1720.- Libia amara, la disfatta italiana nelle lettere del generale Tellera

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“La Libia amara del generale Giuseppe Tellera: Lettere e testimonianze inedite”
di Maria Simonetta Bondoni Pastorio.

Dalla Gazzetta di Mantova e dal mio natio Castiglione delle Stiviere, trovo lo spunto per ricordare un grande generale, forse dimenticato,vittima incolpevole di quella stolta guerra dell’Italia alle potenze mondiali. Consiglio vivamente di leggere il libro che Vi mostro in apertura per la carica di amore, umanità e l’esempio che vi traspare. Per chi nulla conosce di quelle battaglie degli italiani nel deserto, ho aggiunto alcune immagini e didascalie illustrative. Prossimamente, leggerete una relazione sui carri armati dell’Ansaldo del loro primo comandante e una sull’organizzazione della ritirata della Regia Aeronautica dagli aeroporti della Cirenaica, di Attilio Biseo. E’ giusto che si sappia in quanti modi gli italiani riescono a distruggere ogni volta il lavoro di generazioni.
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Italo Balbo e il generale Giuseppe Tellera

Il generale Giuseppe Tellera, comandante della X Armata, è stato il più alto ufficiale in grado a morire in combattimento durante la guerra di Libia contro gli inglesi. La nipote Simonetta ha pubblicato un libro con le lettere che l’alto ufficiale inviava alla madre Zeta, di Castiglione delle Stiviere. Le lettere fanno luce sulla guerra di Mussolini in Libia e sul suo aspetto propagandistico. Lo scriveva lo stesso Tellera.

Una pagina di storia importante torna alla luce a distanza di settant’anni dai fatti e proprio a pochi mesi dalla guerra di Libia, finita con la morte di Gheddafi. E’ la tragedia della campagna di Libia del 1940-41, nella quale Italo Balbo cadde con il suo aereo a Tobruch, colpito dal “fuoco amico”. Il generale che gli era vicino e fu testimone diretto della sua fine, fu anche il militare italiano di più alto grado morto in combattimento nella seconda guerra mondiale: ferito a morte all’inizio di febbraio del 1941 per opporsi all’avanzata degli inglesi in Cirenaica.
Quell’uomo, leale sino alla fine, ma assolutamente conscio del destino che lo aspettava, era Giuseppe Tellera, bolognese, sposato a Zeta Bondoni Pastorio di Castiglione delle Stiviere. I mantovani conoscono il suo nome per una via del quartiere di Valletta Paiolo.

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Generale Giuseppe Tellera

In questa pagina il generale della lapide stradale prende un volto. E una storia, tragica ed eroica, di quelle che fanno riflettere sul senso dei valori, forse anche dell’inutilità – o dello spreco – dell’eroismo. Una storia che si svela del tutto solo ora attraverso la decisione della famiglia di render pubbliche per la prima volta in un libro le lettere che il generale inviava alla moglie, Zeta, e nelle quali parlava anche della figlia Gianna, la mamma di Simonetta, l’ultima erede.
Dapprima ironiche, le lettere che coprono un arco dal 1937 al 4 febbraio 1941, celavano alla famiglia le preoccupazioni del militare sull’assurdità di una guerra impari contro gli inglesi nel deserto, senza adeguati mezzi, anzi senza il minimo di armamenti ed equipaggiamenti necessari. Nelle ultime lettere, invece, Giuseppe Tellera si sfoga e racconta tutto, anche i continui dissidi con Roma, quel governo Mussolini che aveva dato il via alla guerra per ragioni propagandistiche.

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I carri veloci L3 (il primo è un lanciafiamme), da 3 tonn., dovettero affrontare i carri pesanti Matilda da 27 tonn. e i Crusader urtandoli in velocità. Meglio si trovavano i carri medi M11 e gli M13, giunti da poco dall’Italia, ma anche i loro cannoni da 37/40 e da 47/32 non penetravano le corazze da 65mm dei Matilda I e II, mentre il cattivo acciaio delle loro (42mm) veniva frantumato dal cannone da 2 libbre/40mm inglese.

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Un M13/40 con la torretta cinta da elementi di cingolo per rafforzarla.

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Due carri Crusader della 7ª Divisione corazzata nel settembre 1941 nel deserto libico. Nell’autunno 1940, Winston Churchill inviò significativi rinforzi alle truppe britanniche schierate in Egitto; in particolare arrivarono (dopo un lungo viaggio per la rotta del Capo), tre nuovi reggimenti corazzati (2º e 6º Royal Tank Regiment, dotati di carri medi Cruiser; e 7º Royal tank Regiment, equipaggiato con i carri pesanti da fanteria Matilda) che permisero di raddoppiare la forza della 7ª Divisione corazzata, costituendo due brigate corazzate distinte (la 7ª leggera con i tre reggimenti Ussari, e la 4a pesante con tre reggimenti corazzati del Royal Tank Regiment).

Il libro è il secondo pubblicato dalla Fondazione Bondoni Pastorio (segue “Orientalista e Viaggiatore. Henry Dunant a Castiglione delle Stiviere” (a cura di Maria Simonetta Bondoni Pastorio e Giulio Busi) ed è intitolato “La Libia amara del generale Giuseppe Tellera. Lettere e testimonianze inedite”. E’ aperto da un saggio di Giulio Busi, marito di Simonetta e docente di ebraistica a Berlino, che riscontra i temi della lettera di Tellera del 31 dicembre 1940 (la più importante) su documenti degli archivi militari. Ne emerge, «l’onestà intellettuale di un uomo che vide con chiarezza, e in anticipo, la catastrofe verso cui si avviava l’esercito italiano in Libia, ma volle comunque, nonostante tutto, compiere fino in fondo il proprio dovere di soldato» (già durante la non belligeranza, Tellera, da poco nominato Comandante della X Armata, si era recato a Roma quattro volte a esporre lo stato di assoluta impreparazione delle truppe (appiedate) e l’inadeguatezza dei materiali (molti autocarri erano BL della Prima Guerra Mondiale sfiniti, incapaci di superare il Passo dell’Halfaya e, poi, mortai di bronzo, cannoni anticarro ben custoditi nei magazzini. L’ultima volta, a pochi giorni dall’apertura delle ostilità, Badoglio in persona lo rassicurò a nome di Mussolini (?) dichiarandogli, falsamente, che non avremmo dichiarato la guerra.ndr).

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L’M11/39, da 11 tonn., con il cannone da 37/40mm in casamatta, mostra l’insufficienza delle dottrine d’impiego dei corazzati. Qui, un esemplare fuori combattimento viene superato da una colonna inglese. Per tagliare la strada agli italiani, gli inglesi avanzarono con un gruppo di combattimento mobilissimo (la “Combe Force”) di autoblindo, artiglieria motorizzata e fanteria automontata a sud dello Jebel Akhdar, attraverso le piste del deserto, limitando al massimo le soste, il riposo e i rifornimenti: un solo bicchiere d’acqua al giorno. Raggiunsero Beda Fomm in sole 30 ore.

Il libro ripropone poi un saggio di Angelo Del Boca, una delle maggiori voci critiche sull’avventura coloniale italiana, in cui viene data una nuova valutazione della figura di Tellera. Armando Rati traccia la biografia militare di Tellera, dall’accademia alla prima guerra mondiale, quando già ottenne una medaglia, fino alla nomina a comandante della X Armata in Africa. Da una parte c’è la vita militare, il rapporto con i propri sottoposti, e con i superiori (tra i quali Graziani, che lasciò in tempo l’Africa per poi, purtroppo, dedicarsi alla Repubblica sociale di Salò). Ci sono le decisioni prese dagli stati maggiori e quelle dei politici.
Dall’altra parte ci sono gli affetti familiari, il mondo dove Tellera avrebbe potuto dare molto se fosse tornato dalla guerra. La moglie Zeta, detta Zete e da lui amorevolmente «mia adorata Cetty» e la famiglia. Nel libro troviamo testimonianze della figlia Gianna e di alcuni compagni di gioventù. La nipote Simonetta offre una breve saga della famiglia Tellera. Laureata in Museografia a Bologna, con specializzazione in Storia dell’arte, per 10 anni funzionaria dell’Istituto per i Beni culturali dell’Emilia Romagna, dove ha realizzato, tra l’altro, il censimento dei teatri storici e dei beni culturali ebraici. Dal 2008 è presidente della Fondazione Palazzo Bondoni Pastorio.

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Un carro pesante Matilda II catturato dagli italiani. Abbiamo combattuto la Seconda Guerra Mondiale con carri da 11, 13, 14 tonn., con i fucili modello 1891 e con le artiglierie prese agli austriaci. I soli cannoni e obici moderni furono i 200 voluti dal gen. Federico Baistrocchi e finirono quasi tutti in Russia. Nell’ottobre 1936 Baistrocchi fu sostituito improvvidamente da Mussolini con Badoglio, mettendo fine al suo “programma di ammodernamento delle Forze armate”.

Del Boca descrive la fase finale dell’accerchiamento inglese: «Mentre parte dei militari italiani si rifugiava nella casa cantoniera al km 39 da Agedabia e vi abbozzava una difesa, una trentina di carri armati M13/40 del VI battaglione cercava di aprirsi un varco nello schieramento nemico (difeso da 14 cannoni controcarro da 40mm. ndr), ma l’operazione non aveva alcun successo. Ad un ad uno i carri M13 venivano distrutti dal fuoco concentrico dei mezzi controcarro, dalle artiglierie e dei cannoni dei carri pesanti Matilda inglesi (L’ultimo M13 fu arrestato dall’ultimo cannone rimasto, che dovette far fuoco nel mezzo del comando inglese). A questo punto il generale Tellera abbandonava il riparo della casa cantoniera e, noncurante del fittissimo fuoco, saliva su uno dei carri superstiti e cercava di risalire la colonna per andare incontro alla brigata corazzata del generale Bergonzoli e con questa compiere l’ultimo tentativo per rompere l’accerchiamento. Ma mentre risaliva lo schieramento si scontrava con una formazione corazzata nemica e veniva ferito gravemente a un polmone».
Il Daily Telegraph scrisse: «Martedì mattina, al culmine della più grande battaglia fra carri armati della campagna, il generale Tellera veniva catturato mortalmente ferito» e Il Times precisava che il funerale si era svolto nella cattedrale di Bengasi “with full military honours».
Il genero di Tellera, Giacomo Bondoni (padre di Simonetta) fece poi notare che «un incidente del genere non sarebbe mai potuto accadere al maresciallo Graziani che aveva scelto come sede del proprio comando una tomba greca di Cirene, scavata in profondità (30 m.) nella roccia e lontana centinaia di chilometri dal fronte».

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Il grafico della rotta italiana tra il 7 dicembre 1940 ed il 7 febbraio 1941. A Roma, ieri come oggi, tutto bene.

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Il vincitore di Graziani, brig. gen. O’Connor, con i suoi comandanti, a fianco di due M13 della Brigata Babini fermati e catturati. La Brigata era ancora in addestramento.

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Gli inglesi riutilizzarono i carri italiani. Alcuni esemplari di M11/39 catturati dalle truppe australiane. All’alba del 9 dicembre il raggruppamento corazzato del Gen Maletti fu sorpreso nel sonno a Nibeiwa ( a 20 km da sidi el Barrani) e i carristi italiani furono annientati all’arma bianca dalla divisione indiana, prima di poter raggiungere gli M 11/39 “posteggiati” fuori del ridotto difensivo. Lo stesso Maletti, uscito fuori dalla tenda, in pigiama e pistola in mano, venne freddato dagli inglesi. Poco dopo, 15 carri vennero distrutti al tiro a segno e gli altri catturati. Questi carri furono usati dagli australiani contro Tobruk.

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