ha rivelato il presidente turco durante un’intervista all’emittente americana PBS in cui ha anche dichiarato che il presidente russo Vladimir Putin vuole porre fine al conflitto “il prima possibile”.

Erdogan ha sottolineato che si tratta di uno sviluppo importante, un passo in avanti notevole. Ho parlato a lungo con Putin e ho capito che vuole porre fine a questo conflitto il prima possibile. Ho ancora il desiderio di portare allo stesso tavolo Putin e Zelensky, ho voglia di ascoltarli entrambi. Non ci sono riuscito, ma non ho perso la speranza di riuscirci”, ha detto alla tv americana.

La posizione turca, tesa a far terminare al più presto il conflitto in Ucraina, è condivisa anche dall’India (il premier indiano, Narendra Modi, ha detto che “oggi non è il tempo di fare la guerra”) e soprattutto dalla Cina, come è emerso nel colloquio tra Vladimir Putin e Xi Jimping in cui il presidente russo ha ammesso “le preoccupazioni” cinesi pur confermando gli impegni militari assunti con “l’operazione speciale” in Ucraina.

Si rafforza la cooperazione militare russo-cinese

Divergenze enfatizzate in Occidente dove è stato rilevato che la Cina non è disposta a fornire aiuti militari a Mosca e del resto il presidente statunitense Joe Biden, in un’intervista a 60 Minutes, ha detto chiaramente che “non ci sono finora indicazioni” che la Cina abbia inviato armi o aiutato i russi in Ucraina.

Nei giorni scorsi sono stati peraltro rilevati diversi voli di cargo militari cinesi Xian Y-20 (nella foto sotto) all’aeroporto Ssheremetyevo di Mosca ma la natura dei carichi trasportati non è stata rivelata anche se non sono emerse indiscrezioni circa richieste russe a Pechino per armi o munizioni.

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Anzi, meglio ricordare che la Russia continua a esportare molta tecnologia in Cina e che le forze armate di Pechino, oltre ad essere clienti di Mosca, hanno sviluppato molti sistemi d’arma, piattaforme, motori e altre componenti partendo da prodotti russi.

Dopo il summit di Samarcanda i vertici del Consiglio di sicurezza russo e del Politburo del Comitato centrale del Partito comunista cinese si sono incontrati per rafforzare la cooperazione militare e di sicurezza potenziando le esercitazioni congiunte e l’attenzione agli scenari più critici.

Il summit di Nanping, nella provincia cinese del Fujian (forse non a caso di fr8nte a Taiwan) ha visto le delegazioni guidate dal segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolai Patrushev e dal Direttore dell’Ufficio della commissione centrale degli affari esteri,  Yang Jiechi, concordare “un’ulteriore cooperazione tra i vertici militari” con l’obiettivo di mantenere “alto il livello di cooperazione tecnico-militare” si legge in una nota.

Il Consiglio di sicurezza russo ha definito una priorità incondizionata lo sviluppo di “un partenariato strategico con la Cina” basato “su una profonda fiducia reciproca”.

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Anche tenendo conto del pieno sostegno di Mosca alla politica di “una sola Cina” con cui Pechino preme su Taiwan, appare forzato trarre dal confronto tra Putin e XI a Samarcanda la conclusione che sia in atto un progressivo isolamento di Mosca anche in Asia, tenuto conto che il dibattito sulla guerra in Ucraina tra le nazioni aderenti alla SCO va probabilmente interpretato in un’ottica pragmatica alla luce dei diversi interessi in gioco.

L’obiettivo strategico di russi e cinesi resta quello di arginare il sistema unipolare statunitense (che ha inglobato anche un’Europa incapace di assumere il ruolo di soggetto geopolitico) puntando a contrastare la penetrazione occidentale anche con rafforzate intese militari e a potenziare la cooperazione finanziaria e commerciale su modelli basati sulle valute dei paesi della SCO per rafforzare la “de-dollarizzazione” dell’economia globale.

Nuovi equilibri e interessi diversi

Ciò detto non c’è dubbio che la guerra stia determinando nuovi equilibri anche tra Russia e Cina, le principali potenze della SCO.

L’impegno bellico sta sbilanciando la Russia indebolendone impegno e attenzione in Asia Centrale (parte delle truppe schierate in Tagikistan sono state dislocate in Ucraina) anche se Putin ha confermato che in Ucraina “stiamo combattendo solo con una parte delle forze armate”.

Un contesto che sembra favorire l’apertura di nuovi focolai di tensione nell’ex URSS: dagli scontri di confine tra tagiki e kirghizi a quelli tra armeni e azeri fino alle pressioni degli ambienti nazionalisti georgiani per un’azione militare tesa a prendere il controllo dell’Ossezia del Nord protetta dai russi. Segnali inequivocabili di turbolenze che cercano di approfittare dell’impegno russo in Ucraina.

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La Cina conferma la volontà di penetrare non solo economicamente ma anche politicamente e militarmente nelle repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale garantendo la sicurezza da “interventi esterni” (cioè russi) del Kazakhistan, lo stato ex sovietico distintosi più di ogni altro nel mostrare freddezza per l’intervento militare russo contro Kiev al punto da non riconoscere le repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk guidate dai secessionisti ucraini.

Di fatto Pechino sostiene la Russia contro gli Stati Uniti e i loro alleati, percepiti come una minaccia anche dai cinesi, ma questo non significa che le due potenze non abbiano anche interessi divergenti che investono pure la guerra in atto in Ucraina e soprattutto il suo prolungamento con le relative conseguenze macro-economiche.

Se la guerra si protrae l’unica a uscirne sicuramente sconfitta sarà l’Europa, che a causa della crisi energetica rischia tra pochi mesi di non essere più la principale potenza economica mondiale e di vedere drammaticamente depotenziato il suo ruolo di potenza industriale.

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Per i competitor che pagano tutti l’energia molto meno dell’Europa, potrebbero aprirsi spiragli importanti per acquisire nuove quote sui mercati globali ma Cina e India hanno rilevanti interscambi commerciali e investimenti in Europa e rischiano danni non irrilevanti anche tenendo conto che il tracollo economico della Ue determinerebbe con ogni probabilità una recessione mondiale che minerebbe anche la crescita dei due giganti asiatici.

Per questo Nuova Delhi e Pechino premono su Putin per fermare le ostilità, elemento che ingigantisce ulteriormente il ruolo della Turchia, anche se alle aperture di Mosca per un possibile negoziato per ora Kiev non sembra voler rispondere positivamente, puntando forse a ottenere nuovi successi militari.

Del resto il 20 settembre il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha dovuto ammettere che al momento non si vede alcuna prospettiva per risolvere politicamente e diplomaticamente la guerra.

La scommessa del Cremlino

La Russia, al contrario dei suoi partner asiatici, potrebbe avere interesse a proseguire la guerra non solo perché è consapevole che l’Europa non può sopravvivere economicamente senza le ampie forniture di gas russo ma anche perché valuta probabilmente che la crisi energetica farà traballare questo inverno molti governi europei con conseguenze che potrebbero minare la capacità e la volontà di continuare a sostenere con le armi l’Ucraina e la stabilità interna della NATO, con possibili fratture tra gli Stati Uniti e i loro alleati da questa parte dell’Atlantico.

Uno scenario anticipato da Putin il 17 giugno scorso nel discorso tenuto al Forum economico di San Pietroburgo in cui azzardò la previsione di un’Europa che aveva rinunciato alla sua sovranità mettendola nelle mani degli USA e che avrebbe subito a breve crisi energetica, economica e disordini sociali tali da far cadere élites e governi.

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La valutazione strategica di Mosca sembrerebbe quindi puntare sul fatto che l’inverno accentuerà le frizioni tra Stati Uniti e alleati europei, favorite e ingigantite peraltro dalla notizia che gli USA non aumenteranno la produzione energetica per rifornire l’Europa, a corto di gas e che da fine anno rinuncerà ad acquisire petrolio russo, iniziativa che prevedibilmente farò salire alle stelle anche le quotazioni del greggio.

Sul questo fronte non mancano poi già da ora le frizioni interne all’Europa e che colpiscono in modo particolare l’Italia dopo la notizia che la Francia sospenderà le forniture elettriche alla Penisola (che coprono il 5 per cento del nostro fabbisogno), iniziativa che potrebbero presto assumere anche Svizzera e Slovenia.

La Russia sembra quindi avere tutto l’interesse a prendere tempo sui fronti ucraini e non a caso Putin a Samarcanda, dichiarando che “l’operazione militare speciale continuerà”, ha aggiunto che Mosca “non ha fretta di raggiungere i suoi obiettivi, che rimangono inalterati”.

@GianandreaGaian

Foto:  SCO, Presidenza della Federazione Russa e Telegram

4286.- Il potenziale ruolo della Shanghai Cooperation Organization in Afghanistan

Nella S.C.O., l’Afghanistan ha lo status di osservatore. Stante il blocco dei fondi della Banca centrale afghana da parte di Washington e dell’OMS, Kabul potrebbe passare da minaccia a opportunità per l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. Ancora una volta ci aspettiamo che l’Unione europea si faccia avanti.

  • 26 agosto 2021, di Elvio Rotondo in Analisi Difesa, Mondo, Enduring freedom
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La Shanghai Cooperation Organization (SCO) è un’organizzazione intergovernativa, economica e di sicurezza che ha come perno Mosca e Pechino, è stata fondata a Shanghai il 15 giugno 2001. La SCO comprende attualmente otto Stati membri (Cina, India, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Pakistan, Tagikistan e Uzbekistan), quattro Stati osservatori interessati all’adesione a pieno titolo (Afghanistan, Bielorussia, Iran e Mongolia) e sei “Partner del dialogo” (Armenia, Azerbaigian, Cambogia, Nepal, Sri Lanka e Turchia).

Fin dalla sua istituzione, nel 2001, la SCO si è concentrata principalmente su questioni di sicurezza regionale, la lotta contro il terrorismo regionale, il separatismo etnico e l’estremismo religioso. Ad oggi, le priorità della SCO includono anche lo sviluppo regionale.

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Ultimamente la SCO è sempre più attiva nell’Asia centrale.  Dal 23 al 25 agosto, a Chongqing, Cina, si è svolto il forum China-SCO sull’industria dell’economia digitale, Smart China Expo 2021 (SCE 2021), una serie di conferenze, mostre, concorsi e forum per promuovere l’economia digitale e la prosperità comune tra i paesi SCO. L’evento ha visto la partecipazione dei rappresentanti dei paesi SCO e di figure chiave come il Segretariato SCO, il Business Council SCO e il Comitato Giovani SCO.

Alcuni esperti internazionali sostengono che si tratti di qualcosa di molto simile ad un’alleanza geostrategica. Negli ultimi anni gli Stati membri hanno condotto esercitazioni militari congiunte in materia di sicurezza ed anti-terrorismo anche se appare evidente che la presenza del Pakistan, storico rivale di Nuova Delhi, non può che ostacolare una strutturazione più approfondita di forme di cooperazione in materia di sicurezza.

Dopo gli ultimi accadimenti in Afghanistan, il nuovo governo potrebbe avere tutto l’interesse ad essere confermato come stato osservatore (quindi riconosciuto come stato) e ad intensificare i rapporti con la SCO e con i suoi singoli membri. Dopo il ritiro delle forze degli Stati Uniti e NATO dall’Afghanistan, la SCO potrebbe giocare un ruolo molto importante per l’Afghanistan soprattutto dal punto di vista economico.

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Dal 2015, l’Afghanistan ha cercato di ottenere la piena adesione, come stato membro, all’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), senza successo. È ancora uno stato osservatore nella SCO, nonostante Pakistan e India abbiano ottenuto la piena adesione nel luglio 2017.

A seguito dei recenti avvenimenti nel paese la piena adesione dell’Afghanistan come paese membro appare ancora più complessa. Geograficamente, l’Afghanistan fa parte della regione SCO. È un vicino di quattro Stati membri della SCO – Cina, Pakistan, Tagikistan e Uzbekistan – e ha relazioni storiche ed economiche molto strette con gli altri quattro Russia, India, Kazakhstan, and Kyrgyzstan.

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Attualmente, il nuovo regime talebano è percepito come fonte di minaccia anche dall’intera area dell’Asia Centrale oltre che dai paesi occidentali ma Cina e Russia, cioè le principali potenze dello SCO, hanno manifestato l’intenzione di iniziare a dialogare con i nuovi governanti dell’Afghanistan.

Alcuni dei problemi più evidenti che preoccupano i paesi centro asiatici sono il terrorismo e il narcotraffico che dall’Afghanistan investono o potrebbero investire la regione fino a giungere in Europa (l’Afghanistan, primo esportatore al mondo, produrrebbe l’81% dell’oppio secco).

Problema che potrebbe essere risolto dai paesi SCO con offerte di contropartite e cioè finanziamenti e investimenti nel paese, ma molto più importante con il riconoscimento ufficiale del nuovo governo di Kabul.

L’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai continua a monitorare da vicino gli sviluppi in Afghanistan e in un comunicato ha dichiarato che

gli Stati membri della SCO considerano importante ripristinare responsabilmente la legittimità del potere statale in Afghanistan attraverso un dialogo pacifico inclusivo che tenga conto degli interessi di tutti i gruppi sociali, politici, etnici e religiosi.

Chiedono, inoltre, che le forze politiche adottino le misure necessarie per normalizzare la situazione, ripristinare la pace e la crescita economica e contrastare il terrorismo, l’estremismo e la criminalità legata alla droga. Gli Stati membri della SCO riaffermano la loro intenzione di aiutare l’Afghanistan a diventare un paese pacifico, stabile e prospero, libero da terrorismo, guerra o droga, e sono pronti a unire gli sforzi internazionali per stabilizzare e sviluppare l’Afghanistan con il coordinamento delle Nazioni Unite.

Ritiro truppe USA

La SCO potrebbe aiutare l’Afghanistan a costruire un consenso regionale convincendo anche i paesi membri a impegnarsi in modo più proattivo in Afghanistan.

Quindi ci sarebbe una convenienza da ambo le parti, un’influenza dei paesi SCO in Afghanistan e il riconoscimento come stato e un supporto economico per Kabul, per evitare il rischio di una crisi finanziaria anche in considerazione del fatto che la maggior parte dei fondi finora a disposizione nel paese era di provenienza straniera (USA e altri).

Gli Stati Uniti hanno bloccato i fondi della Banca centrale afghana e il Fondo monetario internazionale ha deciso di sospendere i suoi fondi per l’Afghanistan vista l’attuale situazione di grande incertezza. Kabul potrebbe passare da minaccia a opportunità per l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai.

I talebani non avrebbero ancora tagliato i legami con al-Qaeda, nonostante si siano impegnati a farlo nel loro accordo con gli Stati Uniti. Un rapporto ONU afferma che “le relazioni tra i talebani, in particolare la rete Haqqani e Al-Qaeda, rimangono strette. I talebani si sarebbero consultati regolarmente con Al-Qaeda durante i negoziati con gli Stati Uniti e hanno offerto garanzie che avrebbero onorato i loro legami storici. Allo stesso modo, i talebani hanno anche legami con gruppi terroristici ed estremisti dell’Asia centrale e cinese che sarebbero di stanza in Afghanistan.

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Un maggiore impegno della SCO in Afghanistan potrebbe ridurre le minacce nell’intera regione, considerando l’alto livello di violenza e la presenza di combattenti stranieri in Afghanistan.

Nessuno nella regione vuole un ritorno ai turbolenti anni 90, quando la guerra civile afghana ebbe un ruolo nei conflitti e nelle insurrezioni in tutta la regione: la guerra civile in Tagikistan, le rivolte nel Kashmir, l’insurrezione in Cecenia e l’ascesa di estremisti e separatisti uighuri nello Xinjiang.

Certo, non è facile e forse anche prematuro parlarne, ma un accordo tra Afghanistan e SCO potrebbe essere il primo passo per aiutare a stabilizzare lla regione. D’altronde i talebani non hanno molte opzioni se vogliono superare gli errori compiuti durante il poro primo regime (quando solo Pakistan, Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti li riconobbero) ed essere riconosciuti a livello internazionale.

4267.-Qual è il rapporto della Cina con l’Afghanistan e come potrà cambiare ora che gli Stati Uniti se ne stanno andando?

I fattori che complicano le relazioni diplomatiche includono un potenziale vuoto di sicurezza una volta che le truppe statunitensi e alleate si saranno ritirate definitivamente e gli investimenti esteri di Pechino si espanderanno. La Cina ha mantenuto i collegamenti con i talebani, invitando già i delegati del movimento a colloqui a Pechino

Kinling Lo

Aggiornamento a un saggio del South China Morning Post, di Kinling Lo del 18 luglio 2021

Internally displaced Afghans, who fled their home because of fighting between the Taliban and Afghan security personnel, fill water containers on the outskirts of Mazar-i-Sharif, northern Afghanistan, on July 8, 2021. Photo: AP Photo
Nella valle dei leoni la guerra continua. Qui, vediamo gli sfollati interni afgani, fuggiti dalle loro case quando erano in corso i combattimenti tra talebani e personale di sicurezza afghano. Donne e ragazzi riempiono contenitori d’acqua alla periferia di Mazar-i-Sharif, nel nord dell’Afghanistan, l’8 luglio 2021. Foto: AP Photo


La Cina è storicamente passata in secondo piano in Afghanistan, ma negli ultimi decenni ha ancora giocato un ruolo in alcuni dei principali punti di svolta del Paese. Anche per la Cina è cambiato il valore diplomatico dell’Afghanistan, che acquista importanza man mano che Pechino espande i suoi investimenti all’estero, assume un ruolo maggiore nella governance globale e rafforza la sicurezza nazionale in patria.
Tra gli ultimi combattimenti tra i talebani e le truppe governative prima della partenza delle forze americane, la Cina è desiderosa di garantire la stabilità a lungo termine di uno dei suoi vicini più problematici.

Note storiche

Il primo notevole coinvolgimento della Cina in Afghanistan è stato negli anni ’80, aiutando gli Stati Uniti, il Pakistan e l’Arabia Saudita ad armare i mujaheddin afghani che combattevano l’Unione Sovietica dopo l’invasione per installare un governo fedele a Mosca.

A quel tempo il rapporto della Cina con i sovietici si era inasprito poiché Pechino era diventato sempre più scettico sulle intenzioni di Mosca, che si stava avvicinando ai vicini della Cina come Mongolia, India e Vietnam.

Secondo i documenti ufficiali del Partito Comunista Cinese, l’ex leader Deng Xiaoping dichiarò nel novembre 1982: “I problemi in Afghanistan sono di importanza strategica globale. Cina e Afghanistan condividono un confine, questo costituisce una minaccia per la Cina …”.

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L’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter e Deng Xiaoping fuori dallo Studio Ovale nel 1979. Foto: AP Photo

L’incontro avenne poco dopo che la Cina e gli Stati Uniti avevano stabilito relazioni diplomatiche formali nel 1979. Durante la presidenza di Jimmy Carter, l’equipaggiamento militare americano fu venduto alla Cina per contrastare la minaccia dell’Unione Sovietica e dei comunisti afgani.

La guerra sovietico-afghana terminò nel 1989 dopo che i sovietici accettarono di ritirarsi.

Perché l’Afghanistan è importante per la Cina

Una delle principali motivazioni che hanno guidato l’interesse della Cina in Afghanistan dagli anni ’80 è stata la minaccia percepita alla sicurezza nazionale.

L’Afghanistan condivide un confine di 90 km (56 miglia) con la regione cinese dello Xinjiang, che ospita il maggior numero di musulmani uiguri. Pechino ha accusato gli estremisti islamisti di attentati sanguinosi nella regione che hanno causato centinaia di vittime nell’ultimo decennio.

Pechino ha anche condannato “l’infiltrazione straniera” e il “terrorismo” al di fuori dei suoi confini ed è preoccupato che l’Afghanistan possa servire da rifugio e base di addestramento per le milizie uigure in cerca di indipendenza.

Nel frattempo, la stabilità dell’Afghanistan è la chiave per il successo dei principali progetti stradali e stradali nell’Asia meridionale e centrale, comprese le zone economiche speciali e le infrastrutture energetiche e di trasporto.

Il corridoio economico Cina-Pakistan è il progetto di punta della Cina nella regione ed entrambi i paesi vogliono utilizzarlo per coinvolgere l’Afghanistan attraverso collegamenti stradali e ferroviari. Ma i rischi per la sicurezza hanno ostacolato il successo degli investimenti cinesi.

Il progetto più famigerato in stallo è l’accordo Mes Aynak, un contratto sul rame, il colosso minerario statale cinese MCC firmato con il governo afghano nel 2007, ma che deve ancora giungere a buon fine.

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Quando i funzionari della sicurezza afghana facevano la guardia ai check point a Kandahar. Foto: EPA-EFE

Nonostante la Cina sia il più grande investitore di Kabul, il suo investimento in Afghanistan è relativamente piccolo. Secondo il Ministero del Commercio cinese, alla fine del 2017 aveva investito 400 milioni di dollari, in contrasto con i 5,7 miliardi di dollari investiti in Pakistan nello stesso periodo.
Secondo quanto riferito, l’Afghanistan ha le più grandi riserve non sfruttate al mondo di rame, carbone, ferro, gas, cobalto, mercurio, oro, litio e torio, per un valore di oltre 1.000 miliardi di dollari.
La China National Petroleum Corporation (CNPC) ha vinto un’offerta di 25 anni da 400 milioni di dollari per perforare tre giacimenti petroliferi contenenti circa 87 milioni di barili di petrolio.

Gli sforzi di stabilizzazione della Cina

In nessun momento la Cina ha espresso interesse a combattere la guerra in Afghanistan condotta dagli Stati Uniti dopo il 2001. Ma entrambe le parti hanno mantenuto lo scambio di comunicazioni sulle questioni afghane a livello diplomatico e hanno condotto un programma di formazione congiunto per i diplomatici afgani.

I critici hanno affermato che il non aver dispiegato le sue forze, ha dato alla Cina un passaggio gratuito nella scia degli sforzi di stabilizzazione guidati dagli Stati Uniti, pur essendo in grado di espandere le sue iniziative di esplorazione delle risorse del paese.

Tuttavia, la Cina ritiene di aver svolto “un ruolo attivo e costruttivo nel processo di pace e riconciliazione afghano”, secondo quanto dichiarato dall’ambasciata cinese in Afghanistan nel gennaio di quest’anno.

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Come sappiamo, nel 2001 Cina e Russia hanno creato l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, che si è sviluppata in un gruppo di sicurezza regionale che comprende anche India, Pakistan e altre quattro ex repubbliche sovietiche: Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Tagikistan. L’Afghanistan ha ottenuto lo status di osservatore nel 2012.

Alla fine della “guerra più lunga” degli Stati Uniti, la Cina sta valutando il suo ruolo in Afghanistan. 16 agosto 2021

L’obiettivo ufficiale dell’organizzazione è quello di colpire i “tre mali” – terrorismo, estremismo e separatismo – e gli Stati membri hanno condotto esercitazioni militari congiunte e istituito un ufficio di collegamento tra la SCO e l’Afghanistan. Di recente, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha visitato Turkmenistan, Tagikistan e Uzbekistan nell’ambito di un tourche aveva l’obiettivo di “promuovere la pace e la stabilità in Afghanistan”. “L’evoluzione della situazione in Afghanistan resta critica. In quanto vicini dell’Afghanistan, gli Stati membri della SCO possono svolgere un ruolo positivo nel promuovere il processo di pace, riconciliazione e ricostruzione in Afghanistan”. Quanto meno, possono agire da moderatori verso i talebani.

Sforzi trilaterali

La Cina ha avviato una relazione ministeriale degli esteri trilaterale con Afghanistan e Pakistan nel 2017. Il suo obiettivo principale era promuovere i colloqui tra Pakistan e Afghanistan ed estendere il corridoio economico Cina-Pakistan all’Afghanistan.

Islamabad e Kabul hanno avuto un rapporto difficile, avvelenato negli ultimi anni dalle accuse afghane secondo cui il Pakistan sostiene gli insorti talebani. Il Pakistan lo ha negato e dice di voler vedere un Afghanistan pacifico e stabile, ma l’avanzata rapida dei talebani è stata diretta da Islamabad.

La Cina ha spinto il Pakistan e l’Afghanistan a migliorare i legami in modo che possano affrontare meglio la violenza nei rispettivi paesi e ha cercato di mediare colloqui di pace con i militanti talebani, con effetti limitati. Un tentativo di colloqui è fallito nel 2015.

Sforzi bilaterali

La Cina e l’Afghanistan hanno stabilito un dialogo militare ufficiale nel 2016 e due anni dopo il ministero della Difesa cinese ha dichiarato di aver fornito circa 70 milioni di dollari in aiuti militari per sostenere gli sforzi di difesa e antiterrorismo.

Nel 2018, l’ambasciata afgana a Pechino ha confermato che la Cina ha contribuito a creare una brigata di montagna per contrastare possibili attacchi di al-Qaeda e dello Stato islamico, ma ha affermato che non ci sarebbero state truppe cinesi sul suolo afghano.

Ma si sa anche che la Cina ha mantenuto contatti con i talebani. È stata invitata e ha invitato delegazioni a Pechino per colloqui.

Il portavoce del gruppo, Suhail Shaheen, ha affermato che i talebani considerano la Cina un”amico gradito” per l’Afghanistan e sperano di parlare con Pechino degli investimenti nel lavoro di ricostruzione “il prima possibile”. Ha anche promesso di proteggere gli investimenti cinesi e di non consentire più agli uiguri cinesi di essere combattenti separatisti.

Il presente e il futuro

Rispondendo all’impegno del Presidente Joe Biden’s in aprile e confermato ancora oggi, malgrado le richieste di posporlo da parte britannica, che gli ultimi battaglioni americani saranno ritirati dell’ Afghanistan a fine agosto e, comunque, prima dell’11 Settembre – 20th anniversario delle Torri Gemelles – la Cina ha descritto la decisione come “irresponsabile” e il ministro degli esteri Wang ha etichettato gli Stati Uniti come “la fonte” dei problemi dell’Afghanistan. Penso che altrettanto potrebbero dire gli Stati Uniti della Cina e della sua Via della Seta.

I critici hanno affermato che il ritiro delle forze statunitensi creerà un vuoto politico e di sicurezza. E questo, a nostro parere, rappresenta l’unica possibile giustificazione per questa brutta ritirata.

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Una ritirata iniziata tempo fa. I marines statunitensi si ritirano dal complesso di Camp Bastion-Leatherneck a Helmand nel 2014. Foto: AFP

Fino a ieri, la Cina si è offerta di ospitare colloqui di pace e ha promesso di aiutare una transizione pacifica dopo il ritiro degli Stati Uniti, ma non ha lasciato spazio all’eventualità di un suo coinvolgimento o subentro militare. Alla domanda se la Cina avrebbe colmato il vuoto lasciato dal ritiro degli Stati Uniti, Wang ha dichiarato a marzo: “Come amico e vicino dell’Afghanistan, la Cina spingerà per la riconciliazione e la ricostruzione in Afghanistan nel rispetto e su richiesta del popolo afghano”.