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5611.- Lavoro, professionalità, formazione e più soldi!

Presidente, la forbice tra costo del lavoro, stipendi, pensioni e costo della vita è stata fatta saltare artificiosamente. Recuperare si può? Analizziamo i fattori di questa crescita smisurata e la spirale che si prefiggevano e decretiamone la fine.

Lavoro, la priorità è il salario non la precarietà

Il lavoro è da sempre tema nobile per la politica. Il lavoro è cittadinanza, realizzazione di sé e della propria autonomia economica e non solo.
Ma le sortite tattiche sovente fanno di questo tema argomento da baruffa politica di piccolo cabotaggio magari travestito da alleanza tra sindacati e opposizioni.
L’idea della nuova crociata contro il precariato – l’ennesima a dire il vero perché ne abbiamo conosciute a ondate negli ultimi 30 anni – è una di queste: i dati Inps ci dicono che l’occupazione a tempo indeterminato è cresciuta in un anno del 21% e quelli Istat che l’occupazione è al record storico ed è per l’83,6% a tempo indeterminato. E – cosa che si dice poco – anche chi è assunto con contratti di lavoro a somministrazione, simbolo principe nella crociata anti-precariato, è ingaggiato con contratti a tempo indeterminato dalle agenzie del lavoro. Quanto ai contratti a termine, per i quali sono già state fatte 13 riforme con un movimento a pendolo sulle causali sì e causali no, l’Italia è nella media europea.
È ora di considerare che forse la vera priorità è il salario non la precarietà o per meglio dire la flessibilità (che semmai va pagata di più). E soprattutto è la distanza tra ciò che serve e ciò che i giovani sono in grado di offrire in termini di professionalità.
E in questo caso dire lavoro significa dire scuola e formazione, significa dire attenzione alla cultura d’impresa che poi è cultura tout court. 

di Alberto Orioli

5352.- Gli Usa ci stanno letteralmente prendendo per il culo. 1 miliardo di importazione dalla Russia al mese.

Il 25 settembre voto “…o”.

Martha Mendoza

A sei mesi dall’inizio della guerra, le merci russe continuano a fluire negli Stati Uniti

By JULIET LINDERMAN and MARTHA MENDOZAAugust 25, 2022

BALTIMORE (AP) — In una calda e umida giornata della costa orientale di quest’estate, un’enorme nave portacontainer è entrata nel porto di Baltimora carica di fogli di compensato, barre di alluminio e materiale radioattivo, tutti provenienti dai campi, dalle foreste e dalle fabbriche della Russia.

Il presidente Joe Biden ha promesso di “infliggere dolore” e infliggere “un duro colpo” a Vladimir Putin attraverso restrizioni commerciali su materie prime come vodka, diamanti e benzina sulla scia dell’invasione russa dell’Ucraina sei mesi fa. Ma centinaia di altri tipi di merci non autorizzate per un valore di miliardi di dollari, comprese quelle trovate sulla nave diretta a Baltimora da San Pietroburgo, in Russia, continuano ad affluire nei porti degli Stati Uniti.

L’Associated Press ha rilevato oltre 3.600 spedizioni di legno, metalli, gomma e altre merci sono arrivate nei porti statunitensi dalla Russia da quando ha iniziato a lanciare missili e attacchi aerei nel suo vicino a febbraio. Si tratta di un calo significativo rispetto allo stesso periodo del 2021, quando sono arrivate circa 6.000 spedizioni, ma si tratta comunque di un fatturato di oltre 1 miliardo di dollari al mese.

In realtà, nessuno si aspettava che il commercio si fermasse dopo l’invasione. Il divieto delle importazioni di determinati articoli probabilmente danneggerebbe maggiormente quei settori negli Stati Uniti che in Russia.

“Quando imponiamo sanzioni, potrebbe interrompere il commercio globale. Quindi il nostro compito è pensare a quali sanzioni producono il maggiore impatto consentendo allo stesso tempo al commercio globale di funzionare”, ha detto all’AP l’ambasciatore Jim O’Brien, a capo dell’Ufficio di coordinamento delle sanzioni del Dipartimento di Stato.

Gli esperti affermano che l’economia globale è così intrecciata che le sanzioni devono essere di portata limitata per evitare di far salire i prezzi in un mercato già instabile.

Inoltre, le sanzioni statunitensi non esistono nel vuoto; strati di divieti dell’Unione Europea e del Regno Unito si traducono in regole commerciali contorte che possono confondere acquirenti, venditori e politici.

Ad esempio, l’amministrazione Biden e l’UE hanno pubblicato elenchi separati di società russe che non possono ricevere esportazioni, ma almeno una di queste società – che fornisce all’esercito russo metallo per fabbricare aerei da combattimento che attualmente sganciano bombe in Ucraina – sta ancora vendendo milioni di dollari di metallo a ditte americane ed europee, ha scoperto AP.

Mentre alcuni importatori statunitensi stanno acquistando materiali alternativi altrove, altri affermano di non avere scelta. Nel caso delle importazioni di legno, le fitte foreste di betulle della Russia creano legname così duro e resistente che la maggior parte dei mobili americani in legno per le classi, e molti pavimenti per la casa, ne sono fatti. Contenitori di spedizione di articoli russi – semole, scarpe da sollevamento pesi, attrezzatura per il mining di criptovalute e persino cuscini – arrivano nei porti degli Stati Uniti quasi ogni giorno.

Un’analisi delle merci importate dalla Russia mostra che alcuni articoli sono chiaramente legali e persino incoraggiati dall’amministrazione Biden, come le oltre 100 spedizioni di fertilizzanti arrivate dall’invasione. Prodotti ora vietati come petrolio e gas russo hanno continuato ad arrivare nei porti degli Stati Uniti molto tempo dopo l’annuncio delle sanzioni dovute a periodi di “rilassamento”, consentendo alle aziende di completare i contratti esistenti.

In alcuni casi, l’origine dei prodotti spediti dai porti russi può essere difficile da discernere. Le compagnie energetiche statunitensi continuano a importare petrolio dal Kazakistan attraverso i porti russi, anche se a volte quel petrolio è mescolato con carburante russo. Gli esperti commerciali avvertono che i fornitori russi sono inaffidabili e le strutture aziendali opache della maggior parte delle principali società russe rendono difficile determinare se hanno legami con il governo.

“È una regola generale: quando hai sanzioni, avrai tutti i tipi di schemi oscuri e commercio illecito”, ha affermato l’economista russo Konstantin Sonin, che insegna all’Università di Chicago. “Tuttavia, le sanzioni hanno senso perché anche se non puoi uccidere il 100% dei ricavi, puoi ridurli”.

Molte aziende americane stanno scegliendo di tagliare il commercio russo. La birra Coors, ad esempio, ha restituito una spedizione di luppolo a una società russa di proprietà statale a maggio come parte dell’impegno a sospendere tutte le attività nel paese, ha affermato la portavoce di Molson Coors Beverage Co. Jennifer Martinez.

La Russia e gli Stati Uniti non sono mai stati importanti partner commerciali, e quindi sanzionare le importazioni è solo una piccola fetta della strategia di ritorsione. Le restrizioni alle esportazioni dagli Stati Uniti, in particolare di tecnologia, causano ulteriori danni all’economia russa e le sanzioni alla Banca centrale russa hanno congelato l’accesso della Russia a circa 600 miliardi di dollari di riserve valutarie detenute negli Stati Uniti e in Europa.

Tuttavia, le sanzioni comportano un peso simbolico al di là del danno finanziario che potrebbero infliggere, in particolare per i consumatori americani inorriditi dalla guerra. Ecco uno sguardo ad alcune delle merci che sono fluite tra i due paesi:

METALLI

La Russia è un esportatore chiave di metalli come alluminio, acciaio e titanio; l’interruzione di tale commercio potrebbe far aumentare drasticamente i prezzi per gli americani già alle prese con l’inflazione, ha affermato l’economista di Morgan Stanley Jacob Nell.

“L’idea di base con le sanzioni è che stai cercando di agire in un modo che causi più dolore all’altra parte e meno dolore a te stesso”, ha detto.

La maggior parte delle aziende americane che si occupano di metalli hanno relazioni di lunga data con fornitori russi. Tale commercio, in particolare dell’alluminio, è proseguito pressoché ininterrotto dall’inizio della guerra.

AP ha trovato più di 900 spedizioni per un totale di oltre 264 milioni di tonnellate di metalli da febbraio. La Russia è uno dei maggiori produttori di alluminio greggio al di fuori della Cina e un importante esportatore globale. Ma la guerra ha colpito anche quel mercato globale. “Come tutti i produttori”, ha affermato il portavoce dell’Aluminium Association Matt Meenan, “abbiamo assistito a impatti sulla catena di approvvigionamento in termini di aumento dei costi energetici e altre pressioni inflazionistiche che l’invasione ha esacerbato”. L’alluminio russo finisce su parti di automobili e aeroplani americani, lattine e cavi di bibite, scale e rack solari. Il più grande acquirente statunitense all’inizio del 2022 era una filiale del colosso mondiale dell’alluminio di proprietà russa Rusal. Ad aprile, i dirigenti senior di Rusal America hanno acquistato la parte della società con sede negli Stati Uniti e l’hanno rinominata PerenniAL. Solo nel mese di luglio, PerenniAL ha importato più di 35.000 tonnellate dalla Russia. La società non ha risposto alle richieste di commento.

Inoltre, tra le società private che scelgono di reperire materiali dalla Russia ci sono appaltatori del governo degli Stati Uniti supportati da dollari delle tasse federali. Boeing, la più grande compagnia aerospaziale del mondo, ha firmato un contratto federale per un massimo di 23,8 miliardi di dollari nel 2021; ha importato 20 tonnellate di alluminio a giugno da Kamensk-Uralsky Metallurgical Works. A marzo, gli Stati Uniti hanno vietato le esportazioni a Kamensk-Uralsky perché fornisce metalli all’esercito russo, ma non hanno imposto restrizioni alle importazioni. Un rappresentante della Boeing ha affermato che la società ha preso la decisione di interrompere il commercio con la Russia a marzo e ha spiegato che la spedizione arrivata a giugno era stata acquistata quattro mesi prima.

Un altro importatore di metalli, Tirus US, è di proprietà della società russa VSMPO-AVISMA, il più grande produttore mondiale di titanio. VSMPO fornisce anche metallo all’esercito russo per costruire aerei da combattimento. L’ampia impronta globale dell’azienda e il prodotto specifico, il titanio, sottolineano le sfide legate all’isolamento della Russia dal commercio globale. Tirus US vende titanio a più di 300 aziende in 48 paesi, tra cui una serie di acquirenti statunitensi, dai produttori di gioielli alle aziende aerospaziali.

La società ha affermato solo che, a causa delle sfide significative negli Stati Uniti, ha collaborato con diverse società americane per alleviare i problemi della catena di approvvigionamento.

LEGNAME

Le vaste foreste della Russia sono tra le più grandi al mondo. Dopo il Canada, la Russia è il secondo maggiore esportatore di legno e possiede alcuni degli unici stabilimenti in grado di produrre compensato di betulla baltico robusto e solido, pavimenti utilizzati in tutti gli Stati Uniti. Quest’anno, l’amministrazione Biden ha iniziato a imporre tariffe sulle esportazioni di legno russe, una mossa che ha fatto infuriare Ronald Liberatori, un commerciante di legno con sede in Nevada che vende betulla baltica coltivata in Russia a tutti i principali produttori di mobili, imprese edili e produttori di pavimenti negli Stati Uniti. “Il problema qui è che la Russia è l’unico paese al mondo che produce questo prodotto, ” Egli ha detto. “Non c’è una fonte alternativa”. Ha detto che oltre alla tariffa, ha dovuto versare una cauzione di $ 800.000 per assicurarsi di pagare le tasse, aumentando ulteriormente i prezzi. “Chi lo paga? Chi? Tu e ogni altro individuo negli Stati Uniti”, ha detto. “Siamo così dannatamente arrabbiati per quello che ha fatto Biden. Questa è una questione di governo contro governo”.

Liberatori ha affermato che i decisori devono considerare chi sarà più danneggiato dalle tariffe prima di imporle.

Un altro importatore di legno e carta ha detto ad AP che, sebbene avesse interrotto qualsiasi nuovo ordine a febbraio, aveva in Russia enormi quantità di legname che erano già state pagate; la spedizione finale è arrivata negli Stati Uniti a luglio.
Un’analisi delle merci importate dalla Russia mostra che alcuni articoli sono chiaramente legali e persino incoraggiati dall’amministrazione Biden, come le oltre 100 spedizioni di fertilizzanti arrivate dall’invasione. Prodotti ora vietati come petrolio e gas russo hanno continuato ad arrivare nei porti degli Stati Uniti molto tempo dopo l’annuncio delle sanzioni dovute a periodi di “rilassamento”, consentendo alle aziende di completare i contratti esistenti.

CARBURANTE

L’8 marzo, Biden ha annunciato che gli Stati Uniti stanno vietando tutte le importazioni di petrolio, gas ed energia russi, “prendendo di mira l’arteria principale dell’economia russa”. “Ciò significa che il petrolio russo non sarà più accettabile nei porti statunitensi e il popolo americano infliggerà un altro potente colpo alla macchina da guerra di Putin”, ha affermato. In poche ore, è stato riferito che una nave che trasportava 1 milione di barili di petrolio russo negli Stati Uniti ha cambiato rotta verso la Francia. Ma molti altri hanno continuato. Quella settimana, circa un milione di barili di greggio russo era arrivato al largo del porto di Filadelfia, diretto alla raffineria di petrolio di Delta Airlines Monroe Energy. Nel frattempo, una petroliera con circa 75.000 barili di petrolio di catrame russo è entrata nel porto di Texas City, in Texas, diretta alle raffinerie di Valero dopo una lunga traversata dell’Atlantico settentrionale, secondo i registri commerciali. Le spedizioni sono continuate a Valero, ExxonMobil e altri. Julie King, media manager della ExxonMobil, ha detto ad AP che una consegna di petrolio a luglio era di origine kazaka e non soggetta a sanzioni. Ha affermato che la Exxon “sostiene gli sforzi coordinati a livello internazionale per porre fine all’attacco non provocato della Russia e sta rispettando tutte le sanzioni”.

Il portavoce della Monroe, Adam Gattuso, ha affermato che la società non ha ricevuto più carburante russo e non “prevede di farlo nel prossimo futuro”. Valero non ha risposto alle richieste di commento.

Andrea Schlaepfer, portavoce dell’esportatore olandese di combustibili Vitol, ha affermato che tutte le sue spedizioni di petrolio e gas dal 22 aprile provengono dal Kazakistan, dove gli oleodotti e le reti ferroviarie corrono dai giacimenti petroliferi e dalle raffinerie del paese senza sbocco sul mare ai vicini porti russi.

Per l’uso della sua infrastruttura portuale, degli ormeggi e delle tasse, la Russia guadagna circa 10 milioni di dollari all’anno. Schlaepfer ha affermato che gli agenti della dogana e della protezione delle frontiere statunitensi esaminano e verificano che le sue spedizioni che entrano negli Stati Uniti non contengano prodotti russi. Ma il CBP non ha risposto a ripetute domande su come gestisce sanzioni e divieti sulle merci russe.

Una scheda informativa del CBP afferma che svolge un “ruolo critico” nell’imporre divieti alle importazioni, tuttavia un portavoce ha ripetutamente riferito l’AP ai dipartimenti di Stato e del Tesoro.

ALTRO

Finora quest’anno, quasi 4.000 tonnellate di proiettili russi sono arrivate anche negli Stati Uniti, dove sono state distribuite a negozi di armi e rivenditori di munizioni. Alcuni sono stati venduti ad acquirenti statunitensi da società statali russe, mentre altri provenivano da almeno un oligarca sanzionato. Quelle spedizioni sono rallentate in modo significativo dopo aprile.

AP ha anche tracciato milioni di dollari di spedizioni di esafluoruro di uranio radioattivo dalla Tenex JSC, di proprietà statale russa, il più grande esportatore mondiale di prodotti del ciclo del combustibile nucleare iniziale, a Westinghouse Electric Co. nella Carolina del Sud. Il materiale nucleare non è sanzionato.

Il materiale radioattivo inviato dalla Russia negli Stati Uniti viene trasportato a nord del confine per sterilizzare le forniture mediche imballate utilizzate in tutto il Nord America.

Sebbene le importazioni di alcuni prodotti alimentari, come frutti di mare e vodka, siano state limitate, il mese scorso il Dipartimento del Tesoro ha pubblicato una scheda informativa in cui ribadisce che il commercio agricolo tra Stati Uniti e Russia è ancora molto consentito.
La fabbrica di cioccolato Red October si trova proprio di fronte al Cremlino a Mosca. Oggi è un’attrazione turistica con appartamenti, negozi e ristoranti.
Ma l’azienda, Krasny Oktyabr, produce e vende ancora caramelle e altre prelibatezze tradizionali da uno stabilimento di produzione alla periferia della Russia.

A Brooklyn, New York, Grigoriy Katsura, presso gli uffici statunitensi di Krasnyi Oktyabr Inc, ha affermato che continuano a importare delizie, un assaggio dell’infanzia per gli immigrati russi.

“Certo che ci sono abituati”, ha detto.

E così, ogni poche settimane, le spedizioni arrivano al loro magazzino dalla Russia: grano saraceno, frutta secca e il loro cioccolato di fama mondiale.

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AP Data journalist Larry Fenn in New York contributed to this report. Mendoza reported from Santa Cruz, California.

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5275.- Energia, tutte le inesattezze sulle cause dell’aumento dei prezzi

L’Italia punta sull’Algeria, infatti già diventata il primo fornitore di gas per l’Italia, sostituendo Mosca. Le discussioni tra Italia e Algeria in ambito energetico potrebbero ampliarsi ad altre collaborazioni: un progetto di interconnessione elettrica tramite cavo sottomarino tra la regione algerina di El Chafia e la Sardegna, con una capacità fino a 2.000 megawatt, e il sostegno italiano al gasdotto transahariano, la condotta che, attraverso il Sahara, dovrebbe portare il gas dalla Nigeria all’Algeria, e da lì ai mercati europei.


Da Start Mag. 27 luglio 2022, di Gianfranco Polillo.

Gli aumenti dei prezzi dell’energia e alcune bislacche tesi che circolano. Il commento di Gianfranco Polillo

Se per legge, in questo periodo, fosse proibito dire stupidaggini, la campagna elettorale non si farebbe. Troppo forte è la tentazione da parte di pseudo esperti, giornalisti, imbonitori di vario genere e natura, di cavalcare qualsiasi cosa sia in grado di portare acqua al proprio mulino. Ed ecco allora, con sovrano sprezzo di ogni pericolo, sostenere l’inverosimile. Fino alle più stravaganti teorizzazioni.

Per Libero, grazie alla puntuta penna di Paolo Becchi e di Giovanni Zibordi, l’interrogativo è d’obbligo. “Siamo nel mezzo di una crisi senza precedenti – osservano – interi settori industriali stanno soffrendo perché il prezzo da 50 euro per megawatt è esploso a 300 euro di media. È colpa di Putin? Non proprio, il prezzo è esploso nell’estate del 2021, pochi mesi dopo che Draghi è andato al governo”. Elementare Watson.

Ma perché Draghi? Cercano quindi di argomentare: “Sia Draghi che il Pd e il M5S in particolare hanno sempre sostenute in tutte le sedi quelle politiche di restrizioni, limitazioni e divieti per nucleare, carbone, estrazione di gas e petrolio. Soprattutto però, quando il problema è scoppiato il governo italiano non ha fatto niente”- Davvero? Lasciamo perdere le passate limitazioni – allora Draghi era solo presidente della BCE – ma chi ha tentato di mettere un tetto al prezzo del gas? Argomento ancora in discussione in Europa. E se il Governo Draghi fosse nella pienezza dei suoi poteri, forse l’eventuale soluzione sarebbe più vicina.

Non contenti, aggiungono, sempre riferendosi a Draghi: “Anzi, spingendo più di altri per le sanzioni alla Russia ha contribuito ad aggravare una situazione già esplosiva”- Sarebbe stato meglio arrendersi subito. Ed avere i cosacchi, come immortalava un vecchio manifesto della DC, durante le elezioni del ‘48, che si dissetavano nelle fontane di Piazza San Pietro.

Ma a parte ogni altra considerazione è il continuo endorsement a favore di Putin che non funziona. “In realtà il prezzo del gas russo di Gazprom, che viene comprato dagli intermediari, è quasi invariato rispetto ad un anno fa. – scrivono i “nostri” – Così il prezzo del gas che arriva per gasdotto da Algeria e Qatar. Solo una piccola frazione del gas che arriva, quello comprato sul mercato “Ttf” in Olanda come gas liquefatto è in realtà aumentato di 15 volte. Ma come mai allora il prezzo all’ingrosso dell’elettricità è aumentato dello stesso ammontare, se appunto l’80 o 90% viene prodotto usando gas russo che costa come prima?”.

Ma è veramente così? Il prezzo dell’energia ha avuto questo balzo in avanti? Secondo il dati dell’ARERA non sembrerebbe. L’ARERA, com’è noto, è l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente. Dai dati relativi al prezzo dell’energia, si evince che i prezzi sono ovviamente aumentati, ma non nella misura indicata dai due giornalisti. Per le utenze domestiche, ad esempio, in regime di maggior tutela, il costo della materia prima è stato pari, in media, a 9,40 euro per kilowattora nel 2019, a 7,36 l’anno successivo, a 13,73 nel 2021 e 34,40 in questi primi mesi dell’anno.

Aumenti, si badi bene, più che sostanziosi, ma che poco hanno a che vedere con le cifre indicate dai due autori. Il perché è semplice. È dato proprio da quel mix di forniture (GNL, gas delle forniture “take or pay”, petrolio, carbone, rinnovabili, idroelettrica e via dicendo) utilizzato nelle centrali per produrre elettricità. Tra questi diversi input esiste una qualche relazione? Ovviamente. Ma è molto più complicata di quanto a prima vista potrebbe sembrare.

Prendiamo il caso delle ultime decisioni di Gazprom di portare al 20 per cento le normali forniture di gas tramite il Nord stream. Il tutto motivato da vaghezze manutentrici. L’effetto immediato è stato quello di spingere il prezzo del GNL ad oltre 202 euro il kilowattora. Riflesso e conseguenza di una minore offerta a fronte di una domanda in continua espansione nella lotta contro il tempo, al fine di accrescere gli stoccaggi per far fronte alle difficoltà del prossimo inverno. Come si vede, la Russia è in grado di influenzare, come meglio crede, l’intero mercato.

C’è solo questo? Ma no: basta guardare ai cambiamenti intervenuti nei rapporti di cambio tra il dollaro e l’euro. La svalutazione di quest’ultimo sarà pure legato a tanti fattori, come la diversa e più spinta politica monetaria d’oltre Atlantico, ma certamente la maggiore vulnerabilità energetica dell’Europa indubbiamente ha pesato. Il che solleva, a sua volta, tanti altri interrogativi. Ma Putin c’è l’ha veramente con gli Stati Uniti o, invece, punta soprattutto ad indebolire l’Europa? In attesa di capire, sarebbe meglio non sparare alla luna.

5193.- L’Italia chiude le porte alla Russia: ecco dove andranno i soldi dei turisti

Il Parlamento lo vuole, i partiti lo vogliono, il Governo lo vuole, il presidente pure, ma noi, Noi chi siamo?

 Di Paolo Colantoni, Notizie.com, 16 Giugno 2022

I turisti russi hanno scelto una nuova meta per le vacanze: addio ai laghi e le spiagge italiane: un volume di oltre 20 miliardi

C’erano una volta i luoghi di villeggiatura italiani pieni zeppi di turisti provenienti dalla Russia. Dai laghi del nord Italia alle spiagge sarde, i luoghi in cui oligarchi, o semplici cittadini russi si ritrovavano per passare le loro vacanze (e spendere tanti soldi) erano davvero tanti. Oggi, alla luce delle sanzioni imposte e al blocco dei beni, sarà un miraggio ripetere ciò che accadeva in passato.

Migliaia di turisti che provengono da Mosca e dintorni, sono stati obbligati a cambiare mete turistiche. Addio all’Italia e ai luoghi europei più famosi, ecco dove andranno in vacanza i cittadini che provengono dalla Russia. La meta turistica più ambita sarà la Thailandia. A dirlo è GlobalData, che ha analizzato i flussi di prenotazione che arrivano da tutto il Mondo. Il numero di vacanzieri russi in Thailandia aumenterà in modo significativo dagli appena 10mila arrivi del 2021 ai 435mila previsti quest’anno, anche per effetto dell’osmosi da altre destinazioni.

Una boccata d’ossigeno per le finanze del Paese. Il ministero del Turismo thai intende capitalizzare l’impennata della domanda turistica dalla Federazione, ora protagonista dell’attacco all’Ucraina, con un adeguato aumento di voli diretti, garantendo anche pagamenti con carta facilitati attraverso hotspot turistici. “La Thailandia riapre completamente i suoi confini ai turisti internazionali senza la necessità di un test Pcr negativo pre partenza. Inoltre, non pone alcuna restrizione alla Russia per effetto del conflitto. E i fattori contingenti, legati appunto alle preclusioni su mete Ue, probabilmente si combineranno per creare uno sbalorditivo aumento del 4.421% su base annua delle visite russe in Thailandia nel 2022″, ha dichiarato Ralph Hollister, analista di viaggi e turismo di GlobalData.

Il governo thailandese può esultare. Secondo le analisi degli esperti, la mole di denaro che rimpinguerà le casse del Paese sono enormi: il bacino turistico russo si tra i più importanti in termini di spesa: nel 2021, ancora in pandemia, questi viaggiatori hanno infatti speso oltre 22,5 miliardi di dollari in viaggi e turismo. Per questo il governo thailandese sta predisponendo misure burocratiche semplificate che possano favorire le transazioni economiche e quindi sistemi che agevolino i pagamenti dei russi dei vari servizi turistici in loco.

5115.- Comprata l’Ucraina! Prossimo bersaglio la Romania? Ma, vogliono la Russia!

Mario Draghi ha detto a Vladimir Putin: “Parliamo di pace”, ma arma la contesa e ha espulso i diplomatici russi. Putin ha risposto: “Non è il momento.” Preferiamo dire: “Parliamo di futuro” e discutere del come.

Mario Donnini, Veneto Unico, 20 maggio 2022

L’Ucraina è indipendente da trent’anni ed è un importante produttore agricolo. Nel 2019-2020 ha esportato 57 milioni di tonnellate di grano e, con la riforma agraria entrata in vigore a inizio luglio 2021 può diventare una superpotenza agricola. Fino alla riforma, le grandi aziende agricole dipendevano dai contratti di locazione dei terreni coltivabili, senza poterli acquistare e incontrando difficoltà sia nei progetti di bonifica e irrigazione sia nell’accesso ai finanziamenti. Con la riforma e se il mercato non sarà influenzato negativamente dalle multinazionali, sarà possibile fruire di prestiti dalla Banca Mondiale/FMI per 200 milioni di dollari, che aiuteranno l’Ucraina a creare un mercato equo e trasparente per i 13,4 milioni di ettari di terreni agricoli non opzionati. La Camera di Commercio italiana per l’Ucraina ha creato ed avviato il progetto Agritaly Ucraina 2021/2022 per permettere alle aziende italiane del comparto agricolo/allevamento di fornire il proprio contributo al mercato del paese e approfittare di questa svolta. La condizione è che la guerra finisca, sopratutto nelle intenzioni di tutti i contendenti e, perciò, la Russia deve diventare un partner importante degli Stati Uniti e dell’Occidente e viceversa, piaccia Putin o non piaccia.

Sparlano di difesa della democrazia, di indipendenza, della libertà, ma la verità è che l’Ucraina è il più grande business del secolo. Vedete come, dopo 8 anni, “Il cerchio di Maidan si chiude”: L’Ucraina ha abolito, dopo 20 anni, il divieto di vendita dei terreni agricoli per darli, in blocco, in pagamento di debiti con alcune multinazionali, come Cargill, Monsanto, AGCO, DuPont: Su 32 milioni di ettari coltivabili in Ucraina, Zelensky ne ha venduti 17 milioni a Cargill e DuPont (mangimi) e alla Monsanto – Bayer (concimi), società formalmente germano-australiana, ma a capitale USA, oltre ai cinesi che hanno comprato un altro 1,6 milioni di ettari (il 5%). Dietro queste multinazionali USA, leggiamo sempre i soliti: Vanguard, Blackrock e Blackstone, tre società finanziarie che controllano anche tutte le banche al mondo, tutte le maggiori industrie belliche della Terra e gli organi d’informazione che pompano per la guerra e, aggiungo, i nostri governi. Era questa la condizione del F.M.I. per gli “aiuti” all’Ucraina? Altro che parlare di pace, di sovranità, altro che amore per la patria! Finalmente, si comprendono l’entusiasmo di Victoria Nuland per questa ennesima guerra europea e il silenzio di Pechino: 18,6 milioni di ettari di terra agricola ucraina venduti alle multinazionali! Gli interessi economici degli Stati Uniti in Europa si fanno sempre più pesanti. C’è da credere a chi sostiene che la Nato sia l’esercito privato dei Rothschild.

Alan Friedman, pochi giorni fa, ha dichiarato: “Non c’è nessun motivo per cui l’Ucraina dovrebbe dare via un pezzo del suo territorio a un dittatore sanguinoso che ha deciso di invadere. Anche i cinesi concordano che bisogna conservare l’integrità territoriale del paese. E poi per ora l’Ucraina sta tenendo a bada gli invasori”. Bravo Friedman, ma quanti sono gli invasori? Mentre il conflitto armato ucraino s’infiammava, le multinazionali del settore agricolo Monsanto, Cargill e DuPont conquistavano sempre più terreno. Ecco, dunque, che l’invasione russa è stata preceduta da quella delle multinazionali e, se guardiamo alle basi e ai 13 laboratori segreti della Nato, le invasioni sono state almeno tre.

Il predominio degli interessi occidentali sull’economia ucraina era già visibile nel governo Poroshenko, con l’amministratrice di Horizon Capital (fondo di investimento con sedi in Ucraina e Usa), nominata ministro delle finanze e, inoltre, dalla presenza del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e della Banca Mondiale in Ucraina.

Dice bene, anzi, benissimo, Maurizio Blondet: “Ecco perché mangimi (Cargill e Du pont) e concimi (Monsanto-Bayer) hanno subito aumenti clamorosi sin da prima della guerra: perché sapevano già tutto, erano informati di tutto.” Poi, si lascia andare a una predizione, facile, invero, ma nascosta: “E sapete quando finirà la guerra? Quando le grandi compagnie finanziarie avranno smaltito il loro stock di armi facendole pagare a noi, europei idioti, già spremuti dalla stessa combriccola che nel frattempo specula su grano, riso, mangimi, concimi”. Infatti, i 4.000 ucraini e i 24.000 russi sono morti grazie al ripulisti dei residuati bellici fatto, entusiasticamente, da tutti i governi e, in Italia, da tutti i partiti, lady Coerenza compresa; ma questo è un segreto militare.

Mario Draghi, oggi, su RAINews24

Chissà cosa è stato pagato o promesso a Putin in cambio del segreto sui laboratori dell’Azovstal? Qualunque sia il prezzo pagato per questo segreto e, anche alla luce di questo enorme business mondiale, appare sempre più evidente la cecità della politica italiana o, peggio, la sua dipendenza, senza dignità né onore di alleato, verso i padroni degli Stati Uniti. Difficile giudicare dal basso la linea politica di un capo di governo, ma, oggi, abbiamo sentito il presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi parlare, sorridente, su RAI News24, ancora, di aggressore grande e aggredito piccolo o non più piccolo, grazie alle nostre armi. Come se si possa aiutare un popolo in guerra a conquistare la pace, armandolo. Draghi ha deriso Vladimir Putin, per la risposta “Non è il momento” al suo invito a parlare di pace: Adesso? Ha parlato di guerra per la libertà e non per il business (è libertà anche non volere essere obbligati a coltivare OGM), di amore degli italiani per l’accoglienza: più 152.000 ucraini, in aggiunta ai 1.000 africani che ogni giorno Lamorgese fa sbarcare in Italia. Non ha chiesto scusa ai disoccupati, anche per decreto e ha concluso parlando di amici del popolo russo, perché nemico è solo il loro governo, che ha interessi diversi da quelli occidentali. Infine, la dichiarazione di ottimismo per il futuro, quasi un auto aspersione di incenso per lui stesso. Beato lui, perché, come servi, nemmeno sudditi, non riusciamo a essere ottimisti. È vero, é difficile giudicare dal basso la linea politica di un capo di governo, ma a tutto c’è un limite.

Le lunghe mani sull’Ucraina

Vediamo chi sono le lunghe mani dei Rothschild, dei Soros, dei Gates, di Warren Buffet (l’«oracolo di Omaha», oggi, il sesto uomo più ricco del mondo con un patrimonio di 110,7 miliardi di dollari).

La Cargill, Incorporated è una multinazionale statunitense del Minnesota, con 155.000 dipendenti in 70 paesi, attiva principalmente nel settore alimentare. Di proprietà degli eredi Cargill e MacMillian, non quotata in borsa, è considerata l’azienda a controllo familiare più grande del mondo. Nel 2018, Wikipedia le ha assegnato un fatturato di 114,7 miliardi USD. La Cargill crea connessioni nel sistema alimentare globale fra gli agricoltori e i mercati, i clienti con soluzioni per la nutrizione sostenibili e il suo motto è “aiutare il mondo a prosperare”. Chiederei al suo CEO, David MacLennan, cosa ci darà da mangiare.

La DuPont ( 4 nuovi centri ricerca in Ucraina, Cina e India) Nel 2013, DuPont Pioneer ha rafforzato la sua presenza in Ucraina, aprendo a Stasi una nuova fabbrica di sementi OGM. Sebbene queste multinazionali USA siano da tempo in loco, I loro investimenti sono cresciuti in modo significativo dal 2015. La legge ucraina vietava agli agricoltori di coltivare colture GM.

La Monsanto in Ucraina. Qui, sovviene un articolo del 22 agosto 2014, ma attualissimo, dalla penna di Joyce Nelson, pluripremiata scrittrice/ricercatrice canadese freelance e autrice di cinque libri, tra cui Sultans of Sleaze: PR & the Media. Lo riportiamo integralmente:

Monsanto e Ucraina

Da Come don Chisciotte, di JOYCE NELSON, 28 luglio 2014.   

Un aspetto poco noto della crisi in Ucraina sta ricevendo una certa attenzione internazionale. Il 28 luglio 2014, l’Oakland Institute con sede in California ha pubblicato un rapporto in cui rivelava che la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale (FMI), in base al loro prestito di 17 miliardi di dollari all’Ucraina, avrebbero aperto quel paese alle colture geneticamente modificate (GM) e organismi geneticamente modificati (OGM) in agricoltura. Il rapporto è intitolato “Walking on the West Side: the World Bank and the FMI in the Ukraine Conflict”. (purtroppo il collegamento al link è stato tolto)

Alla fine del 2013, l’allora presidente dell’Ucraina, Viktor Yanukovich, ha respinto un accordo di associazione dell’Unione Europea legato al prestito di 17 miliardi di dollari del FMI, i cui termini sono stati rivelati solo ora. Invece, Yanukovich ha scelto un pacchetto di aiuti, russo, del valore di 15 miliardi di dollari, più uno sconto sul gas naturale russo. La sua decisione è stata un fattore importante nelle successive proteste “mortali” che hanno portato alla sua estromissione dall’incarico nel febbraio 2014 e alla crisi in corso.

Secondo l’Oakland Institute, “Mentre l’Ucraina non consente l’uso di organismi geneticamente modificati (OGM) in agricoltura, l’articolo 404 dell’accordo Ue, che riguarda l’agricoltura, contiene una clausola che generalmente è passata inosservata: indica, tra l’altro cose, che entrambe le parti coopereranno per estendere l’uso delle biotecnologie. Non c’è dubbio che questa disposizione soddisfi le aspettative del settore agroalimentare. Come osserva Michael Cox, direttore della ricerca presso la banca di investimento Piper Jaffray, “l’Ucraina e, in misura più ampia, l’Europa orientale, sono tra i mercati in crescita più promettenti per il colosso delle attrezzature agricole Deere, così come per i produttori di sementi Monsanto e DuPont” .” (prossimo bersaglio la Romania? ndr)

La legge ucraina vieta agli agricoltori di coltivare colture GM. Considerato a lungo “il paniere d’Europa”, il ricco suolo nero dell’Ucraina è l’ideale per la coltivazione di cereali e nel 2012 gli agricoltori ucraini hanno raccolto oltre 20 milioni di tonnellate di mais.

L’investimento della Monsanto

Nel maggio 2013, la Monsanto ha annunciato l’intenzione di investire 140 milioni di dollari in una pianta di semi di mais non OGM in Ucraina, con il portavoce della Monsanto Ucraina Vitally Fechuk che ha confermato che “lavoreremo solo con semi convenzionali” perché “in Ucraina sono consentiti solo semi convenzionali per produzione e importazione”.

Ma a novembre 2013, sei grandi associazioni agricole ucraine avevano preparato bozze di emendamento alla legge, spingendo per “la creazione, la sperimentazione, il trasporto e l’uso di OGM per quanto riguarda la legalizzazione dei semi OGM”.  

https://en.interfax.com.ua/news/press-conference/173536.html

Il presidente dell’Associazione ucraina del grano, Volodymyr Klymenko, ha dichiarato in una conferenza stampa del 5 novembre a Kiev che “Potremmo rimuginare a lungo su questo problema, ma noi, insieme alle associazioni [agricole], abbiamo firmato due lettere per cambiare la legge sulla biosicurezza, in cui proponevamo la legalizzazione dell’uso di semi OGM, da tempo sperimentati negli Stati Uniti, per i nostri produttori”. (In realtà, i semi GM e gli OGM non sono mai stati sottoposti a test indipendenti a lungo termine negli Stati Uniti)

Il progetto di modifica delle associazioni agricole ha coinciso con i termini dell’accordo di associazione dell’UE e del prestito FMI/Banca mondiale.

Il sito web Sustainablepulse.com – che tiene traccia delle notizie sugli OGM in tutto il mondo – ha immediatamente criticato la proposta delle associazioni agricole, con il direttore Henry Rowlands che ha affermato: “L’agricoltura ucraina sarà seriamente danneggiata se il governo ucraino consentirà legalmente sementi OGM nel paese. I loro agricoltori troveranno i loro mercati di esportazione ridotti a causa dei sentimenti anti-OGM dei consumatori sia in Russia che nell’UE”. Rowlands ha affermato che l’investimento della Monsanto in Ucraina “potrebbe salire a 300 milioni di dollari entro pochi anni. L’agricoltura ucraina vuole fare totale affidamento sul successo o sul fallimento di un’azienda con sede negli Stati Uniti?”

Il 13 dicembre 2013, Jesus Madrazo della Monsanto, Vice President of Corporate Engagement, ha dichiarato alla conferenza USA-Ucraina a Washington DC,  che l’azienda vede “l’importanza di creare un ambiente favorevole [in Ucraina] che incoraggi l’innovazione e promuova il continuo sviluppo dell’agricoltura. L’Ucraina ha l’opportunità di sviluppare ulteriormente il potenziale delle colture convenzionali, su cui stiamo attualmente concentrando i nostri sforzi.  Speriamo anche che a un certo punto la biotecnologia sia uno strumento che sarà disponibile per gli agricoltori ucraini in futuro”. 

Solo pochi giorni prima delle dichiarazioni di Madrazo a Washington, la Monsanto Ucraina aveva lanciato il suo programma di “sviluppo sociale” per il Paese, chiamato “Grain Basket of the Future”. [7:  manca il collegamento al link, cancellato]      Fornisce sovvenzioni agli abitanti dei villaggi rurali in modo che possano (secondo le parole della Monsanto) “iniziare a sentire che possono migliorare la loro situazione da soli invece di aspettare un sussidio”.

In realtà, la vera “dispensa” è quella che andrà alla Big US Agribusiness attraverso i termini del prestito FMI/Banca Mondiale, che oltre ad aprire il Paese alle colture GM, eliminerà ulteriormente il divieto di vendita dei ricchi terreni agricoli ucraini al settore privato. 

Come ha detto a marzo all’International Business Times Morgan Williams, presidente e CEO del US-Ukraine Business Council, “l’agricoltura ucraina potrebbe essere una vera miniera d’oro”.  Ma ha aggiunto che ci sono “molti aspetti del clima imprenditoriale [in Ucraina] che devono essere cambiati. L’obiettivo principale sarebbe quello di far fallire il governo…”  (i link sono purtroppo irraggiungibili).

I Cables di Wikileaks

Nell’agosto 2011, WikiLeaks ha rilasciato cablogrammi diplomatici statunitensi che mostrano che il Dipartimento di Stato americano ha esercitato pressioni in tutto il mondo per la Monsanto e altre società di biotecnologia come DuPont, Syngenta, Bayer e Dow. Il 14 maggio 2013 l’organizzazione no profit statunitense Food & Water Watch, dopo aver esaminato cinque anni di questi cavi (2005-2009), ha pubblicato il suo rapporto intitolato “Ambasciatori biotecnologici: come il Dipartimento di Stato americano promuove l’agenda globale dell’industria dei semi”. [10]   (manca il collegamento al link…)

Il rapporto ha mostrato che il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha “fatto pressioni sui governi stranieri affinché adottassero politiche e leggi pro-agricole in materia di biotecnologia, condotto una rigorosa campagna di pubbliche relazioni per migliorare l’immagine della biotecnologia e sfidato le salvaguardie e le regole della biotecnologia del buon senso, comprese leggi contrarie che richiedono l’etichettatura degli alimenti geneticamente modificati (GE)”.

Secondo consortiumnews.com (16 marzo 2014), Morgan Williams è al centro dell’alleanza di Big Ag con la politica estera statunitense”. [11]  (anche qui è stato cancellato il collegamento al link…)     Oltre ad essere presidente e CEO del US-Ukraine Business Council, Williams è Direttore degli affari governativi presso la società di private equity SigmaBleyzer, che promuove il lavoro di Williams con “varie agenzie del governo degli Stati Uniti, membri del Congresso, comitati congressuali, Ambasciata dell’Ucraina negli Stati Uniti, istituzioni finanziarie internazionali, gruppi di riflessione e altre organizzazioni su questioni di affari, commercio, investimenti e sviluppo economico USA-Ucraina”.

Il Comitato Esecutivo di 16 membri del US-Ukraine Business Council è gremito di aziende agroalimentari statunitensi, inclusi rappresentanti di Monsanto, John Deere, DuPont Pioneer, Eli Lilly e Cargill.[12]U.S.-Ukraine Business Council (USUBC)

 U.S.-Ukraine Business Council (USUBC) 

I venti “consulenti senior” del Consiglio includono James Greene (ex capo dell’Ufficio di collegamento della NATO in Ucraina); Ariel Cohen (Senior Research Fellow per The Heritage Foundation); Leonid Kozachenko (Presidente della Confederazione Agraria Ucraina); sei ex ambasciatori degli Stati Uniti in Ucraina e l’ex ambasciatore dell’Ucraina negli Stati Uniti, Oleh Shamshur.

Shamshur è ora un consulente senior di PBN Hill + Knowlton Strategies, un’unità del gigante delle pubbliche relazioni Hill + Knowlton Strategies (H+K). H + K è una sussidiaria del gigantesco WPP Group con sede a Londra, che possiede una dozzina di grandi società di pubbliche relazioni, tra cui Burson-Marsteller (un consulente Monsanto di lunga data).

Hill + Knowlton Strategies   https://www.hkstrategies.com/en/ 

Il 15 aprile 2014 il quotidiano The Globe & Mail di Toronto ha pubblicato un editoriale dell’assistente consulente di H+K Olga Radchenko.  Il pezzo inveiva contro il presidente russo Vladimir Putin e “La macchina delle pubbliche relazioni di Mr. Putin”, e ha affermato che “il mese scorso [marzo 2014 – un mese dopo il colpo di stato], un gruppo di professionisti delle pubbliche relazioni con sede a Kiev ha formato l’Ucraina Crisis Media Center, un’operazione volontaria volta ad aiutare a comunicare l’immagine dell’Ucraina e a gestirne i messaggi sulla scena globale .”

Il sito Web di PBN Hill + Knowlton Strategies afferma che il CEO dell’azienda Myron Wasylyk è “un membro del consiglio di amministrazione del US-Ukraine Business Council” e l’amministratore delegato dell’azienda/Ucraina, Oksana Monastyrska, “guida il lavoro dell’azienda per la Monsanto”. Monastyrska ha anche lavorato in precedenza per la International Finance Corporation della Banca Mondiale.

Secondo l’Oakland Institute, i termini del prestito Banca Mondiale/FMI all’Ucraina hanno già portato a “un aumento degli investimenti esteri, che probabilmente si tradurrà in un’ulteriore espansione di acquisizioni su larga scala di terreni agricoli da parte di società straniere e in ulteriori corporation dell’agricoltura nel paese”.  (anche qui manca il collegamento al link)

Nel frattempo, il primo ministro russo Dmitry Medvedev ha dichiarato ad aprile: “Non abbiamo l’obiettivo di sviluppare prodotti GM qui o di importarli. Possiamo nutrirci con prodotti normali, comuni, non geneticamente modificati. Se agli americani piace mangiare questi prodotti, lascia che li mangino. Non abbiamo bisogno di farlo; abbiamo abbastanza spazio e opportunità per produrre cibo biologico”. (link irraggiungibile…)

Hill + Knowlton, con la sua falsità sulle “atrocità dei bambini tolti dalle incubatrici e lasciati morire sul pavimento in Kuwait”   http://911review.com/precedent/decade/incubators.html , è stato determinante nel convincere il pubblico americano a sostenere la prima Guerra del Golfo in Iraq all’inizio degli anni ’90. Ora la società è coinvolta nel fomentare una Guerra Fredda 2 o peggio e, per conto della Monsanto, è stata recentemente votata come la società “più malvagia” del pianeta. È qualcosa da ricordare nel mezzo della vasta demonizzazione dei media mainstream di Putin.

5030.- La Tunisia verso una crisi senza fine

Non solo Ucraina! Deve essere chiaro agli italiani che la stabilità della Tunisia, della Libia e di tutto il Mediterraneo condizionerà il nostro futuro. L’Unione europea non fa nulla per incentivare gli accordi sulla futura Zona Mediterranea di Libero Scambio ed è diventata un freno allo sviluppo dei popoli. Abbiamo urgente bisogno di politica: quella vera.

Di Massimiliano Boccolini, Formiche, 01/04/2022 – 

La Tunisia verso una crisi senza fine

Preoccupazioni da parte di Usa e Onu per la decisione del presidente, Kais Saied, di sciogliere il Parlamento con gravi conseguenze sull’economia

Si acuisce sempre di più la crisi politica tunisina, che di conseguenza colpisce anche la già disastrata economia, alla luce dell’ultima decisione del presidente Kais Saied di scogliere definitivamente il Parlamento, da lui stesso sospeso il 25 luglio scorso. In quella data infatti, con la rimozione del premier, Hicham Mechichi, e la sospensione del Parlamento guidato dal principale rivale politico del presidente, il leader di Ennahda, Rached Ghannouchi, ha iniziato l’ultima fase della crisi tunisina.

Questa mossa è l’ultima di una serie di iniziative intraprese a partire dalla scorsa estate e giudicate, da molti politici locali e osservatori internazionali, pericolose per il futuro del Paese, unico uscito dalla cosiddetta primavera araba con una certa tenuta democratica.

Non è un caso che la prima reazione internazionale è arrivata dagli Stati Uniti e dalle Nazioni Unite che hanno espresso la loro preoccupazione per la decisione di sciogliere il parlamento, mentre Ennahda e altre forze politiche locali hanno denunciato il provvedimento parlando di una violazione della costituzione, tra le crescenti richieste di elezioni anticipate.

Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Ned Price, ha affermato che il suo Paese è profondamente preoccupato per la decisione del presidente tunisino. Price ha aggiunto che Washington ha ripetutamente detto alle autorità tunisine che qualsiasi riforma deve essere trasparente e in consultazione con tutte le forze politiche.

Da New York anche Farhan Haq, portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite, ha espresso la preoccupazione dell’organizzazione per la decisione del presidente tunisino di sciogliere il Parlamento, invitando tutte le parti ad astenersi da qualsiasi azione che porti a maggiori tensioni politiche.

Per tutta risposta Saied ha condannato l’iniziativa autonoma dei deputati di riunirsi in una seduta in videoconferenza per decidere di annullare le misure eccezionali adottate dal presidente lo scorso 25 luglio. Per Saied la riunione on-line tenuta dai deputati ha rappresentato un tentativo fallito di colpo di stato e una cospirazione contro la sicurezza oltre che un disperato tentativo di minare l’unità nazionale.

Mercoledì sera 30 marzo, subito dopo la riunione dei deputati in videoconferenza, il presidente tunisino ha annunciato lo scioglimento del Parlamento, congelato da oltre 8 mesi, in base all’articolo 72 della costituzione, e ha accusato i deputati riunitisi per annullare le misure eccezionali di cospirazione contro lo Stato.

L’articolo 72 della Costituzione prevede lo svolgimento delle elezioni legislative entro un periodo da 45 a 90 giorni dalla data di entrata in vigore della decisione di scioglimento dell’istituzione legislativa, che è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

La decisione di Saied di sciogliere il Parlamento è arrivata quindi dopo una riunione dei parlamentari in videoconferenza, nella quale hanno votato 116 dei 217 deputati a favore dell’annullamento dei decreti presidenziali eccezionali che conferiscono al presidente poteri quasi assoluti. Nel frattempo, il presidente del Parlamento tunisino, Rashid Ghannouchi, ha annunciato il suo rifiuto di sciogliere l’istituzione legislativa e ha denunciato il fatto che, nel frattempo, decine di deputati erano stati convocati dalla polizia per essere sottoposti ad un interrogatorio da parte delle autorità.

In un’intervista all’emittente televisiva Al-Jazeera, Ghannouchi ha affermato che la decisione di sciogliere il Parlamento rappresenta una minaccia per la Tunisia e la sua sicurezza, e ha promesso che il movimento Ennahda – di cui è a capo – reagirà a questa decisione con mezzi popolari e legali, chiedendo un dialogo che includa tutte le parti.

La squadra antiterrorismo della sicurezza tunisina aveva infatti convocato più di 30 deputati che hanno partecipato alla sessione del parlamento in modalità virtuale di mercoledì.

Ennahda ha inoltre annunciato, dopo una riunione d’urgenza del suo ufficio politico, di non accettare la decisione di sciogliere l’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo e ha ritenuto che questo passaggio rappresenti un ulteriore smantellamento dello stato e delle sue istituzioni e una nuova violazione della costituzione. Anche l’ex presidente tunisino, Moncef Marzouki, ha invitato il Parlamento a ignorare la decisione di scioglimento e a cercare di raggiungere il quorum per isolare il presidente Saied. Analoga posizione è stata adottata dal partito Corrente Democratica tunisina.

Questo nuovo passo della crisi politica non fa che acuire la già grave crisi economica che affligge da anni il Paese. Quando il presidente tunisino ha annunciato lo scioglimento del parlamento, la Tunisia era alla ricerca di soluzioni alla sua crisi politica per convincere i suoi partner finanziari e le istituzioni internazionali a continuare a sostenere l’economia, che ha bisogno di finanziamenti esterni per almeno 12 miliardi di dinari (circa 4 miliardi di dollari) in modo da garantire i beni di prima necessità delle importazioni e il pagamento degli stipendi.

Secondo molti osservatori locali, questo passo estenderà le difficoltà economiche e sociali del Paese alla luce delle difficoltà di vita e dal calo del potere d’acquisto e della valuta locale.

La decisione di sciogliere il Parlamento è arrivata poche ore dopo che il ministro delle Finanze, Siham Namsieh, ha annunciato che c’erano indicazioni positive sull’accordo di prestito con il Fondo monetario internazionale. Era arrivato anche l’annuncio da parte dell’Unione Europea dell’intenzione di destinare 4 miliardi di euro in investimenti in Tunisia. La stabilità politica delle istituzioni di governance e il consenso interno sono tra le condizioni fondamentali per i finanziatori esterni, poiché il Fondo monetario internazionale chiede un programma di riforma che goda di un ampio consenso interno.

Anche i partner finanziari della Tunisia, in particolare l’Unione europea, sottolineano l’importanza del ritorno al governo di istituzioni legittime, mentre le rivalità politiche tra il presidente Saied e Ghannouchi hanno aggravato la crisi nelle sue varie forme.

L’ambasciatore dell’Unione europea in Tunisia, Marcos Cornaro, ha affermato che l’Ue continuerà a sostenere la Tunisia, ma chiede il ritorno delle istituzioni legittime, dichiarando la disponibilità dei Paesi europei a fornire 4 miliardi di euro (circa 4,5 miliardi di dollari ) nel finanziamento alla Tunisia, firmando un accordo con Tunisia e Fondo monetario internazionale, tra il 2022 e il 2027.

Il rapporto della banca d’affari Morgan Stanley ha messo in guardia sull’incapacità della Tunisia di adempiere ai propri obblighi nei confronti dei creditori, avvertendo che la Tunisia si avvia al default sui suoi debiti, se l’attuale deterioramento delle finanze pubbliche dello Stato continua. Ritiene che ciò possa accadere l’anno prossimo a meno che il paese non raggiunga rapidamente un programma con l’Fmi e non avvii profondi tagli alla spesa. Ciò arriva dopo un avvertimento simile lanciato dall’agenzia di rating del credito, Fitch, che ha declassato il rating del debito sovrano tunisino a (CCC) da (B-).

5029.- Gas e rubli, che succede (davvero) se Mosca chiude i rubinetti?

Chi la dura, la vince, ma noi perdiamo sempre.

Di Otto Lanzavecchia, Formiche, 01/04/2022 –

Gas e rubli, che succede (davvero) se Mosca chiude i rubinetti?

L’ultimatum russo (di facciata) ha spinto l’Ue a mettere alla prova il Cremlino. Il sistema di conversione via Gazprombank non è ancora pronto, i prossimi pagamenti saranno a maggio. E poi? Se la Russia chiudesse i rubinetti, chi cederà prima? Tutti gli scenari e le variabili in campo, a partire dall’arbitrato che scatterebbe a Stoccolma

“Niente rubli, niente gas”. L’ultimatum di Vladimir Putin ha scosso l’Occidente, ma come spiegavamo su queste colonne si tratta di un’escalation più di facciata che non di sostanza. Perché sono già previsti gli escamotage per preservare lo status quo, almeno per qualche settimana, come il pagamento via “conti speciali” su Gazprombank (che non saranno pronti per altri dieci giorni) e un meccanismo contorto di conversione in rubli che di fatto permette agli acquirenti europei di pagare in euro, come confermato ieri da Mario Draghi.

La ratio della mossa di Putin ha molto a che fare con il rinforzo del rublo, che in effetti è quasi tornato allo stesso valore contro il dollaro rispetto a prima della guerra (anche se oggi è in netto calo, forse i mercati hanno chiamato il bluff di Mosca). C’entrano anche i profitti delle esportazioni, salvagente per l’economia russa sotto sanzioni. E la solidità di queste ultime è messa alla prova dal tentativo di costringere gli europei a convertire euro in rubli attraverso la Banca centrale russa, a sua volta sanzionata.

A ogni modo, la mossa dello zar ha fatto sì che i Paesi europei iniziassero a equipaggiarsi per vedere quanta sostanza ci sia dietro al “ricatto” dello zar – perché, dopotutto, l’economia russa ha bisogno della liquidità tanto quanto l’Ue ha bisogno di gas russo. La Commissione sta lavorando per arrivare a una posizione comune tra i Ventisette, alcuni dei quali hanno già spiegato senza mezzi termini che non si piegheranno alle condizioni dello zar. Francia, Germania e Austria già parlano di razionamenti. In parallelo, si pensa alla diversificazione.

Ora si tratta di vedere quanto sono sostenibili le posizioni dei due fronti, che sembrano determinati a vedere che cede per primo. Da una parte la Russia dà segnali di escalation, considera di estendere questo meccanismo anche ad altre materie prime. Dall’altra l’Ue sembra intenzionata ad affrontare la possibile interruzione del 40% delle proprie forniture di gas. Ipotesi non troppo realistica nel brevissimo termine: i contratti specificano la valuta di pagamento, e una modifica unilaterale da parte di Gazprom, spiega il Financial Times, aprirebbe un contenzioso da portare all’attenzione del Tribunale arbitrale di Stoccolma.

La mancata apertura del Nord Stream 2 che trasporterebbe il gas attraverso il Mar Baltico, si fa sentire. .Francia, Germania e Austria già parlano di razionamenti.

Questo è un processo che richiede mesi, durante i quali il gas dovrebbe continuare a fluire fino alla risoluzione della controversia o quantomeno a una ordinanza in materia. Sospendere l’erogazione potrebbe far scattare un risarcimento del danno ancora più pesante in caso di lodo arbitrale favorevole ai compratori, ed è in ogni caso uno scenario insostenibile per il Cremlino, che ha interesse a fare la voce grossa e tenere il punto, non certo a fermare i tubi. Se Gazprom ferma tutto smette anche di ricevere euro, dollari e sterline, e il valore del rublo potrebbe precipitare.

Nella pratica l’operatore russo è effettivamente in grado di “spegnere” l’estrazione di gas con relativa facilità. Quello che non può fare, per via dell’infrastruttura esistente, è dirottare il grosso delle forniture altrove: il gasdotto Siberia-Cina richiederà altri tre anni almeno, gli impianti di liquefazione e le navi metaniere non bastano a compensare. La Russia sarebbe così costretta a utilizzare le proprie strutture di stoccaggio, più la rete stessa, per trattenere il gas. La capacità di stoccaggio russa equivale a meno della metà dei volumi che spedisce ogni anno in Europa; secondo un esperto Icis sentito da FT, l’intero sistema sarebbe pieno nel giro di quattro mesi e mezzo. A questo punto, si tratta di vedere se l’economia russa non collassi prima.

Sull’altro fronte, i Paesi europei stanno spingendo per riempire le proprie riserve. Il periodo primaverile è appunto il momento in cui gli operatori pianificano i riempimenti; oggi i prezzi del gas alle stelle incidono sul successo delle prime aste, come spiegava un esperto in materia a Formiche.net. Ci sono diverse strade per tirare giù il prezzo, ma dipendono dalla volontà politica dei Paesi membri. Intanto si spinge sulle importazioni di gas da altre fonti (tra cui gli Usa e i Paesi dell’area Mena). Tuttavia, anche nel migliore degli scenari, ci vorranno almeno quattro anni per sostituire le importazioni di gas dalla Russia.

C’è un però. Gli analisti di Bruegel, uno dei think tank più ascoltati a Bruxelles, ritengono che l’Ue nel suo insieme sia in grado di attraversare un breve periodo senza forniture dalla Russia. Anche il prossimo inverno, a patto che gli Stati compiano scelte difficili e adottino politiche di razionamento che portino a una riduzione della domanda complessiva del 10-15%, o 400 terawattora. È possibile, scrivono gli esperti, aggiungendo che “un ventaglio di opzioni eccezionali potrebbe abbattere almeno 800 TWh”.

Dunque, ammettendo l’improbabile ipotesi secondo cui la Russia trovi un modo per tagliare il gas e non collassare nel giro di poche settimane o mesi, l’Ue è in grado di resistere per un anno almeno – posto che si raggiunga un’intesa politica tra i Ventisette, che sarebbero più inclini a farlo se messi davvero alle strette. Rimane più probabile che Gazprom continui a rifornire l’Europa, sia per via del “guinzaglio” legale, sia per assicurare il flusso di introiti al Cremlino; l’approntamento del sistema di conversione via Gazprombank indica che Mosca voglia almeno tenersi la porta aperta.

4994.- Pfizer, FDA ha nascosto i dati che mostrano il fallimento degli studi clinici, afferma l’ex consulente di BlackRock​​​​​​​

Non può esserci sanità in un mare di dollari.

The Defender, 14 marzo 2022, di David Marks, Traduzione libera di Mario Donnini.

In un’intervista con Naomi Wolf, l’ex consulente per gli investimenti di BlackRock Edward Dowd ha spiegato perché Wall Street ha perso fiducia nelle azioni Pfizer e Moderna quando Pfizer e la Food and Drug Administration statunitense hanno cercato di nascondere i dati degli studi clinici.

In un’intervista con Naomi Wolf, del Daily Clout, il consulente per gli investimenti Edward Dowd ha discusso del motivo per cui gli investitori stanno scaricando le azioni dei produttori di vaccini COVID-19.

Dowd, ex amministratore delegato di BlackRock dal 2002 al 2012, ha ampliato la strategia di crescita di BlackRock da $ 2 miliardi a $ 14 miliardi in 10 anni.

Wolf ha presentato Dowd:

“È il tipo straordinariamente coraggioso e ben informato che si è fatto avanti per spiegare al pubblico perché, a suo avviso, Pfizer ha commesso una frode”.

Dowd ha descritto come la sua cautela iniziale sull’assunzione del vaccino sperimentale COVID lo abbia portato a ricercare dati relativi agli studi clinici di Pfizer.

Dowd ha detto a Wolf:

“Ho appreso da un amico del settore biotecnologico che Pfizer aveva fallito il suo endpoint di mortalità per tutte le cause nella sperimentazione iniziale… La mortalità per tutte le cause è il gold standard in qualsiasi sperimentazione farmacologica presso la FDA. Quando si fallisce quell’endpoint, il farmaco non viene approvato”.

Quando Big Pharma e la Food and Drug Administration (FDA) statunitense non erano disposte a rilasciare dati sulla sicurezza dei vaccini, Dowd è diventato ancora più scettico sui vaccini, ha detto, ed è stato costretto a parlare in privato e pubblicamente di quello che credeva fosse un grande inganno :

“Ho parlato di frode ancora di più quando la FDA ha deciso di nascondere i dati clinici per 75 anni. Sono un investitore, quindi lasciatemi dire come penso al mondo. Non aspetto che le persone mi dicano cosa è appena successo. Il mio lavoro era elaborare una tesi di analisi, mosaico e investimento, e poi col tempo avrei avuto ragione.

“Quindi non aspetto che il New York Times, il Wall Street Journal o il Washington Post mi dicano nulla. Perché quando succede, l’opportunità di fare soldi è persa. Così ho iniziato a gridare alla frode non appena l’ho visto, perché è senza precedenti nascondere i dati al pubblico”.

È stato un rapporto del CEO di una grande compagnia di assicurazioni sulla vita che ha confermato i dubbi di Dowd:

“Se questo vaccino fosse letale e dannoso come pensavamo, vedremmo i risultati delle compagnie assicurative e delle pompe funebri. Questi sono database che non ci vengono nascosti dal governo. Quindi, purtroppo, all’inizio di gennaio, un segnale è stato lanciato da One America.“

Il CEO non sapeva davvero cosa stesse dicendo o le implicazioni di ciò, perché non pensava che fosse il vaccino, ma ha ricevuto una telefonata dalla Camera di Commercio in Indiana e lo ha detto nella seconda metà del 2021 , stava assistendo a un aumento del 40% della mortalità per tutte le cause, non COVID.

E per mettere un po’ di carne su quelle ossa, un aumento del 10% ha detto sarebbe una deviazione standard di tre [aumento], che in matematica nel mio mondo è un grosso problema. “Dowd ha descritto l’impatto sul mondo finanziario e sulla sua attuale lavoro:

“Wall Street mi sta ascoltando ora perché sono nervosi e anche molti di loro sono presi a pugni. E se guardi alle azioni di Moderna e Pfizer, Moderna è in calo del 70% e Pfizer del 20% in più”.

Quindi il mio obiettivo è stato quello di aumentare la coscienza in tutto il paese e nel mondo, sottolineando che anche se i media mainstream non ci salveranno – e non sembra che i politici o le autorità di regolamentazione lo siano, perché sono in su di esso – dobbiamo spargere la voce.

Wolf ha chiesto a Dowd le ripercussioni della sua posizione pubblica: “Una delle cose che hai detto, inequivocabilmente, senza mezzi termini: questa è una frode.
Quindi, se non hai ragione, è perseguibile, credo, e Pfizer e Moderna potrebbero attaccarti con una causa per diffamazione o una causa per diffamazione. Ma credo che non sia ancora successo. Parlerai con quello?”

Dowd replicò:

“Non ho una licenza medica da portare via. Non ho una licenza da bar da portare via. Sono un investitore. E nel corso della storia di Wall Street, gli investitori hanno quella che chiamiamo una tesi. Quindi presento questo come una tesi: sono convinto al cento per cento che sia una frode.

Ho esposto il mio caso e sta iniziando ad apparire, sta venendo alla luce che lo è, ma posso dire che questa è libertà di parola. Possono denunciarmi se vogliono. Non sospetto che lo faranno”.

Dowd ha detto che stava aspettando un “pezzo di successo su di me”, ma non ce n’è ancora stato. Ha detto che perché quella che sta presentando è una tesi di investimento, è protetto dalle leggi sulla libertà di parola.

«Ecco il problema, disse Dowd. “La prova della frode si sta rivelando nei risultati della vita reale. E questo sta diventando innegabile e impossibile da nascondere”.

Guarda l’intervista completa in inglese qui:

4867.- Le proteste dei camionisti canadesi si stanno allargando

Come prevedibile, i governi faticano a rientrare nella regolarità al termine dell’emergenza e i cittadini fanno sentire il malessere di un’altra emergenza: quella economica. Ma le costituzioni non sono né di sinistra né di destra, perché il sostegno viene loro soltanto dalle estreme destre? Vero o falso?

Da Post, 8 febbraio 2022

Sono arrivate anche in Europa e negli Stati Uniti, con un grande seguito online e il sostegno di varie figure di estrema destra

Da quasi due settimane a Ottawa, la capitale del Canada, sono in corso grosse e partecipate proteste dei camionisti locali contro le restrizioni introdotte dal governo per contenere i contagi da coronavirus. Le proteste si stanno allargando oltre i confini del Canada: hanno ispirato manifestazioni simili negli Stati Uniti, in Australia e anche in Europa, hanno ottenuto il sostegno di diverse figure popolari e apprezzate dai movimenti di estrema destra, tra cui l’ex presidente americano Donald Trump, e stanno avendo un enorme seguito online.

Le proteste di Ottawa – il Freedom Convoy, “Convoglio della libertà” , come si erano autodefiniti i manifestanti – erano iniziate pacificamente a gennaio, con l’introduzione dell’obbligo vaccinale per i trasportatori che arrivavano in Canada dagli Stati Uniti e si erano poi allargate fino a comprendere più in generale le restrizioni contro il coronavirus. Nei giorni successivi le proteste si sono progressivamente politicizzate, coinvolgendo anche simpatizzanti dell’estrema destra, e hanno paralizzato la città: tra le altre cose, centinaia di camionisti hanno bloccato il traffico parcheggiando in mezzo alla strada i propri veicoli e suonato i clacson per ore. Jim Watson, il sindaco di Ottawa, ha dichiarato lo stato di emergenza e ha detto che la situazione è «completamente fuori controllo» e che i poliziotti non riescono a contenere le proteste, anche perché sono numericamente inferiori ai manifestanti.

Negli ultimi giorni è diventato chiaro che la situazione non accenna a calmarsi, anche perché nel frattempo sono state organizzate manifestazioni simili anche al di fuori del Canada.

Un convoglio di camionisti ha attraversato il paese per una settimana prima di arrivare a Ottawa e bloccare la città

È successo negli Stati Uniti, dove Brian Brase, uno degli organizzatori della protesta, ha detto al New York Times che i camionisti statunitensi – in parte coinvolti nella stessa organizzazione delle proteste di Ottawa – stanno pianificando manifestazioni simili a quella canadese «dalla California a Washington». Lunedì scorso la protesta di Ottawa ne ha poi ispirata una in Australia, il cosiddetto «convoglio a Canberra», con camion, rimorchi, camper e macchine, come a Ottawa. 

Anche in Europa si stanno organizzando proteste simili: secondo Politico un po’ in tutti i paesi dell’Unione. La prima è prevista per il 14 febbraio a Bruxelles, in Belgio, dove tra l’altro nei mesi scorsi ci sono già state violente e partecipate proteste contro le restrizioni.

Le proteste di Ottawa sono state riprese e apertamente sostenute da una serie di noti personaggi pubblici molto seguiti tra gli attivisti di estrema destra. Negli Stati Uniti, tra gli altri, lo hanno fatto l’ex poliziotto e commentatore televisivo americano Dan Bongino, Michael Flynn – l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, noto anche per i suoi legami col movimento complottasti QAnon – e Ben Shapiro, noto attivista e giornalista di estrema destra. Anche lo stesso Donald Trump ha espresso il proprio sostegno alla protesta dei camionisti di Ottawa, oltre a vari politici Repubblicani, tra cui l’ex governatore dell’Arkansas Mike Huckabee.

Un’ulteriore espressione di sostegno ai manifestanti da parte di personaggi pubblici noti è arrivata quando GoFundMe, la popolare e usatissima piattaforma internazionale per le raccolte fondi, ha sospeso la raccolta precedentemente attivata per le proteste dei camionisti, con cui erano stati raccolti circa 7,8 milioni di dollari, quasi 1 milione dei quali è già stato distribuito.

La settimana scorsa GoFundMe ha deciso di chiudere la raccolta fondi per i camionisti di Ottawa dicendo che violava le proprie regole, e ha dato ai donatori due settimane per chiedere il rimborso, data dopo la quale i soldi raccolti sarebbero stati dati in beneficenza. La cosa è stata duramente criticata: tra gli altri, si sono esposti in difesa dei camionisti di Ottawa il noto imprenditore Elon Musk e due politici Repubblicani negli Stati Uniti – Ronald Dion DeSantis, governatore della Florida e Ted Cruz, senatore del Texas – che hanno accusato GoFundMe di truffa ai danni dei manifestanti.

La protesta dei camionisti di Ottawa ha avuto anche un’enorme diffusione online: l’hashtag #FreedomConvoy è arrivato a circa 1,2 milioni di condivisioni su Facebook, secondo i dati di CrowdTangle, la piattaforma di proprietà di Facebook che fornisce dati per analizzare le attività sui social network. Un altro gruppo Facebook di sostegno ai camionisti di Ottawa è arrivato in pochi giorni ad avere circa 700mila follower.

Nel frattempo in città le proteste dei camionisti continuano, fra le lamentele di molti residenti che si dicono invece favorevoli alle restrizioni e a un loro allentamento graduale. Alcuni di loro hanno anche organizzato contro-proteste per rispondere ai camionisti. Lunedì Peter Sloly, il capo della polizia di Ottawa, ha detto che continuerà a «impiegare tutti gli agenti di polizia disponibili, senza un giorno di pausa» e il ministro della Pubblica sicurezza canadese, Marco Mendicino, ha detto che il governo non ha intenzione di cedere alle richieste dei manifestanti.

4516.- Verso la macroarea euromediterranea” per costruire “un’alleanza”.

Relazione della C.I.A. Confederazione Italiana Agricoltori Catania, Ortofrutta: Costruire “un’alleanza” con i Paesi del Mediterraneo, rivedere accordi commerciali bilaterali costruire nuove partnership di “macro-area” per rispondere a sfide clima e mercati

3 LUGLIO 2021

Costruire “un’alleanza del cibo” tra i Paesi del Mediterraneo, con l’ortofrutta al centro, in un’ottica non più di antagonismo ma di integrazione. Obiettivo creare un vero mercato euro-mediterraneo, equo, sostenibile e competitivo; sviluppare nuove partnership commerciali per approcciare in maniera sinergica a piazze strategiche per l’export come il continente asiatico e rispondere insieme alle sfide del cambiamento climatico. Questo il messaggio lanciato da Cia-Agricoltori Italiani in occasione del convegno “L’ortofrutta nel contesto del Mediterraneo” che si è svolto in luglio al dipartimento Di3A dell’università degli Studi di Catania, il terzo degli appuntamenti dedicati al settore per supportare l’Anno Internazionale della Frutta e della Verdura 2021 promosso dalla FAO.

“Il ruolo e il contributo dell’Università  è fondamentale, per portare avanti il percorso di modernizzazione l’agricoltura perché l’agricoltura 4.0 ha bisogno di innovazione, ricerca, e nuovi strumenti”, ha esordito il presidente Cia Sicilia Orientale, Giuseppe Di Silvestro. ..“Il bacino del Mediterraneo sta assumendo una posizione sempre più rilevante negli scambi comunitari, come nuova macro-area economica dove l’ortofrutta è tra le produzioni essenziali – ha esordito– in cui l’Italia, e la Sicilia a maggior ragione, rappresentano già geograficamente il nucleo centrale”.

Forte della sua posizione di leadership nel settore, l’Italia conta 1,2 milioni di ettari coltivati a frutta e verdura, 300 mila aziende coinvolte e un valore di 15 miliardi di euro. Oltre a nicchie di valore aggiunto come la produzione di agrumi biologici, dove l’Italia è prima al mondo, con quasi 40mila ettari e il 99,9% prodotto nelle regioni meridionali.

“Il nostro Paese – ha sottolinea il presidente Cia, Dino Scanavino – può sfruttare questa posizione strategica per essere artefice e protagonista di una nuova politica agricola euro-mediterranea”. 

“Serve, però, una revisione degli accordi commerciali bilaterali tra Ue e Paesi Terzi del Mediterraneo (PTM) – ha sottolineato Giuseppe Di Silvestro, presidente CIA Sicilia Orientale– visto che finora non hanno soddisfatto pienamente l’esigenza di reciproca tutela economica e fitosanitaria, di salvaguardia biunivoca, esigenza ineludibile per prodotti sensibili come gli ortofrutticoli, mancando di garantire concretamente e alla pari tutti i soggetti economici coinvolti”. 

Oggi l’incremento delle importazioni europee di ortofrutta (il Marocco è passato da circa 896 mila tonnellate del 2009 a 1,3 milioni di tonnellate nel 2019, il 52% in più; l’Egitto a quasi 724 mila tonnellate, il 40% in più rispetto a 10 anni prima; la Tunisia a 94 mila tonnellate, il 7% nel 2019 sul 2009) con la pressione sui mercati interni e spesso il crollo dei prezzi, insieme al gap di competitività, rischiano di acuire le contrapposizioni tra i produttori del Mediterraneo. 

“Per questo – ha osservato Di Silvestro – oggi molti accordi, come quello tra Ue e Marocco, o l’accordo Ue-Egitto, significativi per produzioni come gli agrumi, il pomodoro da mensa, l’uva da tavola, andrebbero costantemente monitorati, valutati nel loro impatto e rivisti, per aggiornarli e soprattutto per consentire di operare in un’ottica di reciprocità e complementarità dell’offerta, non di antagonismo spinto, riducendo le forti differenze anche sul fronte dei costi di produzione e manodopera”

D’altra parte, secondo Cia sono necessarie nuove relazioni euro- mediterranee di partnership commerciale e programmazione per approcciare in modo sinergico mercati lontani, in primis quello asiatico. Senza contare che il sistema produttivo ortofrutticolo “allargato” del Mediterraneo affronta sfide analoghe legate all’adattamento e alla mitigazione di cambiamenti climatici, alla riduzione della risorsa idrica, alla degradazione del suolo, all’aggressività delle fitopatie. 

Sfide comuni che richiedono soluzioni comuni a sostegno degli agricoltori, attraverso l’uso di tecnologia e innovazione e l’adozione di buone pratiche, che il CIHEAM di Bari, coinvolto nell’evento di Cia, già promuove nell’area mediterranea (es. irrigazione, gestione avversità colture, agricoltura biologica, agricoltura di precisione), trovando sinergie anche nella promozione globale di sistemi alimentari e consumo sostenibili basati sulla Dieta mediterranea. 

 “L’Italia ha un ruolo strategico nell’area del Mediterraneo non solo per le relazioni legate alla logistica e agli scambi commerciali, che per il settore ortofrutticolo assumono rilevanza sempre crescente – ha evidenziato il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Dino Scanavino – ma in quanto promotore di dialogo, di ricerca coordinata, di cooperazione sui temi agricoli, di strategie di filiera, di comuni piani di mercato. Il nostro Paese può diventare davvero il pilastro della valorizzazione dell’ortofrutta, consentendo anche trasferimento di know-how e conoscenze aziendali, in una direzione non più orientata per singoli paesi, ma di macroarea euromediterranea”. 

La sfida del Mediterraneo

Tratto da una relazione di Cristina Chirico per la Confederazione Italiana Agricoltori (CIA)

“Grazie alla centralità geografica dell’Italia nel Bacino Mediterraneo, si può considerare vincente la scelta di creare sinergie produttive e commerciali con i Paesi terzi dell’area mediterranea al fine di accrescere la forza competitiva delle produzioni mediterranee nei mercati internazionali attraverso una valorizzazione delle produzioni tipiche delle sponde Nord e Sud.
E’ possibile ipotizzare l’area Euromediterranea non solo come una zona di libero scambio, ma anche come uno “spazio unico di produzione” per le imprese orientate all’esportazione nel quale ottimizzare i punti di complementarità e ridurre i margini di concorrenza? In sintesi: è possibile considerare vantaggioso, anche per le nostre imprese, attivare accordi di filiera per la destinazione internazionale?

Nuova centralità del Mediterraneo

Assistiamo ad una nuova centralità del Mediterraneo. All’Italia, sia per ragioni geografiche che per le relazioni economiche da tempo instaurate, spetta il compito di porsi al centro di questo processo, fondato sui seguenti elementi:

  • la nuova centralità degli obiettivi di Barcellona da parte della Commissione Europea, che ha confermato l’impegno per il raggiungimento dell’area di libero scambio;
  • la nuova Politica di vicinato, improntata ad un approccio bilaterale diversificato tramite i Piani di azione e lo Strumento Europeo di Vicinato e Partenariato (ENPI). Ciò da un lato riduce la portata politica del rapporto tra UE e Paesi del Mediterraneo (che passano allo status di Paesi vicini, alla pari dei Paesi dell’Est europeo non candidati all’adesione), dall’altro accresce il pragmatismo e l’efficacia degli interventi;
  • l’indubbia centralità politica dell’area, per la soluzione dei conflitti storici e nascenti nell’area;
  • la nuova centralità geo-economica del Mediterraneo negli scambi via mare per le produzioni internazionali provenienti dall’Oriente, con destinazione i mercati Nord Europei, dove sono allocati i grandi poli di commercializzazione. Già oggi un settimo delle esportazioni mondiali di prodotti deperibili transita per il Mediterraneo (10 milioni di tonnellate di prodotti, secondo l’Ismea).

L’agricoltura italiana, se sostenuta dal tanto atteso potenziamento della rete infrastrutturale e logistica nel nostro territorio, può trarre vantaggio dalle opportunità che vengono dal mare. Per far sì che l’Italia non sia solo il luogo di transito delle merci e delle persone da Sud a Nord, ma costituisca il luogo della valorizzazione, dell’incorporazione di servizi nel prodotto, in una parola dell’attribuzione di valore aggiunto del prodotto agricolo, anche di altre provenienze, con destinazione verso i mercati internazionali. Gli esperti suggeriscono che per la gestione del trasporto marittimo non occorrono grandi volumi di prodotto, ma è necessario che questo possa essere organizzato in container in grado di avvantaggiarsi dei benefici logistici dell’intermodalità.
Il ruolo-chiave dell’Italia, di carattere logistico e organizzativo, può essere individuato nella creazione di servizi intorno al prodotto, la cui tendenza è verso la personalizzazione e la flessibilità in base alle esigenze del cliente. Ad esempio, la IV gamma, secondo una recente pubblicazione della Commissione europea sugli scenari del consumo alimentare, rappresenta la frontiera del comparto ortofrutticolo fresco, e si attende un suo aumento nelle economie avanzate.

Ruolo chiave dell’agricoltura

L’agricoltura è uno dei motori dello sviluppo economico dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo. In molti di questi, come Marocco, Siria, Egitto, il comparto primario rappresenta circa il 20% del Pil e il 30% della forza lavoro occupata. Tali Paesi vivono il problema del deficit alimentare, aggravato dalla crescita demografica e dall’esodo rurale, le cui proiezioni fanno prevedere un rischioso incremento delle importazioni cerealicole nei prossimi decenni.

Le due agricolture

Sia l’Italia che i Paesi Terzi Mediterranei, PTM, pur con caratteristiche profondamente diverse, si caratterizzano per la presenza di due agricolture:

  • la prima, più diffusa, di tipo tradizionale, con una limitata dimensione economica delle imprese, a gestione familiare; è una tipologia produttiva scarsamente legata alle dinamiche di mercato, ma fornitrice di servizi socio-ambientali di estrema significatività;
  • la seconda, innovativa ed orientata al mercato.

Queste due agricolture hanno bisogno di strumenti di intervento diversi, in termini di misure nazionali, comunitarie ed investimenti pubblici e privati. A queste agricolture competono ruoli sociali diversi.

La creazione di una Banca Euromediterranea per creare sviluppo

La liberalizzazione degli scambi, da sola non crea sviluppo; se non è accompagnata da misure interne di sviluppo agricolo va a vantaggio delle imprese già strutturate per le destinazioni internazionali.
Occorre l’integrazione economica, occorrono investimenti strutturali per rafforzarla. La creazione di una Banca Euromediterranea dovrebbe favorire la concessione di un canale di finanziamento privilegiato per le opere infrastrutturali a beneficio dei sistemi agricoli. Non dobbiamo dimenticare, infatti, i gravi limiti strutturali che condizionano il futuro dell’agricoltura mediterranea: tra questi, le risorse idriche scarse e male utilizzate, la salinizzazione e desertificazione dei terreni, l’inidonea rete dei trasporti.

Occorre immaginare il Mediterraneo come macroarea produttiva e di consumo

A livello internazionale vincono le macro aree, i Paesi-continente, grandi produttori e grandi mercati di consumo (Sud America, Cina e India). L’area mediterranea va considerata come grande area geografica, al pari delle macro aree, pienamente inserita nell’economia mondiale.
Si tratta di dar vita ad una delle più grandi realtà economiche del mondo, un insieme di circa 40 Paesi, comprendente, nelle proiezioni demografiche, 600-800 milioni di consumatori. Secondo i dati della Banca Mondiale già al 2003 la popolazione del Mediterraneo (sponda Nord e Sud insieme) era pari ad oltre 450 milioni di persone.
Prendendo a riferimento le prime voci di esportazione agricola, in particolare ortofrutta, di ciascun Paese del Mediterraneo (Nord e Sud), si può giungere ad un valore approssimativo esportato in complesso dall’area di oltre 8,8 miliardi di dollari.
Lo sforzo di immaginare l’area mediterranea nel suo insieme è il presupposto per ipotizzare una strategia produttiva e commerciale vincente per tutti i soggetti che vi partecipano. Gli obiettivi da raggiungere sono: acquisire una posizione migliore sui mercati internazionali e competere con le grandi produzioni delle aree emergenti, partendo da questi presupposti:

  • diversi Paesi mediterranei, come Turchia, Marocco, Tunisia, Israele, sono già oggi grandi produttori agricoli orientati all’esportazione, in particolare nell’ortofrutta fresca;
  • i mercati di destinazione dei prodotti italiani e dei Paesi del Mediterraneo sono spesso coincidenti e si concentrano prevalentemente in Europa;
  • i calendari di commercializzazione per i principali prodotti esportati sono solitamente anticipati di diverse settimane rispetto all’offerta italiana.

Concorrenzialità o similarità

La similarità delle produzioni agricole e delle destinazioni di mercato ha indotto in passato a guardare con diffidenza all’apertura degli scambi. E’ questa anche la filosofia alla base dell’applicazione dei contingenti tariffari previsti dagli Accordi di Associazione in ambito Euromed.
In realtà, se si analizzano gli indici di somiglianza delle esportazioni agricole dell’Italia e degli altri Paesi mediterranei verso il mondo (per tipologia e volume di prodotto esportato), la concorrenza proviene dai produttori europei, Francia, Spagna e la candidata Turchia, piuttosto che dai PTM.

La strategia

Attraverso le varie forme di integrazione con le imprese mediterranee, gli operatori italiani (imprese private e associazioni di produttori), come già avviene per Francia e Spagna, possono trarre diversi vantaggi:

  • aumento della massa critica anche in parziale contro-stagionalità, rispetto al calendario di produzione italiano, e possibilità di una fornitura ininterrotta di approvvigionamento dei canali distributivi internazionali (caratteristica ritenuta fondamentale da parte della GDO nella scelta dei fornitori di prodotto fresco);
  • ampliamento della gamma dei prodotti ortofrutticoli per i mercati esteri.

Per i Paesi del Mediterraneo, l’interazione con le imprese italiane può fornire il necessario apporto tecnologico e di know-how, oltre che un modello organizzativo aziendale necessario al raggiungimento di obiettivi commerciali e l’adeguamento ai parametri qualitativi europei.
E’ evidente come un percorso commerciale comune presuppone, da parte delle imprese partner, il soddisfacimento dei criteri qualitativi e l’allineamento agli standard igienico-sanitari previsti dalla normativa comunitaria. Qualsiasi strategia di filiera implica la realizzazione di investimenti mirati, finanziabili anche all’interno dei Piani di Azione previsti dalla Politica di Vicinato, per omogeneizzare i sistemi di qualità, la certificazione e la tracciabilità dei metodi di produzione.
Le azioni, da realizzare attraverso intese tra produttori italiani e mediterranei, potrebbero ad esempio favorire la gestione concordata dei calendari di produzione e di commercializzazione per le produzioni a destinazione estera. Il successo della vendita di prodotto ortofrutticolo fresco proveniente dall’emisfero Sud (in particolare Sud America e Sud Africa) in periodi dell’anno alternativi all’offerta comunitaria nei grandi mercati del Nord Europa, come Regno Unito e Norvegia, e in Russia è un indicatore della tendenza del mercato comunitario verso il consumo in contro-stagionalità.
Come noto, si può dialogare con la GDO internazionale solo se si garantisce la continuità temporale e qualitativa degli approvvigionamenti. Occorre quindi:

  • accrescere la massa critica del prodotto esportato;
  • valorizzare le produzioni mediterranee in modo unitario e renderle riconoscibili anche attraverso l’attribuzione di marchi commerciali;
  • qualificare il prodotto, esaltare le tipicità, operare la promozione in associazione con l’identità culturale e territoriale del Mediterraneo;
  • adottare strategie di differenziazione della produzione (ad esempio, potenziamento del biologico, massima valorizzazione dei prodotti col marchio di denominazione di origine controllata )”.