MEMORIE DI GUERRA ITALIANE IN UCRAINA E LA CONDANNA A MORTE DEI SOLDATI DELL’ OTTAVA ARMATA ITALIANA IN RUSSIA.

La condanna a morte dei soldati dell’ Ottava armata italiana in Russia

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Il 31 Gennaio 1943, dopo 18 giorni di ritirata e combattimenti, a scaglioni, i primi reparti del Corpo d’Armata Alpino raggiungevano il fronte mobile tedesco vicino a Charckov ( Charckov è una città dell’Ucraina). Furono raccolti esausti dai combattimenti, dalla fame, e molti congelati. Il Corpo Alpino era stato formato da 60.000 uomini, per schierare i quali era stata necessario un mese. Per raccogliere i superstiti furono necessari appena tre giorni. Il 2 Febbraio il rastrellamento dei superstiti fu completato. Lo stesso giorno a Forschadt, sul Donetz si raccoglievano i resti del Blocco Sud, una parte dell’VIII Armata che era stata travolta davanti al Don il 20 Dicembre. E’ finita. A Šebekino, il Tenente Generale Gabriele Nasci, comandante del Corpo Alpino ordina l’appello generale. Divisione Tridentina, presenti in 4000 su 20.000. Divisione Julia,presenti in 2560 su 20.000. Divisione Cuneense, presenti in 1300 su 20.000. Divisione Vicenza, presenti in 900 su 12.000. Battaglione Alpini sciatori Monte Cervino, presenti il 95 su 680. Il colonnello Paolo Signorini, comandante del 6° reggimento alpini, quando viene a sapere che del suo reggimento sono rimasti 320 uomini ancora in grado di impugnare le armi, non regge il colpo e muore di crepacuore. Viene insignito della Medaglia d’Oro al Valore Militare. Il Generale Aggiunto Mario Gariboldi,comandante dell’VIII Armata viene informato che suo figlio, il Tenente Mario Gariboldi è stato raccolto coi superstiti del battaglione Edolo, e corre immediatamente a vederlo. Ma l’accoglienza non è quella che si aspetta: il Generale dimentica la gerarchia e le regole e corre ad abbracciare suo figlio il quale però lo scansa. Mario esibisce al padre un saluto militare e si limita a fare rapporto. “Signor Generale, Battaglione alpini Edolo, Divisione Tridentina. Forza effettiva: 15 ufficiali, 60 sottufficiali, 860 graduati e truppa. Sono presenti 7 ufficiali, 20 sottufficiali, e 210 graduati e truppa”. Ciò detto Mario rompe le righe ed abbandona suo padre, simbolo di un comando e di un governo dal quale si sentono traditi. Nel Marzo del 1943 i superstiti dell’VIII Armata saranno rimpatriati e l’unità disciolta. La Battaglia del Don è stata la più grande battaglia campale mai sostenuta dal Regio Esercito nella II Guerra Mondiale. Dal 12 Dicembre 1942, al 28 Gennaio 1943, si affrontarono sul campo 230.000 soldati italiani e 500.000 soldati sovietici. Il bilancio finale è agghiacciante. Gli italiani ebbero 42.000 morti, 27.000 feriti, e 45.000 prigionieri. I sovietici ebbero 12.000 morti, e 15.000 feriti. L’8 settembre 1943, 100.000 prigionieri italiani erano nelle mani dell’Esercito Sovietico.Stalin avrebbe voluto liberarsene, ma Togliatti, temendo che i loro racconti facessero crollare il mito del paradiso sovietico, si oppose. Il loro rimpatrio, fu ultimato nel 1954: ne tornarono 10.200. 27 mila morirono di stenti e di torture nei campi di concentramento di Stalin, di altri 22 mila prigionieri ancor oggi non si sa nulla. Vennero distribuite 15 Medaglie d’Oro al Valore Militare, 60 Medaglie d’Argento al Valore Militare, 80 Medaglie di Bronzo al Valore Militare, e più di 1000 Croci di Guerra al Valore Militare. Riporto la citazione nel Bollettino N°630 del Comando Supremo Russo, emesso da Radio Mosca ai primi di quel febbraio. Annunciando il travolgimento delle forze dell’Asse sul fronte del medio Don e la caduta di Stalingrado, precisò: “Soltanto il Corpo d’Armata Alpino Italiano deve considerarsi imbattuto in terra di Russia”. Onore all’VIII Armata Italiana, lo spirito della gente delle Alpi ci ha mostrato la sua generosità in ogni occasione. E’ giusto ricordare quel sacrificio, oggi, che quelle terre,non troppo lontane, sono ingiustamente teatro di guerra e di morte. images31alpini43

Il Corpo d’Armata, fin dal suo arrivo in zona di operazioni, fu posto alle dipendenze dell’11ª Armata tedesca del generale Eugen Ritter von Schobert, schierata in Ucraina meridionale nel settore operativo del Gruppo di Armate Sud guidato dal feldmaresciallo Gerd von Rundstedt.

TOGLIATTI E LA GIUSTIZIA DELLA STORIA, CHE SEPPE COME SOPPRIMERE PIU’ DI 50.000 SOLDATI ITALIANI PRIGIONIERI IN UNIONE SOVIETICA.

A Palmiro Togliatti, detto “Il Migliore”, servivano i morti in Russia. Scrisse: “il sacrificio dei soldati dell’ ARMIR nei lager di Stalin e’ un antidoto al fascismo.” La lettera conservata negli archivi del KGB è stata trovata e resa nota dal giornalista Francesco Bigazzi (Panorama ) e dallo storico ex comunista Franco Andreucci per la casa editrice Ponte alle Grazie. Mi prendo la briga di trascrivere la lettera in manoscritto di Togliatti. E’ del 15 febbraio 1943 scritta in risposta a Vincenzo Bianco, un dirigente del Partito comunista italiano, delegato italiano all’ Internazionale comunista, che caldeggiava un suo intervento presso le autorità sovietiche per scongiurare la morte di migliaia e migliaia di soldati italiani tenuti prigionieri dall’amico e compagno Stalin. Togliatti ovviamente non dice di farli sopprimere, lui mica è feroce è umanitario, sarcasticamente dice che è buono come una dama della Croce Rossa, ma auspica che le dure condizioni “oggettive” di vita facciano il loro corso provocando la fine di molti di loro realizzando quella alta e nobile giustizia, che diamine, immanente alla storia e già rivelata dal “vecchio” Hegel. La storia dal cuore hegeliano ha dato ascolto alla sua invocazione: probabilmente morirono in prigionia quasi 50000 soldati italiani. “L’altra questione sulla quale sono in disaccordo da te è quella del trattamento dei prigionieri. Non sono per niente feroce, come tu sai. Sono umanitario quanto te, o quanto può esserlo una dama della Croce Rossa. La nostra posizione di principio rispetto agli eserciti che hanno invaso la Unione sovietica, è stata definita da Stalin, e non vi è più niente da dire. Nella pratica, però, se un buon numero dei prigionieri morirà, in conseguenza delle dure condizioni di fatto, non ci trovo assolutamente niente da dire, anzi. E ti spiego il perché. Non c’è dubbio che il popolo italiano è stato avvelenato dalla ideologia imperialista e brigantesca del fascismo. Non nella stessa misura che il popolo tedesco, ma in misura considerevole. Il veleno è penetrato tra i contadini, tra gli operai, non parliamo della piccola borghesia e degli intellettuali, è penetrato nel popolo, insomma. Il fatto che per migliaia e migliaia di famiglie la guerra di Mussolini, e soprattutto la spedizione contro la Russia, si concludano con una tragedia, con un lutto personale, è il miglioe, è il più efficace degli antidfoti. Quanto più largamente penetrerà nel popolo la convinzione che aggressione contro altri paesi significa rovina e morte per il proprio, significa rovina e morte per ogni cittadino individualmente preso, tanto meglio sarà per l’avvenire d’Italia. I massacri di Dogali e di Adua furono uno dei freni più potenti allo sviluppo dell’imperialismo italiano, e uno dei più potenti stimoli allo sviluppo del movimento socialista. Dobbiamo ottenere che la distruzione dell’Armata italiana in Russia abbia la stessa funzione oggi. In fondo, coloro che dicono ai prigionieri, come tu mi riferivi:” Nessuno vi ha chiesto di venir qui, dunque non avete niente da lamentarvi”, dicono una cosa che è profondamente iusta, anche se è vero che molti dei prigionieri sono venuti qui solo perché mandati. E’ difficile, anzi impossibile, distinguere in un popolo chi è responsabile di una politica, da chi non lo è, soprattutto quando non si vede nel popolo una lotta aperta contro la politica delle classi dirigenti. L’ho già detto: io non sostengo affatto che i prigionieri si debbano sopprimere, tanto più che possiamo servircene per ottenere certi risultati in altro modo, ma nelle durezze oggettive che possono provocare la fine di molti di loro, non riesco a vedere altro che la concreta espressione di quella giustizia che il vecchio Hegel diceva essere immanente in tutta la storia.”

Palmiro Togliatti

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La lettera, venne resa pubblica da “Panorama” a una settimana dall’ annuncio del rimpatrio in Italia di duemila salme dei caduti di Russia, era custodita dalla Lubianka. E’ uno degli oltre 14 mila fascicoli che si riferiscono ai soldati italiani rinchiusi nei campi di concentramento di Stalin: di parte dei documenti, custoditi per decenni negli archivi del Kgb, sono venuti in possesso il giornalista Francesco Bigazzi e lo studioso Franco Andreucci. La richiesta di Vincenzo Bianco a Togliatti poneva una questione in qualche modo umanitaria e “di carattere politico molto grande”: “Penso che bisogna trovare una via, un mezzo . scriveva Bianco il 31 gennaio del 1943: “Per cercare con il dovuto tatto politico di porre il problema affinche’ non abbia a registrarsi il caso che i prigionieri muoiano in massa come e’ gia’ avvenuto. La cosa e’ troppo importante perche’ io la ponga e pur essendo una giusta preoccupazione la porrei nel modo, nella forma e senza l’ autorita’ che la cosa possiede”. Sulla lettera e sul cinismo delle parole del “Migliore” si scatenò la bufera tra gli intellettuali, i reduci dell’ Armir e i politici. “Siamo di fronte a un leninista ortodosso, coerente fino all’ estremo con il proprio progetto politico . disse lo storico Vittorio Strada: “Non e’ il primo esempio e non sara’ l’ ultimo di una acritica, organica e sostanziale consonanza con i dettami leninisti da parte di Togliatti. Del resto, non era Lenin a dire: non esiste una morale assoluta, la morale e’ cio’ che e’ utile al comunismo?”. L’ europarlamentare socialista Baget Bozzo: “Perche’ stupirsi? Togliatti era un vero bolscevico, ogni sacrificio per lui era giustificato dalla Storia”. “E’ inammissibile. disse il generale Gavazza, presidente dell’ Onorcaduti, un tale atteggiamento nei confronti delle decine di migliaia di soldati segregati nei campi di prigionia sovietici.” E’ difficile pensare che in nome della collaborazione ideologica con Stalin, Togliatti seppe raggiungere un cosi’ basso livello di abiezione”. Franco Fossa, socialista, ex senatore, visse la tragedia della prigionia in Russia. Fossa, allora militare di leva, era sopravvissuto nell’ inferno di ghiaccio dei lager russi dal 1943 al 1946: “Le dimensioni di quella tragedia sono immensamente piu’ grandi di quanto immaginiamo. Per il numero di prigionieri. Ancora piu’ per l’ atrocita’ di quelle morti per fame, freddo, stenti e malattie consumate nel piu’ totale disinteresse ed abbandono. Una mortalita’ cosi’ alta nei primi mesi da suggerire l’ idea dello sterminio”, scrisse Gianna Fregonara.

Celebriamo la giornata della memoria anche per questi nostri figli innocenti, assassinati nel modo più spregevole in nome di una falsa ideologia.

Eccoci a noi. Conoscevo già la mano lorda di sangue italiano dei comunisti italiani, in nulla inferiori alle famigerate bande fasciste e al cinismo nazista, ma una frase mi ha colpito di questa lettera, perché resta tremendamente attuale in questo rifiorire del cinismo per la sorte delle famiglie, dei lavoratori, degli imprenditori procurata da un nuovo regime dittatoriale, ancora una volta succube della Germania e sostenuto da poveri sciacallli della democrazia, invidiosi, astiosi, ciechi di fronte alla tragedia anche di loro stessi. Vengono a mente i fondamentalisti che si fanno esplodere pur di colpire un nemico. Meditate, soprattutto su questa frase: “E’ difficile, anzi impossibile, distinguere in un popolo chi è responsabile di una politica, da chi non lo è, soprattutto quando non si vede nel popolo una lotta aperta contro la politica delle classi dirigenti”. Nessun altro popolo vanta un tale degrado morale. Non aggiungo altro.

1 pensiero su “MEMORIE DI GUERRA ITALIANE IN UCRAINA E LA CONDANNA A MORTE DEI SOLDATI DELL’ OTTAVA ARMATA ITALIANA IN RUSSIA.

  1. La Nato getta altra benzina sul fuoco: pronta a fornire armi all’esercito ucraino.
    Il comandante delle forze Nato in Europa, Philip Breedlove, sostiene l’ipotesi di fornire armi di difesa e attrezzature alle forze in Ucraina. Lo riporta il New York Times citando alcune fonti, secondo le quali l’amministrazione Obama sta rivedendo il tema dell’assistenza militare. Nessuna decisione è stata assunta. «Anche se la nostra attenzione resta nel trovare una soluzione tramite vie diplomatiche, continuiamo a valutare altre opzioni che aiuteranno a creare spazio per una soluzione della crisi» afferma il Consiglio per la sicurezza nazionale. Il fallimento delle sanzioni economiche nel dissuadere la Russia dall’inviare armi pesanti e personale militare nell’Ucraina dell’est sta spingendo il tema delle armi da difesa.

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