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6140.- La sicurezza condiziona il Piano Mattei

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Migranti, Meloni ai ministri: “Serve un modello Caivano per l’Africa: tutti dobbiamo andare”

Da Il Secolo d’Italia del 5 Feb 2024 19:05 – di Sveva Ferri

Un “modello Caivano” per dare seguito agli intenti del Piano Mattei e chiudere spazio ai trafficanti nelle nuove rotte che hanno identificato, dopo gli interventi positivi che hanno frenato gli arrivi di migranti dalla Tunisia: è quello che il premier Giorgia Meloni ha presentato al governo, nel corso della sua informativa in Consiglio dei ministri sul tema dell’immigrazione.

La centralità del Piano Mattei e “il diritto a non emigrare”

“Prima con la Conferenza Internazionale su Sviluppo e Migrazioni, poi con la conferenza Italia-Africa si è avviato il percorso del Piano Mattei. Il tratto che nessuno deve dimenticare è che non abbiamo in mente un modello di cooperazione predatorio con le Nazioni africane bensì collaborativo, e rivendichiamo tra i tanti diritti da tutelare anche il diritto a non emigrare”, ha ribadito Meloni ai ministri.

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La cooperazione condivisa con i Paesi africani anche per colpire i trafficanti

“Dobbiamo insistere con le Nazioni della regione del Mediterraneo allargato e dell’Africa Sub-Sahariana, per un metodo di lavoro condiviso -ha aggiunto Meloni – che faccia contrastare insieme gli sbarchi di migranti sulle nostre coste, cooperando per colpire la rete dei trafficanti e aiutando le economie più fragili per rimuovere le cause che spingono a migrare”. “Crediamo in questo metodo e ci sentiamo confortati da piccoli segnali di speranza. Pensiamo – ha spiegato il presidente del Consiglio – al consistente calo degli sbarchi negli ultimi 4 mesi: comparando le settimane di inizio anno rispetto all’analogo periodo del 2023 siamo al – 41%”.

Sugli sbarchi di migranti “segnali di speranza”, ma nessuna facile illusione

I risultati conseguiti, però, ha di fatto avvertito Meloni, non devono far dimenticare la difficoltà della sfida. “È tuttavia una rincorsa continua”, ha avvertito il premier, ricordando che “contenere gli arrivi lungo una rotta porta all’attivazione o riattivazione di un’altra direttrice”. Così, “se 5 mesi fa la nostra prima preoccupazione erano gli arrivi dalla Tunisia, oggi lo è divenuta la costa della Tripolitania, che sta facendo registrare un incremento di partenze”. Meloni ha ricordato che “fra le nuove fonti di pressione vi sono anche gli arrivi dal Sudan, a seguito del conflitto iniziato nell’aprile 2023: i profughi sudanesi non si fermano più in Egitto, ma giungono in Libia, e da lì vengono da noi; e la decisione della giunta golpista in Niger di decriminalizzare in traffico di migranti, con conseguente aumento dei movimenti migratori da quell’area”.

Il “modello Caivano” per l’Africa, a partire da Libia e Tunisia: tutti i ministri devono andare

Dunque, “dobbiamo tenere alta l’attenzione. E per questo – ha chiarito il premier – ho bisogno di tutto il governo, poiché quello che immagino operativamente, e mediaticamente, è un “modello Caivano” da proporre per il nord del Continente africano, in modo particolare per la Tunisia e la Libia, ben consapevoli delle differenze sussistenti tra Tripolitania e Cirenaica”. “Dobbiamo sforzarci di far sentire ad entrambe le Nazioni la nostra vicinanza e il nostro reale spirito di solidarietà. Pensiamo innanzitutto a impostare tavoli ministeriali che rafforzino la collaborazione”, è stata dunque l’indicazione. “Andiamo tutti in Libia e Tunisia, sviluppiamo progetti, controlliamone l’esecuzione, coordinando, come per Caivano, le presenze, in modo – ha concluso il premier – che siano cadenzate e diano il senso della continuità”.

6139.- Il caos in Senegal inguaia ancora Ecowas

Il Nuovo Piano Mattei è la base fondante dell’interconnessione regionale tra MedAtlantic e IndoMed e conferirà autorevolezza alla politica italiana impegnata a valorizzare il capitale umano dell’Africa. A partire dal Magreb, ma in particolare nel Sahel, i problemi di istruzione e la povertà sono importanti quanto quelli dell’economia e la situazione nel Senegal è considerata solo leggermente migliore. Le giunte militari golpiste di Mali, Niger e Burkina Faso e i disordini che scuotono il Senegal non sono gestibili da Ecowas e rappresentano l’esca che agevola la penetrazione neocolonialista russa e cinese. Ecco un motivo per procedere alla rifondazione dell’Unione europea, a farne un soggetto politico sovrano, potente, capace di impegnare le sue risorse in politiche di solidarietà attiva. Lo stimolo dell’economia potrà sostenere la crescita sociale e culturale di questi Paesi e non quella economica di Russia e Cina. Per condurre queste politiche, serve radicarci nella società africana, ma prima di tutto coesione e comunanza di obiettivi nella nostra politica, vista come alfiere di civiltà e non come strumento di potere. Questa è senz’altro una missione degna del Capo dello Stato.

Da di Emanuele Rossi | 18/02/2024 – 

Il caos in Senegal inguaia ancora Ecowas

Mentre il Consiglio costituzionale senegalese ha annullato lo spostamento delle elezioni voluto dal presidente Sall, continua una fase opaca per il Paese, che mette in ulteriore difficoltà Ecowas, organizzazione cardine della regione dell’Africa settentrionale in profonda crisi di autorevolezza

I leader della Economic Community of West African States (nota con l’acronimo Ecowas) si dovevano riunire giovedì per parlare della decisione senza precedenti di lasciare l’organizzazione presa a fine gennaio dalle giunte golpiste di Mali, Niger e Burkina Faso. Invece si sono ritrovati a parlare di una situazione complessa (che però ha avuto diversi precedenti nella storia di Ecowas): il Senegal sta piombando nel caos, perché il suo presidente, Macky Sall, ha deciso di posporre al 15 dicembre le elezioni – che erano programmate per domenica 25 febbraio. Dakar è piombata nel caos, proteste di piazza sotto slogan tipo “Sall è un dittatore”, scontro con le forze di sicurezza che hanno usato le maniere forti e procurato alcune vittime — “scontri provocati dall’arresto ingiustificato del processo elettorale”, che fanno “sanguinare il cuore di ogni democratico”, per dirla come il sindaco della capitale senegalese.

Bola Tinubu, presidente nigeriano che guida Ecowas, doveva recarsi personalmente a palare con Sall, ma le condizioni di sicurezza l’hanno portato a evitare il viaggio, dato che qualsiasi cosa di negativo gli fosse successo avrebbe avuto una eco complessa. L’organizzazione soffre una fase di criticità profonda: per dire, ha invitato il Senegal a “ripristinare urgentemente il calendario elettorale”, ma il blocco è consapevole che la sua influenza è praticamente inesistente. A maggior ragione in un momento in cui tre nazioni guidate da governi militari stanno già sfidando le sue richieste. Ora l’opaca situazione in Senegal la mette ancora più in difficoltà, dato che Dakar è considerata un bastione democratico — senza un golpe o un tentativo di alterazione del processo istituzionale dalla nascita della democrazia, nel 1960.

Nelle ore in cui questa analisi viene scritta, il Consiglio costituzionale senegalese ha annullato il rinvio delle elezioni presidenziali di questo mese, “una decisione storica che apre un campo di incertezza per la nazione tradizionalmente stabile dell’Africa occidentale”, spiega Fabio Carminati su Avvenire. Resta che la posposizione è stata votata da un parlamento assediato dalle forze di sicurezza lealiste, che hanno anche arrestato parlamentari di opposizione. Attenzione: il Consiglio di fatto ha dichiarato “impossibile organizzare le elezioni presidenziali nella data inizialmente prevista”, ma ha invitato “le autorità competenti a tenerle il prima possibile” – ossia non accetta il 15 dicembre, ma è “impossibile” votare il domenica 25 febbraio.

Cosa farà il presidente? Sall cercava un terzo mandato, e senza la possibilità di guidare il Paese ha cercato di spianare la strada a una sua successione a suon di repressione (i suoi oppositori sono stati in più occasioni arrestati nei mesi scorsi con accuse di insurrezione o pretestuose). Secondo i critici, arrivato a ridosso del voto ha percepito che il suo candidato (il primo ministro in carica) non avrebbe avuto una vittoria sicura, e allora ha spostato le elezioni per prendere tempo e aver dieci mesi in più di governo e campagna elettorale — forse addirittura sostituire il candidato.

Le critiche scoppiate per lo slittamento del voto sono frutto di un risentimento già esistente: Salò ha prodotto politiche che molti giovani senegalesi non hanno visto come efficaci nel fornire loro posti di lavoro, e molti hanno cercato rotte di migrazione irregolare verso l’Europa. Il Senegal ha problemi di istruzione, povertà e capitale umano, ed è considerato solo leggermente meglio dei Paesi guidati da giunte militari nel Sahel (e lì le condizioni sono pessime e prive di sbocchi). Sall nega ogni accusa, rivendica una scelta costituzionalmente corretta. Ma la sua mossa non ha solo messo nel caos il Paese, piuttosto ha ulteriormente danneggiato l’immagine dell’organizzazione che si dovrebbe occupare della stabilità in quella articolata regione — i cui effetti si allargano facilmente verso l’Europa in termini di sicurezza (dal terrorismo alle migrazioni, fino ad arrivare agli equilibri con attori rivali e competitivi come la Russia). 

Per dire, quando la scorsa estate il Niger è stato oggetto di un colpo di Stato, Ecowas aveva minacciato un intervento militare che Nigeria e Senegal avrebbero dovuto guidare. Nel frattempo, dopo che Ecowas ha fallito nell’attività di deterrenza e Niamey è rimasta in mano ai golpisti, Niger e Burkina Faso hanno comunicato non solo di abbandonare la Comunità, ma anche la West African Economic and Monetary Union (basata sul franco francese) e stanno pensando a una confederazione alternativa con il Mali.

6074.- I dilemmi europei nel Sahel

Dilemmi anche italiani perché la solidarietà attiva che ispira il Nuovo Piano Mattei deve caratterizzare iniziative di entrambi gli imprenditori europei e africani e trovare nell’Unione europea un garante; come dire che l’Italia, da sola, può ben poco. Era scontato che gli interessi che gravitano nel Sahel avrebbero reso il cammino irto di ostacoli. Africa ed Europa sono legate a un destino comune e le missioni francesi e quelle ONU non sembrano gradite alle giunte militari che hanno preso il potere. Ci auguriamo che la diplomazia e la politica italiane sappiano trarre profitto da queste difficoltà e che intensifichino i loro sforzi con progetti concreti.

Degage France terroriste vampire

Degage l’Armèe francaise du sol malien

Da Affari Internazionali, di Bernardo Venturi, 13 Novembre 2023

Modibo Keita International è l’aeroporto di Bamako, capitale del Mali. É adiacente all’Air Base 101, usata dalla Mali Air Force, con alcuni Mig-21F.

Gli aeroporti di Bamako e di Niamey sono affollati di soldati nelle ultime settimane. La Missione di Stabilizzazione Integrata Multidimensionale delle Nazioni Unite in Mali (Minusma) sta lasciando il paese, con migliaia di effettivi e centinaia di mezzi in movimento, non senza rischi e una logistica complessa. Si sono infatti verificati già sei incidenti da quando le forze di pace hanno lasciato la loro base nel nord di Kidali il 31 ottobre per compiere il viaggio stimato di 350 km verso Gao, per un totale di 39 feriti.

Un ultimo tributo di sangue della missione: con 310 morti in 10 anni è la seconda più letale della storia, seconda sola a Unifil in Libano (332 caduti). Il ritiro della missione era stato chiesto dalla giunta militare guidata dal colonnello Assimi Goïta, al potere dall’agosto 2020 dopo aver deposto con un golpe il presidente Ibrahim Boubacar Keïta.

La giunta miliare in Mali, dopo aver messo alla porta diversi diplomatici e contingenti militari europei, in primis francesi, ha quindi rinunciato anche a Minusma, benché non sembra in grado di sostituirle adeguatamente. La missione dell’Onu sta lasciando 12 basi nel centro e nel nord del paese, oltre a quella principale di Bamako. La poca collaborazione della giunta militare e il peggioramento delle condizioni di sicurezza hanno accelerato il ritiro e non stanno però permettendo un regolare passaggio di consegne alla autorità maliane.

In questo spazio vacante, i gruppi dell’Accordo Permanente Strategico nel nord del Mali – in predominanza Tuareg– ha dichiarato di avere occupato una base nella regione di Kidali subito dopo l’evacuazione del 31 ottobre scorso. Nel rapporto con i gruppi dell’Azawad rimane infatti un altro nodo critico. Il rapporto con la giunta militare si è progressivamente incrinatoarrivando a scontri armati diretti e mettendo ulteriormente in crisi l’accordo di pace di Algeri del 2015 che aveva messo fine alla guerra con il nord separatista.

La gestione dello spazio e delle basi nel nord del Mali ha però radici più profonde. Dopo l’intervento a fianco del governo di Bamako dalla fine del 2012 con l’Operazione Serval, la Francia non ha mai di fatto passato il testimone alle Fama, l’esercito maliano, tenendo per sé spazi cruciali. Questo approccio, così come altri post-coloniali in ambito politico, sociale e culturale, hanno favorito un sentimento antifrancese e antioccidentale sui quali negli ultimi anni la propaganda russa ha avuto gioco facile a giocare un ruolo incendiario.

Cercasi partner affidabile

Dopo anni passati a rimarcare la priorità del Sahel e a cercare partner credibili, l’Ue e gli stati europei non sanno letteralmente cosa fare. Fino al colpo di stato in Mali del 2020, Bruxelles aveva individuato nel Bamako il partner centrale per la regione. Ma i due colpi di stato nel paese, e soprattutto l’arrivo dei mercenari del Gruppo Wagner, hanno creato un notevole imbarazzo diplomatico, in particolare per la missione di training militare EUTM: restare con il rischio di incrociare i russi o lasciare il paese? Dopo vari tentennamenti e con il Burkina Faso segnato dai due coup d’état nel 2022 e da una crisi istituzionale e di sicurezza fuori controllo, l’Ue ha volto lo sguardo verso il Niger, indicando il presidente nigerino Mohammed Bazoum come il nuovo partner affidabile. Ancora una volta, un colpo di stato sta stravolgendo i piani e Bazoum si trova in stato di fermo dal 26 luglio scorso. Mentre i canali umanitari e di cooperazione allo sviluppo rimangono attivi con il Sahel, la postura politica e diplomatica sembra inseguire più vie d’uscita che strategie.

Riflessione strategica

Intanto Joseph Borrell nelle settimane scorse ha ammesso che i 600 milioni di euro investiti nell’ultimo decennio nelle missioni civili e militari nel Sahel non hanno portato i risultati sperati. Mentre l’Alto Rappresentante non nasconde che anche la missione militare in Niger ha le ore contate, prima di volgere lo sguardo al prossimo “partner fidato” (Mauritania?), servirà una riflessione più approfondita sul rapporto tra Europa e Sahel, a partire anche dagli errori commenti, come quello di dare priorità a un approccio securitario che ha messo in secondo piano quello integrato. Intanto, però, nonostante non venga detto ufficialmente, difficile togliersi l’idea che il Sahel stia diventando una regione sempre meno prioritaria.

Foto di copertina EPA/STR

Cosa intendiamo? In Mali, un valido esempio di quella che chiamiamo soplidarietà attiva sono le operazioni di magazzinaggio su larga scala della logistica Bolloré che possono fornire un servizio di movimentazione e magazzinaggio per conto di fornitori leader a livello mondiale di informazioni. Ma la Francia non è stata soltanto un vampiro. Bolloré è un impresa francese, una holding fondata nel 1822 con sede a Puteaux nella periferia ovest di Parigi, in Francia. Nata come industria cartaria, ha espanso le sue operazioni a molti altri settori, come il trasporto e la logistica, le distribuzione energetica, i film plastici, la costruzione di automobili e i mass media. Gli imprenditori sono la nostra Wagner.

Rémi Ayikoué Amavi è l’amministratore delegato di Bolloré Transport & Logistics Mali dall’agosto 2021.

Di nazionalità beninese, Rémi Ayikoué Amavi è entrato in Bolloré Transport & Logistics nel 2006 presso la filiale della società nella Guinea Equatoriale, dove era responsabile dello sviluppo commerciale delle attività logistiche. Diventa poi Amministratore Delegato nel 2017.

Rémi Ayikoué Amavi è laureato in Management e Strategia aziendale presso l’ENACO-Lille. Utilizzerà la sua esperienza per sviluppare attività logistiche in Mali. In particolare, si avvarrà della rete di Bolloré Transport & Logistics in 109 paesi e dell’esperienza dei suoi dipendenti per migliorare i servizi al Paese.

Circa la Bolloré Transport & Logistics Mali

Bolloré Transport & Logistics Mali è l’operatore leader nei trasporti, logistica e movimentazione. L’azienda, presente anche in Italia, impiega ora più di 200 persone in Mali, in particolare attraverso le sue agenzie a Bamako, Kayes, Sikasso e Kati, e gestisce anche i porti asciutti di Soterko, Faladié e Kali. Bolloré Transport & Logistics Mali attua una politica sociale a beneficio della popolazione maliana, che si riflette ogni anno nel sostegno di numerose azioni di solidarietà nei settori dell’istruzione e della sanità.

www.bollore-transport-logistics.com

5919.- Coinvolgere gli istituti di credito dei paesi africani sarà l’unico nuovo canale di investimento bipartisan.

Solidarietà attiva e non soltanto aiuti allo sviluppo. Come ha affermato il presidente della Repubblica del Congo Fèlix Tshisekedi a Kinshasa, il 7 marzo scorso, rivolgendosi a Macron, l’Europa deve cambiare il suo atteggiamento verso l’Africa: “Cominciate a guardarci diversamente, senza paternalismo” , rispettandoci l’un l’altro”, ha detto. “In questo contesto, i Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di generare maggiori risorse per far uscire le persone dalla povertà e per passare a un’economia pulita ed equa.

Se guardiamo alla Tunisia e alla sua querelle con il Fondo Monetario Internazionale, che tiene banco da mesi, le iniezioni di denaro, come i 400 milioni e altri 100, dell’Arabia Saudita, concessi per consentire al paese di ripagare un bond in euro di mezzo miliardo in scadenza questo ottobre, non sono di per sé sufficienti a far riguadagnare la fiducia verso il sistema economico tunisino. Come dimostra ampiamente il caso argentino, se butti i soldi in un pozzo senza fondo, il default sarà stato solo rinviato. I bond della Tunisia restano molto rischiosi per questo motivo, specie sul tratto a medio-lungo termine e questo rischio attrae gli speculatori. Ecco che la soluzione può essere ricercata dall’Europa con una solidarietà attiva.

La presidente della Commissione europea:

“Nel 2022, l’Europa ha elargito per una cifra 93 miliardi di euro, con un aumento del 30 per cento rispetto all’anno precedente.” Oggi rappresentiamo oltre il 40 per cento dell’assistenza globale. Sappiamo quali sono i nostri obblighi, ma i finanziamenti pubblici da soli non bastano. Dobbiamo esplorare tutte le strade per attirare nuovi finanziamenti verso i Paesi in via di sviluppo, in primo luogo con la riforma della Nuova banca di sviluppo”, ha concluso von der Leyen.

Bond Tunisia promettenti senza default

Ue, von der Leyen: Servono nuovi canali per investimenti nei Paesi in via di sviluppo

“Dobbiamo esplorare tutte le strade per attirare nuovi finanziamenti verso questi Paesi, in primo luogo con la riforma della Nuova banca di sviluppo”.

Bruxelles, 18 Settembre 2023, Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Von der leyen

Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di maggiori risorse e servono nuovi canali per attrarre investimenti. Lo ha detto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel corso del suo intervento al vertice sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) alla sede delle Nazioni Unite di New York. “La mia generazione è cresciuta con l’idea che figli e nipoti avrebbero vissuto meglio di noi. Ma una serie di crisi a cascata ha fatto regredire i progressi verso i nostri obiettivi di sviluppo sostenibile. Prima la pandemia, poi la guerra di aggressione della Russia con il suo impatto devastante sulla sicurezza alimentare ed energetica globale. Il tutto con gli effetti a catena di un pianeta in ebollizione”, ha detto von der Leyen.

“In questo contesto, i Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di maggiori risorse per far uscire le persone dalla povertà e per passare a un’economia pulita ed equa. Ecco perché accolgo con favore il piano sugli obiettivi di sviluppo sostenibile del segretario generale Antonio Guterres”, ha aggiunto la presidente della Commissione europea. “Nel 2022, l’Europa ha elargito aiuti allo sviluppo per una cifra 93 miliardi di euro, con un aumento del 30 per cento rispetto all’anno precedente. E oggi rappresentiamo oltre il 40 per cento dell’assistenza globale. Sappiamo quali sono i nostri obblighi, ma i finanziamenti pubblici da soli non bastano. Dobbiamo esplorare tutte le strade per attirare nuovi finanziamenti verso i Paesi in via di sviluppo, in primo luogo con la riforma della Nuova banca di sviluppo”, ha concluso von der Leyen.

5900.- Niger: l’esercito Usa riprende le operazioni di sorveglianza dopo i colloqui con la giunta militare.

Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno reso il territorio un avamposto regionale primario per le loro pattuglie, posizionando nel Paese droni armati e coordinando da qui operazioni contro i gruppi jihadisti che hanno conquistato territorio nella regione

Da Washington, Agenzia Nova, 14 Settembre 2023 – Riproduzione riservata

L’esercito degli Stati Uniti ha ripreso le operazioni in Niger, più di un mese dopo che il colpo di Stato del 26 luglio aveva costretto a terra droni ed altri aerei in sua dotazione. La ripresa delle operazioni, ha detto ai giornalisti il comandante delle forze aeree degli Stati Uniti in Europa, generale James Hecker, è stata autorizzata dalla giunta militare salita al potere ed è stata possibile dopo negoziati con i militari. Sono riprese in particolare alcune missioni di intelligence e sorveglianza operate con droni.

Dal colpo di stato di luglio che ha deposto il presidente Mohamed Bazoum, i circa 1.100 soldati statunitensi dispiegati in Niger sono stati confinati nelle loro basi militari. “Per un po’ non abbiamo svolto alcuna missione nelle basi, hanno praticamente chiuso gli aeroporti”, ha detto Hecker parlando a margien della convention annuale dell’Air and Space Forces Association. Il generale ha spiegato che i colloqui hanno permesso di far portare avanti “se non il 100 per cento” delle missioni precedentemente svolte dagli Usa in Niger, almeno “una grande quantità”. La scorsa settimana il Pentagono ha dichiarato che alcune forze statunitensi sono state spostate dalla base aerea 101 vicino alla capitale Niamey, ad un’altra base, l’aeroporto 201, ad Agadez.

Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno reso il Niger un avamposto regionale primario per le loro pattuglie, posizionando nel Paese droni armati e coordinando da qui operazioni contro i gruppi jihadisti che hanno conquistato territorio nella regione. Secondo dati della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao), nei primi sei mesi di quest’anno l’Africa occidentale ha registrato più di 1.800 attacchi armati, nei quali sono state uccise quasi 4.600 persone. La Francia, solida alleata del presidente deposto Bazoum, dispone di circa 1.500 soldati in Niger, la maggior parte dei quali sono stati qui trasferiti dal Mali ed in parte dal Burkina Faso dopo il ritiro richiesto dalle giunte militari salite al potere anche nei due Paesi vicini. Dal golpe, Parigi ha ribadito il suo sostegno a Bazoum e disconosciuto l’autorità dei militari guidati dal generale Omar Tchiani. Voci confermate dal ministero degli Esteri francese parlano di una prossima riduzione degli effettivi francesi in Niger, in particolare per quanto riguarda le risorse in droni e di intelligence aerea, con il probabile ritiro di parte degli effettivi militari.

5879.- Il punto sul golpe in Niger

Alla luce dei recenti golpe, messa da parte la Francia, il contrasto al terrorismo nel Sahel mette in campo, prima di tutti, la Wagner. Una ragione, per molti, sufficiente a eliminare il suo vertice .

Niger, i golpisti hanno chiesto aiuto alla Wagner. L’intelligence francese sapeva del golpe sapeva del putsch ma non è intervenuto

Niger, i golpisti chiedono aiuto alla Wagner. Eliseo sapeva del putsch ma non è intervenuto

AFP, Niger, festa dell’indipendenza a Niamey

L’attesa deposizione del dittatore di fatto del Niger Mohamed Bazoum da parte dell’esercito e della Guardia presidenziale e il sostegno che questo, o meglio, questa famiglia, al potere da 53 anni, continua a ricevere dai governi europei, hanno avuto l’effetto di un collante per i gruppi rivali qaedisti e dello Stato Islamico nella regione. Per contro, l’esercito nigerino viene ora a trovarsi impegnato su due fronti: da una parte, quello dell’Ecowas, della Francia e dell’Unione europea e, dall’altra, quello dei gruppi terroristici, da subito, attivi. Una situazione che mette in luce, una volta di più, l’insufficienza, la cecità della politica estera europea e che complica e rischia di compromettere l’attuazione del nostro Nuovo Piano Mattei. Sorge sempre la domanda, se l’Italia non starebbe meglio proiettandosi di più nel suo mare, magari affiancandosi alla Turchia, piuttosto che subire i vincoli e gli sbandamenti dell’Unione – di nome – europea. Riflettendo, la divisività imposta da una minoranza politica battuta, cosiddetta di sinistra, gioca a favore di chi si oppone alle politiche di solidarietà attiva del Governo Meloni e vuole, a un tempo, tenere bassa la testa agli europei e sfruttare le ricchezze dell’Africa. In altre epoche, la Serenissima avrebbe proposta Giorgia Meloni in sposa a Recep Tayyip Erdoğan.

Da Redazione associazioneeuropalibera, 5 settembre 2023

Nell’analisi delle varie cause che hanno concorso a questo colpo di stato, oltre al sentimento anti-francese e al ruolo non trascurabile di Mosca attraverso la propaganda e disinformazione, vi sono alcuni passaggi interni che non vanno sottovalutati, legati al terrorismo e alle violenze jihadiste.

Il golpe in Niger apre nuove possibilità al terrorismo nel Sahel

Da Affari Internazionali, di Dario Cristiani, 4 Settembre 2023

Il sorprendente colpo di stato del 26 luglio che ha destituito il presidente della Repubblica del Niger Mohamed Bazoum, eletto nel 2021, seguito dall’insediamento della giunta militare al potere, ha aperto una nuova fase nelle dinamiche regionali nel Sahel.

Nell’analisi delle varie cause che hanno concorso a questo colpo di stato, oltre al sentimento anti-francese e al ruolo non trascurabile di Mosca attraverso la propaganda e disinformazione, vi sono alcuni passaggi interni che non vanno sottovalutati, legati al terrorismo e alle violenze jihadiste.

Il ruolo del terrorismo jihadista

Nonostante il Niger non abbia sofferto la spirale di violenza che Mali e Burkina Faso hanno conosciuto negli ultimi cinque anni a causa degli attacchi terroristici e delle infiltrazioni jihadiste, la “percezione” di insicurezza della  popolazione civile varia da comunità da comunità: i villaggi e i gruppi nell’area nigerina della cosiddetta “Tripla Frontiera” (la zona di Liptako-Gourma) all’intersezione di Mali, Burkina Faso e Niger, hanno chiaramente una percezione diversa rispetto a comunità meno colpite dal jihadismo.

Ad ogni modo, la possibilità di un intervento militare della  Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale – (Cedeao o Ecowas) si fa sempre meno probabile, anche perché determinate azioni di specifici attori internazionali, si pensi agli Stati Uniti, fanno pensare che l’appetito per un intervento militare per riportare Bazoum al potere o, quanto meno, un governo civile non sia poi così significativo.

Una delle questioni più importanti sul tavolo riguarda le prospettive dei gruppi jihadisti in Niger, e come questo colpo di stato possa influenzare le strategie di contro-terrorismo nigerino, che – nonostante difficoltà strutturali e mezzi limitatissimi – sono riuscite ad ottenere risultati relativamente sorprendenti nella lotta al terrorismo.

Alcuni giorni dopo il colpo di stato, sui canali Telegram legati alla propaganda dei gruppi qaedisti operanti nel Sahel sotto la sigla di Jama’at Nusrat al-Islam wal Muslimeen [il Gruppo per il supporto dell’Islam e dei Musulmani – JNIM], tale sviluppo era stato considerato quasi come una sorta di “opportunità d’oro” per poter rafforzare la propria presenza in Niger. I gruppi qaedisti hanno individuato l’opportunità di sfruttare tale situazione di instabilità lanciando attacchi contro basi militari occidentali presenti nel paese e le ambasciate, bloccando la produzione di oro e uranio da parte delle aziende straniere, cercando di rapire occidentali da fare ostaggio, e colpire l’esercito nigerino per sequestrare armi e munizioni.

La risposta dei golpisti, le opportunità per i gruppi jihadisti

Alcune settimane dopo il putsch, il Niger ha sofferto un attacco particolarmente significativo. Il 15 agosto, un distaccamento delle forze speciali nigerine è stato attaccato sulla strada che collega le città di Boni e Torodi, nel distretto di Tillabéri, circa 60 km a ovest di Niamey, in direzione del confine con il Burkina Faso. Stando a fonti del Ministero della Difesa, almeno 17 soldati sono stati uccisi e 20 feriti, in quello che è stato l’attacco più letale degli ultimi sei mesi. Qualche giorno prima, sei soldati della Guardia Nazionale erano stati uccisi in questo distretto, la principale zona di insurrezione locale nella già citata regione della “tripla frontiera.”

Nei giorni seguenti, le autorità nigerine hanno reagito. Stando a quanto riportato dall’ agenzia di stampa statale Agence Nigérienne de Presse (ANP), il 22 agosto l’esercito ha ucciso un numero imprecisato di militanti sempre nel distretto di Tillabéri, inclusi diversi noti leader dello Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS), distruggendo altresì circa 200 moto e cinque veicoli usati dai militanti. Stabilire un collegamento diretto tra l’attacco di metà agosto e il colpo di stato è probabilmente eccessivo.

Considerando queste premesse, il colpo di stato e il relativo periodo di assestamento – la cui durata è chiaramente da definire – rappresenta un’opportunità per i gruppi jihadisti operanti in Niger e più in generale nel Sahel per rivedere le proprie opzioni e sfruttare tale finestra di relativa incertezza per rafforzare le proprie posizioni sul terreno. Le implicazioni sono varie, in tal senso. In primis, ad esempio, qualora ci dovesse essere realmente un intervento armato regionale per ristabilire l’ordine costituzionale in Niger, le forze armate nigerine si concerterebbero necessariamente sul conflitto, lasciando ulteriore spazio alle forze jihadiste per rafforzarsi nel paese.

Va sottolineato come la rivalità tra i gruppi qaedisti e dello Stato Islamico porta entrambe le fazioni a vedere nel colpo di stato un’opportunità per riportare anche qualche vittoria sui propri rivali.

In tal senso, c’è una dinamica paradossale: questa rivalità crea insicurezza, perché porta questi gruppi a combattere tra di loro coinvolgendo i civili; ma al tempo stesso riduce la portata sistemica della minaccia jihadista, che sarebbe ben più significativa se le varie sigle locali lavorassero insieme.

Il golpe servirà da collante tra i vari gruppi del jihad?

Alcuni militanti jihadisti sono consci di quanto queste divisioni rappresentino un elemento di debolezza. Infatti, non è un caso che – nelle settimane successive al colpo di stato – nel Sahel siano iniziati a circolare audio che suggerivano la nascita di un nuovo gruppo jihadista, frutto di una scissione all’interno di JNIM – Jama’at Wahdat Muslimeen (Gruppo dell’Unità dei Musulmani). Questi sviluppi hanno richiamato le fazioni locali all’unità e alla fine delle ostilità tra le forze di al-Qaeda e quelle dello Stato Islamico, sostenendo che ciò servirebbe sia a “preservare il sangue dei musulamni, particolarmene di quelli ordinari, uccisi giorno e notte senza colpa alcuna” e di unire le forze per “salvarli” e combattere contro i governi locali che usano le milizie Dozo, dei Volontaires pour la défense de la patrie e Wagner.”

Sebbene la portata di questi messaggi e di queste dinamiche resti in larga parte ancora da definire, il fatto che movimenti di questo tipo realizzino appelli specifici all’unità delle forze jihadiste locali, suggerisce che il colpo di stato in Niger ha – quantomeno – rappresentato un momento per questi gruppi di riflessione strategica e di riassestamento tattico.  Se queste forze  riusciranno a compattare il fronte delle fazioni jihadiste, si rischierà di entrare in una fase dove, nel Sahel, questi gruppi possono diventare una minaccia nettamente più strutturata, e strutturale, di quanto essi non siano da divisi.

Niger: dopo il golpe a Niamey l’ipotesi di un ritiro dei militari francesi si fa sempre più probabile

Il “braccio di ferro” dura ormai da più di un mese e si è cristallizzato nel rifiuto francese di ritirare l’ambasciatore Sylvain Itté

Niamey, 4 Settembre 2023, © Agenzia Nova – Riproduzione riservata

La crisi che si sta consumando fra Parigi e la giunta golpista salita al potere in Niger lo scorso 26 luglio rende ancora più concreta la possibilità di un ritiro delle truppe francesi anche dal Paese saheliano, ultimo baluardo della strategia antijihadista francese in Africa. Il “braccio di ferro” dura ormai da più di un mese e si è cristallizzato nel rifiuto francese di ritirare l’ambasciatore Sylvain Itté, disconoscendo di fatto l’autorità golpista. Lo scontro è reso palese anche dalle ripetute e partecipate proteste con cui centinaia di sostenitori del golpe hanno prima assaltato l’ambasciata francese, quindi chiesto a gran voce lo smantellamento delle basi francesi (e statunitensi) presenti nel Paese per porre fine a quella che viene considerata come un’ingerenza nei fatti interni nigerini. Gli sviluppi del post-golpe in Niger seguono, del resto, un copione ormai noto dopo i colpi di Stato avvenuti di recente in Guinea, in Mali e in Burkina Faso, come dimostra anche l’interdizione delle attività delle Ong francesi ed internazionali nelle aree ritenute “operative” dal punto di vista militare nel contrasto al terrorismo.

L’ipotesi di un ritiro dei circa 1.500 uomini presenti a Niamey sembra dunque farsi di giorno in giorno sempre più probabile, specialmente dopo l’intervista rilasciata nel fine settimana al quotidiano “Le Monde” dalla ministra degli Esteri francese, Catherine Colonna, la quale ha evocato l’impossibilità per Parigi di mantenere – nelle condizioni attuali – il suo supporto militare al Niger in termini di lotta al terrorismo e di addestramento dei militari locali. “Queste truppe sono lì su richiesta delle autorità (democraticamente elette) del Niger, per sostenerle nella lotta contro i gruppi terroristici armati e per svolgere attività di addestramento. Oggi questa missione non può più essere garantita poiché non abbiamo più, di fatto, operazioni condotte congiuntamente con le forze armate nigerine”, ha dichiarato Colonna al quotidiano francese. Negli ultimi tre anni, del resto, il confronto con le nuove giunte militari di Guinea, Mali e Burkina Faso ha costretto tre anni la Francia ad operare una significativa riduzione della sua presenza militare nel Sahel e a ritirare completamente gli effettivi dell’operazione Barkhane e della missione Takuba da Bamako e Ouagadougou, oltre che a ridurre significativamente quelli presenti a Conakry.

Uno scenario che aveva già spinto molti osservatori a parlare di un tramonto definitivo della cosiddetta “Francafrique”, oggi reso ancora più evidente con gli ultimi sviluppi in Niger. Interpellata al riguardo, la ministra Colonna ha tuttavia tenuto a precisare che “la Francafrique è morta da molto tempo”. “Non è la Francia che fa e disfà le elezioni, sceglie i presidenti africani o conduce colpi di Stato”, ha detto la ministra, che in merito alla presenza del gruppo di mercenari russi Wagner nel continente ha definito la sua azione “di un’inefficacia totale nella lotta al terrorismo” e si è detta certa che la morte del fondatore, Evgenij Prigozhin, abbia provocato uno “shock considerevole” sulle sue attività. Tuttavia, ha ammesso, “è ancora presto” per sapere quali saranno le conseguenze della sua scomparsa in vista di un’eventuale riorganizzazione del gruppo. Sul rifiuto di ritirare l’ambasciatore Itté, Colonna ha ribadito la posizione inflessibile già assunta dal presidente Emmanuel Macron. “È il nostro rappresentante presso le legittime autorità del Niger, accreditate come tali, e non dobbiamo obbedire alle ingiunzioni di un ministro che non ha legittimità, né per i Paesi della subregione, né per l’Unione africana, né per per le Nazioni Unite, né per la stessa Francia. Questo spiega il mantenimento del nostro ambasciatore”, ha dichiarato ancora la ministra degli Esteri, garantendo che Parigi si sta “assicurando che (Itté) possa affrontare in sicurezza la pressione dei golpisti”.

Il Quai d’Orsay aveva già ufficialmente respinto l’ordine di espulsione dell’ambasciatore, promulgato dai militari nigerini lo scorso 25 agosto, così come aveva fatto poi lo stesso Macron, convinto che questa fosse “la scelta politica giusta”. Colonna, che a poche ore dal golpe aveva annunciato il congelamento da parte di Parigi di tutti gli aiuti allo sviluppo al Niger fino a quando Bazoum e “l’ordine costituzionale nigerino” non fossero stati ripristinati, non si è invece espressa esplicitamente sull’opzione di un intervento militare, caldeggiato dalla Comunità economica dei Paesi dell’Africa sub-sahariana (Cedeao). Sulla questione Parigi – che la ritiene un’opzione possibile in caso di fallimento diplomatico – non ha tuttavia ottenuto il sostegno sperato alla ministeriale Esteri dell’Unione europea tenuta il 31 agosto a Toledo, in Spagna, dove i ministri dei 27 si sono mostrati più propensi a predisporre un pacchetto di sanzioni mirate. La proposta avanzata dal governo dell’Algeria per un periodo di transizione di sei mesi guidato da un leader civile sembra, del resto, aver gettato acqua sul fuoco, sventando – almeno per il momento – un intervento militare.

5862.- Dossier migranti al Cisr. La mossa di Meloni letta dal prof. Caligiuri

Possiamo pensare a spostare a Sud il confine dell’Europa e dell’Italia, in sintonia con il Mediterraneo allargato e questo richiede investimenti nei paesi del Magreb, del Sahel e oltre, per favorire la crescita economica di questi paesi, riducendo il divario con l’Italia, innanzitutto e con l’Europa. I flussi migratori sono la punta di un iceberg e l’instabilità di quei paesi, certamente fomentata, chiama in causa i Servizi. Ancora una volta l’Unione europea non traccia la rotta.

Da Formiche.net, di Mario Caligiuri | 31/08/2023 – 

Dossier migranti al Cisr. La mossa di Meloni letta dal prof. Caligiuri

La sicurezza è un tema endemico della contemporaneità e il perimetro degli accadimenti che la ricomprendono si estende sempre di più. E il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica ha potenzialmente le competenze per poter fronteggiare questo fenomeno crescente. Il commento di Mario Caligiuri, professore dell’Università della Calabria e presidente della Società italiana di Intelligence

Gli strumenti previsti dalle leggi sui Servizi possono essere utilizzati in modo non consueto ma appropriato. È questa la considerazione che emerge dalla proposta di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, in relazione alla convocazione in seduta permanente del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (Cisr) per fronteggiare l’accentuazione dei flussi migratori.

È sicuramente una proposta mirata per una serie di ragioni, che provo a argomentare. In primo luogo, la sicurezza è un tema endemico della contemporaneità, per cui il perimetro degli accadimenti che la ricomprendono si estende sempre di più. Appunto per questo, un organismo come il Cisr, composto da sette ministri e dall’Autorità delegata per la sicurezza (il sottosegretario Alfredo Mantovano), ha potenzialmente le competenze per poter fronteggiare questo fenomeno crescente. In secondo luogo, il tema dell’immigrazione, quasi interrotto ai tempi del Covid, è in evidente aumento. E non ci vuole la Sibilla ellespontica per comprendere che lo sarà ancora di più nei prossimi mesi e nei prossimi anni.

Come ha ben spiegato l’economista britannico Paul Collier dell’Università di Oxford, uno dei massimi esperti di economia africana, “il divario di reddito tra i Paesi povere e quelli ricchi è mostruoso e il processo di crescita mondiale lo manterrà tale per vari decenni […] assisteremo all’accelerazione della migrazione dai paesi poveri verso quelli ricchi […] siamo alle prime fasi di uno squilibrio dalle proporzioni epiche”. Inoltre, Collier è ancora più attento, ricordando che siamo portati a valutare questo fenomeno, così come tutto il resto, in base alle nostre convinzioni morali, perché “sono i nostri valori etici a determinare le ragioni e i fatti che siamo disposti ad accettare”.

Pertanto, accordi con Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e che rappresentano i luoghi di partenza degli immigrati servono per contenere un fenomeno irrefrenabile e dalle conseguenze molto incisive.

Di fronte a un fenomeno del genere, una visione europea sarebbe necessaria. Nel 2007 – ancora sull’eco dell’11 settembre ma anche degli attentati di Madrid (2004) e di Londra (2005) – il politologo e storico statunitense Daniel Pipes aveva pubblicato un saggio in cui, riguardo all’immigrazione islamica che si verificava in Europa, aveva ipotizzato tre diversi scenari: la prevalenza degli islamici, la loro espulsione da parte degli europei e l’integrazione più o meno pacifica. Con un certo allarmismo – che poi non si è riscontrato nella misura in cui lo prevedeva –, lo studioso americano metteva però comunque in guardia sulla “alienazione della maggioranza degli europei dalla loro cultura, il loro secolarismo estremo e lo scarso tasso di natalità”. Ma il destino italiano è inequivocabilmente legato all’Europa. Non a caso, Cesare Pavese, che era un poeta, ricordava che “nessuno si salva da solo”.

Per concludere utilizzare il Cisr per affrontare in modo organico e puntuale il fenomeno dell’’immigrazione è certamente appropriata e, secondo me, da mettere subito in pratica.

Questo significa pure focalizzare ancora meglio l’attività dei Servizi che già adesso stanno seguendo con particolare e crescente attenzione il fenomeno. Infatti, oltre all’impegno prioritario nel contrasto al terrorismo, nel 2022, solo sull’immigrazione clandestina, l’Aise ha prodotto l’11 per cento delle sue informative e l’Aisi il 17 per cento. L’anno precedente erano state rispettivamente il 10 e il 9 per cento e nel 2020 il 6 e l’8 per cento.

5843.- Gianni Alemanno: «Governo Meloni troppo liberista e appiattito sulle politiche Usa»

Tempo quasi scaduto, inutilmente, malgrado anche buone intenzioni di Meloni, come il Nuovo Piano Mattei. Ai primi contatti dovevano e devono seguire fatti, ma Russia, Cina e Turchia stanno occupando gli scranni e vedremo soltanto il loro nuovo colonialismo. Ho visto bandiere russe in Niger, in Senegal. Non ho visto e non vedo nascere nuove aziende africane a partecipazione italiana. Saremmo contenti se riprendessimo l’epopea del lavoro italiano in Etiopia e in Libia. Dal Dolo di Venezia: Siamo in attesa di una politica del fare, più volte annunciata e non di nuovi candidati, che son già troppi. Auguri, intanto. Mario Donnini e tanti veneti.

L’ex sindaco di Roma e ministro Gianni Alemanno spiega le sue critiche al governo Meloni e il suo nuovo progetto politico nell’intervista ai microfoni del DiariodelWeb.it

Da Diariodel Web.it. Pubblicato il 18 Agosto 2023, da Fabrizio Corgnati

Gianni Alemanno (© Fotogramma)

Gianni Alemanno è tornato in campo. A dieci anni esatti dalla conclusione del suo mandato in Campidoglio, l’ex sindaco di Roma e ministro lancia il suo nuovo progetto politico. Per ora è un manifesto, presentato alla convention del Forum dell’indipendenza italiana il mese scorso a Orvieto, ma presto, già in autunno, potrebbe diventare un vero e proprio movimento. Che parte da destra, la sua storica collocazione, ma intende spingersi oltre le politiche dell’attuale governo Meloni, che bolla come deludenti sia sul fronte sociale che su quello geopolitico. Ecco come Alemanno racconta le sue posizioni e le prossime iniziative che ha in programma in quest’intervista che ha rilasciato ai microfoni del DiariodelWeb.it.

5838.- Sulla pelle degli africani … e dell’Europa.

Compagnie private, Servizi Segreti e Gruppi Terroristici si affrontano in Africa, i capitalisti gettano radici.

Un’ Ecowas divisa sarà sconfitta e ancora colonizzata.

In Nigeria 20 agenti della sicurezza sono morti in un attentato ad un elicottero militare

17 Agosto 2023, Di Agenzia Nova – Un articolo che illumina un futuro tragico per l’Ecowas. Leggiamolo. Riproduzione riservata

L’attacco è stato rivendicato da Dogo Gide, leader di un gruppo armato attivo nella parte nord-occidentale del Paese, al confine con Niger e Ciad.

Nigeria
Nigeria

Almeno 20 agenti di sicurezza nigeriani sono morti nello schianto di un elicottero in missione di evacuazione militare nello Stato del Niger, a nord di Abuja, azione rivendicata da un gruppo armato locale. Lo ha riferito oggi il maggiore generale Edward Buba, spiegando ai giornalisti che era in corso un’operazione di evacuazione dei feriti e dei militari morti in un’imboscata effettuata contro elementi dell’esercito da banditi armati nel villaggio di Chukuba, nell’area del governo locale di Shiroro. In conferenza stampa, Buba ha precisato che al momento dello schianto a bordo dell’aereo erano presenti 14 militari e sette feriti, insieme ai due piloti ad altrettanti membri dell’equipaggio.

Le forze armate hanno aperto un’indagine per determinare la causa dell’incidente. Il presidente nigeriano Bola Tinubu ha commentato l’accaduto elogiando gli ufficiali che “stavano rispondendo alla chiamata del dovere” durante una missione di evacuazione. “Nel loro servizio dedicato al nostro amato Paese, hanno pagato il prezzo più alto”, ha dichiarato il capo dello Stato. L’elicottero era decollato dal Kaduna Airfield a Minna ma ha perso il contatto con le torri di controllo sia di Kaduna che di Minna. L’attacco è stato rivendicato da Dogo Gide, leader di un gruppo armato attivo nella Nigeria nord-occidentale, al confine con Niger e Ciad.

L’attentatore sarebbe il gruppo del bandito “Dogo Gide”.

Notorious bandit leader, Dogo Gide, allegedly killed in dispute with Second in Command

Sono banditi che qualcuno arma per creare instabilità. Lo stesso gruppo, nel giugno 2021, tre anni fa, rapì, 30 studenti di Kebbi, del Federal Government College e l’insegnante, tenendoli, poi, sei mesi in cattività. Dogo Gide sarebbe morto in un duello con il suo vice, l’anno scorso.

I falchi allo scoperto

Dangote e Bill Gates per affrontare le crisi in Nigeria

Ricordiamo che il 21 gennaio 2016 il fondo di Bill e Melinda Gates insieme a quello di Dangote strinsero un accordo di partnership da 100 milioni di dollari con l’obiettivo di affrontare l’anoressia in Nigeria nei prossimi 10 anni.
L’accordo venne raggiunto ad Abuja dal presidente delle società Dangote, Aliko Dangote che firmò l’accordo a nome del fondo Dangote mentre Bill Gate firmòa nome del fondo Bill e Melinda Gates.
L’accordo fu testimoniato da membri della comunità internazionale e funzionari del governo nigeriano.
Il ministro della salute del paese, il professor Issac Adewale, avvertì che il 10% dei 170 milioni di persone soffriva di malnutrizione e la maggior parte di loro viveva negli stati dilaniati dalla guerra del nord-est.

Dangote na Bill Gates
Maelezo ya picha, Dangote na Bill Gates

Il presidente della Nigeria riceve Bill Gates e il magnate Dangote per potenziare la sanità nel Paese

Tinubu non pensa di vendere l’anima al diavolo e si è concentrato sull’impegno ad aumentare la forza lavoro nel settore

22 Giugno 2023. Da Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Nigeria

Il presidente della Nigeria Bola Tinubu ha discusso con il miliardario statunitense Bill Gates e con l’imprenditore nigeriano Aliko Dangote – l’uomo più ricco d’Africa – di come potenziare l’assistenza sanitaria nel Paese. Lo riferisce “Garowe online”, che rivela oggi un incontro tenuto di recente alla villa presidenziale di Abuja con i due magnati. Il colloquio, riferisce il quotidiano somalo, si è focalizzato sulle iniziative della fondazione Bill e Melinda Gates e di quella di Aliko Dangote in Nigeria, con particolare attenzione al settore sanitario.

I leader hanno esaminato le possibili strategie per superare le difficoltà che affliggono il settore sanitario nigeriano, mentre il presidente Tinubu si è concentrato sull’impegno ad aumentare la forza lavoro nel settore, riconosciuto come centrale per lo sviluppo nazionale. Tinubu ha quindi elogiato la Fondazione Gates per il contributo alla lotta contro il cambiamento climatico e contro malattie come la poliomielite e la malaria in Africa.

Dangote ha da parte sua riconosciuto i progressi compiuti finora sotto la guida del presidente Tinubu, in particolare la rimozione di sussidi per il carburante che ha giudicato positivamente. Ha espresso ottimismo sulla possibilità che un aumento dei finanziamenti statali possa essere assegnato a settori critici come l’istruzione, l’assistenza sanitaria e le infrastrutture, rafforzando così l’economia complessiva.

5834.- Il colpo di Stato in Niger: rischi e sfide per un futuro dalle molte ombre

Il Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione Africana, organismo panafricano si è riunito oggi, ufficialmente, per ricevere un aggiornamento sull’evoluzione della situazione in Niger, praticamente per discutere sugli sforzi per affrontarla, assecondando, ma fino a un certo punto, Parigi e Washington. La domanda è: “Come affronteranno la crisi nigerina senza spaccare l’Ecowas?”

Da Analisi Difesa, di Ugo Trojano, 5 Agosto 2023

In attesa di nuovi sviluppi, la crisi scatenatasi apparentemente senza preavviso in Niger fornisce fin da ora diversi elementi o meglio lezioni di realismo su cui riflettere, da non sottovalutare a prescindere dall’esito finale della vicenda. Quattro colpi di Stato dal 2020 nei Paesi Saheliani, includiamo anche la Guinea Conakry che sfiora il Sahel, dell’Africa Occidentale costituiscono un pesante fardello in primo luogo per le popolazioni locali, per le economie dei Paesi coinvolti. Rappresentano una grave battuta d’arresto nel contrasto alla penetrazione terroristica, jihadista, estranea quest’ultima, alla cultura e alle tradizioni popolari dell’area, nel contrasto ai traffici di esseri umani, infine uno smacco per gli alleati e finanziatori occidentali, Francia, Ue e USA in testa.

Mali, Guinea Conakry, Burkina Faso e dal 26 Luglio scorso il Niger, dove la situazione resta fluida, tutt’altro che stabilizzata, sempre vicini alla Francia, all’Occidente da cui hanno ricevuto ingenti aiuti allo sviluppo ma soprattutto coperture per i bilanci statali, alleggerimenti del debito pubblico, accessi privilegiati ai finanziamenti agevolati della Banca Mondiale, interventi dell’FMI per le ristrutturazioni del debito, sono gli esempi recenti e concreti di una destabilizzazione dell’area iniziata con la sciagurata aggressione alla Libia del 2011 e la morte della guida Gheddafi.

In sintesi Francia e alleati occidentali non compresero allora il gravissimo errore e perseverarono nonostante gli avvertimenti, quanto mai profetici all’epoca e poi nel 2012 e 2013, del Presidente nigerino Issoufou, predecessore del deposto, per ora, Presidente Bazoum, e dello stesso Bazoum allora ottimo ministro degli esteri. Entrambi, conoscendo naturalmente bene le dinamiche africane, pronosticarono la Libia come una nuova Somalia e rischi seri di destabilizzazione per i più deboli Paesi Saheliani. Auspicavano interventi Ue e italiani più incisivi, in particolare una maggiore cooperazione nel settore sicurezza, integrata da progetti di sviluppo a favore dell’occupazione giovanile per contrastare gli ingaggi offerti ai poveri disoccupati dai terroristi islamici e dalla criminalità organizzata.

Ne sono stato testimone diretto in quanto negli anni passati in Niger incontrai professionalmente dal 2013 al 2015 diverse volta l’allora ministro degli esteri Bazoum il quale, nutrendo simpatia per l’Italia, me lo ribadiva anche in incontri informali.

Il risultato di errate valutazioni, non volendo comprendere ne’ adeguarsi realisticamente alle nuove dinamiche sul terreno, i comportamenti a dir poco sconcertanti di taluni governanti europei, dei vertici Ue preoccupati solo di seguire principi irrealizzabili in taluni Paesi, l’ossessione per le procedure burocratiche, hanno alfine inciso pesantemente favorendo una costante perdita di credibilità europea. E’ stata consentita di conseguenza la penetrazione significativa di nuovi attori, Russia, Turchia, Cina, ben più concreti, solidi, poco votati ad impartire lezioni agli africani piuttosto inclini ad ottenere risultati per sé e, nel breve periodo, per i nuovi committenti africani.

Tutto si è accelerato in pochi anni modificando concetti, procedure e modelli operativi divenuti obsoleti, addirittura controproducenti, allorché Paesi rivali possono decidere con rapidità, senza fronzoli puntando al conseguimento dell’obiettivo prefissato e soddisfacendo al tempo stesso il committente con minori condizionamenti.

Ben prima della guerra russo ucraina l’influenza occidentale sui Paesi nord africani e saheliani venne progressivamente erosa da potenze non proprio amiche. Ad esse vanno aggiunte la Turchia ed alcuni Paesi del Golfo, Qatar in particolare. Questi ultimi due perseguendo i propri interessi, pur non essendo apertamente ostili all’Occidente, hanno svolto un ruolo ambiguo di penetrazione conquistando spazi ed influenze a discapito di Francia, Italia e Paesi Ue.

Emblematico il ruolo della Turchia in Libia. In pochi mesi attraverso fornitura di droni e armi, impiego massiccio di consiglieri militari nel momento del bisogno, ovvero quando Tripoli, governo riconosciuto dalla Comunità internazionale, si trovava sotto assedio e stava per capitolare, la Turchia rispose fattivamente agli appelli lanciati invano in primo luogo al nostro Paese. L’influenza italiana in Tripolitania fu così erosa drasticamente e rimpiazzata da quella turca.

Ancor peggio andò in Somalia dove i turchi la fanno da padroni, con il consenso del regime locale beninteso. In Africa occidentale sulle orme di russi e cinesi, i turchi, grazie anche ai finanziamenti del Qatar, sono riusciti in meno di un decennio ad incrementare finanziamenti, presenza di aziende, vendita di armi, influenza politica e strategica.

La recente guerra russo ucraina non ha fatto che rendere più concreti, evidenti processi già in atto in Africa da anni. Ritengo si sia proceduto lucidamente al ricambio delle sfere di influenza per fasi successive, inizialmente verificando la consistenza delle risposte da parte degli Stati africani mirati, da parte di Francia, Ue, Usa ad atti e campagne comunicative ostili, anti francesi in prima battuta poi anti occidentali. Più facile risultò attaccare l’Onu e le sue missioni di stabilizzazione dispendiose, inefficaci, persino contro producenti quando si è trattato di difendere con le armi e non con le indennità di missione villaggi e popolazioni vittime di attacchi terroristici crudeli, impietosi.

Constatata la debolezza delle risposte, la mancanza di pragmatismo, l’incomprensione da parte di Onu, Ue, Francia della realtà del terreno mutata negli anni, alcuni Stati africani alleati tradizionali di Francia e occidente, fiaccati dalle azioni terroristiche mai completamente debellate, dalle pressioni di popolazioni sempre più impoverite, hanno ceduto alle lusinghe russe, ai risolutori della Wagner, alle elargizioni cinesi, ai turchi, musulmani ben più comprensivi. Il disimpegno francese in Mali, Burkina Faso, Repubblica Centro Africana, Guinea ha contribuito infine ad accentuare le crisi con il rischio di provocare un effetto domino imprevedibile.

Nulla sarà più come prima  Alla luce di eventi disastrosi in primo luogo per le stesse popolazioni africane coinvolte, per le loro fragili economie, per la loro stabilità, in seconda battuta per gli interessi e la sicurezza europea, occorrerà forse ragionare e agire pragmaticamente per riconquistare credibilità e rispetto nelle aree di crisi. Le nuove sfide porterebbero ad accantonare comportamenti, condizionalità eccessive considerati intimamente dagli stessi beneficiari africani arroganti e demagogici, irrispettosi delle tradizioni e culture locali.

Realtà da affrontare sul terreno, constatazioni, lezioni apprese.

L’anomalo colpo di Stato in Niger ha sorpreso e spiazzato. Ha rivelato quasi brutalmente una spaccatura, colpevolmente imprevista, tra le forze di difesa e sicurezza nigerine e gli alleati occidentali, formatori di ufficiali superiori, corpi di élite, gendarmeria, polizia, guarda nazionale, giudici e magistrati. In altri tempi, anche recenti, in un Paese stretto alleato della Francia e dell’occidente, sarebbero stati captati “spifferi”, ricevute informazioni riservate su quanto si stava tramando.

Non avendo fiutato nulla, a quanto è dato sapere, i servizi di intelligence collegati e gli stessi formatori europei e americani, hanno semplicemente subito uno smacco impensabile causato più che probabilmente da una perdita di fiducia reciproca. Forze non proprio amiche sono riuscite a incrinare impunemente alleanze militari e civili consolidate.

In Paesi sotto attacco terroristico da anni, instabili, in fase pre-conflittuale, conflittuale o post conflittuale non appare opportuno né tantomeno realistico rispondere a richieste di aiuto, forniture militari, di cooperazione civile anteponendo veti, condizionalità eccessive su diritti, ambiente, parità di generi ecc. facendo finta di ignorare le tradizioni culturali, religiose e di vita locali.

Una democrazia, per quanto imperfetta, esisteva in Niger. Il paragone con altri Stati africani limitrofi sarebbe stato improponibile e sarebbe risultato sempre favorevole al Niger. Elezioni, parlamento funzionante, partiti politici di opposizione, stampa e media governativi e di opposizione, pur se con alcune limitazioni. Realisticamente non si dovrebbe pretendere un regime esattamente modellato sulle più avanzate democrazie europee. Non verrebbe accettato dalle stesse popolazioni per indole e tradizioni diverse.

Eppure il grave errore di voler insegnare e far sì che Paesi di un altro continente pensino e agiscano come la Ue vorrebbe che facessero si è protratto nel tempo causando appunto perdita di fiducia, di credibilità. Un Paese saheliano si trova dunque fra l’incudine dell’arroganza dei francesi percepita come tale e il martello di insegnamenti, eccessiva burocrazia e pretese spesso inattuabili da parte dell’Ue.

Nonostante ingenti finanziamenti, aiuti ai bilanci statali, cooperazione per la sicurezza e allo sviluppo appare paradossale che alcuni Paesi preferiscano cedere alle lusinghe russe, cinesi, turche ecc sapendo che la mole di aiuti, a parte quelli militari e quelli destinati ai movimenti di protesta e alla comunicazione anti governativa e anti occidentale, non potranno mai raggiungere il livello di quelli forniti da Francia, Ue, Usa. Evidentemente la guerra al terrorismo islamico e la ricerca di stabilità richiedono maggiore flessibilità, rapidità di decisioni, procedure semplificate, minor demagogia.

Risposte adeguate ad azioni ostili e campagne di disinformazione

A fronte di una sfida divenuta globale fra blocchi di alleati, acuitasi con la guerra russo ucraina, gli africani coinvolti hanno probabilmente percepito una mancanza di risposte adeguate e forti da parte dei tradizionali alleati occidentali nei confronti di azioni ostili terroristiche in primo luogo e a seguire nei confronti della Wagner e dei suoi sponsor.

Debole e quasi fallimentare l’esperienza del G5 Sahel voluta fortemente da francesi e Ue ma mai decollata pienamente. Un altro aspetto ha colpito chi ha operato a lungo in Africa e ha avuto contatti regolari con media e stampa locali. La scarsa attenzione rivolta al settore da parte dei francesi (che comunque possono contare su importanti fonti comunicative proiettate sull’area africana quali Radio France Internationale e France 24), della Ue, degli Stati europei e degli americani.

Per rispondere a campagne di disinformazione anti francesi e anti occidentali ben orchestrate, finanziate dalla Wagner e sponsor vari, probabilmente anche da turchi e cinesi, sarebbe stato indispensabile poter contare su stampa e media locali non ostili. Non sembra sia stata colta l’importanza dei media soprattutto delle radio locali che in tutti i Paesi a maggior ragione in Niger, dove da anni esiste una stampa di opposizione, raggiungono i villaggi più sperduti contribuendo a creare opinioni e simpatie.

Di questo aspetto non secondario posso fornire testimonianza diretta (nella foto a lato l’‘autore dell’articolo a Niamey nel 2014).

In Niger sono stato portavoce e capo della comunicazione di una missione civile Ue di sostegno alle forze di difesa e sicurezza nigerine nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. La missione ha formato migliaia di elementi e fornito materiali e attrezzature di supporto.

Dal mio arrivo ho attivato i contatti con giornalisti di stampa e media locali andando a visitare anche le più sperdute redazioni locali di Niamey e Agadez quasi sempre con autista e senza scorta. Questi semplici gesti di attenzione hanno facilitato grandemente il mio lavoro, prodotto promozione e larga diffusione mediatica delle attività di formazione della missione attraverso decine di articoli e servizi radio Tv, ma soprattutto rispetto nei miei confronti al punto che dopo pochi mesi mi è stato concesso l’onore, da straniero, di fondare il circolo della stampa di Niamey.

Hanno aderito giornalisti filo governativi e di opposizione, nessuna esclusione, con assidua partecipazione alle cene mensili in cui si discuteva liberamente della situazione politica del Paese, della regione, si discuteva informalmente con un invitato d’onore fra ambasciatori, capi delle missioni internazionali presenti sul posto o ospiti di rilievo in missione a Niamey.

Infine con un piccolo budget annuale a mia disposizione ho fatto realizzare due sale stampa per lo Stato maggiore della difesa e per il Comando generale della Polizia, un video sulla missione da una televisione locale, e a nome del Club de la Presse de Niamey una conferenza internazionale di 2 giorni sulla sicurezza della regione invitando, con la co-partecipazione finanziaria dell’Ambasciata Usa, inviati speciali francesi, italiani, inglesi della Reuters da Dakar, professori americani, giornalisti africani dai Paesi limitrofi.

Fu un grande successo che mi permise di stabilire, oltre alla stampa, ottimi rapporti, anche personali, con ministri e alti funzionari governativi, ufficiali superiori, di muovermi a mio agio nella società locale. Alla fine i risultati per la Missione Ue di cui facevo parte andarono oltre le aspettative. Le informazioni riservate, gli “spifferi” giungevano da più parti, avevamo in anticipo il polso della situazione addirittura nel mio caso anche informazioni più che sensibili fornite sulla base della fiducia reciproca. Personalmente la soddisfazione maggiore, come accadde in Senegal, è stata quella di essere definito “l’africano”, l’amico sincero degli africani.

La digressione è forse utile per comprendere quanto siano importanti in determinati contesti il fattore umano, l’esperienza del terreno, la voglia di conoscenza, la flessibilità mentale. Fattori evidentemente trascurati da quanti non hanno previsto i cambiamenti perseverando in atteggiamenti e insegnamenti sempre meno tollerati.

La Comunità Economica degli Stati dell’Africa occidentale perde pezzi

A seguito delle crisi già evocate, dei colpi di stato, della presenza sempre più aggressiva del terrorismo, della instabilità diffusa, della progressiva perdita di credibilità della Ue e della Francia, alcuni Stati membri attivi della Cedeao o Ecowas hanno richiesto sostegno a nuove entità straniere in funzione anti francese e occidentale.

Ciò ha comportato il disimpegno francese, la cessazione della cooperazione militare con i regimi di Guinea, Mali, Burkina Faso. RCA ed ora anche Niger, la sospensione di finanziamenti e altre sanzioni economiche applicate anche dalla Ue e dalla Cedeao.

Inevitabile una spaccatura interna nella Cedeao. Quattro Stati su 15 sono sospesi e sanzionati pesantemente a livello bancario e finanziario con minacce di espulsione dall’Organizzazione. E’ palese che dietro gli eventi succedutesi dal 2019 in poi vi sia stata una strategia funzionale al Caos, alla ulteriore instabilità dei Paesi saheliani ad uno scossone anti occidentale da cui trarre benefici strategici ed economici, riempendo i vuoti ed estendendo influenze politiche e militari.

La Cedeao con una riforma del suo Statuto ha previsto anni addietro, oltre alle sanzioni bancarie, finanziarie ed economiche anche la possibilità di interventi militari concordati per riportare stabilità nei Paesi vittime di colpi di Stato a seguito di elezioni considerate regolari. Il ripristino della autorevolezza della Cedeao e della sua compattezza sarà un fattore determinante per un futuro prossimo dalle molte ombre.

Parimenti grave sarebbe un ulteriore disimpegno o peggio un ritiro dei contingenti militari europei e americani di stanza nel Sahel. Una realtà scevra da demagogie indicherebbe che se ciò avvenisse vi sarebbe il collasso della Cedeao e la consegna di interi Paesi a entità anti occidentali. Queste ultime puntano fra l’altro allo stretto controllo delle risorse minerarie, energetiche, delle terre rare, i cui sfruttamenti sono stati peraltro già assicurati in Mali, Burkina Faso, RCA certamente non a miglior beneficio dei committenti africani.

Vi sarebbe anche un aspetto rilevante per il sud Europa, l’Italia in particolare. Russia, Wagner e altri associati, pur non essendo per ora apparentemente coinvolti, non si opporrebbero certo ad un traffico di migranti illegali accresciuto, già da tempo utilizzato anche per fini di destabilizzazione dei Paesi del sud Europa.

Il ruolo italiano

Nel Mediterraneo allargato, area che comprende l’instabile Sahel, l’Italia ha mostrato negli anni di possedere grandi potenzialità di penetrazione quasi sempre accompagnate da un giusto, apprezzato approccio verso governi e popolazioni locali. E

’ uno dei motivi della rivalità con la Francia la quale ha reagito spesso con azioni dissuasive culminate con dispetti fragorosi quali l’inconsulta azione in Libia per spodestare la guida Gheddafi e in tempi più recenti le pressioni sul Niger per ritardare, scoraggiare l’invio del contingente militare italiano nel Paese saheliano.

Tutto iniziò negli anni 80 allorché l’allora Presidente del consiglio Bettino Craxi rese operativa e prioritaria una strategia italiana verso il Sahel allora area non di particolare interesse per noi. Sono trascorsi decenni da allora, la mancanza di finanziamenti, una certa superficialità non permisero di assicurare la continuità di una politica lungimirante.

Va reso merito al nostro Paese di aver finalmente rielaborato, rendendola operativa, una visione strategica bilaterale verso l’Africa in generale, nord Africa e Sahel in particolare. I tempi sono cambiati ma non sono cambiati, per nostra fortuna, i buoni ricordi, l’accoglienza favorevole degli africani nei nostri confronti. Potremmo, come facemmo per un breve periodo, addirittura rivaleggiare con i francesi accrescendo sostanzialmente la nostra influenza.

Tuttavia terrorismo, crisi migratorie, guerre regionali asimmetriche, guerra russo-ucraina suggerirebbero compattezza e coordinamento delle azioni fra alleati non più rivali. Il dato da considerare pragmaticamente sarebbe che a fronte della aggressività delle forze anti occidentali, di un’azione comune di difesa e sicurezza europea insufficiente e poco credibile, si renderebbe opportuno consolidare le azioni di Paesi alleati, gli interventi bilaterali.

Eventuali azioni militari coperte o meno dovrebbero essere integrate necessariamente da programmi visibili e concreti di cooperazione a favore delle popolazioni.

Ben venga quindi il Piano Mattei in attesa di un corposo Piano Marshall africano sbandierato da anni dalla Ue, ma mai nemmeno impostato seriamente. Ne scrivemmo anni fa su Analisi Difesa sottolineandone anche gli aspetti di prevenzione delle crisi, dei Colpi di Stato, dell’impatto positivo sulla stabilità dei Paesi. Da allora purtroppo parole e retorica non hanno portato risultati contribuendo piuttosto alla pericolosa perdita di credibilità europea.

In conclusione auspicando di mantenere i contingenti militari italiani e parallelamente di incrementare sostanzialmente le attività bilaterali di cooperazione allo sviluppo, andrebbe forse ribadita la questione delle risorse umane. Questione più che sensibile anche a livello Ue.

In un contesto di crisi accertate e acclarate, sarebbe forse giunto il momento di ricorrere a persone di grande esperienza del terreno, di conoscenza di usi, costumi e tradizioni locali, perfino in grado di porsi e parlare in un certo modo con le autorità e le popolazioni locali.

Una risposta seria alle azioni ostili anti occidentali passa anche per la scelta di nuove figure professionali, negoziatori al di fuori dei canali esclusivamente ufficiali e formali ad esempio, un Inviato per il Sahel che possa essere più libero, almeno parzialmente svincolato dai più rigidi aspetti burocratici e rispondere alla Presidenza del Consiglio pur coordinandosi con esteri, difesa e interni. La nazionalità italiana aiuta assieme alla creatività e al forse necessario cambiamento di mentalità e procedure divenute obsolete per il contrasto a forze più pragmatiche, decisioniste, disinvolte, con pochi scrupoli e demagogie da vendere.

Foto: CEDEAO, Gianandrea Gaiani, Difesa.it, Twitter, Ministero Difesa Francese, Peoples Dispatch e Governo del Niger