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6127.- Il Niger “caccia” la UE, disfatta europea nel Sahel

Con l’Ue, strada in salita per il Nuovo Piano Mattei e si fa avanti la Russia. Per nostra scelta o no, da 108 anni, stiamo sempre con l’alleato o contro il nemico sbagliato; ma, da soli, dove andiamo? L’aver rotto i rapporti degli Stati europei con la Federazione Russa avrà soddisfatto gli interessi americani, ma non i nostri. Abbiamo visto sventolare le bandiere russe nel Niger. La politica della solidarietà attiva nel Magreb, nel Sahel e in Libia può confrontarsi con le ambizioni di Mosca e di Ankara? Certamente, direi.

Mali, Burkina Faso e Niger hanno dato vita all’”Alleanza degli Stati del Sahel”, la NATO africana. Fino a che le basi USA e italiana in Niger resteranno, sarà importante chiarire i nostri obiettivi nel Sahel. Vedremmo bene un summit a Roma con il leader della giunta nigerina, il generale Abdourahamane Tian, con il leader del Burkina Faso, Capitano Ibrahim Traoré, con il presidente del Mali, colonnello Assimi Goita e sarebbe utile la presenza dei leader della Mauritania, generale Mohamed Ould Ghazouani e del Ciad, presidente Mahamat Idriss Déby Itno. Dopodiché la parola dovrebbe passare agli imprenditori e agli istituti finanziari.

Di seguito, da La Nuova Bussola Quotidiana, l’articolo di Gianandrea Gaiani di oggi 11 dicembre 2023

Dopo aver cacciato le truppe francesi, la giunta militare di Niamey chiude le due missioni militari europee e segue l’esempio di Burkina Faso e Mali. E il posto dell’Europa viene preso dalla Russia.

Sostenitori della giunta golpista in Niger issano una bandiera russa dopo il golpe

Il Sahel continua a staccarsi progressivamente dall’Europa. Dopo aver cacciato le truppe francesi, il 5 dicembre la giunta militare – al potere in Niger dallo scorso luglio – ha annunciato la fine delle due missioni dell’Unione Europea per la sicurezza e la difesa. Il ministero degli Esteri nigerino ha infatti denunciato l’accordo siglato da Niamey con l’Ue riguardante la missione EUCAP Sahel Niger, attiva dal 2012 e ha ritirato «il consenso concesso per il dispiegamento di una missione di partenariato militare dell’Ue in Niger (EUMPM)», varata nel febbraio scorso dal governo guidato dal presidente Mohamed Bazoum deposto dai militari.
Entrambe le missioni avevano il compito di sostenere le forze militari e di sicurezza nigerine nella lotta contro l’insurrezione jihadista.

Il Niger, come anche Burkina Faso e Mali, continua così il processo di emancipazione dall’Occidente anche in termini di difesa e sicurezza avviato con la cacciata dell’ambasciatore e delle forze militari francesi che dovrebbe completarsi nelle prime settimane del 2024 ma, ad aggiungere al danno la beffa, l’annuncio della cacciata delle missioni europee è stato reso noto lo stesso giorno in cui a Niamey è giunta in visita una delegazione russa, guidata dal vice ministro della Difesa, Yunus-Bek Yevkurov.

Uno “schiaffo” all’Europa anche perché si tratta della prima visita ufficiale di un esponente del governo russo in Niger dal golpe del 26 luglio scorso e Mosca non ha neppure un’ambasciata a Niamey. Il vice ministro della Difesa russo è stato ricevuto dal leader della giunta, il generale Abdourahamane Tian e al termine dell’incontro le due parti hanno firmato dei documenti «nell’ambito del rafforzamento» della cooperazione militare, stando a quanto riferito dalle autorità nigerine.

A completare la debacle francese ed europea nel Sahel, il 2 dicembre Niger e Burkina Faso hanno proclamato il ritiro anche dalla forza congiunta G5 Sahel, creata nel 2014 per migliorare il coordinamento tra le diverse nazioni della regione nella lotta contro il terrorismo e finanziata dall’Ue, da cui si era già ritirato il Mali.
Gli altri due membri del G5 Sahel, Mauritania e Ciad, hanno preso atto della situazione decretando lo scioglimento dell’organizzazione G5 Sahel che avrebbe dovuto rafforzare il ruolo europeo nella regione destabilizzata nel 2011 dalla disastrosa guerra dell’Occidente contro la Libia di Muammar Gheddafi.

L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell,ha espresso rammarico per la decisione presa dalla giunta militare del Niger, sebbene l’Unione europea aveva immediatamente sospeso ogni cooperazione in materia di sicurezza e difesa col Niger in seguito al colpo di Stato di luglio. Una decisione che ha posto le basi per la cacciata dalla nazione africana, con i francesi, anche della Ue che non è riuscita negli ultimi quattro mesi ad aprire negoziati concreti con la giunta nigerina per impedire l’uscita di Niamey dagli accordi di cooperazione, compromettendo così il ruolo dell’Europa in questa regione strategica per i nostri interessi. L’intransigenza di Bruxelles nei confronti della giunta militare aveva già visto in novembre il Niger revocare gli inasprimenti di pena approvati nel 2015 per punire il traffico di esseri umani i cui flussi sono diretti in Libia e poi in Italia.

Il disastroso insuccesso europeo coincide con l’ennesimo successo russo in Africa. L’accordo di cooperazione militare firmato in Niger è quindi anche una diretta conseguenza delle iniziative europee e va inserito negli accordi di cooperazione militare ed economica che Mosca ha già stretto con le giunte di Mali e Burkina Faso (nazioni alleate del Niger nell’Alleanza degli Stati del Sahel). Le truppe e soprattutto i contractors russi (della PMC Wagner o di altre compagnie militari private) stanno fornendo un solido contributo alle forze del Mali nella riconquista dei territori caduti in mano ai ribelli Tuareg e alle milizie jihadiste.

Yevkurov è giunto a Niamey nell’ambito della ennesima missione in Africa, inclusa la Cirenaica libica (dove il 2 dicembre ha messo a punto il rinnovo degli accordi di cooperazione militare con il feldmaresciallo Khalifa Haftar), cosa che  evidenzia la meticolosa attenzione con cui Mosca rimarca il suo crescente impegno in Africa, politico, militare ed economico.
Si è trattato del terzo incontro in pochi mesi tra il vice ministro russo e Haftar. A fine settembre Haftar era poi stato a Mosca, dove era stato ricevuto dal presidente russo Vladimir Putin e dal ministro della Difesa, Sergei Shoigu. Stando a quento riferito dal comando delle forze di Haftar, sabato scorso i colloqui sono stati incentrati sulle «modalità di cooperazione congiunta tra Libia e Russia».

Dopo Bengasi, la delegazione russa è volata a Bamako, dove è stata ricevuta dal presidente del governo di transizione maliano, il colonnello Assimi Goita, per colloqui «sulle opportunità per rafforzare la cooperazione». Al termine dell’incontro, il ministro dell’Economia e delle Finanze del Mali, Alousseni Sanou, ha precisato che le discussioni hanno riguardato non solo il settore della sicurezza, ma anche quelli dell’energia e delle infrastrutture.
In un video diffuso dalla presidenza, Sanou ha riferito di colloqui sulla costruzione di una rete ferroviaria e per la creazione di una compagnia aerea regionale oltre a uno stabilimento per la lavorazione dell’oro estratto dalle miniere maliane e un memorandum per realizzare una centrale nucleare
Dopo il Mali, il vice ministro russo si è recato in Burkina Faso, paese con cui sono in valutazione investimenti non solo di tipo militare ma anche economico che comprendono anche a Ouagadougou il progetto di realizzare una centrale nucleare.

La disfatta franco-europea nel Sahel appare quindi senza precedenti anche se restano incognite circa il futuro della presenza militare di USA (1.100 militari in  due basi a Niamey e Agadez) e Italia (250 militari a Niamey) che la giunta non ha finora annunciato di voler espellere.

Tenendo conto delle difficoltà con cui l’Italia è riuscita e schierare una missione di consulenza e addestramento militare in Niger vincendo la resistenza francese e alla luce degli interessi di Roma a cooperare con una nazione di rilevante peso nei flussi migratori illegali, Roma avrebbe tutto l’interesse a dare concretezza proprio in Niger alle tante parole spese sul “Piano Mattei” negoziando con la giunta di Niamey un accordo che permetta la continuazione della missione MISIN.
Gli interessi nazionali impongono oggi all’Italia di affermare un proprio ruolo in Africa e nel Mediterraneo smarcandosi da partner ingombranti ormai detestati in Africa e da un’Unione Europea le cui politiche si sono rivelate anche in Africa velleitarie, fallimentari e inaffidabili.

5862.- Dossier migranti al Cisr. La mossa di Meloni letta dal prof. Caligiuri

Possiamo pensare a spostare a Sud il confine dell’Europa e dell’Italia, in sintonia con il Mediterraneo allargato e questo richiede investimenti nei paesi del Magreb, del Sahel e oltre, per favorire la crescita economica di questi paesi, riducendo il divario con l’Italia, innanzitutto e con l’Europa. I flussi migratori sono la punta di un iceberg e l’instabilità di quei paesi, certamente fomentata, chiama in causa i Servizi. Ancora una volta l’Unione europea non traccia la rotta.

Da Formiche.net, di Mario Caligiuri | 31/08/2023 – 

Dossier migranti al Cisr. La mossa di Meloni letta dal prof. Caligiuri

La sicurezza è un tema endemico della contemporaneità e il perimetro degli accadimenti che la ricomprendono si estende sempre di più. E il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica ha potenzialmente le competenze per poter fronteggiare questo fenomeno crescente. Il commento di Mario Caligiuri, professore dell’Università della Calabria e presidente della Società italiana di Intelligence

Gli strumenti previsti dalle leggi sui Servizi possono essere utilizzati in modo non consueto ma appropriato. È questa la considerazione che emerge dalla proposta di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, in relazione alla convocazione in seduta permanente del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (Cisr) per fronteggiare l’accentuazione dei flussi migratori.

È sicuramente una proposta mirata per una serie di ragioni, che provo a argomentare. In primo luogo, la sicurezza è un tema endemico della contemporaneità, per cui il perimetro degli accadimenti che la ricomprendono si estende sempre di più. Appunto per questo, un organismo come il Cisr, composto da sette ministri e dall’Autorità delegata per la sicurezza (il sottosegretario Alfredo Mantovano), ha potenzialmente le competenze per poter fronteggiare questo fenomeno crescente. In secondo luogo, il tema dell’immigrazione, quasi interrotto ai tempi del Covid, è in evidente aumento. E non ci vuole la Sibilla ellespontica per comprendere che lo sarà ancora di più nei prossimi mesi e nei prossimi anni.

Come ha ben spiegato l’economista britannico Paul Collier dell’Università di Oxford, uno dei massimi esperti di economia africana, “il divario di reddito tra i Paesi povere e quelli ricchi è mostruoso e il processo di crescita mondiale lo manterrà tale per vari decenni […] assisteremo all’accelerazione della migrazione dai paesi poveri verso quelli ricchi […] siamo alle prime fasi di uno squilibrio dalle proporzioni epiche”. Inoltre, Collier è ancora più attento, ricordando che siamo portati a valutare questo fenomeno, così come tutto il resto, in base alle nostre convinzioni morali, perché “sono i nostri valori etici a determinare le ragioni e i fatti che siamo disposti ad accettare”.

Pertanto, accordi con Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e che rappresentano i luoghi di partenza degli immigrati servono per contenere un fenomeno irrefrenabile e dalle conseguenze molto incisive.

Di fronte a un fenomeno del genere, una visione europea sarebbe necessaria. Nel 2007 – ancora sull’eco dell’11 settembre ma anche degli attentati di Madrid (2004) e di Londra (2005) – il politologo e storico statunitense Daniel Pipes aveva pubblicato un saggio in cui, riguardo all’immigrazione islamica che si verificava in Europa, aveva ipotizzato tre diversi scenari: la prevalenza degli islamici, la loro espulsione da parte degli europei e l’integrazione più o meno pacifica. Con un certo allarmismo – che poi non si è riscontrato nella misura in cui lo prevedeva –, lo studioso americano metteva però comunque in guardia sulla “alienazione della maggioranza degli europei dalla loro cultura, il loro secolarismo estremo e lo scarso tasso di natalità”. Ma il destino italiano è inequivocabilmente legato all’Europa. Non a caso, Cesare Pavese, che era un poeta, ricordava che “nessuno si salva da solo”.

Per concludere utilizzare il Cisr per affrontare in modo organico e puntuale il fenomeno dell’’immigrazione è certamente appropriata e, secondo me, da mettere subito in pratica.

Questo significa pure focalizzare ancora meglio l’attività dei Servizi che già adesso stanno seguendo con particolare e crescente attenzione il fenomeno. Infatti, oltre all’impegno prioritario nel contrasto al terrorismo, nel 2022, solo sull’immigrazione clandestina, l’Aise ha prodotto l’11 per cento delle sue informative e l’Aisi il 17 per cento. L’anno precedente erano state rispettivamente il 10 e il 9 per cento e nel 2020 il 6 e l’8 per cento.

5843.- Gianni Alemanno: «Governo Meloni troppo liberista e appiattito sulle politiche Usa»

Tempo quasi scaduto, inutilmente, malgrado anche buone intenzioni di Meloni, come il Nuovo Piano Mattei. Ai primi contatti dovevano e devono seguire fatti, ma Russia, Cina e Turchia stanno occupando gli scranni e vedremo soltanto il loro nuovo colonialismo. Ho visto bandiere russe in Niger, in Senegal. Non ho visto e non vedo nascere nuove aziende africane a partecipazione italiana. Saremmo contenti se riprendessimo l’epopea del lavoro italiano in Etiopia e in Libia. Dal Dolo di Venezia: Siamo in attesa di una politica del fare, più volte annunciata e non di nuovi candidati, che son già troppi. Auguri, intanto. Mario Donnini e tanti veneti.

L’ex sindaco di Roma e ministro Gianni Alemanno spiega le sue critiche al governo Meloni e il suo nuovo progetto politico nell’intervista ai microfoni del DiariodelWeb.it

Da Diariodel Web.it. Pubblicato il 18 Agosto 2023, da Fabrizio Corgnati

Gianni Alemanno (© Fotogramma)

Gianni Alemanno è tornato in campo. A dieci anni esatti dalla conclusione del suo mandato in Campidoglio, l’ex sindaco di Roma e ministro lancia il suo nuovo progetto politico. Per ora è un manifesto, presentato alla convention del Forum dell’indipendenza italiana il mese scorso a Orvieto, ma presto, già in autunno, potrebbe diventare un vero e proprio movimento. Che parte da destra, la sua storica collocazione, ma intende spingersi oltre le politiche dell’attuale governo Meloni, che bolla come deludenti sia sul fronte sociale che su quello geopolitico. Ecco come Alemanno racconta le sue posizioni e le prossime iniziative che ha in programma in quest’intervista che ha rilasciato ai microfoni del DiariodelWeb.it.

5737.- La Wagner in Africa.

Anzitutto cosa rappresenta per la Russia la Compagnia Wagner.

Quanto danno abbia portato il tradimento di Prigozhin lo vedremo, come anche vedremo quanti lo avessero appoggiato. Per ora, è stato annunciato l’arresto del gen. Surovikin e sappiamo che l’aereo di Yevgeny Prigozhin ha lasciato l’aeroporto di Machulishchy per Mosca e, poi, per San Pietroburgo. In effetti, Prigozhin potrebbe ancora negoziare e tradendo i suoi adepti potrebbe aver salva la vita. Potrebbe, ma, nello stile di Putin, non si concede una seconda opportunità ai traditori.

Sono decine di migliaia i mercenari che continueranno a essere impiegati in Africa,  dove la compagnia svolge attività in tredici diversi paesi, retribuita con risorse naturali come oro e pietre preziose. Per esempio, il Mali paga alla Wagner il corrispettivo di 10 milioni di dollari al mese. In Sudan,  nel settore delle risorse minerarie, la Wagner agisce attraverso la società M Invest di Yevgeny Prigojine e la sua controllata Meroe Gold, che si è trasferita in Sudan nel 2017 e lavora con Aswar, una società controllata dall’intelligence militare sudanese.  In Sudan, è esentata dal 2018 dalla tassa del 30% imposta dalla legge sudanese alle società aurifere. Nella Repubblica Centrafricana, ancora per esempio, Wagner è un partner privilegiato con 13 basi militari. Sua la difesa del governo del presidente Faustin-Archange Touderà, minacciato dai ribelli e da una guerra civile. Il contraccambio ha un accesso privilegiato alle miniere d’oro e di diamanti. Per la miniera di Ndassima il governo centrafricano ha istituito addirittura il divieto di sorvolo per i droni. Alcuni ministeri centrafricani sono controllati dalla Wagner. La Wagner è in Libia, Eritrea, Sudan, Algeria, Mali, Burkina Faso, Camerun, Sud Sudan, Guinea equatoriale, Repubblica Centrafricana, Madagascar, Mozambico e Zimbabwe.

La presenza radicata della Wagner in Africa è importante per Mosca e il ministro Lavrov si è affrettato a confermarla. Anche questo ha motivato Putin nell’accettare la trattativa fra Lukascenko e Prigozhin ed è e sarà, certamente, un problema per l’Italia, per l’Europa, in particolare, per il controllo del Mediterraneo allargato e per il Piano Mattei. In Russia, Prigozhin dovrà confrontarsi anche con il Consiglio del comandante di Wagner. Più analizziamo le situazioni, più ci chiediamo se la decisione di tenere la Russia fuori dalla NATO sia stata una scelta infelice.

5575.- La vita dei clandestini algerini in Francia. Molti sono coinvolti in “attività illegali” e vengono linciati

Traduzione dalla Lettre Patriote

Un influencer algerino, residente in Francia, descrive la vita dei clandestini algerini. Dice che molti sono coinvolti in “attività illegali” e vengono linciati

Dopo la sua apparizione su Ennahar TV la scorsa settimana, Houssem Wahrani ha ricevuto un’ondata di insulti e invettive sui social network.

Delle due ore di durata del programma, un passaggio ha fatto parlare particolarmente gli internauti algerini. Questo fa parte dell’intervento del giovane influencer in cui dipinge un quadro piuttosto nero sulla vita dei clandestini algerini in Francia.

“L’Europa non è un paradiso. Chi chiama i giovani ad andare deve assumersi le proprie responsabilità davanti a Dio. La vita è costosa in Europa. Io perdo 800€ al mese solo pagando le spese. Se non facessi soldi con i social media, non sarei in grado di cavarmela. “, dice sul set di Ennahar TV.

Il discorso di Houssem non dovrebbe piacere in Algeria, dove i giovani sognano l’Eldorado europeo.

Houssem Wahrani rivela il volto nascosto della vita degli algerini irregolari in Europa e in particolare in Francia. Senza lavoro, senza casa, molti giovani algerini si riversano in attività illegali per soddisfare i propri bisogni, tanto più che una certa parte di loro non ha qualifiche o professioni che aprano le porte a un inserimento lavorativo.

“Molti mi chiamano per dirmi che se sapessero che quella era la vita in Europa, non sarebbero venuti. Conosco alcuni che sono stati in Europa per sette, otto o addirittura nove anni senza avere i documenti. Hanno paura di tornare per non essere visti come dei perdenti”, ha aggiunto Houssem.

Gli internauti che non sono d’accordo con l’influencer algerino hanno varcato il limite delle critiche e si sono riversati in discorsi di odio arrivando a minacciarne l’integrità fisica. In un video sulla sua pagina Facebook, vediamo sua madre che dice di aver letto messaggi minacciosi su TikTok su suo figlio.

Houssem Wahrani ha vissuto il peso di ciò che nasconde la notorietà sui social network. Le violenze sul web sono inaudite, il giovane lo ha verificato a sue spese, ma è riuscito ad avviare un dibattito sull’emigrazione clandestina e sulla situazione dei clandestini algerini in Europa e in particolare in Francia.

5275.- Energia, tutte le inesattezze sulle cause dell’aumento dei prezzi

L’Italia punta sull’Algeria, infatti già diventata il primo fornitore di gas per l’Italia, sostituendo Mosca. Le discussioni tra Italia e Algeria in ambito energetico potrebbero ampliarsi ad altre collaborazioni: un progetto di interconnessione elettrica tramite cavo sottomarino tra la regione algerina di El Chafia e la Sardegna, con una capacità fino a 2.000 megawatt, e il sostegno italiano al gasdotto transahariano, la condotta che, attraverso il Sahara, dovrebbe portare il gas dalla Nigeria all’Algeria, e da lì ai mercati europei.


Da Start Mag. 27 luglio 2022, di Gianfranco Polillo.

Gli aumenti dei prezzi dell’energia e alcune bislacche tesi che circolano. Il commento di Gianfranco Polillo

Se per legge, in questo periodo, fosse proibito dire stupidaggini, la campagna elettorale non si farebbe. Troppo forte è la tentazione da parte di pseudo esperti, giornalisti, imbonitori di vario genere e natura, di cavalcare qualsiasi cosa sia in grado di portare acqua al proprio mulino. Ed ecco allora, con sovrano sprezzo di ogni pericolo, sostenere l’inverosimile. Fino alle più stravaganti teorizzazioni.

Per Libero, grazie alla puntuta penna di Paolo Becchi e di Giovanni Zibordi, l’interrogativo è d’obbligo. “Siamo nel mezzo di una crisi senza precedenti – osservano – interi settori industriali stanno soffrendo perché il prezzo da 50 euro per megawatt è esploso a 300 euro di media. È colpa di Putin? Non proprio, il prezzo è esploso nell’estate del 2021, pochi mesi dopo che Draghi è andato al governo”. Elementare Watson.

Ma perché Draghi? Cercano quindi di argomentare: “Sia Draghi che il Pd e il M5S in particolare hanno sempre sostenute in tutte le sedi quelle politiche di restrizioni, limitazioni e divieti per nucleare, carbone, estrazione di gas e petrolio. Soprattutto però, quando il problema è scoppiato il governo italiano non ha fatto niente”- Davvero? Lasciamo perdere le passate limitazioni – allora Draghi era solo presidente della BCE – ma chi ha tentato di mettere un tetto al prezzo del gas? Argomento ancora in discussione in Europa. E se il Governo Draghi fosse nella pienezza dei suoi poteri, forse l’eventuale soluzione sarebbe più vicina.

Non contenti, aggiungono, sempre riferendosi a Draghi: “Anzi, spingendo più di altri per le sanzioni alla Russia ha contribuito ad aggravare una situazione già esplosiva”- Sarebbe stato meglio arrendersi subito. Ed avere i cosacchi, come immortalava un vecchio manifesto della DC, durante le elezioni del ‘48, che si dissetavano nelle fontane di Piazza San Pietro.

Ma a parte ogni altra considerazione è il continuo endorsement a favore di Putin che non funziona. “In realtà il prezzo del gas russo di Gazprom, che viene comprato dagli intermediari, è quasi invariato rispetto ad un anno fa. – scrivono i “nostri” – Così il prezzo del gas che arriva per gasdotto da Algeria e Qatar. Solo una piccola frazione del gas che arriva, quello comprato sul mercato “Ttf” in Olanda come gas liquefatto è in realtà aumentato di 15 volte. Ma come mai allora il prezzo all’ingrosso dell’elettricità è aumentato dello stesso ammontare, se appunto l’80 o 90% viene prodotto usando gas russo che costa come prima?”.

Ma è veramente così? Il prezzo dell’energia ha avuto questo balzo in avanti? Secondo il dati dell’ARERA non sembrerebbe. L’ARERA, com’è noto, è l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente. Dai dati relativi al prezzo dell’energia, si evince che i prezzi sono ovviamente aumentati, ma non nella misura indicata dai due giornalisti. Per le utenze domestiche, ad esempio, in regime di maggior tutela, il costo della materia prima è stato pari, in media, a 9,40 euro per kilowattora nel 2019, a 7,36 l’anno successivo, a 13,73 nel 2021 e 34,40 in questi primi mesi dell’anno.

Aumenti, si badi bene, più che sostanziosi, ma che poco hanno a che vedere con le cifre indicate dai due autori. Il perché è semplice. È dato proprio da quel mix di forniture (GNL, gas delle forniture “take or pay”, petrolio, carbone, rinnovabili, idroelettrica e via dicendo) utilizzato nelle centrali per produrre elettricità. Tra questi diversi input esiste una qualche relazione? Ovviamente. Ma è molto più complicata di quanto a prima vista potrebbe sembrare.

Prendiamo il caso delle ultime decisioni di Gazprom di portare al 20 per cento le normali forniture di gas tramite il Nord stream. Il tutto motivato da vaghezze manutentrici. L’effetto immediato è stato quello di spingere il prezzo del GNL ad oltre 202 euro il kilowattora. Riflesso e conseguenza di una minore offerta a fronte di una domanda in continua espansione nella lotta contro il tempo, al fine di accrescere gli stoccaggi per far fronte alle difficoltà del prossimo inverno. Come si vede, la Russia è in grado di influenzare, come meglio crede, l’intero mercato.

C’è solo questo? Ma no: basta guardare ai cambiamenti intervenuti nei rapporti di cambio tra il dollaro e l’euro. La svalutazione di quest’ultimo sarà pure legato a tanti fattori, come la diversa e più spinta politica monetaria d’oltre Atlantico, ma certamente la maggiore vulnerabilità energetica dell’Europa indubbiamente ha pesato. Il che solleva, a sua volta, tanti altri interrogativi. Ma Putin c’è l’ha veramente con gli Stati Uniti o, invece, punta soprattutto ad indebolire l’Europa? In attesa di capire, sarebbe meglio non sparare alla luna.

4516.- Verso la macroarea euromediterranea” per costruire “un’alleanza”.

Relazione della C.I.A. Confederazione Italiana Agricoltori Catania, Ortofrutta: Costruire “un’alleanza” con i Paesi del Mediterraneo, rivedere accordi commerciali bilaterali costruire nuove partnership di “macro-area” per rispondere a sfide clima e mercati

3 LUGLIO 2021

Costruire “un’alleanza del cibo” tra i Paesi del Mediterraneo, con l’ortofrutta al centro, in un’ottica non più di antagonismo ma di integrazione. Obiettivo creare un vero mercato euro-mediterraneo, equo, sostenibile e competitivo; sviluppare nuove partnership commerciali per approcciare in maniera sinergica a piazze strategiche per l’export come il continente asiatico e rispondere insieme alle sfide del cambiamento climatico. Questo il messaggio lanciato da Cia-Agricoltori Italiani in occasione del convegno “L’ortofrutta nel contesto del Mediterraneo” che si è svolto in luglio al dipartimento Di3A dell’università degli Studi di Catania, il terzo degli appuntamenti dedicati al settore per supportare l’Anno Internazionale della Frutta e della Verdura 2021 promosso dalla FAO.

“Il ruolo e il contributo dell’Università  è fondamentale, per portare avanti il percorso di modernizzazione l’agricoltura perché l’agricoltura 4.0 ha bisogno di innovazione, ricerca, e nuovi strumenti”, ha esordito il presidente Cia Sicilia Orientale, Giuseppe Di Silvestro. ..“Il bacino del Mediterraneo sta assumendo una posizione sempre più rilevante negli scambi comunitari, come nuova macro-area economica dove l’ortofrutta è tra le produzioni essenziali – ha esordito– in cui l’Italia, e la Sicilia a maggior ragione, rappresentano già geograficamente il nucleo centrale”.

Forte della sua posizione di leadership nel settore, l’Italia conta 1,2 milioni di ettari coltivati a frutta e verdura, 300 mila aziende coinvolte e un valore di 15 miliardi di euro. Oltre a nicchie di valore aggiunto come la produzione di agrumi biologici, dove l’Italia è prima al mondo, con quasi 40mila ettari e il 99,9% prodotto nelle regioni meridionali.

“Il nostro Paese – ha sottolinea il presidente Cia, Dino Scanavino – può sfruttare questa posizione strategica per essere artefice e protagonista di una nuova politica agricola euro-mediterranea”. 

“Serve, però, una revisione degli accordi commerciali bilaterali tra Ue e Paesi Terzi del Mediterraneo (PTM) – ha sottolineato Giuseppe Di Silvestro, presidente CIA Sicilia Orientale– visto che finora non hanno soddisfatto pienamente l’esigenza di reciproca tutela economica e fitosanitaria, di salvaguardia biunivoca, esigenza ineludibile per prodotti sensibili come gli ortofrutticoli, mancando di garantire concretamente e alla pari tutti i soggetti economici coinvolti”. 

Oggi l’incremento delle importazioni europee di ortofrutta (il Marocco è passato da circa 896 mila tonnellate del 2009 a 1,3 milioni di tonnellate nel 2019, il 52% in più; l’Egitto a quasi 724 mila tonnellate, il 40% in più rispetto a 10 anni prima; la Tunisia a 94 mila tonnellate, il 7% nel 2019 sul 2009) con la pressione sui mercati interni e spesso il crollo dei prezzi, insieme al gap di competitività, rischiano di acuire le contrapposizioni tra i produttori del Mediterraneo. 

“Per questo – ha osservato Di Silvestro – oggi molti accordi, come quello tra Ue e Marocco, o l’accordo Ue-Egitto, significativi per produzioni come gli agrumi, il pomodoro da mensa, l’uva da tavola, andrebbero costantemente monitorati, valutati nel loro impatto e rivisti, per aggiornarli e soprattutto per consentire di operare in un’ottica di reciprocità e complementarità dell’offerta, non di antagonismo spinto, riducendo le forti differenze anche sul fronte dei costi di produzione e manodopera”

D’altra parte, secondo Cia sono necessarie nuove relazioni euro- mediterranee di partnership commerciale e programmazione per approcciare in modo sinergico mercati lontani, in primis quello asiatico. Senza contare che il sistema produttivo ortofrutticolo “allargato” del Mediterraneo affronta sfide analoghe legate all’adattamento e alla mitigazione di cambiamenti climatici, alla riduzione della risorsa idrica, alla degradazione del suolo, all’aggressività delle fitopatie. 

Sfide comuni che richiedono soluzioni comuni a sostegno degli agricoltori, attraverso l’uso di tecnologia e innovazione e l’adozione di buone pratiche, che il CIHEAM di Bari, coinvolto nell’evento di Cia, già promuove nell’area mediterranea (es. irrigazione, gestione avversità colture, agricoltura biologica, agricoltura di precisione), trovando sinergie anche nella promozione globale di sistemi alimentari e consumo sostenibili basati sulla Dieta mediterranea. 

 “L’Italia ha un ruolo strategico nell’area del Mediterraneo non solo per le relazioni legate alla logistica e agli scambi commerciali, che per il settore ortofrutticolo assumono rilevanza sempre crescente – ha evidenziato il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Dino Scanavino – ma in quanto promotore di dialogo, di ricerca coordinata, di cooperazione sui temi agricoli, di strategie di filiera, di comuni piani di mercato. Il nostro Paese può diventare davvero il pilastro della valorizzazione dell’ortofrutta, consentendo anche trasferimento di know-how e conoscenze aziendali, in una direzione non più orientata per singoli paesi, ma di macroarea euromediterranea”. 

La sfida del Mediterraneo

Tratto da una relazione di Cristina Chirico per la Confederazione Italiana Agricoltori (CIA)

“Grazie alla centralità geografica dell’Italia nel Bacino Mediterraneo, si può considerare vincente la scelta di creare sinergie produttive e commerciali con i Paesi terzi dell’area mediterranea al fine di accrescere la forza competitiva delle produzioni mediterranee nei mercati internazionali attraverso una valorizzazione delle produzioni tipiche delle sponde Nord e Sud.
E’ possibile ipotizzare l’area Euromediterranea non solo come una zona di libero scambio, ma anche come uno “spazio unico di produzione” per le imprese orientate all’esportazione nel quale ottimizzare i punti di complementarità e ridurre i margini di concorrenza? In sintesi: è possibile considerare vantaggioso, anche per le nostre imprese, attivare accordi di filiera per la destinazione internazionale?

Nuova centralità del Mediterraneo

Assistiamo ad una nuova centralità del Mediterraneo. All’Italia, sia per ragioni geografiche che per le relazioni economiche da tempo instaurate, spetta il compito di porsi al centro di questo processo, fondato sui seguenti elementi:

  • la nuova centralità degli obiettivi di Barcellona da parte della Commissione Europea, che ha confermato l’impegno per il raggiungimento dell’area di libero scambio;
  • la nuova Politica di vicinato, improntata ad un approccio bilaterale diversificato tramite i Piani di azione e lo Strumento Europeo di Vicinato e Partenariato (ENPI). Ciò da un lato riduce la portata politica del rapporto tra UE e Paesi del Mediterraneo (che passano allo status di Paesi vicini, alla pari dei Paesi dell’Est europeo non candidati all’adesione), dall’altro accresce il pragmatismo e l’efficacia degli interventi;
  • l’indubbia centralità politica dell’area, per la soluzione dei conflitti storici e nascenti nell’area;
  • la nuova centralità geo-economica del Mediterraneo negli scambi via mare per le produzioni internazionali provenienti dall’Oriente, con destinazione i mercati Nord Europei, dove sono allocati i grandi poli di commercializzazione. Già oggi un settimo delle esportazioni mondiali di prodotti deperibili transita per il Mediterraneo (10 milioni di tonnellate di prodotti, secondo l’Ismea).

L’agricoltura italiana, se sostenuta dal tanto atteso potenziamento della rete infrastrutturale e logistica nel nostro territorio, può trarre vantaggio dalle opportunità che vengono dal mare. Per far sì che l’Italia non sia solo il luogo di transito delle merci e delle persone da Sud a Nord, ma costituisca il luogo della valorizzazione, dell’incorporazione di servizi nel prodotto, in una parola dell’attribuzione di valore aggiunto del prodotto agricolo, anche di altre provenienze, con destinazione verso i mercati internazionali. Gli esperti suggeriscono che per la gestione del trasporto marittimo non occorrono grandi volumi di prodotto, ma è necessario che questo possa essere organizzato in container in grado di avvantaggiarsi dei benefici logistici dell’intermodalità.
Il ruolo-chiave dell’Italia, di carattere logistico e organizzativo, può essere individuato nella creazione di servizi intorno al prodotto, la cui tendenza è verso la personalizzazione e la flessibilità in base alle esigenze del cliente. Ad esempio, la IV gamma, secondo una recente pubblicazione della Commissione europea sugli scenari del consumo alimentare, rappresenta la frontiera del comparto ortofrutticolo fresco, e si attende un suo aumento nelle economie avanzate.

Ruolo chiave dell’agricoltura

L’agricoltura è uno dei motori dello sviluppo economico dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo. In molti di questi, come Marocco, Siria, Egitto, il comparto primario rappresenta circa il 20% del Pil e il 30% della forza lavoro occupata. Tali Paesi vivono il problema del deficit alimentare, aggravato dalla crescita demografica e dall’esodo rurale, le cui proiezioni fanno prevedere un rischioso incremento delle importazioni cerealicole nei prossimi decenni.

Le due agricolture

Sia l’Italia che i Paesi Terzi Mediterranei, PTM, pur con caratteristiche profondamente diverse, si caratterizzano per la presenza di due agricolture:

  • la prima, più diffusa, di tipo tradizionale, con una limitata dimensione economica delle imprese, a gestione familiare; è una tipologia produttiva scarsamente legata alle dinamiche di mercato, ma fornitrice di servizi socio-ambientali di estrema significatività;
  • la seconda, innovativa ed orientata al mercato.

Queste due agricolture hanno bisogno di strumenti di intervento diversi, in termini di misure nazionali, comunitarie ed investimenti pubblici e privati. A queste agricolture competono ruoli sociali diversi.

La creazione di una Banca Euromediterranea per creare sviluppo

La liberalizzazione degli scambi, da sola non crea sviluppo; se non è accompagnata da misure interne di sviluppo agricolo va a vantaggio delle imprese già strutturate per le destinazioni internazionali.
Occorre l’integrazione economica, occorrono investimenti strutturali per rafforzarla. La creazione di una Banca Euromediterranea dovrebbe favorire la concessione di un canale di finanziamento privilegiato per le opere infrastrutturali a beneficio dei sistemi agricoli. Non dobbiamo dimenticare, infatti, i gravi limiti strutturali che condizionano il futuro dell’agricoltura mediterranea: tra questi, le risorse idriche scarse e male utilizzate, la salinizzazione e desertificazione dei terreni, l’inidonea rete dei trasporti.

Occorre immaginare il Mediterraneo come macroarea produttiva e di consumo

A livello internazionale vincono le macro aree, i Paesi-continente, grandi produttori e grandi mercati di consumo (Sud America, Cina e India). L’area mediterranea va considerata come grande area geografica, al pari delle macro aree, pienamente inserita nell’economia mondiale.
Si tratta di dar vita ad una delle più grandi realtà economiche del mondo, un insieme di circa 40 Paesi, comprendente, nelle proiezioni demografiche, 600-800 milioni di consumatori. Secondo i dati della Banca Mondiale già al 2003 la popolazione del Mediterraneo (sponda Nord e Sud insieme) era pari ad oltre 450 milioni di persone.
Prendendo a riferimento le prime voci di esportazione agricola, in particolare ortofrutta, di ciascun Paese del Mediterraneo (Nord e Sud), si può giungere ad un valore approssimativo esportato in complesso dall’area di oltre 8,8 miliardi di dollari.
Lo sforzo di immaginare l’area mediterranea nel suo insieme è il presupposto per ipotizzare una strategia produttiva e commerciale vincente per tutti i soggetti che vi partecipano. Gli obiettivi da raggiungere sono: acquisire una posizione migliore sui mercati internazionali e competere con le grandi produzioni delle aree emergenti, partendo da questi presupposti:

  • diversi Paesi mediterranei, come Turchia, Marocco, Tunisia, Israele, sono già oggi grandi produttori agricoli orientati all’esportazione, in particolare nell’ortofrutta fresca;
  • i mercati di destinazione dei prodotti italiani e dei Paesi del Mediterraneo sono spesso coincidenti e si concentrano prevalentemente in Europa;
  • i calendari di commercializzazione per i principali prodotti esportati sono solitamente anticipati di diverse settimane rispetto all’offerta italiana.

Concorrenzialità o similarità

La similarità delle produzioni agricole e delle destinazioni di mercato ha indotto in passato a guardare con diffidenza all’apertura degli scambi. E’ questa anche la filosofia alla base dell’applicazione dei contingenti tariffari previsti dagli Accordi di Associazione in ambito Euromed.
In realtà, se si analizzano gli indici di somiglianza delle esportazioni agricole dell’Italia e degli altri Paesi mediterranei verso il mondo (per tipologia e volume di prodotto esportato), la concorrenza proviene dai produttori europei, Francia, Spagna e la candidata Turchia, piuttosto che dai PTM.

La strategia

Attraverso le varie forme di integrazione con le imprese mediterranee, gli operatori italiani (imprese private e associazioni di produttori), come già avviene per Francia e Spagna, possono trarre diversi vantaggi:

  • aumento della massa critica anche in parziale contro-stagionalità, rispetto al calendario di produzione italiano, e possibilità di una fornitura ininterrotta di approvvigionamento dei canali distributivi internazionali (caratteristica ritenuta fondamentale da parte della GDO nella scelta dei fornitori di prodotto fresco);
  • ampliamento della gamma dei prodotti ortofrutticoli per i mercati esteri.

Per i Paesi del Mediterraneo, l’interazione con le imprese italiane può fornire il necessario apporto tecnologico e di know-how, oltre che un modello organizzativo aziendale necessario al raggiungimento di obiettivi commerciali e l’adeguamento ai parametri qualitativi europei.
E’ evidente come un percorso commerciale comune presuppone, da parte delle imprese partner, il soddisfacimento dei criteri qualitativi e l’allineamento agli standard igienico-sanitari previsti dalla normativa comunitaria. Qualsiasi strategia di filiera implica la realizzazione di investimenti mirati, finanziabili anche all’interno dei Piani di Azione previsti dalla Politica di Vicinato, per omogeneizzare i sistemi di qualità, la certificazione e la tracciabilità dei metodi di produzione.
Le azioni, da realizzare attraverso intese tra produttori italiani e mediterranei, potrebbero ad esempio favorire la gestione concordata dei calendari di produzione e di commercializzazione per le produzioni a destinazione estera. Il successo della vendita di prodotto ortofrutticolo fresco proveniente dall’emisfero Sud (in particolare Sud America e Sud Africa) in periodi dell’anno alternativi all’offerta comunitaria nei grandi mercati del Nord Europa, come Regno Unito e Norvegia, e in Russia è un indicatore della tendenza del mercato comunitario verso il consumo in contro-stagionalità.
Come noto, si può dialogare con la GDO internazionale solo se si garantisce la continuità temporale e qualitativa degli approvvigionamenti. Occorre quindi:

  • accrescere la massa critica del prodotto esportato;
  • valorizzare le produzioni mediterranee in modo unitario e renderle riconoscibili anche attraverso l’attribuzione di marchi commerciali;
  • qualificare il prodotto, esaltare le tipicità, operare la promozione in associazione con l’identità culturale e territoriale del Mediterraneo;
  • adottare strategie di differenziazione della produzione (ad esempio, potenziamento del biologico, massima valorizzazione dei prodotti col marchio di denominazione di origine controllata )”.

4515.- Un piano strategico per il Mediterraneo è la risposta ai flussi migratori.

Stiamo dicendo che sia l’Unione europea sia questo decantato Governo Draghi, sia la sua opposizione, stanno affrontando separatamente i problemi dello sviluppo dei Paesi africani del Fianco Sud allargato, cioè, del Mediterraneo e del Sahel e i flussi migratori. Draghi, partendo dalle politiche agricole, anche quelle comuni dell’Ue, dovrebbe proporre un confronto fra Italia, Francia e Spagna e, poi, almeno con Grecia, Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, per cooptare, infine, Israele, Turchia, Libano e – se Dio vuole – Libia. L’obiettivo potrebbe essere un’area mediterranea di Libero Scambio. Questo quadro consentirebbe di dare un senso e coordinare le politiche economiche ed energetiche del Mare Mediterraneo facendo fronte alle prossime aperture delle rotte commerciali dell’Artico. Consentirebbe anche di affrontare meglio l’azione di penetrazione della Cina.

Niente di nuovo!

Roma è ancora un cammino da seguire.

Verso l’area euromediterranea di produzione e di libero scambio

Il mercato comunitario è il primo importatore mondiale di prodotti agricoli e rappresenta l’obiettivo commerciale delle grandi aree di produzione agricole.
Il mercato comunitario è il primo riferimento di destinazione dell’export agricolo sia per l’Italia che per i Paesi terzi mediterranei (PTM). Entrambi subiscono la concorrenza delle aree emergenti. L’impatto della liberalizzazione potrebbe quindi essere consistente sotto il profilo dell’accesso ai mercati.

L’apertura di un’area di Libero Scambio fra i mercati mediterranei fa crescere le nostre e le loro economie; crea opportunità di investimento nei Paesi africani ed è l’unico vero contrasto possibile all’immigrazione incontrollata e sempre più incontrollabile, come gli avvenimenti di oggi sulle coste italiane e sui confini della Grecia e della Polonia dimostrano. Le cause della migrazione sono numerose e vanno da sicurezza, demografia e diritti umani fino al cambiamento climatico, ma ciò porta gli africani a emigrare è, senz’altro la mancanza di opportunità che fa capo all’attuale sistema di sostegni e di sfruttamento del Fondo Monetario Internazionale: un handicap per le economie africane, che ne limita lo sviluppo. L’Europa possiede le risorse tecnologiche e l’Africa è una terra ricca. Dobbiamo crescere! e l’Italia si faccia capofila di una politica Ue di stretta collaborazione sul piano diplomatico, militare ed economico fra i Paesi mediterranei. Solo una politica attiva dell’UE di libero scambio, di investimenti e di partenariato, attuata fra gli Stati dell’area mediterranea può raggiungere questo obiettivo.

Sbaglia chi vuole blindare ancor di più l’Unione Europea e chiede il blocco navale. Il blocco, sostenuto da alcune parti politiche, è inattuabile, guarda all’emergenza, ma non risponde a una visione aperta in tutti i sensi.

Questo non sta avvenendo, complice l’ignoranza che grava sulla politica. Per governare i flussi migratori dai paesi africani, infatti, è necessario comprendere le cause che li determinano. Quindi, va bene contenere il fenomeno migratorio, ma guardando alle cause e alle possibili soluzioni. L’apparente cecità dei governi europei, invece, avvantaggia i forti interessi delle multinazionali occidentali, ma anche della Cina che, dai primi anni Duemila, è diventato il principale attore in Africa, mirando a un approccio molto concreto: vale a dire, risorse naturali in cambio di infrastrutture essenziali, come strade, dighe, ferrovie, porti, investimenti negoziati a condizioni rischiose per chi li riceve. Va da sé che lasciare che la Cina si impossessi delle risorse e delle infrastrutture africane è un suicidio per l’Africa e per l’Europa.

Se dicessimo che i paesi europei e più in generale i paesi occidentali hanno un impatto sull’economia africana e, perciò, dobbiamo rimodulare le nostre economie coordinandole con quelle africane, saremmo sul giusto binario. Guardando al bilancio Ue, una buona metà è dedicata al sostegno all’agricoltura. Questo costituisce di fatto un freno alle esportazioni africane. Se ora dicessimo che gli agricoltori italiani, francesi, spagnoli devono limitare le loro produzioni per fare spazio a quelle dell’Africa bianca, saremmo accusati di eresia. L’obiettivo da proporsi, allora, è: “Portare gli imprenditori agricoli europei a investire sulle coste africane”. Gli imprenditori italiani hanno dimostrato di saperlo fare, e bene, al tempo delle colonie. L’importante è che, oggi, non arrivino per ultimi. Il Mediterraneo è la nostra storia.

“Aiutiamoci a casa loro”

Lo slogan “Aiutiamoli a casa loro” non sia soltanto un auspicio mosso dalla solidarietà tra stati, o dal mero interesse di ridurre i flussi migratori: impossibile! Lo slogan deve essere “Aiutiamoci a casa loro”. Bisogna e sottolineo “bisogna”, che i “canali” attraverso i quali devono essere gestiti questi aiuti (e i come) non devono essere intergovernativi perché la crescita si rivelerebbe sicuramente fragile, molto legata all’andamento dei mercati, sopratutto, a quelli delle materie prime (Ho presenti le condizioni del Mali, primo produttore mondiale di cotone); sarebbe facilmente frenata da fattori politici.

Bruxelles deve soltanto creare le condizioni affinché gli imprenditori europei, insieme alle istituzioni finanziarie, possano investire le loro risorse in partenariato con gli africani, con obiettivi comuni e con reciproco vantaggio. Ciò dovrebbe segnare il futuro dell’area mediterranea e del Sud Europa, ricordando che i processi di sviluppo sono, per loro natura, lunghi e complessi.

4423.- L’Algéria rinnegherà la nazionalità dei delinquenti che ha esportato. Rimpatrio impossibile.

Un disegno di legge che potrebbe preoccupare per la diaspora algerina verso l’Italia, ma soprattutto in Francia…

L’Algeria prepara una legge sulla privazione della nazionalità contro la diaspora algerina, presente in particolare in Francia

Di Marc Sergent, La Lettre Patriote

DR
Il ministro Belkacem Zeghmati ha presentato mercoledì un emendamento al codice della nazionalità algerino. La sua proposta prevede diversi scenari che potrebbero portare alla decadenza dalla nazionalità algerina “acquisita o di origine”.

Sarebbe quindi decaduta ogni persona di nazionalità algerina “che commetta, al di fuori del territorio nazionale, un atto deliberato di lesione grave degli interessi dello Stato o di lesione dell’unità nazionale”.

Nota 1: la Francia ospita la più grande comunità algerina all’estero. Il presidente Abdemadjid Tebboune ha menzionato nel luglio 2020 la cifra di “più di sei milioni di algerini” che vivono in Francia.

Marc Sergent

La legge italiana sui rimpatri presuppone una Patria.

La legge sulla privazione della nazionalità algerina non potrebbe che ostacolare l’applicazione delle misure di rimpatrio volontario o comunque ritardare l’esecuzione dell’espulsione.

In Italia, l’articolo 235 del Codice Penale, come riformulato dal c.d. “Pacchetto sicurezza” (L. 125/2008), disciplina una misura di sicurezza obbligatoria ad efficacia immediata, riguardante i soggetti stranieri, tra cui sono compresi gli apolidi residenti nello Stato, quelli che godono delle garanzie dei cittadini italiani e lo straniero che gode del diritto d’asilo.

Dopo l’espiazione della pena, il giudice ordina l’espulsione dello straniero ovvero l’allontanamento dal territorio dello Stato quando lo straniero o il cittadino appartenente ad uno Stato membro dell’Unione europea sia condannato alla reclusione per un tempo superiore ai due anni. La norma trova la propria ratio nell’interesse di difesa sociale e di tutela dell’ordine pubblico, che giustifica l’allontanamento dal territorio dello Stato di individui la cui permanenza potrebbe risultare pericolosa. Si ricordi che l’espulsione è sempre e comunque sottoposta al vaglio della pericolosità sociale, poiché, se pericolosità sociale non vi fosse, sarebbe al massimo applicabile una espulsione in via amministrativa..

La misura di sicurezza in oggetto si distingue sia dall’espulsione in via amministrativa, applicata dall’autorità amministrativa, sia dall’espulsione ad altro titolo, in particolare come sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione.

Difatti, mentre queste ultime sono applicate in maniere pressoché automatica al ricorrere dei presupposti, l’espulsione come misura di sicurezza non può e non deve prescindere dalla pericolosità sociale del soggetto, la quale va accertata in concreto dal giudice, avendo soprattutto a riguardo, come indici di pericolosità, l’irreperibilità del condannato e la presenza di vari comportamenti sintomatici della volontà di sottrarsi ai controlli delle Forze dell’Ordine.

Oltre alla misura di sicurezza prevista dall’art. 235, esistono una serie di altre misure espulsive, contenute nel Testo Unico sull’immigrazione (T.U. 286/1998), che possono essere irrogate al ricorrere di certi determinati presupposti.Innanzitutto, è possibile, ai sensi dell’art. 13, commi 1 e 2, del Testo unico sull’immigrazione, applicare allo straniero una espulsione alla stregua di una misura straordinaria di ordine pubblico oppure come misura di prevenzione disposta, nel primo caso, dal Ministro dell’Interno e, nel secondo caso, dal Prefetto.Infine, ai sensi dell’art. 16 del medesimo T.U., è possibile applicare un’espulsione che costituisce una sanzione sostitutiva della detenzione, che può essere disposta dal giudice in una serie di casi elencati dalla norma. La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha avuto modo di pronunciarsi in merito alla compatibilità della normativa nazionale di espulsione degli stranieri, con particolare riferimento all’art. 13 e all’art. 14 del T.U. immigrazione, con la nota sentenza del 28 aprile 2011 legata al caso “El Dridi”.In quella circostanza, i giudici di Lussemburgo avevano censurato il sistema nazionale in materia di immigrazione

3273.- Gli sbarchi fantasma dei migranti dalla Tunisia

La procura di Agrigento avrebbe aperto alcune inchieste sul fenomeno degli «sbarchi fantasma», ovvero migliaia di persone, quasi tutte tunisine, che in piena notte o all’alba sbarcano da barche in legno o piccoli pescherecci e fanno perdere le loro tracce, nell’agrigentino, a Lampedusa e Linosa. Di almeno la metà si sono perse le tracce.

Secondo il procuratore titolare dell’inchiesta, tra questi migranti ci potrebbero essere persone legate al terrorismo internazionale, migranti in passato già espulsi dall’Italia o addirittura delinquenti liberati con l’amnistia dalle carceri tunisine. Sembra che durante il viaggio i migranti siano aiutati anche da «navi madri» che facilitano l’approdo in spiagge poco accessibili, prima di raggiungere in alcuni casi dei «basisti» a terra, pronti a trasferirli in altri luoghi. Alla luce delle inchieste avviate in Italia negli ultimi mesi e delle operazioni di salvataggio che l’UE ha messo in atto nel Mediterraneo, può la Commissione chiarire se è a conoscenza di questi «sbarchi fantasma» sulle coste italiane e se intende rapportarsi con la Tunisia al fine di evitare le partenze di immigrati irregolari?

Il Paese nordafricano, per chi viene dall’Africa sub-sahariana, è considerato più sicuro della Libia e consente un passaggio più facile: i porti clandestini lungo la costa sono numerosi e la polizia non riesce a pattugliarli tutti

Nella distribuzione delle domande per Paese di provenienza del lavoratore, ai primi posti risultano il Marocco, l’Ucraina e il Bangladesh per il lavoro domestico e di assistenza alla persona; l’Albania, il Marocco e India per l’agricoltura e l’allevamento. La Lombardia è prima per le richieste presentate per il lavoro domestico e di assistenza alla persona e la Campania per quello agricolo. Foto – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Migranti-Viminale-oltre-80-mila-domande-di-regolarizzazione-49eb7c9c-4f23-4412-96ec-eb91932069c3.htmlSandro CATANESE / AFP

La paura del coronavirus covid-19 non ha mai veramente fermato gli sbarchi e, anche se i numeri non sono paragonabili a quelli del biennio 2016-2017, sulle coste italiane continuano ad arrivare persone dal Nord Africa.

Negli ultimi giorni, anche a causa del clima favorevole, gli arrivi si sono intensificati; un dettaglio, però, mostra un cambiamento delle rotte della migrazione: nelle ultime 48 ore la maggior parte dei barconi è partita dalla Tunisia e non dalla Libia.

Lunedì, in poche ore, due imbarcazioni sono arrivate in Sardegna, dove gli sbarchi sono sempre stati minimi. Il primo è stato bloccato dalla Guardia di Finanza e condotto al porto di Cagliari. A bordo c’erano 12 uomini di nazionalità algerina.

Il secondo è arrivato nel pomeriggio con 11 persone, salvate al largo di Sant’Antioco.

I migranti hanno raccontato di esser partiti da un porto vicino a Biserta, all’estremità settentrionale della Tunisia, uno dei nuovi punti d’imbarco clandestini del Paese. E da lì la rotta verso la Sardegna è una linea retta verso nord, dall’altro lato del Mediterraneo.

Gli indizi che qualcosa stia cambiando sono apparsi già domenica 24, quando in Sicilia in una sola giornata si sono contati sette sbarchi. Il più numeroso a Palma di Montechiaro, dove sono arrivati circa 400 migranti. Il numero esatto non è stato chiarito, ma la polizia ha individuato solo una settantina di uomini, che sono stati condotti a Porto Empedocle per le prime visite mediche.

Non è chiaro quanti davvero fossero a bordo del peschereccio di 12 metri, recuperato poi a Cala Vicinzina incagliato tra le rocce, ma l’imbarcazione, secondo le autorità, non poteva contenere più di un’ottantina di persone.

Anche i migranti arrivati in Sicilia hanno detto di essere partiti dalla Tunisia, da Monastir in particolare, città costiera della parte meridionale del Paese. E le rotte marittime lo confermano. La zona di Agrigento, infatti, è il primo punto di terraferma che s’incontra lungo quel corridoio.

«La situazione delle partenze clandestine qui sta diventando un grosso problema», racconta un’attivista della Maison du droit et des migrations, associazione tunisina che si sta occupando dei migranti interni.

«Sono aumentate negli ultimi giorni in maniera esponenziale ma non sempre si riesce a bloccarli, anche perché i punti di partenza sono clandestini e i porti lungo la costa sono innumerevoli, sarebbe impossibile pattugliarli tutti».

Il portavoce della Guardia Nazionale, Houssem Eddine Jebabli ha riferito che  le unità della Guardia marittima di Sfax, di Nabeul e di Biserta negli ultimi due giorni, hanno bloccato 4 tentativi partenze irregolari.

A Sfax, 90 persone di diverse nazionalità africane sono state bloccate mentre erano  già quasi a bordo. Nella stessa giornata, la Guardia Nazionale di Biserta ha fermato 15 persone, lo stesso anche nella capitale Tunisi, dove è stata contrastata un’operazione di migrazione irregolare e 7 persone, tra cui una ricercata dalle autorità, sono state arrestate.

Dalla Tunisia, dall’anno scorso, flotte di barchini navigano verso la Sicilia, con a bordo numeri sempre più cospicui di migranti, non solo tunisini, ma anche dall’Africa subsahariana e dalla Siria, invertendo il trend migratorio dalla Libia, fermato grazie agli accordi fra Roma e Tripoli.

Ma perché proprio la Tunisia? In Libia la situazione di guerra rende ogni movimento più complesso. La Tunisia è molto più stabile dal punto di vista politico, anche se alle prese con problemi interni, legati alla crisi economica e alla mancanza di lavoro. Problemi che spesso causano, appunto, le partenze.

Seppur fragile, il piccolo paese nordafricano è considerato meno pericoloso di altri, diventando quindi meta delle migrazioni dall’Africa sub-sahariana. Migranti dal Ciad, Niger, Mali, e dalla Mauritania hanno scelto di attraversare il deserto cercando di evitare la zona meridionale della Libia, in mano a milizie legate ad Aqmi (Al qaeda del Maghreb) all’Isis, o a Boko Haram.

Nelle prossime settimane potrebbero arrivare sulle coste italiane altri migranti provenienti dalla Tunisia, cui si aggiungono in ogni caso le partenze dalla Libia.

Ieri la Guardia costiera libica ha riportato a Tripoli 315 rifugiati e migranti dopo averli intercettati e soccorsi in mare a bordo di diverse imbarcazioni.

Il portavoce dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni, Safa Msehli, ha detto di essere molto preoccupato per la diminuzione della capacità di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale.

Intanto, Alarm Phone, il centralino che raccoglie le richieste d’aiuto dalle barche, continua imperterrita a contestare che i migranti, contro la loro volontà, vengano riportati in un Paese in guerra.