6242.- Tunisia: nella morsa della repressione 

Cooperazione e solidarietà attiva significano anche un avvicinamento degli uni agli altri, che non può certo definirsi ingerenza. É la difficoltà che incontra questo avvicinamento paritario che, insieme alle politiche espansive della Turchia e della Federazione Russa in Africa, determinano la strada in salita del Piano Mattei. Sarebbe utopistico pensare che una coscienza democratica si diffonda ex nunc nei Paesi del Mediterraneo allargato per effetto della nostra propensione alla solidarietà, così come è utopistico pensare che la Tunisia possa contrastare il fenomeno migratorio senza ricorrere a decisioni forti. Del resto, stiamo chiedendo a questi popoli di adottare da subito un percorso che, ancora, non abbiamo completato.

Continua l’ondata di arresti in Tunisia. Il presidente Kais Saied all’UE che chiede spiegazioni: “inaccettabile ingerenza”. 

Dall’ISPI del 17 maggio 2024

Il presidente tunisino Kais Saied ha definito una “inaccettabile ingerenza” le preoccupazioni espresse da Unione Europea e Stati Uniti dopo l’ondata di arresti di avvocati, giornalisti e esponenti della società civile avvenuti nelle ultime settimane. Il Capo dello Stato, che nell’estate 2021 ha sciolto il parlamento e avocato a sé pieni poteri, ha ordinato al ministero degli Esteri di convocare al più presto gli ambasciatori di un certo numero di paesi stranieri per trasmettere loro la sua vibrata protesta contro “un’ingerenza palese e inaccettabile nei nostri affari interni”. In un video diffuso questa mattina presto dalla presidenza, parlando con il segretario di stato Mounir Ben Rjiba, Saied spiega che la Tunisia “non è intervenuta nei loro affari quando hanno arrestato i manifestanti che denunciavano la guerra genocidaria contro il popolo palestinese”. Negli ultimi giorni diversi esponenti di spicco della società civile sono stati arrestati, come l’attivista Saadia Mosbah presidentessa dell’associazione antirazzista Mnemty, e Sonia Dahmani, editorialista e voce critica del governo, prelevata in una drammatica diretta televisiva da agenti di polizia incappucciati mentre si trovava nella sede dell’Ordine degli avvocati di Tunisi. E ieri un altro avvocato, Mehdi Zagrouba, è stato ricoverato d’urgenza mentre si trovava in stato di detenzione. Il presidente della Lega per la difesa dei diritti umani Bassem Trifi ha detto di aver riscontrato sul suo corpo evidenti tracce di violenza e tortura

Ritorno al passato?  

Lo scontro, tra organizzazioni della società civile, ordine degli avvocati e sindacato dei giornalisti da un lato e il governo tunisino dall’altro è totale. Molte delle persone arrestate sono perseguite ai sensi del decreto 54, promulgato nel settembre 2022 da Saied per reprimere la diffusione di “notizie false”, ma considerato dai difensori dei diritti un grimaldello per sopprimere ogni forma di dissenso. D’altronde, dall’entrata in vigore della nuova Costituzione, nell’agosto 2022 – che ha esteso di fatto il potere esecutivo, l’unico rimasto davvero autonomo, mentre quello legislativo e giudiziario sono stati pesantemente ridotti – le ong tunisine e internazionali denunciano una deriva senza precedenti. Nemmeno durante i lunghi anni della dittatura di Zine el Abidine Ben Ali – sostengono molti con un paragone che sente fare sempre più spesso in Tunisia – l’esecutivo si era mai permesso di scatenare una simile repressione alla luce del giorno. “Se non si ottiene un’inversione di tendenza – commenta Mahdi Elleuch, ricercatore e analista giuridico – perderemo rapidamente tutte le conquiste ottenute con la rivoluzione del 2011”, mentre i tunisini “hanno già perso molto”. 

Cosa c’entrano i migranti? 

Gli allarmi e le notizie circolate sui social media riguardo la repressione in atto hanno attivato campanelli d’allarme in Europa e negli Stati Uniti. La Francia ha espresso la sua “preoccupazione” dopo l’arresto di Dahmani, avvenuto in un “contesto di altri arresti e interrogatori, in particolare di giornalisti e membri di associazioni”. Anche Washington ha criticato l’ondata di arresti, giudicando questo tipo di azioni “in contraddizione con quelli che riteniamo essere i diritti universali esplicitamente garantiti dalla Costituzione tunisina”. Allo stesso modo il servizio esterno dell’Unione europea ha espresso “preoccupazione”, sottolineando che la libertà di espressione e l’indipendenza della magistratura costituiscono “il fondamento” del suo partenariato privilegiato con Tunisi. Da qui, la reazione irata di Saied che ha rispedito al mittente le critiche e rimproverato i paesi occidentali di “inaccettabile ingerenza”. La deriva tunisina, tuttavia, chiama in causa i paesi e le istituzioni europee: non è un caso, infatti, che la stretta del presidente Saied ruoti intorno alle politiche migratorie, come dimostra l’arresto di una delle figure di spicco della società civile, Saadia Mosbah, la cui associazione è in prima linea nella difesa dei migranti subsahariani. La loro condizione nel paese è nettamente peggiorata dopo un duro discorso, nel febbraio 2023, in cui il presidente Saied ha denunciato l’arrivo di “orde di migranti illegali” nel contesto di un complotto “per la sostituzione etnica” della Tunisia. Proprio quel discorso era stato oggetto dell’ironia di Dahmani in un’intervista sull’emittente Carthage Tv pochi giorni prima del suo arresto. 

Concorso di colpa? 

In questo contesto, secondo Michaël Béchir Ayari, è chiaro che al centro del rapporto tra UE e Tunisia non ci siano tanto i diritti quanto la questione migratoria: “Si ha forte l’impressione che il regime di Saied venga ‘accarezzato nel senso del pelo’, perché di mezzo ci sono i migranti. E come sappiamo, tutti i regimi di questo tipo utilizzano la questione come leva di pressione”. Nei mesi scorsi, l’Italia si è fatta promotrice di un memorandum di intesa firmato da Bruxelles con il governo tunisino, finalizzato a diminuire gli sbarchi di migranti nel nostro paese. Il documento ha poi fornito la traccia per quelli successivi raggiunti con Egitto e Libano e sulla questione la premier italiana Giorgia Meloni rivendica quanto fatto finora: “Gli accordi con i paesi nordafricani sono necessari” ha detto, sottolineando che in seguito ad essi “gli arrivi di migranti sono diminuiti del 60%”. Non la pensano allo stesso modo Ong e società civile, che puntano il dito contro l’accordo e il rafforzamento delle relazioni tra Europa e Tunisia nonostante le politiche apertamente razziste di quest’ultimo e gli episodi relativi all’abbandono di centinaia di migranti subsahariani nel deserto, senza acqua né cibo. Nonostante le denunce, le reazioni internazionali sono e resteranno timide, osserva Yosra Frawes, direttore dell’ufficio tunisino della Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH) poiché soprattutto in vista delle prossime elezioni europee, la priorità è “ridurre il flusso migratorio” e su questo, “Kaïs Saïed rassicura l’Europa”. 

Il commento 

di Caterina Roggero, Senior Associate Research Fellow, ISPI MENA Centre 

La situazione dei diritti umani sta degenerando in Tunisia. Tuttavia, la narrativa del presidente Saied resta quella che gli ha fatto vincere le elezioni cinque anni fa e gli ha permesso di avere sempre più poteri. Un discorso antisistema, populista e sovranista, contrario alle ingerenze straniere di organizzazioni non governative e istituzioni internazionali, considerate colpevoli di imporre un percorso verso una certa idea di democrazia giudicata inconcludente, incapace in particolare di risolvere la profonda crisi economica. La società civile in questi anni si è comunque rafforzata, e l’Ordine degli avvocati ne è un protagonista di prim’ordine sin dai tempi di Ben Ali. Metterlo a tacere può portare a un sussulto di altri attori chiave come il sindacato unitario. 

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