6261.- Europarlamento 2024. Alcune riflessioni dopo il voto

Una nota sincera quanto spietata che da un significato all’assenteismo diffuso di queste elezioni: per molti, un poltronificio utile a mascherare la vera stanza dei bottoni. Oggi, fra i partecipanti al G7 c’è il papa. “… Il parlamento europeo è una finzione giuridica, priva di poteri anche solo politici. È parte di un complesso sistema di governance (l’uso di un termine ormai straniero sul suolo europeo fa già intuire che sotto ci sia il trucco) studiato apposta per tenere lontani i cittadini della stanza dei bottoni. …”

Di Redazione Blog di Sabino Paciolla, 13 Giugno 2024 Ricevo dagli amici dell’Osservatorio Van Thuan di Trieste e volentieri pubblico.

Parlamento Europeo e bandiera EU
Parlamento Europeo e bandiera EU

Gianfranco Battisti,

a nome dell’Osservatorio

Circa le recenti elezioni, c’è da fare una premessa. Il parlamento europeo è una finzione giuridica, priva di poteri anche solo politici. È parte di un complesso sistema di governance (l’uso di un termine ormai straniero sul suolo europeo fa già intuire che sotto ci sia il trucco) studiato apposta per tenere lontani i cittadini della stanza dei bottoni. Nel migliore dei casi, esso rappresenta una vetrina degli umori nel continente, del quale chi comanda ha comunque interesse a tener conto, per evitare di procedere troppo scopertamente contro corrente. Punto.

Detto questo, le elezioni ci forniscono un quadro aggiornato della situazione all’interno dei singoli paesi. Sotto questo profilo, appare molto positivo il risultato italiano, dove il governo è riuscito a tenere nonostante la Meloni abbia silenziato molte istanze tradizionali del suo partito. In un momento di crisi economica, è un doppio risultato. Indubbiamente c’è un sostegno internazionale (USA e BCE) che dietro le quinte tiene in piedi il tavolo. Allo stesso tempo la ripresa del PD (anch’esso caso unico fra i socialisti europei) mostra che il paese rimane nelle mani dei padroni del vapore. Dietro al PD appare schierata oggi anche la Chiesa, sempre più allineata con i poteri forti globali. Sono segni chiarissimi  che un cambio di governo è possibile in qualsiasi momento. Il PD è la consociata italiana dei Dem americani, e ciò sottolinea come l’atlantismo della premier poggi su motivazioni di realpolitik che vanno ben al di là del suo criticato pedigree politico. Da rimarcare ancora l’azzeramento dei renziani, che dimostra come il tempo sia galantuomo. Nessuno lo ricorda, ma è ad essi che dobbiamo la compressione degli spazi di democrazia che oggi stiamo pagando anche in termini di disaffezione al voto.

Quanto al resto della UE, la frana del movimento di Macron è destinata ad indebolire ulteriormente la Francia, anche se le elezioni frettolosamente convocate serviranno a impedire il radicamento definitivo della destra Lepenista nel paese. Il sistema elettorale a due turni consentirà infatti a chi controlla la politica (si valuta che un terzo dei parlamentari sia espressione della massoneria) di fare fronte comune contro il pericolo di un cambiamento negli assetti di potere. In questo contesto, il futuro personale di Macron appare del tutto irrilevante. Non  trascurabile invece è il crescere della violenza politico-religiosa nel paese, che prende di mira i cattolici più ancora degli ebrei.

Nel breve periodo l’inevitabile sconquasso dovrebbe rafforzare ulteriormente l’Italia, oggi ottimamente collocata in una posizione intermedia tra il PPE e le destre estreme. Un asset da spendere immediatamente nel prossimo G7 in terra italiana.

Lungi dall’essere isolata in Europa, la Meloni si troverà d’ora in poi a gestire autorevolmente il gruppo Conservatori e Riformisti, una delle famiglie politiche del continente, in una fase di crescita di consensi. Se infatti porterà direttamente a Bruxelles solo 24 dei 76 parlamentari italiani, l’insieme dei seggi ricoperti dalla coalizione toccherà quota 73. Un pacchetto di voti di cui si dovrà tener conto per tutto l’arco della legislatura. Il futuro non è tutto roseo, naturalmente. Oggi non è dato sapere i prezzi che la Meloni sarà chiamata a pagare in termini di compromesso verso i suoi consociati europei – che su diverse questioni hanno interessi contrastanti con quelli dell’Italia – nonché nei riguardi dei potentati economici che sorreggono il paese in questi tempi difficili (leggi: privatizzazioni, questione ucraina, ecc.).

Comunque sia, nel resto dell’Europa buona parte dei partiti di governo ha perso voti, segno chiaro di come le cose vadano in realtà assai male. Di fatto, il limitato ma diffuso spostamento a destra dell’elettorato evidenzia una reazione generalizzata alle politiche portate avanti dall’attuale maggioranza, che si regge sulle convergenza dei popolari (specie tedeschi), dei socialisti e dei macronisti. Una coalizione che vede oggi in forte crisi entrambe le due ultime componenti, mentre in Germania, dove l’AFD è diventata il secondo partito (per giunta egemone nell’ex DDR), risalgono le azioni della destra democristiana. Siamo di fronte al rifiuto  del cosiddetto green deal, con le sue conseguenze devastanti sull’economia, dell’apertura indiscriminata alle immigrazioni, dell’omologazione culturale/morale, della propaganda bellicista ormai dilagante, nonché del rafforzamento dei poteri dell’Unione. Un vero problema per la prossima legislatura, che appare altresì ipotecata da una cospicua affermazione dei Verdi: un movimento che richiama alla mente la storica analogia sui “fascisti come i fichi: neri di fuori ma rossi di dentro”. Vi sono dunque più elementi di incertezza, con dei trend che paiono suscettibili di riversarsi a breve sugli assetti parlamentari dei singoli paesi. 

Se, come auspicabile, l’anno prossimo avremo un armistizio in Ucraina – a elezioni USA concluse, la guerra non sarà più un argomento elettorale ma solo un costo economico da valutare attentamente – sarà possibile trovare un accordo sui problemi continentali. In caso contrario, non ci resterà che pregare. Certo non lascia bene sperare che nell’anno memoriale del caso Matteotti si sia ritornati all’omicidio politico (v. in Slovacchia, oltre alle non velate minacce al presidente della Georgia), per non parlare del terrorismo in Russia e in Israele. Queste tragedie la dicono lunga sulla gravità della situazione. A ben vedere, questa dipende tutta dallo stato reale dell’economia americana, al di là dei brillanti risultati sbandierati da Washington ogni qualvolta ci si avvicini alle elezioni presidenziali.

Passando alla vexata quaestio “votare o astenersi”, sarà il caso di  guardare da vicino il risultato di qualche candidato vicino alle posizioni cattoliche. Ben 55 persone (ovviamente nel centro-destra) si sono esposte sottoscrivendo il manifesto di ProVita e Famiglia, nell’ambito della campagna Se l’Europa cambia valori, tu cambia l’Europa. Va ricordato che in occasione del recente voto a Bruxelles contro il diritto degli Stati di regolare al loro interno il diritto di aborto, questa benemerita associazione si è attivata con grande energia. Fra le altre cose ha inviato un autobus recante una scritta in difesa della vita attorno all’edificio del parlamento. Orbene, a quella vista, dal palazzo qualcuno ha telefonato alla polizia belga chiedendo un sollecito intervento causa la presenza di “estremisti”. L’intervento è stato puntualmente effettuato, fortunatamente senza esito alcuno.

Prescindendo da un bilancio nazionale, focalizziamoci adesso su un collegio campione, che meglio ci permette di comprendere  quello che potrebbe essere il ruolo del voto cattolico correttamente   inteso. Nella circoscrizione Nord-Est i candidati in questione erano ben 17: quattro correvano per la Lega(Alessandra Basso, Paolo Borchia, Roberto Vannacci, Stefano Bargi), sette per Fratelli d’Italia (Maddalena Morgante, Piergiacomo Sibiano detto Piga, Sergio Antonio Berlato, Stefano Cavedagna, Daniele Polato, Antonella Argenti, Elena Donazzan), tre per Forza Italia-Noi moderati (Rosaria Tassinari, Francesco Coppi, Antonio Platis), tre per Libertà  (Ugo Rossi, Mirko De Carli, Vito Comencini), una coalizione “antisistema” che includeva Il popolo della famiglia. 

Questa cospicua convergenza “ufficiale” sulle posizioni in oggetto sembra peraltro essersi  manifestata negli ultimi tempi; inizialmente i candidati riportati nel sito di PVeF erano soltanto tre (Basso, Morgante e Piga). Alla chiusura delle urne, la prima ha ottenuto 9.503 voti, risultando decima in ordine di preferenza. Per i secondi,  la Morgante ha totalizzato 8.864 preferenze – undicesima nell’ordine –  mentre Piga (19.340) è risultato settimo su 5 eletti. Entrerebbe invece Berlato (46.010 voti), eletto in altra circoscrizione. Dalla parte della Lega avremo invece il gen. Vannacci, noto per le sue posizioni “fuori dalle righe”, che ha stravinto con 142.435 voti, mentre Bagi si ferma a 2.853. Considerando poi il complesso gioco dei resti e dei subentri legati alle candidature plurime, al momento risultano in predicato tanto Piga che Polato (31.516 voti) per FdI che Borchia (23.523) per la Lega.

Per il resto della coalizione di governo, Forza Italia avrà probabilmente un solo rappresentante – Antonio Tajani – leader del partito (che, come sappiamo, fa capo al PPE). Da politico di lungo corso, questi ha ritenuto di tenersi le mani libere in materia di morale e costumi. Degno di nota è che i suoi compagni di cordata vicini al nostro sentire hanno  totalizzato consensi irrilevanti per una tornata europea (da 5.523 a 2.340 voti), segno evidente della scarsa sensibilità etica nel partito, sia a livello di vertice che di sostenitori. Per finire, la lista Libertà ha ottenuto appena l’1,2%, uno spreco di buoni voti (4.199, 1.208 e 1.852 nell’ordine di cui sopra), che si poteva intuire sin dall’inizio. 

Quali conclusioni si possono adesso trarre da queste cifre? Premesso che spetta agli esperti determinare, attraverso un’attenta analisi delle cifre il peso effettivo dei “benpensanti”, in ogni    caso risulta accertato quanto segue:  1) i risultati ci sono stati, e ciò introdurrà certamente un po’ di aria nuova all’interno delle aule di Bruxelles-Strasburgo: è difficile ad es. pensare che un Vannacci (pur difficilmente presentabile come cattolico DOC) si lasci inghiottire nel silenzio;  2) contrariamente al comune sentire, i valori non negoziabili non sono affatto assenti nel mondo politico italiano; 3) le associazioni che li promuovono sono considerate portatrici di un potenziale di voti niente affatto disprezzabile; 4) i numeri ottenuti evidenziano per i soggetti scesi in campo ottime possibilità di portare a casa risultati concreti nell’ambito di tornate elettorali meno impegnative.

Si tratta infatti di cifre in grado di garantire tranquillamente un’elezione in collegi comunali, regionali e financo nazionali. Basta (si fa per dire) trovare una lista che sia, com’è oggi di moda proclamare, “accogliente”. Adesso si tratta di continuare (o creare) un rapporto – vuoi di militanza, vuoi di apparentamento esterno – che porti concretamente alla candidatura dei cattolici DOC nelle competizioni dove i voti da essi portati possano consentire la loro elezione e non ne facciano dei meri “portatori d’acqua”. Cosa tanto più facile in presenza di candidature di peso: Si veda il caso di Vannacci o, per la parte avversa, della Salis.

Se non si tratterà di un fuoco fatuo, il futuro lascia dunque intravvedere la possibilità di costruire un passo alla volta una nuova generazione di politici dal retto sentire. Cominciando soprattutto dal basso, vale a dire dalla rete delle migliaia di consigli comunali, dove letteralmente un pugno di voti risulta sufficiente per venire eletti. La possibilità sarà tanto più realistica quanto meglio le diverse anime dell’ortodossia cattolica faranno fronte comune invece di disperdersi in mille etichette, e soprattutto di annichilirsi scegliendo il “non voto”. Come dice il proverbio, “gli assenti hanno sempre torto”. Se n’era accorta anche Santa Madre Chiesa ai tempi di Leone XIII.

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