1348.- Libia, Haftar: bombarderemo le navi italiane; vice al-Sarraj: missione Italia viola la nostra sovranità. E Putin..

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Altra figura di cacca! Non vorrei essere nei panni dell’ambasciatore Perrone!

Il messaggio sinistro di Haftar segue di poche ore una dichiarazione del parlamento di Tobruk, che fa capo alla sua fazione, che aveva espresso la sua opposizione alla operazione navale italiana, contestando al premier di Tripoli, Fayez Sarraj, riconosciuto quasi solo dalla comunità internazionale, di aver concluso l’accordo con l’Italia per le operazioni congiunte, in quanto la presenza di navi straniere rappresenterebbe una “violazione della sovranità nazionale” libica. Tutto questo si consuma al termine della giornata in cui il Parlamento ha dato prova di coesione, con una “maggioranza molto consistente” salutata con favore dal premier Paolo Gentiloni ieri in visita al Coi per un collegamento con i militari impegnati all’estero.

E il presidente del Consiglio ha sottolineato l’importanza della missione: “Sappiamo tutti – ha detto – quanto i cittadini italiani si attendano risultati nella lotta dei trafficanti di esseri umani e nel controllo sui flussi migratori irregolari (Se lo sente Soros! ndr). Il contributo delle forze armate in questa direzione è assolutamente strategico e determinante: questa non è certo una missione aggressiva – ha precisato – ma di sostegno alla fragile sovranità di quel Paese”.

Finisce qui il fugace momento di gloria.

Il Ministro della Difesa italiano, Roberta Pinotti, è stata costretta a rallentare le operazioni militari per attestarsi su posizioni prudenti. Il pattugliatore d’altura Comandante Borsini, entrato nelle acque libiche il 3 agosto e ormeggiato presso il porto di Tripoli, ora ha o avrebbe ricevuto l’ordine di ritirarsi in acque internazionali rimanendo in attesa. Notizia che non trova riscontri ufficiali da parte italiana. A bordo di nave Borsini è imbarcato il nucleo di ricognizione, costituito da ufficiali del Comando Operativo di Vertice Interforze e della Squadra Navale, che dovrebbe condurre, congiuntamente con i rappresentanti della Marina e della Guardia Costiera libiche, le necessarie attività di ricognizione e definire le ultime modalità di dettaglio per quanto attiene alle misure di coordinamento della missione navale in supporto e di sostegno dei libici. Per ora, non sarà così. Il Governo, pur minimizzando i rischi, affermando che le fazioni libiche ostili all’Italia non avrebbero la capacità militare per rappresentare una minaccia alle navi da guerra italiane (sic!), sembra attestarsi su posizioni attendiste affermando che le attività di pattugliamento navale in chiave anti-immigrazione saranno effettuate solo su basi di stretta collaborazione con la Guardia costiera e il Governo libico, quello di al-Serraj, che rappresenta la fazione politica libica più debole a rischio di distruzione militare.

Il Governo di Tripoli è riconosciuto dalle Nazioni Unite, ma non dalla maggioranza dei libici. Anche all’interno dei territori che controlla è forte  l’opposizione che accusa al-Serraj di essere una semplice marionetta della ex potenza coloniale, che abili demagoghi libici associano alle violenze inflitte alla popolazione durante il periodo fascista. Anche l’appoggio ONU si sta progressivamente rimodellando, assecondando il piano francese di una intesa tra al-Serraj e Haftar per creare un Governo di unità nazionale in attesa delle elezionipreviste per il 2018. Solo l’Italia rimane ferma sulla posizione di difesa ad oltranza del Governo di Tripoli considerando, a ragione, pericolosa ogni forma di compromesso con il Generale Haftar, ormai considerato dai libici l’unico uomo forte in grado di unificare la Nazione e riportarla agli antichi splendori.
Haftar può anche accettare una temporanea alleanza con al-Serraj, consapevole che la sua forza militare e il suo prestigio, che sta crescendo tra la popolazione libica- e il sostegno di Francia, Russia, Egitto, Arabia Saudita, costringeranno il leader islamico di Tripoli ad una posizione subalterna e lo condurranno ad una  probabile sconfitta elettorale se, nel 2018, si terranno le elezioni. Il piano francese, ora promosso dalle Nazioni Unite, prevede la fusione dei due eserciti. Un punto rilevante a favore di Haftar è che possiede una forza militare superiore a quella di Tripoli, in grado di controllare il futuro esercito nazionale.

Sfruttando l’onda lunga dell’emergenza migrazione  – dipinta da taluni settori della politica nazionale come una benedizione per il Paese  -, Roma sostiene che il principale compito della sua marina militare è quello di collaborare con le autorità libiche nel fermare le attività degli scafisti e la loro presunta collaborazione con alcune ONG internazionali che agli inizi del duemila hanno preventivamente creato filiali in Italia  -tra esse Save The Children e Medici Senza Frontiere. L’obiettivo che si tende a far passare in subordine è quello di contrastare le azioni francesi in Libia, volte a controllare il Paese chiave del Nord Africa e gestire gli ingenti giacimenti petroliferi e di gas naturale ai danni dell’azienda petrolifera  nazionale, l’ENI.

La strategia francese in chiave anti-italiana è iniziata durante l’Amministrazione Nicolas Sarkozy, quando, nel 2011, è intervenuto nella guerra civile libica offrendo supporto aereo ai ribelli e creando i presupposti per la caduta del Colonnello Muhammar Gheddafi. Senza l’intervento francese il regime di Gheddafi sarebbe riuscito a vincere militarmente le formazioni ribelli e a ripristinare l’ordine in Libia.

L’intervento francese aveva due obiettivi.
Primo obiettivo, impedire il progetto della moneta africana: il dinaro oro, che Gheddafi stava lanciando nell’Africa Occidentale per sostituire, nelle ex colonie africane ancora sotto controllo francese, la moneta unica Franco CFA, creata nel 1947 per controllare le riserve di valuta estera e le finanze dei Paesi africani francofoni. La moneta africana, se fosse stata introdotta grazie alle immense riserve d’oro di Gheddafi, avrebbe trovato il pieno consenso dei Paesi dell’Africa Occidentale, in primis Ciad e Mali, desiderosi di liberarsi dal controllo finanziario di Parigi, studiato per ottenere vantaggi unilaterali e coloniali per l’economia francese impedendo ai Paesi africani la sovranità finanziaria.
Il secondo obiettivo era quello di spezzare il monopolio ENI sugli idrocarburi libici garantito da una stretta alleanza politica economica con il regime Gheddafi. E’ la guerra segreta tra Italia e Francia combattuta in Libia. Una alleanza, rafforzata sotto il Governo Berlusconi, molto proficua per la multinazionale italiana, in quanto Gheddafi non era solo un ottimo fornitore ma anche un importante finanziatore che deteneva il 7% delle azioni ENI e si stava apprestando ad arrivare a quota 10%, offrendo alla azienda italiana finanziamenti in valuta pregiata per avviare nuovi investimenti produttivi non solo in Libia.

La decisione di inviare navi a supporto della navi della Guardia costiera libica, secondo alcuni osservatori qui in Libia, sarebbe una ‘menzogna italiana’, le motivazioni risiederebbero tutte nella politica fagocitante ideata da Parigi e nella necessità di tutelare gli interessi ENI. Nonostante la caotica situazione di guerra civile che perdura nel Paese,  ENI riesce ad assicurarsi ancora il 48% della produzione petrolifera e il 41,1% della produzione di gas naturale, come ci ha spiegato Gabriele Iacovino, in una recente intervista a ‘L’Indro. L’accusa di violazione della sovranità libica giunta proprio dall’interno del Governo di Tripoli, alleato dell’Italia, distruggerebbe la presunta collaborazione con le autorità libiche (o con parte di esse), evidenziando una pericolosa spaccatura all’interno degli alleati italiani sulla missione militare tricolore.

Ci manca solo che facciamo a cannonate!

L’opposizione di parte del Governo amico di Tripoli e le minacce militari dell’Esercito Nazionale Libico sotto il controllo del Generale Haftar, sembrano aver di fatto creato le condizioni per l’aborto prematuro della avventura militare italiana che ora vede minati i presupposti per la sua attuazione. Nonostante le rassicurazioni offerte dall’Ambasciatore italiano a Tripoli durante una intervista rilasciata sabato 5 agosto a ‘RaiNews24‘, le navi italiane difficilmente potranno proseguire l’avventura, in quanto l’Esercito italiano non può sostenere il rischio di un conflitto aperto anche solo diplomatico in Libia che potrebbe far perdere gli ultimi giacimenti petroliferi e di gas naturale ancora sotto controllo della ENI. L’azienda  riesce  a creare un interscambio di 2,8 miliardi di euro (dati 2016). Un giro d’affari ben lontano da quelli registrati quando la Libia era sotto il controllo di Gheddafi, allora gli affari Eni in Libia valevano circa 15 miliardi di euro annui.

Intervista Al-Mejbari a tv: ‘Non esprime la volontà del governo d’intesa’. E il pattugliatore d’altura italiano, appena giunto da Augusta, scosta dal molo di Tripoli e lascia in sordina le acque territoriali libiche: “A pucchiacca in mane a ‘e creature!” Elezioni!!!

Schermata 2017-08-09 alle 17.57.36.pngIl vice presidente del Consiglio presidenziale libico, Fathi Al-Mejbari, prende le distanze dall’autorizzazione data da al Sarraj alla missione navale italiana, che rappresenta “un’infrazione esplicita dell’accordo politico” e delle sue clausole, in particolare quelle relative alla “sovranità della Libia”, e “non esprime la volontà del Consiglio presidenziale del governo di intesa”. Lo riferisce il sito della Tv LibyaChannel.

Il vice presidente del Consiglio presidenziale libico Fathi Al-Mejbari chiede all’Italia “di cessare immediatamente la violazione della sovranità libica” e fa appello alla comunità internazionale e al Consiglio di Sicurezza Onu perchè prendano una posizione sulla missione navale italiana. Stando al sito della Tv LibyaChannel “Al-Mejbari ha anche chiesto alla Lega Araba e all’Unione Africana di esprimersi al riguardo condannando “tale violazione, sostenendo e appoggiando la Libia”.

Le parole di Fathi Mejbari, vice presidente del consiglio presidenziale libico, circa l’asserita violazione della sovranità libica da parte dell’Italia “rientrano nella dinamica di un dibattito interno libico – che l’Italia rispetta pienamente – e non inficiano in alcun modo il rapporto di cooperazione tra i due Paesi”. Lo riferiscono fonti vicine alla Farnesina. Questo rapporto di cooperazione è “mirato a potenziare la lotta contro i trafficanti di esseri umani e a rafforzare la sovranità libica, il tutto all’interno di una cornice giuridica certa”.

Ambasciatore italiano, inutili minacce di Haftar  – Le minacce del generale Khalifa Haftar non fermano la missione italiana in Libia. Ad affermarlo in una intervista al ‘Corriere della Sera’ è l’ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone. Le parole del generale Haftar, spiega il diplomatico, “non fermano la missione italiana, già concordata con le legittime autorità libiche che fanno capo al Consiglio presidenziale sulla base di una sua richiesta”. “Noi – aggiunge – siamo interessati a operare d’intesa con tutti i libici se è possibile, e ovviamente con il generale Haftar. Quindi cercheremo il contatto anche con lui e faremo in modo di spiegare gli obiettivi di una missione che non è militare, ma di assistenza alle autorità libiche affinché possano esercitare la loro sovranità in tutto il territorio del Paese. Lo stiamo spiegando a tutte le autorità. È una missione che serve a rafforzare la sovranità libica, non a indebolirla”. “La nostra – fa anche sapere Perrone – è una strategia complessiva. Con la Guardia costiera libica, una parte. Lavoriamo al Sud anche con la Guardia di frontiera e con i Paesi vicini. L’obiettivo è che il traffico di esseri umani non entri proprio in Libia. Agiamo con sindaci del Sud e della costa perché ci siano alternative all’economia di questo traffico. Importante è anche migliorare le condizioni dei campi di accoglienza in Libia”. Sul rapporto con la Francia, il diplomatico dice: “Noi lavoriamo per raggiungere obiettivi condivisi: stabilità e riconciliazione nazionale”

E Putin manda a Tobruck il suo generale di fiducia.

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Lev Dengov è giunto a Tobruck a capo di un contract team. Il piano di Putin è quello di “tornare allo status pre-2011 e dunque riattivare gli accordi miliardari firmati con Mu’ammar Gheddafi.

Mentre noi in Libia mandiamo un paio di barchette a fare la balia alle navi delle Ong che trafficano con gli immigrati, la Russia bada al sodo. Cioè agli affari. Quelli dei contratti che aveva firmato prima del 2011 con Gheddafi e che, con la rivoluzione e lo spezzettamento del Paese africano in tante regioni controllate da diverse fazioni, sono venuti meno. Contratti in campo petrolifero, ma anche per la ferrovia Sirte Bengasi da 550 km e 2,2 miliardi di euro di commessa. Contratti nel settore militare, con la vendita di elicotteri d’assalto , cacciabombardieri Sukhoi e l’ammodernamento dei vecchi Mig-23. Contratti, ancora, nel settore energetico, con il piano per costruire in Libia la prima centrale nucleare, ad uso esclusivamente pacifico, sul modello di quella costruita in Iran.

La Russia ha da tempo scelto da che parte stare e da tempo fa arrivare di soppiatto armi al suo alleato Khalifa Haftar attraverso Egitto e Emirati Arabi. Lo scambio commerciale, dopo anni di impasse, è ripreso. Ma sono ancora briciole, visto che l’anno scorso ha toccato quota 74 milioni. Per far decollare questa cifra, Putin ha inviato in Cirenaica, la terra controllata da Haftar, un suo uomo di fiducia. Lev Dengov, a capo di un contract team. Il piano del Cremlino è quello di “tornare allo status pre-2011 e dunque riattivare gli accordi miliardari firmati col raiss. Sarà sempre il petrolio, secondo Dengov, a garantire i pagamenti (ma non solo. C’è l’uranio a Sud, ai confini con il Ciad. ndr).

L’emissario di Mosca, come riporta La Stampa, guarda anche oltre la Cirenaica: ha già preso contatti con le tribù del sud del Paese che, dice, “hanno un ruolo molto importante e sono pronte a collaborare con la Russia” e guarda anche a un possibile accordo con Al Serraj: “Se ci saranno elezioni e un governo condiviso – conclude Dengov, sarà possibile revocare l’emargo alla vendita di armi”. E per Mosca la Libia tornerebbe l’Eldorado.

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La Striscia di Aozou (anche Striscia Aouzou) (in francese Bande d’Aozou, in arabo قطاع أوزو), in colore rosso, è un territorio prevalentemente desertico, che si trova nel nord del Ciad (regione di Borkou-Ennedi-Tibesti), lungo il confine con la Libia. Larga circa 100 km e lunga circa 1 000, la striscia si estende su una superficie di 114 000 k. A causa della presenza di depositi di uranio, sorse una disputa tra il Ciad e la Libia per il controllo di quest’area, che portò alla guerra tra i due paesi. Nel 1973 la Libia iniziò operazioni militari nella striscia di Aozou per ottenere accesso ai minerali ed influenzare la politica del Ciad. La Libia basava la sua rivendicazione di questa area su un trattato del 1935 tra l’Italia e la Francia, rispettivamente potenze coloniali in Libia e in Ciad: si tratta del cosiddetto “Trattato Mussolini-Laval“. Il trattato prevedeva la cessione della striscia di Aozou da parte della Francia all’Italia come premio per la partecipazione italiana alla prima guerra mondiale. Nel 1955 il governo libico di re Idris I cedette nuovamente la striscia alla Francia.

Da qualche anno, siamo sempre dalla parte sbagliata. A Gentiloni, rectius, all’ENI, messa in angolo dall’intraprendenza di Macron e dall’inesperienza di Alfano, resta solo di sperare nell’appoggio dell’ONU (leggi: degli USA)

2 pensieri su “1348.- Libia, Haftar: bombarderemo le navi italiane; vice al-Sarraj: missione Italia viola la nostra sovranità. E Putin..

  1. Tripoli, 08 ago 12:55 – (Agenzia Nova) – L’arrivo della nave trasporto ausiliaria Tremiti (A5347) segue la conclusione delle attività di ricognizione del pattugliatore italiano Comandante Borsini e del nucleo di ricognizione imbarcato, che domenica 6 agosto hanno lasciato il porto di Tripoli. Il Tremiti torna così a Tripoli dopo 5 anni, dove aveva partecipato con il gemello Gorgona (A5348) al ripristino del porto.  Acque calme, grazie all’ONU/USA.

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  2. HAFTAR C’È.
    Libia, agosto 12, 2017.- Haftar sulle navi italiane: “Senza il nostro accordo è un’invasione”. “Libici e italiani sono amici. Abbiamo superato il retaggio dell’aggressione fascista”, “ma devo dire che noi libici teniamo alla nostra indipendenza e sovranita’. Nessuno puo’ entrare con mezzi militari nelle nostre acque territoriali senza autorizzazione. Sarebbe un’invasione e abbiamo il diritto-dovere di difenderci, anche se chi ci attacca e’ molto piu’ forte di noi. Vale per l’Italia come per qualsiasi altro Paese“. Lo dice, in un’intervista al ‘Corriere della Sera’ Khalifa Haftar.

    E ancora sottolinea: “Non c’è stata alcuna intesa con noi. Io non vi ho dato alcuna luce verde. Non solo, nessuno ci ha mai detto nulla. È stato un fatto compiuto, imposto senza consultarci“. Poi parla di Sarraj il leader del governo di unità nazionale di Tripoli e degli accordi con l’Italia: “Nessuno mi ha detto nulla dall’Italia. Per me è stata una sorpresa totale. Dopo che ho protestato è venuto personalmente il numero due dei vostri servizi a scusarsi, promettendo che avrebbe investigato per capire dove a Roma avevano sbagliato. Sarraj è messo alla prova. Vediamo se riesce a mantenere la parola data. Anche se sino ad ora ha sempre fallito a causa delle sue debolezze strutturali. Lo provano le sue ultime mosse, ha già tradito anche le promesse fatte al nostro incontro di Abu Dhabi in primavera. Il suo problema è che dipende dalle milizie, non possiede un esercito regolare come il nostro. Ecco perché subisce anche il peso delle bande di scafisti e della criminalità che gestisce il traffico dei migranti in Tripolitania“.

    Infine – riporta ilgiornale.it – parla dell’emergenza immigrazione: “Il problema migranti non si risolve sulle nostre coste. Se non partono più via mare ce li dobbiamo tenere noi e la cosa non è possibile. Anche gli accordi del vostro ministro degli Interni Minniti con le tribù, le milizie e le municipalità del nostro deserto sono solo palliativi, soluzioni fragili. Dobbiamo invece lavorare assieme per bloccare i flussi sui 4.000 chilometri del confine desertico libico nel sud. I miei soldati sono pronti. Io controllo oltre tre quarti del Paese. Possiedo la mano d’opera, ma mi mancano i mezzi. Macron mi ha chiesto cosa ci serve: gli sto mandando una lista“.

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