893.- LA LOTTA ALLA CORRUZIONE? LA MANO INVISIBILE (ma non troppo) CHE “AGGIUSTA LE ISTITUZIONI”

Orizzonte48

Ho trovato una sorta di riassunto (qualcosa di più di un abstract) di un articolo di Ha Joon Chang sulla corruzione (la versione completa non l’ho rinvenuta).
Ve lo propongo con un commento esplicativo (in corsivo) condotto alla luce di quanto abbiamo esposto in questa sede, in numerose occasioni sul problema della corruzione. Il commento sarà più di rinvio ad analisi già compiute e di sottolineatura del “frame” implicito nei vari passaggi che una trattazione organica: il tema, infatti, potrebbe altrimenti espandersi fino a costituire una vera e propria monografia (che prima o poi troverò il tempo di fare).
ADDENDUM: Intanto, consiglio “anche” di rileggersi la BREVE GUIDA SULL’USO MEDIATICO DELLA CORRUZIONE COME STRUMENTO DI DISATTIVAZIONE DELLA DEMOCRAZIA, dove si vede come il costo di 60 miliardi annui (!) della corruzione non possa aver fondamento e come le “classifiche” non riflettano, stranamente, i fatti più rilevanti di corruzione (internazionale). In dettaglio qui i 10 più grandi casi di corruzione che, essendo “business”, non rilevano…

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1. “Nel maggio 2016 il Regno Unito ha ospitato il Summit Anti-Corruzione a Londra, facendovi convergere leaders dalle nazioni sviluppate e in via di sviluppo, ed altrettanto, “esperti” e gruppi di interesse.
I leader mondiali e gli accademici hanno tratteggiato le loro visioni ed esperienze nell’affrontare la corruzione. Il summit s’è concluso con un forte comunicato che pone in risalto la malvagia influenza della corruzione sulla crescita e sulla società e a numerose proposte di iniziativa per combattere il fenomeno.
Pare così che la corruzione sia un fenomeno malvagio che occorre costantemente combattere ed eliminare”.
Questo incipit, nel suo sottolineare la scontatezza tautologica dell’approccio corrente, è in sè piuttosto ironico e richiama la ritualizzazione, sostanzialmente inconcludente, della ormai autocelebrata versione mondialista di tale approccio: da tutto il mondo convergono esperti, accademici e esponenti delle autorità governative, per discutere della corruzione, sempre allo stesso modo, – salvo qualche aggiornamento di dati raccolti sempre all’interno delle stesse “curiose” metodologie di rilevazione.
Lo schema è immutabile (come vedremo, in versione mondialista, a partire dall’affermarsi del Washington Consensus, ma “ideologicamente” da ben prima; qui, p.3-4): i paesi anglosassoni o che comunque si (auto)affermano al vertice sia delle classifiche del basso indice di corruzione (percepita), sia di quelle del raggiunto successo come “economie di mercato”, si paludano con le condiscendenti vesti dei benefattori, preoccupati che il magico mondo del liberoscambismo globalizzato sia ostruito, nella sua marcia trionfale, dalla presenza di paesi che si ostinano a non capire quanto il “libero mercato” sia l’unica via possibile all’onestà e alla specchiata moralità dei costumi e della legislazione (qui, p.5), e disquisiscono, sempre allo stesso modo da circa tre decenni, di come “civilizzare” il resto del mondo.
L’Italia, notoriamente, nelle classifiche della corruzione, invariabilmente percepita, – cioè rilevata in base a questionari sottoposti da organizzazioni promosse dai paesi “moralmente superiori” (e finanziate da e/o collegate, direttamente o indirettamente, alla Open Society)-, si trova in posizione da quasi-paese in via di sviluppo: quindi, in partenza, – e con la preoccupata adesione di tutto il nostro mondo istituzional-culturale-, sul banco, se non proprio degli accusati, almeno di quelli che devono “rendere conto” a interlocutori benevoli (lo fanno per il nostro bene), ma giustamente severi.
La conclusione invariabile, per noi, ma anche per tutti i paesi non abbastanza mercatisti, è che la corruzione ha impedito la “vera” crescita e che c’è sempre tanta strada da fare per favorire l’ambiente ideale…per gli investitori esteri, che non tollerano, proprio no, di vedersi chiedere la mazzetta e di non avere tempi certi per le loro benefiche operazioni “di mercato”. Operazioni che, invariabilmente, promuovono la crescita e, specialmente, l’occupazione (!) nei paesi in cui vanno ad investire, poiché il capitalismo globale, notoriamente, è sì rigorosamente attento al giusto profitto, e ci mancherebbe!, ma è essenzialmente mosso da spirito umanitario nel promuovere posti di lavoro e condizioni di dignità sociale nei paesi in cui, previa imposizione di giuste ed eque “condizionalità”, generosamente interviene.

2. “Questo articolo tuttavia asserisce che non tutte le forme di corruzione sono contrarie allo sviluppo di un paese e che i metodi dell’anticorruzione possano risultare in effetti avversi sui vari paesi.
Anzitutto, manca una univoca definizione di corruzione. Si può dire che la corruzione sia “l’abuso della pubblica fiducia per il guadagno privato”. Ma il termine “pubblica fiducia” è una definizione troppo ampia poiché parti diverse della società, di una certa comunità, hanno diversi gradi di fiducia nei funzionari della pubblica amministrazione.
Allo stesso modo, “guadagno privato” ha una gamma differenziata di significati posto che tale guardagno potrebbe persino essere redistribuito alla comunità generale.
In questo senso, l’azione di un individuo potrebbbe in effetti favorire e non ostacolare lo sviluppo. Una elargizione indebita da parte di un funzionario potrebbe o anche non portare a un produttore inefficiente.
E allo stesso modo, un capitalista nel libero mercato potrebbe non sempre usare i fondi pubblici in modo efficiente. Pertanto, non è consigliabile classificare tutte le forme di corruzione come contrarie alla crescita.
Potrebbero esserci casi in cui la corruzione “locale” potrebbe in effetti condurre alla crescita.
Si può citare il caso in cui un investitore in Vietnam avrebbe fatto meglio ad accettare il pagamento di una mazzetta poiché il procedimento ordinario avrebbe richiesto una complessa serie di espletamenti burocratici. Questo potrebbe non essere vero in tutti i paesi. Ma, in ogni modo, indica che ogni paese ha istituzioni politiche e sociali o norme che conformano lo sviluppo in quell’area.
Da notare: la definizione della corruzione come “abuso della pubblica fiducia per il guadagno privato” la trovate, stranamente, “pari pari” qui: si tratta di un’associazione privata, ma, evidentemente, tanto influente, da imporre definizioni e basi di discussione, prese come “tecnico-giuridiche” (!), sulle quali le convergenti autorità governative di tutti i paesi del mondo disquisiscono, una volta “convocate”, con assoluta serietà e convinzione.
Ma la definizione non è solo vaga, come enfatizza l’articolo in commento: indica piuttosto una “colpevolezza” in partenza tutta incentrata sull’abusivo funzionario pubblico, mostruosamente e maniacalmente propenso al proprio “guadagno privato”, e all’abuso della sua posizione in danno del generoso tentativo dell’investitore estero…o del capitalista nazionale.
Ma quest’ultima posizione è già meno “pura”, moralmente, perchè vatti a fidare di come, un imprenditore non proveniente da un paese dichiaratosi virtuoso in base alle classifiche che ha previamente promosso, possa aver fatto funzionare il suo business: come vedremo il capitalismo “clientelare” o familista amorale, (quindi rigorosamente non anglosassone o nord-europeo), così diffuso nelle schiere delle razze inferiori – nelle classifiche- non si sa mai quali scheletri di connivenza con l’orrido Stato, nemico del “mercato libero”, possa aver nascosto negli armadi.
Il che rammenta una certa “rimozione” della Storia del capitalismo imperialista e colonialista e della natura della “Mano invisibile” aiutata dalle cannoniere quando falliva la sistematica corruzione dei funzionari del paese il cui mercato, perbacco!, andava “aperto” (come un melone); ma tant’è…
Dunque, la definizione di corruzione, ed è questo un punto molto importante, è fatta concidere principalmente con quella della “concussione”, che è un fenomeno molto diverso, di “costrizione”: non di accordo, cioè di mutuo consenso (e quindi di concorso condiviso nel reato), normalmente promosso dall’offerta avanzata operatore del “libero mercato”.
Insomma, la generosa preoccupazione dei supervisori mondialisti della “onestà”, garantita dal “libero mercato”, si attiva proprio, e solo, a fronte dell’attività estorsiva fatta da un pubblico funzionario la cui autorità è naturalmente portata all’abuso.
Ma, prima ancora, la visione della sfera del pubblico del paese “corrotto” è nutrita dall’aprioristica convinzione della sua non legittimazione a dettare regole (se non quelle rigorosamente “autorizzate” dalle organizzazioni economico-finanziarie sovranazionali o moralmente “approvate” dalle ONG mondialiste, benefattrici dei popoli “non all’altezza”, come ci ricordano con classifiche, convegni e loro aggiornamenti).
In pratica: se queste regole si rivelano aggirabili a costi ragionevoli, non ci si preoccupa della corruzione; ma se il prezzo diviene troppo alto, allora il tentativo di bypassare le regole del paese “inferiore” e non adeguato al “libero mercato”, diviene una “transazione non corretta” e conveniente e il tentativo di corruzione viene tout-court definito come “concussione”.
Cioè, l’episodio viene più esattamente “ribaltato” nel suo senso “negoziale”: dalla corruzione, in cui l’offerta di “mazzetta” si ascrive alla iniziativa dell’investitore, alla forma dell’abuso con violenza e minaccia, tutti imputabili alla “naturale” propensione a delinquere dei pubblici ufficiali.
In pratica, è questione di “potere di mercato” nella transazione: oliare i meccanismi è un incentivo al dovuto “riguardo” verso l’investitore e la sua instrinseca funzione filantropica.
Invece, spartire i veri e propri profitti, associandosi alla loro compartecipazione, è, in definitiva intollerabile: un “salto di classe” che merita la creazione di un’autorità di supervisione mondialista e il conseguente sistema di invocazione di sanzioni e adeguati “rimedi”. Rimedi alla intrusione indebita nell’affare, non limitata alla rispettosa agevolazione.

Questo dunque lo schema: il paese “inferiore” non può, per definizione, dettare regole che, pensando al pubblico interesse comunitario, risultino accettabili e legittime (almeno per l’investitore del “paese” moralmente degno e non familista): in quanto queste regole risultino comunque di ostacolo al libero fluire della “mano invisibile” che sospinge l’investitore estero, viene, perciò, abbandonata la proposta di corruzione e si passa all’accusa implicita, – sanzionata dal pubblico ludibrio mondiale delle classifiche e dalla imposizione di “condizionalità” e “riforme” ad opera di organismi economici sovranazionali- di abuso, malversazione e, soprattutto, concussione.
Lo Stato (altrui, non ad economia totalmente aperta agli investitori esteri dei paesi “benefattori”), è “violento o minaccioso” e quindi non legittimato né a dettare regole di ostacolo alla “mano invisibile” , né tantomeno a farle rispettare.
Eloquente dimostrazione di ciò la si ritrova in questa definizione di “corruzione” che si rinviene sul sito della Open Society: “The Open Society Foundations are working to secure legal remedies for bribery, the theft of public assets, and money laundering arising from the exploitation of natural resources”.
E già: chi è degno di appropriarsi delle “risorse naturali”?
Non certo il funzionario sudaticcio di una paese mediterraneo o tropicale che immancabilmente chiede la mazzetta, “rubbbba” il pubblico denaro e aiuta il lavaggio del denaro sporco (non la finanza internazionalizzata anglofona, come dimostrano i “Panama Papers”: proprio il funzionario pubblico dell’oscuro paese in via di sviluppo è il motore del riciclaggio!); il denaro sporco accumulato da mafie e capitalisti “clientelari” dei paesi “arretrati” (only).

3. “In secondo luogo, gli sforzi passati e attuali per combattere la corruzione o non l’hanno fermata o hanno in effetti inibito lo sviluppo di un certo paese.
Una consolidata visione dei privati assoggettati alla corruzione è che lo Stato dovrebbe avere una ridotta interferenza con l’attività economica.
Questo approccio risalente durante gli anni 1980 e 1990, ha permesso in effetti alle imprese private e pubbliche di praticare l’attività corruttiva. Nell’era post-Washington Consensus, gli operatori suggerirono che lo Stato intervenisse per assicurare diritti di proprietà più forti e transazioni economiche “razionali”, o direttamente per “aggiustare le istituzioni”.
Ciò voleva significare che lo Stato che assicurasse un sistema mercato-centrico dovesse proseguire a farlo. E inoltre, significava che lo stesso rigido schema fosse presentato ai paesi in via di sviluppo. Questo costituiva la “Agenda del Buon Governo”, che ancora oggi non aiuta a correggere la corruzione.
In effetti ha alimentato nuove forme di corruzione come il “crony capitalism” (ndt: capitalismo “clientelare” o “degli amici”, tipico della transizione verso un paradigma mercatista puro), prevalente nei paesi post comunisti dell’Europa orientale e prima e durante la crisi finanziaria asiatica.
La “Good Governance Agenda” è stata inoltre un segnale che suggeriva, agli operatori che ricevevano aiuti e sussidi, di conformarvisi al fine di divenirne beneficiari, perpetuando condizioni simili a quelle presenti negli anni ’80 (di dipendenza dalle indicazioni del potere costituito pur in un nuovo scenario ed indirizzo). Come lo stesso Washington Consensus, questa agenda ha in concreto inibito la crescita economica. Tuttavia, questa è l’agenda utilizzata dai leaders politici da quegli anni fino all’attuale agenda anti-corruzione.
Appunto: ridurre il perimetro dello Stato e promuovere i diritti di proprietà privata e le “transazioni economiche razionali”. Inutile ripetere come ciò assomigli molto alla sistematica eliminazione di intrusi nella spartizione del bottino.

4. Queste indicazioni dalla realtà applicativa indicano che la corruzione non è sempre contraria allo sviluppo e che gli sforzi per eradicarla non l’hanno fermata e hanno frenato lo sviluppo.
Questo articolo non mira a lasciar dilagare la corruzione quanto ad indicare che c’è bisogno di nuovi approcci al problema.
Anzitutto, gli operatori (esperti e governativi dei paesi che erogano fondi per combattere la corruzione nei paesi in via di sviluppo) non dovrebbero assumere tutte le forme di corruzione come cattive o contrarie allo sviluppo. Essi dovrebbero esaminare ciascun differente contesto istituzionale prima di applicare qualsiasi misura di contrasto.
In secondo luogo, occorre una impostazione del tutto nuova per affrontare le forme attuali di corruzione.
Gli operatori e i governi dovrebbero focalizzarsi sui poveri e sulla eguaglianza nel portare avanti le misure anti-corruzione. Non dovrebbero soltato porre attenzione su misure anti-corruzione mercato-centriche o funzionali alla crescita.
In terzo luogo, dovrebbe esserci un cambiamento di cultura operativa all’interno delle nazioni “eroganti” e le organizzazioni preposte. Gli esperti delle organizzazioni per lo sviluppo potrebbero (invece) permanere nelle stesse metodologie e soluzioni, nonostante l’affermazione di un cambio di approccio al problema. Un tale mutamento può naturalmente richiedere tempo per essere completato, ma è necessario per pervenire a un diverso approccio verso la corruzione.
Ma probabilmente, anzi con ampio margine di certezza, quando si parla di lotta alla corruzione, non si ha proprio in mente “lo sviluppo”. Se così fosse, non ci si sarebbe ostinati nelle strategie anticorruzione che, negli ultimi decenni, si sono accompagnate (v, pp. 4-7) proprio alla marcata riduzione della crescita nella varie aree del mondo!
La lotta alla corruzione, condotta da decenni e con le incrollabili convinzioni che abbiamo visto, avrà mai fruttato, finora, oggettivi risultati nel promuovere la crescita “nel” libero mercato globalizzato e, specialmente, una più equa distribuzione della ricchezza?
E più “combattono” la corruzione, ESSI, per il nostro bene, più diventa equa.
Ma si sa: è colpa degli Stati, brutticorrotti…
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